anno 2 numero09- social network

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sommario 04

EDITORIALE: COSA VI ASPETTA?

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FILOMATRIX

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IL BISOGNO DI APPARTENENZA

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SOCIAL NETWORK: ELENCO E FUNZIONI

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I BROWSER GAMES… DROGA VIRTUALE?

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LE RETI SOCIALI NEI SOCIAL NETWORK.

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LA VIGNETTA MEME

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IL TRIANGOLO DELLE BERMUDA MULTIMEDIALE!

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INTERVISTA DI DANIELE DOESN’T MATTER

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BORCHIE MANIA!

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sommario

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CURIOSITÀ ANIMALI.

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AMORE DISPERATO

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CURIOSITÀ SCIENTIFICA.

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INTERVISTA A GIUPPS

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TRA BULLISMO E AGGRESSIVITÀ

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IL PARADOSSO DI HABERMAS ED IL LINGUAGGIO DEI PRIMATI.

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editoriale

Cosa vi aspetta?

Autore: Mauro Mauro Aka Various (13 febbraio1987) è un informatico valtellinese, attualmente codirettore del OUReports. Sognatore incazzato. Prova un amore folle verso gli animali e ne possiede di diverse specie. Scrivere è per lui uno sfogo, un momento di riflessione fra se e il mondo che sta dentro di lui.

www.tamalife.com

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Con grande orgoglio questa volta tocca a me darvi il benvenuto. Buongiorno Lettori e lettrici, come state? Noi come potete vedere stiamo alla grande, il nostro Magazine cresce, migliora e spero che sia sempre più di vostro gradimento. Il tema di questo numero è legato ai social network. Social network tradotto in italiano significa reti sociali. Con questa espressione, usata nella social network analysis, si indicano gruppi di persone connesse tra loro da un qualsiasi tipo di legame, che si relazionano costituendo una comunità. Oggi, l’espressione social network è più comunemente usata per indicare lo strumento utilizzato per creare e mantenere le reti virtuali e le comunità on-line, che più correttamente si chiama social netwok sites (SNS) o sito di social networking. Le comunità virtuali, sono gruppi di persone che interagiscono mediante mezzi di comunicazione come newsletter, mailing list, forum, instant messaging, wiki, social network. La nascita dei social network sites indica un cambiamento nell’organizzazione delle comunità on-line. Le comunità on-line iniziali (come usenet ed i forum di discussione) erano strutturate per argomenti o per gerarchie di argomenti, gli SNS invece sono strutturati come reti personali (o egocentriche) con l’individuo al centro della propria comunità. I social network sono lo strumento della nostra generazione. Parlare, condividere file, notizie, foto, tutto questo ha cambiato il nostro modo di comunicare e vedere il mondo. Essi rappresentano in pieno la nostra generazione. Ma non solo. I social network sono entrati anche nella vita e nelle vicende politiche degli Stati. Ne è una dimostrazione il ruolo rilevante che hanno avuto nelle dinamiche della Primavera Araba. Come sempre parleremo a modo nostro di tutto questo e anche di molto altro. Il nostro magazine, come ormai ben sapete, include articoli che trattano anche argomenti non inerenti a quello globale, ma che i nostri OUReporter hanno sentito il bisogno di scrivere per questioni legate alle esperienze della propria vita. Oltre a questo nei prossimi numeri troverete nuove rubriche di moda, scienze, politica ed arte, oltre che l’intervista a un personaggio “famoso” del web. In questo numero abbiamo deciso di offrirvi Daniele Doesen’t Matter. Vi invitiamo anche a venirci a trovare sul nostro sito dove potrete commentare vari temi di attualità che vi proporremo sotto l’etichetta AGORA’ Buona lettura!


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recensione

FILOMATRIX

Autore: Max Max alias Massimiliano: C’è perché c’è, fa quel che fa, è quel che fa. Talvolta riesce ad essere ciò che vuole. Talvolta è quel che è: Max, ma per pochi. Instabile, maneggiare con cura. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Il prodotto è composto da parti tossiche pericolose. Evitare il contatto con occhi e mucose, qualora questo dovesse avvenire contattare un medico. Non è un prodotto medicinale.

http://sottounosguardo.tumblr.com

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René Descartes, bel tipo eh? Bé intellettualmente parlando senz’altro. Per le citazioni aforismatiche utilizzabili su facebook (restano sempre un bel tentativo di sfoggiare cultura) e i riferimenti biblio-anagrafici potete consultare liberamente Wikipedia. Non ho proprio pazienza per queste cose. Per quel che ci concerne mi avvalgo dell’opportunità di rinfrescare la memoria dei conoscitori di filosofia, o di apportare una nuova nozione a tutti gli altri: cos’è il dubbio radicale? Avrei detto quello che riguarda i recenti digiuni (o, politically correct “scioperi della fame”) di Pannella: nessuno si è mai domandato come mai, alla fine di ogni protesta di tal fatta, risulta ingrassato??! Breve divagazione personale a parte, ecco qualcosa di più concreto. Appena terminati i suoi studi, il nostro Cartesio (italianizzato dall’originale Descartes) ebbe l’intuizione che tutta la conoscenza fosse fallace. Una patina di nozioni collegate su vari livelli che si opponeva al mondo reale inteso secondo le leggi della fisica. Ed allora demolisce tutto quanto. Nessuna nozione, niente “ipse dixit” (così in voga a quei tempi), allontana precettori e maestri… vuoto! Espone tutta la produzione umana e scientifica fino a lui pervenuta, dai recessi più reconditi e lontani del passato, al vaglio della ragione fin negli elementi più molecolari: cos’è la verità, senza la quale nessuna conoscenza degna di tal nome è possibile? Come si perviene alla verità? Come si distingue la verità da un autoinganno della ragione? Senza tirarla per le lunghe, so che vi state annoiando, a dispetto dei suoi contemporanei più radicali, Cartesio ebbe l’ardire di ritenere che Dio non fosse LA risposta. Dal dubbio metodico, il dubbio come metodo di demolizione del “reale” al dubbio radicale! Ci siamo arrivati. In seno alle Meditazioni, Cartesio pone l’argomentazione di un DioGenio ingannatore. Un subdolo e malevolo creatore onnipotente che avesse plasmato l’uomo come incapace di raggiungere la verità, dotato di sensi e strumenti intellettuali capaci sono di produrre una falsa, ma estremamente coerente, visione del mondo.


recensione

Ossia la totale demolizione dell’ultima pietra angolare della conoscenza: l’uomo, ingannato, è creato per NON raggiungere Perbacco, diranno alcuni! Stic@**# altri! Per gli iscritti alla mozione “perbacco!” proseguo tranquillizzandoli che esiste una via di fuga: il cogito. Per quanto il Genio possa ingannarmi circa le produzioni ultime del mio intelletto, m’inganni finché vuole ma non può indurmi a ritenermi inesistente. Penso dunque sono, etcetc. Perdonate l’arbitrarietà di questa traduzione dal latino (non riuscivo a reperire il mio testo con traduzione a fronte e mi sono dovuto arrangiare) e sforzatevi di ricavarne il messaggio principale: l’uomo, in quanto pensante, è esistente, ed in questo si ri-conosce. In qualche modo, da qualche parte, avulso anche dal corpo fisico (possibile inganno) quell’entità esiste. Avete capito poco di quanto detto? Chiamo in aiuto i fratelli Wachowski, già conosciuti per V per Vendetta e Assassins, ricordando la celebre Trilogia di Matrix. Breve elencazione del cast: Keanu Reeves nella parte del protagonista. Se è la trama che v’interessa, bè, dirò solo Cartesio! L’umanità, resa folle dalla sua perversa escalation della crescita tecnologica, annuncia al mondo la creazione della prima AI (Intelligenza Artificiale) con la costruzione delle Macchine: robot automi a servizio dell’uomo ma capaci di pensare. Come nelle migliori saghe fantascientifiche le Macchine si ribellano, bramano la libertà e si maldispongono nei confronti dei limiti fisici ed intellettuali dei loro stessi creatori. E li sottomettono. In questo caso particolare però, a scopi di sostentamento, collegano l’umanità intera ad un’enorme realtà virtuale, una condizione di vita-non-vita in cui le menti, stimolate da impulsi elettrici, sono ingannate. Convinti di vivere gli umani simulano la vita in una gigantesca neurosimulazione del mondo in

tempo reale. Chi vincerà? Come andrà a finire? Questa, in fondo è una recensione, non un Bignami della trilogia. Cinematograficamente parlando la pellicola non si presta a particolari critiche. Gli effetti speciali, pur presenti, sono estremamente limitati e coerenti. Vero è che con l’incedere della storia la trama iniziale si diluisce a vantaggio dell’esaltazione della prevedibile love story e del sacrificio scontato dell’eroe, ma questo non deturpa in sé la produzione, le conferisce solo tratti più populistici e meno fantasiosi, a vantaggio di un pubblico più grande e sfaccettato e non solo per intenditori quindi chiuso e limitato. Mi tocca anche dire che il ruolo del protagonista, ben reso, è stato l’effetto di una serie di fortunate coincidenze. Offerto ad attori più famosi, ad esempio Will Smith e Johnny Depp , è stato rifiutato per “trama scarsamente comprensibile”. Keanu Reeves si è dimostrato molto oltre che un rimpiazzo posticcio, sforzandosi sino all’ultimo di dar credibilità ad un ruolo fantascientifico, e quindi irreale per antonomasia, ma reale per umanità espressa. La scelta, la verità e l’uomo, alla fine, non sono altro che sinonimi. E su questa frase ambigua mi congedo dai miei cari “perbacchisti”. Agli iscritti al partito dello “Stic@**#” dico solo: il genio ingannatore v’inganna? Poco vi importa della verità? Se così, nulla di più facile: chiedetela a lui medesimo. Max

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tema: social network

Il bisogno di appartenenza

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tema: i social network

Autore: Luca Luca: studente di ingegneria per professione, mente matematica per predisposizione, poeta fallito per vocazione. Classe ’90, quasi ’91: nato precisamente il 28 Dicembre 1990. Sognatore irriducibile, innamorato, felice (ora). Giocatore di pallacanestro, se preferite basketball, ex tennista praticante ora la più economica versione da tavolo. Segni particolari: supercazzola sempre pronta, tendenza a coltivare la propria barba. Indole pacifica e socievole, con tendenza alla buffoneria.

