Orgia Intellettuale | Numero 9 | marzo - aprile 2015

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MARZO — APRILE 2015

Numero 9

A PAGINA 11 »

ALLE PAGINE 16-28 »

A PAGINA 30 »

Boko Haram: guerriglia e rapimenti nella Nigeria settentrionale

Opinioni, della redazione e dei lettori, sull’attentato a Charlie Hebdo

Quando l’Expo di Milano pensa di guarire l’omosessualità


Orgia Intellettuale si rinnova, e vi presenta il suo nuovo layout grafico. A colori.


Editoriale

C

arissimi lettori e lettrici, se per caso siete fra quei pochi che leggono l’editoriale o che magari ci capitano su per caso, mentre sfogliano il giornale, noi della redazione vi auguriamo una buona lettura! In primis ci scusiamo per il ritardo, ma questo nuovo numero – che sì, si è fatto attendere – contiene il doppio dei soliti contenuti. Inoltre, come avrete sicuramente già notato, abbiamo un nuovo formato del giornale che, oltre a essere decisamente più elegante e compatto, vi permetterà di leggere gli articoli (o fare i sudoku) anche durante le lezioni, come da tradizione, senza correre il rischio di essere visti. Orgia Intellettuale ha da sempre come obiettivo il cercare di informare noi studenti. E proprio questo vorremmo ottenere tramite questo nuovo – e mi azzarderei a dire tanto atteso – numero di Orgia Intellettuale. Raramente un nostro numero ha avuto così tanti articoli di attualità, e mai come prima noi studenti e quindi cittadini abbiamo sentito la voglia, o meglio il bisogno di informazione. Se in questo momento chiedessimo allo studente medio “come sta andando il mondo, secondo te?”, la maggior parte risponderebbe “male” (sì, sto cercando di avere una visione ottimista). Ma risponderebbe male perché? Forse perché ha letto un post su Facebook,

ha ascoltato i titoli del telegiornale, o magari perché ha letto il titolo di un articolo. In quanti avrebbero il coraggio di dire “io mi sono informato. Io ho letto, ho studiato e non sparo sentenze a caso”? In quanti avrebbero la coscienza a posto? Ciò che ognuno di noi dovrebbe capire è che la crescita non coincide con il compimento dei diciotto anni, con la presa della patente o con le “vissute” serate in discoteca o al freddo in piazza Verdi. Crescere vuol dire acquisire consapevolezza di sé. So che vi avevo promesso niente citazioni, ma mi sembra piuttosto opportuno inserire Cartesio che disse: ‘cogito ergo sum’ (penso dunque sono). Quindi evitiamo di lasciare tutto al caso, evitiamo di diventare delle marionette senza capacità pensative, evitiamo di sprecare il nostro dono più prezioso in inutili frivolezze. In conclusione, informarsi è la parola chiave di questo numero. Speriamo di ispirarvi e di informarvi, in modo che la prossima volta anche voi possiate dire la vostra, assumere una posizione e infine fare qualcosa. Da notare che fare qualcosa non significa pubblicare l’hashtag su Facebook perché fa tendenza, rischiando poi che il fatto si perda in inutili frasi e venga svalutato, fare qualcosa equivale ad agire, dire o più semplicemente informare. n – Selma Inane per la redazione


In questo numero Attualità mesi in 6 Due cinque minuti

11 Nigeria, ultima frontiera

14 Mattarella: noi, voi e l’Italia

16 Charlie Hebdo, parliamone

19 Charlie Hebdo,

30 Quando l’Expo

di Milano pensa di “guarire” l’omosessualità

34 Il business del

riscaldamento globale

36 Censura italiana

Riflessioni pomeridiane

38 Riflessioni sul divano [Orchidea d’acciaio]

2 Dillo in italiano 4 44 Do not read this 46 Proibizionismo? Piantiamola!

49 Una semplice

flash mob

24 Nous sommes

parola: il saluto

Charlie Hebdo

26 Tout est

Scienze

92 Stephen

pardonné

8 Je suis Charlie 2 29 La libertà delle

Hawking e il tracollo della razza umana

parole

Caporedattori Chiara Gamberini Elisa Frigato Lorenzo Bergonzoni Selma Inane Stefano Rossi

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Impaginazione/grafica Goffredo Piani Stefano Rossi

Illustrazioni ed altri elementi grafici Martina Piazzi Selma Inane


Altro

Cultura e arte

4 Grazie ai lettori 9 100 La redazione

Poesie

Illustrazioni

52 La macchina

Fumetti

50 Pensieri e parole 60 Manga Kissa Biografie

[Monster]

62 Manga Kissa

[Black Butler] logica universale 18 “Tistoguardando� Musica 32, 97 MartinaPiazzi Libri 8 Manchester: 6 65 Selma Inane 5 Anche le 5 1989 scimmie cadono dagli Funny Corner 72 Imagine alberi 74 Random Music 41, 67 Sudoku Film Pills [Great Big 91 Labirinto White World] 56 Birdman Fotografia Scambio di articoli con Prometeo

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Nucleare, si o no?

Pittura

3 Caravaggio 3 66 Waterhouse, Magritte

98 Solododici

Illustrazione di copertina Martina Piazzi Illustrazione di quarta di copertina Teresa Mazzanti

76 Londra, da un altro punto di vista

86 I dintorni di Via Drapperie

Testata Lucrezia Zanardi

Docente referente Prof.ssa Anna Maria Incorvaia

Correzione bozze Emanuele Vicinelli

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Due mesi in cinque minuti L’attualità dall’ultimo numero. Rubrica di informazione lampo Attualità | di Emanuele Vicinelli

25 GENNAIO – ALEXIS TSIPRAS È IL NUOVO PREMIER GRECO ATENE – Il 25 gennaio 2015 la Grecia ha tro- sterity imposte dall’unione europea. La Troika vato il suo nuovo Primo Ministro: è Alexis Tsi- ha risposto rimanendo salda sulle sue posiziopras, leader della coalizione di sinistra radicale ni, ribadendo che quanto ha promesso Tsipras SYRIZA. Con il 36,34% delle preferenze e 149 è infattibile. La Grecia ora è in bilico più che seggi, la coalizione non è riuscita però a rag- mai, e il risultato delle votazioni lo conferma: giungere la maggioranza assoluta dei 151 seg- “Quando stasera tornerò nel mio Paese, - dice gi: subito a ruota è stata seguita da Nuova De- Yanis Varoufakis guardando Schaeuble, il nuovo ministro delle finanze - troverò un parlamocrazia e da Alba Dorata. Il 26 gennaio Tsipras ha prestato giuramen- mento in cui il terzo partito non è un partito to ribadendo il punto chiave di tutta la campa- neonazista, ma nazista”. gna elettorale: la riforma delle politiche di au-

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31 GENNAIO – ELETTO IL 12° PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ROMA – Il 31 gennaio 2015, con 665 voti a che sta divorando il paese. Ha ricordato che il favore, il giudice della Corte Costituzionale compito dei politici è quello di governare manSergio Mattarella è stato eletto Presidente della tenendo fissi i diritti che la Costituzione preRepubblica, succedendo così a Giorgio Napo- vede per i suoi cittadini, ovvero il diritto allo litano, che si era dimesso il 14 gennaio. studio e al lavoro. Ha anche definito quello che Ha ufficialmente prestato giuramento pochi dovrà essere il suo compito: sarà quello di “argiorni fa, il 3 febbraio, facendo un discorso bitro imparziale” che, però, avrà necessariaintenso, interrotto per ben 42 volte dagli ap- mente bisogno dell’”aiuto dei giocatori”: la plausi di quasi tutte le parti politiche. Nel suo metafora è sin troppo chiara. Speriamo che chi discorso ha puntato il dito contro la mafia, di dovere l’abbia colta. definendola per ciò che è, ovvero un “cancro”

14 FEBBRAIO – ATTACCO TERRORISTICO AL CAFFÈ KRUDTTØNDEN COPENAGHEN – All’inizio di febbraio la Dani- e libertà di espressione, commemorando la marca è stata scossa da due attacchi terroristici strage di Charlie Hebdo. I proiettili hanno criad opera della stessa persona, un giovane di vellato la facciata del locale, uccidendo Finn circa 22 anni, Omar Abdel Hamid El-Hussein. Nørgaard, di circa 50 anni. Al convegno erano Il 14 febbraio, poco prima delle 16, Omar presenti il vignettista Lars Vilks e l’ambasciatoentra nel caffè Krudttønden, dove si stava svol- re francese François Zimeray. gendo un incontro sul rapporto tra arte, satira Il giorno seguente, verso l’una di notte, →

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la stessa persona ha fatto irruzione in una sinagoga, interrompendo la cerimonia di un bar mitzvah. Durante la sparatoria è morta la guardia della sinagoga, Dan Uzan.

Alle 5:25 della stessa mattina la polizia da ufficialmente notizia di aver ucciso l’attentatore nei pressi della stazione di Nørrebro.

19 FEBBRAIO – ASSALTATA FONTANA A ROMA ROMA - Guerriglia urbana è il termine più state sollevate numerose polemiche riguardo indicato per definire quello che è successo la pessima gestione di quest’emergenza, che nella notte del 19 febbraio, a Roma: i tifosi del ha messo in ginocchio le forze di polizia. “Roma Feyenoord, già poco prima delle 16:30, si sono devastata e ferita. Non finisce qui. Ho protegettati all’assalto degli agenti dispiegati nella stato e chiesto spiegazioni a chi ha la responzona di piazza di Spagna. Motorini e cassonet- sabilità dell’ordine pubblico in questa città, ti sono stati distrutti, insieme alla famosa fon- consentendo che monumenti preziosi e retana della Barcaccia - che è stata scheggiata in centemente restaurati come la Barcaccia, dipiù punti - diventata più simile ad un bidone ventassero bersaglio di gesti violenti. La gestioche ad una fontana. Tre hooligans sono stati ne della sicurezza ha falle grandi e feriti durante gli scontri, mentre una ventina intollerabili, ieri ci sono stati altri episodi di sono stati arrestati e, successivamente, rimpa- violenza, stamani prefettura e questura hanno triati. Il governo olandese si è dimostrato di- assicurato che era tutto sotto controllo, abbiasponibile a punire i colpevoli, ma i danni do- mo visto cosa è successo” ha detto ai giornavranno essere pagati dalla squadra e dal suo listi il sindaco Ignazio Marino. sponsor, la Opel. Nei giorni successivi sono

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26 FEBBRAIO – TERRORISTI DELL’ISIS DISTRUGGONO REPERTI STORICI A MOSUL MOSUL – I terroristi dell’IS ora se la prendono anche con le statue e i reperti storici della città di Mosul, mentre il governo iracheno tace, evidentemente indifferente alla barbara distruzione di alcuni dei più antichi reperti mesopotamici. Ahdul Zahra, poeta, fa notare che forse questo dipende anche dal fatto che alcuni leader religiosi iracheni implicitamente approvano tutto questo, perché pensano che le statue e gli idoli distrutti siano idoli proibiti. Già due antiche moschee sono state rase al suolo, insieme a ottomila tra libri e documenti storici della più importante biblioteca della città di Mosul. “Sembra che i jihadisti vogliano lasciare il nulla dietro di loro - aggiunge l’intelettuale Azhar Alwakil - come hanno decapitato gli esseri umani ora decapitano le statue assire e sumere”. →

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27 FEBBRAIO – UCCISO BORIS NEMCOV, LEADER DELL’OPPOSIZIONE RUSSA MOSCA – Boris Nemcov, esponente liberale tori i membri dell’opposizione» – ha denune storico leadere dell’opposizione russa, è sta- ciato Gennady Gudkov, altro esponente to assassinato in pieno centro, a Mosca, da dell’opposizione. Lo stesso giorno l’emittente quattro colpi di pistola alla schiena. Putin ha Tv Center ha diffuso un video delle telecamesubito parlato di «un crudele assassinio» e di re di rilevamento meteo, che in maniera molvoler imporre un suo «diretto controllo» sulle to imprecisa mostrano gli ultimi istanti di vita dell’uomo e il killer che fugge a bordo di un’auindagini in corso. Il primo di marzo si è tenuta una grande to. Appena pochi minuti dopo la diffusione manifestazione in sua memoria, che ha visto della notizia della morte si è appreso che le intere famiglie marciare per le vie della città indagini sono state affidate all’Skr, il Comitato tenendo in mano cartelli e foto del politico. «Le investigativo della Federazione Russa, consiautorità hanno creato un clima di odio, inimi- derato anche come “il braccio armato del cizia e persecuzione, liquidando come tradi- Cremlino”.

28 FEBBRAIO – DISORDINI DURANTE LE MANIFESTAZIONI DEL 28 FEBBRAIO A ROMA ROMA – A Roma, il 28 febbraio si sono svolte scisti che, davanti alla loro sede, hanno esposto due manifestazioni, che hanno visto scontrar- cartelloni con lo slogan: “Prima gli italiani”. si i sostenitori di Lega Nord e CasaPound conI centri sociali hanno sfilato mostrando cartro gli attivisti dei centri sociali. Cinque perso- telli con l’hashtag della manifestazione: #mai ne sono state fermate, nonostante le tensioni consalvini e #RomaNonSiLega n siano cominciate quella mattina, con i neofa-

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Nigeria, ultima frontiera La Nigeria nordorientale é oramai in ginocchio in seguito alle azioni del gruppo fondamentalista di Boko Haram Attualità | di Emanuele Vicinelli

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oko Haram. Gruppo della gente della Sunna per la propaganda religiosa e la Jihad. Questi sono i due nomi del gruppo terroristico che, dall’inizio di quest’anno, ha causato più di 2000 morti in Nigeria, distrutto circa una decina di villaggi e usato tre ragazzine per fare una strage in un mercato. Boko Haram vuol dire, letteralmente, “l’educazione occidentale è peccato”: il principale scopo di questo gruppo è quello di creare uno stato islamico nell’area nordorientale della Nigeria. E non sarebbe affatto un azzardo dire che ci sono praticamente già riusciti. O meglio: sulla carta l’area dello stato del Borno e i territori circostanti appartengono allo stato nigeriano, quello ufficiale. La realtà è che, però, il governo su quelle zone non ha più potere. Si è verificata una situazione per cui non riesce a garantire quasi nessun genere di servizi: ha perso il controllo del territorio, non ha più il monopolio della forza. Questo è successo principalmente a causa di Boko Haram.

uno dei gruppi terroristici più violenti nella storia dell’Africa. È stato un errore pensare che dopo il 2009, cioè dopo l’intervento militare nigeriano che ha portato ad occupare la base principale del gruppo e alla morte di Yusuf, Boko Haram fosse sconfitta. Al contrario, dopo la morte del leader e di moltissimi altri terroristi, il gruppo si è riorganizzato sotto la guida di Abubakar Shekau, l’attuale capo dell’organizzazione, ed è diventato quello che è oggi. Il cambio di leadership è stato accompagnato anche da una radicale innovazione dei metodi usati: sono state prese di mira le scuole, i civili, le case e i villaggi.

Fondato tra il 2002 e il 2003 da Mohammed Yusuf, non ha tardato a farsi riconoscere come

I rapimenti e gli attentati a case, scuole e fermate dell’autobus sono da un po’ di →

Boko Haram ha, per così dire, trovato la sua dimensione. Portare avanti una strategia di terrore, perché da che mondo è mondo il terrore fa marketing. Il terrore fa parlare tutti, fa scappare tutti, e non fa fare nulla di concreto a nessuno. Nemmeno allo Stato nigeriano, evidentemente.

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tempo all’ordine del giorno, solo che sono sempre passati sotto silenzio, sia grazie al governo nigeriano – che, naturalmente, non è mica felice di far sapere cosa non si sta dimostrando in grado di impedire – sia grazie ai mass media, che evidentemente non hanno ritenuto la notizia sufficientemente importante. La situazione è cambiata il 14 aprile 2014, quando uno dei terroristi entra in una scuola cristiana femminile, spacciandosi per soldato. Spara e uccide un militare ed un’agente di polizia, poi entra nel dormitorio femminile e rapisce circa 200 ragazze, tra i 15 e i 18 anni. Il rapimento viene rivendicato ufficialmente solo all’inizio di maggio, in un video di sessanta minuti dove il leader di Boko Haram minaccia di vendere le ragazze come spose. Quelle rimaste, perché stando alle informazioni di un intermediario almeno 20 di loro sarebbero malate in seguito alle pessime condizioni igieniche.

