Sogni

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PROGETTO EDITORIALE:

Marco Mauro PROGETTO GRAFICO:

Josephine Mauro EDITING TESTI:

Giupps REDAZIONE:

Elisabeth Massimiliano Daniele Giuseppe Luca



sommario EDITORIALE: 07

PIANO B SOGNI:

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DA SOLI

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SOGNI INFRANTI

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INTERVISTA A IVALIUM

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RUBRICHE : 17

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MODA: SHOES PRIMAVERA/ESTATE 2013

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E IL TUO CUORE COME STA? WRITERS PRODUZIONI IN LIBERTA’

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sommario

12 ALTRI ARTICOLI: 25

ALLE ORIGINI DELLA DEVIANZA. POLITICA:

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LE QUATTRO PAROLE PER RICOMINCIARE.

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GASTRONOMIA : 31

CUBOTTI CIOCCOLATO E BIRRA HUMOR :

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COLLABORAZIONE CON KAMOSCAN

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editoriale

PIANO B Il mio non vuole essere un invito alla fiacchezza. È solo un meccanismo di difesa. Partirò dall’inizio. Siamo stati educati tutti – grosso modo – in istituti scolastici e in famiglie che ci invogliavano a coltivare sogni, nutrire aspettative, paragonarci alle generazioni passate. Presupposto innocentemente sbagliato. A parer mio il sogno realizzato da chi ci parlava era il proprio sogno. L’oratore era l’esempio vivente dell’aspettativa realizzata, coerente con un certo sistema, quello di quegli anni. I favolosi anni ‘70, gli sfavillanti anni ‘80. È passato un po’ di tempo, c’era da aspettarselo che la realtà sarebbe cambiata. Ma il loro sogno era già compiuto, cosa importava? Qualche anno fa paragonavo le nostre aspettative a quelle della generazione che aveva appena perso la guerra, col Paese ridotto ad un cumulo di macerie. Col tempo mi sono accorto di essermi sbagliato. La ricostruzione comunque produsse un giro d’affari che ha accecò quella gente col benessere. Poco importava sapere da dove provenivano quei soldi, a chi ci stavamo vendendo. Porta a casa, mangiamo, tutto a posto. Adesso le cose sembrano essere leggermente più chiare. Di una chiarezza inquietante. Quali sarebbero i sogni della nostra generazione? Mettere su famiglia? Fare tre, quattro figli? Comprare casa col mutuo? Macchina utilitaria e macchina familiare? La villeggatura? Roba datata, che ricorda l’incipit di “Trainspotting”. Personalmente nessuna di queste aspettative – possibili qualche decennio fa – mi si para all’orizzonte. Veniamo alla soluzione. Roma non è stata costruita in un giorno, ed anche l’Onnipotente ci ha messo sei giorni per fare l’universo. Preparare un piano diverso da quelli vecchi. Dividere i sogni: quelli facili e quelli difficili. Tra quelli facili ci mettiamo il trovare un lavoro che ci permetta di sopravvivere in un tugurio e di coltivare un minimo di speranza di migliorare la propria situazione, oppure trovare una ragazza che sappia aspettarti senza pretendere un figlio immediatamente. Raggranellare quattro spiccioli per azzardare una minivacanza. Tra quelli difficili possiamo inserire qualcosa preso dagli anni ‘80, qualcosa a caso. Ma senza prenderla troppo sul serio. È qui il trucco. Se non ci riesci, ti inganni e ti rassicuri pensando che in fondo era una cosa in più, una cosa che in realtà non volevi veramente. Una cosa senza importanza, che dà meno il sapore del fallimento. Il sogno è la felicità: un lavoro sicuro, un casa, una famiglia, eccetera, sono solo dei mezzi, degli strumenti per ottenerla, non lo scopo in sè. Ma se la felicità – secondo molti pensatori – è una cosa illusoria, passeggera, effimera, sfuggente; di sicuro uno dei metodi per agguantarla è ingannarsi, per beffarla. C’è chi lo fa in modo insano, confondendosi nei paradisi artificiali; non dirò cosa sarebbe meglio, non sono uno di quei personaggi di cui sopra.


Da soli

Autore: Max Max alias Massimiliano: C’è perché c’è, fa quel che fa, è quel che fa. Talvolta riesce ad essere ciò che vuole. Talvolta è quel che è: Max, ma per pochi. Instabile, maneggiare con cura. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Il prodotto è composto da parti tossiche pericolose. Evitare il contatto con occhi e mucose, qualora questo dovesse avvenire contattare un medico. Non è un prodotto medicinale.

http://sottounosguardo.tumblr.com

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Il “Gobbo Nazionale”, all’anagrafe Giacomo Leopardi, sostenne, nello Zibaldone, che l’italiano, come costituzione ontolinguistica, era, ed è, una lingua poco adatta alla scienza per sua intima struttura: è una lingua traslitterata. In passato, nell’epoca latina, si preferiva il reale all’irreale. L’italiano, semplicemente, predilige l’irreale al reale. Come sempre, in ogni scelta, i risvolti sono duplici. Vantaggi e svantaggi. Il vantaggio di questo è, per banalizzare a discapito della disamina leopardiana, l’esistenza della metafora, regina di tutte le figure retoriche, e dei suoi sudditi più semplici da usare. Lo svantaggio è l’ambivalenza semantica. Cosa vorrà mai dire questo binomio linguistico? Traducendolo in linguaggio semplice, lo svantaggio è che a un significante può essere associato più d’un significato. Si prenda la parola “sogni”. Un solo significante, da signa, ossia un solo segno per scriverla. Due significati. Il sogno può essere l’attività onirica, che, producendo immagini, regolarizza la dicotomia tra le componenti della nostra personalità, l’inconscio e l’Io. Oppure il sogno può essere un desiderio, un’aspirazione, che, seppur lontana nel tempo, resta sempre realizzabile. Ma, questi due significati, molto spesso, per non dire sempre, hanno un confine molto labile e sottile. Talvolta si sovrappongono. Esemplifichiamo: ci piace qualcuno/a. E chiediamo al fortunato/a di uscire. Se costei/costui, invece d’un asso, nasconde nella manica un due di picche e ce lo mostra è finita. I problemi sorgono quando costei/costui accetta l’offerta. Programmiamo la serata, abbiamo delle aspettative, abbiamo dei “sogni”. Ri-viviamo in anticipo l’appuntamento. Semplice meccanismo mentale di preparazione a qualcosa, ci esercitiamo nell’immaginazione. Ma, la nostra immaginazione, non avendo freni, divaga. Analizzando le varie opportunità, ad un certo punto, ci rendiamo conto che particolari risvolti sono, per quanto altamente auspicabili, semplicemente poco probabili. Altri praticamente impossibili o irrealizzabili. Hume sostenne che, componendo le varie idee semplici in idee complesse, siamo guidati da un’inconscia dolce forza che limita la nostra mente permettendoci di distinguere il discrimine tra le produzioni reali e le produzioni irreali. La psicologia moderna, il comportamentismo noetico per la precisione (branca poco sviluppata perché metapsicologica, non per scarsa attività o comprensibilità), chiama quella dol-


