Anno 02 Numero 08 - Sport

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sommario 04

EDITORIALE: DOMANDE SPARSE

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ANY GIVEN SUNDAY

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ASURA’S WRATH

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L’INDIVIDUALITÀ NELLO SPORT

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GLI IMPIANTI SPORTIVI: CROCE E DELIZIA DELLA NOSTRA CIVILTÀ

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QUARANT’ANNI DALLA STRAGE DI MONACO

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TEDOFORO DI UNA NOTTE DI PIENA ESTATE

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METAMEDICINA ED EMOZIONI

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PASSEGGERI DISTRATTI

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06 12

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sommario

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INTERVISTA A SANGUEBLUES

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HORROR CONTEST

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ZITELLA FELICE

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PALESTRA TIME!

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MEMÉ CALCISTICO

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REBUS CALCISTICO

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editoriale

DOMANDE SPARSE Domande sui giochi olimpici Vogliamo che sempre gli stessi atleti collezionino medaglie? Quanto guadagna in media un nuotatore all’anno? L’atleta ha una complessità psicologica oppure è un ammasso di muscoli? Fai vita da atleta: è giusto crollare psicologicamente per qualche centesimo di secondo? Gli atleti rispecchiano il proprio popolo tramite lo sport? Nella corsa i bianchi sono diversamente abili rispetto ai neri? Autore: Galdo

I primi giochi olimpici si fecero per venerare gli Dei. Negli ultimi cosa si venera?

Marco aka Galdo, del clan

Gli atleti camerunensi scomparsi, probabilmente imboscatisi per restare in Inghilterra, sono scorretti?

Esposito. Convinto assertore della diceria secondo la quale “Un animo nobile titaneggia nel più piccolo degli uomini” (Jebediah Springfield), intervista cani e porci. Architetto abusivo, studente paranoico, baseball player, alfiere della fratellanza, esecratore dell’arroganza.

http://galdo81.tumblr.com

Domande sul calcio I campioni che gli sceicchi ci rubano sono nostri? Quanti scandali calcistici ricordi? Quanti euro deve valere un calciatore per essere un acquisto importante? È giusto criticare il calcio moderno e invocare nello stesso tempo la prova TV? Non ci sono più le mazzate di una volta? Perché quando segnano si levano la maglietta e non i calzoncini? Insigne è costato al Napoli 1500 euro: perché non investire sulle giovanili? Avete tutto e rischiate col calcio scommesse: a dirla tutta siete dei personaggi affascinanti! Andiamo a fare shopping?

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recensione

Autore: Max Max alias Massimiliano: C’è perché c’è, fa quel che fa, è quel che fa. Talvolta riesce ad essere ciò che vuole. Talvolta è quel che è: Max, ma per pochi. Instabile, maneggiare con cura. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Il prodotto è composto da parti tossiche pericolose. Evitare il contatto con occhi e mucose, qualora questo dovesse avvenire contattare un medico. Non è un prodotto medicinale.

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Mr. Oliver Stone, o lo ami o lo odi. È vero, questa dovrebbe essere la recensione di Any Given Sunday (approdato sullo Stivale come Ogni Maledetta Domenica). È vero, c’è Al Pacino nella parte dell’allenatore Tony d’Amato e c’è Cameron Diaz che malinterpreta Christina Pagniacci (distorsione di Pagliacci… ma ci arriveremo). Il problema che sorge nel parlare di un film di Oliver Stone è che bisogna parlare assolutamente di Oliver Stone. Megalomane. Ed è giustissimo che sia così: il taglio personalissimo che riesce a dare alle sue pellicole, l’analisi disincantata della società e il dinamismo di tutto il reso finale sullo schermo permettono di individuare le caratteristiche principali di quello che si potrebbe definire lo Stone Style. Ma andiamo per ordine. Il regista è un fantarealista. Se vi sembra un ossimoro scopriremo che così non è. Per realismo si intende la capacità d’osservare il reale e di rappresentarlo. Fotografare un preciso istante storico, un fotogramma d’emozioni, azioni, riflessioni, sentimenti e consuetudini sociali e riproporlo in una pellicola magistralmente ambientata nell’epoca d’ispirazione. Ora immaginiamo d’avere una lente d’ingrandimento per osservare questa presunta istantanea del reale. O meglio del reale contemporaneo. Si mettono in luce elementi essenziali circa il moderno vivere, si isolano dal contesto e si analizzano come assunti assoluti. Si decontestualizzano per meglio comprenderli, così da denudarli, non snaturarli, ed esaltarli. Immaginiamo ora di disegnare un simil reale. Da foto a opera artistica. Un disegno, un’idea, un’immagine icasticamente tratta dalla nostra mente, ispirata dal reale e ad esso confacente ma distante tanto quanto la nostra immaginazione la rende unica ed irriproducibile da altri.


ANY GIVEN SUNDAY Fatto? Bene. (Visto, mi tocca accompagnarvi per mano neanche fossimo ad Art Attack!) Inseriamo nel nostro disegno quegli elementi estrapolati minuziosamente dalla foto. Inseriamo nello pseudo reale parti di vero, di vissuto, analizzati e compresi. Avete inteso cosa s’ottiene, no? Una pellicola eccezionale, non priva d’immaginazione ed interpretazione ma così concreta e comprensibile da renderla unica. Meglio di una foto: una riflessione amplificata. Perveniamo così a capolavori come Wall Street (prima e seconda parte) o al nostro film in questione. Non Alexander, vi prego no. Lo vedi e pensi “Wake me up before you go go!”. Troppo poco storico, troppo troppo fantastico. Ve l’avevo detto che Oliver Stone o lo ami o lo odi, bè a volte entrambe… Ritornando in tema dopo questa prolissa presentazione dell’artista parliamo brevemente dell’opera in questione. Any Given Sunday è la storia di una squadra di football con lo sport come sfondo e come collante giustificativo per tutte le trame narrative che si intrecciano. È come fare gossip con uno psicologo: vengono messe in luce dinamiche e situazioni al limite del vivibile ma altamente comprensibili. Depressione, ansia, ricerca del potere, utilizzo del potere, sfarzo, lusso e violenza, vizi e virtù… insomma tutto quello che lo sport professionista fa gravitare nella propria orbita e

nell’orbita dei personaggi più in vista esaltato da un Al Pacino perfetto e coerentemente nella parte. Un trascinatore, per ruolo interpretato e per capacità di incentrare su di sé l’intero girato. Arranca Cameron Diaz, fuori parte nella manager della squadra senza scrupoli e tutta vizi interessata a mandar fuori un allenatore vincente ma oramai datato o quantomeno con scadenza prossima. E chi vincerà alla fine? Il denaro che rende sordi gli uomini di potere o l’orgoglio dei concreti materialisti che s’arroccano sui loro risultati? Ma soprattutto: per chi tifare? Quali sono i buoni in questo film? A voi scoprire che non ci sono. Come nella vita vera… quanti santissimi casti, puri e perfetti avete incontrato? Spero, per voi, che siano tanti. Io fin ora ho incontrato solo “persone”. Max

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recensione

ASURA’S WRATH

Introduzione Quante volte ci è capitato di leggere un manga o di guardare un anime e desiderare ardentemente di vivere quei momenti potendone essere gli artefici? Beh se ancora non avete ucciso questo fastidioso tarlo nella testa che Autore: Leonida989 Leonida989 , Lorenzo , nato nel maggio dell’89. Uomo ramingo che vaga alla ricerca di qualcosa, precario cronico che vive alla giornata come il passero che non sa di cantare e il bambino che non sa di giocare. Spartano e amante della semplicità del vivere ha la pecca dell’essere nato nerd poi riconvertito alla “normalità”.

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vi porta a desiderare di prendere le redini di un manga e di trucidare voi stessi i nemici… dovete assolutamente leggere la recensione di Asura’s wrath, potreste finalmente trovare il modo di ucciderlo questo odioso tarlo!


Trama 9 Gameplay 8, un manga interattivo Asura’s Wrath è il lampante esempio di come sia possibile creare un manga giocabile. Durante la maggior parte dell’avventura si vestiranno i panni di Asura, semidio iracondo e burbero, che protegge insieme ai suoi 7 compagni (tutti insieme sono i “guardiani celesti”, sotto gli ordini dell’imperatore) il mondo dai Gohma, mostri dalle sembianze animali che seminano ciclicamente da millenni il caos tra gli umani; il loro “capo”? Vlitra, un essere mastodontico che risiede nel centro della terra e origina sempre nuovi Gohma e nuovi cicli di caos. Egli è immortale e non può essere distrutto, solo temporaneamente fermato per guadagnare tempo ed escogitare una soluzione definitiva, sperando che non torni più forte di prima, al punto da soverchiare quella dei guardiani. La storia inizia proprio con lo scontro epico tra Asura & co. e Vlitra, il quale è tornato per seminare morte e distruzione. Dopo mille peripezie proprio Asura sferra il colpo decisivo che rigetta Vlitra nelle profondità della terra, salvando anche stavolta gli umani. Da qui inizia la tragedia: Asura torna a casa e riabbraccia la moglie e la figlia Mithra, potente sacerdotessa che infonde forza ai guardiani e catalizza nel Brahamastra (arma divina costruita per eliminare definitivamente Vlitra) energia Mantra. Il condottiero non riesce nemmeno a godersi qualche minuto di riposo perché viene chiamato a rapporto dall’imperatore… Asura non sa che da li inizierà il complotto che lo porterà a un esilio di 12000 anni e a mettere a ferro e fuoco tutto ciò che lo circonda per ottenere la bramata vendetta, facendoci incontrare ottimi personaggi e conoscere la sua evoluzione interiore durata millenni. La particolarità di questa trama davvero molto intricata e coinvolgente è la struttura stessa del gameplay, che va a fondersi appunto con l’intreccio narrativo. Tutta l’avventura è divisa in 3 capitoli, ognuno dei quali a sua volta diviso in Kanda, e sembra quasi di vivere un manga in prima persona. Infatti i pochi momenti di vero e proprio gioco sono sparuti e costellati da quick time event che contribuiscono a rendere la sensazione di vivere una storia. Infatti sono più le ore di scene scriptate che illustrano i risvolti narrativi che quelle di gioco effettive. Insomma un manga interattivo che si lascia vivere coinvolgendo il giocatore grazie a spettacolari cut scene e qualche momento di combattimento vero e proprio. Multiplayer 1 non c’è un vero e proprio multi, ma… Sinceramente su un action puro non se ne sente proprio il bisogno. Tuttavia l’online ormai serve anche in giochi simili, per scaricare i dlc (contenuti scaricabili). Grossa pecca di questo titolo è appunto il taglio di interi Kanda e soprattutto del vero finale da parte di Capcom, per farceli riscattare a pagamento appunto tramite dlc. Una vergogna, nient’altro da aggiungere.