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In effetti 200 ragazze rapite sono un po’ troppe perché la notizia possa essere ignorata. L’intero mondo occidentale si indigna, e con grande nerbo lo mostra facendo partire la consueta campagna di hashtag di circostanza. Dico di circostanza per un motivo semplice: se magari, all’inizio, la condivisione dell’hashtag può celare una genuina e condivisibile vicinanza emotiva, dopo poco tempo l’atto stesso si svaluta, perché vengono meno l’empatia e la volontà di indignazione che devono obbligatoriamente sostenere questo gesto. Ad oggi, di quelle duecento ragazze, non si sa ancora nulla. Altra vicenda, questa volta molto più recente. Una decina di giorni fa, nella città di Maiduguri, sono da poco passate le dodici e trenta quando una bambina di circa dieci anni, vestita probabilmente con una cintura esplosiva – visto che di lei verrà ritrovato solo il busto – salta in aria. Muoiono circa 20 persone e quasi altrettante rimangono ferite.


L’uso di bambini, come soldati o kamikaze, non è nuovo. Già altre organizzazioni avevano avuto questa idea, sempre sulla scia del terrore e del marketing, ma questa vicenda si colloca in un contesto leggermente diverso: si tratta di azioni terroristiche continue nel tempo, sistematiche, portate avanti giorno dopo giorno. Prima una bomba in un mercato. Poi un rapimento. Poi la rivendicazione, poche settimane a seguire. E il ciclo ricomincia: altri rapimenti, altre morti, altri villaggi che vengono spazzati via. Esattamente come è successo nella città di Baga tra il 3 e il 7 gennaio 2015. Il 3 gennaio un gruppo di terroristi ha attaccato la città, che ospita la base del MNJTF, la Multinational Joint Task Force. Creata nel 1994 questa task force, prima composta solo da soldati nigeriani poi anche da soldati del Niger e del Chad, aveva l’obiettivo di mantenere sicura la zona nordorientale e di confine. Con l’emergere della crisi e la proclamazione dello stato d’emergenza, il suo compito è diventato anche quello di contrastare gli attacchi di Boko Haram. Dopo aver preso la base militare, i terroristi hanno attaccato tutti. Chi è rimasto è stato ucciso. Chi cercava di scappare è stato ucciso. Più fonti riportano anche che una partoriente è stata uccisa. L’hanno trovata con la pancia squarciata. Donne, anziani, uomini e bambini sono stati uccisi. Sedici villaggi sono stati rasi al suolo. I morti si stima siano intorno ai 2000.

civili poste dalle autorità a difesa della popolazione)». Così si legge nella sezione italiana del sito di Amnesty. Testimonianze locali riferiscono che l’esercito è rimasto inerte, non ha fatto alcunché per salvaguardare i cittadini. Non sono state programmate evacuazioni delle zone a rischio, aiuti umanitari... Niente. La zona dello stato del Borno e quelle circostanti oramai sono in ginocchio: moltissimi esuli scappano, proprio alla vigilia delle elezioni presidenziali della Nigeria, che si dovrebbero svolgere tra poche settimane. Lo stato di emergenza in cui si trovano le zone più a nord verosimilmente ostacolerà il voto, non fosse altro per tutti i profughi che non potranno recarsi alle urne. Il partito di opposizione ha gran parte del suo elettorato nelle zone che oramai sono sotto il controllo di Boko Haram, e ha già dichiarato che non accetterà il risultato delle votazioni se non sarà permesso il loro regolare e completo svolgimento. Problemi che si aggiungono ad altri problemi. Intanto, alla frontiera della Nigeria, i morti continuano ad esserci. Quelli non ce li toglie nessuno. n

Amnesty International ha recentemente diffuso immagini satellitari, che qui non sono state inserite per ragioni di copyright, che documentano lo stato della distruzione della città di Baga. La stessa organizzazione ha accusato molto duramente il governo nigeriano di non aver fatto nulla per proteggere le popolazioni dal pericolo della strage. «A proposito degli attacchi a Baga, Dogon Baga e dintorni, una fonte militare ha detto ad Amnesty International: “Quell’attacco era atteso, perché Boko Haram aveva fatto sapere agli abitanti di Baga e dei villaggi vicini che avrebbe attaccato i militari e la Jtf (Task force congiunta, le milizie

Video di donne nigeriane che descivono i rapimenti di Boko Haram orgiaintellettuale.info/ qr/9/boko-haram

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Mattarella� noi, voi e l’Italia Attualità | di Serena Piazzi

« […] L’impegno di tutti deve essere rivolto a superare le difficoltà degli italiani e a realizzare le loro speranze. […] Non servono generiche esortazioni a guardare al futuro ma piuttosto la tenace mobilitazione di tutte le risorse della società italiana. […] Condizione primaria per riaccostare gli italiani alle istituzioni è intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti. […] Viva la Repubblica, viva l’Italia! » Questa è una parte del discorso pronunciato da Sergio Mattarella, neo presidente della Repubblica, martedì 3 febbraio a Montecitorio. Eletto con 665 voti, poco meno di due terzi dell’assemblea elettiva, va a prendere il posto di Giorgio Napolitano, che può cosi finalmente “andare in pensione”. Ma lasciamo da parte le votazioni, gli accordi e le alleanze per concentrarci sull’uomo, per

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cercare di capire che persona è quella che, per i prossimi sette anni, vedremo ritratta nei quadri posti sulle pareti di uffici e centrali. Sappiamo il suo aspetto fisico, capelli bianchi e occhi azzurri. Sappiamo del fratello Piersanti, ucciso dalla mafia. Sappiamo che è andato in visita a Palermo con un volo di linea. Sappiamo che ha deciso di far rimanere il Quirinale aperto al pubblico tutti i giorni, affer-


mando che è il luogo simbolo d’Italia. Conosciamo perfino la sua macchina, una Panda grigia.

li, su internet, in televisione. Giusto per vedere cosa combina. Chi lo sa, magari ci inizia ad interessare la politica.

Anche qua, lasciamo perdere il suo passato come deputato, ministro, vicepresidente del Consiglio e giudice costituzionale. Concentriamoci ancora sul significato più profondo, o più leggero, quello che ce lo fa apparire come un uomo discreto, rigoroso, che permette alla nostra parte più seria di fare capolino, anche solo per un attimo. Ancora non sappiamo se sarà all’altezza delle nostre alte (forse troppo) aspettative, se sarà migliore o peggiore. Ma quello che sicuramente possiamo fare è sperare. Sperare che si riveli, se non giusto, almeno coerente. Sperare che ricucia almeno una toppa di quel grande paio di jeans che sta diventando l’Italia, capo evergreen ma che da un po’ di tempo sta occupando il posto più in fondo all’armadio. E se anche sperare è troppo, se siamo già cinici e disillusi in partenza, potremmo almeno seguirlo. Seguirlo sui giorna-

Però, per politica intendo quella vera, fatta da persone per altre persone. Politica come massima estensione dell’uomo conservatore e dell’uomo liberale allo stesso tempo. Dove in Parlamento non si urla o ci si prende a schiaffi, ma si lavora, si costruisce, ci si mette in gioco e sì, alcune volte si sbaglia. Politica guidata dalla passione, dalla voglia di fare, cambiare, smontare, assemblare. Politica come un verbo, partecipare, come un nome, crescita, e come un colore, anzi tre, verde bianco rosso. Una politica degna della nostra Costituzione. Protagora, sofista vissuto nel V secolo a.C, sosteneva che tutti noi siamo in grado di capire e scegliere cosa è il meglio per la nostra comunità; l’uomo politico è colui che ci aiuta a trovarlo. n

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Charlie Hebdo, parliamone Attualità | di Selma Inane

« Le libertà di parola e di stampa sono essenziali per l’illuminazione di una persona libera e nel limitare quelli che detengono il potere. » — Felix Frankfurter Lo scorso 7 gennaio 2015, verso le 11.30 di mattina, la redazione parigina del giornale satirico Charlie Hebdo è stata vittima di un attentato terroristico che ha visto la morte di dodici persone e undici feriti, di cui 5 gravi. Secondo i testimoni i due uomini incappucciati e armati di fucili d’assalto kalashnikov hanno fatto irruzione nella sede della redazione, urlando ‘Allah akbar’ (Dio è il più grande) e hanno aperto il fuoco che ha portato alla morte del direttore Stephan Charbonnier e dei celebri vignettisti Cabu, Honoré, Tignous e Wolinski. Tra i morti compaiono anche l’economista Bernard Maris, alcuni dipendenti della redazione, degli ospiti e due agenti di polizia.

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Gli esecutori sono dei jihadisti di origine algerina e reduci dalla guerra in Siria. Sono stati riconosciuti dalle forze dell’ordine grazie alle carte d’identità ‘dimenticate’ in una delle varie macchine rubate per poi essere abbandonate nel corso dell’azione. Poco prima dell’attentato sul profilo Twitter del giornale era stata pubblicata una vignetta raffigurante il capo dello stato islamico (Isis) Abu Bakral-Baghdad. Nella vignetta compare una didascalia “Auguri. Anche a te, al-Baghdadi” con la conseguente replica del rappresentante: “la salute innanzitutto”. I killer hanno specificato di essere di al-Qaeda.


All’attentato, della durata totale di cinque minuti, è seguito il caos. La Francia è rimasta scioccata, ne è esempio l’editoriale del giornale francese ‘Le monde’ uscito subito dopo l’attentato. Scritto dal direttore Gilles Van Kote con grande considerazione e rispetto, sembra parlare in prima persona direttamente agli attentatori “Mi spiace, assassini, ma la Francia è laica, ignora le appartenenze religiose e non è così stupida da cadere in un tranello talmente grossolano”. I paesi di tutto il mondo hanno immediatamente manifestato, organizzato flash mob e scritto della vicenda in solidarietà della redazione. Tutte le associazioni islamiche della Francia, e del mondo, hanno rinnegato l’attentato, specificando che una violenza e brutalità del genere non fanno parte dell’ideologia islamica. Ovviamente, non è mancato chi ha visto la strage come l’occasione perfetta per scatenarsi con scritti alquanto accusatori e razzisti nei confronti del mondo islamico, mostrando una compassione minima, se non nulla per le vittime e per le loro famiglie che da quel giorno devono contare un posto in meno a tavola. Così facendo, numerose personalità di spicco, quindi in possesso dei mezzi per arrivare alle masse, hanno incitato la comunità, europea e non, alla violenza e all’odio razziale. È lecito appropriarsi di una tragedia che propria non è per scopi propagandistici? Aumentare l’odio razziale e la xenofobia? È giusto generalizzare in questo modo? Ma più di tutto è giusto condannare più di un miliardo di persone per questo? Tutto nasce da una mancata informazione, da mass media manipolatori e da gente che a sua volta si fa manipolare. Quest’articolo non vuole essere di critica, ma un semplice spunto informativo. Islam non è terrorismo. Essere arabo o credere in Allah non rende un assassino. Chi, come questi terroristi, compie atti di violenza contro il prossimo in nome di un Dio che ha mal interpretato e pretende di rappresentare, non fa altro che esportare il falso Islam, manipolare e violarne i veri principi tramite atti vili e disumani.

Ciò che più mi appare sconcertante però è come la gravità di questo atto sia stata sorvolata per concentrarsi completamente sul credo religioso degli attentatori. A mio parere è un aspetto minimo, soprattutto se in gioco c’è la violazione di uno dei diritti più importanti per l’umanità: la libertà di stampa. Ciò che sembrano dimenticare tutti questi politici, giornalisti, cittadini, è che c’è stata una violazione di una libertà che oseremmo definire sacra e la cui conseguenza è stata la morte di persone che hanno passato la vita a lottare per essa. Essere liberi di esprimersi, non dover inciampare in margini a noi imposti da altri, dal potente di turno e dall’ideologia che gli fa comodo al momento è ciò che rende uno scrittore tale, libero. E come tutti sanno ma in pochi comprendono davvero, la nostra unica vera arma è la scrittura. Perché per ogni persona a cui sarà imposto il silenzio, altre due sorgeranno e lotteranno per mantenere la loro libertà in quanto individui anche sulla carta. Charb, direttore e disegnatore di Charlie Hebdo ucciso nell’attentato, disse ‘preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio’ e così verrà ricordato. Avere coraggio e credere nelle proprie idee in un’epoca di stragi, di mancata umanità e di incoerenza è una dote, significa essere eroi nel proprio piccolo, significa rifiutare di piegarsi, ma comporta anche l’essere consapevoli di vivere in una società malata, dove la vera libertà spesso porta o arriva a coincidere con la morte. Ciò che è accaduto dovrebbe ricordare a ogni uomo, donna, ragazzo, ragazza quanto, in un periodo come questo, sia fondamentale l’informazione. Arrivare a questo punto, pretendere di sproloquiare su tutto senza avere nozioni basilari riguardanti le dinamiche dei conflitti che hanno e stanno ancora sconvolgendo il mondo, è vergognoso. L’Europa, capostipite dei principi liberali e democratici per eccellenza -o almeno così si ripropone- deve, ora più che mai, fare dell’informazione il suo cavallo di battaglia, affinché viga la libertà d’informazione che nel tempo porterà a una maggiore integrazione fra i popoli. n

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“ti sto guardando� | di Martina Piazzi

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Charlie Hebdo, flash mob Flash mob di sabato 11 gennaio, e ulteriori aggiornamenti Attualità | di Selma Inane Galleria fotografica di Stefano Rossi

Questo articolo è stato scritto l’11 gennaio 2015 e pubblicato online sul nostro sito. Lo stampiamo per chi non l’avesse ancora visto.

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egli ultimi giorni tutta la Francia è sotto allerta per la situazione parigina. In primis in seguito all’attacco terroristico alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, che ha portato all’intervento delle forze speciali francesi per la cattura degli attentatori. Mercoledì mattina i due fratelli Said e Chérif Kouachi, spinti da ideologie jihadiste, si sono rifugiati in una tipografia poco distante da Parigi. Sono stati trovati e uccisi grazie a un ‘ostaggio’ inconsapevole che, nascosto in uno scatolone, ha segnalato la posizione degli assassini alla polizia. L’altro ostaggio, Michel Catalano, è stato liberato e portato in salvo. In

seguito all’attacco terroristico alla redazione del giornale è stata uccisa una giovane poliziotta francese a Montrouge, nel sud della capitale. Il colpevole Amedy Coulibaly è scappato, mentre la compagna Hayat Boumeddiene è ricercata. Ore dopo, armato di kalashnikov, Coulibaly è entrato in un supermercato kosher a Vincennes, nella periferia di Parigi, e ha preso in ostaggio una quindicina di persone, fra cui donne e bambini. Ai poliziotti ha gridato “sapete chi sono, sapete chi sono!”. Ha apertamente dichiarato di aderire allo stato islamico e di essere d’accordo con gli attentatori di Charlie Hebdo. Lassana Bathily, commesso del negozio →

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musulmano, ha invece messo in salvo numerosi ostaggi nascondendoli nella cella frigorifera spenta del supermercato, dove, all’insaputa dell’attentatore, sono avvenuti scambi di informazioni fra uno degli ostaggi e la polizia francese. In totale si contano cinque vittime, fra cui l’attentatore. La Francia è sotto shock, ma non manca il sostegno di tutti i paesi del mondo. Sono gli stati Europei confinanti a temere, in attesta del loro turno. Gli atti terroristici hanno portato a numerosi attacchi a tutte le moschee, parigine e non. Per ora non si contano vittime. In Francia la politica Jean-Marie Le Pen, figlia dell’esponente del Front National ha apertamente dichiarato “io non sono Charlie”. Non è da meno il nostro Salvini, che ha sfoggiato una varia gamma di opinioni al riguardo, istigando sempre all’islamofobia e al razzismo. Una nota positiva è stato il flash mob tenu-

Studenti assembrati in Piazza Maggiore

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tosi ieri a Bologna in Piazza Maggiore, che ha visto la partecipazione di studenti di tutte le scuole superiori, e non solo, bolognesi. Più di duemila persone hanno alzato le loro matite, hanno detto parole di sostegno e si sono mostrate impegnate, attive e forti contro il terrorismo, la disinformazione, il razzismo e la violazione del diritto alla libertà di stampa. In contrapposizione all’impegno dei cittadini bolognesi, non è mancato l’incoerente stand della Lega Nord che è improvvisamente diventato sostenitore di Charlie Hebdo e distribuiva volantini contro le moschee e l’Islam in Italia. Ma ahimè, forse erano ignari dei contenuti del giornale, o del fatto che fosse un giornale vero e proprio e non solo delle copertine. [Nota della redazione: per maggiori informazioni sull’ipocrisia di alcuni partiti politici, consigliamo la lettura dell’articolo “Dopo l’attacco a Charlie Hebdo tutti i politici italiani hanno scoperto di amare la satira” di Mattia Salvia] n