ce forza probabilismo reale. In pratica la nostra mente, quasi fosse un calcolatore, elabora numericamente il valore di realtà d’una produzione mentale col discrimine della probabilità. E quegli assunti immaginativi, che ottengono un punteggio inferiore ad un parametro stabilito, si guadagnano l’appellativo di “impossibili”. Ammettiamolo, la banalizzazione risulta forzata e altamente grossolana, ma, spero, risulti efficace per far comprendere cosa intendo. Possiamo immaginare. Lecito e sacrosanto. Ma, automaticamente, distinguiamo le produzioni della nostra immaginazione tra reali ed irreali. E, vedete la stranezza, l’uomo comune ha un limite tra reale ed irreale molto più alto dell’uomo di scienza, per definizione empirista e pragmatico. Perché, semplicemente, se la scienza si limitasse, buona parte delle scoperte ora ottenute sarebbero state impossibili, perché, a priori, ritenute irrealizzabili. E, banalmente, questo è il motivo per cui la scienza rappresenta l’ambito umano più produttivo in assoluto: ha meno limiti, e quei limiti che ha s’impegna a raggiungerli. L’uomo comune dovrebbe imparare la lezione ed applicarla. Se desideriamo qualcosa la immaginiamo, questo è lapalissiano. Il più delle volte però non la otteniamo. La nostra colpa siamo noi. Abbiamo paura delle difficoltà che occorrerebbero per realizzarla, siamo pigri e codardi. Ed invidiosi perché chiamiamo in causa la sorte per giustificare l’ottenimento dello stesso obiettivo da parte di qualcun altro. Direbbe Hegel che la paura della morte ferma l’animo più intrepido. Mutatis mutandis, come direbbe Cicerone, possiamo asserire che abbiamo paura dell’impegno. Molti di voi sosterranno che temiamo il fallimento, e da questo siamo esautorati della nostra capacità poietica, perché anche un fallimento necessita di impegno per realizzarlo. In realtà no, il fallimento è l’obiettivo inconscio che ci poniamo quando, temendo le difficoltà, decidiamo, in base al nostro già esplicato senso del limite, quanto siamo disposti ad impegnarci per ottenere l’obiettivo. È la nostra autogiustificazione, avendo, inconsciamente, posto il fallimento come obiettivo poiché irreali, per noi, erano gli sforzi necessari. Sia chiaro, l’uomo ha bisogno di un limite tra reale ed irreale. Se immagino di poter volare e salto dalla finestra non sono un angelo, sono uno che ha bisogno di un ottimo psicologo. Ma se immaginassi che l’uomo può volare m’impegno a costruire un aereo, non importa quanti sforzi o fallimenti esso implichi. La scienza ha un vantaggio: il sapere, diceva Kant, si accumula e s’accresce per specie, non per singolo. È l’uomo, tutto, che cresce, non il singolo. Noi, nella nostra vita, siamo l’uomo tutto di noi stessi. Legislatori della (nostra) realtà. E, per alzare il nostro senso del limite, è richiesto lo sforzo più semplice e più titanico che si possa chiedere ad un uomo, ossia l’aver fiducia in sé stesso.

La pena è il fallimento, l’autocommiserazione. Vero che l’inconscio metterà in atto meccanismi per autogiustificarci il nostro esser falliti. Ma, pensateci, se questi meccanismi si attuano è solo perché l’inconscio sa che noi siamo dei falliti. Noi, intimamente, sappiamo d’aver fallito, d’aver sprecato le nostra possibilità rendendoci degli irreal-izzati. E, nulla c’è di peggio, per un uomo, che avere una scarsa o nulla considerazione di se stesso. E, per evitarlo, ci basterebbe alzarci in piedi e iniziare a camminare autonomamente, convinti che la meta che ci siamo pre-posti sia realmente raggiungibile da noi. Posso solo concludere con un “buona fortuna”. Il resto sta a noi. Da soli. Anche perché è, da soli, che sogniamo.

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Sogni infranti

Autore: Autore: Mauro Mauro Mauro Mauro Aka Aka Various Various (13 (13 febbraio1987) febbraio1987) èè un un informatico informatico valtellinese, valtellinese, attualmente attualmente codirettocodiretto-

re re del del OUReports. OUReports. Sognatore Sognatore incazzato. incazzato. Prova Prova un un amore amore folle folle verso verso gli gli animali animali ee ne ne possiede possiede di di diverse diverse specie. specie. Scrivere Scrivere èè per per lui lui uno uno sfogo, sfogo, un un momento momento di di riflessione riflessione fra fra se se ee ilil mondo mondo che che sta sta dentro dentro di di lui. lui.

www.tamalife.com www.tamalife.com

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Esiste un periodo della nostra infanzia verso i 7-8 anni in cui gli adulti si divertono a farti una domanda: “Cosa vuoi fare da grande?”. Sarà una domanda che ti accompagnerà fino alla tomba. Senza farci caso già a quell’età pensi al mondo che hai attorno, alle cose che ami fare e dai una risposta. E su quella risposta inizi a costruirti la visione di ciò che sarà il tuo futuro, poi man mano che cresci andrai a ridefinirla, migliorarla ed infine scoppierà come una bolla di sapone lasciandoti un sapore amaro in bocca. Alzi la mano chi non ha provato quella sensazione. L’ uomo è per natura un sognatore e compie giorno dopo giorno delle azioni che lo portano ad un obbiettivo che gli serve per sbloccare un sogno che ha nel cassetto. Che sia relativo alla propria professione, alla persona da amare, allo sport , alla prole, o semplicemente al colore delle piastrelle del pavimento della propria casa. E quasi sempre per svariate ragioni qualcosa va storto e il sogno va in frantumi, ovviamente in base alla grandezza del sogno si avrà minor o maggior percezione che questo avvenga. Avete mai fatto caso che se arrivate ad un traguardo della vostra vita il sollievo è quasi minimo e la vostra mente inizia già a pensare al passaggio successivo? Molti di voi lettori saranno in questo momento in ansia per gli esami, bè che siano di maturità o dell’università, il giorno dopo aver letto il risultato la vostra mente si concentrerà o sull’esame successivo o sulla ricerca di un lavoro o sulle meritate vacanze. E se invece non andasse bene? Sarebbe uno shock. A volte siete pronti per riceverlo altre volte no. A volte lo shock sarà troppo grosso e farà cortocircuito lasciandovi un dolore, un vuoto inespresso che con molta fatica e con il tempo solo forse potrete colmare. C’è qualcosa che si può fare per evitare che questo succeda? Puoi pianificarlo meglio, perdere più tempo a costruirti i tasselli giusti che ti portino con più calma verso la metà eppure non sempre questo può aiutare. Ricordatevi che la sfiga ci vede meglio di voi e può sempre rimuovere un tassello che voi credevate assicurato e far cadere tutto. Tutto ciò è normale, a volte anche salutare, anche quando iniziamo a camminare ci serve cadere per capire meglio come funziona l’equilibrio e come impostare il movimento della gambe. Il problema nasce quando dopo la caduta non riesci a rialzarti o se le cadute iniziano ad essere troppe e rimettervi in piedi vi costerà sempre più sforzi. Il mio consiglio in questi casi? Prendetevi del giusto tempo per stare col culo per terra, e quando vi sentirete sicuri di provare a rialzarvi aspettate ancora cinque minuti. A quel punto alzatevi e fate una corsa.


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intervista a : un sogno iValium sono una band salernitana che dalla loro nascita ad oggi ne hanno fatta di strada riscuotendo successo a livello internazionale, arrivando anche a registrare una sessione in Inghilterra. Da poco è uscito il loro secondo album “Revolution”. Intervistarli per me è stata la concretizzazione di un sogno. Se, però, il lettore si aspetta la solita intervista, quella “botta e risposta”, si sbaglia. Quindi se la lettura di questo articolo ha il fine di rilassare il lettore è opportuno abbandonarla e riprenderla in un secondo momento. In questa intervista iValium, oltre a introdurre il loro ultimo lavoro, criticano fortemente la società moderna. Stiamo parlando di una band che preferisce rispondere alle domande dei propri fan piuttosto che dare esclusivamente adito ai critici musicali. Una band che preferisce un produttore di fama minore per la sua creatività a uno di fama mondiale. OUReports: “Come sono nati iValium? Quando si è concretizzata la nascita della band?” iValium: “La band nasce all’indomani del diploma di due dei nostri attuali membri (Luigi Sabino – chitarra e voce; Alain Fortunati – basso) e del primo batterista Carlo Giacomazza, oggi sostituito da Fernando “Beef” Manzo. Al progetto si unirà poco dopo Marco Sabino, fratello di Luigi, tuttora prima voce e chitarra. Fin dal primo momento l’idea è stata quella di non suonare cover ma di dare vita a composizioni proprie. La nascita della band si concretizza nel duemilauno con la registrazione del demo “Valium” presso lo studio Zork. L’EP, contenente tre pezzi, ci ha immediatamente reso noti in tutta la città pur essendo i più giovani a comporre musica nella zona. Siamo sempre stati caratterizzati da un suono beat english e abbiamo deciso sin dalla nascita che avremmo sempre continuato a suonare anche qualora un album non avesse riscosso successo alcuno.” OUReports: “Quando si è concretizzato il vostro progetto?” Autore: Giuseppe Giuseppe Alessandro Esposito alias Ayo-

iValium: “La concretizzazione del progetto è avvenuta con “Willy”, demo rappresentante la sintesi del beat e del pop, demo nella quale si rintraccia la vera identità del gruppo”.

