Orgia Intellettuale | Numero 10 | dicembre 2015 – gennaio 2016

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DICEMBRE 2015 — GENNAIO 2016

A PAGINA 6 » Riflessioni su una scritta offensiva apparsa sui muri della scuola

A PAGINA 12 » Il deep web: il lato oscuro e pericoloso di Internet

Numero 10

A PAGINA 28 » Strage di Bologna: dopo trent’anni ancora domande senza risposta


Ai nostri occhi

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ara lettrice, caro lettore, ecco tra le tue mani il nuovo numero di Orgia Intellettuale che è stato faticosamente realizzato dai tuoi compagni di scuola. Un numero variegato che tocca tantissimi temi. Come potevamo non presentarti anche una situazione politicamente difficile e umanamente insostenibile? Così ci sentiamo di definire ciò che ha portato la violenza dello Stato Islamico. Cos’è “umanamente inaccettabile”? Lo è giocare con la vita di persone innocenti, traumatizzarne per sempre tante altre per costruire solamente divisioni. Perché è a questo che lo Stato Islamico punta: il terrore. E quale via scegliere se non quella della violenza per dividere sunniti da sciiti, chi è musulmano (bada bene: musulmano, non arabo, c’è differenza!) da chi non lo è? Ai nostri occhi dividere e creare barriere non è una soluzione e non lo è neppure mai stata. Ai nostri occhi “l’unica razza è quella umana”. Ai nostri occhi è il mondo intero che sta sanguinando, ferito com’è dalle guerre e dal non riconoscimento della dignità della vita umana. Così è stato non solo a Parigi il 13 novembre, ma anche a Beirut il 12 novembre e nel cielo del Sinai il 31 ottobre.

Molto si parla di guerra di religione, ma a Beirut i terroristi erano musulmani, così come lo erano le vittime. E la stessa cosa vale in molti altri episodi. Lo Stato Islamico non si fa problemi di religione. Tuttavia, molti personaggi pubblici hanno deciso di approfittare della situazione per istigare all’odio nei confronti dei musulmani. Maurizio Belpietro, direttore del giornale Libero, il giorno successivo alla strage di Parigi ha dedicato la prima pagina del suo giornale ad un servizio anti-islamico intitolato “Bastardi islamici”. A seguito di quest’articolo è partita una petizione su change.org, con al momento della scrittura di questo editoriale circa 126.000 sostenitori, che chiede la radiazione di Belpietro dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti, in quanto avrebbe «contravvenuto a tutte le norme della deontologia professionale in materia di incitamento all’odio razziale e di correttezza dell’informazione». Anche un certo imprenditore di nome Donald Trump, candidato alle elezioni presidenziali americane del 2016, ha commentato a modo suo la situazione. Tra le sue numerose idee ha proposto di vietare a tutti i musulmani di entrare negli Stati Uniti, di creare un registro di tutti i musulmani attualmente presenti e di obbli-


garli a portare con sè una speciale tessera di riconoscimento. Ha affermato che probabilmente avrebbe appoggiato i campi di internamento americani della Seconda guerra mondiale, in cui furono rinchiusi circa 110.000 giapponesi-americani, la cui unica colpa era di avere origini giapponesi. La cosa preoccupante, più delle sue affermazioni in quanto tali, è il fatto che molti americani sembrano essere d’accordo con lui. Gli inglesi un po’ meno. Mentre Trump afferma che «gli elettori del partito Ukip (UK Independence Party, un partito populista inglese, ndr) appoggiano l’idea di un divieto di immigrazione per i musulmani da parte degli Stati Uniti», sul sito del parlamento inglese è partita una petizione per chiedere che a Donald Trump venga vietato l’ingresso nel Regno Unito. Recita così: «La Gran Bretagna ha vietato l’ingresso a molte persone per incitamento all’odio. Gli stessi principi dovrebbero essere applicati a tutti coloro che vogliono entrare in Gran Bretagna. Se la Gran Bretagna continuerà ad applicare il criterio “comportamento inaccettabile” a tutti coloro che vogliono varcare i suoi confini, dovrà essere equamente applicato tanto ai ricchi quanto ai poveri, e tanto ai deboli quanto ai potenti». E a quanto pare la petizione ha avuto parecchio successo: al momento ha circa 465.000 firmatari.

sembrare evidente, ma per altri evidentemente non lo è, quindi lo ribadiamo: è importante capire che non tutti i musulmani sono terroristi. E il fatto che qualcuno potrebbe esserlo non ci autorizza ad usarli come capro espiatorio per scaricare l’angoscia e la paura che il terrorismo ci genera. Guardatevi attorno: sicuramente avrete qualche amico musulmano. Chiedetevi se avrebbe senso obbligarlo a portare un documento di riconoscimento aggiuntivo, o discriminarlo solo per la sua religione. La risposta che ci siamo dati a tale domanda è che non ha mai senso discriminare. Mai. La diversità è un bene per tutti. La redazione ha avuto e ha persone di fede musulmana, persone assolutamente fantastiche che, con la loro presenza, con le loro parole e con il loro impegno, ci hanno aiutato a crescere e a far crescere questo giornale. Insomma, cara lettrice, caro lettore, speriamo che tra le tue mani tu abbia uno strumento per aiutarti a riflettere con la tua testa vedendo come lo abbiamo fatto noi con la nostra. Per capire come reagire anche tu nel tuo piccolo. Non discriminare e non creare barriere è un ottimo inizio. Quello che vorremmo tu sapessi è che nel nostro piccolo noi di Orgia Intellettuale proviamo ad aprirti una finestra sul mondo. Goditi la vista, e buona lettura. n

È molto importante stare attenti alle affermazioni di questi personaggi populisti. Sappiamo che per alcuni può

– Rebecca Fogacci e Stefano Rossi per la redazione


In questo numero Attualità

6 Questa è una

18 Equazioni

8 Expo, perché sì 10 Ho visto quel

2 Asta di Venezia 2 24 Incontro con

lettera per te

ragazzo forte

12 Deep Web 14 Tutto è bene

pericolose

Nicoletta Polifroni

Riflessioni pomeridiane

28 Riflessioni sul

divano [Non fu una caldaia]

Attualità copernicana

32 Flash mob del

Cope antifascista, antirazzista, anisessista

quel che finisce bene? Chiedetelo a Orioles

Funny Corner

, 21, 31 Sudoku 9 16, 57 Labirinti

Caporedattori Emanuele Vicinelli Goffredo Piani Luca Barattini Martina Piazzi

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Rebecca Fogacci Riccardo Cerioli Riccardo Scandellari Stefano Rossi

Impaginazione/grafica Leonardo Wei Riccardo Roveri Stefano Rossi


Altro

Cultura e arte

20 Un saluto

Poesie

Ricette

38 Orgia di Poesie

46 Dolci ciccioni

ai nostri ex-colleghi

60

Storia

Illustrazioni

40 Il giorno in cui

La redazione

17 45 MartinaPiazzi

Martina Davalli

Vignette

19, 27 Federico Billi

Illustrazioni e vignette Federico Billi Martina Davalli Martina Piazzi

[la tenerina]

Fotografia

il Tamigi inondò la Tate

48 Lake District Fumetti

Pittura

3 J. W. M. Turner 4 44 John Atkinson

58 Manga Kissa

[Itazura na Kiss]

Grimshaw

Testata Lucrezia Zanardi

Docente referente Prof.ssa Anna Maria Incorvaia

Illustrazione di copertina Federico Billi

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Questa è una lettera per te Attualità | di Rebecca Fogacci ed Emanuele Vicinelli

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aro lettore, anzi, caro amico copernicano, vorrei farti, se ti va, un paio di domande per pura e semplice curiosità. Chissà cosa hai pensato quando, entrando al lotto 2, la mattina, di fretta o assonnato, sulla sinistra hai visto una scritta nera. Una scritta con l’unico scopo di offendere uno di noi. Gratuitamente. Un attacco mirato a un ragazzo che, quando a ricreazione te ne parla dopo averti conosciuto da appena un minuto, ha per te parole sicure e sincere. Magari quella scritta non l’hai neanche vista, occupato come siamo tutti da compiti, verifiche, partite... Probabilmente ti sembrerebbe una scritta senza senso. Forse perché è opera di chi dice di avere un vago progetto politico: Lotta Studentesca, legata a Forza Nuova, che si dichiara fascista. Ma come, i fascisti non erano spariti? Non sono “roba da secolo scor-