Matite alzate durante il minuto di silenzio

Uno dei rappresentanti del Copernico, Luca Alberti

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Yassine Lafram, coordinatore della CIB (Comunità Islamica di Bologna). Nel suo discorso ha fortemente condannato l’attacco terroristico di Parigi

Altra vista della folla

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Stand di Lega Nord in Via degli Orefici. Il partito politico, che si è dichiarato sostenitore di Charlie Hebdo adottando lo slogan“Je suis Charlie”, ha sfruttato l’evento per distribuire volantini contro l’Islam e contro le moschee in Italia

Selma Inane, redattrice di Orgia Intellettuale, è l’autrice di quest’articolo

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Nous sommes Charlie Hebdo Pubblichiamo di seguito le vignette che abbiamo ricevuto a sostegno di Charlie Hebdo

di Jessica Ferri

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di Lorenzo Bergonzoni

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Tout est pardonné Attualità | di Ayoub El Alouani

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opo gli avvenimenti accaduti recentemente in Francia, la rivista Charlie Hebdo non ha cambiato la sua “tabella di marcia” e ha pubblicato un nuovo numero datato 14/01/15. Questo si contraddistingue dai precedenti per il numero di copie vendute e il numero di lingue in cui è stato tradotto. Inizialmente la rivista voleva pubblicare 1 milione di copie tra cui 240 mila distribuite all’estero (tradotte in 16 lingue) ma i numeri non sono riusciti a far fronte ai compratori che volevano avere a tutti i costi la rivista (o per avere un pezzo di storia o per solidarietà verso le vittime). Alle 8:00 del 14/01/15 già in quasi tutta Francia sono terminate le copie, obbligando perciò

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la rivista a stamparne delle altre. 5 milioni. Stanno facendo il giro di tutto il mondo. Anzi, quasi tutto. Infatti sia la Russia che il Senegal hanno rifiutato l’ammissione della rivista nel paese dichiarandola offensiva e insensata. La Turchia ha bloccato tutti i siti che mostravano la copertina di Charlie Hebdo pubblicando solo le pagine che non erano riguardanti Maometto o l’Islam in generale. La domanda che si pone ovvia è: Cosa ha pubblicato questa volta la rivista? La copertina raffigura il profeta Maometto che regge un cartello con su scritto “Je suis Charlie” (la frase per il diritto di parola ormai diventata celebre) con una lacrima che gli scende lungo la guancia. Il titolo della rivista (tout est pardonnè) è


stato molto discusso nel mondo islamico. L’Egitto come la Turchia ha acceso un’ampio dibattito fra diritto di parola o meno. Molti altri paesi sono rimasti indignati mentre altri hanno chiesto la libertà di parola con manifestazioni e proteste. Charlie Hebdo dichiara: “non siamo contro l’Islam, ma contro il terrorismo e la Jihad”. Il numero non si ferma solamente

alla copertina e ovviamente non solo all’argomento Islam ma richiama punti già citati nei precedenti articoli: (Cristianesimo, i partiti di Destra, il diritto di parola...). In Italia la rivista è stata distribuita dal ‘’Fatto Quotidiano” per 2 euro a copia e parte del ricavato è andato alle famiglie delle vittime. n

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Je suis Charlie Attualità | di Giulia Bergami

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e Suis Charlie. Sappiamo davvero cosa significa?Questa frase deve farci riflettere, altrimenti perché dirla, perché prendercene carico? Quelli della redazione Charlie Hebdo colpita dall’attentato erano giornalisti satirici, poco preoccupati delle minacce ricevute e più interessati a far valere i loro contenuti.Affermare “Io sono Charlie” è quindi una bella responsabilità. Non stiamo dicendo “io sto con Charlie” o “io sono vicino a Charlie”, noi ci stiamo paragonando a loro. Siamo certi di essere davvero così coraggiosi di far valere le nostre idee? Con nostre non mi riferisco alle ideologie che molti hanno e che, per seguire le masse, adottiamo anche noi. Io mi chiedo siamo davvero in grado di reggere la pressione di essere una voce fuori dal coro? La vita degli adolescenti, ma non solo, è

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tutta caratterizzata dalla perenne paura dell’opinione degli altri. “Cosa penseranno di me?”, “cosa diranno se mi comporto così?” o ancora “sono abbastanza alternativo?”. In molti aspetti della nostra esistenza siamo capaci unicamente di omologarci. È più facile e impiega meno tempo seguire l’opinione di un altro piuttosto che crearne una personale. Con questo grido che echeggia sui social network si rivendica la libertà di stampa, di parola. Alla base della quale, però, vi è il presupposto di averla una idea. Pochi pensano con la propria testa, pochi sono davvero Charlie. Tuttavia con ciò non intendo che non possiamo ricordare e dissentire. Sarebbe sufficiente ammettere: “loro sono stati Charlie, ora tocca a noi!” n


La libertà delle parole Attualità | di Serena Piazzi

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l 31 gennaio 1865, esattamente 150 anni fa, il congresso degli Stati Uniti approvava il 13° emendamento, che aboliva la schiavitù in tutti gli stati del Paese. Paese con la “P” maiuscola. Un Paese che, sotto la guida di uno dei pochi leader veritieri che la Storia ha saputo darci, è riemerso dallo stato di odio ed ignoranza in cui era caduto per approdare alla ragione morale attraverso un semplice Pezzo di carta. Anche qua, dobbiamo usare la lettera maiuscola. Maiuscola per farci saltare all’occhio questo nome, per fissarlo nella nostra mente, per non lasciare che venga dimenticato o sepolto sotto le tante informazioni con cui veniamo a contatto ogni giorno. In 150 anni sono successe tante cose. Indimenticabili, dimenticabili, belle, brutte, veloci, interminabili. Avvenimenti che vanno dal crollo delle Torri Gemelle al matrimonio di William e Kate. Dalle guerre in Iraq all’esistenza di due Papi nello stesso momento. Tutti avvenimenti che, però, sono stati frutto di scelte prese consapevolmente, giuste o ingiuste che siano, ma, soprattutto, scelte prese da uomini liberi. Liberi di pensare, di agire, nel bene e nel male, senza essere vincolati a qualcuno di superiore, o almeno non involontariamente. Tutto questo si traduce nel più umano dei bisogni che, da Spartaco a Martin Luther King, tutti noi conosciamo: essere liberi.

Ma libertà è una parola molto usata, forse troppo. Letteralmente significa “condizione di piena autonomia e indipendenza nei confronti di potenze straniere e di non soggezione a poteri tirannici”, ma in realtà ha altre mille sfaccettature, come tutte le parole. Significa anche pensare usando la ragione, ad esempio. O agire prendendosi le proprie responsabilità. Proprio perché le parole sono come caleidoscopi, che mostrano mille variazione della stessa immagine, impariamo a non abusarne. A prendercene cura. Ad utilizzarle con cura e con rispetto, anche quando magari non dicono quello che vorremmo sentire. Impariamo a vederle come frecce che portano a tanti concetti ed idee, come una grande mappa al tesoro dove lo scopo non è trovare il forziere, ma imparare ad usare la bussola. Gli anniversari servono proprio a questo. A fermarci un attimo e a vedere sotto un’altra luce quello che ci circonda. Ad approfondire quello che credevamo di sapere. Ad imparare ad imparare. Come il primo giorno di scuola, quando abbiamo scritto per la prima volta le lettere sulla lavagna, cosi le riscriviamo, arricchite da tutte le esperienze che abbiamo fatto, ma con la stessa curiosità di allora. Il 2015 è pieno di anniversari. Vediamo di non dimenticarcene. n

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Quando l’Expo di Milano pensa di “guarire” l’omosessualità Attualità | di Stefano Rossi

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e terapie di conversione (anche dette terapie riparative o terapie di riorientamento sessuale) sono una serie di trattamenti che hanno come obiettivo il cambiamento dell’orientamento sessuale da omosessuale ad eterosessuale, o il convincere una persona transgender a smettere di identificarsi con il sesso che ha scelto, obbligandola ad identificarsi con il suo sesso di nascita.

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Queste terapie sono totalmente pseudo-scientifiche: non sono riconosciute dalla scienza ufficiale in quanto non è stato possibile ottenere prove empiriche e sperimentali della loro effettiva validità. Sono nella maggior parte dei casi appoggiate e sostenute da gruppi cristiani. Cercando su Google delle prove sulla loro validità troverete diversi articoli in merito, ma tutti provenienti da siti di associa-


zioni cristiane. I centri specializzati in queste terapie di conversione sono diffusi principalmente negli Stati Uniti, dove non a caso il fondamentalismo cristiano è ancora molto forte. Un articolo di Repubblica del 20051 parla dell’avvento di questi centri in Italia, ma nel nostro Paese se ne sente parlare decisamente meno che negli States (probabilmente proprio perché ce ne sono di meno). I metodi applicati in questi centri fanno parte di quelle che sono definite “terapie dell’avversione”: le persone che si sottopongono a tali trattamenti vengono esposti a stimoli e simultaneamente assoggettati a qualche forma di disagio. I “medici” di questi centri provvedono ad applicare, simultaneamente a stimoli omoerotici, shock elettrici alle mani e/o ai genitali dei pazienti, e somministrano loro farmaci che inducono alla nausea. Successivamente si procede a terapie psicoanalitiche ed interventi spirituali, come “preghiere, gruppi di supporto e pressioni” di vario tipo. La America Psychiatric Association ha condannato tutti i «trattamenti psichiatrici, come le terapie di conversione o riparative, che sono basate sul presupposto che l’omosessualità sia un disordine mentale, o basate sul presupposto che un individuo debba cambiare il suo orientamento sessuale omosessuale.» Inoltre, sempre la stessa associazione ha affermato che «sembra probabile che la promozione di terapie di cambiamento rinforzi gli stereotipi e contribuisca ad un clima negativo per le persone lesbiche, gay e bisessuali.» Nel 2012 la Pan American Health Organization (il ramo americano della World Health Organization) ha rilasciato una dichiarazione che mette in guarda contro quei servizi che pretendono di “curare” persone con orientamento sessuale non-eterosessuale, in quanto non sono sostenute da spiegazioni mediche e rappresentano una seria minaccia alla salute ed al benessere delle persone interessate; ha inoltre fatto notare che la comunità scientifica e professionale globale è unanime nell’affermare

Petizione su Change.org orgiaintellettuale.info/qr/9/expo che l’omosessualità è una normale e naturale variazione della sessualità umana e non può essere considerata come un disturbo patologico. La stessa organizzazione ha inoltre chiesto a governi, istituzioni accademiche, associazioni professionali e media di esporre queste pratiche e di promuovere il rispetto per la diversità. Anche l’Australian Psychological Society è d’accordo, ed afferma che «l’orientamento omosessuale non è una malattia mentale e non ci sono ragioni scientifiche per tentare una conversione di lesbiche o gay ad un orientamento eterosessuale. L’Australian Psychological Society riconosce la scarsità di evidenza scientifica riguardo l’utilità di una terapia di conversione, e sottoscrive che essa potrebbe, di fatto, essere dannosa per l’individuo. Cambiare l’orientamento sessuale di una persona non è semplicemente una questione di cambiamento del comportamento sessuale della stessa. Esso necessiterebbe dell’alterazione dei sentimenti emozionali, romantici e sessuali della persona e la ricostruzione della propria concezione di sé e dell’identità sociale.» Quando si considerano queste terapie è bene considerare che la maggior parte dei pazienti di questi centri sono ragazzi o ragazze minorenni, che, dopo aver fatto coming out in famiglia (cioè dopo aver detto ai propri genitori di essere omosessuali), sono stati da questi ricoverati (o meglio, rinchiusi) in →

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questi centri contro la loro volontà. Non è raro sentire di ragazzi o ragazze che, costretti ad odiare la loro stessa natura, per sfuggire alle torture di questi centri scelgono la via del suicidio. Per questo motivo è stato vietato l’utilizzo di queste pratiche sui minori in California, New Jersey e Washington, D.C., e si sta cercando di fare altrettanto negli stati di New York, Massachusetts e Illinois. L’Expo 2015, che si terrà a Milano tra il 1° maggio e il 31 ottobre, ha come tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Discostandosi leggermente da questo tema, ha dato il per1. L’articolo si intitola “I corsi per “guarire” i gay - In Italia “terapie” dagli Usa”. Lo trovate al seguente indirizzo: www.orgiaintellettuale.info/9/articolo-repubblica 2. In seguito a ricerche specifiche, già dagli anni ‘70 si è smesso di considerare l’omosessualità come una malattia. Nel 1973 ha dato l’esempio

messo ad una associazione di organizzare un convegno sulle terapie riparative, e ha concesso a questa associazione il permesso di utilizzare il logo Expo. È in corso una raccolta firme, su Change. org, per chiedere di ritirare questa autorizzazione. Al momento della scrittura di questo articolo ha 24.000 firmatari. 24.000 persone che, probabilmente, non ritengono opportuno che un evento come l’Expo, nato per portare progresso, promuova delle “cure” barbare (e sotto certi aspetti medievaleggianti) per una malattia che non esiste2. n

l’American Psychiatric Association, seguita nel 1975 dall’American Psychological Association e nel 1990 dalla World Health Organization. L’attuale ricerca e letteratura clinica dimostrano che attrazioni, comportamenti e sentimenti omosessuali, di tipo sessuale o romantico, sono normali variazioni della sessualità umana.

di Martina Piazzi

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Caravaggio - Fanciullo con canestro di frutta

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Graffiti di Banksy a Camden, nella parte nord di Londra

Il business del risca Attualità | di

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iscaldamento globale. Immagino che tutti ne abbiano sentito parlare e che siano consapevoli dell’attualità del problema. Non tutti sanno però che ci sono persone le quali riescono a trarre enormi guadagni dal riscaldamento globale e che grazie a questo hanno creato un vero e proprio business. Personalmente non avrei mai pensato che non ci sia un reale interesse a trovare una soluzione a questo problema ambientale, ma che invece ci sia un grande interesse a far sì che continui. Il motivo dietro tutto ciò è unico e semplice: soldi, guadagno. Questo non è altro che uno dei tanti esempi di come gli uomini si lascino guidare dal potentissimo dio capitale, pensando

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egoisticamente solo ai propri interessi. D’altronde lasciare che i ghiacci si sciolgano fa sì che i depositi di petrolio e matalli diventino più facilmente accessibili; i forti uragani che colpiscono la grandi città sul mare come New York permettono un aumento delle azioni delle aziende che producono dighe marine; l’innalzamento delle temperature crea la possibilità di investire moltissimi fondi sull’acqua nelle zone più “stressate” dal clima, quelle che ormai stanno diventando desertiche. Addirittura le grandi case farmaceutiche ci guadagnano: su un pianeta più caldo ci sono più zanzare e allergie, dunque servono farmaci per combatterle. Questi sono solo alcuni emblematici esempi.


aldamento globale Giulia Lang Ciò su cui preferirei focalizzare l’attenzione però non sono i motivi per cui questo enorme business procede, ma le sue conseguenze sociali. I responsabili delle emissioni di gas (principali cause del riscaldamento globale) sono i benestanti, soprattutto europei e nord-americani. Questi hanno un certo interesse a causarle, poiché i danni ambientali sono motivo di guadagno e allo stesso tempo non ne subiscono alcun effetto dal momento che sono abbastanza facoltosi da permettersi tutte le precauzioni per proteggersi. Coloro che invece subiscono gli effetti più gravi sono anche i meno responsabili: sono le persone più povere, le quali sono destinate a impoverirsi ancora di più, ad esempio nel caso in cui la loro casa

venga spazzata via da un tornado. Ma è giusto tutto ciò?! A mio parere la domanda è retorica, infatti non lo è assolutamente. Ciò che tutti dovremmo capire è che siamo parte di un’unica grande famiglia, di un unico grande sistema che comprende anche animali e piante. Se contribuiamo a distruggere parte di questo sistema, alla fin fine distruggeremo noi stessi. Concludo con un invito rivolto a tutti (me compresa): informiamoci, riflettiamo, discutiamo, creiamoci una coscienza. n

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Censura italiana Attualità | di Sara Barbieri

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opo la strage alla redazione del giornale parigino Charlie Hebdo, nel Web è spopolato lo slogan “Je suis Charlie”, utilizzato anche nelle manifestazioni di solidarietà recentemente svoltesi in moltissime città europee. Questa frase viene ormai impiegata come sinonimo di libertà di parola, contro la censura. Sono in molti coloro che dichiarano di voler lottare per la democrazia, perché tutti possano avere uguali diritti e, di conseguenza, uguale libertà di espressione. Ma non tutti sono concordi, per lo meno sull’importanza attribuita al nuovo motto, e sui social network sono comparsi stati dal titolo “Noi non siamo Charlie”. Le tesi a sostegno del loro distacco morale sono diverse, ma una in particolare mi ha colpita: gli Italiani vengono, alle volte, definiti ipocriti, poiché tanto amanti della libertà quando non si rendono (ci rendiamo) conto che il problema è più vicino di quanto sembri e, in realtà, ben in pochi hanno fatto qualcosa per contrastarlo effettivamente. La censura, infatti, è presente anche nel nostro Bel Paese. Che voi siate Charlie o meno, vorrei un attimo concentrarmi sul fatto che mi ha preoccupata maggiormente. Potrei anche essere definita ingenua, nel migliore dei casi, eppure non mi ero mai soffermata sulla domanda “quanto effettivamente siamo influenzati dal potere della censura in Italia?”. Innanzi tutto, trascrivo i dati raccolti da Reporter senza frontiere (RSF), che annualmente pubblica una classifica sulla libertà di stampa,

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nella quale sono presenti ben 180 paesi. Il primo posto (Finlandia, 2014) è occupato dal paese più libero, l’ultimo (Eritrea, 2014) dal paese dove la libertà di stampa è pressoché inesistente. L’Italia, nell’indice del 2014, si colloca al 49° posto (salendo di 8 posizioni rispetto al 2013), al di sotto addirittura degli Stati Uniti d’America (che sono scesi in classifica di 14 posizioni, portandosi al 46° posto). Sorge, a questo punto, spontanea un’ulteriore domanda: come mai non siamo più in alto in classifica? Partiamo subito con l’argomento più discusso dell’anno (per ora): la censura non sembra avere eccessive ripercussioni su articoli o programmi di satira. Almeno dalle fonti su internet. La Rai, per esempio, ha eliminato qualunque tipologia di satira, come fa presente Travaglio nel suo editoriale dell’8 gennaio 2015 (giorno successivo alla strage di Parigi). Il giornalista passa in rassegna gli ultimi 14 anni di censura della rete televisiva, vi sono stati casi in passato (a partire dal famoso Beppe Grillo, ma anche Luttazzi o Santoro) di comici allontanati da trasmissioni televisive per diversi anni, i quali erano scomodi per politici o imprenditori, arrivando a una “tolleranza zero” riguardo qualunque tipologia di comicità caricaturale (si può trovare il suo intervento nel sito tv.ilfattoquotidiano.it). Fortunatamente, la satira può trovare sfogo su altre reti o comunque in giornali indipendenti e quindi non viene definitivamente smorzata, ma di certo subisce, ancora oggi, attacchi da non sottovalutare.