Project. Chitarrista. Supporter di Mark Tremon-

OUReports: “Come avete vissuto la firma del contratto con la Warner?”

ti. Passioni: cinema, cucina, fotografia, letteratura, musica e viaggi.

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iValium: “L’abbiamo vissuta come una soddisfazione, intesa però come una mera liberazione, perché era un traguardo che aspettavamo da tempo e che sapevamo di meritare. L’abbiamo vissuta come una mera possibilità. Per l’incisione del nostro ultimo album, infatti, abbiamo voluto scegliere in prima persona il produttore. La cosa ci è sembrata alquanto sensata perché il compito del produttore è quello di estrarre ciò che è rinchiuso nella tua testa.”


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OUReports: “Quali sono le principali difficoltà incontrate in questi anni? Come avete affrontato i momenti bui?” iValium: “Le principali difficoltà incontrate in questi anni sono state rappresentate innanzitutto dai promoter che vogliono per forza attenersi alla moda, in secondo luogo dai locali che non danno alcuna possibilità di suonare ed infine dai comuni che la musica non la vogliono proprio. Segni di queste battaglie e di questi momenti sono rintracciabili in particolar modo in tre tracce: “Suburbia” (disponibile online); “Odio al silenzio” (dall'album “La Maledizione Sta Per Arrivare”); “Giochi perfetti” (dall'album “Revolution”). A nostro parere non potremmo vivere in momenti più bui di questi, momenti nei quali il governo è formato da tecnici, momenti caratterizzati dalla morte della cultura, momenti nei quali le recensioni vengono mercificate e per non parlare dal punto di vista artistico dal quale abbiamo generato i nostri anticorpi. Noi non ci siamo minimamente scoraggiati e abbiamo affrontato queste battaglie e i momenti bui come meglio sapevamo fare: suonando.” OUReports: “Il ragno se non tesse la sua tela muore… Si può dire che la musica sta a iValium come la tela sta al ragno?” iValium: “Si, la musica per iValium è come la tela per il ragno. Il giorno in cui iValium smetteranno di suonare moriranno.” OUReports: “È da poco uscito “Revolution”, il vostro secondo album. Non temete il momento nerissimo che sta vivendo la discografia mondiale? Cosa ne pensate?” iValium: “Dire che la discografia vive un periodo nerissimo è una giustificazione che si vuole dare alla gente. La verità è che la gente non è incline né a comprare dischi né ad andare ai concerti. I dischi non costano più venti euro come una volta. Se si va ad un concerto l’album si può acquistare anche a cinque euro presso il merchandising dell’artista. La gente si rifiuta di vedere cosa c’è dietro lo specchio dorato della televisione e preferisce screditare il vicino che suona e che tramite la sua musica racconta la realtà. La gente vuole la vita perfetta senza rendersi conto delle imperfezioni. Il male è la società che tende a rinchiudere tutti in una scatola influenzando fin da giovani le menti a credere di avere una visione totale della vita. Una visione totale della vita in realtà la raggiungi solo sul letto di morte. Viviamo in “The Walking Dead”. La gente è paragonabile ai mobili dell’Ikea già impacchettati. Gli stereotipi da parte della società sono sempre più in aumento. Questa è anche una della causa fondamentali che ha distrutto la musica reale. Quando parliamo di musica reale non parliamo dei Club Dogo. L’industria attenendosi agli stereotipi della società non ha fatto altro che ricercare una vendita semplice piuttosto che dare importanza ai valori. La società dona una visione della vita felice e perfetta priva di problemi e senza la necessità di avere desideri. “È la triste dipendenza dall'essere felici” è ciò che cantiamo nella traccia “Giochi perfetti” (dall'album “Revolution”).” OUReports: “Dal titolo dell’ultimo album sembrerebbe quasi che voi siate propensi per una rivoluzione civile…” iValium: “Il titolo dell’album potrebbe far pensare che noi siamo propensi per la rivoluzione civile ma non è così. Non c’è bisogno di una rivoluzione perché altrimenti ci sarebbe già stata. Se fosse stata necessaria una rivoluzione Grillo l’avrebbe attuata. Dare vita a una rivoluzione imporrebbe sacrificio, cosa non ammessa in Italia. “Revolution” è per questo motivo riferito alla band stessa. Il disco è stato inciso mentre provavamo, avvalendoci unicamente dell’aiuto del nostro fonico, Ferdinando Farro. La rivoluzione sta nel mandare a fare in culo la moda e l’industria discografica. La rivoluzione è dire e fare ciò che si vuole. La vera rivoluzione è fare solo ciò che ti impone la tua coscienza. La stessa cover dell’album, disegnata da Christian Sciascia, è un inno alla rivoluzione.”

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OUReports: “Cosa è cambiato da “La Maledizione Sta Per Arrivare”, vostro primo album, a “Revolution”?” iValium: “L’album “Revolution” non è un album studiato come “La Maledizione Sta Per Arrivare” ma è inciso d’impatto, potremmo dire “buono alla prima”. È un album che racconta la vita di tutti i giorni, proprio quella vita che la società nasconde. La traccia numero quattro, “L’uomo che avvolge i sogni”, parla di un padre di famiglia realmente esistito che, nonostante fosse stato lasciato dalla moglie e avesse un figlio da crescere, ha cercato di vivere incidendo dischi e con la mentalità di un hippy anche quando la società intorno a lui stava cambiando. È la classica storia di irrazionale e ordinaria follia che la società vuole nascondere. La traccia numero sette, “15 anni”, è un altro esempio di vita quotidiana raccontando i ricordi adolescenziali di ogni membro della band emersi dopo una serata estenuante trascorsa nello studio di registrazione. L’album si chiude con la traccia numero dodici, “Syd + Lou Baret”. Syd e Lou Barret non sono altro che due pappagallini in gabbia. La canzone andrebbe ascoltata tenendo conto del punto di vista di questi due pappagallini che odiano tutto ciò che vedono. Paragoniamo i due volatili a ogni singolo individuo perché al giorno d’oggi non si fa altro che accettare ciò che viene imposto dalla società. 2 + 2 = 6. I pappagallini non possono replicare. Sono in gabbia. Devono accettare il risultato dell’addizione. “Ministri a cui si vuole dare fuoco”, cantando questo verso accusiamo chi comanda e non fa altro che imporre stereotipi.”

OUReports: “Due parole spese a favore dei vostri videoclip.”

OUReports: “Come ben sapete i fans sono molto esigenti. Se cambi sei un traditore, se non cambi non ti evolvi…”

OUReports: “Una curiosità per i nostri lettori: cosa cantate sotto la doccia?”

iValium: “Noi non abbiamo paura di cambiare e di evolverci, anche perché ci sarà sempre qualcuno pronto a gettare merda. Evolversi significa anche essere sinceri nei confronti di quello che si fa. Se non cambi significa che non ascolti musica. Se non cambi significa che non leggi”. OUReports: “A questo proposito qual è il vostro rapporto con i fans?” iValium: “I fans sono la cosa essenziale per noi. I fans sono parte integrante de iValium. Come iValium sono parte integrante dei fans. Il vero successo è quello di trovare anche solo un nuovo fan alla fine di un concerto che ci riferisca di aver pianto o di essere stato felice ascoltando una canzone, oppure di aver apprezzato una traccia a differenza di un’altra”. OUReports: “In questo periodo verso quale direzione sono incanalate le vostre energie?” iValium: “Ora le energie sono rivolte al tour che sta andando molto bene e che raggiungerà il suo apice di date nella sessione estiva. Dopo, l’idea sarebbe quella di registrare un altro disco o un EP perché non c’è cosa che ci stimoli come quella di passare del tempo in sala registrazione”. OUReports: “Qual è la vostra strumentazione preferita?” iValium: “Per ciò che riguarda la strumentazione Luigi morirebbe senza la sua Epiphone 335 stramodificata e il suo TS9, Marco vive uno stato di dipendenza e simbiosi con la sua Telecaster, Alain è innamorato dei suoi due bassi”.