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so”? Magari lo hai pensato e, con dispiacere, posso risponderti che sì, ci sono ancora (o almeno si presentano come tali) e sono attivi in altre scuole oltre alla nostra. E la scuola? La scuola che ha fatto? Chissà se il tuo criceto correndo nella testa questa domanda se l’è fatta... Beh... la scuola... presente, si, per pensare al diritto della privacy... ma ti dico che la copertura a questa e altre scritte ancora non si vede. Eppure al mio criceto vien da pensare: anche questi ragazzotti autori della scritta anni fa erano bambini. Chissà che fine hanno fatto, quei bambini. Probabilmente sono stati mangiati dalla diseducazione, forse dall’odio, ma sicuramente dall’IGNORANZA. Caro lettore, anzi, caro amico copernicano: cerca di non fare la stessa fine. n


di Martina Piazzi

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Expo, perché sì Attualità | di Serena Piazzi

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er ben sei mesi, da maggio a ottobre, l’Italia è stata l’ombelico del mondo. Più di 140 paesi e Organizzazioni internazionali si sono riassunte in un’area di 1,1 milione di metri quadrati (che sembra molto più piccola durante i week end), monopolizzando l’informazione mediatica. La domanda sorge spontanea: perche andarci? Ecco qua quattro buoni (o pessimi, dipende da che parte state) motivi. 1) Per prima cosa, mettiamo a fuoco lo scopo di questa esposizione, letteralmente “nutrire il pianeta, energia per la vita”, che non vuol dire nutrire i visitatori! Quindi non aspettatevi ristoranti, stand e banchetti vari: l’Expo non è la Festa dell’Unità (con tutto il rispetto della festa, s’intende). Certo, troverete prelibatezze da ogni angolo del mondo e potrete sbizzarrire le vostre papille gustative (spero non vi siate persi la boulangerie davanti al padiglione della Francia). Ma il vero intento dell’Expo, ciò che lo rende unico, è il renderci partecipi di un campo che cambia ogni giorno di più: quello dell’alimentazione. Apprendere i processi agricoli di un paese che dista migliaia di chilometri da noi, scoprire l’incastrarsi perfetto tra mantenimento delle tradizioni e innovazione tecnologica, simile al combaciamento di due pezzi dello stesso puzzle, la grande ricerca verso un futuro più sostenibile e accessibile a tutti, la risoluzione dei problemi in possibilità ancora più ampie. Tutto ciò non può che renderci ancora più consapevoli, attenti al mondo

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in cui viviamo e cittadini di un pianeta che prende il nome dalla nostra stessa fonte di sostentamento, la Terra. 2) I padiglioni. Ognuno di essi è un piacere per gli occhi, alcune volte perfino più bello di ciò che vi è al suo interno. Sappiate guardarli con l’animo di un bambino per apprezzarli al meglio. 3) La questione etica. Se siete tra quelli che pensate che dietro all’Expo ci siano lavoro nero, sfruttamento, operai sotto pagati e corruzione, beh, probabilmente avete ragione. È stato così anche per le piramidi, la torre Eiffel, l’Empire State Building e forse anche per quel nuovo palazzo che stanno costruendo proprio vicino a casa vostra. In tutto vi è l’altro lato della medaglia, il lato più scuro, ed è giusto che continuiamo ad impegnarci e a combattere affinché queste situazioni non si ripetano più e si raggiunga l’eguaglianza per tutti. Ma è altrettanto ingiusto lasciarci scappare delle possibilità per migliorarci e crescere. Continuate a non essere d’accordo, ma andateci, per avere una visione critica e a 360 gradi su ciò che state contestando. La protesta si può attuare nel rifiuto e nel boicottaggio, ma prima deve trovare le sue radici nella visione critica del problema. 4) Il padiglione degli Emirati Arabi Uniti. Se l’avete visto, molto bene. Altrimenti, mi dispiace per voi. Potrete sempre rifarvi all’Expo del 2020 a Dubai. n


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Ho visto quel ragazzo forte Attualità | di Rebecca Fogacci

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ederico. Un bel nome se ci pensate. A voi chi viene in mente se dico: Federico? Forse qualche vecchio sovrano, magari un parente, un fratello, un amico. Beh, se quel nomelo pronunci a Ferrara puoi pensare solo a Federico Aldrovandi. Sembra il nome di un personaggio importante, di spicco, ma in realtà dieci anni fa era proprio come me: un diciottenne appassionato di musica che ogni tanto il sabato sera andava ad ascoltare dei gruppi in qualche locale bolognese. Pochi mesi lo dividevano (e dividono me ora) dalla maturità. Però lui la patente ce l’aveva già, mentre io manco sono iscritta a scuolaguida (che scema). Suo papà è un vigile urbano. Quanto vostri amici hanno il babbo vigile urbano? O la mamma che lavora in comune? Un fratello che fa tardi il sabato sera? Immaginate cosa possa essere non poterlo vedere tornare mai più? Perché ucciso da quattro POLIZIOTTI mentre tornava a casa a piedi dopo una serata a Bologna con gli amici? Io, francamente, non ci riesco, ma è quello che successe il 26 settembre 2005. Sono quattro i poliziotti colpevoli della sua morte, ma nessuno di loro ha mai scontato più di sei mesi in carcere. La cosa più assurda è

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che potresti ancora incontrarli in servizio con la loro bella divisa e un manganello alla cintura (questa volta non rotto). Potresti trovarteli di fronte Enzo Pontani, Luca Pollastri, Paolo Forlani, Monica Segatto. Potresti incontrarli per strada quelli che hanno picchiato selvaggiamente e brutalmente un ragazzo come me,


come te rompendo sul suo corpo i manganelli e fermando per sempre il suo cuore. Cinquantaquattro sono stati i colpi inferti a Federico senza alcuna ragione. Eppure un motivo ci deve essere stato. Non spezzi la vita di un ragazzo senza motivo. Non gli impedisci di avere un futuro, qualunque esso possa essere. Oggi avrebbe 28 anni. Magari un figlio, come il suo amico Boldro, o forse sarebbe scappato a Londra, come il suo amico Burro. La verità è che l’opportunità di vivere questi dieci anni di crisi economica, sagre di vampiri al cinema, album entusiasmanti di musica underground e molto altro gli è stato negata. Sai chi potresti incontrare a Ferrara il 26 settembre in piazza Municipale durante il concerto a lui dedicato? Proprio lì sulla destra, dove si prendono le birre? Potresti incontrare Lino, il papà di Federico. Ragazzi che occhi, che mani. Non lo scorderò, come non scorderò la sua commozione, il concerto, la sensazione che avevo mentre con mio papà tornavo verso la macchina al parcheggio Kennedy. La sensazione che dalla storia di Aldro (come lo chiavano gli amici) non posso imparare. Perché in fondo cosa posso imparare? Che la polizia in Italia uccide? Che la polizia

non estranea dalla sua organizzazione chi ha le mani macchiate di sangue? Cosa posso imparare? Forse un paio di cose… L’importanza di non cedere al terrorismo, che sia della polizia o altro, proprio come fece la testimone fondamentale al processo, Anne Marie Tsagueu. Lei ebbe il coraggio di dire “Ho visto quel ragazzo forte”. Nonostante le intimidazioni dei poliziotti. Nonostante le false notizie sui giornali (“era un eroinomane”). Nonostante tutto. Ho imparato che indignarci come cittadini è il primo passo per fare in modo che questi atti inaccettabili e insostenibili non possano ripetersi (ma purtroppo storie simili ci sono: Stefano Cucchi, Giuseppe Uva…). Il primo passo affinché i colpevoli possano essere puniti, veramente. Il primo passo per cambiare le cose. Ho imparato che generalizzare non è mai giusto, perché poliziotti che si sono indignati dei loro colleghi ce ne sono stati. Sono le loro voci che mi fanno capire perché i parenti di Federico dicono “la nostra fiducia nella Polizia resta immutata”. Ho imparato che la ricerca di giustizia per un figlio può diventare una ragione di vita.Chissà Federico per cosa avrebbe dato la sua. n

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Deep Web Attualità | di Micol Gianoli

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nternet, la scoperta più sensazionale e utile del secolo scorso. Noi liceali lo utilizziamo per ricerche, traduzioni, video informativi, navighiamo sui social network, in siti di chat e di giochi online, spesso tramite Google. Ma lo sapevate che questo motore di ricerca indicizza solamente il 4% dei file presenti sul web? Dove si trovano, e come possono essere ricercati i documenti rimanenti? Alcuni esperti rispondono al primo quesito dividendo il web in sei livelli, in ordine gerarchico: 1) il web comune; 2) il surface web, dove operano i server informatici e siti come Reddit; 3) il bergie web, ultimo livello accessibile senza particolari strumenti o conoscenze, o s p i t a risultati nascosti di Google e siti di video e immagini non censurati; 4) il deep web, dove di entra solo usando software speciali e dove si incontrano i primi hacker; 5) il charter web, dove si muovono con disinvoltura hacker, trafficanti di droga e di