Pare abbia molto rilievo anche la Censura cinematografica, che quest’anno compie ben centodue anni, passando per Guerre Mondiali e continuamente sottoposta a modifiche, è riuscita ad arrivare fino a noi. Per studiarne meglio la storia fino al dopoguerra, è stata creata una mostra interamente online al sito cinecensura.com, purtroppo però, come già detto, non tratta della censura odierna. Ma non pensate che quindi non ci sia, al contrario. Nel 2013 è uscito il film Girlfriend in coma, documentario tratto dal libro “Good Italy, bad Italy” di Annalisa Piras e Bill Emmott. Nel film si tenta di spiegare la crisi economica e morale italiana, cercandone i possibili colpevoli e mettendo in luce comportamenti positivi e negativi di politici o personaggi illustri che hanno modificato il contesto italiano. Un film che in sostanza ripercorre tutte le bravate di un certo Silvio Berlusconi, in particolare. Inutile dire quanto ha faticato questo documentario per vedere la luce nelle sale italiane, passando oltretutto quasi inosservato. La storia si ripete per Cristiada, film storico che tratta della repressione della fede cattolica in Messico ad inizio secolo, che causò una guerra civile. Nel film alcuni uomini credenti si armano per lottare e vengono sostenuti da sacerdoti nelle loro scelte. In questo caso pare che il film fosse scomodo a vescovi restii dal ricordare eventi non politicamente corretti e ai produttori stessi di film, che lo ritenevano poco vantaggioso dal punto di vista dei guadagni. In ogni caso la Censura cinematografica sembra agire quasi esclusivamente nell’adattare i lungometraggi al pubblico tramite i v.m. 18, 14 e 10 (in vigore dal 2007), e probabilmente è così, peccato che ci siano altre problematiche nel nostro Bel Paese capaci di impedire a un film di varcarne i confini. Nonostante questi episodi non giovino certo alla reputazione italiana, già abbastanza danneggiata, non sono ciò che ci portano tanto in basso nella classifica di Reporter senza

frontiere. La graduatoria si basa sulle diffamazioni e violenze rivolte ai giornalisti e, nel nostro caso, non è il governo ad attuare punizioni corporali sui cosiddetti “personaggi scomodi”, ma è un’entità che piano piano si sta sostituendo al nostro stato, lasciandogli sempre meno spazio e acquistando sempre più potere: le mafie. Infatti, secondo gli articoli di RSF, solo nel 2014 sono stati ben trentotto i giornalisti a subire attacchi fisici, che negli ultimi anni sono notevolmente aumentati rispetto ai ventidue registrati nel 2011. Basti pensare al più che conclamato caso di Giovanni Tizian, che ormai vive sotto scorta dal 2012 per aver portato a galla questioni che le mafie avrebbero preferito tenere nascoste, come l’infiltrazione mafiosa nelle regioni settentrionali. Ovviamente non è l’unico. In realtà pare non esistano statistiche ufficiali per poter avere una stima precisa dei giornalisti sotto scorta, ma L’Osservatorio Ossigeno per l’informazione riporta oltre duemila intimidazioni documentate tra il 2006 e il 2014, evidenziando una costante crescita negli ultimi anni. E qui mi fermo per una piccola riflessione. È giusto che il nostro Paese venga influenzato da delle associazioni a delinquere tanto da risultare (ed essere) una nazione senza libertà di stampa? Fino a quando ci piegheremo ancora al sopruso di pochi senza batter ciglio perché “non ci riguarda”? Questi articoli dovrebbero essere un forte campanello d’allarme per tutti. Si parla di privazione di notizie e idee, di informazione negata. Veniamo privati tutti i giorni della nostra libertà di parola. E tutto questo non dovrebbe saltar fuori “casualmente” in concomitanza con una strage in Francia, dopo la quale si è discusso maggiormente se e dove la satira avesse un limite. L’accaduto non è di certo da sottovalutare, anzi, eppure ogni tanto dovremmo abbassare gli occhi, puntarli su noi stessi. Forse è da lì che dovremmo cominciare, lottando in primis le nostre battaglie e non quelle altrui. n

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Riflessioni sul divano

Riflessioni pomeridian

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he stupefacente invenzione la TV! Credo, comunque, che anche il divano di fronte alla TV debba avere il suo elogio. Proprio così! Non è meraviglioso spaparanzarsi sul divano dopo un massacrante allenamento di tiro con l’arco (o qualunque altra cosa, poiché anche il semplice stare al mondo è impegnativo!) e guardarsi un bel film? È esattamente quello che mi è capitato in questi ultimi giorni e poiché non sono così brava a scrivere recensioni ti offro, lettore, in questa rubrica ciò che posso: un pentolone di riflessioni, immagini, domande, scene, odori esperienze che credo importante condividere. Il tutto dal divano, di fronte alla TV. Buona lettura!

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Pochi giorni fa di andare a letto proprio non ne volevo sapere, nonostante la condizione del mio fisico e del mio cervello non fossero d’accordo. Che fare? Controllare se c’era un bel film da vedere. Ora, non potete sapere quanto mi sento fortunata ad aver trovato con un click del telecomando un film meraviglioso che mi ha traghettato nel sud-est asiatico vicino a dove ho passato la mia infanzia: Birmania. Il film “The Lady”, firmato Luc Besson, racconta infatti la storia della vita del premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi, dall’infanzia agli avvenimenti vicini all’uscita del film nel 2011. È con questo lungometraggio (che invito a guardare, magari in lingua originale per i nostri “linguisti” copernicani) che ho conosciuto lo


o [Orchidea d’acciaio]

ne | di Rebecca Fogacci spirito e il carattere di una donna di cui conoscevo il viso dalle riviste di Amnesty International. Anzi, diciamo la verità: di lei non sapevo proprio nulla. Non sapevo che era figlia di un generale leader del movimento nazionalista birmano vittima di un attentato negli anni quaranta. Tantomeno non avevo idea che, dopo aver studiato ad Oxford, Aung San Suu Kyi si era dedicata al marito, inglese, e ai suoi due figli. Negli anni ottanta era effettivamente una casalinga inglese. Chi lo avrebbe mai detto che, nel 1988, avrebbe deciso di tornare nella sua patria per liberare il suo paese dalla tirannia di una dittatura militare sanguinaria? Di sicuro, quella di entrare nella politica di un paese nell’anno in cui l’esercito governativo

non ebbe alcun problema ad uccidere numerosi studenti (poco più grandi di noi) che protestavano nella capitale non fu una decisione facile. Soprattutto sapendo che i diritti civili e fondamentali dei dissidenti politici venivano completamente ignorati. È dal 1988 che Aung San Suu Kyi sacrifica la propria vita, e involontariamente quella dei suoi cari, per il “semplice” amore per la libertà e la democrazia. Perché, se trascorri 21 anni dall’altra parte del globo rispetto alla tua famiglia, di cui 15 agli arresti domiciliari, i tuoi figli cresceranno senza una madre. Tuo marito potrebbe morire di cancro senza averti al suo fianco. E purtroppo questo è quello che successo. Questo il ricatto sottoposto a una donna con le orchidee tra i capelli: la →

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Aung San Suu Kyi nel 2013, durante la cerimonia della laurea ad honorem rilasciata dall’Università di Bologna

famiglia o il rischio di combattere con la non violenza giorno dopo giorno per la democrazia assente nel proprio paese. Ebbene, io non so proprio cosa avrei fatto al suo posto. Posso solo dirvi ciò che ha fatto lei. Aung San Suu Kyi non si è piegata alle minacce, non si è piegata alla violenza ma ha lottato e continua a farlo ancora oggi, proprio come un’orchidea d’acciaio. Ecco, la domanda che mi sorge involontaria, quella del “io cosa avrei fatto?” mi assilla. Avrei gettato la spugna se fossi stata reclusa dal mondo e dalla mia famiglia? Mi sarei arresa sapendo che i miei amici chiedendo democrazia hanno ricevuto torture indicibili? So che quella donna piccolina, magrissima, con i fiori tra i capelli ha ottenuto in questo modo 40 seggi parlamentari sui 45 disponibili per l’opposizione. Aung San Suu Kyi sicuramente ha messo in pratica senza se e senza ma grandi valori e ha lottato per numerosi diritti. Diritti che oggi ritengo scontati, diritti che qualcun altro ha ottenuto per me. Diritti e valori per cui non so se sarei in grado di dare la mia vita.

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Il sottotitolo del film è “L’amore per la libertà”. Amore. Ora mi rendo conto quanto possa essere potente e scomodo per il potere che si basa sulla violenza e sul silenzio della paura. Lei, per me, è certamente un modello di donna da seguire. È il politico che vorrei per il mio paese. Ascoltando su Internet il suo discorso tenuto qui a Bologna (quando ha ottenuto la laurea honoris causa) ho capito che per lei la politica non è quella cosa scomoda di cui parlare al bar. Per Aung San Suu Kyi la politica è quello che dovrebbe essere sempre: l’arte del convivere cercando il bene comune. Siamo sicuri sia così anche in questo Paese dalla costituzione più bella del mondo, a quanto ho spesso sentito dire? n


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Dillo in italiano Riflessioni pomeridiane | di Emanuele Vicinelli

Parlare bene una lingua, usando tutte le parole che servono — nette e pertinenti — vuol dire possedere e poter usare bene il proprio pensiero. E, naturalmente, saperlo esprimere e trasmettere. – Annamaria Testa

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nternet sembra essere l’ideale punto di accesso al mare di informazioni che sono fondamentali, oggi più che mai, per comprendere un mondo che cambia, e cambia anche rapidamente. Ed è proprio con Internet e con la consapevolezza di vivere in piena era della globalizzazione che l’italiano ha cominciato ad essere modificato sempre di più con innesti di parole che provengono da altre lingue, sopratutto l’inglese. Una lingua meticcia è solo una cosa positiva, perché rende disponibili una serie di alternative molto più adatte e convincenti a parole italiane. Pensiamo solo a computer, che nessuno sostituirebbe mai con calcolatore elettronico, o all’espressione fil rouge, molto più evocativa della controparte italiana. Questa cosa, però, ci sta sfuggendo di mano. Mentre l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, gli italiani pensano che sia bello e proprio di persone acculturate sostituire parole italiane con altre inglesi. E le pronunciano

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pure male. Renzi, che è giovane, talmente giovane da usare location al posto del più nostrano e altrettanto preciso luogo, è solo uno dei tanti esempi. Che tiriamo in ballo perché si tratta di un politico, e a tutti piace prendere in giro i politici. Altro esempio, ugualmente preoccupante: in ambito aziendale slide è tra le prime cinque parole più usate. Evidentemente il mondo dell’imprenditoria è disgustato dal concetto che schermata veicola. È proprio in questi giorni che la pubblicitaria e amante dell’italiano Annamaria Testa, prima su change.org e poi su Internazionale, ha lanciato una petizione per ridare alla lingua italiana tutta la dignità che la commistione con l’itanglese (o inglesiano, se vi piace di più) le ha rubato. È interessante il fatto che la stessa ideatrice si preoccupi di sottolineare che il suo non è un pensiero miope e conservatore, ma che al contrario vuole essere un tentativo di


garantire alla lingua un’evoluzione consapevole, capace di darle quell’essenzialità e dignità che tutte le cose belle devono avere. Concludo riportando, senza cambiare neanche una virgola, gli otto pilastri della petizione. Vi consiglio di prestare particolare attenzione al primo e all’ultimo punto: 1) Adoperare parole italiane aiuta a farsi capire da tutti. Rende i discorsi più chiari ed efficaci. È un fatto di trasparenza e di democrazia. 2) Per il buon uso della lingua, esempi autorevoli e buone pratiche quotidiane sono più efficaci di qualsiasi prescrizione. 3) La nostra lingua è un valore. Studiata e amata nel mondo, è un potente strumento di promozione del nostro paese. 4) Essere bilingui è un vantaggio. Ma non significa infarcire di termini inglesi un discorso italiano, o viceversa. In un paese che parla poco le lingue straniere questa non è la soluzione, ma è parte del problema. 5) In itanglese è facile usare termini in modo goffo o scorretto, o a sproposito. O sbagliare nel pronunciarli. Chi parla come mangia parla meglio. 6) Da Dante a Galileo, da Leopardi a Fellini:

Petizione su Change.org orgiaintellettuale.info/qr/9/ dillo-in-italiano

la lingua italiana è la specifica forma in cui si articolano il nostro pensiero e la nostra creatività. 7) Se il nostro tessuto linguistico è robusto, tutelato e condiviso, quando serve può essere arricchito, e non lacerato, anche dall’inserzione di utili o evocativi termini non italiani. 8) L’italiano siamo tutti noi: gli italiani, forti della nostra identità, consapevoli delle nostre radici, aperti verso il mondo. n

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Do not read this (You little rebel, I like you) Riflessioni pomeridiane | di Wolf Burnus

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on so quanti lo leggeranno perché francamente non ho visto un giovane leggere un giornale dal 1969, quando Nixon stava cercando di capire come gli americani avessero preso il bombardamento della Cambogia. Vabbé che non era troppo giovane ma neanche vecchio come i nostri, di politici. Come dicevo quindi le speranze che qualcuno legga quello che scrivo sono poche, ma come spesso si dice: “la speranza è l’ultima

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a morire”. Soprattutto se, quando hai undici anni, l’unica alternativa a vivere in uno stato di guerriglia quotidiano è saltare su un gommone e farti una crociera mediterranea schiacciato come un topo. Ma ci provo lo stesso a scrivere qualcosa che interessi la maggior parte del Copernico. Ovvio che non possa scrivere: “prevendite CopeParty. Due euro. Freebar.” perché se no mi arriva la direzione della gratta e vinci e mi fa “ti piace vincere facile? Ponzi