http://www.half.adbjournal.com

L’umanità, intesa come miriade di personalità, deve comunicare con se stessa. Il singolo ha bisogno di appartenere ai molti, per questo è necessario che si riveli. La persona vive proiettandosi verso il mondo esterno, smascherando la propria intimità o risentendo del non farlo. L’alternativa, ovvero il “non fare parte di”, esiste solo per pochi e comporta la mancanza di serenità. Questa “appartenenza”, che viene chiamata “socialità”, non può sussistere senza un proprio spazio. L’era tecnologica ha concepito un nuovo spazio sociale: i Social Network. Questi luoghi virtuali hanno ottenuto un immediato successo, spodestando la piazza come habitat di socialità. Sono ormai un luogo quotidiano e la loro egemonia ha radici nel valore dell’impersonalità. Guardando una persona negli occhi, parlandole, avviene una comunicazione reciproca, un dialogo. Ci riveliamo e allo stesso tempo scopriamo. L’essere umano è però egocentrico: al contrario di ciò che lascia intendere, all’interno dei rapporti sociali vuole dare senza ricevere. Il grande vantaggio dei Social Network è che la comunicazione ha un tramite; essa avviene attraverso uno schermo e quindi non vi è un incontro fisico delle parti. Non ci si guarda negli occhi. È quindi la concretizzazione di un paradosso, secondo il quale tutti insegnano e nessuno apprende. La persona svela la propria intimità attraverso le informazioni. “Informare”, però, è una parola stantia oggi giorno. È più corretto – in quanto moderno – il termine “condividere”. Le informazioni non vengono più consegnate, vengono rese pubbliche. Ogni persona crea e alimenta una fonte dalla quale tutti possono attingere. È stato abbandonato il gesto, sostituendolo con lo “status”. La socialità ha perso così la sua primitiva dinamici-

tà, diventando statica, questo mediante un processo di uniformazione delle personalità ad uno schema predefinito. Possiamo immaginare questo schema come una vetrina virtuale, che separa lo sguardo dal resto dei sensi e ci permette di valutare unicamente l’aspetto. È proprio questa virtuale barriera, che attua una reale separazione, a rendere unidirezionale la comunicazione. Nella densità di dati del Social Network qualche caratteristica della persona viene dimenticata; l’uso di queste “vetrine” decontestualizza l’individuo. I luoghi di vita dell’uomo, che naturalmente influenzerebbero la sua socialità, permangono solo come tracce. La diversità di spazio, vale a dire le tre dimensioni che identificano lo spazio stesso, è incompatibile con lo “status”. L’individuo può solo farne riferimento. Diventa quindi un’astrazione “l’abitare”, come ogni altra forma di contesto. L’alterazione della percezione coinvolge anche il tempo. L’uomo che si presenta attraverso i Social Network non ha memoria della sua storia, questo eleva la creazione dell’account all’importanza di una nascita. Il motivo è semplice: i segni lasciati sull’individuo dagli avvenimenti del passato si manifestano attraverso la personalità, ed essa è cancellata dal mezzo (dico “dal mezzo” perché, in questo caso, il luogo è al contempo il tramite). È bene precisare a questo punto, per non essere frainteso, che utilizzando l’espressione “personalità” non voglio indicare il modo d’essere, ma più impropriamente l’espressione del modo d’essere. Alla luce di queste considerazioni, è curioso osservare che “l’appartenenza” di cui abbiamo parlato non sembra sussistere in questi luoghi sociali, in quanto molte informazioni dell’individuo non possono essere “condivise”. I Social Network dilatano la nostra visione del mondo e la nostra proiezione verso il mondo, ma ne abbattono la profondità; il luogo e il tempo appartengono al regno del “gesto”, non dello “status”. Mark Twain direbbe all’incirca così: “L’uomo è l’unico animale che arrossisce. O dovrebbe arrossire”.

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tema: i social network

Social Network: elenco e funzioni Autore: Mauro Mauro Aka Various (13 febbraio1987) è un informatico valtellinese, attualmente codirettore del OUReports. Sognatore incazzato. Prova un amore folle verso gli animali e ne possiede di diverse specie. Scrivere è per lui uno sfogo, un momento di riflessione fra se e il mondo che sta dentro di lui.

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Un social network (in italiano rete sociale) può essere definito come un qualsiasi gruppo di persone connesse tra loro da diversi legami sociali, che vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro, ai vincoli familiari. Il termine social network ha assunto in rete un valore particolare, identificandoli come dei grossi portali dove i viaggiatori del Web si incontrano, in vari modi ed in maniera differente, per i più svariati motivi. Anche ciò che accomuna questi individui svaria in diversi argomenti, fattori comuni, o semplicemente in un modello nuovo di comunicazione. Per entrare a far parte di un social network online occorre costruire il proprio profilo personale, partendo da informazioni come il proprio indirizzo email fino ad arrivare agli interessi e alle passioni, alle esperienze di lavoro passate e relative referenze. A questo punto è possibile invitare i propri amici a far parte del proprio network, i quali a loro volta possono fare lo stesso, cosicché ci si trova ad allargare la cerchia di contatti con gli amici degli amici e così via; diventa quindi possibile costituire delle community tematiche in base alle proprie passioni e interessi, aggregando ad esse altri utenti e stringendo contatti di amicizia o di affari. Quelli più famosi sono:


MYSPACE è stato forse il primo social network diffuso in tutto il mondo. Nato negli U.S.A. nel 2003 permette agli utenti di avere un proprio spazio on-line stile blog, avere amici, aggiungere fotografie, video, ecc… In Italia MySpace è arrivato nel 2007 ed ha avuto rapidamente successo, grazie ad un tasso di crescita pari ad un utente ogni 5 secondi! Particolarmente apprezzato dai gruppi musicali (70.000) ha chiuso la sua sede in italiana nel 2009 a causa della concorrenza spietata di Facebook. Pare che nel 2012 sia rinato grazie alla nuova iscrizione di alcuni milioni di utenti ed alla volontà della società (compartecipata dall’attore Justin Timberlake) di diventare principalmente un social network dedicato al mondo giovanile della musica.

FACEBOOK Nato dalla geniale mente di Mark Zuckerberg, studente dell’università di Harvard, è diventato in pochissimo tempo IL social network per eccellenza. L’idea nasce nel 2004 per gestire la sola rete sociale del campus del Massachussets, ma si diffonde rapidamente in tutte le università d’America grazie alla sua semplicità di utilizzo e funzionalità (bacheche, foto, video, commenti, like, eventi, ecc…). Un altro punto di forza è sicuramente l’uptime dei server: pare sia molto difficile trovare problemi alla struttura di FB.

FOURSQUARE Il “fenomeno web” del 2011 per eccellenza, ha il merito di aver portato la geo-localizzazione in ambito social grazie ai dispositivi dotati di GPS. Il funzionamento è semplice: una volta raggiunto un luogo (casa, scuola, cinema, ufficio, …) si esegue il “check-in” e si guadagnano punti che ci posizioneranno in una classifica insieme ai nostri amici. Deve la sua fortuna alla mini-rivoluzione che ha subito nel 2010, nella quale sono state aggiunte una serie di funzionalità di tutto rispetto: badge, premi virtuali, liste di luoghi, consigli da lasciare ad altri utenti che raggiungeranno il luogo, ecc… Le dinamiche di gioco concorrenziale tengono gli utenti legati alla piattaforma.

TWITTER Twitter nasce nel 2006 ma diventa famoso (in Italia) soprattutto nel corso del 2010 ed esplode a inizio 2011 venendo utilizzato come strumento di passaparola e sollevamento popolare durante le “rivoluzioni” arabe. È una piattaforma di microblogging, permette, cioè, di pubblicare brevi contenuti composti al massimo da 140 caratteri (meno di un SMS). La sua fortuna deriva dall’aver cambiato la frase in cui si invitano gli utenti a pubblicare contenuti: inizialmente era “Cosa stai pensando” (un po’ come sulla bacheca di Facebook), ma venne sostituito con “Cosa sta succedendo” rendendo la piattaforma una sorta di occhio vigile sui fatti del Mondo, tanto che ormai è diventato per molti internauti il principale strumento di informazione. Pare abbia raggiunto i 500 milioni di utenti attivi globalmente ed ha un valore stimato in più di 8 miliardi di dollari.

LINKEDIN Il “gioiellino” del 2009 ha superato i 22 milioni di utenti nel 2011 nella sola Europa ed è sempre più diffuso, grazie alla professionalità ed ai servizi che offre. Nato per garantire relazioni professionali è utilizzatissimo dagli head-hunters e da chi cerca lavoro, ma anche da chi è alla ricerca di partner e clienti. La sua peculiarità, oltre a permettere l’inserimento delle posizioni lavorative ricoperte e del proprio curriculum vitae, è quella di consentire le “raccomandazioni“, cioè brevi testi descrittivi dell’attività che abbiamo svolto. Ovviamente non è possibile inserire auto-raccomandazioni, ma se lavoriamo bene i nostri collaboratori/partner/clienti scriveranno recensioni sul nostro conto e modus operandi. Altra specifica degna di nota è la possibilità di creare gruppi a tema, specifici per alcuni ambiti lavorativi.

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PINTEREST Il trend del 2012 pare essere segnato dal prepotente arrivo di Pinterest, social network per la condivisione di immagini. Super-integrato con Facebook (tanto che alcuni pensano essere una società fantasma di Mark Zuckerberg) ha superato gli 11 milioni di utenti a inizio 2012. Prediletto dal pubblico femminile (negli U.S.A., in Italia pare essere preferito dagli utenti di sesso maschile) permette di avere una bacheca suddivisa per interessi personali. All’interno di ogni bacheca si aggiungono immagini personali oppure si “pinnano” (dall’inglese “pin” cioè “puntina”) immagini di altri utenti. Molto comodo per poter vedere il gradimento delle immagini che condividiamo.

GOOGLE PLUS è stato dato alla luce a metà 2011 dal colosso di Mountain View per inserirsi nel mondo dei social network dopo alcuni tentativi falliti (primo fra tutti Google Buzz). Grafica semplice e gradevole, segue le linee guida di Facebook, ma con alcune differenze: la principale funzionalità è quella di poter creare “cerchie di amici” per poter condividere contenuti specifici a seconda dei target che si desiderano raggiungere. Il livello di privacy è molto alto, ma Google ha recentemente cambiato le proprie policy su tutti i servizi, al fine di fornire una migliore esperienza per gli utenti che desiderano integrare le decine di servizi offerti da BigG. Google+ permette di effettuare video-ritrovi con le proprie cerchie, giocare, integrare YouTube e le News. Si prevede che alla fine del 2012 raggiunga i 400 milioni di utenti, ma l’utilizzo non è ancora così massivo come per Facebook. Ma ne esistono davvero una moltitudine come: Shidonni: http://www.shidonni.com, social network dedicato agli utenti under 12 Anobii: http://www.anobii.com social network dedicato ai libri Badoo: http://badoo.com/it/ molti raccontano di storie piccanti in questa chat di incontri. Netlog: http://it.netlog.com/ creare un blog, caricare video, foto, immagini… Molto completo. Hi5: http://hi5.com/friend/displayHomePage.do rincontra i tuoi amici Bamba5: http://www.bamba5.com/ simile a Badoo Skyrock: http://it.skyrock.com/ per lo più dedicato alla scoperta di talenti musicali. Grande duttilità