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armi, jihadisti, estremisti e pornografi; 6) il marianas web, che comprende circa l’80% di internet. Il suo contenuto è in parte sconosciuto e in parte fonte di leggende metropolitane. Solitamente gli ultimi 3 livelli del web si riuniscono in un’unica definizione: quella di “deep web”, o web sommerso. È possibile accedervi tramite motori di ricerca come TOR (The Onion Router), I2P o Freenet. Il più utilizzato è il primo, poichè fornisce anonimato al traffico di dati in uscita attraverso un procedimento concettualmente semplice: le informazioni non passano più direttamente dal client (il vostro dispositivo) al server (il gestore del traffico), ma attraverso molteplici dispositivi su cui è installato TOR, i cosiddetti nodi, costruendo una catena crittografata a strati (da cui deriva appunto la denominazione Onion, “cipolla”). Una volta entrati in questo lato del web, quali ricerche fare? Un punto di partenza per orientarsi potrebbe essere il sito - già prece-


dentemente citato - Reddit, o la lista di link HiddenWiki. L’ideale sarebbe non abusare della libertà di ricerca che ci offre il deep web: se non lo avete mai frequentato, sappiate che è molto facile imbattersi in siti in cui si attuano truffe di ogni tipo: dalla vendita di armi fotografate in ogni dettaglio alla consegna via posta di documenti falsi. Queste pagine sono gestite solitamente dalla polizia postale. I traffici seri, però, esistono davvero: nelle profondità del web, se ci si sa orientare, è possibile imbattersi in negozi di droga online, traffici di organi umani, attività mafiose, siti pedopornografici o persino pagine dove ingaggiare sicari per un omicidio. Leggende metopolitane parlano anche di uccisioni in videochat e dei cosiddetti “Suicide Shows”, brevi filmati in cui persone appa-

rentemente volontarie si suicidano davanti alle telecamere. Nessuno sa se queste dicerie siano provate, ma essendo, appunto, “leggende metropolitane”, non si esclude abbiano un fondo di verità. In sostanza, il deep web non è un posto nè buono, nè cattivo, ma, come il mondo che ci circonda, può essere frequentato dal più depravato degli psicopatici o dal più geniale degli scienziati. N.B. Questo articolo è stato scritto al solo scopo di sensibilizzarvi in campo informatico. Come indicato nella scaletta, già nei livelli superficiali del deep web si può essere vittime di hacker o di truffe, per questo ne sconsiglio la navigazione. n

di Federico Billi

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Tutto è bene quel che finisce bene? Chiedetelo a Orioles Attualità | di Emanuele Vicinelli

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ominciamo con una breve premessa: il diritto dei cittadini ad un’informazione corretta, precisa e veritiera è letteralmente intoccabile. Un cittadino informato è un cittadino consapevole, e un cittadino consapevole può scegliere. La figura del giornalista, professionista dell’informazione, assume, quindi, un ruolo chiave per far sì che questo succeda. In Italia, per essere giornalisti, occorre essere iscritti ad un albo, l’Ordine dei Giornalisti. Essendo la professione del giornalista particolarmente delicata, sia sotto il profilo sociale che quello etico, l’Ordine nasce da un lato per tutelare il lettore, garantendo la professionalità e il rispetto delle norme etiche da parte dei giornalisti affiliati, da un lato per tutelare la categoria professionale da possibili derive autoritarie esterne: la legge, infatti, prevede che l’albo dei giornalisti sia autogovernato dai giornalisti stessi che ne fanno parte. Chiarito questo primo punto, andiamo avanti. Il protagonista di questa storia si chiama Riccardo Orioles, una delle punte del giornalismo antimafioso italiano. Orioles fa il suo

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deciso ingresso nel mondo dell’antimafia quando, nel 1982, fonda con Giuseppe Fava un giornale, i Siciliani. Sul primo numero esce un articolo, intitolato Lo spirito di un giornale, che è il manifesto ideologico della nuova testata. Pippo Fava scrive così: “Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente in allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”. Fava e Orioles portano avanti il giornale fino all’ottantaquattro, anno in cui Fava viene ammazzato dalla mafia: troppo scomodo era diventato. Il giornale viene tenuto aperto per altri tre anni da Orioles e dai ragazzi della redazione, che si trovano a fronteggiare difficoltà economiche sempre più grandi. In tempi recenti, Orioles e


alcuni ragazzi della vecchia redazione de I Siciliani fondano un nuovo giornale, I Siciliani Giovani. Lo spirito, la convinzione e l’entusiasmo non sono cambiati. L’intento lo è, ma solo leggermente: si è aggiunta la volontà di coinvolgere i giovani per insegnare loro come si fa il vero giornalismo, quello militante, quello che pesta i piedi a chi nessuno li vuole pestare, quello che non è pubbliche relazioni, quello così diverso dalle grandi testate. Il giornalismo di chi può dire di agire coerentemente a quello che pensa e scrive. Detto questo, passiamo ai fatti. La notizia è dei primi giorni di ottobre, ed è stata riportata dal Fatto Quotidiano, con un articolo firmato da Claudio Fava, Antonio Roccuzzo e Michele Gambino. Riccardo Orioles rischia di essere cacciato dall’ordine dei giornalisti perché è in ritardo di circa 1300 euro con il pagamento delle quote associative. Questione divertente, questa, visto che vive con una pensione sociale di 432 euro al mese, e prima di pagare le quote all’Ordine magari deve anche mangiare. Il mondo dell’antimafia inorridisce non appena viene a conoscenza della vicenda. Comprensibilmente, peraltro. La testata giornalistica che Orioles dirige pubblica subito una durissima dichiarazione. Schifati e nauseati da un Ordine il cui scopo dovrebbe essere quello di sostenere i Giornalisti veri, ma che fa l’esatto opposto, scrivono questo: “Le redazioni de I Cordai e de I Siciliani Giovani hanno infine deciso che, se l’Ordine dovesse giungere alla radiazione di Orioles, continuerebbero – in nome del diritto alla disobbedienza civile – a pubblicare a firma “direttore responsabile Riccardo Orioles”, assumendosene ogni responsabilità civile e penale ma adempiendo al dovere di continuare a informare liberamente e dal basso. Noi – ci ha insegnato il direttore Giuseppe Fava – abbiamo un concetto etico del giornalismo”. Noi abbiamo un concetto etico del giornalismo. Noi, non voi, è evidente. “Con o senza il supporto dell’Ordine, l’antimafia continua”, scrivono. E proseguono: “Se qualcuno pensa di cancellare lo spessore umano di Riccardo e la sua attività professionale con un colpo di spugna, ha fato i conti male. Peggio: si è dato la zappa sui piedi. Radiare il

Direttore è radiare tutti noi dalla lotta quotidiana, noi che ogni mattina ci alziamo per guardarci intorno e invece di limitarci a farci il sangue amaro, ci sbattiamo per azionare quell’interruttore chiamato coscienza”. Dopo pochi giorni la cosa si risolve: Don Ciotti dà notizia che sanerà personalmente il debito che Orioles ha nei confronti dell’Ordine. “Una storia iniziata come buffonata - dice Orioles, parlando della donazione di Libera -, poi è diventata una cosa felice. Non ho parole, benedico l’Ordine per la stronzata che ha fatto”. Una stronzata grande, veramente. Ma tutto è bene quel che finisce bene. No. Proprio per nulla, ma neanche lontanamente. Non va tutto bene solo perché questa cazzata è risolta da una donazione. Il problema è molto più profondo, la volontà politica è più che evidente; anche perché la storia non è completamente finita, e coinvolge altri attori, uno dei quali è WikiMafia. WikiMafia è la prima libera enciclopedia contro le mafie, un altro esempio di giornalismo militante: si propone di afferrare le corrette dimensioni del fenomeno mafioso, mettendo nomi, numeri, date, eventi, attentati e persone scritte nero su bianco, documentando le fonti e rendendo disponibile a tutti uno strumento potentissimo di conoscenza. I ragazzi di WikiMafia, dopo che hanno saputo che don Ciotti avrebbe coperto il debito di Orioles, scrivono una petizione (firmata da circa cinquecento persone, tra cui molti colleghi di Riccardo) per chiedere che gli venga data la tessera di giornalista ad honorem. Bene, loro hanno centrato il vero problema: non sono le quote associative all’Ordine che rendono Giornalista un giornalista. È quello che pensa, quello che dice, quello che scrive, come agisce, e soprattutto il fatto che sempre e comunque cerca la Verità e la racconta. È questa vocazione che rende tale un Giornalista. Orioles, allora, è un Signor Giornalista. E ha rischiato di essere cacciato da un Ordine che si propone di proteggere una categoria professionale. Lo stesso ordine che ha, per anni e anni, bellamente ignorato lo stato pietoso dell’informazione in Italia, spesso corrotta, di parte, collusa con la mafia, con →