iValium: “La cura dei video è assegnata a Daniele Esposito, regista salernitano trapiantato a Roma, che con il suo stile di denuncia sociale unisce il grottesco alla poesia. Nei video si ricerca la poesia nella desolazione e non viceversa come spesso accade. La cura dei video è seguita anche da Marco che riversa la sua passione nel lavoro. Due sono i filmati molto significativi: “L’infedele” (tratto da “La Maledizione Sta Per Arrivare”) e “Io sono un punk” (tratto da “Revolution”). L’infedele non è né un adultero né un nullafacente. È colui che non vive seguendo gli schemi della società e si rifugia nell’ombra. Differente è il punk, anche lui contrario agli schemi della società ma a differenza dell’infedele sputa fuori tutto l’odio che prova. Essere punk non significa quindi vestire da punk. Non è l’abito che fa il monaco. In tre anni, la differenza di incisione tra i due album, la situazione è andata sempre più peggiorando a livello globale. Questo ci ha fatto a dir poco incazzare, tanto che nell’ultima scena del video de “L’infedele” abbiamo distrutto tutto ciò che avevano a tiro. È stato uno spasso registrare quella scena. Era come se a dei bambini l’adulto avesse ordinato di fare quello che volevano. Le cose distrutte ovviamente erano tutti oggetti non funzionanti. Ancora non necessitiamo di cure psicologiche.”

iValium: “Marco sotto la doccia canta Elvis a differenza di Luigi che immagina di essere Sirio Il Dragone de “I Cavalieri Dello Zodiaco”. OUReports: “Come conclusione: fatevi una domanda e datevi una risposta”. (concludo alla Marzullo). iValium: “Secondo te la gente capirà che la musica non è né quella che passa per radio né quella che viene trasmessa da programmi come MTV?” “Si. Siamo ottimisti. Speriamo in un ritorno al piccolo beat. La vera rivoluzione è dietro l’angolo. La gente spegnerà la radio, la televisione e il computer. Prima o poi succederà. Forse arriverà l’invasione di zombi. Oppure l’umanità sarà impegnata a combattere l’invasione delle scimmie mutanti e troverà il tempo di mettere due accordi su una chitarra”.

Ringraziamenti: volevo ringraziare la redazione di OUReports e iValium per questa incredibile esperienza. Questa intervista la dedico alla mia famiglia e a tutte le persone che mi sono sempre state vicino. Non ho bisogno di fare nomi. Un ringraziamento speciale a Paola S. che ha reso possibile questa intervista.

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Autore: Elisabeth

Il mago per eccellenza delle calzature: Christian Louboutin .

Elisabeth Hair Stylist dalla mente contorta e insana. Amore folle per gatti e felini, scrittrice notturna incompresa. Appassionata di letteratura inglese e poesia, vive in un universo parallelo con la dedizione per la moda in tutte le sue forme.

http://insaname.blogspot.it/

Con l'arrivo dei primi caldi è giunto il momento di sfoggiare ai piedi una vasta varietà di calzature. Dai marchi di alta moda, ai modelli più street urban cercando di non trascurare nessuna inclinazione: Christian Dior

Décolleté aperta davanti, color lime con tomaia in velo trasparente. Blumarine

Décolleté a punta stretta, una forma evergreen tornata prepotentemente di moda quest’anno; dal color orchidea con cinghia dorata metallica. Jeffrey Campbell

Décolleté in pizzo con tacco di legno e plateau.

Sandali di seta con lacci color oro dal tono elegant- chic. Giorgio Armani

Eleganza dallo stile quasi retrò questo sandalo alla caviglia in pitone color smeraldo con dettagli di pelle e metallo. 17


Elie Saab

O Jour

Sandalo open toe tacco 7 cm in denim, con dettagli e profili in tessuto panna. Bally

Sandalo con doppio cinturino in metallo oro, pelle e coccodrillo color rosa. Giuseppe Zanotti

Sandalo pitone roccia con zeppa sagomata. Cori Amenta

Sandalo in camoscio marrone con maxi frange e cinturino con borchie color oro.

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Sandalo con zeppa color arancione con cinturini a corda intrecciati tra loro.


Emilio Pucci

Gianluca Soldi

Sandalo flat alla schiava di pelle nera e camoscio fucsia. Marc Jacobs

Zeppa di sughero dorato su un sandalo in satin. Gaetano Perrone

Zeppa con plateau interno e cinturino alla caviglia in vernice fucsia. Pura Lopez

Zeppa in camoscio colorato con stampa rosa sul davanti e sul cinturino. Stradivarius

Sandalo flat in camoscio con borchie in argento.

Zeppa a righe orizzontali in cotone e poliuretano. 19


Versace

Vic Matiè

Tronchetto spuntato in vinile e vacchetta color cuoio, con plateau in cuoio naturale e tacco a spillo ricoperto di pelle. Guillaume Hinfray

Uno stile che non si smentisce mai. Cage boots di pelle e pvc con fibbiette Medusa. Jil Sander

Tronchetto rock in vitello verde a effetto chiodo, graffitato da punti metallici. Ce n'è per tutti i gusti, tessuto e colore. Non vi rimane che scegliere quale più vi aggrada e sfoggiarle senza pietà Total white per le Ankle boot con inserto. 20


E il tuo cuore come sta? Stamattina mi sono messa a pensare più del solito. E se inizio questo “articolo” scrivendo così so già che sarà diverso da tutti gli altri. In realtà ho sempre parlato di filosofia, pedagogia di tutto quello che ci circonda, di tutto quello che è nostro e che io ho fatto mio. Ho sempre trattato argomenti a me cari, argomenti che mai mi hanno lasciata indifferente: l’abuso di sostanze, il bullismo, l’educazione a scuola, la spiritualità. Ho sempre trattato temi che mi affascinavano, riesco a scriverli con distacco, quasi come se non mi interessasse sul serio. Riesco a scriverli quasi come se non fossi io a scriverli, ogni volta che ci provo cado in una specie di tunnel, qualcosa mi prende la testa e me la scuote…e io devo scrivere, non devo fare altro. Qualcosa mi prende la testa e me la apre, mi fa tremare le vene e i polsi e le mie dita pigiano i tasti. Poi mi fermo, leggo quelle due righe che ho scritto e continuo a scrivere velocissima, proprio come adesso. C’è chi scrive pensando alle cose, io non ci riesco, si apre un rubinetto dentro di me e le parole scorrono come l’acqua. Ed io quell’acqua cerco di prendermela tutta, cerco di buttarla tutta qua sopra. E solo dopo, alla fine, cerco di capirci seriamente qualcosa. Cerco di rileggere tutto e di autoconvincermi che tutto quello che ho scritto sia realmente comprensibile, anche se non sempre lo è. In realtà sono tutti dialoghi tra me e me…ma quante cose avrei da dirmi! Ma prima cercavo di dire un’altra cosa: ho sempre trattato temi a me cari, ma solo adesso mi rendo conto che dentro quei temi c’è tanto di me che non era mai uscito fuori. E allora perché trattare temi a me cari, se prima non tratto me stessa? Stamattina la testa non me la sono aperta da sola, è venuto qualcuno ad aprirmela. Più che la testa qualcuno ha bussato alla mia anima, e lì non ci ho capito più niente. “E il tuo cuore come sta?” Questo. Questo mi hanno chiesto. Ed io non ci volevo credere, perché quando qualcuno ti chiede come sta il tuo cuore, tu non puoi rispondere “innamorato” o “triste”, non puoi rispondere banalmente…il cuore va oltre il sentimento, il cuore non è solo amore, il cuore è la nostra essenza. Qualcuno di voi ha mai ricevuto questa domanda? Solitamente, a causa della frenesia