Ponzi popopo”, seguita a ruota dal sindacato dei Dj che non se la tirano. Ma chi prendo in giro? Con uno come me non ci parlerebbero mai. Ciao Aldo. Adesso, dopo aver chiuso per sempre qualsiasi possibilità di entrare al Caos, cerchiamo di parlare di cose serie. Cosa sta succedendo nel mondo? Guardiamo il 2014: quali sono le parole che hanno caratterizzato quest’anno? Luca Giurato ha stilato la 2k14 top 10 words: #1 # #2 friendzone #3 ebola #4 isis #5 qualicompiti? #6 qualeverifica? #7 pollege #8 il selfie #9 la selfie #10 i 2000 sono al liceo! Un insieme di parole caratterizzante la maggior parte dei ragazzini di adesso. Ragazzini senza altri interessi che i social network, e ragazzine pronte a svendersi per un drink. Che poi... adesso. Magari è colpa anche dei genitori che, troppo occupati ad arrabbiarsi con i professori, non raccontano più fiabe educative ai loro figli. Come quelle medioevali in cui si sacrificavano giovani vergini a draghi venuti dal nord. Ma oramai nessuno crede più in simili creature. Nemmeno i draghi. “Io sono libera” dicono. Poi magari non sanno nemmeno chi sono Falcone e Borsellino. E lì capisci che mentono e non fanno parte di quel gruppo di gran persone che giorno dopo giorno s’impegnano a cancellare la mafia dagli stereotipi sull’Italia. Ovvio che non sto parlando dei nostri politici. Non solo perché, a parte Brunetta, non sono grandi persone in generale; ma poi, a scavare per bene, sono in pochi a non avere le mani in pasta con la malavita. Come Peppino, che impastato lo era, ma con l’amor di giustizia. Giustizia vera intendo. Non quella che se qualcuno ti fa un disegnino o dice qualcosa che va contro un libro di secoli fa allora gli fai un salutino. Al lavoro. Con un kalashnikov. Che non è troppo carino. Guardandomi attorno però, a volte mi dico

che è un po’ colpa nostra. Colpa della nostra superficialità, del nostro menefreghismo, della disinformazione. Quante volte non ci informiamo, non ascoltiamo, sorvoliamo, dimentichiamo, generalizziamo, ce ne freghiamo? Solo perché chi è morto non era vicino, chi soffre non lo conosciamo o, insieme, non condividiamo nulla. Beh, se siete arrivati a leggere fino a qui io vi invito ad andare oltre. Ad usare il 3G non solo per aggiornare il feed, uploadare, vedere i like, mandare i poke e rispondere a domande di ask. Anche perché gli insulti in anonimo fanno soffrire molto. Ho un amico a cui succede. A volte piange da solo. Cercate però di leggere tra le righe e di farvi un’idea, un’ipotesi, un’opinione su quello che sta succedendo nel mondo. Ma cosa più importante confrontatevi con i vostri amici, parlate anche di cose serie (a volte, eh! Non è che adesso ti devi mettere lì e parlare di fisica e di matematica. E passare la selezione scolastica delle olimpiadi magari. Che poi ti tocca perdere contro Morini alle regionali). Non abbiate paura di sembrare intelligenti o di avere una cultura approfondita. Non abbiate paura di avere una personalità forte, di interessarvi a qualcosa e di difendere le vostre idee. “Il miglioramento nasce dal confronto degli opposti” che, guarda un po’, ho sentito a lezione di filosofia e non nel nuovo film di Muccino. Se vogliamo un mondo più vivibile, pulito, onesto, ideale.. beh costa fatica. Su questo non c’è dubbio. Perché è più facile essere disonesti che onesti in questo mondo. È più comodo buttar la roba per terra che andare fino al bidone. Ma è proprio perché costa di più per mantenerlo tale che lo si assapora di più, un mondo cosi. Non arrendetevi solo perché è faticoso. Impegnate il vostro tempo a rendervi la vita migliore invece di sprecarlo a far del mondo un posto peggiore. Non inventate scuse inutili. Siate felici. n

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Proibizionismo? Piantiamola! Riflessioni pomeridiane | di Michele Viaggi

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n questo articolo vorrei fare il punto della situazione su una pianta di cui, per troppo tempo, si è parlato e agito in maniera, a mio parere, non corretta: la cannabis. Ma che cos’è questa famigerata pianta? La canapa è una pianta originaria dell’Asia centrale, che si presenta in due varietà: sativa e indica, la cui distinzione però non approfondirò in questo articolo. Può essere di sesso maschile o di sesso femminile, ma quella che a noi interessa maggiormente è la seconda: in essa, infatti, vi sono le fatidiche infiorescenze, ricche di principio attivo, che vengono fumate, chiamate comunemente marijuana. Per hashish (o fumo) intendiamo, invece, la resina estratta non solo dalle infiorescenze, ma anche dalle foglie situate nella parte più alta della pianta, in cui vi è una modesta quantità di principio attivo. Come molti sapranno il principale principio attivo della cannabis è il THC (delta-9-tetraidrocannabinolo), ma ve ne sono molti altri, chiamati cannabinoidi, presenti in minor quantità, tra cui l’attualmente importante CBD, come successivamente vedremo.

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Il THC, se introdotto fumando, passa dai polmoni al sangue, che lo trasporta poi a diversi organi, tra cui il cervello. Qui si lega a degli appositi recettori (recettori cannabinoidi CB1 e CB2), che sono presenti nelle moltissime parti del nostro cervello adibite al controllo dell’euforia, creatività, memoria, dolore, ecc… Da notare, però, il fatto che questi recettori sono predisposti all’assorbimento di questa molecola, a differenza delle altre droghe, che agiscono in maniera decisamente intrusiva (questo punto lo tratterò, forse, in articoli futuri). La sensazione che si prova all’assunzione è un aumento dell’euforia, un’amplificazione sensoriale, un rilassamento generale, ecc… Gli effetti variano da persona a persona, rimanendo, però, su questa linea generale. Anche il nostro organismo produce dei cannabinoidi (endocannabinoidi) che si legano a questi recettori, ma in quantità minore. Essi hanno azione analgesica (regolazione del dolore), funzione anti-stress e sono adibiti, ad esempio, alla regolazione dell’appetito, alla modulazione della spasticità muscolare(legata alla sclerosi multipla) e alla regolazione dei processi di proliferazione cellulare, che sono alla base della crescita dei tumori.


Dove voglio arrivare? I cannabinoidi della cannabis sono molto simili a quelli prodotti dal nostro corpo, solo che, introdotti dall’esterno, si presentano in quantità molto maggiore. A questo punto rileggete un attimo la funzione degli endocannabinoidi, fate due conti…ebbene sì! Quello a cui voglio condurvi è che ultimamente sono in corso diverse ricerche scientifiche che si occupano del rapporto tra cannabinoidi (principalmente THC e CBD) e diverse malattie, tra cui sicuramente l’anoressia (abbiamo infatti visto che l’appetito viene stimolato), l’emicrania, ma soprattutto, colpo di scena, sclerosi multipla e tumori (non solo però). La prima deriva da una degenerazione dei neuroni e da una non corretta comunicazione tra essi, causata da una mancanza di mielina nell’assone, che irrigidisce diversi muscoli del corpo, soprattutto negli arti; la seconda, ahimè, sappiamo tutti di cosa si tratta. I cannabinoidi riducono altamente il processo neurodegenerativo provocato dalla sclerosi multipla e alleviano la spasticità dei muscoli, distendendoli. Le persone affette da questo disturbo (in Italia intorno ai 72.000), sottoposti a una cura con cannabinoidi, hanno più facilità a utilizzare gli arti, e sono ora in grado di svolgere le azioni quotidiane come camminare, cucinare, lavarsi, ecc… Invenzione? Se non mi credete, controllate voi stessi sul web, e subito vi appariranno studi, ricerche scientifiche e testimonianze dei malati di sclerosi multipla, che ora possono vivere una vita decente… o che potrebbero, se potessero accedere alla cannabis, cosa che, al momento, non possono fare essendo essa illegale (esiste un farmaco con alcuni cannabinoidi chiamato Sativex, ma questo non dà il risultato della cannabis pura e, una cura con questo medicinale, costa sui 700 euro al mese). Ma non è finita qua: le ricerche sono ora concentrate sull’aspetto antitumorale dei cannabinoidi. Diversi studi, infatti, dimostrano che sempre in nostri amati THC e CBD (ma anche altri cannabinoidi “minori”), non solo diminuiscono la riproduzione delle cellule tumorali,

ma, in giuste quantità, distruggono le stesse, lasciando invece intatte le cellule sane (così sfatiamo in un colpo solo il mito del “guarda che ti viene il tumore al cervello” e del famosissimo “brucia i neuroni”). Gli studi sono concentrati principalmente sul cancro al cervello, ai polmoni e al seno, ma non solo. Questo non è frutto della mia fantasia, ma consultando il link: http://www.cannabisterapeutica.info/tag/ cancro/ o facendo una ricerca voi stessi sul web, in caso non vi fidaste (ahimè) di me, troverete la conferma di quello che dico. Per il momento le ricerche si concentrano sull’associare i cannabinoidi alle chemioterapie, ma chissà che in un futuro, magari non tanto lontano, si arrivi a una cura con solo cannabinoidi.Quello che voglio farvi capire, o miei cari (pochi) lettori, è che questa, a mio parer ingiusta, proibizione (la cui storia spiegherò in un possibile futuro articolo), sta portando molti malati a non poter accedere a questo, qui lo dico e qui lo nego, MEDICINALE. Molti malati infatti, per procurarsi un po’ di sollievo, sono costretti ad acquistare, per colpa del proibizionismo, la loro medicina al mercato nero, dando soldi alle associazioni mafiose (come ovviamente fa anche chi compra la cannabis a scopo ricreativo), ma soprattutto nella totale inconsapevolezza di cosa realmente acquistano, in quanto la marijuana viene talvolta tagliata, ovvero vengono aggiunte ad essa sostanze che amplificano l’effetto o che creano lieve dipendenza (cosa che la cannabis provoca in maniere lievissima o addirittura non provoca), in modo da portare il cliente a un successivo acquisto, o a ridurre la quantità di sostanza venduta, per guadagnarci di più. Ciò porta il malato a un’azione non sicura e illegale. Questo dà l’idea delle ingiustizie che circolano attorno a questa pianta, resa illegale per fini industriali (come vedremo in futuro), e, fino a poco fa, prima dell’abrogazione della legge Fini-Giovanardi, paragonata a livello legale alle droghe pesanti quali eroina e cocaina. Rimane il fatto che, anche se usata a scopo ricreativo, di danni permanenti al cervello, secondo alcuni studi, non ne provoca. Alcune ricerche, →

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invece, parlano di lievi danni all’area adibita alla memoria a breve termine, o a minimi cali del IQ, in caso di un abuso (uso frequente e intensivo) in età adolescenziale, in quanto il cervello in questa età è ancora in fase di sviluppo. La validità di entrambe le teorie andrebbe verificata, infatti le ricerche sono finanziate da privati e da case farmaceutiche che indirizzano gli studi a loro vantaggio (ciò mi è stato riferito parlando in prima persona con dei medici, ma anche questa informazione è verificabile sul web). Ormai, però, la maggior parte di essi sostiene la mancanza di danni fisici provocati dalla sostanza. Attenzione però a cercare notizie sui danni della cannabis sul web: ci sono molti siti antiproibizionisti che ne esagerano gli effetti positivi, e molti siti proibizionisti che parlano di danni permanenti. Io utilizzo come fonti documentari, confronti tra siti internet e testimonianze di esperti. Passando al tema della legalizzazione, i principali guadagni che essa potrebbe portare sono: — Cura alternativa a scopo medico per alcune malattie. La cannabis sostituirebbe alcuni farmaci più dannosi e con meno resa; — Diminuire le entrate delle associazioni mafiose (moltissimi, rendiamocene conto, fanno uso di cannabis, un bel colpo alle casse mafiose glielo darebbe questa legalizzazione); — Aumentare, di conseguenza, le entrate dello stato, tassando la vendita della sostanza; — Dare la sicurezza al consumatore che ciò che utilizza è cannabis pura, senza l’aggiunta di particolari sostanze; Dare un’alternativa all’alcool, che viene troppo utilizzato dai ragazzi nelle serate, che può causare danni a fegato e cervello (ne parlerò in futuro), coma e morte. L’ultimo punto ha bisogno di una spiegazione: coloro che non vogliono rendere la cannabis legale (non contando chi ti dice: “non voglio renderla legale perché è una droga, quindi fa male”, che poveretti, non sanno quello che dicono), come motivazione danno la condivisibile: “è eticamente non corretto rendere la

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cannabis legale perché altera il tuo stato mentale e provoca euforia. Ciò significa che hai bisogno di questa sostanza per essere felice e per passare una bella serata”. Come ho detto prima, idea molto condivisibile (l’ho molto semplificata, ma dovrei aver reso il concetto). Rendiamoci però ora un po’ conto di come stanno realmente le cose: basta fare un giretto il sabato sera in centro, per notare ragazzi barcollanti, che spesso non ci sono con la testa, che hanno bevuto troppo (anche questa è eticamente incorretta no?), per non parlare di quello che succede nelle discoteche. Con la legalizzazione, si dà un’altra opzione ai giovani, con la differenza, però, che gli effetti della cannabis sono diversi, infatti molto più controllati, rispetto a quelli dell’alcool, e che, chiaramente, non possono portare a coma e morte. Alcuni paesi come l’Olanda e alcuni stati degli USA hanno legalizzato l’uso di cannabis già da alcuni anni (su Wikipedia trovate la lista della situazione di tutti gli stati). Qui in Italia alcuni piccoli passi a livello medico finalmente iniziano a farsi, ma una legalizzazione potrebbe non essere così vicina, anche se in molti ci credono. Concludo come ho iniziato: Proibizionismo? Piantiamola! n


Una semplice parola: il saluto Riflessioni pomeridiane | di Natan Baleotti

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o credo che il saluto sia alla base della nostra società, quella società che sta vivendo da secoli dopo la nascita della parola parlata e scritta. Senza il saluto non si può andare avanti e la privazione di esso è un alto gesto di maleducazione. Secondo voi è possibile che una persona non saluti un’altra soltanto perché pensa in maniera diversa? Queste guerre fredde non giovano a nessuno e sono perpetrate da persone ignoranti e stupide, che si avvalgono di questa arma per ostracizzare e far sentire in colpa o male le persone. Vi volevo ricordare che tutto nasce dal saluto: un’amicizia, l’amore, una conoscenza... Poi un saluto (di solito) è la prima cosa che la madre dice a un figlio appena partorito: un semplice ciao. Ma quel ciao, quel ciao, lo fa smettere di piangere, lo riempie di tenerezza e di affetto, perché lui è tra le braccia di sua madre e lei gli parla e questo è il regalo forse più significativo oltre all’amore che si può dare a un figlio o alle persone. Il saluto oramai è con-

siderato dalla maggior parte delle persone una cosa antiquata e qualcosa di superfluo di cui si può fare a meno. Le persone di qualche anno fa (e non dico tanto) avevano quasi una cultura del saluto. Tutti nel paese o nei condomini si conoscevano e parlavano e, cosa più importante, si salutavano. Ancora oggi in certi paesi del mondo, in quelle società che noi definiamo ingiustamente primitive, la gente si saluta. Loro in questo vivono meglio di noi, perché hanno alla base di tutto la semplicità, e secondo voi cosa c’è di più semplice di un saluto? Quindi per favore non fate come la gente maleducata, ignorante e, sì, senza cervello... Basta un dolce ciao a cambiarti il verso della giornata. Ricordatevi quindi di salutare tutti e in cambio (di solito) potrete solo ricevere amore e rispetto. Concludo questo breve articolo citando uno dei più grandi filosofi della storia: “ama il prossimo tuo come te stesso” – e io aggiungo – “porgendogli un saluto”. n

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Pensieri e parole Cultura e arte » Poesie | di Lucia Comandini

Lacrime Dolorose. Pesanti, violente sono bombe a mano queste lacrime. Ognuna è un dolore. Ognuna è un piacere. Un sasso scagliato via, aghi affilati sulla pelle, fresco sollievo per l’anima.

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Sonno disatteso I treni passano La terra trema Le lancette si muovono, fanno rumore. La televisione è accesa Le persone parlano. Sembra destino: niente sogni per me solo un sonno disatteso.