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i padroni e con i poteri forti; con giornalisti cani e servi ma, ne sono certo, certamente mai morosi. La richiesta dei ragazzi di WikiMafia, per il tesserino onorario ad Orioles, cade nel vuoto. Pochi giorni fa, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti risponde alla petizione firmata da centinaia di persone, con un gentile, stringato e molto politico “Apprezzo le intenzioni. Mi permetto di ipotizzare che nessuno dei firmatari voglia sollecitare una violazione della legge che non consente questa soluzione. Cordialmente, Enzo Iacopino” Bene, un presidente dell’ODG che è aderente alle regole! Bellissimo! Peccato che la storia del giornalismo italiano ci consegna diversi casi di tesserini da giornalista conferiti ad honorem, come ad esempio ad Ugo Stille, giornalista italiano inviato in America che, tornato in Italia, ne aveva bisogno per diventare il direttore del Corriere della Sera. Questa è la fine della storia: un Signor Giornalista, che ha tenuto la schiena dritta per quarant’anni, facendo della ricerca della verità la

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propria vocazione, rischia la radiazione dall’albo. Grazie a don Ciotti questo non succede, viene chiesta da più di cinquecento persone di dare la tessera onoraria a questo Signor Giornalista, non foss’anche solamente per i meriti e per il suo spessore, e l’Ordine rifiuta. Lo rinnega due volte. A voi le conclusioni. Un ultima cosa, forse l’unico tratto positivo che si può a fatica estrarre da questa vicenda. In un suo articolo, commentando quello che è successo, Orioles cita l’articolo del Fatto Quotidiano scritto da Fava, Roccuzzo e Gambino, i ragazzi di Fava. “Nell’articolo [...] c’è, stavolta sì, un imperdonabile errore e anzi, diciamola tutta, una gran cazzata. “Noi - scrivono alla fine - che di Riccardo siamo stati colleghi e amici…” Siamo stati, amici miei? Siamo stati al passato? No, porco diavolo! Noi siamo amici e compagni ora e sempre, non abbiamo mai smesso di esserlo un solo istante. Siamo sempre gli stessi, alla faccia di tutti: noi pochi, noi felici, noi banda di fratelli”. Non sei solo, Riccardo. Ordine o non ordine, albo o non albo, non lo sei. n


di Martina Davalli

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Equazioni pericolose Attualità | di Serena Piazzi

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mpqua Community college, 1 ottobre 2015. Columbine High School, 20 aprile 1999. Virginia Polytechnic Institute, 16 aprile 2007. Cinema Aurora, 19 luglio 2012. Sono solo alcune delle stragi compiute negli Stati Uniti negli ultimi 20 anni. Stragi che hanno come numeratore campus universitari, college e luoghi pubblici e come comune denominatore uomini insoddisfatti, mentalmente instabili e, il più delle volte, suicidi. Sommati questi termini, viene come risultato un’equazione dove l’incognita x è l’uso spropositato, anzi, legittimo, delle armi da fuoco. Tutto è riconducibile all’insieme V, dove V sta per violenza, quella alla base di questi massacri. Purtroppo, la matematica non può spiegare la situazione precaria in cui si trovano gli americani, divisi tra chi vuole abolire la legge sulle armi, tra cui Obama, e chi, invece, ne sostiene il bisogno. Quest’ultimi citano a loro favore la stessa Costituzione, che, nel secondo emendamento, dichiara « Essendo necessaria

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alla sicurezza di uno Stato libero una milizia regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto. ». Un ruolo importante è giocato dalle lobby delle armi, come la NRA (National Rifle Association), che finanzia corsi di apprendimento a oltre 4 milioni di bambini, insegnando come maneggiare con cura e usare correttamente una pistola. Anche la Keystone Sporting Arms fornisce il suo contributo, fabbricando un fucile Crickett calibro 22, appositamente ideato per i bambini, tanto da conquistarsi l’appellativo di “La mia prima arma”. Colossi del mercato, interessi pubblici e privati, e in particolar modo finanziari, e una maggior coscienza collettiva riguardante la propria sicurezza hanno ormai ingaggiato un conflitto che può protrarsi in eterno, fino al ritiro di una delle due parti, non essendo possibile un compromesso; sfondo di questa battaglia è un paese che sta diventano sempre più schiavo della propria libertà. n


di Federico Billi

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Con questa pagina noi della redazione vorremmo salutare i nostri colleghi Lorenzo Bergonzoni, Chiara Gamberini, Elisa Frigato, Selma Inane e Wolf Burnus, che, usciti vincitori dall’esame di stato, hanno lasciato quella valle di lacrime che è il Copernico. Grazie per il tempo passato assieme. Grazie per averci fatto conoscere il giapponese sotto le Due Torri, e per aver trascorso tante riunioni di Orgia lì assieme a noi¹. Grazie per aver spinto alcuni di noi ad entrare nella redazione. Grazie per i vostri articoli e i vostri disegni, che hanno reso Orgia quello che è. Grazie per esserci stati nelle decisioni importanti. Grazie, insomma, per aver contribuito a far crescere Orgia, e a far crescere anche noi. Un grande “in bocca al lupo” per il futuro. Ci mancherete. ¹ No, Orgia non si riunisce solo in quel posto... Diciamo che ci piace, e ci andiamo spesso!

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Asta di Venezia Attualità | di Ilaria Reta

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uesto mese il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, ha annunciato che per far quadrare i bilanci può diventare necessaria la vendita di alcune opere d’arte di pittori famosi in tutto il mondo. Tra queste ritroviamo la Judith II Salomè di Gustav Klimt e il Rabbino di Vitebsk di Chagall. É scoppiata immediatamente la polemica da parte del ministro Dario Franceschini e da parte di altri politici, appoggia la proposta, invece, Vittorio Sgarbi. Brugnaro ha dichiarato che i debiti della città sono diventati troppi e ha presentato ai parlamentari veneziani alcune richieste da inserire nell’ambito della specificità di Venezia nella legge di Stabilità che sarà vagliata nei prossimi mesi. Tra le richieste, quella di tassare i turisti, mettere l’accesso limitato in alcune zone

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pedonali, e anche vendere all’asta dei quadri. I collaboratori del sindaco assicurano “Si tratta di opere che non hanno nulla a che vedere con la storia artistica e culturale di Venezia”: ovvero, non si toccheranno i Canaletto, i Tiziano o i Giovanni Bellini. La base d’asta sarà di 400 milioni di euro, e probabilmente solamente il quadro di Klimt ne varrà 70 milioni. Il bilancio da far quadrare è di circa una ventina di milioni di euro e, inoltre, c’è il Patto di Stabilità da rispettare, che prevede il ripiano di 58 milioni mancanti. Brugnaro si giustifica in un appello al presidente della repubblica “Venezia sta cadendo a pezzi”. Franceschini replica “Penso sia solo una battuta o più comprensibilmente una mezza minaccia per chiedere più risorse al governo in vista della stabilità”, Sgarbi invece è d’accordo con il sindaco e risponde “Soltanto cattive amministrazioni e uno Stato ignaro o


criminale possono aver ridotto una città ricca come Venezia alla condizione di deficit di bilancio. Ridicolo vendere molti pezzi a poco prezzo. Ed ecco allora la geniale proposta di Brugnaro: vendere un solo dipinto a una grande cifra, salvaguardando l’identità e i valori del contesto.” L’idea è uno spreco poiché quelli destinati alla vendita sono quadri molto importanti nella storia dell’arte del ‘900 e sono delle risorse sfruttabili per attirare più turisti: infatti, si può anche pensare che in Italia, soprattutto a Venezia, ci siano già molte opere d’arte, non solo pittoriche, tuttavia ciò non giustifica il fatto che bisogna venderle, anche se non sono legate alla nostra storia; d’altro canto, quanti quadri di artisti italiani importantissimi ci sono a Parigi, Londra, New York e molte altre città nel mondo? Un’immensità. Basti pensare alla Gioconda di Leonardo Da Vinci, e a tutti i suoi altri ritratti, alcuni anche più affascinanti del primo,

ma meno conosciuti, nella capitale francese. Il nostro Paese ha avuto un ruolo di rilievo nell’evoluzione della cultura e dell’arte in Europa e nel mondo, e continua ad averlo tutt’oggi. Ma quale dignità può avere uno Stato che accetta di svendere il proprio patrimonio artistico per ripianare i debiti accumulati? La vendita di quadri di storica importanza per sanare i debiti di una città fa perdere molta credibilità al Paese, anche dal punto di vista politico, poiché mostra le tristi conseguenze di un mal governo che non riesce a presentare dei provvedimenti utili alla ripresa economica e sociale dello Stato. Voglio lasciarvi con uno spunto per riflettere sul mondo di oggi e non solamente sulla storia dei secoli passati: che messaggio trasmette agli altri Paesi l’accaduto? Io vi ho esposto i fatti e la mia opinione riguardo essi. Ora a voi. n