di questi tempi, se una persona ti chiede come stai non è realmente interessata. La gente ci chiede come stiamo, ma nessuno in verità vuole sentirci mentre ci lamentiamo su noi stessi, sui nostri fidanzati/e, sulla nostra famiglia, il lavoro. Ma allora mi sono chiesta, ma cosa davvero fa andare avanti le persone? Siamo talmente falsi e brutali che fingiamo di interessarci alle persone per paura di rimanere soli? Perché se è davvero così io non ci sto. Dentro gli occhi delle persone io vedo coscienze agitarsi, coscienze che hanno paura di parlare per paura di essere messe a tacere. Ma quando mai di questi tempi qualcuno ti chiede come sta il tuo cuore…ma quando mai qualcuno si interessa a te per quello che realmente sei…ma quando mai noi ci interessiamo agli altri per quello che realmente sono…ma quando mai a qualcuno frega della sostanza: ormai tutto è apparenza. Il nostro cuore è così fragile che ci fingiamo talmente forti quasi da far vedere di non averne, di sentimenti. Ma se una persona ti guarda negli occhi e ti chiede “ALLORA, TU COME STAI? COME STA IL TUO CUORE?” no, bugie non puoi dirne, perché semplicemente non puoi. E se proprio vorrai dirla dovrai staccare gli occhi dagli occhi. Non siamo più abituati a sentire gente vera, di quella che con una domanda è in grado di sconquassarti la giornata, perché di gente che il cuore non lo sente più è pieno…talmente pieno che le riconosci subito: guardateli negli occhi, li vedrete subito. E se il cuore voi lo avrete, lo sentirete…si agiterà, vi sentirete quasi male. E come vi sentirete male capirete che siete vivi, e se capite che siete vivi allora lo è anche il vostro cuore. Non riusciamo a rispondere a certe domande perché forse le risposte non le abbiamo nemmeno noi, pensiamo di essere talmente perfetti da non doverci modificare, da non dover far nessun lavoro su noi stessi. “Io sono così e punto”. Ho visto gente ferma da 20 anni. Ho visto gente ferma da 40 anni. Ma non voglio credere che ancora tutti siano fermi e che non si riesca più a sentire il proprio cuore. Quando qualcuno ci pone davanti a certi punti interrogativi non possiamo rimanere indifferenti. Perchè se è vero che ho visto gente ferma e testarda ho visto anche gente mettersi in gioco – ma in gioco per davvero – e rovesciare tutte le carte in tavola. E adesso ditemi, come dovrebbe stare il cuore di quel qualcuno che sta rivoluzionando tutta la sua vita per ritrovare il suo, di cuore? Perché più che rispondere a queste domande, dovremo prima rispondere a noi stessi. Cosa vogliamo veramente? Cosa ci spinge ad alzarci la mattina e metterci in marcia verso qualcosa? Quando riusciremo a capire che i padroni del nostro cuore siamo noi stessi e non gli altri? Vorrei tanto riuscire a capire cosa strugge la gente, perché se è vero che qualcuno il cuore lo ha perso per strada è anche vero che è pieno di gente pronto a ritrovarlo. E a volte basta davvero così poco per rimettersi in gioco. E il vostro cuore…come sta? Lo sentite ancora dentro di voi?

Autore: Federica Studentessa all’ultimo anno del Liceo quasi pronta per l’Università, amante della Filosofia e Pedagogia. Appassionata di Libri e Fotografia. Insomma...appassionata di tutto quello che inizia con la parola: Arte. http://www.poesieracconti.it/community/utenti/LiliumCruentus

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WRITERS: PRODUZIONI IN LIBERTA’ Autore: Martina

Titolo: Di Sole e di Sale: un Patto col Mare. Sottotitolo: ["Una ballata del mare salato"]

L'Abisso è un Mare, che apre le sue acque per accoglierti nel Profondo, E dall'interno tutto è soffuso, tutto ovattato: il suono si propaga male. Il Mare ti accoglie e tu soffochi e muori nello stesso istante in cui ti abbraccia, Questa è la maledizione del Mare: non poter abbracciare altri che i suoi stessi Esseri. Ma lo stesso Mare a volte pattuisce, ti restituisce la vita. Ti lascia in vita. Tu non te ne accorgi neanche e pensi sia tutto frutto di caso, fortuna o bravura. E questa è la seconda maledizione del Mare: l'Incoscienza dei suoi Amati. Ma lo sa, il Mare, che capitano i Marinai, capitano gli Amanti inaspettati, che arrivano come la brezza e gli scombussolano le onde e creano spuma. Sanno di Sale, quei Marinai, se li lecchi. Tu fallo: passa la lingua, Su Labbra aride, seccate dal Sole. Scogli su cui s'infrange il Mare. Baciali. E sarai per loro il Mare, t'infrangerai su di loro come onde, Scogliere lambite dall'avidità delle tue Mani, Spuma da cui nacque Dea. E questa è l'unica maledizione del Mare: vedere i suoi Amati amati. Ma in fondo, perchè restituire la vita? Quello è il Patto del Mare.

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Autore: Halfheart Annie e Rose e i due gentiluomini

Premessa Dopo una lunga serata, sconfinata nella buia notte, due signori, Annie, Rose e il signor “M” si ritrovano a casa del signor “M”. Per una incredibile, assurda coincidenza, ogni volta che il narratore racconta questa storia e nomina uno dei due signori (gli ospiti di “M”) un rumore impedisce allo spettatore di distinguerne il nome (vi sembrerà un espediente familiare, e ricorderete certo “Il fascino discreto della borghesia” di Luis Bunuel). Per la lettura ad alta voce il narratore consiglia dunque di sostituire i nomi “mancanti” con un’unica lettera o un’unico nome; suggerisce, per esempio, “Qualcuno”. I margini non giustificati turbano impercettibilmente il narratore e questo si può avvertire durante l’esposizione -che però non ne risente affatto. Il lettore dovrà essere leggermente irritato a causa di questa premessa per poter apprezzare a pieno la lettura; il narratore chiede perciò, se necessario, un piccolo sforzo ad ogni lettore. Il narratore fa inoltre presente che “l’opera” è costituita anche da questa stessa premessa. Buona lettura.

"Signor ###, non vorrà forse dirmi che ha paura della morte?" dice, sorridendo, quello strano individuo conosciuto appena poche ore prima. Si comincia a vedere, nella notte, un certo chiarore. I cinque sono appena rientrati. "Non ne ho la certezza, Signor ###” risponde allora ###, e aggiunge con voce più rapida: “non posso quindi affermare il contrario". Corrucciato, ### accende l'ennesimo sigaro e si mette a fissare la finestra. Anche ### fuma, e il fumo ristagna nella stanza e ### continua a sorridere. Annie, Rose e il signor “M” entrano nel salotto, le ragazze tossiscono e tutti e tre si siedono –le due ragazze sul divano,“M” sulla sola poltrona libera; l'alba, fradicia, inizia a inumidire la moquette alle pareti e il buio lentamente, molto lentamente, a scivolare fuori e appena è fuori si dissolve al tocco di quel timido acquerello di luce. "Sinceramente" dice ### come avvolto nuovamente da un fervore fresco, che visibilmente costringe ai modi eleganti del gentiluomo, "non capisco il suo stupore, signor ###". Così dicendo torna a fissare i vetri, sibilando nell'aria annebbiata uno sguardo vitreo -più scuro in volto di prima- senza abbandonare la postura che più si addice alla poltrona di un salotto “perbene”. L'atmosfera ora è piuttosto silenziosa, le ragazze appaiono stanche, annoiate, e il Signor “M”, visibilmente concentrato nel cercare d'immaginare quel poco che gli abiti succinti non mostrano, ogni tanto non riesce a trattenere uno sbadiglio. Solo ### sembra fresco e arioso, com'erano tutti sette ore prima, gioioso; a intervalli regolari lancia occhiate elegantemente esplicite ad Annie e Rose. "La morte" continua ###, rivolgendosi prima ad Annie e Rose poi a ### "non ha nulla a che fare con l'amore" e dopo una breve pausa aggiunge: "e non può certo competere con una bella donna" dice tornando con lo sguardo verso le ragazze. Annie e Rose sorridono compiaciute, toccate nel profondo dell'ego come da un’erotica carezza; nei loro occhi si può scorgere di nuovo la fiamma della libidine e il loro sguardi desiderosi trafiggono l'atmosfera fumosa e calda, e le vesti avvolgenti sono sempre più intriganti e ammaliatrici, le gambe seminude palpitano e i seni respirano deliziosi. ### non sembra scosso da questa coraggiosa affermazione di ###, al contrario appare compiaciuto. Eppure ### non riesce a dimenticare d’aver molto amato Annie e Rose, e soffoca le lacrime nelle tinte pastello dei vecchi quadri accatastati in un angolo e del mappamondo ingiallito e polveroso, nel porpora smorto di quel tappeto di pregevole fattura, nell’aria fresca che s’immagina fuori sussurrare, nel caldo oleoso della baldoria che diviene stanchezza -e il rum è solo un ricordo evanescente in una stanza dagli stessi colori densi e le emozioni si spengono nell’opaco chiaro-scuro degli odori di cose vecchie. Per un attimo il silenzio è sovrano. Le menti si lasciano cullare dall'elegante ambiguità dell'alcol, quello che l'organismo assimila lentamente dimenticando l'euforia della notte giovane. L'esprit de la nuit, coltivato con l'ottimo vino e il piacere della vita mondana, con i corteggiamenti e con l'eleganza del Casanova, trascende e spira nella cupa fuliggine dell'alba che sembra essersi fermata alla soglia della notte. Riprende ###: "quella deliziosa creatura... quello si chiama cantare, per Diana! Non trovate? La sua voce mi è rimasta nel cuore come le parole dolci di una Dea", affondando nell'oscurità della poltrona come lasciandosi andare alle onde di un mare in collera. "Forse è piuttosto merito dell'eccelente Champagne che avete tracannato ad avidi sorsi regolari per tutta la durata dello spettacolo" ribatte ###, soddisfatto della sua stupida arguzia, "personalmente la voce non mi è parsa all'altezza delle sue coscie in bella mostra, davvero un gran spettacolo per gli occhi!". "Forse, signor ###, lei preferisce la voluttuosa e provocante voce delle negre: così tremendamente tiranna nelle piccole sale dei night parigini e accordata alle loro forme prosperose; io, dal canto mio, trovo ineguagliabile la raffinatezza di una voce leggera e tagliente, secca e tremolante come la bellezza bionda e rigida -e al contempo ammaliatrice e sensuale come il malto del wiskey quando annebbia il palato ed è caustico sulle corde vocali", risponde pacatamente ###, "Io sono un inguaribile romantico: non riesco a fermarmi alla donna o alla musica, devo scoprirle entrambe contemporaneamente; ma la capisco, signor ###, certe cose non sono per tutti". "Lei parla parole che compongono poesie, signor ###, ma in verità la morte non può che attanagliare anche lei, di notte, quando si trova solo nel suo letto e non può dormire". "E poi sarei io il poeta! Ma sentitevi: siete squisitamente anti-prosaico signor ###" e sorride ancora e non smuove i suoi occhi dalle tenere carni, e non cura il tremore paonazzo del suo interlocutore -che da tempo ormai la rabbia percuote da dentro il cuore. Annie e Rose sorridono e ammiccano, si alzano sorridenti e ammiccanti, sculettano tutte febbricitanti mentre il sole ancora indugia. Annie e Rose sorridono, le gambe nude e i seni palpitanti, s'infilano sinuose di là, nella stanza da letto. "E ora mi vorrà perdonare, signor ###: la morte mi chiama ed io non posso che rispondere" conclude, seria l’espressione sulle labbra ma con occhi diabolicamente trionfanti, ###, ambiguo. E se ne va seguendo il profumo costoso che ormai, dopo tutta una notte vissuta, non è che un leggero e impalpabile messaggio d’amore, un gesto che ha saputo cogliere -lui- come si fa con un fiore. ### rimane a fissare l'alba, come l’alba stessa, immobile tra il giorno e la notte.

