Orlando n 1

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Orlando esplorazioni

DICEMBRE 2012

I LIBRI ALTROVE

di ANDREA RÉNYI

La memoria avvolge tu!o, in Ungheria 1920, che ridusse il territorio di due terzi, la popolazione da 19 a 7 milioni, e fece perdere all’Ungheria l’accesso al mare che la nazione aveva avuto per oltre 800 anni. Al rimpianto della grandeur si aggiunge la paura della globalizzazione: “La destra politica nell’Europa centrale spaventa la popolazione con i pericoli della globalizzazione, li evoca per rifiutare anche l’Europa. Conosciamo bene i pericoli della chiusura nel nazionalismo. Allo stesso tempo è evidente che la paura dell’Europa che sta diventando globalizzata, non è irrazionale. Penso che l’unica possibilità per non far valere i pensieri reconditi della destra è prendere in considerazione i pericoli della globalizzazione sapendo però che non vi è un’altra strada al di fuori della globalizzazione.” Sono le sagge parole, pronunciate ancora nel 2004 e rimaste purtroppo inascoltate, da uno degli intellettuali più in vista in Ungheria, László F. Földényi.

Scaccio la disperazione per poter scrivere. Scrivo per scacciare la disperazione. Non dovrei consegnarmi completamente alla disperazione per poter scrivere? Non dovrei abbandonare del tu!o la scri!ura per scacciare la disperazione? (GYÖRGY SOMLYÓ,

Favola sulla scri!ura)

Q

STATUA DI ATTILA JOZSEF A BUDAPEST, FOTO ORLANDO

ueste righe di un grande intellettuale e di un grande testimone dell’Ungheria del XX secolo potrebbero essere l’ars poetica della letteratura ungherese, scritta in una lingua agglutinante, madrelingua di circa 14 milioni di persone dentro e fuori i confini nazionali, con una tradizione millenaria e ricca di preziose creazioni narrative e poetiche. Il primo nome che viene in mente è quello di Imre Kertész (n. 1929), insignito del premio Nobel per la letteratura esattamente dieci anni fa. E’ il primo, e per il momento l’unico scrittore ungherese che abbia ricevuto il prestigioso premio, assegnato “per la sua opera che oppone la fragile esperienza dell’individuo alla barbara arbitrarietà della storia”. Essere senza destino ripercorre l’esperienza dell’autore nei campi di sterminio di Auschwitz e Buchenwald; la sua forza narrativa nasce dal presentare l’uomo nella sua più cruda e drammatica essenza, con la partecipazione che può avere solo il racconto di uno scampato, e con la saggezza di chi nutre un profondo amore per la vita. Kertész impiegò dieci anni a scrivere questo romanzo e incontrò difficoltà infinite per trovare un editore. Pubblicato infine nel 1975, la critica letteraria e il pubblico ignorarono opera e autore, fino alla caduta del Muro, quando ebbe il debito riconoscimento in patria e all’estero. Senza dimenticare gli orrori, Kertész volle ricordare del lager i brevi momenti di felicità e in seguito, cercò una nuova vita degna di essere vissuta, seppure prigioniero del socialismo reale. Dopo la prigionia nazista e comunista, nel 1989 Kertész credette fosse arrivata l’ora della libertà, quella di una società libera e democratica in Ungheria. Non fu così, le distorsioni e il risveglio dell’antisemitismo lo indussero a trasferirsi in Germania, dove tutt’ora vive e lavora. In Ungheria qualcuno lo definisce ormai “scrittore di origini ungheresi”, mentre lui dichiara di non riuscire più a provare nessun senso d’appartenenza all’Ungheria, di non sentirsi più ungherese, e di essere legato al Paese natale solo grazie alla lingua. Kertész è da sempre privo di destino, ora anche di una identità nazionale. Un altro grande scrittore ungherese è in odore di Nobel da anni: Péter Nádas (n. 1942), ma un Paese piccolo come l’Ungheria – 93mila chilometri quadrati e appena 10

milioni di abitanti -, difficilmente potrà festeggiare due Nobel nell’arco della vita di una generazione. Figlio di comunisti che avevano partecipato alla Resistenza antifascista, anche Nádas può considerarsi vittima a pieno diritto del socialismo reale. Boicottato per anni dal regime, visse di stenti in autoesilio, pur di non scendere a compromessi. Sostenuto da una forza d’animo non comune, riesce a dar vita a un’ampia produzione come romanziere, commediografo, saggista, giornalista e fotografo. Il suo romanzo d’esordio, Fine di un romanzo familiare, è il flusso di coscienza di un bambino nel vortice dello stalinismo. Il suo Libro di memorie, una monumentale storia che ruota attorno a tre elaborati fili narrativi, è stato scritto in undici anni, ed è considerato il suo capolavoro, particolarmente apprezzato da Susan Sontag, e paragonato ai grandi romanzi di Thomas Mann, Proust e Joyce. Nádas non è alienato come Kertész ma anche lui si mostra scontento del governo e dell’opposizione; figura isolata anche fisicamente (vive ritirato in un piccolo villaggio), autonoma, non partecipa attivamente all’intensa vita politica degli scrittori magiari, e individua la radice del problema nell’anomalo sviluppo della società ungherese: l’assenza del ceto borghese. Si può rilevare che, dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, l’ideologia dominante ha permeato nel profondo la produzione letteraria ungherese. Negli anni del socialismo reale, che ha emarginato o escluso le voci del dissenso e del non allineamento; negli anni successivi alla caduta del Muro, quando gradualmente l’affermazione di una politica populista, revanchista e antisemita ha ridato forza e attualità ad un passato che sembrava definitivamente sconfitto dalla Storia. Gli elettori di Jobbik, la formazione di estrema destra, e molti filogovernativi considerano l’Ungheria un’isola per lingua e per storia, che nulla dovrebbe avere a che fare con l’Unione Europea di cui è Stato membro; ambiscono all’autonomia economico-politica del Paese e in certi contesti rimpiangono la Grande Ungheria, la cui fine era stata sancita dal Trattato di Trianon del