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Incontro con Nicoletta Polifroni Attualità | di Maria Chiara Grasso, Elettra Maini, Alice Marraffa

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l 14 febbraio abbiamo ospitato nell’Auditorium della nostra scuola Nicoletta Polifroni a proposito della sua esperienza personale di familiare di una vittima di mafia. Suo padre è infatti Antonino (Nino) Polifroni, imprenditore edile della provincia di Reggio Calabria, assassinato a Varapodio (RC) nel ‘96 dalla ‘ndrangheta. Il padre di Nicoletta ha iniziato la sua vita lavorativa come operaio in una fabbrica, ma poi è riuscito a fare carriera dando il via ad

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un’impresa edile, un settore particolarmente inquinato dalla mafia. Essendo la sua attività una delle più importanti del luogo, presto sono iniziate ad arrivargli minacce, le prime sono arrivate nel ‘74, da allora proseguite per oltre vent’anni. Erano per lo più richieste di “pizzo”, che lui avrebbe dovuto pagare per poter proseguire a svolgere la sua professione. Nino però era cresciuto con degli ideali che gli impedivano di assecondarle, pertanto, nonostante le minacce fossero continue, non si è mai piegato alla volontà dei mafiosi. Anche gli altri


membri della sua famiglia hanno ricevuto telefonate minatorie e i tentativi di danneggiare il suo lavoro sono stati numerosi. I macchinari della sua fabbrica sono stati infatti incendiati più volte e addirittura ad alcuni suoi operai veniva detto di non presentarsi più sul posto di lavoro. Questi atti intimidatori sono stati tutti denunciati alle autorità, ma con scarsi risultati, perché la realtà del paesino in cui si è svolta la vicenda accettava questo tipo di ricatto, e non venivano mai presi seri provvedimenti. Con il passare degli anni le minacce si sono fatte sempre più gravi e per la famiglia Polifroni è iniziato un vero e proprio “periodo del terrore”, culminata quando è stata sistemata una bomba fuori dalla loro porta di casa. La mafia aveva bisogno di ribadire sempre più pesantemente il suo dominio, a cui Antonino continuava a non piegarsi denunciandone ogni volta i crimini. Il 30 novembre del ’92 è stato vittima di un attentato, a cui è sopravvissuto per poco, rimanendo ferito; per i boss mafiosi era un ribelle, e come un ribelle doveva essere punito. Nonostante il tentato omicidio non gli è stata concessa la scorta, ma solo un giubbotto antiproiettile (che si è sempre rifiutato di indossare) e il permesso di possedere un’arma per difesa personale. Chiaramente quell’uomo per la mafia era un ostacolo, che andava rimosso a tutti i costi, e così è stato nel settembre del ’96, quando aveva solo quarantanove anni. In quel periodo era in corso una grossa faida tra famiglie mafiose locali che, per affermare la loro autorità sul territorio e per finanziare tale guerra, avevano bisogno di soldi, ottenuti appunto chiedendo il pizzo agli imprenditori. Come sempre il padre di Nicoletta si è rifiutato categoricamente di pagare, rispondendo alle richieste con il chiaro messaggio “non ho mai pagato e mai pagherò”. Venne per questo “giustiziato” la mattina dopo. L’incontro in Auditorium è iniziato con la narrazione di questa storia, raccontata da Nicoletta con una notevole partecipazione emotiva che ha portato tutti i presenti a riflettere. La sua visibile commozione nel parlare di suo padre è la dimostrazione che per lei si tratta di

una ferita ancora aperta. Ma il dolore non si è chiuso e ripiegato su se stesso, al dolore Nicoletta ha saputo rispondere impegnandosi in un’attività di testimonianza e sensibilizzazione. La domanda che è sorta spontanea in una bambina di 7 anni qual era Nicoletta all’epoca della morte di suo padre è: “Perché? Perché proprio lei avrebbe dovuto vivere la sua vita senza un padre a farle da guida?” A ventisei anni la domanda la tormenta ancora e l’unica spiegazione che è riuscita a darsi è legata ad un’invidiabile qualità di suo padre, che dai mafiosi era considerata un difetto. Era una persona molto testarda, credeva e intendeva lavorare come un uomo libero, nonostante fosse pienamente consapevole dei rischi a cui andava incontro, scegliendo di dire di no e di opporsi in tutto e per tutto alla mafia, non assecondandola mai. Lei ha compreso e accettato la sua presa di posizione e afferma di essere fiera di aver avuto un padre come lui, che ha lottato per la sua libertà fino alla fine. A volte a Nicoletta viene chiesto se considera suo padre un eroe. A questa domanda risponde che sicuramente è diventato un punto di riferimento, ma non un eroe. Gli eroi, i superuomini non esistono e non servono perché quando la mafia verrà sconfitta sarà una vittoria popolare. Si tratta “semplicemente” di difendere un ideale, avere delle convinzioni e crederci fermamente, e fare in modo che il “sogno” di un mondo senza la mafia non sia più tale, ma diventi una realtà. La vita dei componenti della famiglia Polifroni, dopo l’omicidio di Antonino, è andata avanti e tutti ancora oggi si impegnano per fare in modo che la sua morte non venga considerata vana. Ognuno dei suoi figli contribuisce a portare avanti l’impresa di famiglia che, nonostante tutto, è ancora in attività, pur non avendo gli stessi guadagni di un tempo. Il maggiore dei fratelli ne è a capo, e le minacce continuano a essere ricevute, non solo da lui, ma da tutta la famiglia. Nonostante qualche momento di scoraggiamento, non hanno assolutamente intenzione di chiuderla, per gli stessi motivi che li hanno spinti a riaprirla dopo la morte del padre. Chiuderla sarebbe come →

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darla vinta alla mafia, assecondarla e annunciare la sconfitta. Nicoletta, in particolare, ha preso la decisione di laurearsi in Giurisprudenza ed è impegnata nella dura battaglia contro l’ignoranza. La stessa ignoranza che ha portato i suoi concittadini a stare in silenzio, l’arma più pericolosa. Ogni persona che ha deciso di tacere, per lei, è parimente colpevole della morte del padre (e di altre numerose vittime), tanto quanto le associazioni mafiose che hanno effettivamente compiuto il gesto. La gente tende ad ignorare il problema della mafia, a tapparsi occhi ed orecchie e a evitare ogni guaio o conflitto, ed è proprio così che la mafia riesce a mettere radici. Per questo Nicoletta pensa che informare i giovani, prima di tutto, sia importantissimo e, di conseguenza, va a parlare nelle scuole, per rendere coscienti i ragazzi di un problema che era attuale nel ‘96 e continua ad esserlo. Confessa che probabilmente viene più facile al Nord, dove la mafia, seppur presente, non occupa una posizione così centrale nella vita quotidiana dei più. Ciò nonostante, anche a Varapodio la sua famiglia sta portando avanti molti progetti, tra cui concorsi nelle scuole, per sensibilizzare al problema anche i più piccoli; eppure, tutto questo non è ancora sufficiente, perché manca una netta presa di posizione e, finché mancherà, ci saranno persone che hanno pagato con la vita una libertà che non dovrebbe essere un prezzo, in un paese libero qual è l’Italia. La mafia continua a vivere ancora oggi non perché siano liberi questo o quell’altro boss, ma perché veniamo ancora circondati dal silenzio e dall’ignoranza, che sono i veri colpevoli, poiché noi tutti possiamo recepire le ingiustizie e, riconoscendole, combatterle. Vicende come questa insegnano che milioni di silenti uccidono più di un’arma, basti pensare che all’età di diciotto anni le compagne di classe di Nicoletta credevano che il decesso di suo padre fosse stato a causa di un infarto. La sua realtà non era per niente lontana dalla loro, eppure i genitori avevano preferito non raccontare alle loro figlie la verità su ciò che era accaduto. Episodio ancora più grave è quello