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LiveJournal: http://www.livejournal.com/ diario virtuale. LastFm: http://www.lastfm.it/ musica. Possibilità di interagire scambiando brani musicali e pezzi di propria creazione. Bebo: http://www.bebo.com/ : più blogging che social netwok. Storify: http://storify.com/ compone storie con contenuti tratti da Facebook, Twitter, Youtube, Google, Flickr… Utile a giornalisti e pubblicitari Quora: https://www.quora.com/ è per l’informazione. Gli utenti possono pubblicare domande e rispondere in qualsiasi momento. Scvngr: http://www.scvngr.com/ è un’applicazione per la geolocalizzazione. Utile per le campagne di marketing Chill: http://chill.com/ è simile a Pinterest ma basato su video. Diaspora: http://diasporaproject.org/ simile a Facebook ma open source. Protegge la privacy molto più di quanto Facebook non faccia Path: https://path.com/ social network con massimo 50 amici. Athlinks: http://athlinks.com/ social network per runners e nuotatori Buzznet: http://www.buzznet.com/ social di musica e cultura pop CafeMom: http://www.cafemom.com/ social per le mamme Couch Surfing: http://www.couchsurfing.org social per non solo ospitare e scambiare i “divani” con viaggiatori di tutto il mondo, ma utilizzare la rete come strumento per incontrarsi anche con i propri vicini. ELFTOWN: http://www.elftown.com/ social per la community e wiki attorno a fantasy e Sci-fi Experience Project: http://www.experienceproject.com/ per le esperienze di vita Fetlife: https://fetlife.com/ social per il BDSM Filmow: http://filmow.com/ Film e serie tv Flickr: http://www.flickr.com/ condivisione foto Gays.com: http://gays.com/ social per LGBT Gayromeo: http://www.gayromeo.com/ social per incontri in ambito gay Geni.com: http://www.geni.com/ social per i familiari e le genealogie IBIBO: http://www.ibibo.com/ sito per sponsorizzare il proprio talento LibraryThings: http://www.librarything.it/ social simile ad anobii Trombi.com: http://www.trombi.com/ molto popolare in francia è un social per ritrovare vecchi compagni di scuola


tema: i social network

I Browser Games: droga virtuale? Ultimamente spopolano ovunque: su MTV ci sono fastosi spot (che non rispecchiano quasi mai la realtà) che li pubblicizzano; sui siti è pieno di banner e pubblicità a tendina; su facebook ci sono suggerimenti e suggerimenti ogni volta che accediamo; su smartphone stanno approdando sotto una miriade di forme (dal Signore degli Anelli ai Simpsons) grazie alle app dedicate che ne scimmiottano lo stile o che permettono di controllare il proprio account anche da cellulare… si esatto, stiamo proprio parlando dei browser games. FREE TO PLAY, PAY FOR WIN. Lo stile prettamente tecnico è estremamente semplice, essendo questi games quasi sempre online e via browser. Non ci sono animazioni tranne rare eccezioni, né storyline articolate, ne un supporto fisico o software per il proprio pc, nessun artifizio grafico se non un villaggio e qualche texture per delle schermate fisse, l’unico scopo è conquistare il server o vincerlo. Quindi cosa rende questi fantomatici browser games così appetibili e amati dai nerd di tutto il mondo? Innanzitutto la natura stessa che li distingue come ottimi ed impegnativi gestionali man mano che la mole di villaggi da gestire o il livello del proprio personaggio aumenta, ma soprattutto sono gratis. Per giocare da subito non occorre ne acquistare un supporto fisico, né pagare un abbonamento obbligatorio: ti registri, confermi tramite mail il tuo account e inizi subito a giocare, iniziando una lenta ma inesorabile caduta nell’oblio della di

Autore: Leonida989 Lorenzo , nato nel maggio dell’89. Uomo ramingo che vaga alla ricerca di qualcosa, precario cronico che vive alla giornata come il passero che non sa di cantare e il bambino che non sa di giocare. Spartano e amante della semplicità del vivere ha la pecca dell’essere nato nerd poi riconvertito alla “normalità”.

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pendenza… ma di questo parleremo più avanti. Insomma fin qui tutto molto bello e accattivante, soprattutto perchè come già detto non è obbligatorio pagare per giocare, ma l’inganno è proprio qui. Non sei obbligato a pagare, ma se ti servisse gli sviluppatori saranno ben lieti di fornirti interfacce migliori e moltissimi vantaggi sottoscrivendo un account premium. Ovviamente con un costo fisso mensile, chiamiamoli punti premium, scudi, monete, gemme: il succo non cambia, da pc a smartphone arrivati a un certo livello si è quasi costretti ad acquistare con soldi veri i crediti virtuali almeno per poter gestire il proprio account senza implodere, in quanto più si prosegue nell’avventura e più tempo ci vuole per gestire tutto al meglio e con le interfacce base è davvero proibitivo. Non basta? Il gameplay è tutto incentrato sul tempo: ogni costruzione, attacco, supporto, difesa, reclutamento, progresso, necessita di un tot di ore, minuti, secondi, e addirittura millisecondi. Vien da se che se paghi puoi ridurre i tempi di costruzione e col premium vedi partire ogni attacco ( vedendo partire l’attacco si riesce a capire che tipo di unità sta arrivando e quindi si riesce a impostare meglio la propria tattica difensiva). Tirando le somme i browser games sono dei videogiochi di semplice programmazione di stampo gestionale bellico a tempo nei quali si può giocare, ma si deve pagare per vincere e una volta iniziato a giocare, o si smette subito o si casca nel tranello e si paga inevitabilmente qualcosa. SOCIAL GAMES O SOCIAL NETWORK? Come accennato precedentemente una volta iniziato a giocare, se non si smette subito, si resta legati a doppio filo a questi videogames. Il primo filo è appunto la natura del gameplay, il secondo, ben più spesso e resistente da staccare se si vuole smettere, è il lato social che ogni browser games che si rispetti non manca di fornire all’utente. A seconda del gioco cambiano i nomi, ma di fatto, si possono formare vere e proprie tribù o clan, fatte di persone vere che si relazionano come un social network con i compagni di fazioni tramite messaggistica privata, un forum comune per ogni tribù o gruppo di alleati, richieste di amicizia e collaborazioni in operazioni offensive e difensive più o meno articolate. Piano piano nascono amicizie virtuali coinvolgenti, cementate dalla collaborazione in battaglia e dal tempo passato “insieme”. Quindi se un giorno ci si stufa di pagare e gestire il proprio account, che avanza sempre di più in numero di villaggi e livelli, richiedendo sempre più tempo, ci si ritrova di fronte a uno scoglio spesso insuperabile: la perdita delle amicizie nate nel gioco e che probabilmente moriranno se si mette il proprio account in delete. Spesso nascono anche storie amorose virtuali che poi sfociano nel reale. Quindi smettere di giocare diventa man mano sempre più difficile pur volendolo, perchè il lato emozionale di ogni essere umano, lo impedisce. Si cade in un oblio profondissimo ed evitarlo in tempo, come detto, è veramente difficile.

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QUANTI SOLDI GIRANO ATTORNO AI BROWSER GAMES ET SIMILIA? Dopo tanto parlarne sovviene una domanda: ma quanti soldi ci girano attorno? In seguito alcuni dati: Nel 2011 negli app store per smartphone si sono registrati introiti per un valore di ben 75 milioni di euro, dei quali l’85% deriva da ricavi pay, in gran parte costituiti da in-app billing (mercato in forte crescita, consiste nella vendita di contenuti digitali, ovviamente monete e vantaggi a pagamento rispetto a chi non paga). In riferimento ad una indagine condotta anche dalla doxa (http://www.doxa.it/), in merito al tipo di utenza e alle abitudini, il suo TELCO e media director Guido Argieri ha affermato che “Tra costoro abbiamo però registrato due atteggiamenti distinti nei confronti delle Apps: da un lato i SOCIAL FUN, veri appassionati delle App che scaricano e provano di tutto (soprattutto gratis), dall’altro coloro che abbiamo definito ALL CONSCIOUS e che pur scaricando meno dei primi sono però disposti a pagare per avere un livello di servizio ed experience superiore”. Carlos Estigarribia, fondatore della right zero (società che aiuta le compagnie di browser games a espandersi in Brasile, che segue anche la inno games) : “Crediamo che il modello del free-to-play abbia un potenziale molto più grande qui rispetto al classico gaming da console. Quando si appassionano a un titolo, i brasiliani spendono molto più di 60 dollari per gioco. I nostri clienti hanno utenti che spendono la stessa cifra per titoli social e free-to-play. Le persone hanno i soldi e la volontà di spenderli, ma non sono disposti a farlo in un’unica transazione”. Le dichiarazioni parlano da sole.


Secondo Frank Gibeau, dirigente EA: “La maggiore disponibilità di mobile device connessi in rete e di Pc nei mercati emergenti ha permesso a milioni di persone di accedere per la prima volta al web e ai suoi contenuti”. Purtroppo, per la “poverissima” multinazionale del gaming EA, è subito nato un mercato nero dei giochi e dei video giochi, ha spiegato Gibeau, “che possiamo battere solo offrendo agli utenti contenuti gratuiti base e cercando di guadagnare con la vendita di servizi specifici e funzioni aggiuntive a clienti che possono pagare”. Senza dilungarsi troppo, la pirateria è attualmente la migliore arma delle software house per cambiare il mercato a loro piacimento, in questo caso sui free to play, che ovviamente sanno essere estremamente redditizi. DROGA VIRTUALE Senza ombra di dubbio i free to play e i browser games (gemelli siamesi separati dalla nascita dagli smartphone) offrono un’esperienza di gioco molto gradevole e coinvolgente, favoriti dal lato social e dai costi non sempre ridotti ma spalmati e razionati mensilmente o trimestralmente o annualmente etc. che inducono il giocatore a non rendersi conto delle reali spese sostenute per giocare e a cadere nella dipendenza senza rendersene conto. Un piccolo esempio: un mese di premium per tribals.it costa 200 punti premium = 3,99€. Moltiplicati x 12 otteniamo una spesa MINIMA annua di 47,88€. Probabilmente se prima di iniziare a giocarci la gente sapesse queste cose, ci sarebbe un utenza molto più bassa. Purtroppo questa fortuna l’hanno avuta in pochi.

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tema:attualita’ i social network

Le reti sociali nei social network

Autore: Daniele Studente universitario speranzoso di diventare giornalista. “Chitarrista” a tempo perso; vive di musica e libri. Pensatore fallito. Agnostico praticante. “[...] And I will spend the rest of forever trying to figure out who I am”.