del titolo. Una colonna sonora epica e maestosa di stampo orientale ci farà da sottofondo mentre trucidiamo Gohma e ci avviciniamo alla bramata, millenaria, vendetta contro i traditori. I doppiaggi sono effettuati in 2 lingue tra cui scegliere: giapponese sottotitolato italiano o inglese sottotitolato italiano, ovviamente come qualità si consiglia di godersi il doppiaggio giapponese, che supera come qualità e voci quello nella seconda lingua più diffusa del mondo. Longevità 7 e innovazione 8,5 è stato bello finchè è durato… Altra grande pecca del gioco è la scarsa longevità, che si attesta sulle 6-8 ore (che si riducono a 1-2 ore o poco più di gameplay puro) e che lascia ben poco spazio alla rigiocabilità del titolo, visto che una volta finita la storia ricominciare (è difficile) sblocca giusto qualche trofeo e un Kanda aggiuntivo di durata abbastanza breve. L’innovazione invece è palese: in questa gen di sparatutto e sportivi, un gioco come questo, con queste peculiarità, è più unico che raro, non si è spesso visto un manga in cui immergersi completamente per assaporarlo in prima persona e contribuire a portare il nostro eroe sano e salvo verso l’epilogo. Conclusioni voto finale 7,8 un manga interattivo con fulcro la sua trama, minato da una politica aziendale della Capcom vergognosa. Ebbene sì, Asura’s Wrath è il videogame che potrebbe definitivamente uccidere quel fastidioso tarlo di cui si parlava in calce alla recensione. Un gameplay innovativo che si fonde perfettamente alla trama di alto livello di stampo mitologico orientale, una colonna sonora che accompagna la nostra avventura sposandosi perfettamente con i contesti di fronte ai quali il giocatore si trova, un doppiaggio in giapponese pregevole; un titolo innovativo quindi, nel mucchio di sparatutto che ormai hanno segnato i trend e gli standard dell’intera gen, che è stato forse troppo snobbato apposta per il suo essere diverso e giapponese in tutto e per tutto… tranne per… l’ingiusto taglio del finale ad opera della Capcom, un comportamento odioso, screditante e che si discosta molto dalla filosofia videoludica a cui il Giappone ci aveva negli anni passati abituati. Spendere 70 € per un gioco di 6-7 ore è gia di per sè un segno di passione per il videogiocatore, che viene poi tradito da Capcom quando una volta raggiunto il presunto epilogo si ritrova di fronte alla cruda realtà: vuoi sapere come finisce realmente? Vai sullo store e paga 8-9 € e lo saprai; vuoi vedere tutti i Kanda? Paga 2-3 € a Kanda e potrai goderteli. Vien da sè che il voto finale è stato appunto considerevolmente abbassato da questo scempio per un gioco che sarebbe stato senza alcun dubbio una grossa sorpresa di innovazione in una gen quasi alla sua fine.

Grafica 8,5 e sonoro 9 una colonna sonora colossale!!! La grafica non è nulla di nuovo, l’Unreal Engine ormai è un motore utilizzato per i giochi più disparati, soprattutto in occidente, ma va comunque fatto notare che Asura’s Wrath ha un qualcosa di unico, uno stile grafico e dei personaggi per cui si distingue da tutti gli altri giochi che usano il medesimo motore. Pregevole quindi e degno di nota in una generazione video ludica ormai agli sgoccioli che ci ha abituati a personaggi sempre più simili tra loro e a effetti grafici comuni per troppi videogames. Il sonoro è forse, dopo la trama di stampo mitologico orientale di cui possiamo godere, il punto di forza più grande

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tema:sport

L’INDIVIDUALITÀ NELLO SPORT Occorre in principio precisare cosa intendo per individualità: il pensiero, l’istinto, il carattere e la fisicità del singolo giocatore. Queste qualità si esprimono nello sport attraverso il gesto. Il giocatore utilizza i suoi propri mezzi per il conseguimento della vittoria, questo attraverso gesti che mirano, istante dopo istante, alla ricerca della situazione migliore per lui o per la sua squadra. Autore: Luca Luca: studente di ingegneria per professione, mente matematica per predisposizione, poeta fallito per vocazione. Classe ’90, quasi ’91: nato precisamente il 28 Dicembre 1990. Sognatore irriducibile, innamorato, felice (ora). Giocatore di pallacanestro, se preferite basketball, ex tennista praticante ora la più economica versione da tavolo. Segni particolari: supercazzola sempre pronta, tendenza a coltivare la propria barba. Indole pacifica e socievole, con tendenza alla buffoneria.

http://www.half.adbjournal.com

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Spesso si tende a precisare -e a differenziare- l’importanza del singolo giocatore a seconda che si stia parlando di uno sport individuale o di squadra. Tutti siamo convinti che l’importanza di un singolo giocatore durante una partita di calcio è la stessa che ha durante una partita di pallanuoto o di basket o di qualsiasi altro sport di squadra. Mentre si tende a pensare che il tennista, il corridore, e chiunque altro gareggi “in solitaria” debba avere un’individualità completamente differente. Io credo invece che non ci sia alcuna differenza. Costruirò il discorso avvalendomi di due esempi pratici: il tennista e il playmaker di una squadra di pallacanestro (per chi non lo sapesse il playmaker è “il regista”, colui che porta palla e costruisce il gioco). Utilizzerò questi esempi per semplicità soggettiva. Il tennista entra in campo e già dal gesto di posare le borse deve essere concentrato. La partita non si gioca su ogni singolo punto, ma su ogni singolo colpo. Questo è facilmente osservabile. Sbagliare di dieci centimetri il lancio della pallina, la posizione dei piedi o del corpo all’interno del campo, equivale ad avvantaggiare l’avversario. La decisione giusta nel momento giusto coadiuvata dal colpo eseguito perfettamente ci consente un vantaggio, al contrario l’errore decisionale è


fatale come l’errore di esecuzione. Il tennista non può decidere nell’istante cosa fare, ma bensì deciderlo qualche secondo prima. Il tennista sa che dopo la battuta andrà a rete oppure indietreggerà di qualche passo. Chi riceve la battuta sa che la palla andrà verso destra già da come si alza la palla l’avversario. Tuttavia il tennista possiede un margine di errore non trascurabile. Il tennista può permettersi di condurre qualche scambio senza una tattica precisa, per prendere tempo. Ovviamente se i suoi colpi sono all’altezza. Oppure può concedersi qualche piccola imprecisione del colpo, ma solo se sta applicando una strategia efficace. E questo vale in genere per tutti gli sport individuali. Certo, probabilmente la distinzione tra tecnica e strategia non è universale, ma potrete trovare indicatori simili per tutti gli sport. Il playmaker sembra essere un atleta completamente diverso. Invece anche lui deve entrare in campo concentrato fin da subito. Importantissima è una buona difesa, perché recuperare palla, oltre ad evitare il canestro avversario, regala la possibilità anticipata di farne uno alla propria squadra. I compagni, all’inizio dell’azione, cercheranno il playmaker e lui dovrà condurre il gioco fino all’area avversaria. La sua responsabilità, in questo frangente, è paragonabile al buon posizionamento del tennista: è il principio dell’azione. Il pressing avversario non deve impedire al playmaker di mantenere il possesso della palla e di essersi fatto un’immagine ben precisa del posizionamento e dei movimenti dei compagni e degli

avversari. A questo punto dovrà valutare la situazione: c’è un compagno libero? C’è spazio per andare a canestro direttamente? Chiamo un blocco per creare gioco o cerco un compagno fuori area per consentire il tiro? Chi dei miei compagni è più utile servire? E in che modo? Un passaggio sbagliato equivale a perdere la palla. Perdere la palla nel basket è come far fare punto all’avversario nel tennis. Un passaggio giusto può regalare un grande vantaggio, magari il canestro. Anche qui devono essere amalgamate una giusta strategia ad una corretta esecuzione e anche qui esistono margini di errore, perché c’è l’aiuto dei compagni. Come vedete non sussiste grande differenza tra il ruolo individuale nello sport individuale e nello sport di squadra. L’errore del singolo porta inevitabilmente all’errore della “squadra”.