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Alle origini della devianza L’alba dell’11 maggio a Milano si è tinta di rosso: come saprete Mada Kabobo, immigrato ghanese, durante le prime ore del giorno ha girovagato per le strade brandendo un piccone con il quale ha attaccato una decina di passanti, apparentemente senza alcun motivo. Di questi, cinque sono rimasti feriti gravemente e tre sono deceduti. Kobobo anni fa aveva partecipato ad una rivolta tenutasi a Bari il cui obiettivo era quello di denunciare le condizioni difficili dei centri di accoglienza e, ironia della sorte, aveva dei precedenti penali: avrebbe quindi dovuto essere espulso dal nostro Paese, ma era in attesa della sentenza definitiva del tribunale. In carcere è stato sottoposto a diversi interrogatori, ai quali ha risposto in un inglese stentato e con frasi sconnesse tra loro dicendo di avere fame e di sentire delle voci nella testa; motivo per il quale è stata richiesta la perizia psichiatrica. La vicenda ha ovviamente terrorizzato la popolazione locale, ma ha portato anche a gesti estremi: ricordiamo che, all’interno della cucina della Fondazione Progetto Arca Onlus sono state ritrovate alcune bombe molotov, probabilmente un avvertimento. Forti sono state anche le polemiche sul piano politico, proprio mentre il neo ministro per l’integrazione ha annunciato di volersi battere per il riconoscimento dello ius soli e per l’eliminazione della legge Bossi-Fini che, tra le altre cose, introduce il reato di immigrazione clandestina; il giorno seguente la strage alcuni

Autore: Daniele Studente universitario speranzoso di diventare giornalista. “Chitarrista” a tempo perso; vive di musica e libri. Pensatore fallito. Agnostico praticante. “[...] And I will spend the rest of forever trying to figure out who I am”.

http://italianvoices.altervista.org

rappresentanti della Lega Nord sono scesi in piazza per chiedere l’espulsione degli immigrati e il mantenimento della norma. Fermo restando il fatto che chi commette un reato, in questo caso addirittura l’omicidio plurimo, deve essere condannato, soprattutto in rete ho letto opinioni diverse e anche molto forti in merito a quanto accaduto. C’è chi vuole la sua espulsione immediata; c’è chi vuole la sua condanna; c’è chi, al lato opposto, lo assolve e lo giustifica viste le condizioni in cui si trovava – e, come lui, in migliaia. In queste righe mi piacerebbe esporre alcune delle principali teorie che vengono comunemente utilizzate per spiegare le cause che portano alla criminalità, utilizzando il concetto più ampio di “devianza”. Innanzitutto, cosa si intende per devianza? “Definiamo devianza ogni atto o comportamento, anche solo verbale, di una persona o di un gruppo che viola le norme di una collettività e che va incontro a qualche forma di sanzione. La devianza non è una proprietà di certi atti o comportamenti, ma una qualità che deriva dalle risposte, dalle definizioni e dai significati attribuiti a questi dai membri di una collettività. Un atto può essere considerato deviante solo in riferimento al contesto socioculturale in cui ha luogo”. Tra i primi studiosi del fenomeno troviamo il sociologo Émile Durkheim: in una delle sue opere principali, intitolata “Il suicidio”, l’autore ha brillantemente sottolineato come anche un gesto apparentemente soggettivo e personale, quasi intimo, come il suicidio abbia in realtà una base sociale e sia spesso determinato da una serie di condizionamenti esogeni che l’individuo non può – o non riesce – a razionalizzare, che lo spingono ad un gesto così estremo. Tesi oggi comunemente accettata, ma che alla fine dell’Ottocento rovesciò completamente il modo di rapportarsi a tale fenomeno. Un’altra osservazione importante era quella sull’anomia, cioè la mancanza di norme sociali condivise dagli individui e che può spingere a comportamenti devianti. Le spiegazioni biologiche – Le prime spiegazioni della devianza, e della criminalità in particolare, riconducevano questi comportamenti alle caratteristiche fisiche e biologiche degli individui. I criminali venivano considerati anormali, inferiori, animaleschi. Tra i più convinti sostenitori di queste teorie troviamo il medico italiano Cesare Lombroso, che si soffermò a lungo sullo studio del cranio: dai suoi studi emergeva che il delinquente avesse “una testa piccola, la fronte sfuggente, gli zigomi pronunciati, gli occhi mobilissimi ed errabondi, le sopracciglia folte e ravvicinate, il naso torto, il viso pallido o giallo, la barba rada”. Il criminale presentava quindi delle caratteristiche ataviche, simili a quelle dell’uomo primitivo, che rendevano difficile il suo adat25


tamento e inserimento nella società. Un altro autore importante è l’americano William Sheldon, il quale riteneva esistessero tre forme di corporatura: endomorfa, tondeggiante, grassa e con arti corti; ectomorfa, magra, fragile, delicata; mesomorfa, con tronco imponente, tronco robusto e una gran massa di muscoli. Inutile dire che, sulla base delle sue teorie, questi ultimi erano più predisposti a commettere crimini. Nonostante queste spiegazioni fossero di grande successo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, oggi sono state in gran parte superate.