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che ha visto coinvolto l’ex sindaco di Varapodio che qualche anno fa, in occasione della visita del Ministro della Difesa, ha affermato in un discorso pubblico che tutti i cittadini di quel paesino potevano considerarsi fortunati, vivendo in un’oasi di pace “che non ha mai conosciuto la mafia”. L’applauso del pubblico di fronte a questo discorso infarcito di bugie, racconta Nicoletta, è la parte che più le ha fatto male, e trova incredibile come le persone siano state in grado di disconoscere una realtà evidente a tutti, e a causa della quale suo padre aveva perso la vita appena dieci anni prima. Questa è l’ennesima dimostrazione che il vero problema della mafia è che non c’è reale interesse da parte della comunità. Le storie delle vittime delle mafie rimangono ancora degli eventi personali; solo quando tutti saranno in grado di prendere una posizione, quando non ci saranno più vittime sentite tali da una singola famiglia, ma diventeranno vittime di e per tutti, allora la lotta contro la mafia diventerà collettiva e non ci sarà più la necessità di raccontare storie di questo tipo. C’è bisogno di sensibilizzare in modo che ognuno arrivi a sacrificare qualcosa di proprio per fare il bene comune. Condividere e testimoniare un’esperienza come la sua aiuta a responsabilizzare poiché quando ci si cala nel reale, quando una persona viene a conoscenza di ciò che accade al di fuori del suo “misero ed egoista metro quadrato di vita” non può accettare tutto questo. La nostra scuola si impegna a portare avanti il progetto di sensibilizzazione contro le mafie e, in collaborazione con Libera, Associazione Prendi Parte e Movimento Agende Rosse, organizza incontri di formazione per prepararsi alla XX Giornata della Memoria e dell’Impegno, che si terrà a Bologna il 21 marzo e a cui anche noi “copernicani” parteciperemo. n


di Federico Billi

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Riflessioni sul divano [non fu una caldaia] Riflessioni pomeridiane | di Rebecca Fogacci

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uesta volta le riflessioni sono nate sia dal divano che da una sediolina in metallo rossa , in un posto affollato pieno di un campionario interessante di umanità. Devi sapere che… Ogni tanto perdo il treno. Quel maledetto treno regionale per Ferrara parte in orario solo quando i semafori si coalizzano contro di me. E quindi, quando sono sfortunata, ogni tanto mi siedo nella sala d’aspetto, quello con lo squarcio nel muro dal 2 agosto 1980. Dal binario 1 si vede proprio bene la scritta che definisce la strage che sconvolse la nostra città trentacinque anni fa: strage FASCISTA. Ecco cosa vuol dire essere fascisti: piazzare una bomba e farla esplodere interrompendo la vita di 85 persone in un bel giorno d’estate. Lo sono quindi Giusa Fioravanti e Francesca Mambro, condannati all’ergastolo. Sono fascisti quelli

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che hanno avuto l’idea: chi siano oggi non si sa. Sono fascisti chi ha insabbiato le indagini e, purtroppo, povera Bologna, non sono pochi. Povera Bologna, che violenza hai conosciuto! Ma non sei rimasta sola. Ancora oggi i bolognesi non dimenticano, non solo i parenti delle vittime e dei 200 feriti. Non dimenticano anche quelli che nell’80 non c’erano ancora; come qualcuno che ascolta Lo Stato Sociale ha già sentito dire. “Bologna non dimentica” lo diceva anche una scritta su una colonna della galleria 2 agosto (dove si trova la tabaccheria AB, per intenderci). Una scritta cancellata dalla nuova verniciatura, ma che sono convinta rimanga vera. Anzi, è vera solo in parte. Non solo i bolognesi non dimenticano. Tante volte ho visto, in quella sala d’aspetto, turisti avvicinarsi al cratere lasciato dalla bomba, osservare i nomi


gli studenti che studiano perché il treno l’hanno perso.

e le età delle vittime, restare in silenzio. Perché quella violenza, in qualche modo, resta tangibile. La si sente, è pesante. La sentono i turisti seduti che aspettano il treno, i barboni che preferiscono stare al caldo un paio d’ore in pace,

Solo i bambini giocano. I bambini, come Angela Fresu che nell’80 aveva solo 3 anni appena. Ora avrebbe una vita che resta tutta da immaginare che il regista de “La linea Gialla” ha trasportato nel nostro presente. Ha immaginato cosa è successo a quella bambina dopo quella foto scattata al mare. Quali incontri la portano a scoprire Bologna, quella Bologna che ad agosto non possiamo abbandonare. Non voglio raccontarvi questo piccolo gioiellino di film girato nella città che amo, perché sarebbe bello se lo vedeste con i vostri occhi se vi sentite bolognese, se non vi sentite bolognesi, se vi sentite italiani, se non vi sentite italiani. Guardatelo, questo manifesto (di bolognesità e ) di vita. Potrebbe stupirvi scoprire che c’è chi festeggia due compleanni. Potrebbe stupirvi scoprire nuove storie di vita raccontate con sincerità e tatto. Potrete stupirvi, spero. E se di vedere un (bel) film non avete proprio voglia, fateci un salto in quella sala d’aspetto di 2° classe. Potreste stupirvi ancora. n Ecco l’articolo di fondo de “La Repubblica” pubblicato all’indomani della strage.

UN DEMONIO MANOVRA QUESTA FOLLIA di Eugenio Scalfari La Repubblica, 3 agosto 1980 «Mentre le bare si allineavano alle bare nella tragica stazione di Bologna, ridotta ad un cumulo di macerie fumanti e sanguinose, la tesi dell’incidente fortuito ha perso forza ora dopo ora. Un sospetto atroce prendeva corpo, sulla base di una serie di notizie sempre più precise: la natura dell’esplosione; la circostanza che sotto la zona più colpita, quella delle sale d’aspetto, non vi fossero né de-

positi di gas né caldaie, ma un terrapieno; il perfetto ordine delle tubazioni sottostanti. Poi, poco prima di mezzanotte, si è avuta la prova che qualcuno, qualche orrendo demonio, aveva freddamente preparato ed attuato una strage di innocenti. Questo povero paese, dopo un anno di sofferenze, di paure e di duro lavoro, stava finalmente tirando il fiato e si preparava al breve riposo dell’estate. Proprio ieri, →

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milioni di italiani stavano lasciando i luoghi di residenza, diretti verso il mare e il sole delle vacanze. Bologna e la sua stazione ferroviaria erano, come sempre, uno dei centri di questo immenso corteo di famiglie, di giovani, di anziani, di nonne, di bambini. E a Bologna è avvenuto il fatto orrendo. Sarà forse una coincidenza, ma il 4 agosto ricorre il triste anniversario d’un’altra strage: quella del treno «Italicus». E sarà forse un’altra coincidenza, ma l’altro ieri era stata emessa la sentenza di rinvio a giudizio per Tuti e gli altri imputati di quel sanguinoso attentato che presenta, se non altro negli effetti, sconcertanti analogie con quello attuale. Sono già arrivate fino a questo momento tre rivendicazioni telefoniche della strage: al nostro giornale e all’agenzia «Italia» da parte dei Nar, cioè del terrorismo nero, e al «Secolo XIX» di Genova da parte delle Br. Dopo quello che si è scoperto, siamo d’avviso che la prima telefonata che ci è pervenuta sia la rivendicazione più attendibile. Del resto, sin dall’inizio, un elemento era parso chiaro: la strage portava il timbro tipico dell’attentato nero, del massacro indiscriminato che non ha altro obiettivo fuorché quello di destabilizzare la struttura civile del paese, esasperare gli animi, gettare nella confusione gli apparati dello Stato, diffondere disperazione e frustrazione. Così fu concepita Piazza Fontana in quel lontano dicembre del 1969 e così furono concepiti gli attentati di Brescia e dell’«Italicus». Il terrorismo rosso, quello delle Br e di Prima Linea, ha sempre seguito un’altra tattica non meno sinistra, ma con caratteri che nulla hanno a che vedere col tritolo che uccide chiunque si trovi alla sua portata, senza alcuna scelta dell’obiettivo. Certo, se l’attribuzione della strage ai Nar o ad altre similari organizzazioni di estrema destra, trovasse il sostegno di valide prove, ci si dovrà porre la domanda del perché un atto così orribile sia stato concepito e di quale disegno esso possa far parte. Che cosa si aspettano, gli attentatori, da una strage come quella di Bologna? Quali reazioni vogliono provocare nei