http://italianvoices.altervista.org

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Con il nome social network si indicano quegli spazi attraverso i quali l’utente, una volta registrato, è in grado di creare rapporti sociali con altri utenti e condividere con essi dati e informazioni. Questa è una delle tante definizioni del concetto che si danno a partire dagli ultimi dieci anni – a partire, cioè, dallo sviluppo del web 2.0 e di internet. Alla lettera, infatti, “social network” non significa altro che rete sociale e, come tale, essa è sempre esistita e il termine è sempre stato adottato per indicare le relazioni che gli individui creano fra di loro nella vita “reale”, a cui oggi affianchiamo quella “virtuale”. L’utilizzo sempre più massiccio, per ragioni lavorative e ricreative, del PC e di internet hanno permesso un’enorme espansione dei social network che noi ben conosciamo: Facebook in primo luogo,ma anche Twitter, Myspace, Badoo, Google+, Lastfm, Friendster, Netlog sono fra i maggiori, anche i blog vengono fatti rientrare nella categoria. Il fenomeno ha avuto una pe-


netrazione capillare: probabilmente tutti i lettori avranno un proprio account su Facebook, molti su Twitter e Google+, alcuni avranno anche un blog. Ormai tutte le imprese, operanti nei campi più disparati, hanno le loro “pagine”, così come giornali, riviste, reti televisive, soggetti pubblici e politici – non serve certo che vi ricordi l’utilizzo sistematico del web operato da Obama nella sua campagna elettorale, che secondo alcuni ottimisti sarebbe la chiave del suo successo. Ma a questo punto sorge spontanea una domanda: perché esistono i social network? Rispondono a qualche funzione, a qualche bisogno? Se sì, quale? Per dare una risposta si deve risalire, come spesso si fa, ad Aristotele: il filosofo greco sosteneva che l’uomo fosse un’animale sociale e, pertanto, incline a stabilire rapporti organizzati con altri individui in gruppi più o meno evoluti. Nei secoli successivi, complice anche il paradigma “ipse dixit”, quest’affermazione venne data per scontata e anche oggi in campo sociologico ci sono pochi dubbi sulla sua validità: da Moore a Comte, da Hobbes a Lock, da Montesquieu a Hegel, da Weber a Durkheim, tutti gli intellettuali sottolineavano l’esistenza di una società costituita da individui in interazione tra loro, con i diversi significati e le diverse interpretazioni che a questo fenomeno venivano conferiti. In particolare l’ultimo autore può essere considerato particolarmente importante per rispondere ai nostri interrogativi: nella sua analisi Durkheim studiò, in particolare, il passaggio dalla comunità alla società. Brevemente possiamo dire che, nella comunità, l’uomo non è percepito – né si percepisce – come singolo individuo con propri interessi, proprie esigenze e aspirazioni, ma come membro

di una collettività che lo ingloba totalmente; in altre parole l’uomo non esiste per sé, ma come parte di un gruppo di cui condivide usi, costumi, lingua, culto, pratiche collettive. Lentamente si è sviluppato il processo di individualizzazione che ha modificato questa percezione, e l’uomo ha iniziato a vedersi come singolo, unico individuo in una società differenziata e plurale. Questo però avrebbe portato alla disgregazione e, per evitarlo, le società hanno operato in molte direzioni – tra cui quella della socializzazione culturale; le società si sono sempre impegnate in questo proposito: la religione, in particolare i riti e le celebrazioni collettive, altro non erano che momenti di socializzazione in cui si ribadiva il legame comunitario, il senso di appartenenza, l’identificazione sociale. Il processo di secolarizzazione ha trasformato questi momenti in “religioni civili”: le feste, le ricorrenze, le elezioni, le feste del primo maggio, ma anche semplicemente l’andare al cinema, allo stadio o ad un concerto, servono proprio a ricreare questo senso di appartenenza, a creare socializzazione e a rispondere all’esigenza di partecipazione e integrazione con propri simili dell’individuo. Ebbene, questo discorso vale anche per i social network. Anzi, è ancor più valido vista la globalizzazione che tutti noi viviamo: da un lato infatti essa produce una cultura sempre più transfrontaliera, capace di viaggiare ed estendersi a ritmi rapidissimi da un continente all’altro, dall’altro porta ad una maggiore differenziazione e frammentazione in subculture e gruppi chiusi al loro interno. Attraverso i social network si cerca quindi il contatto con l’altro che, generalmente, è simile a noi: raramente nelle nostre liste di amici avremo persone che la pensano esattamente all’opposto di noi, così come raramente

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avremo persone con le quali non condividiamo niente. Quindi, di fronte ad una maggiore diversificazione, il web consente di entrare in contatto con i nostri simili, di socializzare e di sentirsi parte di una comunità di uguali. Questa funzione è stata peraltro incorporata dagli stessi social network che, oggi, “suggeriscono” persone che possiamo conoscere sulla base delle informazioni personali che condividiamo e delle nostre attività in rete. La loro struttura infatti si basa su tre dimensioni concentriche: al centro sta l’individuo, l’utente che si registra, crea un profilo e compie le attività che è abilitato a svolgere; c’è poi il gruppo sociale, cioè l’insieme dei suoi contatti e degli utenti con cui interagisce; infine c’è la comunità virtuale nel suo insieme, costituita dall’intera rete sociale. In tutti e tre i livelli le informazioni condivise vengono elaborate e riformulate in maniera tale da evidenziare ciò che per noi può essere più interessante, con la conseguenza – paventata da molti – di creare nuovi ghetti virtuali che impediscano il confronto con il diverso e portino alla frammentazione sociale. Abbiamo quindi contemporaneamente due effetti: socializzazione, partecipazione, identificazione e rottura, frantumazione, isolamento nel gruppo. Naturalmente sono diversi gli autori che si sono interrogati sui pregi e sui difetti dei social media – nel nostro Paese il dibattito si è acceso in particolare dopo il 2006, all’indomani della vittoria elettorale del centrosinistra, che ha visto sollevarsi un’ondata di insulti e commenti poco cortesi verso l’altra parte politica, e nel 2009 in seguito all’aggressione subita da Berlusconi a Milano. In quell’occasione si arrivò a sostenere che i social network fossero peggio delle organizzazioni terroristiche degli anni ’70 e che fosse necessaria una stretta censoria nei confronti di internet. Estremizzazioni a parte, l’aspetto che più viene visto come un potenziale pericolo da alcuni studiosi è rappresentato dall’amatorializzazione di massa delle professioni: in altre parole oggi chiunque può considerarsi fotografo, artista, giornalista, poeta, scrittore, musicista e ottenere risonanza in rete attraverso le decine di piattaforme deputate a questo scopo – pensiamo a Myspace, Flickr, Facebook o Twitter. Questo processo, che per i sostenitori del web rappresenta l’affermazione della creatività individuale e della

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libertà d’espressione, e che poi è il motivo per cui esiste questo webzine, si è affermato nel momento in cui sono diminuiti i costi economici e le competenze richiesti per lo svolgimento di tali attività: oggi non serve più uno studio, una laurea o un’attrezzatura adeguata per fare il fotografo o il giornalista; basta avere una reflex o aprire Word e condividere il proprio lavoro sul web. Questo porterebbe al “narcisismo digitale”, cioè all’affermazione pura e semplice della propria identità, ad una delegittimazione delle autorità istituzionali e ad un declino nella qualità del prodotto stesso – oltreché al danneggiamento finanziario di chi è occupato in questi settori. Qui però mi interessa sottolineare un altro aspetto, sicuramente positivo, del social network: la possibilità di comunicare a distanza e di condividere informazioni in tempo reale – di rilevanza differente – ha avuto delle ripercussioni positive sul piano della cronaca di avvenimenti drammatici. Gli esempi si sprecano: dall’atterraggio di emergenza sul fiume Hudson di un volo della American Airways, fotografato e twittato da una persona che si trovava per caso su un battello; dalla strage di Viareggio le cui foto hanno fatto il giro del web per arrivare al blog aperto dalla madre di Federico Aldrovandi, al disastro in Liguria, al terremoto in Abruzzo e in Emilia. Sono tutti fatti in cui persone assolutamente “ordinarie” hanno svolto un ruolo chiave nel fornire informazioni su vere e proprie tragedie, battendo sul tempo i media tradizionali e, anzi, fornendo la base di lavoro di giornali e telegiornali nelle ore successive. Probabilmente fu la semplice curiosità a spingere molte di queste persone a mettere online queste foto, e qualcuno potrà anche criticare lo sciacallaggio o il cinismo degli interessati. Ma ciò non toglie che i social network si siano dimostrati un mezzo di fondamentale importanza per segnalare rapidamente quanto accaduto, rendere partecipe una comunità, mettere in collegamento con famiglie e amici, rassicurare i parenti sulle proprie condizioni di salute, denunciare inefficienze e coordinare i soccorsi. Per quanto nell’utilizzo quotidiano i social network pullulino di contenuti di dubbia utilità, in occasioni eccezionali sanno recuperare una funzione estremamente importante: specie in questi casi emerge l’importanza delle reti e del capitale sociale che questi non-luoghi permettono di attivare e coltivare.


tema: i social network

Le vignette Meme Negli ultimi anni, nel mondo del web, come quasi tutti sanno, si è diffuso il concetto di “meme”. Senza entrare in merito alle varie ipotesi e sviluppi che ruotano intorno a questo termine, citiamone soltanto la definizione che si legge in Wikipedia: “Il concetto di meme e l'ipotesi della sua esistenza hanno origine all'interno del libro di Richard Dawkins Il gene egoista e viene definito come una riconoscibile entità di informazione relativa alla cultura umana che è replicabile da una mente o un supporto simbolico di memoria, per esempio un libro, ad un'altra mente o supporto. In termini più specifici, un meme sarebbe ‘un'unità autopropagantesi’ di evoluzione culturale, analoga a ciò che il gene è per la genetica.” Quindi un qualcosa di “replicabile” da una mente a un’altra in modo piuttosto automatico, capace di apportare un’“evoluzione culturale”. Evoluzione culturale. Che non significa per forza un’evoluzione in meglio, ma semplicemente un mutamento significativo nei modi di pensare, di vestire, di esprimersi, etc. condivisi in modo diffuso da una popolazione o, in questo caso, da una gran parte del mondo “evoluto” che fa un uso medio, alto o assiduo di internet. Ma il meme può essere rappresentato anche da un tormentone. Qualcosa che viene mostrato un certo numero di volte, che viene accettato da qualcuno e ritenuto simpatico, divertente, con cui passarci il tempo, che poi ritorna con una frequenza sempre maggiore, anche perché a sua volta diffuso sul web da chi per primo lo ha accolto, oggi che, tramite Facebook, Twitter e simili è diventato facilissimo (e questo è soprattutto un vantaggio) diffondere idee, creazioni artistiche, pensieri, cretinate, vignette e qualt’altro su internet. Ed esso, il famigerato, grazie soprattutto ai commenti positivi di amici e conoscenti, agli “ahahah” scritti sotto di esso, diventa ben presto una sorta di fenomeno, che tende a tramutarsi in una vera e propria mania. A cosa mi riferisco in particolare? A quello che, attualmente, viene in mente alla maggioranza dei facebookiani, almeno italiani, quando si parla di meme: la simpatica capoccia delle “vignette meme”. Guardiamone una e facciamoci quattro risate, dài, che fa sempre bene:

Autore: SangueBlues Vengo dalla provincia di Napoli, una città abbastanza caotica ma di cui, fin’ora, tra le città che ho visitato, non sono riuscito a trovarne una al pari, per magia, fascino, ricchezza artistica e vitalità. Suono il pianoforte e le tastiere in una band rock-blues con testi in napoletano, di cui compongo le canzoni. Adoro anche scrivere, in particolare racconti incentrati soprat-

http://serio-faceto.blogspot.it tutto sull’attualità, ma anche poesie e articoli.