Sottobicchieri Qui, ci sono più sottobicchieri che bicchieri perché questi ultimi si rompono. Può essere una semplice distrazione, un brindisi troppo impetuoso. Oppure qualcuno che, annebbiato, lo sbatte incosciente sul tavolo o contro un muro, mandandolo in frantumi, mille piccoli pezzi taglienti. Invisibili. L’ennesimo bicchiere che, come nulla fosse, sarà ricomprato e sostituito. Amore & diamanti Chi l’ha vicino ha l’ansia e l’afa del contatto costante. Chi l’ha lontano ha l’ansia e la bramosia per lui distante. Bisognerebbe capire Bisognerebbe imparare che amare ed essere amati è una fortuna. Non rara come un diamante ma ben più preziosa. Divieto di passaggio Non oltrepassare la linea gialla. Piove sul bagnato dei binari, eterni compagni viaggiatori. Nomi, luoghi e orari in continuo mutamento. Un rumore quasi costante spezzato da brevi e pacifici silenzi. Grevi corse e lunghe attese, nervose o gradevoli, dipende dalla destinazione. Una voce senza volto detta legge: dove andare cosa fare quando partire.,

La monotonia dell’orologio Le lancette passano il nostro tempo a ticchettare a scandire un ritmo sempre uguale. È una vita semplice e intricata lunga quanto una giornata. Eterni minuti o due orette scanditi da quelle lancette, che campan solo per farti capire quanto tempo ti vuole a morire. Lancette fate parte di un grande sistema e lavorate senza fine seguendo sempre lo stesso schema. Non sono ammessi errori nel tempo, la monotonia fa l’uomo contento. Tocchi di formaggio La mia personalità è un Hemmental svizzero, ogni ogni parola gustosa un buco, ogni pensiero stagionato una voragine. Lo spirito ha una forma ma è anche forato, sgranato, si lascia attraversare e da molti anche assaggiare. Fatto a tocchetti, si lascia toccare. I buchi sono me, da essi mi compongo e da ciò che riesco a comprendere del mondo. n

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Alan Turing interpretato da Benedict Cumberbatch (a destra).

La macchina logica universale Cultura e arte » Biografie | di Micol Gianoli «Una sera me ne stavo seduto nei locali della Analytical Society, a Cambridge, la testa china su una tavola dei logaritmi. Un altro membro della società, entrando nella stanza e vedendomi mezzo addormentato, urlò: “Che cosa stai sognando?” Al che gli risposi, indicando i logaritmi: “Sto pensando a come si potrebbero calcolare tutte queste tavole utilizzando una macchina meccanica”.» – dall’autobiografia di Alan Turing, riportata in “L’enigma dei numeri primi” di Marcus du Sautoy

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Alan Turing nel 1927 circa.

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n computable Numbers, with an application to the Entscheidungsproblem”. Questa frase, la quale, a prima vista, appare illeggibile alla maggior parte di noi, è il titolo dell’articolo con cui il ventitreenne Alan Mathison Turing (Londra, 1912 – Wilmslow, 1954) esordì nel campo delle pubblicazioni matematiche. Nel testo descrisse per la prima volta quella che noi conosciamo come Macchina di Turing: ipotizzò l’MdT come una macchina in grado di eseguire qualsiasi algoritmo e dotata di un nastro di lunghezza potenzialmente infinita, dove è possibile leggere e scrivere dati. Il moderno computer! Fu ideata inizialmente per dare una risposta sul piano teorico al “problema della decisione” ( Entscheidungsproblem, per l’appunto) incluso da Hilbert nella lista dei “23 problemi per il XX secolo”. Essa era ispirata ad uno speciale calcolatore realizzato dal matematico Marian Rejewski nel 1938 e utilizzato nel con-

trospionaggio polacco, la Bomba. Turing ebbe il modo di applicare la sua congettura sul piano pratico quando venne incluso nei matematici di Bletchley Park, durante la seconda guerra mondiale. Il loro scopo era quello di decodificare i cifrari della macchina tedesca Enigma, con la quale i dipartimenti dell’esercito si scambiavano importanti informazioni militari. Ma, appena costruito, il Colossus (o Bomba) non dava frutti. Sebbene si fossero applicati alcuni potenziamenti, girava troppo lentamente per riuscire a decriptare i messaggi tedeschi. I nazisti, infatti, ogni sera a mezzanotte, cambiavano le impostazioni di Enigma, e il lavoro dell’intera giornata andava perduto. Alan Turing arrivò a capo della questione utilizzando come parole chiave alcuni termini che apparivano ogni mattina nel bollettino meteorologico delle sei. L’MdT cominciò finalmente a funzionare: i rotori della →

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macchina si fermarono per la prima volta per segnalare un attacco navale. Il governo britannico tuttavia ritenne di dover minimizzare il numero degli attacchi per massimizzare la loro portata e soprattutto per non lasciar intendere ai tedeschi di aver trovato il metodo per decifrare i loro messaggi. L’attività dei matematici di Bletchley Park fu coperta dal segreto di stato più assoluto. Finita la guerra, venne imposto a tutti loro il silenzio sugli argomenti trattati in quel periodo. Tale silenzio non fece ottenere a Turing e ai suoi compagni la fama e i riconoscimenti meritati. Le informazioni sul loro lavoro furono lasciate trapelare sotto il consenso dei servizi segreti inglesi solo nel 1974. Oggi gli storici sostengono che il lavoro della squadra abbia contribuito ad accorciare la guerra di due anni e a risparmiare la vita a milioni di persone. E che fine fa Turing, matematico, logico, crittoanalizzatore, considerato padre dell’infor-

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matica e iniziatore degli studi dell’intelligenza artificiale? Diventa un famoso professore di matematica e fisica all’università di Cambridge? O continua a fare ricerca sul campo elettromeccanico-informatico per il governo? Nulla di tutto ciò. In seguito a persecuzioni subite da parte delle autorità britanniche a causa della sua omosessualità, non sostiene il trattamento di castrazione chimica impostogli dallo Stato e muore suicida l’8 giugno del 1954. Aveva 41 anni. Max Newman, della squadra di Bletchley Park: “Turing è completamente dedito al suo lavoro ed è una delle menti matematiche più profonde e originali della sua generazione.” Recentemente è uscito un bellissimo film girato da Morten Tyldum, The Imitation Game, ispirato alla vita di Alan Turing e alla risoluzione del meccanismo di Enigma. n


Anche le scimmie cadono dagli alberi Cultura e arte » Libri | di Giorgio Franceschelli Voto: ★★★★☆

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mmaginate un uomo, oltre i trenta, con il manifesto di Arancia Meccanica sul letto, che beve, fuma, si droga, va ai concerti rock e punk, si fa stirare le camicie dalla madre. Immaginate, quindi, un adolescente con il doppio degli anni. Ebbene, vi siete immaginati Samuel Ferrari, protagonista nonché voce narrante dell’ultimo libro più che riuscito di Alessandro Berselli Anche le Scimmie Cadono dagli Alberi. Un narratore “popolare”, in cui il lettore viene a ritrovarsi nonostante i continui sbagli commessi. Del resto, il sarcasmo senza peli sulla lingua con cui racconta le sue disfatte spiega senza mezzi termini il disagio di una realtà in cui, fra chi vuole dominare e chi vuole soltanto sopravvivere, non si salva nessuno. Non a caso, al sarcasmo e all’ironia si contrappongono momenti tragici e di riflessione, che si alternano come nella quotidianità ai fatti invece più lieti, e spiritosi. La passione d’amore per la seducente collega e la relazione con la strana rivoluzionaria col kalashinov in spalla sono il più adolescenziale contorno alla vita di un uomo che ha ormai capito come funziona il mondo, ma che si rifiuta di prendervi parte. E così diventa l’ultimo baluardo di una società che rifiuta di piegarsi dinnanzi al dio denaro; diventa apparentemente l’unica persona moralmente normale in un mondo di squali, ribelli e resti di altri tempi, di altre culture. Come una MILF giapponese, incredibil-

mente simile ad una famosa pornostar asiatica, che diventa l’unico appiglio spirituale per Samuel in una vita dove lui, che avrebbe bisogno di aiuto, è costretto ad aiutare tutto e tutti. E sarà proprio lei infatti a enunciare il proverbio giapponese (e quindi a dare il nome al libro) “anche le scimmie cadono dagli alberi”, che significa “tutti sbagliamo”, o “nessuno è invincibile”. Non a caso, nell’ironica realtà di Samuel tutti cadono, che siano i più ricchi, i più “normali” o che sia proprio Samuel. D’altronde, nessuno è invincibile. n

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Birdman Cultura e arte » Film | di Elisa Frigato

Voto: ★★★★☆ Genere commedia, drammatico Cast Michael Keaton, Emma Stone, Edward Norton, Naomi Watts, Zach Galifianakis

Regia Alejandro González Iñárritu Durata 119 minuti Anno 2014 Paese Stati Uniti d’America

Birdman o L’imprevedibile virtù dell’ignoranza di Alejandro González Iñárritu, candidato a nove e vincitore di quattro premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior fotografia) è un film che riflette sulla psicologia umana; una sorta di viaggio nella mente del protagonista che vale la pena di intraprendere.

La storia è quella di Riggan Thomson, un attore famoso in passato per il ruolo del supereroe dalle ali piumate Birdman che gli ha conferito ricchezza e notorietà. Ormai sessantenne l’attore vuole un riscatto per scrollarsi di dosso il pesante ricordo dell’eroe piumato: il suo tentativo di recuperare una carriera disastrata e allo stesso tempo di rifarsi una →

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reputazione mettendo in scena “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” di Raymond Carver in un teatro di Broadway è lo scenario nel quale si intrecciano le vicende quotidiane di attori, critici e di buona parte del mondo dello spettacolo. La compagnia teatrale non è ben assortita, vi saranno tensioni fra il protagonista e un neo-attore egocentrico, ma dotato; il tentativo di restaurare un nuovo rapporto con la figlia sotto le richieste dell’ex moglie; e il riuscire a tenere alto il morale degli attori, fra cui la sua attuale compagna, per fare un buono spettacolo e riscattare il suo titolo di attore. La sua vita privata entrerà quindi a far parte della sua commedia, mentre il fantasma

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di Birdman, simbolo dell’apice della sua carriera, lo schiaccerà lentamente durante il corso dell’intera pellicola divorandolo dall’interno. Thomson è interpretato da Micheal Keaton, famoso per il ruolo del supereroe Batman negli omonimi film, la sua perfomance è eccezionale, riesce a passare dal dramma alla commedia in una sola scena, entrando perfettamente nel personaggio, che in un certo senso lo ritrae. Grandi nomi come Emma Stone e Edward Norton spiccano fra gli altri, ma non dimentichiamoci nemmeno di Zach Galifianakis, protagonista della serie Una notte da leoni, che a differenza dei suoi soliti ruo-


li “leggeri” si ritroverà a dover interpretare un personaggio con uno spessore altamente drammatico.

tine” ai social network e al mondo del cinema attuale, specialmente a quello fumettistico dei supereroi (Marvel e non solo).

La regia è impeccabile, la pellicola è girata in piano sequenza, citando Wikipedia, “una tecnica cinematografica che consiste nella modulazione di una sequenza (un segmento narrativo autonomo) attraverso una sola inquadratura, generalmente piuttosto lunga”. Grazie a questa tecnica sarà possibile seguire il protagonista attraverso tutto il set teatrale, accompagnati dal continuo martellare melodico di una batteria a rendere l’atmosfera incalzante. In tutto il film vi sono inoltre “freccia-

Consigliato a chiunque abbia voglia di vedere un bel film, capace di far riflettere. Una piccola chicca che forse pochi sanno è che il film è stato provato per due mesi, girato in un solo mese e montato in appena due settimane, raro per un film montato così velocemente vincere addirittura quattro oscar, eppure così e stato per cui che aspettate ad andare al cinema? n

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Manga Kissa [Monster] Monster di Naoki Urasawa Cultura e arte » Fumetti | di Elisa Frigato

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ggi parliamo di uno dei miei seinen preferiti, si tratta di Monster di Naoki Urasawa. Di genere thriller, è un manga scritto e disegnato tra il 1994 e il 2001, pubblicato in Italia dalla Panini Comics per un totale di diciotto volumi, racchiusi poi in una nuova edizione da nove volumi da 400 pagine ciascuna. È stato anche trasposto in un anime di 74 episodi, che personalmente ho apprezzato, seppur come al solito io ritenga l’opera cartacea nettamente superiore. Ma di cosa tratta Monster? Monster è una storia che parla di odio e violenza quanto di amore e buoni sentimenti, dove l’umanità e la morale dei personaggi, aggiungerei anche del lettore, è sempre messa in forte discussione. La vicenda è ambientata a Dusseldorf nel 1886, il tutto ruota attorno al dottor Kenzo Tenma, famoso neurochirurgo giapponese residente in Germania, che si troverà a dover prendere una decisione importante: salvare la vita di un bambino in fin di vita o quella del sindaco. La scelta ricadrà sul bambino, salvandolo

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Tenma disobbedirà agli ordini del capo, ritrovandosi l’intero staff della clinica contro, ma non solo: il bambino scomparirà dopo la guarigione e strani avvenimenti inizieranno ad accadere nell’ospedale. Con il terrore che la colpa sia solo sua e sentendo la responsabilità di alcuni omicidi che avverranno durante il corso degli anni il dottor Tenma si ritroverà a combattere contro se stesso, incolpandosi per aver salvato un mostro. Da salvatore dovrà trasformarsi forzatamente in mietitore di vittime per eliminare quel male assoluto a cui lui stesso ha dato nuova vita. Partirà così la ricerca del bambino, attraverso una Germania che non si è ancora ripresa del tutto dalla guerra. Come in ogni opera di Urasawa la trama ruoterà attorno al protagonista soffermandosi anche su alcuni personaggi secondari che daranno il via a piccole sotto-trame che tuttavia troveranno sempre il giusto intreccio con la trama principale. Trama che è più complessa di quanto si possa immaginare: il lettore si ritroverà ad af-


frontare situazioni che lo faranno riflettere su ciò che è, sulla sua mentalità, sul suo modo di essere e di vivere. Si nota ancora una volta, come in molte altre sue opere, come Urasawa si soffermi a riflettere sul pensiero umano, su ciò che passa per la nostra mente e che ci spinge a compiere scelte rispetto ad altre. Alla fine dell’opera Tenma arriverà addirittura a chiedersi se il mostro che stava cercando non è in fondo proprio lui. Il tutto è accompagnato da disegni perfetti: sfondi molto dettagliati e terribilmente realistici che vanno a ritrarre perfettamente l’architettura e i paesaggi dell’est; i volti dei personaggi sono incredibilmente espressivi, semplicemente guardandoli si scopre più di quello che si carpirebbe dai dialoghi. Lo stesso Tenma durante la storia muterà a livello fisico,

Urasawa riuscirà a trasmettere l’inquietudine interiore del personaggio attraverso il disegno. La narrazione è sempre più serrata, interessante e ricca di colpi di scena che si susseguono senza sosta, mentre il quadro dipinto da Urasawa continua ad espandersi, coinvolgendo sempre più personaggi ed eventi misteriosi, con le loro storie dolorose dalle profonde svolte drammatiche. Consigliato a chi ama storie profonde e complesse, sconsigliato a chi cerca una lettura leggera per passare il tempo, a tratti la lettura di Monster potrebbe risultare pesante e impegnativa. Molti definiscono questo manga come il capolavoro di Urasawa e personalmente avendolo letto posso solo confermare l’affermazione, non ne sono affatto rimasta delusa nonostante le alte aspettative. Che altro dire? Non mi resta che darvi appuntamento al prossimo numero e buona lettura! n

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Manga Kissa [Black Butler] Cultura e arte Âť Fumetti | di Cecilia Fantini

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entornati lettori! Per questo numero voglio presentarvi un manga molto, molto bello: Black Butler (o Kuroshitsuji) di Yana Toboso. Ambientato nell’ Inghilterra vittoriana, il Conte Ciel Phantomhive, dodicenne orfano di entrambi i genitori, ha ereditato il compito che si tramandava da generazioni alla sua famiglia: indagare su avvenimenti misteriosi o insolubili, per conto della corona. I suoi genitori rimangono uccisi in un incendio alla loro villa, ma Ciel crede che non sia stato un incidente e per questo motivo, insieme al suo fidato maggiordomo Sebastian Michaelis, un demone in forma umana, cercheranno durante le loro indagini, di trovare i colpevoli della disgrazia. Dunque, abbiamo due protagonisti: Ciel, giovane ragazzo fiero, elegante,

raffinato e dal carattere un po’ scontroso e Sebastian, un maggiordomo da poteri demoniaci molto legato al suo padrone. Manga di genere shounen, giallo, fantasy e black-humor, avvincente in ogni pagina che sfoglierete! Tantissimi personaggi tutti meravigliosamente caratterizzati che vi faranno ridere e piangere allo stesso tempo. I legami tra i personaggi sono molto ben sviluppati, capaci di creare incredibili sinergie e sensi di affezione immediati, rendendo imprevedibile il corso della storia. Ne risulta un manga pieno di emozioni, realtà spesso crude e violente, ma tutto all’insegna di un racconto godibile e mai banale, dove non mancheranno sicuramente la curiosità e la voglia di continuare a leggerlo. →