La teoria della tensione – Recuperando la teoria dell’anomia di Durkheim, il sociologo americano Robert Merton sosteneva che la devianza fosse provocata dall’assenza di norme socialmente condivise, situazione determinata a sua volta da una tensione, un contrasto, tra struttura culturale e struttura sociale. La prima definisce gli obiettivi e i mezzi “leciti” con cui raggiungerli; la seconda rappresenta la distribuzione effettiva delle opportunità necessarie per arrivare a tali mete. Questo contrasto si verifica, ad esempio, nella società americana che presenta a tutti il raggiungimento del successo economico attraverso il lavoro, il risparmio, l’istruzione, il sacrificio; di fatto però le persone delle classi sociali più basse non hanno le opportunità concrete per perseguire quest’obiettivo, e quindi possono reagire in vari modi: accettare gli obiettivi ma non i mezzi, il che porta, ad esempio, a rubare; rinunciare a entrambi, ad esempio fare il mendicante e vivere di stenti; il rifiuto di entrambi e la loro sostituzione con altre strutture, come avviene nel caso di ribellioni o proteste. In altre parole, per Merton una delle cause della criminalità è da attribuire alla scarsa uguaglianza nelle opportunità che impedisce a determinate categorie – tra cui, per attualizzare, quella degli immigrati – di raggiungere gli obiettivi che quella società pone ai suoi membri. La teoria del controllo sociale – Si basa su una concezione pessimistica della natura dell’uomo: essendo egli naturalmente portato a violare, piuttosto che a rispettare, le leggi, ciò che occorre spiegare non è la devianza ma la conformità. Perché la maggior parte delle persone non infrange la legge? Perché rispetta le norme sociali e le convenzioni? Evidentemente c’è qualcosa che fa da deterrente. I controlli sociali che impediscono di violare le norme sono di tre tipi: esterni, esercitati da qualcun altro su di noi; interni diretti, che si manifestano con sentimenti quali l’imbarazzo, la vergogna o il senso di colpa; interni indiretti, quali l’attaccamento emotivo sentito per gli altri e il desiderio di non perdere la loro stima e fiducia. La teoria della subcultura – Alcuni hanno osservato che di per sé il contrasto tra struttura sociale e culturale non basta a spiegare perché alcune persone violino le norme sociali e hanno sostenuto che anche la devianza si apprende dall’ambiente in cui si vive. Una persona commette un reato perché si è formata in una subcultura criminale, ha valori e norme diverse da quelli della società generale e vengono trasmessi da una generazione all’altra. Il caso di ricerca più importante è quello che riguarda la Scuola di Chicago: un gruppo di studiosi ha condotto un’importante ricerca dividendo la città in zone concentriche e calcolando il tasso di delinquenza sulla popolazione totale, mostrando che il valore di tale tasso diminuiva man mano che ci si allontanava dal centro – abitato per lo più da immigrati e da persone appartenenti alle classi inferiori. Scoprirono inoltre che le differenze nel tasso di

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delinquenza tra i quartieri erano rimaste immutate nel tempo, nonostante la popolazione si fosse evidentemente rinnovata. Per spiegare questo fenomeno essi sostennero allora che in alcuni quartieri vi fossero norme e valori favorevoli a certe forme di devianza, e che questo patrimonio culturale veniva trasmesso ai nuovi arrivati nell’interazione sociale. Dunque, chi commette un reato lo farebbe perché si conforma alle aspettative dell’ambiente di cui fa parte. Ad essere deviante non è quindi l’individuo in quanto tale ma il gruppo a cui appartiene. La teoria dell’etichettamento – I sostenitori di questa teoria ritengono che per capire la devianza è necessario tener conto non solo della violazione, ma anche della creazione e dell’applicazione delle norme; non solo dei criminali, ma anche del sistema giudiziario e del controllo sociale in genere. Il reato non è altro che il prodotto dell’interazione tra coloro che creano e che fanno applicare le norme e coloro che le infrangono. È il controllo sociale a portare alla devianza. È la società a definire certi comportamenti come devianti e a etichettare, appunto, i soggetti che si comportano in maniera socialmente disprezzabile come criminali, come outsiders. Nel momento in cui un individuo assume un atteggiamento deviante e diviene oggetto di una reazione sociale, egli viene bollato come criminale e tutti gli aspetti della sua vita, passata presente e futura, vengono riletti alla luce di questo ruolo che gli viene attribuito. Questa è una delle spiegazioni del perché, generalmente, i carcerati sono timorosi di uscire dalla prigione: essendo ormai stati identificati come criminali, per loro diventa difficile poter essere accettati dalla società, reinserirsi, trovare un lavoro e tornare ad una vita normale. La teoria della scelta razionale – L’ultima teoria, in ordine di tempo, è quella della scelta razionale: d’ispirazione economica, essa sostiene che i reati siano il risultato non di influenze sociali o naturali ma di un’azione intenzionale adottata attivamente dagli individui. Gli autori che l’abbracciano sono convinti che l’individuo sia un essere razionale, che agisce seguendo i propri interessi. Se egli decide di compiere un reato è di solito perché si attende di ricavarne benefici maggiori di quelli che avrebbe investendo il suo tempo e le sue risorse in attività lecite. Secondo questa teoria, inoltre, coloro che si dedicano ad un’attività illecita non sono diversi dagli altri; i motivi che li portano a tali attività sono gli stessi che spingono a comportamenti leciti: la ricerca del guadagno, del potere, del prestigio, di un utile. Si sceglie intenzionalmente di commettere un reato perché ci si aspetta un guadagno maggiore o, per lo meno, un costo minore. Ad esempio: è più conveniente lavorare un anno e, se tutto va bene, avere un reddito netto di 14 mila euro oppure fare una rapina e “guadagnarne” centomila in una volta sola? Queste, quindi, sono le principali teorie sociologiche che vengono impiegate per analizzare e spiegare i comportamenti devianti. Di fronte a gesti di criminalità non ci si dovrebbe fermare alla condanna, ma cercare di andare più in profondità e di capire il perché di quegli atti, quali cause hanno portato a certi effetti. Il che non significa giustificare o legittimare la criminalità; significa avere una visione più chiara di quanto accaduto affinché si riducano le possibilità di reiterazione nel tempo. Capire la devianza, e non solo applicare in maniera meccanica una legge, può essere la chiave per una maggiore giustizia nel futuro e per una società migliore.

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Le quattro parole per ricominciare Tra il 6 e il 9 giugno Firenze è stata teatro dell’annuale manifestazione organizzata dal gruppo editoriale La Repubblica, intitolata per l’appunto La Repubblica delle idee. Dopo il successo dell’edizione bolognese dello scorso anno la quattro giorni ha traslocato sull’Arno con tanti ospiti illustri, temi interessanti e attuali, riflessioni politiche, immersione nell’arte antica e contemporanea. Come già l’anno passato, l’attuale edizione è stata aperta dallo scrittore Alessandro Baricco che ha tenuto una conferenza nella Sala Cinquecento di Palazzo Vecchio. Il suo intervento, intitolato significativamente “Le parole esatte da cui ricominciare”, si è composto di una breve panoramica sul contesto socio-politico italiano (e globale) per poi concentrarsi, appunto, su quelle che per l’autore sono le quattro parole da cui può scaturire il cambiamento e la modernizzazione del nostro Paese. “Perché il cambiamento non può non iniziare dalle parole”. Innanzitutto: educazione. Si deve partire dall’educazione, dalla trasmissione del patrimonio culturale di una società alle nuove generazioni e dall’apprendimento continuo durante il corso vitale. In particolare si individuano tre medium incaricati di tal compito: la famiglia/scuola, la televisione/i media in generale, il gruppo dei pari. Ciò che è importante, e che è mancato al sistema scolastico negli ultimi decenni secondo Baricco, è che i ragazzi vengano incentivati ad esprimere al 100% il loro potenziale. Bisogna abbandonare un sistema scolastico unidirezionale, lineare, conformista, in cui a tutti vengono insegnati gli stessi concetti, nello stesso ordine e attraverso gli stessi metodi; è necessario che ognuno possa recepire in maniera differente le nozioni e che possa esprimere liberamente ciò che è, ciò per cui è portato, e sfruttare al meglio tutta la sua intelligenza. Quest’impostazione deriva anche dalla consapevolezza che il contesto sociale nel quale le giovani generazioni si inseriscono è completamente diverso da quello del passato e che l’educazione attuale fornisce: soprattutto con riferimento ai new media si passa da una retta ad una mappa; il contesto cognitivo è sempre più complesso, si recepiscono sempre più informazioni ed è il soggetto, in maniera reticolare e attiva, a rapportarsi ad esse– scegliendole, selezionandole, interiorizzandole. Altro aspetto su cui lo scrittore si è soffermato è quello del digital divide e dell’alfabetismo digitale: negli anni duemila non è tollerabile che buona parte della popolazione non sappia utilizzare in maniera adeguata i nuovi media, bisogna “imparare a leggere e scrivere una seconda volta”. Sicuramente sarà una sfida estremamente difficile, ma cionondimeno fondamentale per l’Italia di domani. Secondo: cittadinanza. Il termine cittadinanza deriva da città, che deriva da