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E per rimanere sul tema di questo meme nel meme, della “poker face”, ma adesso con una tecnica grafica più complessa, che mischia magistralmente il taglio fotografico fotoromanzistico con l’arte del collage:

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Che genere vignettistico e fumettistico singolare, vero? Una comicità, si può dire, del futuro, vicina a ciò che accade alla maggior parte dell’universo giovanile e non solo. La gente si riconosce nei personaggi di queste storielle, che poi, se si notano, sono sempre lo stesso personaggio… una sorta di patata schiacciata che assume delle espressioni facciali “stilizzate”, facilmente riconoscibili, come queste:

E notando i “disegni”, lo stile, si va da quello più chiaroscurato, accurato, a quello più naïv, essenziale, minimalista. Qualcuno con le idee un po’ più “tradizionali” dirà: “ma questi disegni sarei capace anch’io di farli!” E questo è il bello! Che tutti li possono riprodurre, magari riproponendoli con contenuti diversi, a seconda del proprio stato d’animo in quel momento. Vi è mai capitato di vedere scritto, su Facebook, “raga, ho fatto una vignetta meme, clikkate mi piaceeee!!!....... J ;)”? E vi compaiono proprio queste simpaticissime faccine, anzi questo modulo replicato e modificato a seconda degli stati d’animo standard previsti per ogni fase del mini-fumetto, questo meme appunto, che si infuria, prova libidine, è immerso nei dubbi esistenziali, sghignazza, ma che, per far capire che sghignazza, è affiancato da un altro modulo meme, il celeberrimo e amatissimo “LOL” (lot of laugh=un sacco di risate). Insomma, siamo di fronte a un fenomeno, uno dei tanti fenomeni prodotti e diffusi ad un ritmo incredibilmente veloce, grazie alle nuove strade del web, negli ultimi anni. E non solo grazie alle nuove tecnologie, a mio avviso, ma anche perché, appunto, alla portata di tutti. Un po’ come la nuova “letteratura”, di cui si sente parlare ultimamente, forse ancora avvolta in un alone di primordialità, tutte quelle frasi che potrebbero forse essere definite di prosa poetica, “minimaliste”, semplicissime, brevissime, mini-osservazioni su un attimo vissuto nella contemplazione o immaginazione di un fenomeno naturale, o su una sensazione personale. Spesso di una semplicità disarmante. Frasi, versi che sembrano non dire niente, ma ci sarà sempre qualcuno ad avvisarti che “no, sembra a te, ma…” Ma cosa sta succedendo? Una rivoluzione culturale tramite i mezzi telematici? O semplicemente tramite le ultimissime tecnologie? Come la musica elettronica minimalista, la new age, la tecno? Dove sono finiti i chiaroscuri alla Batman, Dylan Dog, le faccine grottesche alla Rat-Man, ma anche l’intreccio letterario e, parlando del genere della vignetta e non del fumetto, i tratti satirici alla Vauro, la capacità di sintesi di una problematica attuale, politica, la critica nascosta e concentrata in una battuta esilarante? Eppure anche le vignette di quest’ultimo o di Forattini sono, in un certo senso, “minimaliste”. Forse la gente è stanca di impegnare la mente in questioni così ardenti, forti, irrisolvibili, magari anche distanti. Forse il “genio” del meme ha colto e soddisfatto l’esigenza di parlare di aneddoti ripetibili continuamente nella vita di tutti i giorni (esperimento riuscito perfettamente nell’ormai attempato “Grande Fratello”), ripetibili proprio come esso stesso, ma non solo. Anche la voglia di rilassare la mente e di rendere gli utenti anch’essi capaci di creare e partecipare, riducendo disegni, argomenti e stili all’ossatura. Una comicità nuova che, apparentemente, non fa ridere, ma che, diventando una mania, ti cattura fino a farti comprendere i tratti profondi della sua avanguardistica satira. Tutto può il tempo e il web, può stravolgere valori, considerazioni estetiche, e adesso non ci resta che aspettare che venga coniata una nuova definizione alla moda di tutta la dinamica che ha portato all’apprezzamento e all’entusiasmo di massa nei confronti della vignetta meme, come nei confronti della nuova letteratura, o la nuova “filosofia” voliana. Insomma una definizione che possa sopraffare quella di “appiattimento culturale”.

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tema: i social network

Il triangolo delle Bermuda multimediale! Da qualche anno si è diffusa la moda dei Social Network. Questi piccoli siti web, sono diventati una droga nel mondo moderno. Hanno rivoluzionato il mondo della telecomunicazione! I semplici “ Hey, se mi vuoi, vieni a casa!” oppure “ Chiamami al telefono”, sono diventati “Se hai bisogno di me, sono su Facebook!” Tempo fa quando si voleva conoscere una persona si chiedeva il numero di telefono, ancora ci si mandavano lettere, adesso si passa direttamente a Facebook! Le persone ormai condividono di tutto, dallo stato sentimentale, al dire dove si trovano in quell’ istante, addirittura se sono in bagno! Gente che scatta foto in qualsiasi situazione: se un individuo si mette un dito nel naso, allora la foto deve andare su Facebook perché è d’obbligo farlo! ( Ovviamente non tutti lo fanno, il mio è un discorso generico) La moltitudine di giochi interattivi facilita la convivenza dell’ utente su questi siti, ma allo stesso tempo questi giochi sono un metodo diabolico per rompere le scatole al prossimo! Un utente si trova milioni di messaggi da parte di amici che chiedono “Scusa, mi daresti una mano con il mio campo di fiori? Mi serve un germoglio per poter ingrandire il mio giardino!”. Ma non uccidermi la salute te e il campo dei fiori, fatti una vita sociale, concediti al mondo che sta aldilà del pc o al massimo datti all’ippica! Vuoi sapere i fatti privati di qualcuno? No problem, c’è Facebook! Le povere signore anziane che spettegolavano di fronte alle proprie case, sono state rimpiazzate da questi mostri virtuali. Ma per quanto ci possano essere aspetti negativi, troviamo anche lati positivi: grazie ai Social Network riusciamo a rimanere in contatto con tutte le nostre conoscenze e possiamo anche farne di nuove. La cosa importante è non immergersi troppo in questo mondo e farsi una sana uscita con amici quando lo si desidera! E con questo è tutto, Pippo vi abbandona con un grosso saluto e riprende a bussare ai campanelli, altrimenti lo stipendio a fine mese lo vede col binocolo! Bacioni!

Autore: Pippo MaGo PaZzo Salernitanuz in arte Pippo, un ragazzo sognatore che adora la compagnia e il sano divertimento. Qui nel OUReports scrivo articoli demenziali con un unico scopo: far sorridere le persone, perchè la vita è amara, metterci un pò di dolce non è mai male!

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Intervista a

1) Domanda di rito per chi non ti conoscesse, chi sei e come mai sei famoso sul web e non? 1)) Sono Daniele Selvitella, in arte Daniele Doesn't Matter. Ho incominciato a fare video sul web per unire due mie passioni ad un sogno. Ovvero: La grafica/marketing/web e il video editing al "desiderio" di diventare famoso. Sono "famoso" sul web per aver ideato un format video che ogni settimana intrattiene il pubblico di internet con sketch comici. 2) Ci racconti qualcosa di più dei tuoi personaggi? (TU, TU donna, TU Tamarro, Freddy) 2)) I "miei" personaggi, non sono nient'altro che l'incarnazione delle persone. Difatti il nome di ogni personaggio comincia con il suffisso "TU". Perchè questo? Quando ho iniziato a far video, spesso ricevevo commenti particolari al limite del credibile. Quindi: perchè non sfruttare questa potenzialità introducendola nei miei video? Così nacque TU. Un omino che rappresenta la media dell'utenza di internet e prevede le possibili critiche che potrebbe farmi l'utenza. Un esempio stupido? Se cambiassi la sigla dei miei video, sarebbe TU a criticarmi per questa scelta, prima ancora che possa farlo il pubblico. E' un giochino psicologico molto divertente. Ovviamente con gli anni e con il vasto tipo di pubblico, sono nate la varie declinazioni di TU: TU DONNA, TU TAMARRO, TU BAMBINO ecc… Autore: eles-chan

Autore: Mauro

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3) Cosa ti spinge a continuare e a reinventarti da ben 3 anni? In che modo è evoluto nel tempo il format? E cosa hai in mente per il futuro? 3)) Diciamo che il format è in continua mutazione. Non esistono 2 puntate UGUALI. Non mi riferisco agli argomenti. Quelli cambiano per forza di cose. Alludo proprio al format. Ogni puntata ha una miglioria in più. Ci può essere un nuovo microfono, un arrangiamento alla grafica, un personaggio nuovo… Insomma, piccole mofiche che "non si notano". Ma che dall'ultimo video a un video di 2 mesi fa, crea già una differenza abissale. E il bello è che non viene percepito come un cambiamento. Chi segue regolarmente i miei video, non si troverà mai stravolto.


4) Da quest'estate conduci un programma radiofonico su radio Kiss kiss. Appena ti hanno contattato hai reagito come TU, come TU-donna o come TU-tamarro? 4)) Ahahaha… In questi giorni sono fissato con TU TAMARRO… Quindi direi che ho reagito come lui. Quando mi hanno telefonato, ho risposto: "Ma serio Zio? Guarda che se mi dici cazzate ti tiro una testata 'Nchia Potenza!!!". Scherzi a parte. Ero inizialmente scettico. Non avevo mai fatto radio e non avevo mai preso in considerazione l'idea di farla. Ovviamente non mi hanno schiaffato subito in diretta. Ho fatto diverse prove per verificare se fossi stato in grado di condurre un programma. Con la radio: fu amore a prima vista! O meglio: a prima parola! 5) Trovi che la tua ironia venga valorizzata meglio in radio o in video? 5))Sono due cose diverse. In radio emerge più "Daniele". Scherzo come scherzo nella vita vera. Parlo in diretta. Non ho tagli, non cancello quello che viene male. Interagisco con gli ascoltatori in tempo reale. Nei video invece sono più "critico". Uso una comicità che per ovvi motivi in radio non posso fare. Il supporto video è importantissimo per far capire una battuta. Posso dire una cosa in tono serio ma far capire con uno sguardo che sto scherzando. In radio, chi mi conosce lo capisce lo stesso, chi mi ascolta per la prima volta, mi prende seriamente. Quindi direi che sono due metodi di linguaggio differente ma con la stessa ironia. Per rispondere alla domanda: entrambe le cose valorizzano il mio messaggio. In modi diversi. 6) Hai sofferto più a sentir passare in radio "il pulcino Pio" o "Ai se eu te pego"? 6)) Rispondere "Il Pulcino Pego" vale?! Scherzi a parte. Lavorando in radio ho imparato ad apprezzare la musica a prescindere. Ci sono i dischi che preferisco e quelli che sono stufo di sentire, ma nessuno di questi mi ha mai fatto soffrire… Nemmeno Pio e Pego… Ahahah. 7) Quale è stata la base da cui sei partito, quando hai capito che poteva essere il tuo futuro e quante risorse hai investito? 7)) Mha… Non mi sono mai fermato a pensare "questo è il mio futuro". Lo prendo come un hobby che si è trasformato in un lavoro. Rimane sempre divertente, ma è anche molto stressante. Però sono molto soddisfatto da tutto. Ho speso tantissime risorse e poche allo stesso tempo. Si può dire che sono un ragazzo che fa video su Youtube. Come si può dire che sono laureato in scienze del design, ho studiato marketing per 8 anni e ogni mossa è stata ben ponderata. Si può dire che montare i video è un divertimento. Come si può dire che imparare a fare i montaggi video è stato parte del mio percorso di studi. Che realizzare una puntata di 10 minuti mi porta via circa 18 ore di lavoro. Dipende dai punti di vista. Di certo c'è un grande impegno dietro ad ogni video. 8) Come riesci a gestire il tuo lavoro di Web-designer con il video del venerdì e con la conduzione del programma radiofonico Kisskissenefrega? Raccontaci una normale settimana da Daniele. 8)) Non voglio annoiarvi con una mia "normale settimana". Vi assicuro che non è niente di speciale. Posso riassumervela con: - Mi alzo e rispondo alle mail di tutti. - Scrivo la puntata di KissKissenefrega. - Vado in radio e Preparo la puntata di KissKissenefrega. - Torno a casa e rispondo alle mail. - Generalmente finisco alle 3/4. Ripetere tutti i giorni. Ah, ovviamente la settimana in cui esce il video, lavoro di notte. Così come per il mio lavoro da web designer. Dormire?! E' un verbo che non ricordo dal 2005… Ahahaha. 9) Qualche consiglio per dei neo-youtuber? 9)) Dormite!!!

