Novembre dicembre 2009

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con il tifo petecchiale e pur girando per qui blocchi io non l'ho mai visto. Eppure lui è morto quattro giorni prima che io uscissi. Quando sono uscito e il calzolaio mi disse: "Palatucci è morto", rimasi senza parole. Dicono che sia morto di tifo petecchiale, ma c'è un però: io ero ricoverato per tifo petecchiale e invece mi hanno fatto delle iniezioni per esperimenti. Non vorrei che anche a lui abbiano fatto delle iniezioni per esperimenti. D. - Forse lei pensa che non fosse ammalato di tifo petecchiale? R. - No. Lui era certamente ammalato di tifo petecchiale; anch'io sono stato in infermeria per quel tifo. Ma dopo due tre giorni risultò non essere tifo petecchiale e cominciarono a farmi iniezioni varie, e dopo cinque o sei giorni mi facevano i prelievi di sangue; e mi facevano camminare, perché penso che quelle iniezioni colpissero già le mie ossa [n.d.r. - erano gli esperimenti del famigerato Dr. Menge (detto "il dottor Morte")]. Non so se hanno fatto così anche con Palatucci. Né so cosa mi hanno messo dentro, ma le ossa sono crollate. Basti dire che siamo giunti a Dachau in 40 e siamo tornati in due: io scassato nelle ossa, mentre l'altro è tornato tubercoloso e dopo si è lanciato dal quinto piano dell'ospedale di Schio.

Gli ex Allievi PS del 65° Corso del 1979, Soci dell’Associazione Palatucci Guardie di P.S. del 65° Corso, svolG litosiAllievi nel 1979 presso la Scuola PS di Reggio Emilia, dopo 30 anni, sono ritornati nella città a ringraziare il Signore, felici di poter riabbracciare e rivedere il vecchio don Pietro. Interessati dalla breve relazione su Giovanni Palatucci, tenuta dal Dottor Rolando Balugani, sono stati ben felici di aderire, come Soci, all’omonina Associazione. E’ uno stimolo all’imitazione!

Foto di un gruppo di ex Allievi PS del 65° Corso del 1979

Un libro coerente e generoso di Vincenzo Andraous* "L'Altra Città" edizioni Studium Roma è il nuovo libro di Padre Piersandro Vanzan e Fabio Rossi, un volume sul disagio giovanile, l'immigrazione, il carcere, come costruire nuove solidarietà. Padre Vanzan, grande amico della comunità Casa del Giovane, non è soltanto il mitico scrittore di Civiltà Cattolica, è anche un uomo che non arretra di fronte all'arrembaggio contemporaneo delle nuove certezze vendute a poco prezzo, basate spesso sulla capacità di dire tante cose in fretta proprio per non dire niente. "L'Altra Città" racconta di come tanto tempo fa chi abbandonava il paese raggiungeva la sicurezza nella città, nello stare insieme a tante altre perso-

ne incontrava sempre nuove opportunità. Città del passato e città del presente, tanti agglomerati e tante differenze, città del buio e città della luce, manifesti universali e cartelli artigianali, città che non hanno più capacità di riparare e migliorare, di modificare percezioni e vivibilità, la stessa paura del diverso che "non consente di pensare una differente dimensione sociale". Questo libro possiede coerenza e generosità, righe che riguardano i costruttori di futuro e i custodi attenti di verità, pagine scritte con quadratura intellettuale ferma e allo stesso tempo mobile, per non rimanere sconvolti dalla scoperta di avere tante città diseguali, mimetizzate, straripanti una nuova idealità del passare avanti, del non fare caso a chi cade, non andare troppo sul sottile per quanto succede nelle parti "altre" della città, e "altre" città che non sono la nostra, anch'essa ci appare distante da ciò che credevamo fosse.Città di periferie esistenziali, di colori di guerra sulla pelle, di luoghi sicuri non per arte di tolleranza che spesso professa disinteresse per le condizioni altrui. "L'Altra Città" descritta da Padre Vanzan, va spiegata fin dalla scuola materna, fin da piccoli, quando gli occhi non vedono dall'altra parte della strada. Stili di vita, comportamenti, quotidianità che possono essere strumenti e riferimenti alti, per allentare i sovraccarichi intollerabili degli interventi di una giustizia giusta per ogni città che si presenta scoperta, spogliata, tradita, nelle sue molteplicità, a partire dalle problematiche mai risolte dei rom e dei sirti, del carcere ridotto a un contenitore di numeri e inutilità, ai flussi migratori impediti a Lampedusa e vaganti sul territorio, sulla violenza che dilaga tra le mura domestiche e sulle carreggiate, violenza che obbliga a barricarci dentro noi stessi, e così perpetrare altra violenza nelle generazioni più giovani, quelle che dentro una classe optano per il sopruso e la sofferenza dell'altro per arrivare primi al traguardo. L'Altra Città è una ridotta specola sulle tante altre città che divampano private di uscite di emergenza, nelle altre estremità esistenziali ove non esiste attenzione, ma disamore per quanti non sono come noi. Questo libro è diga insormontabile affinché la violenza non diventi l'unico strumento di certezza di fronte a ciò che riteniamo una diversità etnico, religiosa, o più semplicemente socioeconomica, pagine di vista prospettica, posseggono la fiducia necessaria per ricondurre la società in un alveo di civiltà, concordia, e integrazione. *articolo tratto da: il Cittadino - quotidiano del lodigiano e del sudmilano (20/08/2009 p. 24)


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