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tema:sport

GLI IMPIANTI SPORTIVI: CROCE E DELIZIA DELLA NOSTRA CIVILTÀ

Sono i luoghi dove la passione per lo sport raggiunge l’apice. Vi si mette a frutto le ore passate in allenamento, mesi ed anni se si considerano discipline come quelle di atletica leggera. In questi impianti sono manifestati esempi di strutture veramente innovative, come la copertura dell’Olympiastadion di Monaco di Baviera, progettata nei primi anni ‘70 da Frei Otto in collaborazione con l’Istituto per le strutture portanti leggere dell’Università di Stoccarda tramite uno studio sul comportamento del filo di ferro con le bolle di sapone: geniale! Era un modo di coprire grosse superfici utilizzando poche risorse, sfruttando la rigidezza per forma di alcuni materiali – il plexiglass in questo caso.

Autore: Galdo Marco aka Galdo, del clan Esposito. Convinto assertore della diceria secondo la quale “Un animo nobile titaneggia nel più piccolo degli uomini” (Jebediah Springfield), intervista cani e porci. Architetto abusivo, studente paranoico, baseball player, alfiere della fratellanza, esecratore dell’arroganza.

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Ma veniamo ai giorni nostri: i cervelli dei progettisti sono concentrati molto sull’involucro, cercando nel migliore dei casi di creare un’immagine di creatività ed avanzamento tecnologico. Il Bird Nest di Pechino ne è l’esempio lampante. Ma quanto costa creare un’immagine di questa portata? 325 milioni di euro, un’enormità considerando che se guardo questo stadio mi viene in mente una ricetta di cucina cinese. Può darsi che i progettisti – gli svizzeri Herzog & De Meuron – abbiano avuto quest’idea mentre nel loro studio di Basilea mangiavano cinese a domicilio.


Stessa perplessità mi è venuta guardando il rivestimento color ambra dello stadio di Danzica che ha ospitato gli ultimi europei di calcio. Guarda caso Danzica è conosciuta per l’ambra e i progettisti sono tedeschi: sarà stato facile per questi signori fare una ricerca in internet e scegliere il colore “tipico”, “pittoresco” quasi.

Strana sorte è toccata allo Stadio Chivas, in Messico: progettato da uno studio francese, ha addirittura la forma di un vulcano, trovandosi nel Jalisco, territorio vulcanologicamente attivo; anche qui, credo, Google ha i suoi meriti: la popolazione ha dovuto subire anche questo sfottò.

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Ma a proposito di scimmiottamenti, l’oscar va al Mbombela Stadium, costruito in occasione dei mondiali di calcio in Sudafrica: ha i pilastri a forma di giraffa e i sediolini zebrati. L’idea degli architetti è stata di “maximize the African-ness”. Massimizzare l’africanità? E i dromedari che vi hanno fatto? Avete qualcosa contro i lemuri?

Lo Stadio Olimpico di Londra, ammirato in queste Olimpiadi, è a forma di corona: c’è qualcosa di più banale di questo?

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Meno male che in Italia abbiamo educazione estetica. Bisogna ammetterlo: gli esempi esteri, a parte qualche eccellenza come l’Olympiastadion sopracitato, sono un po’ cafoncelli. Gli ultimi stadi costruiti nel Bel Paese possono lasciarci soddisfatti. Il San Nicola a Bari, progettato da Renzo Piano, ha una forma strutturale particolare, volgarmente detta “sella”. Ha inoltre grossi tagli verticali negli spalti che lasciano intravedere l’interno con gusto voyeuristico: l’idea è architettonicamente valida ed emozionante.

Meno emozionante ma esteticamente corretto è il nuovissimo stadio della Juventus, la cui copertura è retta da quattro pennoni e svariati tiranti d’acciaio che le conferiscono una sensazione di leggerezza. È inoltre il primo stadio “privato”, non comunale, d’Italia.

Pare che anche l’Inter voglia mettersi al passo in tal senso, ma la burocrazia e la normativa nel Bel Paese non hanno la stessa brillantezza del gusto estetico, a quanto pare.

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attualita’

QUARANT’ANNI DALLA STRAGE DI MONACO

Il 4 settembre 1972 undici atleti israeliani furono uccisi da un corpo di spedizione palestinese in seguito ad uno degli attentati che più ha impressionato il mondo dalla seconda guerra mondiale in poi. La vicenda ha fatto il giro del mondo e fu uno tra i primi avvenimenti ad essere trasmesso dalle televisioni attraverso il satellite. In queste poche righe a mia disposizione – purtroppo – non posso riassumere una vicenda così complessa e delicata come la questione palestinese: basti sapere che Israele venne istituito con la Risoluzione n° 131 dell’ONU nel 1947, in seguito alle promesse fatte già a inizio secolo dall’Inghilterra e poi dagli USA. Gli stati arabi che non ne volevano la nascita, Egitto e Siria in testa, si lanciarono in diversi attacchi terroristi contro la nuova nazione, la quale reagì occupando diversi territori - andando ben oltre i confini che le erano stati attribuiti e impedendo di fatto la costituzione dello stato palestinese - e attaccando gli Stati vicini. Autore: Daniele Studente universitario speranzoso di diventare giornalista. “Chitarrista” a tempo perso; vive di musica e libri. Pensatore fallito. Agnostico praticante. “[...] And I will spend the rest of forever trying to figure out who I am”.

http://italianvoices.altervista.org

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L’antefatto – Nel luglio del ’72 tre esponenti dell’organizzazione terroristica “Settembre Nero” si ritrovarono in un bar di Roma per discutere di un precedente attentato fallito: il dirottamento di un aereo in volo verso Tel Aviv. Per risollevare la causa palestinese era necessario compiere un altro gesto clamoroso: appresa la notizia che il CIO non aveva autorizzato la partecipazioni alle Olimpiadi che si sarebbero tenute a Monaco, gli uomini decisero che proprio quello sarebbe stato il loro bersaglio. I membri del commando furono reclutati in gran parte nei campi profughi aperti in Siria e in Libia e addestrati soprattutto alla lotta corpo a corpo; nessuno di loro era informato dell’obiettivo della spedizione. Arrivarono nella Germania occidentale pochi giorni dopo l’inizio della competizione olimpica con un carico di Kalashnikov, pistole e bombe a mano, dopo aver eluso senza problemi le sorveglianze all’aeroporto di Francoforte. Fingendosi di nazionalità brasiliana e tifosi della delegazione sud americana


riuscirono ad accedere alle strutture preparate per l’occasione e a visitare, senza destare il minimo sospetto, l’intero palazzo in cui risiedeva il team israeliano: in tal modo studiarono l’intero posto nei minimi dettagli e organizzarono la dinamica dell’attentato, optando per un assalto dal piano terra per eliminare le possibili via di fuga. La sera del 4 settembre i terroristi si riunirono per l’ultima volta: l’obiettivo era quello di prendere come ostaggi alcuni membri della squadra israeliana, senza però ucciderli. Le armi sarebbero state usate solo in caso di difesa e come strumento di pressione nei confronti delle autorità. La dinamica - Grazie anche allo scarso livello di sicurezza – il governo tedesco intendeva evitare mobilitazioni che ricordassero la militarizzazione hitleriana – e con la collaborazione di alcuni ignari atleti americani un po’ alticci, il gruppo, costituito da sette militanti più un coordinatore, riuscì ad introdursi nel residence. Le modalità dell’ingresso nel palazzo non sono ancora state chiarite – i terroristi potrebbero aver scassinato le porte o, secondo altri, si sarebbero introdotti con gli aiuti forniti dalla Germania dell’est -, ma alle 4:30 del mattino il gruppo tentò di fare irruzione nel primo appartamento. I rumori svegliarono Yossef Gutfreund, arbitro di lotta greco-romana, che riuscì a bloccare la porta col suo corpo e lanciò l’allarme. Questo consentì ai suoi compagni di squadra di fuggire dalla finestra prima che i terroristi riuscissero a sfondare la porta; nel frattempo erano

stati fatti quattro prigionieri e il gruppo si divise: due rimasero a sorvegliare gli ostaggi, gli altri cinque proseguirono nell’inseguimento di Moshe Weinberg che li spingeva verso le stanze dei pesisti e dei lottatori, sperando probabilmente di sfruttarne la forza fisica. In questo modo però anche gli altri sei atleti furono catturati e trasportati al pian terreno. Uno di loro tuttavia decise di tentare il tutto e per tutto: Gad Tsobari riuscì a liberarsi e a fuggire passando per una porta laterale tra una nube di proiettili. Durante la colluttazione un pesista ruppe con un pugno la mascella di un terrorista e venne ucciso. Un altro atleta, Yossef Romano, tentò di ribellarsi ma venne fermato e ucciso – anche se c’è il sospetto che sia stato ferito e poi torturato fino alla uccisione. Il suo cadavere venne messo nella stessa stanza in cui si trovavano gli ostaggi, come monito. La donna delle pulizie, uditi gli spari, diede l’allarme. Arrivate sul posto le forze armate fermarono un terrorista, dal quale non ottennero informazioni. In compenso il cadavere di Weinberg venne gettato dalla finestra insieme a due fogli: vi si chiedeva la liberazione, entro le nove, di 234 detenuti palestinesi e di due tedeschi. In caso contrario avrebbero ucciso un ostaggio per ogni ora di ritardo e ne avrebbero gettato i cadaveri in strada. Nonostante quanto accaduto i giochi proseguirono regolarmente la mattina dopo per essere interrotti solo il pomeriggio. L’unità anticrisi tedesca si mise in contatto col governo israeliano per cercare una soluzione: la decisione di quest’ultimo