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10) Sei di Torino e da poco ti trasferito a Milano: cosa ti piace e cosa odi di entrambe le città? 10)) Di Torino amo l'architettura. E' una Parigi in miniatura. Di Milano amo le offerte. Le possibilità che ho tutti i giorni e amo i Milanesi… Teeeeeeec!!! Ahahaha. Di entrambe le città odio i parcheggi!!! 11) Cosa ne pensi dello sviluppo dei Social Network? Un bene o un male per le nuove generazioni? 11)) Bhè… Qui ci sarebbe da fare un discorso filosofico senza fine. Diciamo che i Social Network hanno confuso la libertà di espressione in qualsiasi forma a qualsiasi persona, hanno abbassato le basi del rispetto. Ognuno si sente in dovere di dire la sua in qualsiasi modo e in qualsiasi situazione… Ma le nuove generazioni non hanno capito che non funziona così! "La tua libertà di parola, non deve compromettere la mia libertà di espressione". 12) Hai dato un'occhiata ad OUReports prima di questa intervista? Cosa ne pensi? 12)) Sono sincero? Non ho ancora avuto tempo e modo di visitarlo… Ma posso assicurarvi (giurin giurello) che appena verrò a leggere questa intervista, ci darò un'occhiata approfondita e lo aggiungerò immediatamente ai preferiti!!! 13) "California", "un saluto alla mamma", "un video risposta qua sotto e non là sopra" e "si i denti sono veri" sono dei motti ormai universalmente riconosciuti ed associati a te da tutti gli internauti..ne proporrai altri? Se si, ci dai un'anteprima? 13)) Bhè… TU TAMARRO ne ha già portato fuori uno molto "forte", ovvero: 'Nchia Potenza. E' sicuramente il nuovo tormentone, ma anche "Magnema". E sicuramente mi inventerò qualcosa di nuovo più avanti… Vi tengo sulle spine!!! E- : Ah, pubblicheremo la tua intervista solo se ci saluti nel tuo prossimo video. E controlleremo. Fidati. D- : "Wow, è una nuova forma di minaccia? Ahahha vi risponderò come rispondo a tutti: Ditemi cosa scrivere nei saluti e vi inserirò nella lista!"

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Borchie Un trend che ricalca le passerelle di quest’anno e che per dirla tutta non ci ha mai abbandonato è quel piccolo pois di metallo, definito come borchia. Wikipedia recita: “ La borchia è un accessorio d’abbigliamento realizzato in metallo”, un po’ troppo semplice e riduttivo come definizione, laddove il suo significato va ben oltre. Per capire questo stile dobbiamo fare un passo indietro. La storia delle borchie risale ai primi anni ‘70, legandosi subito alla musica Punk e alla cultura di strada. Utilizzato da giovani con la voglia di differenziarsi dalla massa, scegliendo un look alternativo ben distante dalla moda del popolo e dalle istituzioni. Il punk nasce negli Stati Uniti, ma è nel Regno Unito, specialmente a Londra, che si insinuerà creando un nuovo linguaggio musicale, estetico e comportamentale. La prima band portatrice di bandiera furono i Sex Pistols, non a caso la prima stilista che ne fece uso fu Vivienne Westwood che assieme al marito Malcom McLaren (creatore e manager dei Sex Pistols) rese celebre il look Dr. Martens. La tentazione coinvolse anche stilisti come Gianni Versace, Alexander McQueen, Donatella Versace e Gucci. Persino griffe storiche come Chanel, che le applicò su giacche bon ton, e Valentino, su scarpe, bracciali e borse, non seppero resistere alle borchie. Se prima erano il dettaglio punk per eccellenza negli 70’, rock negli 80’ e dark nel 2000, oggi è tendenza ferrea che abbandona spuntoni appuntiti perdendo quell’originalità del punk rock. Applicate ovunque su ogni capo e accessorio, di varie forme e colori. Qualche esempio? Scarpe. Must di quest’anno sono gli stivaletti dai colori shocking, borchiati con teschi e croci.

Autore: Elisabeth Elisabeth Hair Stylist dalla mente contorta e insana. Amore folle per gatti e felini, scrittrice notturna incompresa. Appassionata di letteratura inglese e poesia, vive in un universo parallelo con la dedizione per la moda in tutte le sue forme.

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Per una femme fatale ma non troppo, Valentino sceglie stivaletti in pelle adornati da borchie semplici e femminili. Mentre Christian Louboutin opta per lo stile chic.

Nella comodità di tutti giorni troviamo anche le Converse All Star, arricchite di borchie sui lati. Prada, invece, sceglie d'impreziosire le calzature da uomo con decori fuori dagli schemi, irriverenti borchie che ci fanno capire che ormai anche l’uomo è portato a seguire i trend con maggiore attenzione.

Borse. Non può mancare la Burberry Bags, spaziosa e comoda per tutti i giorni.

Per serate più Glam Noir, ci pensa Zara con la sua pochette tempestata da borchiette dorate.

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Giacche & Abiti. Frankie Morello veste la donna inserendo elementi diversi e non comuni, a volte estremi, altre volte assai sfruttabili. Per l'uomo sceglie di eccedere con giacche abusate da troppe borchie diamantate.

Dov'è finita la buona vecchia giacca di pelle borchiata da motociclista? Accessori. Dal costo non eccessivo se ne possono trovare d’ogni genere, dal classico bracciale da polso a cinture, collane e anelli adornati da borchie a forma di teschi; fino ad arrivare a cerchietti per i capelli. Da qualche mese Valentino ha presentato la Rockstud Collection che, nemmeno a dirlo, è già un cult. Sinceramen-

te preferisco lo street style, accessori ricercati e particolari, ma semplici. Numerosi sono i tutorial fai-da-te in giro per il web, che spiegano come ottenere i medesimi effetti armandosi di qualche attrezzo tecnico e di un po' di abilità manuale. Questo trend invasivo si è veramente affermato in larga scala e in maniera notevolmente solida, lasciando da parte quel simbolo che era un tempo. Padrona del podio di quest’autunno/inverno 2012, non rimane altro che farsi contagiare e giocare con il tempo, senza però cadere nell'eccesso.

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Curiosità animali. Il corteggiamento. Per chi pensa che il corteggiamento sia una prerogativa umana si sbaglia. Nel mondo animale è necessario conquistare il partner per riprodursi e generare una prole forte e sana. La ricerca del partner non è semplice e, come per l’uomo, ha bisogno di un particolare rito di corteggiamento che varia di specie in specie. Il Pavone. “Quanto si pavoneggia!”. Quante volte lo avete sentito dire? Il pavone maschio per farsi notare dalla femmina apre la coda per mostrare il suo piumaggio colorato, è un grande esibizionista e da qui l’espressione comune. Le femmine ne sono attratte e sceglieranno il maschio con il piumaggio che più le aggrada.

Autore: Feffa Feffa aka Federica (24/09/91)studentessa romana, futura biologa, senza un futuro promettente. Qui ad OUReports scrive articoli “scientifici” su tutte le stranezze che si possono incontrare studiando la biologia!

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I cetacei. (Balene, orche, delfini‌) I maschi dei cetacei si esibiscono in acrobazie: avete mai visto i delfini saltare fuori dall’acqua? Le femmine, invece, fingono di svenire davanti a tanta maestosità . Sono una delle poche specie di mammiferi che non si accoppiano solo per riprodursi, ma anche per il puro piacere del rapporto sessuale.

La sterna. Nel loro corteggiamento è obbligatorio IL BACIO, infatti i due uccellini prima del rapporto devono scambiarsi sali minerali e sebo tramite la saliva.

Le rane. I maschi di alcune specie di rane conquistano le femmine imitando gli insetti che li circondano.

Il gallo. Il gallo Peruviano, con il suo piumaggio sgargiante, passa la sua intera vita a conquistare galline. Le femmine, una volta fecondate, cresceranno la prole da sole.

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Gli alligatori. Maschi e femmine cercano di affogarsi a vicenda per constatare la resistenza reciproca sott’acqua.

Lo storno. Lo storno europeo è uno stalker! Una volta trovata la sua dama non la lascerà mai sola, sarà la sua ombra.

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I cebi. I Cebi, una specie di primati simili a scimmie, si fanno il bagno nella propria pipì per attirare il partner, infatti l’odore dell’urina indica che il maschio è pronto per accoppiarsi e che è alla ricerca di una femmina. Non arricciate il naso perché funziona alla grande!


Amore Disperato

Cara Eles. Il tutto è iniziato quando avevo la giovanissima età di 9-10 anni, mi infatuai di una ragazza che si allenava a pallavolo dove io mi allenavo a basket, ci provai, ma la risposta fu “No”. All’inizio non ci feci tanto caso, ma poi ci rimasi male, anche perché quella ragazza mi piaceva, ma dopo qualche mese mi trasferii qui in Italia e tutto finì. In seconda media, ci provai con una ragazza più grande e dopo vari corteggiamenti, mi rispose, anche in brutto modo, di andare a quel paese. Da lì ci rimasi male, cambiai carattere involontariamente verso le ragazze, restando schivo al loro contatto, come se non mi importasse nulla. Tieni conto che sono un tipo un po’ solitario, ovvero in classe sto assieme alla massa, rido, mi diverto, ma una volta finita, torno a casa e stop. Alla festa di compleanno di un amico di famiglia, feci la conoscenza di una ragazza, la quale miracolosamente “ci stava” e ci siamo messi insieme, la storia durò 1 mese circa, perché lei amava un suo amico d’infanzia. Io ci rimasi male e da quel che so si è sposata col ragazzo spagnolo per cui mi lasciò. Questa è stata la mia prima e unica fidanzata ed ho quasi 20 anni. Il fatto di andare in giro e vedere tutte quelle coppiette che si baciano, si abbracciano e stanno vicino vicino mi fa arrabbiare, quasi come se volessi ucciderli tutti. Ora, pensando bene, forse sono io che ho qualcosa di sbagliato, ma non penso di essere un “cesso”. SONO VERAMENTE DISPERATO help me :-(

Autore: eles-chan Eleonora aka eles-chan, appassionata di anime&manga col sogno di andare in Giappone, vive sui forum da anni e anni ormai, innamorata dell’Amore in tutte le sue forme, collabora col OUReports con una rubrica tutta dedicata ai problemi di cuore!