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Un’ironia elegante, molto Britsh, che vi coinvolgerà sempre di più col proseguire della storia e dei suoi personaggi. In ogni volume i frammenti del racconto si aggregheranno sempre di più permettendo una sempre maggiore comprensione delle vicende, consentendo a voi lettori di partecipare coi personaggi all’evoluzione degli eventi. Parliamo di un manga ancora in corso e quindi vi godrete ancora a lungo le varie avventure dei nostri eroi ottocenteschi. Se poi vorrete saperne di più, non posso non consigliarvi di guardare le tre serie animate, che non faranno altro che aumentare la vostra voglia di partecipare alla storia. Va detto che l’anime, a differenza del manga è concluso, perciò non tutti gli eventi combaciano e alcuni personaggi aggiunti non hanno nulla a che vedere con l’opera cartacea, ma questo rende la versione

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animata un’ interessante variazione dall’opera originale, mantenendone i caratteri classici e aggiungendo un tocco di originalità che nulla toglie all’opera in sé. Personalmente credo che Yana Toboso sia riuscita a creare un manga eccellente: spettacolari ambientazioni, pieno di meraviglie e profondamente umano nell’analisi psicologica dei suoi personaggi, vero punto forte del manga. Per concludere vi lascio con una frase simbolica e tormentone del manga, che riassume molto bene lo spirito dell’opera: «Se il maggiordomo del casato Phantomhive non riesce a fare nemmeno una cosa del genere, non è degno di tale nome». Un grande saluto a tutti e alla prossima. n


di Selma Inane

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The Lady of Shalott – John William Waterhouse

Les Amants – René Magritte

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Manchest

Cultura e arte » Music

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olitamente quando si parla di musica inglese la mente si sposta sopra la città di Londra, con le sue strade affollate, i mercati cittadini e insieme a questo, tutto quello che riguarda l’Inghilterra, nel suo intero immaginario collettivo. Eppure, c’è stato un pe-

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riodo, precisamente alla fine degli anni ‘80, in cui la capitale musicale (non solo inglese, ma anche europea) era Manchester. Manchester è una città con uno status prevalentemente operaio, e spesso chi costituiva


ster: 1989

ca | di Riccardo Cerioli

la scena della città, all’epoca,proveniva proprio da quell’ambiente, portando con sé le frustrazioni di quella vita. Già da anni sono presenti band che hanno fatto conoscere la città al mondo intero, su tutti i Joy Division e gli Smiths. Proprio la separazione di questi ultimi lascia

un vuoto (apparentemente) incolmabile nella scena. Nel frattempo nei locali alla moda della zona come l’Hacienda, comincia a diffondersi l’acid house oltre che ad una nuova droga sintetica: l’ecstasy. La voglia che si percepiva era quella di scrollarsi di dosso le fatiche di →

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ogni giorno e lasciarsi andare con musica da (s)ballo e droghe che regalassero un forte piacere. Questo modo di pensare portò le band a far confluire dentro il proprio sound un taglio più psichedelico, con più “groove”. Per questi motivi si iniziò a parlare di una seconda Summer of Love. Una seconda estate dell’amore, che per riferimenti culturali (e sonori) si rifaceva alla Summer of Love di fine anni ‘60 (culminata nello storico concerto di Woodstock). È con queste premesse che nasce quindi il MADCHESTER. Una nuova attitudine musicale, nella quale vi sono commistioni di più generi, tra cui la già citata house, il rock, la dance, il pop.

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Nella pazza Manchester nascono dal nulla nuove band, che sembrano ridare dignità alla musica inglese (affossata da anni da un pop stantio), quali Charlatans, James, Inspiral Carpets (di cui Noel Gallagher degli Oasis farà da roadie nei concerti). Ci sono due gruppi che ottengono un discreto successo: gli Happy Mondays (di cui vi consiglio di ascoltarvi la canzone “Kinky Afro”), prodotti da Tony Wilson (già produttore dei Joy Division e gestore dell’Hacienda), e soprattutto gli Stone Roses. Ed è del loro primo album che ho voglia di parlarvi.


The Stone Roses È il 1989 quando la Silverstone, rilascia quello che viene considerato l’album più rappresentativo del Madchester (insieme a “Pills ‘n’ Thrills and Bellyaches” degli Happy Mondays). L’importanza del disco la si riscontra nel fatto che non solo guarda la scena presente mettendo al suo interno elementi psichedelici, ma guarda anche al futuro, in quanto presenta i semi di quello che sarà il Brit-pop. Il disco è un misto di orgogliosa autocelebrazione (come in “I wanna be adored”, e “I am the Resurrection”) e l’orecchiabilità di un pop leggero, ma mai banale. Le atmosfere sono prevalentemente cristalline, rarefatte, come se fossero sospese nel tempo. Basterebbe ascoltare “Waterfall” e “Made of stone” per rendersene conto. Curioso è il lavoro svolto su “Don’t stop”, che è di fatti la stessa traccia di “Waterfall”, solamente che viene stravolta e gli viene data quindi nuova vita. Splendida l’opening track “I Wanna Be Adored”, in cui il cantante Ian Brown, dichiara con una voce sussurrata e senza fronzoli la sua grandezza (“I don’t have to sell my soul, he’s already in me”, cita il testo). Il brano più ambizioso dell’album è sicuramente “I am the Resurrection”, l’ultimo della tracklist. Dura in tutto otto minuti, nei quali si trova di tutto, partendo dalle strofe di carattere pop, un ritornello che ha al suo interno citazioni bibliche (“I am the Resurrection and I am the Light”, presa dal Vangelo secondo Giovanni), e concludendo con una lunga parte strumentale, con cali e riprese di ritmo. Nella versione americana del disco è presente anche “Fools Gold”, un brano dotato anch’esso di una lunga parte strumentale, contaminata da un suono psichedelico e dotata di chitarra e batteria funky e di una grande ballabilità.

Link ad alcune delle canzoni orgiaintellettuale.info/qr/9/manchester

Va dato grande merito quindi ai musicisti. A Ian Brown perché ha saputo dare leggerezza alle canzoni, sussurrando dolci, ma anche maliziose melodie al microfono. A John Squire per aver definito le atmosfere cristalline dell’album. Ma il vero merito di questo capolavoro va sicuramente alle parti ritmiche di Gary Mounfield, al basso, e Alan Wren (con lo pseudonimo Reni) alla batteria. In particolare Reni è stato capace di arrangiare ritmi sempre incalzanti, in grado di enfatizzare tutte le canzoni, il che lo ha reso uno dei batteristi fondamentali di quel periodo e più in generale del rock. Di valore anche la copertina, presa da un dipinto di Jackson Pollock, scelto da John Squire. Questa scelta artistica, inoltre, la si ritrova in quasi tutti i singoli da loro pubblicati. In conclusione possiamo dire che quest’album, anche se oggi poco ricordato dai più, è stato in grado di definire un’epoca, un suono, e di aprire le porte a buona parte della musica inglese del decennio successivo. n

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Imagine Cultura e arte » Musica | di Stefano Rossi

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on questo articolo ho scelto di parlarvi di una canzone, un po’ perché è una canzone non affatto male, un po’ per farvi arrivare il messaggio dell’autore, che ci vuole dare qualche consiglio su come affrontare la vita: si tratta di Imagine di John Lennon.

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Questa canzone, uscita nell’ottobre 1971, descrive una società quasi utopica, dove non esistono nazioni, religioni o proprietà; dove non esistono inferno e paradiso, e dove gli uomini vivono in armonia condividendo il mondo.


A distanza di più di quarant’anni la canzone conserva il suo significato originale. Che sia possibile o meno realizzare l’idea di società espressa nella canzone, vi consiglio di almeno provare a pensare ai consigli di Lennon, e, se siete d’accordo, di applicarli nel vostro piccolo. Provate a concentrarvi sul presente. Non siate troppo attaccati alle cose o al denaro, ma tenetevi strette le persone, che contano infinitamente di più. Guardate con occhio critico le guerre, e chiedetevi se non esista un modo per risolvere i conflitti che non richieda l’uccisione di persone. Chiedetevi se la religione è davvero così necessaria; se l’umanità ha veramente bisogno dello spauracchio dell’inferno, o se può comportarsi in modo moralmente giusto “da sola”.

Provate a considerare le persone di tutto il mondo come vostri fratelli. Poi pensate alle persone che non vivono la nostra vita privilegiata da occidentali - alle persone che sono malnutrite, che muoiono per procurarci petrolio o minerali per i nostri cellulari. Chiedetevi se sia giusto che tali persone vivano una vita con così tante possibilità in meno rispetto alla vostra, e cercate di fare il possibile per migliorare la loro situazione. La prima cosa che mi viene in mente è comprare prodotti provenienti dal mercato equo-solidale, ma sono sicuro che, pensandoci, troverete anche voi altri metodi più fantasiosi per rendere il mondo un posto migliore. n

Imagine there’s no heaven It’s easy if you try No hell below us Above us only sky Imagine all the people Living for today

Immagina non esista alcun paradiso È facile se provi Nessun inferno sotto di noi Sopra di noi solo cielo Immagina che tutta la gente Viva solo per il presente

Imagine there’s no countries It isn’t hard to do Nothing to kill or die for And no religion too Imagine all the people Living life in peace

Immagina non ci siano nazioni Non è difficile da fare Niente per cui uccidere o morire E nessuna religione Immagina tutta la gente Che vive la propria vita in pace

You may say I’m a dreamer But I’m not the only one I hope someday you’ll join us And the world will be as one

Potresti dire che sono un sognatore Ma non sono il solo Spero che un giorno ti unirai a noi E il mondo vivrà in unità

Imagine no possessions I wonder if you can No need for greed or hunger A brotherhood of man Imagine all the people Sharing all the world

Immagina un mondo senza proprietà Mi chiedo se ci riesci Nessun bisogno di avidità o fame Una fratellanza di uomini Immagina tutta la gente Che condivide il mondo

You may say I’m a dreamer But I’m not the only one I hope someday you’ll join us And the world will live as one

Potresti dire che sono un sognatore Ma non sono il solo Spero che un giorno ti unirai a noi E il mondo vivrà in unità

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Random Music Pills [Great Big White World] Cultura e arte » Musica | di Lorenzo Bergonzoni

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a canzone, Great Big White World, proviene dal terzo album pubblicato dalla band “Marilyn Manson” (perché si: è una band), ed è stata al centro di parecchie controversie al rilascio, poiché, per il titolo, venne immediatamente bollata come razzista. Tutto fu risolto quando, poco dopo, l’autore svelò i veri significati che stanno dietro al brano. Significati anche abbastanza interessanti a parer mio, che è esattamente il motivo per cui ve la sto proponendo oggi. Prima di parlare della canzone in se e per se, però, c’è bisogno di fare una piccola digressione su quello che è l’album: Mechanical Animals. Un disco piuttosto peculiare, in quanto si divide in due parti di sette tracce l’una: nella

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prima le canzoni seguono la storia di Alpha, alter-ego del cantante stesso nella sua strada verso la comprensione dell’emozione umana, della tristezza nel capire che al mondo non interessa minimamente il concetto stesso di emozione, e della sua dipendenza da droga, mentre nella sencoda parte invece il disco tratta dell’alieno di nome Omega (riferimento anche a Ziggie Stardust, personaggio di David Bowie) che, caduto sul pianeta Terra si ritrova piazzato come animale da palcoscenico insieme ad una rock-band (non a caso chiamata “Mechanical Animals”, ossia “Animali Meccanici”) e della sua nuova vita sostenibile soltanto tramite l’intensivo uso di stupefacenti, per sopravvivere allo stress.


Di quest’album, Great Big White World è la prima traccia e descrive appunto il mondo agli occhi di Alpha, nel momento in cui egli tenta di aprirvisi e ne viene rigettato. Oltre a questo, la canzone parla (anche se in modo non immediatamente comprensibile) dell’abuso di cocaina. Già, tutto quel bianco non era un caso. Per quanto a parer mio la maggior parte dei testi di Manson (questo incluso) non siano

particolarmente chiari e lampanti, trovo che questo sia piuttosto interessante, e ci tenevo a sottoporvelo. La canzone in se merita parecchio secondo il mio modesto parere, ma è sempre vero che i gusti sono gusti. Spero come sempre che l’articolo vi sia piaciuto, e ci sentiamo al prossimo numero! Vi auguro buon proseguimento, gente! n

[Verse 1:] In space the stars are no nearer Just glitters like a morgue And I dreamed I was a spaceman Burned like a moth in a flame And our world was so fucking gone

[Strofa 1:] Dallo spazio le stelle non sono più vicine Soltanto dei luccichii come un obitorio Ed ho sognato di essere un astronauta Bruciato come una falena in una fiamma Ed il nostro mondo era così maledettamente estinto

I’m not attached to your world Nothing heals and nothing grows

Non sono attaccato al vostro mondo Nulla guarisce e nulla cresce

[Bridge:] Because it’s a great big white world And we are drained of our colors We used to love ourselves, We used to love one another

[Ponte:[ Perché è un enorme grande mondo bianco E siamo prosciugati dei nostri colori Un tempo amavamo noi stessi Un tempo ci amavamo a vicenda

[Chorus:] All my stitches itch My prescription’s low, I wish you were queen Just for today

[Ritornello:] Tutti i miei punti prudono La mia medicina è quasi finita Vorrei che fossi regina Solo per oggi

In a world so white what else could I say?

In un mondo talmente bianco che altro potrei dire?

[Verse 2:] And hell was so cold All the vases are so broken And the roses tear our hands all open Mother Marry miscarry But we pray just like insects And the world is so ugly now

[Strofa 2:] E l’inferno era così freddo Tutti i vasi sono talmente rotti E le rose stracciano completamente le nostre mani Madre Mary, abortisci Ma noi preghiamo proprio come insetti Ed il nostro mondo è talmente brutto ora

[Bridge] [Chorus] (x2) [Bridge] [Chorus] (x2)

[Ponte] [Ritornello] (x2) [Ponte] [Ritornello] (x2)

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Londra, da un altro punto di vista Passeggiata, in una giornata non troppo soleggiata, nei parchi di Londra Cultura e arte » Fotografia | di Stefano Rossi

[Questo reportàge segue le orme dell’ottimo “Exchange: foto da Londra” di Matteo Schiavon, pubblicato nel numero 6 dell’anno scorso; ne è consigliata la visione.]

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teatro costruito da Shakespeare), o la Torre di Londra, dove è stata decapitata la povera Anna Bolena. Chi invece preferisce la parte più moderna di Londra potrebbe pensare al London Eye, la celebre ruota panoramica. Gli appassionati di musica, invece, potrebbero pensare alle strisce di Abbey Road, che hanno fatto da sfondo alla copertina dell’omonimo album dei Beatles.

Alcuni di voi penseranno al Tower Bridge (il ponte sul Tamigi), a Buckingham Palace o al Palazzo di Westminster (quello con attaccato il Big Ben, per intenderci). A chi di voi è in quarta potrebbe venire in mente il Globe (il

Solitamente Londra si fa conoscere per i suoi luoghi più turistici, ma ha molto altro da dare. Londra può essere definita la versione inglese del “melting pot” americano, in tutti i sensi. È una città a tutto tondo, fortemente multietnica, moderna ma rispettosa della sua

a capitale inglese, ancora molto apprezzata dai giovani, ha alcuni aspetti molto caratteristici. Se vi chiedessi di chiudere gli occhi per un attimo e di pensare a Londra, cosa vi verrebbe in mente?

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storia. È una città culturale, dove, se vuoi andare a teatro, puoi scegliere King Lear, o qualcosa di più leggero. È una città dove puoi trovare grattacieli enormi e, a breve distanza, bellissimi parchi. È proprio uno di questi parchi che vorrei mostrarvi. Mi è capitato nell’agosto scorso, in una giornata abbastanza nuvolosa, ma piacevole, di fare una passeggiata, munito della mia fedele macchina fotografica, ad Hampsted Heath, una delle più grandi aree verdi della capitale inglese1. È formata da una trentina di laghetti, tre dei quali sono adibiti a “piscine”, uno per gli uomini, uno per le donne (accuratamente circondato da alberi) ed uno misto, mentre in alcuni degli altri laghetti è possibile pescare. Quando ho fatto sviluppare il rullino2 1. Copre un'area di 3,2 km2 (o 320 ettari; per darvi un'idea, i Giardini Margherita hanno un'estensione di 26 ettari).

che ho scattato in quell’occasione e ho visto le foto, mi è tornato in mente un reportàge che abbiamo pubblicato l’anno scorso di Matteo Schiavon, uno studente che ha passato l’anno all’estero nella capitale inglese. Vi consiglio di guardarlo, è davvero bello. Le sue foto mostrano i luoghi più caratteristici di Londra. Ho pensato di proseguire il suo lavoro mostrandovi, con questo reportage, il lato più bucolico di Londra, per farvi capire che a Londra non devi per forza essere il businessman della City. Puoi anche andare in bicicletta al lavoro, e a farti un nuotatina prima di tornare a casa. Conosco davvero una signora inglese, di una quarantina di anni, che lo fa. Forse lei però esagera, ci va anche di inverno con diciassette gradi... n 2. Sì, sono così retrò che uso ancora una macchina a rullino... E a volte con rullini in bianco e nero, per giunta.