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fu però di completa intransigenza. Le autorità dovettero quindi trattare con gli attentatori, i quali accettarono di posticipare l’ultimatum alle 12. Vista l’impossibilità di raggiungere un accordo vennero elaborati diversi piani: inizialmente si pensò di diffondere veleno attraverso i condotti dell’aria; successivamente alcuni militari tedeschi si travestirono da cuochi e cercarono di introdursi nel palazzo. Entrambi i tentativi, tuttavia, fallirono. L’ultimatum venne spostato ancora alle 17: i terroristi sapevano infatti di avere gli occhi e le telecamere di tutto il mondo puntati addosso e cercarono così di ottenere visibilità e difendere la loro posizione. Una squadra della polizia cercò di introdursi nell’edificio passando dai canali di ventilazione ma l’operazione fu interrotta: anche i terroristi guardavano la televisione presente nella stanza e minacciarono l’uccisione degli ostaggi. Mentre si posticipava ancora una volta il termine delle trattative, adesso alle 21, i terroristi chiesero di essere trasferiti in Egitto e di continuare le trattative dal Cairo – tuttavia Sadat, presidente egiziano, rifiutò di collaborare. Le autorità decisero di tentare il tutto e per tutto: acconsentirono al trasferimento al Cairo e fecero atterrare due elicotteri che li avrebbero portati all’aeroporto più vicino. L’obiettivo era di fermare i terroristi durante il tragitto o una volta giunti all’aeroporto: all’interno dell’aereo alcuni membri della polizia si sarebbero travestiti da membri dell’equipaggio, mentre tutto il piazzale venne prontamente circondato di cecchini; poco lontano erano appostati i blindati. Entrambe le operazioni furono annullate: in particolare la seconda sarebbe stata estremamente pericolosa, dato che una colluttazione nel velivolo avrebbe portato sicuramente alla sua esplosione. Le uniche speranze a quel punto erano riposte negli agenti di polizia che circondavano il piazzale, sebbene male equipaggiati, non informati, senza nessun tipo di coordinazione e, soprattutto, non essendo stati addestrati come tiratori scelti – bisogna ricordare infatti che erano ancora in vigore le condizioni di smobilitazione imposte dagli alleati al termine della guerra. Gli elicotteri atterrarono alle 22:30 circa, e fu allora che la situazione precipitò: i terroristi si resero conto che si trattava di una trappola e iniziarono a sparare verso i poliziotti e verso i fari che illuminavano la pista. Nello stesso tempo si registrò una serie di errori fatali: l’elicottero che trasportava i rinforzi atterrò sul lato opposto della pista rallentando le operazioni di soccorso, la folla di giornalisti e curiosi impedì l’arrivo dei

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blindati, una pattuglia sbagliò destinazione e rimase coinvolta in un incidente. Nel frattempo non andarono a porto i tentativi di ultimatum lanciati dalle forze dell’ordine mentre i blindati raggiungevano, con un’ora e mezzo di ritardo, il luogo dello scontro. I terroristi, vistisi spacciati, spararono agli ostaggi che si trovavano negli elicotteri e ne fecero esplodere uno prima di lanciarsi in un disperato attacco verso le forze armate. Alcuni sostengono che diversi colpi delle truppe tedesche colpirono gli israeliani. Tre terroristi vennero catturati mentre il quarto morì in seguito ad una colluttazione. All’1:30 del 6 settembre tutto era finito. Il seguito - Quando ancora lo scontro era in atto venne diffusa la notizia che i terroristi erano stati catturati e gli ostaggi salvati. In molti Paesi l’informazione comparve nei giornali e nei telegiornali, che furono costretti a smentire poche ore dopo. Le Olimpiadi ripresero dopo una cerimonia e si decise di tenere le bandiere a mezz’asta. Il 9 settembre gli aerei israeliani bombardarono i campi palestinesi in Siria e in Libano, mentre il 29 ottobre un commando dirottò un aereo destinato ad Ankara chiedendo la liberazione dei responsabili della strage. Successivamente si scoprì che l’operazione era una farsa inscenata dall’esercito tedesco per tirarsi fuori da eventuali attacchi palestinesi nei suoi confronti. Alcuni mesi dopo il governo israeliano diede il via all’iniziativa “Collera di Dio” per colpire alcuni soggetti ritenuti vicini agli otto palestinesi. Due soli riuscirono a sopravvivere e sono morti pochi anni fa. L’attentato contribuì ad inasprire ulteriormente una situazione già tesa, coinvolgendo in maniera più forte altri stati – in particolare la Giordania, dalla cui iniziativa contro i profughi palestinesi i terroristi presero il nome “Settembre nero”, e il Libano – e allontanando l’ipotesi di una soluzione del conflitto. Nonostante alcuni esempi di distensione a partire dagli anni ’90, dagli accordi di Camp David in poi, la questione rimane ancora aperta. Poco dopo l’inizio dei giochi di Londra il CIO ha riconosciuto il diritto alla Palestina ad avere una sua delegazione alle Olimpiadi che, agli occhi dei sostenitori della causa, sembra anticipare il pieno riconoscimento alla nazione palestinese.


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smile zone

Tedoforo di una notte di piena estate Londra, 27 luglio 2012. Per strada la festa è un crescendo. Caroselli di bandiere colorate inondano la città. All’interno dello stadio, la cerimonia d’apertura entra nel vivo. Volteggia orgoglio britannico da ogni testa presente. Solo un uomo se ne sta in disparte, l’espressione corrucciata del suo viso non lascia trapelare alcuna buona intenzione.

Autore: Dario Caldarella Dario, bello e dannato, vive di luce propria. Disperato, intellettuale, ubriacone. Cercatore di stimoli e stimolatore di cerche, aspirante ludolinguista, chiuso in una parentesi graffe...

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Stratford-upon-Avon, 10 Novembre 1974. Il giovane Nick ha un sogno: essere tedoforo delle prossime olimpiadi inglesi. Per raggiungere questo obiettivo, il ragazzo cerca di impegnarsi nello sport. L’atletica si beffa di lui, la boxe lo deride, i giochi di squadra lo umiliano. Il risultato è univoco e inequivocabile: Il giovane Nick non è portato per lo sport, anzi è un vero e proprio asino. Londra, 20 luglio 2012. Nick, ormai uomo di mezza età, ha appena acquistato una maschera da asino. La sua vendetta nei confronti dell’universo olimpico avrà presto un compimento. Una smorfia amara sfiora gli angoli della sua bocca segnata dal tempo. Suda, sa che tutto ciò avrà delle ripercussioni. Tira un lungo sospiro ed esce dal negozio.


Londra, 9 giugno 1982. Un ragazzo ha appena subito l’ennesima sconfitta. - Coraggio Nick, sapevi anche tu di non poter competere! Gli occhi si riempiono di lacrime, trattenute a fatica dai mille arricciamenti del naso. Nick sta per scoppiare, una volta di più ha capito di non essere tarato per fare lo sportivo. - Ti conviene fare come tuo padre, hai un’ottima azienda pronta ad accoglierti. Stratford-upon-Avon, 20 Marzo 1997. Nick è un uomo di discreto successo ormai, ha una fabbrica tessile e una famiglia alle spalle. È appena nato il suo secondogenito, il piccolo Puck. Stringe forte la manina del pargolo, ormai ha accantonato il suo sogno, è riuscito a superare quell’ossessione imperante. Stratford-upon-Avon, 6 Luglio 2005. - Papà, papà. Faranno le olimpiadi a Londra tra 7 anni! La voce di Puck rintrona letteralmente Nick. Lo stato di trance che lo avviluppa gli fa riaffiorare il progetto primordiale, la voglia di portare quella fiaccola olimpica. Non tutto è perduto! Ormai è un uomo, ha diversi contatti che possono aiutarlo nella sua impresa, ce la può fare! Londra, 10 gennaio 2011. La triste conferma è arrivata, Nick non rientra nella lista dei tedofori. Nonostante le sue mille telefonate supplichevoli e le sue lettere insistenti, non è riuscito nel suo intento. Piange, piange come un bambino che si trova faccia a faccia con la prima sbucciatura. Piange lacrime amare. Nel silenzio di una città dormiente, giura vendetta. Londra, 27 luglio 2012. Danzano le diverse comparse, danzano e si intersecano in un calderone di emozioni. A un tratto un uomo con la testa da Asino invade la scena, si trascina al centro dello stadio e tira a sé un microfono, strappandolo a una cantante. - Io sono Nick Bottom, l’asino – dichiara, con voce tonante e sgraziata allo stesso tempo – io sono il simbolo dell’uomo distrutto dallo spirito olimpico. Il silenzio che si viene a formare dura il tempo di un respiro. Le danze riprendono, il microfono sfugge, le comparse lo tirano via tra gli applausi dello stadio. Stratford-upon-Avon, 28 Luglio 2012. …Lodevole anche il tributo a uno dei personaggi più amati della drammaturgia shakespeariana, quel Nick Bottom anticonformista e asino, che si scaglia contro l’agglomerato olimpico… Nick si ritrova gabbato, gabbato da un soprannome, gabbato dall’omonimia, gabbato da un sogno che in una notte di piena estate gli è scivolato via, ragliando a squarciagola.