Caro lettore “disperato”, Innanzitutto grazie per avermi scritto ed avermi raccontato la tua storia. Parto subito col dirti che nonostante ti possa sembrare di aver ricevuto solo sconfitte in campo amoroso e ti sia sentito solo rifiutato, sei un ragazzo ancora giovanissimo, hai solo 20 anni e ti assicuro che di esperienze, positive e negative, ne dovrai ancora fare parecchie e non è detto che da ora in poi non riceverai solo belle sorprese in amore. Magari posso sembrarti troppo ottimista, ma ti parlo per esperienza personale, dopo tante sconfitte si può venir ripagati di tutto il dolore anche con una sola vittoria! Cosa sbagliatissima che non devi fare è odiare l’amore, rifiutarlo e provare rabbia per le coppie che vedi per strada come dici, perché ciò ti porta solamente ad avere un atteggiamento avverso per le storie e per gli approcci con l’altro sesso. Ti assicuro, alle ragazze importa molto come ti relazioni con loro, fanno molto caso alla “sicurezza” che ogni uomo ha verso di se e verso le relazioni. Parlando più chiaramente alle donne piace vedere l’uomo che è sicuro di se, che non è invidioso degli altri e che non è restio all’amore, al contrario odiano vedere l’uomo con le idee poco chiare, insicuro e non cosciente delle proprie qualità e capacità da conquistatore. Il fatto che tu sia appagato dal tuo aspetto fisico è già un tuo vantaggio, molto spesso l’insicurezza nasce da una insoddisfazione del proprio corpo, cosa sbagliata a prescindere perché l’amore va oltre ciò. Puoi far innamorare una ragazza con uno sguardo, con una battuta o con un gesto carino, puoi riuscire a conquistare chi ti piace al primo incontro o dopo aver sudato dieci camicie, l’importante è non smettere di provare e di crederci. Non posso prometterti che da domani tutto andrà come speri e non posso nemmeno creare una pozione d’amore, però sono sicura che solo cambiando atteggiamento ed essendo più positivo andrà meglio. Con questo ti auguro buona fortuna e spero di esserti stata d’aiuto almeno un po’. xoxo Eles

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Curiosità scientifica. I Premi Nobel 2012 per la medicina e la fisiologia sono stati assegnati a John B. Gurdon e Shinya Yamanaka. I due scienziati hanno scoperto che il processo di differenziamento cellulare è reversibile. In un'embrione ci sono cellule immature ancora non specializzate chiamate cellule staminali. Queste cellule durante lo sviluppo del feto si specializzano per un tessuto particolare: abbiamo cellule destinate al tessuto muscolare, altre al nervoso e via dicendo. Quello che hanno scoperto questi due biologi è che si possono prendere cellule adulte e farle tornare staminali. Come? Inserendo le adulte all'interno della cellula uovo dove si trova l'embrione immaturo. L'utilità di questa nuova scoperta è data soprattutto dal superamento del problema etico sull'utilizzo di cellule staminali (in Italia in particolare ci fu un referendum che proibì l'utilizzo di quest'ultime), ma anche la possibilità, in futuro, di curare molte malattie che causano mal funzionamento di tessuti, infatti TEORICAMENTE è possibile creare nuovi tessuti funzionanti, utilizzando cellule immature (le famose staminali) e facendole differenziare in laboratorio. Così non ci sarebbe più bisogno di trapiantare organi interi da un individuo all'altro. Ovviamente si parla del futuro, la strada è ancora lunga e tortuosa.

Autore: Feffa Feffa aka Federica (24/09/91)studentessa romana, futura biologa, senza un futuro promettente. Qui ad OUReports scrive articoli “scientifici” su tutte le stranezze che si possono incontrare studiando la biologia!

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Intervista

Intervista a Giupps 1) Sei nuova della Redazione, sei la nostra correttrice di bozze: credi che sarà un lavoro facile? A che punto siamo con l’alfabetizzazione in Italia? Devo stare attenta a quello che dico, non voglio meritarmi l’antipatia dei “colleghi” che ancora non conosco! Sicuramente non è un lavoro difficile, da quello che ho letto finora non siete degli analfabeti quindi mi limito a rendere le frasi più fluide e sistemare la punteggiatura qua e là. Cosa dovrei dire sull’alfabetizzazione? Visto che siamo in tema di social network, c’è da dire che che si leggono ovunque chicche sgrammaticate, posso capire i miei genitori che non hanno studiato, ma oggi quasi tutti arrivano almeno fino al liceo e mi sorprende vedere che qualcuno ancora non sa coniugare i verbi xD 2) Sappiamo che studi Conservazione dei Beni Culturali: come stanno? Qual è la tua personale ricetta per risolvere i problemi del settore? Come stanno? Ahahah sicuramente meglio di chi li studia! Non penso ci siano problemi bisognosi di ricette, l’arte è una delle poche cose italiane che tutto il mondo vede in modo positivo, abbiamo tra i patrimoni più vasti e le istituzioni si guardano bene dal sottovalutarlo. Alle volte manca qualche finanziamento per un restauro, ma anche in Italia

Autore: Galdo Marco aka Galdo, del clan Esposito. Convinto assertore della diceria secondo la quale “Un animo nobile titaneggia nel più piccolo degli uomini” (Jebediah Springfield), intervista cani e porci. Architetto abusivo, studente paranoico, baseball player, alfiere della fratellanza, esecratore dell’arroganza.

http://galdo81.tumblr.com

ci saranno sempre vecchiette volenterose in grado di risolvere il problema xD (vedi restauro dell’ “Ecce Homo” di Martinez in Spagna) 3) Come può internet influire sulla valorizzazione dei beni culturali? Non c’è il rischio che vengano preferite esperienze mediate e non dirette? Secondo me internet influisce in maniera positiva, è un canale di diffusione validissimo. Io cerco spesso opere che mi interessano su internet e ci sono un sacco di fonti attendibili, però non c’è paragone col poterle ammirare dal vivo; chi è interessato alla materia non si accontenta dello schermo. Parli con una che ha fatto scattare praticamente tutti gli allarmi degli Uffizzi perchè si avvicinava troppo ai quadri per poterli annusare! Adoro quegli odori. Ok basta, la cosa sta diventando imbarazzante, passiamo alla prossima domanda.

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Questo non vuol dire che non si possa conoscere una bella persona in carne ed ossa attraverso internet. Al di là delle relazioni amorose, molti di quelli che sono diventati i miei migliori amici li avevo conosciuti tramite internet. 9) Quanto sei coinvolta politicamente? Praticamente nulla. Sono di un’ignoranza imbarazzante per quanto riguarda la politica xD 10) Qual è la tua religione? 4) Cita i nomi di tre artisti italiani che ti emozionano particolarmente. Solo tre? D: Sicuramente Bernini e Canova; la loro capacità di trasformare un blocco di pietra in un qualcosa di così morbido nelle linee e pieno di particolari minuziosi mi ha sempre affascinata. Il ratto di Prosèrpina è una delle mie opere preferite. Me ne sono già giocati due, quindi me ne rimane uno solo. Oddio. Dai, nominiamo il monumentale Michelangelo. Senza esagerare, sono stata dentro alla Cappella Sistina per mezza giornata e ne sono uscita col torcicollo! È stato bravo anche a mettere insieme e combinare tanti grandi artisti, e visto che mi piace pensare ai grandi personaggi in modo molto umano, me li immagino sui ponteggi a raccontarsi barzellette con Botticelli che ogni tanto tirava spennellate di colore in faccia a qualcuno e Perugino che si divertiva a testare quanto potessero rimbombare i suoi rutti nella Cappella vuota. 5) Parlaci di Genova. Ti senti coinvolta o esclusa dalla vita cittadina? Una via di mezzo? Ci sono cose dalle quali mi autoescludo per esempio non esco quasi mai nel week end a meno che non sia per qualche cena a casa di amici. Le scelte sono poche per il fine settimana: Makò – discoteca poco credibile – o locali nei vicoli, dove non si riesce a entrare perché troppo pieni, e camminando per le viuzze si trovano solo persone appoggiate agli angoli dei palazzi che regalano spettacoli poco piacevoli. Preferisco uscire di settimana. 6) Qual è il tuo social network preferito e perché? Facebook per praticità, i gruppi sono utilissimi, per esempio in quello dell’università c’è sempre qualche anima pia che mette informazioni utili, poi ho quello del teatro, della scuola di musica e poi quello con voi della redazione, che ho sempre paura di aprire xD 7) Internet ti ruba o ti regala tempo? Spesso me ne regala. Quando devo studiare indubbiamente me lo ruba. 8) Mai avuto una relazione amorosa internettiana? No, preferisco le persone in carne ed ossa, in generale.

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Sono cresciuta con un’educazione cattolica, ma non bigotta. Anche se non sono più una grande praticante rispetto chi lo è. Mi sono sempre interessate anche le altre religioni, è curioso come l’uomo senta il bisogno di credere in qualcosa per sentirsi più sicuro. 11) Tatuaggi? Qual è la tua opinione su questa pratica che sta spopolando? Sono sempre stati in voga, cambiano solo i soggetti che vanno di moda. Io ne ho solo uno e ne sto progettando altri due, quindi forse suona un po’ scontato se dico che ognuno può fare quel che vuole della propria pelle xD 12) Hipster: cosa vuol dire? Se dico solo subcultura me la segnate come sbagliata? 13) Trovi venti euro a terra. Che ne fai? Se non posso sapere di chi sono, me li metto nel portafoglio e offro la colazione alle mie compagne di università.


Tra bullismo e Aggressività

“I cuccioli di molte specie giocano a lotta, mostrano i denti e le unghie, si azzuffano senza farsi troppo male. Le lotte e le sfide sono un modo per mettersi alla prova, per misurare le proprie forze, ma anche per capire i propri limiti e le debolezze nei confronti degli altri membri del gruppo. Il leoncino lotta allo stesso modo in cui i bambini giocano a braccio di ferro: per misurare chi tra i due è più forte. Lottando, tuttavia, ciascuno dei due diviene più forte. La sfida porta a migliorarsi. Non solo però: il confronto/scontro stabilisce anche dei ruoli e delle gerarchie: il più forte e il più debole, il più veloce e il più lento,il più sagace e il più riservato… Lo stesso desiderio che spinge gli esseri umani a cercarsi, fa sì che si riuniscano in gruppo, riconoscano dei ruoli e dei leader, stabiliscano delle gerarchie. Ognuno cerca di acquisire status, cioè un riconoscimento delle proprie capacità. Le sfide servono a giudicare chi sia più o meno capace. Un pizzico di aggressività, il gusto per la lotta, sono non solo inevitabili, ma addirittura indispensabili per affermare se stessi. L’aggressività non è solo rabbia e violenza; può anche essere una disposizione positiva per la crescita” (“Aggressività, rabbia, violenza” di O. Facchinetti). Forse l’aggressività è un po’ meno positiva se si pensa al bullismo. Forse è il caso di affrontare questo problema esistente in tutte le scuole. La domanda è: ma perché non se ne parla quasi mai? Perché le persone di fronte a tali problemi preferiscono stare zitti?