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corpi dello Stato e nelle forze politiche? Quali sentimenti pensano di scatenare nell’animo dei cittadini? La risposta sicura è che l’attentato mira a scuotere la fiducia tra governanti e governati, senza la quale una convivenza organizzata risulta impossibile. Questa fiducia è già molto esile e le ragioni sono tante e ben note, recenti ed antiche. Eppure, un rapporto fiduciario esiste ancora ed è quel rapporto che rende possibile la sopravvivenza della nazione e persino i suoi avanzamenti, pur in mezzo a mille insidie e ad innumerevoli ostacoli. Indebolire quel rapporto, anzi tagliarlo del tutto, affogarlo nella disperazione collettiva e nell’indifferenza che ne è l’inevitabile compagna: questo l’obiettivo dei terroristi. E poi c’è una seconda domanda che segue immediatamente alla prima; anzi, più che una domanda, una constatazione; il terrorismo di destra torna ad uccidere quando quello di sinistra per qualche ragione si ritira nell’ombra, e viceversa. Esiste tra queste due ali del terrore una sorta di spartizione di ruoli e di tempi, una sorta di mortale sintonia che si direbbe concertata, tanto da far supporre l’esistenza di un’infernale macchinazione, d’una «centrale» che manovri, di volta in volta, la follia e la criminalità degli uni e degli altri, per realizzare il medesimo ed unico scopo. Quante volte queste riflessioni non sono state già fatte in occasioni consimili? Quante volte negli anni che ci stanno alle spalle non abbiamo dovuto tentare, con parole mozze e angosciate, una spiegazione di fatti mostruosi che superano ogni umana capacità di comprensione? Mentre Bologna e l’Italia contano i morti, mentre il fragore terribile di quell’esplosione che ha sconvolto la vita di un paese intero è ancora nelle mente di tutti, dobbiamo confessare una cosa: nelle prime ore avevamo sperato che a provocare la strage fosse stato un incidente tecnico, l’inavvedutezza non dolosa di qualcuno. Come siamo ridotti, dal momento che dobbiamo sperare che la morte sia fortuita, e che i «demoni» non vi abbiano alcuna parte!» n


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flash mob del cope antifascista, antirazzista, antisessista AttualitĂ copernicana | reportage fotografico di Stefano Rossi

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Orgia di poesie Cultura e arte » Poesie

Poesie di Lucia Comandini “Non è la fede che ha cambiato la mia vita, ma l’inchiostro che guida le mie dita, la mia mano, il polso. Ancora mi scrivo addosso amore corrisposto scoppiato di colpo come quando corri Boston! Non è la droga a darmi la pelle d’oca ma pensare a Mozart in mano la penna d’oca là sullo scrittoio a disegnare quella nota Fa la storia senza disco nè video nè social. Valium e prozac non mi calmano datemi un calamo o qualche penna su cui stampano il nome di un farmaco. Solo l’inchiostro cavalca il mio stato d’animo, chiamalo Ippotalamo, lo immagino magico tipo Dynamo altro che Freud, un foglio bianco, per volare alto lo marchio come le ali di un Albatros. Per la città della China mi metto in viaggio, da bravo, pellegrinaggio ma non a Santiago, vado a China Town. “ – Caparezza – China Town Sono parole in cui chiunque abbia bisogno di una appiglio può aggrapparsi. La scrittura a

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volte cambia la vita. Per me lo ha fatto.


L’inizio A chi mi ha fatto amare leggere, Scrivere. A colei che mi ha avvicinata alla poesia, Alla letteratura. A lei che spero sia orgogliosa e fiera, Di me Com’io fui fiera ed orgogliosa di averla incontrata. Cielo & terra Nuvole e montagne L’azzurro alto e sconfinato Reso concreto e vicino da Degli sprazzi di bianco e grigio Sottili e inconsistenti Alture con alberi e cespugli Campi e qualche casa Vento fragoroso scuote le fronde spoglie Tutto è uguale nelle forme e nei colori Della terra Uccellini cantano e giocano Sono musica nel rumore del vento È ancora inverno...

L’amore di madre L’amore di madre è il piu forte al mondo, La potenza della Terra. Più resistente all’odio Di una roccia contro il vento. Più dolce del miele dorato Lucente e intenso. Più bello di un fiore sbocciato Morbido e profumato. Più imponente di una montagna Agli occhi di una formica. L’amore di madre È la potenza della terra. Libertà bugiarda Liberi di scegliere Liberi di fare dire Liberi di fare Se fossi libera davvero Non sarei bloccata dai sentimenti E condizionata dall’aria nei condotti Ma correrei come una pazza nei prati Amerei chiunque passa e sorrida con gli occhi Non soffrirei per ogni parola taciuta o detta Libertà è bugiarda E la vita rimane la stessa

Poesia di Riccardo Scandellari “Stavo per andare quando tornasti. Vestivi una giacca pesante avvolta a fasciare il passato e trattenere minuti indelebili di parole. Nonostante la tempesta, le voragini, gli sguardi caduti, abbracciarti e sentire i tuoi piccoli seni comprimersi è sempre lo stesso essere a casa, sulla stessa nuvola. Sai che ti amavo, ma adesso sono ubriaco e non riesco nemmeno a incrociare le gambe

levato, e traballo e sei il mio appiglio. Se mi aggrappo e salgo vedo tutte le macchine dall’alto, che non possono colpirmi. Nonostante il necessario resti sorriso beffardo nei brutti quartieri angelo dei giorni soli farfalla di sciarpa seduta con me a vedere passare veloci grossi treni che non fermeranno mai a questa stazione.”

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Il giorno in cui il Tam Cultura e arte » Stor

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ome chi l’ha visitata avrà probabilmente avuto occasione di constatare, il centro di Londra e diverse sue attrazioni, sono vicine al fiume Tamigi (Thames), o vi si affacciano direttamente. Tra queste, per citarne qualcuna, il teatro Shakespeare’s Globe, le gallerie d’arte Tate Modern e Tate Britain, la Tower of London e il Palace of Westminster (quello con il Big Ben, per intenderci). Cosa potrebbe succedere se il Tamigi decidesse di

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esondare? A quanto pare, per quanto improbabile, non è un’ipotesi così assurda, ed è già successo in passato. Una delle esondazioni più devastanti accadde il 7 gennaio 1928. Nel Natale del 1927 ci furono forti nevicate nel centro Inghilterra, dove il Tamigi ha la sua sorgente. Uno scongelamento improvviso e forti piogge, appena dopo Capodanno 1928, raddoppiarono il vo-


amigi inondò la Tate ia | di Stefano Rossi lume d’acqua che discendeva il fiume. Sfortuna volle che a questi fattori si aggiungessero un’alta marea e un ciclone nel Mare del Nord. Insomma, all’1:30 di mattina, il 7 gennaio 1928, questa serie di eventi portò il Tamigi ad innalzarsi di 5.55 metri rispetto al suo normale livello. Gli argini crollarono in alcuni punti e il fiume inondò diverse zone della City of London. 14 persone annegarono nei loro appartamenti seminterrati, dai quali non riuscirono a fug-

gire in tempo, e 4.000 londinesi rimasero senza casa. La House of Commons fu allagata, così come diverse stazioni e linee della metropolitana. Le acque si ritirarono entro sera. Il problema più grosso e che richiese più tempo fu il drenaggio dell’acqua dalle diverse strade, tunnel, seminterrati e cantine che erano state sommerse. →

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La Tate Britain il 7 gennaio 1928 Quel giorno il Tamigi decise di fare parecchi danni anche dal punto di vista artistico. Decise di colpire anche la Tate Gallery (quella che ora è chiamata Tate Britain in quanto, dopo l’apertura della Tate Modern, è stata adibita ad esibire opere di artisti inglesi, come Constable, Turner, Blake, Millais). La Tate, che si trova affacciata direttamente sul Tamigi, si ritrovò i piani inferiori allagati. 18 opere furono danneggiate in modo irreparabile; 226 pitture ad olio furono pesantemente danneggiate e altre 67 lo furono solo leggermente. I lavori di J.M.W. Turner su carta che erano conservati nei seChichester Canal – J. M. W. Turner, 1828

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minterrati furono coperti dal fango, ma fortunatamente i loro colori non sbiadirono. Diversi suoi dipinti, invece, subirono una fine peggiore. Successivi lavori di restauro riuscirono tuttavia a recuperarne diversi. Da allora ci furono altre allerte, come ad esempio nel 1953, ma fortunatamente non capitarono mai altre situazioni così catastrofiche. Nel 1982 fu completata la Thames Barrier, una barriera protettiva che è in grado di bloccare in modo controllato il flusso del Tamigi. I quadri di Turner sono ora al sicuro. n


La Tate Britain al giorno d’oggi

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Shipping on the Clyde – John Atkinson Grimshaw, 1881

Reflections on the Thames – John Atkinson Grimshaw, 1880

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di Martina Piazzi

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Dolci ciccioni [la tenerina] Cultura e arte » Ricette | di Lucia Provvisionato Questo articolo era previsto per la pubblicazioneprima di Halloween. Purtroppo siamo arrivati tardi. Lo pubblichiamo lo stesso, magari vi può essere utile per il prossimo anno.