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“Sii libero, senza limiti, che si possa essere tutt’uno, guariti e uniti. Giacchè se aspettiamo che questo ci venga da qualcun altro soffriremo, e solo per questo, perché il desiderio porta la sofferenza e l’amore porta la gioia” (J.W. Anglund) 22


Metamedicina ed Emozioni Vorrei parlare con il cuore a tutte quelle persone che passeranno qui e leggeranno questo piccolo scritto. A tutte quelle persone che stanno male, che si sentono insicure, che non sono soddisfatte della propria vita, che non gli va “mai bene niente”. Vorrei condividere con voi tutte le parole che scriverò qui. A tutte le persone che pensano che le cause dei loro mali vengano da fuori vorrei dire che no, non è così. Sin da piccoli siamo organo di senso, che mano a mano si sviluppano sino a diventare persone in grado di percepire Sensazioni... sino ad avere e sentire delle grandi Emozioni. Bisognerebbe insegnare a gestire le emozioni così come si insegna a leggere e scrivere. Tutti pensano all’educazione del cervello ma pochi a quella dell’animo. A tutte quelle persone io vorrei dire una cosa: imparate a controllare e gestire le vostre emozioni. Durante il corso della giornata siamo invasi da tantissime emozioni: rabbia, gioia, gratitudine, dolore. Ma ciò che rende negative queste emozioni e che ci fa davvero tristi è il pensiero che noi facciamo sopra. Quante volte pensate in maniera negativa quando non c’è assolutamente bisogno? Quante volte vi rovinate la giornata per una cosa stupida? I fatti presi singolarmente non fanno male, è il nostro pensie-

Autore: Federica Studentessa all’ultimo anno del Liceo quasi pronta per l’Università, amante della Filosofia e Pedagogia. Appassionata di Libri e Fotografia. Insomma...appassionata di tutto quello che inizia con la parola: Arte. http://www.poesieracconti.it/community/utenti/LiliumCruentus

ro che ci fa star male. Ed è questo che ho imparato facendo il corso di educazione emotiva. Siamo talmente abituati a pensare negativo su tante cose che ormai non ce ne rendiamo più conto, ci viene quasi automatico. E a questo punto mi piacerebbe tanto tirare in campo il mio carissimo Baruch Spinoza (Filosofo 1632 -1677) che anche lui parlò di emozioni positive o negative: per lui l’uomo è caratterizzato principalmente da due emozioni (che trova positive): la Gioia e la Tristezza. Ma queste due emozioni divengono passioni negative quando la gioia tramuta in amore e la tristezza in odio. Amore e Odio sono conoscenze inadeguate: perché? Perché si accompagnano all’idea (negativa) che le produce. Potrei fare un esempio: la conoscenza inadeguata di Spinoza - che non è altro il pensiero negativo che noi facciamo – potrebbe far dire questo: “Quella persona non la sopporto proprio, non la voglio più vedere!”. Mentre alla conoscenza inadeguata Spinoza oppone quella Adeguata, perché dire così mentre potrei dire “Non è piacevole...ma posso sopportarla”. Tramutando il nostro pensiero in questo modo avremmo molte meno seccature e saremmo tutti più sereni e tranquilli. Con delle emozioni negative, infatti, si tende ad essere più ansiosi, ostili, depressi; mentre con delle emozioni più positive tendiamo ad essere sereni, felici, pensierosi. Vorrei tanto creare in tutti voi una piccola ondina che vi faccia smuovere qualcosa lì dentro: voi siete tutto quello di cui avete bisogno. Il resto può renderci ancora più felici, ma siamo noi tutto quello di cui abbiamo bisogno. Abbiamo già tutto dentro, dobbiamo solo tirarlo fuori, magari piano piano e con il tempo! Ho voluto aggiungere al discorso delle emozioni anche quello della Metamedicina. Un anno fa circa ho comprato un libro davvero molto interessante di Claudia Rainville. Questo libro parlava di Metamedicina e di tutti i sintomi che ci manda il corpo quando stiamo male. Nella prima pagina di questo libro c’è scritto: “Cos’è la metamedicina? Il termine è formato dal prefisso greco meta, che significa “al di là” e dal sostantivo medicina, che significa “l’insieme dei mezzi messi in atto per prevenire, guarire e alleviare le malattie”. Perché vi parlo di metamedicina? Perché la metamedicina studia tutti queli malesseri che si manifestano attraverso il corpo ma che parlano dei disagi della nostra anima, di ciò che sente, delle Emozioni che prova. Il corpo ci manda dei messaggi chiari, a cui voi dovete rispondere, dovete essere pronti, che dovete capire, non dovete trascurare. Perché anche un piccolo dolore ha la sua causa, che dovete scoprire per star meglio con voi stessi e con gli altri. Dovete scoprirvi e capirvi, ecco tutto.

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Passeggeri Distratti In questi giorni ho partecipato ad una riflessione partita leggendo questa canzone di Raf. In molti si sono soffermati sul discorso, che personalmente trovo meno impegnativo per se stessi, dell’essere passeggeri distratti verso gli sconosciuti. Grandi città, molti che si isolano nel proprio mondo durante i viaggi in metro, non si conosce/saluta il vicino, si ha poca attenzione per il prossimo. Io invece se leggo questa canzone non come tale, ma come spunto per riflettere, rilevo un messaggio ben preciso: se me ne andassi via da qui, chi mi verrebbe a cercare? Dimmi che tu lo faresti. Quel TU lo faresti è troppo diretto per rapportarlo ad un estraneo. Sembra uno sfogo scritto in quei momenti difficili durante i quali non sai dove sbattere la testa, attimi in cui ti rendi conto che hai seguito una strada pensando fosse la tua ed invece ti ritrovi disorientato e perso nel nulla cosmico. Sei pieno di ansie e di paure e non riesci a trovare una via di uscita o un dannato incrocio che ti aiuti a tornare sulla strada più vicina per la tua meta. Da solo non riesci ad uscirne, giri a destra a sinistra ma sono diramazioni inutili della stessa dannata via. E la cosa che ti fa più male è che sei nel traffico circondato dalla gente che ti passa accanto e tu rimani sul ciglio della strada con la tua cartina in mano senza che nessuno ti aiuti. E a quel punto ti rivolgi a quelli che sei convinto ti possano

Autore: Mauro Mauro Aka Various (13 febbraio1987) è un informatico valtellinese, attualmente codirettore del OUReports. Sognatore incazzato. Prova un amore folle verso gli animali e ne possiede di diverse specie. Scrivere è per lui uno sfogo, un momento di riflessione fra se e il mondo che sta dentro di lui.

www.tamalife.com

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aiutare - gli amici - ma anche loro sono passeggeri distratti della tua vita: sono lì ma in realtà non ci sono. Sono troppo presi dal seguire la propria strada, troppo occupati dal lavoro, dall’amore e dal bisogno di ritagliarsi spazi di riposo e di divertimento per potersi davvero accorgere che tu non sei più accanto a loro, che in un certo momento della vostra esistenza le vostre corsie non si intrecciano più e col tempo la tua strada non è neppure più visibile dalla loro. E anche nel caso se ne accorgessero richiederebbe un sacrificio enorme per loro doversi fermare, rubare del tempo per se stessi e venirti a cercare. Diavolo siamo nel 2012 avrete un dannato cellulare col GPS o un tomtom, no? A volte però nel vostro perdervi lui/lei è sul cavalcavia della sopraelevata rispetto a voi e quindi gli esce la domanda che è ovviamente la più ipocrita ed abusata del nuovo millennio: come stai? Cosa vuoi rispondere? Ovvio: “Bene, e tu?”. Pensateci: quando è mai successo che qualcuno vi risponda “Male grazie”? Eppure mi illudo che un amico anche dalla risposta “bene” dovrebbe poterti guardare in faccia e sentire quel “male”. Sarà questo “pubblico” osceno che fa da sfondo alle nostre solitudini private, ma sono terrorizzato dall’idea che anche i nostri mondi - di singole persone comuni - si stiano frammentando, disegnino percorsi destinati a non incontrarsi mai. Ogni tanto ci provo a chiedere alle persone che mi interessano “come stai?”, vorrei aggiungere “davvero” alla mia domanda: per rinforzarla, darle respiro, e tono, e verità. Ma poi mi accorgo che anche io, per primo, ho paura delle risposte. Ma se sparissi adesso chi mi verrebbe a cercare? Chi si accorgerebbe della mia assenza? E non intendo fisica. Ovvio che se dovessi scegliere di fare il famoso salto o di andarmene a Timbuctu senza dire nulla, qualcuno prima o poi si chiederebbe dove sono. Chi si accorgerebbe invece del mio essere spento, solo, sofferente, non più attento agli altri, non più loquace? Se la mia anima (mente) abbandonasse il mio corpo ed esso continuasse ad agire immerso nella routine. Qualcuno si fermerebbe e mi verrebbe a cercare? TU lo faresti? Col tempo le cose cambiano, ci si illude che migliorino, ma è davvero questo che pensavi succedesse quando hai scelto il tuo bivio? O ti sei fatto anche tu prendere dalla routine, dal tuo bisogno dei tuoi spazi finché non ti sei perso? Forse prima di aver perso di vista me, e non esserti accorto che la mia strada non si intreccia quasi più con la tua, ti sei ritrovato da solo, impossibilitato ad appoggiarti a me. Anche tu, che ti ho criticato fino ad ora per essere un passeggero distratto, sei prigioniero su una strada diversa dalla mia ma ugualmente senza via d’uscita? E stai aspettando che io smetta di essere troppo preso dalle mie angosce e mi accorga che il tuo essere un passeggero distratto è causato dall’esserlo a mia volta? Quand’è che abbiamo smesso di interessarci davvero l’uno dell’altro?