polis, la forma di organizzazione politica introdotta dai greci tra il settimo e il quinto secolo a.C. La polis si colloca a metà strada tra la dimensione macro e quella micro: da un lato i vasti e sterminati imperi, i regni dell’antica Roma; dall’altra i villaggi e i piccoli gruppi di nomadi. Per come lo intende l’autore, il concetto di polis è sinonimo di comunità: un gruppo sociale ristretto, coeso, con norme e valori propri che lo identificano. Uno dei temi su cui più si è discusso recentemente è se l’Italia sia o meno una nazione, se cioè gli italiani abbiano sviluppato un senso di appartenenza, di cittadinanza, di far parte di una polis. La posizione di Baricco è che, specie negli ultimi vent’anni, abbiamo perso di vista le motivazioni che spingono gli individui a scegliere l’aggregazione sociale anziché la solitudine e l’isolamento. Queste motivazioni sono la solidarietà e la meritocrazia. La solidarietà – “sentite come suona bene, è così fluida” – indica il fatto che nessuno sarà solo, che nessuno verrà lasciato indietro, che i più deboli saranno sostenuti – “bisogna però vedere se i più deboli lo sono davvero”. La meritocrazia – “che invece ha un suono aspro, cattivo” – indica che i migliori verranno scelti per guidare e indirizzare ogni ambito sociale, politico ed economico. Nel nostro Paese la solidarietà è molto praticata, spesso con esiti distorti come nel caso del clientelismo e del familismo; la meritocrazia è, al contrario, praticamente sconosciuta. Bisogna quindi recuperare la consapevolezza delle ragioni che ci spingono a stare insieme e battersi affinché vengano applicate, a partire dalla vita di tutti i giorni fino ad arrivare al sistema politico – “non sarebbe male ad esempio che ci restituissero il diritto di scegliere i nostri rappresentanti”. Ciò che conta però è che ci sia equilibrio nella meritocrazia: non si devono esaltare e mitizzare i più meritevoli o, al contrario, condannarli secondo schemi di classe, ma al contrario mantenere un atteggiamento di distacco e responsabilità. In terzo luogo abbiamo la cattiveria. L’autore fa una lunga precisazione: la cattiveria dev’essere intesa non in senso negativo ma positivo, in termini di determinazione, coraggio, sopportazione del rischio. Dobbiamo essere in grado di metterci in gioco, di spingere verso il cambiamento, di abbandonare porti sicuri per lidi sconosciuti. Dobbiamo essere abbastanza cattivi da mettere una fine a quelle cose che non funzionano più e riprogettarle daccapo. Questo comporta l’assunzione di responsabilità, enormi costi e rischi giganteschi. L’esempio fatto è quello della chiusura dei manicomi: certo, con quella legge centinaia di persone si sono trovate in mezzo alla strada, molti hanno perso il loro posto di lavoro, sono stati in qualche modo sprecati soldi pubblici, le famiglie dei malati non sapevano più come – e dove – curarli. Ma il progres-

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so nelle scienze ha permesso di cambiare il modo di vedere la pazzia, non considerandola più semplicemente una malattia ma un diverso e originale frame interpretativo della realtà; e questo rendeva obsolete quelle strutture. Quindi, con una scelta coraggiosa, si è deciso di chiudere i manicomi e fare un passo avanti. Questa cattiveria si è assopita, si è trasformata in buonismo, in rassegnazione. La stessa informazione porta a questo risultato: da quando siamo tutti convinti che la nostra vita si basi sul PIL e che l’unica ricchezza sia quella economica, da quando c’è poco lavoro e quel poco che c’è è precario, da allora abbiamo perso la voglia di mobilitarci e agire per migliorare noi stessi e il mondo che ci circonda. Il rischio, naturalmente, comporta il pericolo del fallimento: nella cultura statunitense il fallimento viene valorizzato, in quanto sinonimo di forza di volontà e caparbietà – come a dire che ti sei messo in gioco e c’hai provato. In Europa, al contrario, spesso al fallimento è associata un’idea negativa, distorta, dispregiativa. Sarebbe opportuno quindi, da questo punto di vista, che abbandonassimo questa concezione per abbracciare la prima. Dobbiamo quindi tornare a prendere dei rischi e, se necessario, a rompere con il passato per gettarci nel futuro. “Io vengo da una famiglia cattolica e da un ambiente di sinistra”, dice, “in cui il buonismo dominava. Ecco, dopo i miei quarant’anni ho capito che bisognava essere cattivi con il mondo. E non è stato facile: non ho avuto maestri di cattiveria, ho dovuto imparare da autodidatta”. Infine: la speranza. Speranza non nell’accezione comune del termine ma nel senso indicato da Ernst Bloch nell’opera “Il principio speranza”. Bloch era convinto che il mondo fosse mosso da una qualche volontà che lo spingeva verso il progresso, l’evoluzione e il continuo miglioramento. Riteneva che questo principio-motore fosse, appunto, la speranza: in maniera del tutto naturale il principio speranza ha portato il mondo al perfezionamento e, affinché l’Italia possa ripartire, è necessario che esso torni ad animare le azioni di ognuno di noi e della comunità nel suo complesso. La speranza racchiude in sé le precedenti parole chiave: il progresso, l’apertura al futuro, il miglioramento passano attraverso la speranza e non possono realizzarsi senza di essa. Sono tante le persone che, nel loro piccolo, si battono perché la situazione migliori, sono tante le persone che hanno a cuore le sorti della propria città, del proprio Stato o del mondo intero. Bisogna che siano messe nelle condizioni di agire, con coraggio e cattiveria, affinché si esca da una condizione di stallo durata troppo a lungo e si entri in una nuova era. La speranza, così intesa, è stato ciò che ha fomentato le grandi rivoluzioni del passato: oggi non si vedono più rivoluzioni di tale portata ma, dice Baricco, se ne sente profondamente la necessità.

Autore: Daniele Studente universitario speranzoso di diventare giornalista. “Chitarrista” a tempo perso; vive di musica e libri. Pensatore fallito. Agnostico praticante. “[...] And I will spend the rest of forever trying to figure out who I am”.

http://italianvoices.altervista.org

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RUBRICA GASTRONOMICA : cubotti al cioccolato e birra INGREDIENTI PER 20 CUBOTTI 225 gr Farina 00 225 gr Burro 100 gr Cacao in polvere 350 gr Zucchero di canna 4 Uova 100 gr Pinoli 400 ml birra rossa 16 gr Lievito

Mettete in una planetaria munita di frusta, in alternativa potete utilizzare anche uno sbattitore elettrico, il burro ammorbidito a temperatura ambiente e aggiungete lo zucchero di canna (4), azionate la planetaria e lavorate il tutto fino a ottenere un composto cremoso. Unite le uova una alla volta, sempre con la planetaria in azione, facendo attenzione ad aggiungere l'uovo successivo solo quando il predente sarà stato completamente assorbito nell'impasto; aggiungere farina insieme al lievito e al cacao amaro setacciandoli, fino ad ottenere un impasto omogeneo e cremoso. Versate a filo la birra , sempre con la planetaria in azione. Infine aggiunte i pinoli e lavorate per un altro paio di minuti l'impasto. Imburrate e foderate con carta forno una teglia rettangolare, e versate all'interno l’impasto della torta in modo omogeneo. Infornate in forno statico già caldo a 180° per 1 ora e 10 minuti (160 gradi per 1 ora in forno ventilato) quindi sfornate la torta e lasciatela raffreddare. Il risultato sarà questo:

Autore: Mauro Mauro Aka Various (13 febbraio1987) è un informatico valtellinese, attualmente codirettore del OUReports. Sognatore incazzato. Prova un amore folle verso gli animali e ne possiede di diverse specie. Scrivere è per lui uno sfogo,

Ora non vi resta che ritagliarla in cubotti e goderveli sul divano davanti a un bel film e ad una birra rossa ghiacciata.

un momento di riflessione fra se e il mondo che sta dentro di lui.

www.tamalife.com

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