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iao a tutti e ben ritrovati! Ritorna a grande richiesta la rubrica “Dolci Ciccioni”! Adorando cucinare, specialmente i dolci, non potevo non condividere con voi le mie ricette! Ho deciso di proporvi, per cominciare, una ricetta classica: la Torta Cioccolatino (o Tenerina) Ma per non scordarci di Halloween, alla fine della ricetta vi proporrò una variazione sul tema per rendere la torta più “mostruosa”! Ma non indugiamo oltre e cominciamo! Torta Cioccolatino Occorrente: Un coltello da cucina, un tagliere, un cucchiaio di legno, una pentola di medie dimensioni, due terrine, una frusta elettrica, uno stampo per torte da 25-26 cm (possibilmente con “cerniera”, ovvero che si può aprire) Ingredienti: 200 g di cioccolato fondente 120 g di burro 160 g di zucchero a velo (ma va benissimo anche quello normale) 4 uova

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Cominciamo! Sul tagliere, col coltello da cucina, fate a pezzi il cioccolato fondente, poi mettetelo in una pentola assieme al burro e fate sciogliere tutto a fuoco molto basso, mescolando frequentemente con il cucchiaio di legno. Fate raffreddare. Ora accendete il forno a 180°. Usando le due terrine diverse dividete i tuorli dalle chiare Imburrate e infarinate lo stampo. Unite ai tuorli lo zucchero a velo e montateli bene con la frusta elettrica (lo capirete quando il composto sarà diventato giallo molto chiaro e con delle bollicine) poi incorporate il composto preparato prima di cioccolato + burro fusi, che nel frattempo si sarà raffreddato. Nella terrina con le chiare mettete un pizzico di sale e montatele a neve ben ferma (Consiglio: per controllare che gli albumi siano ben fermi potete fare un solco col dito nel composto: se rimane il solco senza richiudersi allora sono giuste! I più temerari possono anche controllare capovolgendo la ciotola! :D) Poi unite le chiare al composto della prima terrina, mescolando delicatamente dal basso verso l’alto. Infine, versate il tutto nello stampo e infornate per 20 minuti circa (il forno impostatelo su “statico”).


N.B.: È normale che la torta si gonfi durante la cottura per poi sgonfiarsi una volta tirata fuori. La torta dovrebbe presentarsi con una crosticina sopra e molto morbida e umida all’interno. Potete spolverizzarla di zucchero a velo o decorarla secondo la vostra fantasia ;) Ultimissimo consiglio: soprattutto nella stagione estiva (ma non solo!) servitela fredda di frigorifero. Versione Halloweeniana ;) Una volta terminata la torta lasciatela raffreddare e poi mettetela in frigo per un paio d’ore. Intanto possiamo preparare le lapidi. Ingredienti: Per la glassa al cioccolato: 5 cucchiai di zucchero a velo 2 cucchiai di cacao amaro Acqua bollente q.b. Per le lapidi: 10 biscotti secchi (tipo Oro Saiwa, ma va bene qualunque tipo di biscotto preferiate) 6 cucchiai di zucchero a velo Acqua bollente q.b. Per decorare: Penna da decorazione alimentare dei colori che preferite Scagliette di cioccolato

Preparazione: Per la glassa setacciate lo zucchero a velo col cacao e aggiungete poca alla volta l’acqua bollente. Mescolate bene con una frusta per non creare grumi. Dovreste ottenere una glassa piuttosto densa. Ora prendete la torta dal frigo, tagliatela a cubetti e sovrapponeteli l’un l’altro per dare l’impressione della terra disconnessa del cimitero. Spargetevi sopra la glassa appena preparata e poi aggiungete le scagliate di cioccolato. È tempo di lapidi! In una ciotolina aggiungete lo zucchero a velo e l’acqua bollente sempre poco alla volta. Poi prendete i biscotti e spargeteci sopra la glassa. Fate asciugare e poi potete decorare con la penna alimentare scrivendo sopra “RIP”, o disegnando quello che preferite. Per finire, incastrate le lapidi nella torta ed ecco il vostro cimitero mostruoso! Buon Appetito e Buon Halloween! E ricordate: se nessuno ti vede mentre lo mangi, quel dolce non ha calorie ;) P.S.: se volete qualche ricetta speciale non esitate a chiedere! n

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Lake District Nella terra di Wordsworth e Coleridge. Un viaggio fotografico nell’Inghilterra del nord Cultura e arte  Fotografia | di Stefano Bucciarelli

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ueste montagne, questi laghi, questi torrenti conservano ancora i miei sogni; sogni che mi hanno fatto di-

menticare le sofferenze, sogni che mi hanno fatto riscoprire la gioia di vivere. n


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Manga kissa [Itazura na kiss] Cultura e arte » Fumetti | di Cecilia Fantini

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ari lettori bentornati, oggi voglio offrirvi una recensione su di un manga romantico, probabilmente tra i meglio realizzati: “ITAZURA NA KISS”; della mangaka Kaoru Tada . Protagonisti dell’opera sono due liceali: una ragazza, Kotoko sbadata ed esuberante che si innamora di Naoki, il ragazzo più bello e super-intelligente della scuola, ma che si scoprirà privo di sensibilità nei riguardi della ragazza. Il racconto comincia con un sogno: la ragazza indossa un vestito bianco e lui l’attende sull’altare davanti a lei. Il simbolo della lettera contenente i nostri sentimenti più nascosti in Giappone è all’ordine del giorno e rappresenta un chiaro richiamo culturale interessante da cogliere e a tratti molto poetico. Da queste premesse comincia la storia della nostra protagonista, la quale nelle prime pagine proverà a dichiararsi, ma con risultati alquanto deludenti e, possiamo dire, ironici. Infatti a causa di un terremoto che le distrugge casa, è costretta ad andare a vivere da Naoki, finché l’opera di ricostruzione della propria abitazione verrà conclusa. Inevitabilmente, la convivenza per Kotoko diverrà ogni giorno sempre più difficile, ma questo provocherà grandi cambiamenti per entrambi. Una storia intrigante, decorata da una comicità leggera, romantica e intensa, perché affronta ogni passo e decisione dei protago-

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nisti, con un certo grado di realismo senza lasciare niente in sospeso. I personaggi secondari sono uno dei punti forti del manga, perché aiutano i nostri eroi nel loro viaggio dall’adolescenza all’età adulta, rendendo la storia molto piacevole e, allo stes-


so tempo, molto simile ad uno spettacolo teatrale in cui ogni frammento contribuisce allo sviluppo dell’individuo. Insomma, stiamo parlando di un manga avvincente, umano che non mancherà di stupirvi in ogni suo schizzo. L’opera ha esordito sia in formato cartaceo, composto da dodici volumi, sia in versione animata (25 episodi), regalando emozioni ulteriori a quelle già lette. Cos’altro dire? Ho personalmente adorato questo manga e spero lo adoriate anche voi quanto me, perché merita veramente di essere letto. Come primo articolo di questo nuovo anno scolastico, lo volevo dedicare a una persona che ha la mia stessa passione per gli anime e manga, e che rispecchia alla perfezione uno dei nostri protagonisti... Ti voglio bene IRIE-CHAN! Sayoonara e alla prossima! n

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Ayoub El Alouani, 3P

Cecilia Fantini

Emanuele Vicinelli, 5C

LA RED

Luca Barattini, 5P

Martina Davalli, 3I

Martina Piazzi, 5P

Rebecca Fogacci, 5P

Riccardo Cerioli, 5P

Riccardo Roveri, 2C

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Federico Billi, 1H

Goffredo Piani, 5P

Leonardo Wei, 2C

DAZIONE

Micol Gianoli, 4E

Natan Baleotti, 3C

Raffaello Balica, 4E

Riccardo Scandellari, 5B

Serena Piazzi, 4M

Stefano Rossi, 5P

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Passami dopo avermi letto

Se proprio vuoi sbarazzarti di questo bellissimo giornale, non buttarlo nell’indifferenziata. Passalo a qualcun altro o riciclalo. Pensa a quei poveri alberi che sono stati tagliati per stamparlo!

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Buone feste!


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