Facendo finta di perderti io mi tormento pensandoti mi rendo conto che è facile sbagliare strada e la città è come un incubo che mi ributta nel traffico io giro a piedi e mi perdo non so dove vado c’è confusione il mondo sembra andare avanti anche senza noi se me ne andassi via da qui chi mi verrebbe a cercare Dimmi che tu lo faresti e che non siamo passeggeri distratti di questa vita in vetrina di questa corsa all’oro dimmi che tu rifaresti se potessi tutto quanto che nonostante il mondo noi siamo fino in fondo fino in fondo noi col tempo le cose cambiano e anche gli slanci si placano e non è più esattamente come tu immaginavi ma se sparissi adesso chi chi mi verrebbe a cercare Dimmi che tu lo faresti e che non siamo passeggeri distratti due prigionieri in gita senza una via d’uscita dimmi che tu rifaresti se potessi tutto quanto che nonostante il mondo noi siamo fino in fondo fino in fondo noi dimmi che tu lo rifaresti...

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intervista

Intervista a SangueBlues Storico Musicista 1) Sei un ragazzo alla moda? No, assolutamente. Perché non mi piace conformarmi a uno stile che mi appiattisca e poi perché non mi è mai capitato di seguire una moda ed ottenere un risultato soddisfacente. 2) Qual è il tuo rapporto con droghe, fumo, alcool? A me piace accompagnare alcune mie azioni con un po’ di alcool (birra o vino), non c’è un perché. Forse si può spiegare col fatto che esso rende un po’ più sciolte le azioni stesse ed anche la formulazione dei pensieri. Diciamo che disinibisce fino a rendere i discorsi più fluidi, più sinceri. In generale il fumo e le droghe non sono essenziali, ma anche l’alcool stesso, anzi, a volte diventa anche un modo di fare fashion per molte persone, però come per me può essere un po’ d’aiuto l’alcool, per molte persone può essere di grande aiuto la droga, anche se è un vantaggio momentaneo.

Autore: Galdo Marco aka Galdo, del clan Esposito. Convinto assertore della diceria secondo la quale “Un animo nobile titaneggia nel più piccolo degli uomini” (Jebediah Springfield), intervista cani e porci.

3) A trentuno anni sei un ragazzo o un uomo? Mi considero un uomo perché ho voglia di percepire un sacco di input dalla vita che di solito vengono percepiti da uomini più maturi, però spesse volte mi sento un ragazzo nella spontaneità delle cose che faccio e nell’energia che sento ancora di avere. Inoltre anche nella capacità che ho di meravigliarmi continuamente davanti a quello che incontro nel corso della vita.

Architetto abusivo, studente paranoico, base-

4) Come ti sei avvicinato alla musica?

ball player, alfiere della fratellanza, esecratore

Non so dire in particolare cosa mi ha spinto alla musica da bambino, so solo che nel momento in cui mi sono avvicinato c’era un entusiasmo tutto nuovo che mi ha fatto venire una gran voglia di mettere le mani sui tasti del pianoforte. Per quanto riguarda il blues, l’adrenalina che mi suscitava l’ascolto delle prime canzoni blues che ascoltai, come per esempio Pino Daniele e B.B.King.

dell’arroganza.

http://galdo81.tumblr.com

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8) In Italia è in discussione la democrazia? Sì, per me già da tempo, perché in Italia quasi sempre non si riesce a fare una manifestazione in modo pacifico e soprattutto senza che la categoria dei manifestanti venga incriminata. Inoltre penso a tutti quegli episodi, che sono tra l’altro solo una parte di quelli che avvengono, in cui ragazzi totalmente pacifici hanno perso la vita a causa di agenti delle forze dell’ordine. Quello che mi preoccupa maggiormente sulla questione è l’impossibilità di grosse fasce di popolazione di essere tutelate dallo Stato e di esercitare i loro diritti. Si vive spesse volte immersi in una continua tensione che inibisce e scoraggia l’espressione più pura delle proprie idee. 9) Tutti dicono di voler andare all’estero: è solo una speranza di lavoro o ci sentiamo traditi dal nostro Paese? Sono entrambe motivazioni valide. Molti ragazzi non solo pensano di tutelare economicamente sé stessi e di mettere in mostra le proprie capacità dal momento che viene impedito loro in questo Paese, ma sono spinti anche da un rabbioso rifiuto verso una realtà politica e sociale che cozza completamente con i valori di molte persone con un po’ di cultura. 10) Trovi venti euro a terra. Che ne fai? Compro o un libro, magari non di Fabio Volo o Paulo Coelho, oppure delle bottiglie di vino da bere con gli amici. 11) Come ti rapporti alla spiritualità? Di solito non ne sento il bisogno, se dalla parola spiritualità si escludono l’amore e tante forti emozioni che puoi provare in molti momenti della vita. Chi vive una certa spiritualità probabilmente è spinto da tanti motivi, ma, se un giorno dovessi vivere una certa forma di spiritualità, riguardo a ciò la prima cosa che mi viene da pensare è che in quel caso proverei profondo vuoto interiore. 5) Come ti poni nei confronti dei Talent Show? Non ci ho capito tanto, perché ho visto delle persone, pure brave a cantare, che sono scomparse dalla scena ed altri andare avanti solo perché hanno promosso il personaggio anziché l’artista. Però ciò non toglie che hanno lanciato cantanti che hanno avuto meritatamente successo, come Noemi, che tra l’altro ha anche uno stile abbastanza originale. 6) Si tatuano tutti: tu no? Farsi un tatuaggio è una scelta che ha tante motivazioni: dal voler essere alla moda all’ostentare un proprio credo. Però vista la mia ignoranza in materia, l’unica motivazione che mi convince è quella meramente estetica. Io personalmente non penso di farmi un tatuaggio, per tre semplici motivi: perché costa tanto, fa male ed ho paura delle eventuali infezioni. 7) C’è qualche personaggio politico che ti sta simpatico?

12) Quanto conta l’immagine per te? L’immagine conta poco, però a volte può contare molto per sé stessi, nel senso che pensare alla propria immagine può diventare una piccola ossessione che, appagata, aiuta in un certo senso a sentirsi più sicuri di sé; per gli altri, invece, anche se dovrebbe contare ancora meno, ormai per l’uomo moderno viene considerata spontaneamente un fattore importante. In questo caso comprendo questo punto di vista diffuso se la cura dell’immagine aiuta a sentirsi meno osservati e quindi più sicuri di sé. 13) Qual è la differenza tra il calcio visto in TV e allo stadio? Il calcio visto in TV si riesce a guardare e giudicare meglio. Allo stadio si crea una situazione più chiassosa e confusionaria. Ma stare allo stadio, oltre a far vivere più intensamente le emozioni relative all’attesa, diventa un momento in cui socializzare spontaneamente, senza formalismi.

A freddo, mi viene da scegliere Vendola, perché mi dà l’impressione di una persona senza peli sulla lingua e genuina. Però coi politici non puoi mai dare giudizi a freddo perché puoi facilmente essere smentito.

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Horror Contest Finalmente era finito per tutti il periodo massacrante degli esami estivi. Finalmente liberi! Abbandonare libri, fotocopie, carte grigie e puzzolenti, matite, evidenziatori di mille colori, che avevano invaso col loro odore fin quando la testa scoppiava e gli occhi chiedevano pietosamente di poter guardare altro, lontano. Basta. Ci voleva qualcosa di totalmente diverso dalla carta, dalle parole scritte, dalle nozioni, dagli atti amministrativi, la proiezione ortogonale, l’ontologia, l’organizzazione delle holding... Una storia, qualcosa di emozionante e al tempo stesso rilassante. Evadere e sognare. Tutti e cinque grandissimi appassionati di film horror, quale occasione migliore per coltivare questa passione fino all’ubriacatura? Pizza, birra, bibite, patatine, popcorn, caffè, sigarette e, in mezzo all’indolenza estiva di fine luglio, nell’attesa delle vacanze, luci spente e silenzio in sala. Che emozione. Ma questa volta, l’amica più entusiasta, casinista e creativa del gruppo propose una specie di gioco: a turno si andava a casa di tutti e ogni volta, il padrone di casa, a sorpresa, metteva il film che aveva scelto. A fine rassegna ognuno avrebbe votato, con punteggi da uno a dieci, per il film che era riuscito di più a far cagare sotto il pubblico. Erano quindi ben gradite anche atmosfere dark a coronare il film, magari arredando la casa adeguatamente, con luci particolari, o anche storie horror da

Autore: SangueBlues Vengo dalla provincia di Napoli, una città abbastanza caotica ma di cui, fin’ora, tra le città che ho visitato, non sono riuscito a trovarne una al pari, per magia, fascino, ricchezza artistica e vitalità. Suono il pianoforte e le tastiere in una band rock-blues con testi in napoletano, di cui compongo le canzoni. Adoro anche scrivere, in particolare racconti incentrati soprattutto sull’attualità, ma anche poesie e articoli.