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I dintorni di Via Drapperie Cultura e arte » Fotografia | di Luca Barattini Testo di Rebecca Fogacci

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lle volte, per fare un reportage fotografico basta una macchina fotografica, un paio di occhietti marroni e voglia di camminare. È quello che Luca a fine ottobre ha trovato in un’oretta libera inaspettata, in una Bologna meravigliosa. Che ci vuole? Basta girare dietro San Petronio e si viene catapultati in un’atmosfera in cui tutto si rallenta e le cose vengono inglobate in un colo-

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re rosso-aranciato tipico dei mattoni a vista. Magari queste foto non vi faranno impazzire quanto quelle di Steve McCurry, ma dobbiamo ammettere che queste immagini sono le istantaneee di una riscoperta. La riscoperta di una Bologna che spesso noi stessi bolognesi non apprezziamo più da un po’, troppo presi dalla nostra vita. Buona riscoperta! n


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L’interno di un rustico e particolare locale bolognese

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Stephen Hawking e il tracollo della razza umana Scienze tradotto liberamente da iflscience.com di Micol Gianoli e Stefano Rossi

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l fisico Stephen Hawking ha guadagnato un po’ di attenzione in questo periodo grazie al film biografico “La teoria del tutto”, che tratta della sua vita. Oltre a ciò, il professor Hawking sta anche facendo notizia per una conversazione che ha avuto con Adaeze Uyanwah, una studentessa californiana di 24 anni. Ad Uyanwah era stato offerto un tour al Science Museum di Londra in compagnia di Hawking, come parte del premio della vincita del concorso “Ospite d’Onore” (“Guest of Honor”) del sito VisitLondon.com. Durante il tempo passato insieme, Uyanwah ha chiesto allo scienziato quale caratteristica negativa dell’uomo avrebbe voluto cambiare. «Il difetto degli uomini che più vorrei correggere è l’aggressività. Avrebbe potuto essere vantaggiosa ai tempi dei cavernicoli, per otte-

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nere più cibo, territorio o un partner con cui riprodursi, ma oggi minaccia di distruggere l’intera umanità,» le ha risposto Hawking, stando al quotidiano britannico Independent. «Un’ulteriore guerra nucleare causerebbe la fine della civiltà, forse lo sterminio della specie umana,» ha spiegato. Non solo l’aggressività umana non serve più ad uno scopo evidente, ma i progressi tecnologici, come ad esempio le armi nucleari, hanno fatto in modo che una quantità incredibile di danni potrebbe essere fatta con poco sforzo da un piccolo numero di persone. Hawking non è stato l’unico scienzato di fama riconosciuta ad aver fatto questa osservazione; Carl Sagan, per esempio, nel corso della sua vita si schierò nettamente contro lo sviluppo delle armi nucleari.


Uyanwah ha chiesto al fisico anche quale fosse la caratteristica umana che avrebbe voluto vedere più spesso. Com’era prevedibile, le ha risposto che gli piacerebbe vedere più gentilezza e comprensione. «La qualità che mi piacerebbe esaltare di più è l’empatia (capacità di comprendere e condividere i sentimenti di un altro, ndr). Ci porta insieme in uno stato di pace e amore,» ha replicato. Hawking ha proseguito a discutere dell’immensa importanza della continua esplorazione spaziale per la longevità della razza umana. Ancora, ripetendo i sentimenti di Sagan e altri, Hawking ha parlato di estendere la presenza fisica dell’umanità al di là dei confini del nostro pianeta o della nostra Luna. «Mandare uomini sulla Luna ha cambiato il futuro della razza

Stephen Hawking con Adaeze Uyanwah

umana in modi che non capiamo ancora. Non ha risolto nulla dei nostri problemi immediati sul pianeta Terra, ma ci ha dato nuove prospettive su di essi, sia guardandoli dall’esterno che dall’interno,» ha spiegato Hawking. «Io credo che il futuro dell’umanità sia lo spazio e che questo rappresenti un’importante assicurazione di vita per i nostri discepoli, poichè potrà evitare la scomparsa della razza umana attraverso la colonizzazione di altri pianeti». Uyanwah ha comunicato su Twitter quanto abbia gradito il suo incontro con Hawking, riferendosi a lui come una “leggenda” ed una “ispirazione”. Hawking ha inoltre parlato dell’imminente Academy Awards, lodando la rappresentazione che Redmayne ha dato di lui. Ha aggiunto scherzando, «Sfortunatamente Eddie non ha ereditato il mio bell’aspetto». n

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Grazie ai lettori di Martina Piazzi Con queste vignette vi ringraziamo. Grazie, perchĂŠ ci continuate a leggere.

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Nucleare, si o no? Articoli provenienti da Prometeo, il giornale del Liceo Galvani Scambio di articoli con Prometeo | di Giulia Corazza

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er centrale nucleare s’intende un impianto per la conversione di energia nucleare (contenuta nei nuclei atomici) in energia termica o elettrica. Come ogni cosa, però, presenta vantaggi e controindicazioni. C’è chi pensa che sia utile, perché non produce anidride carbonica, ossidi di azoto e di zolfo che causano ed aggravano il buco dell’ozono e l’effetto serra. Inoltre ridurrebbe l’importazione di petrolio, limitando la dipendenza occidentale dal petrolio mediorientale. Allo stesso tempo c’è chi afferma che una centrale nucleare richiederebbe enormi investimenti ed ingenti sussidi dallo Stato. Una volta messa in funzione la centrale produrrebbe sia energia, ma anche scorie radioattive per le quali ancora oggi non si sono trovate soluzioni definitive. Tali scorie sono inoltre molto pericolose per la salute, perché nel caso di un incidente nucleare potresti ritrovarti ad avere problemi di salute nel breve, medio e lungo termine. È come un nemico invisibile, sai di esserne colpito, ma senza rendertene conto. In sintesi: fa paura. È proprio questa sensazio-

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ne che ne impedisce un uso sconsiderato. La paura è un nemico silenzioso e subdolo che accomuna tutti, nessuno escluso, perché nel campo del nucleare esiste sempre qualche possibilità che accada qualcosa di inaspettato. Non esiste un impianto a rischio zero, e forse questa è una consapevolezza comune in tutti gli uomini e le donne che abitano il pianeta, perché ciò che l’uomo riesce a costruire non è perfetto. Le forze della natura sono nettamente superiori e quando si scatenano entrano in collisione con le opere dell’uomo: disastro nucleare di Chernobyl del 1986, incidente a Three Miles Island negli USA del 1979, a Tokaimura in Giappone nel 1999, a Tricastin in Francia nel 2008, a Fukushima in Giappone nel 2011. Inoltre questa tecnologia potrebbe essere utilizzata in campo bellico, e sappiamo già dalla storia che le armi atomiche causerebbero danni enormi. Il problema è che quando un’energia viene utilizzata e sviluppata, inevitabilmente qualcuno tenterebbe di riprodurla illegalmente ed a questo punto potrebbe cadere nelle mani sbagliate. Per far fronte a tutti questi rischi oggi si sta investendo molto sulle energie rinnovabili:


geotermica, idroelettrica, eolica, ecc.. Infatti per ogni euro investito in energie rinnovabili si ottengono riduzioni di gas serra fino a 11 volte maggiori di quanto è possibile fare con il nucleare. L’uso di queste energie, però, forse non è possibile in tutti gli Stati.. Infatti se pensiamo all’Italia: dalle biomasse potrebbe arrivare solo 1-2% del fabbisogno italiano, così come dalla geotermica; l’idroelettrica è già sfruttata al massimo del suo potenziale e l’eolica procede, ma non è sempre utilizzabile per la scarsità di vento ed inoltre rovinerebbe il paesaggio ed il turismo, comunque se anche la sfruttassimo al massimo produrrebbe solo un 10-15%. Rimane l’energia solare che andrebbe bene per le famiglie, non per le grandi fabbriche. C’è chi sostiene che a questo punto senza il nucleare l’Italia morirebbe, infatti se consideriamo che

tra 50 anni circa finirà il petrolio, tra 80-100 il carbone, seguito poi dal gas: non avremo più luce, non potremo far funzionare i computer o i frigoriferi e neppure far viaggiare i treni. In conclusione, riguardo gli impianti nucleari la posta in gioco è alta: bisogna saper valutare attentamente i pericoli e le alternative che possono produrre un ugual risultato, ma che comportino i rischi meno dannosi. Proprio per questo motivo la ricerca va promossa e sviluppata, perché la tecnologia sicuramente aiuta l’uomo, ma forse è meglio che rimanga sotto il suo diretto controllo. Indubbiamente ci vorranno tempo (e forse non ne abbiamo molto) e finanziamenti (ed anche questi non abbondano), però ne vale della nostra sicurezza e della nostra salute: le due cose veramente importanti che ci fanno vivere serenamente. n

di Martina Piazzi

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Solododici Articoli provenienti da Prometeo, il giornale del Liceo Galvani Scambio di articoli con Prometeo | di Maria Chiara Morselli

Il portone si chiude dietro Marisa e subito l’avvolge quel familiare fetore tipico del suo palazzo. Tutta colpa di quel vecchio incontinente d’un cagnaccio, pensa, guardando le macchie di urina sul pianerottolo. Certo è che mai nessuno va pulire in quel sudicio grattacielo. Procede verso l’ascensore, sentendo ad ogni passo l’onere dei suoi novanta chili e delle quattro buste della spesa appena fatta. Ovviamente l’ascensore è all’ultimo piano, che coincide con quello che lei deve raggiungere. Borbotta un paio di maledizioni verso gli ultimi rozzi bastardi che l’hanno usato per ultimi,

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poi Marisa decide di prendere le scale. Tanto, sono solo dodici piani. L’inferno. Ad ogni scalino le sembra invecchiare di un anno. Procede lentissima Marisa e il pensiero dei suoi tre marmocchi che la stanno aspettando lassù le fa venire voglia di rinunciare. Però, una volta arrivata al primo piano, è felice. La fronte sudata, le mani calde e i piedi stanchi sembrano essere solo un lontano miraggio. Assapora lentamente la vittoria, e Marisa sale. Profumo di arrosto al terzo piano, che oggi è giovedì e il giovedì nella casa del signor Vittorio ci sono sempre ospiti. Musica


classica al quarto, è la bambina di Mario che vuole fare danza ed è costretta ad esercitarsi in casa, perché i suoi mica ce li hanno i soldi per un corso, o un insegnante. L’avessi avuta io una figlioletta obbediente al posto di tre pesti scalmanate, pensa Marisa. Le mani, quanto le fanno male con tutto quel peso di quella maledettissima spesa, quanti piani ancora? Tanti, ma questa lenta salita le piace. Si sente bene quando arriva al sesto, a metà. Fuori è ormai buio, le scale poco luminose –e anche sporche, sì, ma si sa che in un grattacielo le scale non le usa nessuno- e Marisa quasi inciampa. E che spavento terribile, già si vedeva distesa, inerte tra gli scalini, e con quale forza si sarebbe rialzata? Il sollievo di essere ancora in piedi, quasi al settimo piano, quasi le fa ridere. Procede ancora, più determinata, i suoi arti stanchi e per nulla abituati a fatiche di questo genere (che non si pensi però che Marisa non sia abituata a sgobbare) sembrano ora aver acquistato un ritmo. Il cuore batte ancora troppo forte e c’è ancora tanta strada da fare, eppure lo sforzo fisico è diminuito drasticamente, e la salita è meno ripida. Al nono piano, come ogni sera (ma che ore saranno?) Angelo le dà di santa ragione a quel monellaccio di suo figlio, un mocciosetto impertinente che gioca sempre con i bambini pestiferi di Marisa. Anche lei a volte mena i mascalzoni, anzi, ci prova: sono tre, piccoli e veloci, e le sfuggono sempre. Ancora una volta, il pensiero va ai bambini, che si saranno accorti del ritardo della mamma ma, scalmanati come sono, non ci daranno molto peso, e continueranno a giocare e urlare e correre per la casa. Già si vede i calzini di Filippo sotto il divano, e le macchie di gelato sulle pareti e magari anche oggi si sono azzuffati e se Tommaso ha sbattuto di nuovo contro il comodino se lo ritroverà pieno di cerotti, con il naso sanguinante. Però vuole loro tanto bene, Marisa. Farebbe volentieri a meno degli strilli giorno e notte, dei capricci, dei soliti dispetti provocati da quei tre gnomi di sei, sette e dieci anni. È per loro che ogni mattina si alza e trascorre le giornate a pulire i bagni dell’hotel più vicino a casa, e poi torna e deve pulire anche i bagni di casa sua, e lavare vestiti, pavimenti, denti e

sederini, e stirare, e mettere a posto, e rimediare a tutti i pasticci di quelle piccole pesti, che però dopo la scuola restano sempre da soli, in casa, e anche se sono scalmanati e terribili riescono a scaldarsi il cibo, e a sopportarsi, e ad aspettare la mamma e a divertirsi quasi senza giocattoli, e senza nessuno che stia un po’ con loro il pomeriggio. Marisa prova una fitta di malinconia per quei poveri disgraziati, costretti a vivere in quello squallido appartamento senza quadri situato al dodicesimo piano di un sudicio ed insignificante grattacielo. E in tutti questi pensieri, Marisa non si rende conto che è quasi all’undicesimo piano, e riesce quasi a vedere il suo, e chissà quanto tempo è passato dal primo scalino, così lontano, le sembra davvero una vita, ed è proprio come se tra uno scalino e l’altro, ne avesse vissuta una, così particolare. Procede, con costanza, la schiena a pezzi, bagnata di sudore, e davvero non si sente più le mani né i piedi. Si sente bollente, quasi riesce a vedersi la faccia paonazza. È arrivata ormai, manca così poco, e si diffonde in lei pura eccitazione, prova tanto orgoglio per avercela fatta che le pare di poterlo toccare. Dieci, cinque, due, l’ultimo gradino. Marisa sorride, si sente viva, non vede l’ora di entrare in casa e abbracciare i suoi figli e metterli a letto se hanno già mangiato e dargli in bacio della buonanotte, e chissà, potrebbe farle più spesso le scale, e chissà, magari sarebbe più in forma, e potrebbe portarli più spesso i bambini ai giardinetti, e correre con loro e… Ma prima deve fare una cosa. Marisa avanza verso la finestra, quella del pianerottolo, quella grande, quella al dodicesimo da cui si vede tutta la città, ma lei di solito non guarda fuori dalle finestre, non ha tempo, di osservare il cielo, i palazzi, le persone piccole come formiche, di immaginare una vita diversa e lontana. Stasera invece Marisa apre la finestra, vuole sentire l’aria fredda e pungente sul suo viso bollente, quasi come se quell’alito di vento fosse il premio della sua piccola vittoria. Poggia la spesa e sgranchisce le dita, e si sente incredibilmente viva. Prova a respirare il più possibile la serata, ed è felice. Quindi si sporge, e si sporge ancora. Tanto, sono solo dodici piani. n

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Ayoub El Alouani, 2P

Cecilia Fantini, 2M

Chiara Gamberini, 5C

LA REDA Karina Chichifoi, 3B

Lucia Comandini, 5N

Martina Piazzi, 4P

Micol Gianoli, 3E

Riccardo Cerioli, 4P

Riccardo Scandellari, 4B

Selma Inane, 5N

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Elisa Frigato, 5C

Emanuele Vicinelli, 4C

Goffredo Piani, 4P

AZIONE Lorenzo Bergonzoni, 5C

Natan Baleotti, 2C

Raffaello Balica, 3E

Rebecca Fogacci, 4P

Serena Piazzi, 3M

Stefano Rossi, 4P

Wolf Burnus, 5B

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 www.orgiaintellettuale.info  redazione@orgiaintellettuale.info  facebook.com/orgiaintellettuale Riciclami

Passami dopo avermi letto

Se proprio vuoi sbarazzarti di questo bellissimo giornale, non buttarlo nell’indifferenziata. Passalo a qualcun altro o riciclalo. Pensa a quei poveri alberi che sono stati tagliati per stamparlo!

Diffondete il verbo Copernicano tra compagni, amici e congiunti, le nostre parole sono per tutti e tutti sono invitati a partecipare!


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