N. 1 / 2021
Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Pavia
AUTISMO E ASSISTENZA Vivere con l’autismo
ANDREA ZAMBIANCHI
Quando ho pensato di aver necessità di parlare con qualcuno per la prima volta, frequentavo le scuole superiori. A scuola non mi sembrava di riuscire a stare al passo con gli altri. Avevo sempre la testa fra le nuvole. I professori sembravano avercela sempre con me e subivo forti ingiustizie, o almeno era quello che io percepivo. Alcuni di loro mi avevano addirittura presa di mira per via del mio comportamento. Mi dicevano di smettere di bere o di fare uso di stupefacenti – cosa naturalmente assurda, visto che mai avevo anche solo provato un solo “tiro” di sigaretta. Così, barcamenandomi piuttosto male tra il bullismo dei professori, la quasi totale assenza di amici o ammiratori e il bullismo subito dai miei compaesani sul pullman che mi portava a scuola, decisi di rivolgermi allo sportello scolastico per una chiacchierata. Secondo lo psicologo ero molto insicura, e probabilmente era l’incertezza nei confronti del mio peso e della mia forma fisica a rendermi la vita così difficile. Dopo circa un’ora di colloquio fui rispedita in classe con vari consigli su come migliorare me stessa e la mia forma fisica.
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La seconda volta che chiesi aiuto fu durante la prima esperienza lavorativa. Ero arrivata a non dormire di notte per analizzare tutto ciò che di peggio era accaduto il giorno prima e cosa avrei dovuto affrontare il giorno dopo, catastrofe dopo catastrofe. Mi districavo in un dedalo di eventuali problemi e altrettanto eventuali soluzioni, però non serviva. Avevo circa 21/22 anni e mi recai al CPS della mia città, sperando di capire cosa avessi. Feci tre incontri preliminari, dove spiegai tutto quello che mi accadeva e cosa avrei voluto che cambiasse in me. Avevo costantemente fame d’aria, non dormivo, avevo la nausea pressoché in ogni momento della mia giornata e lo stress legato al lavoro mi aveva impedito di coltivare persino i miei hobby, costringendomi in una bolla di stasi totale dove rimanevo seduta o sdraiata per ore a fissare il vuoto. Fu allora che arrivarono i primi psicofarmaci e qualche mese dopo la prima diagnosi: disturbo bipolare e depressione. Mi sono ritrovata a trent’anni senza un passato, senza un futuro, senza lavoro e con parecchi psicofarmaci che dovevo assumere a svariati orari del giorno per non soccombere