raccontare come introduzione alla pellicola o intervallandola. Ci si poteva insomma sbizzarrire. Ma con l’unico intento di terrorizzare e al tempo stesso turbare e spiazzare gli ospiti. Il vincitore avrebbe avuto la vacanza pagata dagli altri e il perdente avrebbe dovuto passare una notte nella cappella mortuaria di famiglia di una ragazza del gruppo. L’avrebbero chiuso lì dentro dal pomeriggio. Una bella batosta, ma anche una bella prova di forza. E poi per loro, in fondo in fondo, non sarebbe stato difficilissimo affrontarla, immuni com’erano a questo genere d’emozioni. Ed essendo tutti ormai dei veterani patiti, ognuno pensava di puntare su qualcosa che fosse quanto più originale possibile, sia per quanto riguardava il film che sull’atmosfera da creare. Si sarebbe cominciato il venerdì seguente, fino al martedì. “Sorprendetemi!” raccomandò a tutti. Era veramente difficile sorprendere. Avevano già visto di tutto, morti squartati, torture, fantasmi comparsi all’improvviso, anime di bambini che apparivano durante il sonno placido di un personaggio, fino a farti arrivare il cuore fin sotto le tonsille, al termine di una nota di violino fatta vibrare gradualmente sempre più forte, teste insanguinate di donna nell’acqua di una vasca da bagno, la solita bambina col viso interamente coperto dai capelli unti, giunta dal nulla davanti a un’auto, che rompeva le palle e tormentava il protagonista fin quando lo stesso non comprendeva e svelava il segreto che ruotava attorno alla sua morte... Si prospettava, insomma, un’impresa a dir poco ardua. Eppure ci doveva essere qualcosa di cui tutti hanno paura, pensava Antonio rovistando nella sua fornitissima videoteca, e così anche Maria, l’organizzatrice, e così Roberta, Arturo e Vincenzo. E se invece proponessi qualcosa di totalmente nuovo? Perché di solito si ha paura dell’ignoto. È un classico. Però, a pensarci bene, si teme anche qualcosa che si ritiene possibile e di cui sono ben note le conseguenze. Quello che non si vorrebbe assolutamente accadesse ma che a un certo punto si comincia a percepire, in un modo o in un altro, vicino, tanto vicino da non averlo mai immaginato prima. Una cosa prima impensabile e di cui ora si comincia a sentire il fiato sul collo, un’ombra minacciosa che a poco a poco oscura sempre più le nostre giornate, che rende più fioca la luce solare della nostra seppur timida energia e lucidità che tentiamo di infondere alla nostra quotidianità, per cercare di rendere meno torbida la nostra realtà. C’è sì una paura capace di provocare una fortissima tensione emotiva, scariche di adrenalina, brividi raggelanti. Ma ce n’è un’altra, invece, più lucida e razionale, e per questo, talvolta, maggiormente capace di far inorridire e gettare nella disperazione più cupa, spesso nel panico. Questo pensava Antonio, e forse anche tutti gli altri, ma non sapeva ancora cosa proporre. Decise quindi di puntare soprattutto sull’originalità. O meglio, su un qualcosa di più tangibile. Qualcosa che riguardasse le loro stesse vite.

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finti dappertutto, sembrava un laboratorio di cazzate. Il film niente di nuovo, spettri, teste mozzate, diventò presto noioso, e a tratti l’unica forte sensazione che suscitava era la voglia di vomitare, ma per un senso di ribrezzo prettamente fisiologico, anche a causa della penosità che palpitavano gli attori. Sangue, organi, tipi schifosi che mangiavano carne umana, bambini. Ti passava la voglia di mangiare e tutto lì. Niente brivido. Solo scontati momenti di suspence infantile. Arturo fu beffeggiato, ricevette anche qualche ‘pacchero’ sulla nuca. A tre quarti del film l’atmosfera divenne goliardica: si faceva casino, scappellotti, risate grasse e cazziate, soprattutto da parte delle donne, perché così si rovinava l’atmosfera di suspence.

Tutti fremevano per questa sfida. Oltre a scandagliare internet, collezioni di dvd, videoteche, bancarelle, quei giorni furono vissuti tra zucche scavate, scheletri, mani mozzate, sangue finto, luci viola, foto di fantasmi dall’immagine poco nitida tra rampe di scale e stanze antiche, budella di gomma, il tutto avvolto in una piacevole eccitazione da preparativi. Anche le mamme e i papà aiutavano spesso nell’impresa. Il giorno prestabilito sembrò non arrivare mai. Si cominciava a casa di Arturo. Erano tutti euforici. Antonio passò a prendere gli altri con l’auto. Arrivati al terzo piano del condominio, bussarono. Appena fu loro aperto, assisterono a una scena raccapricciante: un ammasso di carne informe avvolta in un telo nero e simile a una cosa a metà tra una polpetta spappolata e un brufolo gigante e pieno di pus rimase quasi immobile lì davanti a loro, aspettando con impazienza una reazione di spavento da parte degli ospiti. Ma l’essere immondo dovette accontentarsi di sguardi interrogativi e risatine di pietà, anche perché, appena si voltò per far loro strada in casa, si notarono capelli lisci, biondi e impomatati fuoriuscire allegramente dalla maschera che lui si ostinava a non togliersi. Era meglio passare oltre. E immediatamente. Lì dentro una confusione indecifrabile: delle specie di pannelli che probabilmente avrebbero dovuto rappresentare brandelli di carne umana appesa alle pareti, scheletri e ossa

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Il giorno dopo toccava a Maria. Era eccitatissima. Aveva in pratica ‘buttato il sangue’ (tra l’altro si era anche in tema) per preparare tutto. Un po’ meno euforici della serata precedente, ma sempre molto entusiasti, giunsero a casa sua. Quarto piano. Bussarono e già si cagarono addosso: una vecchia curva e un po’ deforme, con una voce stridula ma debole, come un sibilo lontano e inquietante, li accolse, e fece loro strada dopo il breve urlo di terrore emanato un po’ da tutti. Ma dove cazzo l’aveva pescata?! Dal museo delle cere? Non l’avevano mai vista prima in casa sua. Poi, a fine serata si scoprì essere la vicina, truccata a dovere, che non aveva un cazzo da appendere, neanche lei. Furono fatti accomodare su fredde tombe, con le lapidi che facevano da comodo schienale. Erano immersi nel buio e in un intenso odore di muffa e terra umida. Qualcuno cominciava persino a sfregarsi le braccia, nonostante i trentadue gradi di temperatura. Sulla parete di fronte appariva l’unica luce, fioca, proveniente da una lampada antica. Questa luce era di colore blue cobalto, molto simile a quelle che si usano nelle case e nei negozi per creare quegli angolini molto kitchemente inquietanti dove porre le foto dei parenti morti. Poi cominciarono a sentire ululati lontani, cacchio, si era veramente data da fare. E mentre dirigevano lo sguardo tutti verso quella luce, come quasi ipnotizzati, come se fosse stata messa lì ad illuminare una pietra magica, una sacra reliquia... ecco un grandissimo e improvviso spettro di luce sul muro. Si era acceso un proiettore. E mentre tardavano a svanire del tutto quegli attimi di spavento, improvvisamente si udì una risata terrificante... “Ah ah ah ah ah!!” Qualcuno cadde dalla sedia, cioè anzi... dalla tomba, urla su urla, facce di culo deformate dal terrore. Era lei, Maria l’arpia, che si era lanciata dalla sommità dell’armadio posto sul muro laterale, appesa con una catena al soffitto e comparendo diabolica e affascinante, immensa, con due grandi e minacciose ali di pipistrello, tutta nera, resa totalmente corvina dalla luce del proiettore a cui dava le spalle. La sagoma malefica terminava, in cima, con due corna di demonio. Con voce metallica e animalesca, ricavata da un aggeggio che aveva vicino alla bocca, annunciò il titolo del film: ‘Ti sveglierai all’inferno’. “Buona visione!” disse, e si scostò dal centro della stanza lasciandoli con l’identica risata, che sfumava gradualmente. Il film terrorizzava abbastanza, non c’era dubbio, anche grazie al contributo del suo terribile preludio. Narrava di un sereno padre di famiglia senza problemi, benestante, con un lavoro ben retribuito, dirigente d’azienda, una bella casa, due figli, un maschio e una femminuccia, una bella moglie. Le domeniche trascorse tra gite sul lago e barbecue, una più o meno tipica famiglia americana di alta borghesia.