La medicina dei rimpianti e delle paure è il ripiego sul passato che porta conseguentemente all’esaltazione della stirpe magiara e alla ricerca della sua più pura peculiarità, nonché alla riscoperta di autori e di opere spesso di discreta o di buona qualità letteraria ma messi all’indice per decenni per il loro messaggio eccessivamente nazionalista, irredentista, sciovinista. Sono tornati nelle librerie romanzi per decenni ritenuti non pubblicabili per i loro contenuti politici e per le biografie alquanto dubbie dei loro autori. Ne è un esempio Cécile Tormay (1875 1937), irredentista, antisemita, ispiratrice di gruppi nazionalisti, a suo tempo apprezzata da D’Annunzio il quale aveva persino tradotto alcune pagine di un suo romanzo. József Nyirö (1889 – 1953), importante esponente della letteratura della minoranza etnica ungherese della Transilvania, la perdita della quale è una ferita mai rimarginata nel cuore dei nazionalisti, filonazista fino all’ultimo e noto ammiratore di Goebbels. Negli ambienti nazionalisti godono una certa popolarità anche i romanzi del conte transilvano Albert Wass (1908 – 1998), giornalista, autore di romanzi e di novelle, che risolve in bonarie caratterizzazioni dei suoi personaggi le vicende e le esperienze dell’irredentismo che sono sullo sfondo del suo mondo transilvano. Sulla scia di questa nuova visione di meriti letterari, vengono ribattezzate strade che portavano nomi di scrittori ora ritenuti non più politically correct come Jenö Józsi Tersánszky, cui unica colpa è l’essere stato inviso durante l’era dell’ammiraglio Horthy fra le due guerre mondiali, o lo scrittore ebreo proletario Endre Andor Gelléri, morto di tifo nel 1945 dopo la deportazione in campi di concentramento a soli 39 anni. Non trova pace neppure la statua di uno dei più grandi poeti nazionali, il socialista Attila József, che nella sua breve vita diede voce al proletariato. In questa contrapposizione di natura politica sull’altra sponda troviamo alcuni grandi nomi della letteratura ungherese contemporanea come lo scrittore, giornalista e sociologo György Konrád (n. 1933), già

dissidente durante il regime di Kádár, acclamato e molto tradotto all’estero; lo scrittore e sociologo Pál Závada, autore di romanzi di grande successo; il poeta, novelliere, traduttore e romanziere Lajos Parti Nagy (n. 1953), virtuoso della lingua ungherese; György Spiró (n. 1946), drammaturgo , autore di saggi e di romanzi molto amati dal pubblico, solo per citarne alcuni. In generale, si può affermare che le trame dei romanzi degli autori contemporanei si svolgono nel passato e a mio avviso questa è la caratteristica principale e il limite della letteratura; è quasi impossibile trovare un’opera che parli del presente. La memoria avvolge tutto, a volte sotto forma di ottime biografie romanzate dei propri genitori, ma la fuga nel passato sembra essere l’unico approccio possibile per occupare il presente. Il panorama letterario ungherese comprende molte altre figure di notevole spessore, alcune delle quali godono ormai di meritata fama internazionale, come il postmoderno, esistenzialista László Krasznahorkai, il giovane György Dragomán o Attila Bartis, che con i loro romanzi hanno ottenuto il consenso della critica in numerosi paesi; oppure come il fecondo László Darvasi dalle trame bizzarre e molto originali, o come Róbert Hász, il cui stile delicato ha conquistato la casa editrice francese Viviane Hamy, che ha pubblicato tutti i suoi romanzi. Un capitolo a parte meriterebbero la poesia e l’editoria per ragazzi, due campi molto e molto ben coltivati e con una lunga tradizione in Ungheria. Vorrei chiudere questa breve rassegna degli scrittori ungheresi contemporanei con uno dei versi preferiti di una poetessa molto amata in Ungheria, Krisztina Tóth: Corsa evanescente Non ho mai visto i tuoi oggetti. La tua camicia sulla sedia la mattina. Non ho mai visto i contorni dei tuoi mobili nell’oscurità. Non avvicinarmi verso di te, non appoggiarmi su di te, corrimano senza scale. (Traduzione dei brani citati a cura di Andrea Rényi) Bibliografia: Imre Kertész, Essere senza destino, Feltrinelli, 1999, trad. dal tedesco di Barbara Griffini Péter Nádas, Fine di un romanzo familiare, Dalai editore, 2009, trad. di Laura Sgarioto Péter Nádas, Libro di memorie, Dalai editore, 2012, trad. a cura di Laura Sgarioto György Spiró, Collezione di primavera, Guanda, 2012, trad. di Bruno Ventavoli György Dragomán, Il re bianco, Einaudi, 2009, trad. di Bruno Ventavoli Attila Bartis, Tranquillità, Atmosphere Libri, 2012, trad. di Andrea Rényi e Francesca Ciccariello Róbert Hász, La fortezza, nottetempo, 2008, trad. di Andrea Rényi

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