Autore: Federica Studentessa all’ultimo anno del Liceo quasi pronta per l’Università, amante della Filosofia e Pedagogia. Appassionata di Libri e Fotografia. Insomma...appassionata di tutto quello che inizia con la parola: Arte. http://www.poesieracconti.it/community/utenti/LiliumCruentus

Ancora non ho trovato una risposta precisa, ma cercando questa risposta in vari testi mi sono fatta almeno un’idea generale di cosa sia il bullismo e mi sono accorta sempre di più che la mia scuola non è esente da questo assurdo fenomeno. Il testo sopra citato non vuole essere tanto un elogio all’aggressività malsana, quanto a quella “sana” nel senso che le sfide possono esserci quando all’interno di un gruppo classe c’è una competizione sana… Ma si sa, quando si parla di bullismo, la competizione non può essere sana, ci sono delle crepe. Ed è compito dei genitori e degli insegnanti rendersi conto che il bullismo è un fenomeno che va fermato, in primis analizzando bene i ragazzi. Essere bulli non per forza vuol dire essere delle cattive persone, a volte sono proprio i bulli quelli che hanno più bisogno di aiuto emotivo. Non riescono ad essere empatici nei confronti degli altri e fanno delle azioni che portano la vittima allo sfinimento. Eppure queste persone devono essere rieducate perché, se è vero che esistono delle crepe nella loro personalità, quando escono fuori e si manifestano devono essere placate con l’educazione. Non c’è altro rimedio in questo caso: è l’educazione che deve venirci in soccorso. Ma cosa è il bullismo? Il termine bullismo è la traduzione italiana di “bullying” ed è utilizzato per disegnare un insieme di comportamenti in cui qualcuno ripetutamente da o dice cose per avere potere su un’altra persona o dominarla. Il bullismo ha alcuni fattori che necessariamente devono essere elencati, così tutto vi sarà più chiaro e chissà magari scoprirete che quando eravate a scuola anche voi avete subito atti di bullismo…o li avete compiuti. L’intenzione di fare del male è una delle prime caratteristiche insieme alla mancanza di compassione, di empatia. Il “persecutore” trova piacere nell’insultare, nel picchiare e continua anche quando è

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evidente che la vittima sta molto male. Il bullismo continua per un lungo periodo di tempo – ci dice Facchinetti in un testo di approfondimento – logorando lentamente la vittima psicologicamente. Conseguenze? Beh, un evidente danno all’autostima della vittima, che per tutto questo tempo si è tenuta dentro ogni cosa e non si è confidata con chi poteva darle una mano. Vedete, è importante parlare in questi casi. Il bullismo può essere di due tipi: Diretto e Indiretto. Diretto può essere fisico o verbale, chi perseguita lo fa con pugni, calci, sottrarre o rovinare oggetti oppure può deridere, insultare, prendere ripetutamente in giro, sottolineare aspetti razziali. Indiretto può portare all’isolamento sociale è intenzionale, avviene quando qualcuno diffonde pettegolezzi fastidiosi o storie offensive, escludendo la vittima dai gruppi di aggregazione. Diretto o indiretto che sia il bullismo nasce quando c’è poco controllo delle relazioni. E allora si preferisce far del male agli altri per colmare lacune che stanno nella propria personalità.

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Il paradosso di Habermas ed il linguaggio dei primati.

Autore: Max Max alias Massimiliano: C’è perché c’è, fa quel che fa, è quel che fa. Talvolta riesce ad essere ciò che vuole. Talvolta è quel che è: Max, ma per pochi. Instabile, maneggiare con cura. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Il prodotto è composto da parti tossiche pericolose. Evitare il contatto con occhi e mucose, qualora questo dovesse avvenire contattare un medico. Non è un prodotto medicinale.

http://sottounosguardo.tumblr.com

Di norma siamo “uno”. Per comodità, s’intende, o per definizione, così ci si intende. Spero… Uno per l’anagrafe, smaltendo tonnellate di burocrazia. Uno per gli amici, che ci appellano con un unico identificativo sonoroverbale (dicesi nome) e si rapportano a noi cingendoci addosso i legacci della coerenza. Santo cielo! Nessuno comprende che la coerenza è un atto che ognuno fa in correlazione a se stesso, e non alle altrui aspettative premonitrici, basate equazionando situazioni passate? Va bé, ritornando in tema… uno siamo per noi stessi, quando comprendiamo la nostra fisicità come delimitazione spaziale. Come corpi solidi soggiaciamo a tutte le leggi che la fisica attribuisce a questa categoria, prima fra tutte: occupiamo uno spazio. Quindi siamo uno per rendere possibile il riconoscimento, che da fisiognomico viene sublimato al piano umano e caratteriale. Ottimo! Eppure… si, c’è un enorme eppure che si apre dinanzi a noi, uno non siamo. Non lo siamo mai stati e mai lo saremo. La semplice attività del pensare testimonia che non siamo propriamente uno, solo. Da non confondersi con uno solo. La punteggiature ha un senso, è esaltante comprenderlo! A riprova di quanto sostenuto ed esposto riporto, non alla lettera, un passo contenuto in “Responsabilità e giudizio”, testo di Hannah Arendt, che, per l’appunto, sostiene che l’intera attività del pensare avviene attraverso una produzione linguistica. Anche un ingegnere che calcola in realtà non utilizza fattori numerici come elementi primi (o ultimi, dipende dal vostro schieramento intellettuale) del suo pensare. L’ingegnere ed il filosofo, il matematico ed il poeta, che computino o producano, il tutto avviene attraverso un dialogo. Parlano. Semplicemente parlano, anzi si parlano. E perché un dialogo sussista è assolutamente necessario che si sia almeno in due. Allora vi state chiedendo, se siete riusciti a seguirmi: l’altro dov’è? Vi dirò enfaticamente: l’altro sei TU. Siamo due, almeno due. Altrimenti, detto in maniera spicciola, avremo la capacità di ricordare, pensare, produrre, fantasticare di una zucchina. Per chi non ha idea a quale storica dicotomia di schieramenti facessi accenno pocanzi, per equità (ed un briciolo di magnanimità) lascio la scelta tra zucchina e melanzana. Anche patata… Anche Nietzsche il rinomato, che si contende il primato di citazioni postate su Facebook con Oscar Wilde, esprimeva un concetto simile quando accennava alla famosa volontà di potenza. Ben lungi dall’essere il progetto di risparmiare soldi per modificare il motore di una Fiat Panda perché possa correre alla velocità di una Bmw Serie Uno, la volontà di potenza è un’estremizzazione del concetto di dualità semplice (sorvolando sulla conseguente dualità multipla) espresso dalla Arendt. Nietzsche distrugge l’uomo ontologico, parcellizzandolo con una molteplicità di personalità individuali, che si gerarchizzano

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creando quella che dall’esterno viene percepita come personalità apparente, o ultima. Quella a cui i cultori del giudizio altrui si richiamano quando parlano di “coerenza” puntando l’indice accusatore sull’altro. Se questi insigni buffoni fossero giunti alla lettura delle riflessioni del filosofo tedesco saprebbero che, parlando per immagini, la personalità di un individuo è come un iceberg. La punta si innalza al di sopra della superficie dell’acqua ma, al di sotto, tutte le personalità restanti sono in conflitto per emergere. Dico di più: la personalità che emerge subisce gli effetti che la gerarchia sommersa produce. Subisce gli scossoni derivanti da nuovi assestamenti così risente delle opinioni, delle spinte emotive e psichiche che provengono dai più bassi recessi della mente. No, signori, noi NON siamo uno. Provate a scrivere. Non fate altro che riportare su carta, o su qualsiasi formato v’aggrada, un discorso che si tiene nella vostra mente. Qualcuno, voi, parla e qualcun altro lo contraddice. In fondo, realmente, questo è pensare. Quindi siamo al rapporto corpo\personalità avendo come risultato ultimo una prima battuta dell’io sociale. Habermas sostenne che la comunicazione è uno dei primari istinti dell’uomo. È quello che ha reso possibile, quello che fonda e cementifica la società tutta. E, tra le varie comunicazioni, è quella mediata in minor misura quella che s’aggiudica il primato per autenticità ed efficacia. Vis à vis siamo più capaci d’esprimerci, perché, inconsciamente, “mostriamo” che l’altro, sempre inconsciamente, percepisce impreziosendo il semplice messaggio verbale. Come delle scimmie, che lentamente imparano a parlare. Ma, un piccolo ma. Se questo è l’uomo che esiste, come può tutto questo influire e quali modificazioni tutto questo subisce se incanalato in nuove forme comunicative? Come spunta dalle acque ghiacciate della realtà? Quale vessillo piantato sulla punta dell’iceberg? Un avatar. E non pensate a Pocahontas versione alieno blu, parlo dell’immagine che identifica il nostro nick su un forum. Ad essere sinceri questo è un rischio. L’intera stratificazione umana che ci contraddistingue e ci permette di muoverci nel reale si virtualizza, così come diviene virtuale il personaggio che assume la nostra identità. Guardate Figh Club, Tyler Durden dice ad un fantomatico protagonista senza nome, interpretato da Edward Norton: “tutti si immaginano diversi da quello che sono, lo fanno continuamente”. Solo l’internauta ha il privilegio di rendere “reale” un sé immaginato. Cosa lo renda reale poi, è una questione irrisoria già sulla bocca di tutti: è reale perché altri lo considerano reale: parlano con lui, si confrontano, lo stimano e lo odiano. Diventa reale per merito del riconoscimento altri. E, vis à vis, la comunicazione virtuale è possibile. Possiamo parlare in tempo reale, per voce e scrivendo, annullando il tempo e isolando la mediazione e la distanza a mero strumento funzionale per la comunicazione. Emoticons e faccette varie servono a questo in fondo, a veicolare quel linguaggio della fisicità che, informaticamente, può diventare inaccessibile. È falso, o più probabilmente estremo, considerare l’internauta uno spersonalizzato, un soggetto disperso in una realtà fatta d’informazioni, ma priva di un punto aggregante a livello sia conscio che inconscio. No, credo che il rischio maggiore sia la depersonalizzazione,

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ossia una scelta d’immagine, voluta o meno, che riduca sino ad estinguere la famosa volontà di potenza accennata sin ora. Un soggetto bidimensionale, ma pluripresente a tutti, meno che a se stesso. Un’identità avulsa dal contesto umano. Un’identità surrogata, come una copia in bianco e nero dell’immenso quadro multisfaccettato che la persona, qualsiasi persona, è. Naturalmente non è una realtà in crisi, è solo caotica. E noi, moderni che scoprono la tecnologia tanto quanto questa si affaccia alla nostra vita, come i primati evolutivamente hanno dovuto apprendere ad articolare suoni e a veicolare informazioni attraverso canali per loro nuovi, noi impariamo ed apprendiamo ad utilizzare queste nuove piattaforme, conformandole e performandole a noi. Sia fatta la tecnologia, e sia fatto anche l’Homo Tecnologicus, che, a tutto dire, mi sembra un’ottima etichetta scientifica da applicare al moderno nerd nel futuro museo delle scienze. Personalmente, lo ammetto, sono fiducioso. So che questo può sembrarvi quasi eclatante, ma sinceramente lo sono. Impareremo a parlare, e ad usare le nostre nuove clave tecnologiche. Pena la fine. Oh, non dell’uomo come specie, ma dell’uomo come individuo temo di si. Nel frattempo, come valore assiomatico per fornirmi linee guida comportamentali, io m’avvalgo della massima una volta espressa in un forum da un soggetto che reputo essere estremamente saggio: “in fondo resto sempre una sineddoche di me stesso”. Come le vele sono usate in poesia per rappresentare l’intera nave, così quel nick è rappresentativo dell’intera persona. La si suppone e la si intuisce, ma non la si conosce per davvero. E, in fondo, come sarebbe possibile conoscerla per davvero? So cosa vi state chiedendo ora, v’osservo con l’occhio cieco della mia mente e vi vedo struggervi all’idea di questo fantastico ed aforismatico individuo. Sarò magnanimo, ancora una volta: l’ho detto io. E se vi sembro un megalomane che si inghirlandisce da solo vi ripeto, siamo molti in uno, e tutte le mie parti elogiano quella che ha prodotto la frase, proprio la parte megalomane.

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