Un giorno, mentre erano tutti sul divano a guardare un film, gli venne in mente: “E se tutto ciò dovesse finire da un momento all’altro?” Abbandonò poco dopo questo pensiero inquietante e andò a dormire di nuovo sereno. Ma il mattino dopo fu svegliato da un latrato malefico, e poi una maschera femminile allucinata coi capelli strappati gli apparve improvvisamente a un centimetro dal viso. Un altro bello spavento. Il protagonista urlò dannatamente, si mise le mani nei capelli, non ci capiva più niente: era in una lurida bettola, sposato con una pazza corrosa da alcool e droga, un figlio maniaco, una bambina deforme. Poi il giorno seguente di nuovo la sua vecchia vita bella e tranquilla, era convinto di aver fatto solo un orrendo incubo, ma invece ancora quell’inferno il giorno successivo, e poi di nuovo la sua bella vita, fino a vivere due vite parallele a giorni alterni. In seguito esse cominciavano a confondersi, accarezzava il figlio sul capo mentre questi gli stava per mostrare un bel voto ricevuto a scuola e nell’istante successivo ecco il ragazzino trionfante con la mano mozzata e sanguinante di un bambino. E col passar del tempo, anche lui si corrodeva progressivamente, in entrambe le vite. Inquietante e raggelante, anche piuttosto coinvolgente, divenne, però, pian piano ripetitivo e troppo spudoratamente e bruscamente inverosimile e fantasioso. La figlioletta diventava un demonio, apparivano mostri, insomma era cominciato in modo interessante e poi si era in un certo senso guastato nel corso della proiezione a causa di esagerazioni varie e banalità. La serata da Maria non mancò certo di forti emozioni, un abisso in confronto a quella da Arturo, tuttavia non suscitò turbamenti veri e propri nelle menti e negli animi dei critici cinematografici. La sua proposta colpì ma non spiazzò gli astanti. Ora toccava ad Antonio. Ci arrivarono con uno spirito pieno d’interesse, emozione, entusiasmo. La rassegna andava facendosi intrigante. E soprattutto per merito di Maria, che l’aveva rivitalizzata e animata. Chissà cosa avrebbe proposto loro. Un horror psicologico e psichedelico? Coinvolgente fino alla follia? Un’atmo-

sfera da incubo reale? E invece, appena entrati, furono accompagnati in un soggiorno accogliente, ma semplice, comune. Altre persone erano lì ad accoglierli, molto amichevoli, cordiali, tanti stuzzichini e altre cose buone da mangiare e da bere per accompagnare la visione del film. Si chiacchierò per un po’ di tanti argomenti, di musica, di viaggi, di arte, di cultura. Non capivano, erano confusi e cominciavano a sentirsi profondamente delusi. Dov’era l’atmosfera horror? Poi, all’improvviso, furono spente le luci e fu acceso il televisore... Apparve Berlusconi che parlava col suo tipico sorriso di plastica. Diceva di aver ammodernato la politica italiana. Poi, subito dopo, manichini vestiti di verde che inneggiavano e abbaiavano contro il Sud Italia e contro i musulmani su di un palco, con tanta gente festante e plaudente. Ma che cazzo era? Foto di ragazzi picchiati dalla polizia, immagini del G8 di Genova con poliziotti che prendevano a calci e manganellate un ragazzo a terra. Servizi giornalistici che trattavano del caso Aldrovandi e degli altri giovani uccisi dalle forze dell’ordine. Civili mitragliati in mezzo alla strada da soldati americani in Iraq e un istante dopo Bush che salutava i militari emozionati dalla sua presenza, e poi Berlusconi che parlava della politica americana come modello di libertà e democrazia. E gli scempi ambientali in Africa della Shell e dell’Eni, impegnate a distruggere vite, e le loro pubblicità così accoglienti e creative, con l’artista che faceva apparire con la sabbia immagini d’amore e speranza. Ma cos’era, forse solo uno stupido scherzo? E di nuovo Berlusconi che offendeva la magistratura e si sottraeva ai processi, e il via alla legge salvapalle ad hoc, “Ciao Darwin” in prima serata e i documentari sugli imbrogli dei politici trasmessi solo all’una di notte e così, a raffica, tanto che a chi vi si applicava veniva voglia di vomitare, e questa volta non a causa di una reazione fisiologica. Ognuno di loro voleva protestare, dire qualcosa, soprattutto Maria, che era quasi indignata, almeno chiedere spiegazioni, cosa c’entrava tutto ciò con l’horror? Con l’orrore?... Ma l’istante successivo, chissà perché, tutti ci ripensavano.

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Zitella Felice Cara Eles, Avevo una storia da più di due anni, ma poi mi ha lasciato improvvisamente tramite Facebook, anzi direi più che altro che si è fatto lasciare... Sfido chiunque a rimanere insieme ad una persona che ti scrive “non so se ti amo più”... Comunque sono stata malissimo per mesi e mesi, mi sono isolata, ho lasciato per un po’ l’università, ho litigato con tutte le persone che avevo vicine... Poi improvvisamente un giorno ho reagito e mi sono ripresa la vita in mano... Non so come ho fatto, forse mi sono resa conto che ormai erano passati nove mesi e che mi stavo buttando giù per uno stron*o; beh non l’ho ancora capito... Ma ora sto meglio, almeno fisicamente e agli occhi di tutti... Ma so dentro di me che non riesco più a provare nulla... mi sento APATICA per ogni cosa... Non rido più veramente, non sono felice veramente e soprattutto non riesco più a pensare all’amore... Se mi si parla di ragazzi mi viene da vomitare... Mi viene da vomitare anche quando guardo le coppiette felici o.0 È così assurdo?! E se volessi rimanere zitella con 30 gatti sarebbe così sbagliato xD??? Grazie per avermi ascoltato... - Zitella a vita-

Autore: eles-chan Eleonora aka eles-chan, appassionata di anime&manga col sogno di andare in Giappone, vive sui forum da anni e anni ormai, innamorata dell’Amore in tutte le sue forme, collabora col OUReports con una rubrica tutta dedicata ai problemi di cuore!

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Cara “Zitella”, ti sembra così brutta l’idea di restare single con 30 gatti? Eheh a parte lo scherzo, io penso che sei in quella fase di “odio” verso gli uomini che prima o poi tutti passiamo. Quando si è talmente delusi da qualcuno cui si tiene molto si attraversano varie fasi di ripresa, prima la depressione, poi la delusione, l’odio e il disprezzo e infine l’indifferenza verso l’altro e ciò che è successo. Il fatto che sia passato già da un bel po’ di tempo e te sei ancora in fase “odio” verso tutti dipende solo da te e come hai reagito. Ognuno ha i suoi tempi di ripresa ed è inutile cercare di dirsi che si sta bene, che tutto è passato, far sorrisi falsi, purtroppo non si possono comandare i sentimenti. Quando vedi le altre coppie felici e ti vien la repulsione è proprio perché hai perso fiducia nell’Amore e dentro di te credi che tanto alla fine tutto finisca e gli innamorati del momento son degli illusi. La verità è che niente dura per sempre, sì, però è giusto godersi i momenti; son sicura che anche te guardando verso il passato avrai ricordi belli e felici della tua storia ed è proprio a quelli che devi aggrapparti e cancellare invece tutto il dolore. In questo modo avrai di nuovo la voglia di vivere quei bei momenti e non vorrai fuggire dalla realtà. Quello che penso è proprio questo, te per la paura di star ancora male ti sei allontanata da tutti quelli che ti circondano creando un guscio protettivo, cosa comprensibile ma che non può durare per sempre, devi perciò cercare di uscir da questa fase e pensare che gli uomini non siano sempre così male e ogni tanto riescono a farci felici anche loro, così da goderti tranquillamente i rapporti. Ciò non vuol dire che devi per forza cercare qualcun altro con cui stare ma se ti capiterà di trovare qualcuno “interessante” non lasciarti sfuggire l’occasione di conoscerlo meglio, non farti spaventare, fatti prendere piuttosto dalla curiosità di scoprire come può esser star con qualcun altro, cerca di pensare alla parte più bella dei rapporti e non a quella brutta, perché l’amore è qualcosa d’imprevedibile, ogni rapporto è diverso e son sicura che hai ancora tantissime cose da scoprire e sperimentare e, oltre ai gatti, ci sarà qualcuno che saprà renderti felice. NON SCAPPARE. XOXO eles


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Palestra time! La palestra, un luogo comune dove poter bruciare i grassi, modellare il proprio corpo o conoscere nuova gente. Beh, questa è la descrizione più logica, parliamo invece della descrizione più illogica! I vari personaggi che possiamo trovare lì dentro: - lo Smilzo: quattro ossa e un bicchiere di sangue è la sua costituzione fisica, una folata di vento potrebbe spazzarlo via. La palestra è la sua ultima speranza di una vita voluminosa. - il Nullafacente: colui che spende 30-40€ al mese solo per farsi una chiacchera con gli amici e qualche volta fa un esercizio. - il Guardone: vedere le belle donnine in tuta è la sua passione, un deretano al volo può farlo impazzire. E questo fa tutto il giorno! - la Modella: la donna che va in palestra, truccata e ben vestita, e fa la sfilata di moda solo per farsi guardare. - l’ Esteta: quello che passa più tempo a guardarsi allo specchio che a fare esercizi. - gli Urlatori: quelli che anche se alzano 1 kg di pesi, urlano fino a danneggiarsi le corde vocali. Citazioni che si possono dire a coloro che frequentano questo luogo: “La palestra non fa miracoli, se poi si mangia 30 kg di tiramisù!” “Alzare 30kg di pesi e poi essere un idiota patentato, non ti fa essere mister universo!” “Le sfilate di moda si fanno in passerella!” Per fortuna c’è una minima percentuale, ovvero l’1%, che prende la palestra seriamente, centrando a pieno l’obiettivo.

Autore: Pippo MaGo PaZzo Salernitanuz in arte Pippo, un ragazzo sognatore che adora la compagnia e il sano divertimento. Qui nel OUReports scrivo articoli demenziali con un unico scopo: far sorridere le persone, perchè la vita è amara, metterci un pò di dolce non è mai male!

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Autore: H Alessio, conosciuto nei testi sacri come Hyena, fin da bambino si cimenta in varie discipline che l’hanno portato ad essere un profeta, uno scrittore, un doppiatore, un musicita, un compositore, un dj, un filosofo, un animatore, una guida turistica, un attore, nonchè PR. Normale essere umano nel tempo libero.

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Tutte le immagini sono state inserite in ottemperanza all’articolo 2 della legge numero 2/08 quindi al comma 1-bis dell’Art. 70 della L. 633/41 37


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