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Migrare per sopravvivere, di Toni Ricciardi
from Opera Nuova 2019-2
Migrare per sopravvivere
di Toni Ricciardi
spostarsi per sopravvivere è una costante della storia dell'umanità. Da sempre, dalla preistoria ad oggi, la mobilità per questioni climatiche è stata presente a testimoniare in maniera intrinseca la forza della natura rispetto a quella dell'uomo.
A prima vista può sembrare un paradosso, soprattutto negli ultimi anni, durante i quali il tema del surriscaldamento climatico è strettamente legato al comportamento antropico.
Eppure, nei millenni la specie umana si è dovuta spostare in seguito a inondazioni, alla progressiva desertificazione di alcune aree del globo e, in generale, a causa di eventi catastrofici come terremoti o eruzioni di vulcani.
Oggi, nella nostra stridente attualità che si è trasformata in cronaca quotidiana degradabile - nel senso che siamo sommersi da notizie che si dimenticano nel lasso di tempo di pochi giorni - la migrazione, o meglio, le diverse migrazioni sono oggetto di costante attenzione da parte dei media e l'opinione pubblica rischia di non orientarsi più.
Un migrante economico, un profugo, un richiedente asilo, un frontaliere, un lavoratore stagionale sono tutti accomunati all'interno del grande calderone della migrazione, senza distinzioni, senza approfondimenti. Sono altro, rappresentano altro, e nei momenti e nei territori dove le insicurezze economiche sono maggiori, diventano l'oggetto - non il soggetto, purtroppo - sul quale fare ricadere ansie e paure. A queste persone vanno aggiunte quelle che si spostano per ragioni di sopravvivenza ai cambiamenti climatici, e non sono poche.
Numeri e trend futuri Diverse organizzazioni internazionali, di svariata tipologia - Fao, Nazioni Unite, Banca mondiale, istituti di ricerca specifici, università - hanno ormai certificato come i cambiamenti climatici abbiano assunto, e assumeranno nell'immediato futuro, una crescente importanza tra i fattori
determinanti della migrazione. Tsunami, inondazioni, terremoti, ad esempio, nell'ultimo decennio sono costati quasi 100 miliardi di dollari (fonte: Fao) generando nello stesso periodo più di 350.000 richieste d'asilo in più da 143 paesi del mondo. Nello stesso periodo, stando ai dati del centro per il monitoraggio degli sfollati interni (Internal Displacement Monitoring Centre), una popolazione pari a tre volte la Svizzera, poco più di 25 milioni di persone l'anno, ha abbandonato la propria comunità di nascita o permanenza a causa di disastri ambientali.
Purtroppo il futuro non sembra riservarci notizie migliori. Infatti, secondo l'Organizzazione mondiale per le migrazioni, oggi e nel prossimo futuro il rischio di essere sottoposti a migrazioni forzate a causa di possibili disastri ambientali è tre volte superiore rispetto a 40 anni fa e, parimenti, per la Banca mondiale, nei prossimi 30 anni, 250 milioni di persone rischiano di dover migrare per la stessa ragione. E ancora, alcuni demografi e scienziati di varie discipline hanno ipotizzato che, allo scandire del XXII secolo, la terra sarà abitata da 10 miliardi di persone, di cui il 10% (ovvero 1 miliardo) sarà costretto a migrare a causa di sconvolgimenti ambientali.

Migrazioni agroalimentari Insieme alle migrazioni umane, migrano anche i prodotti della nostra tavola. Sebbene il surriscaldamento climatico sia dovuto anche all'agricoltura e alla produzione animale nella sua variegata articolazione, spesso a sfuggirci, in qualità di consumatori, sono i luoghi della produzione. Si pensi, ad esempio, allo spazio mediterraneo, alla sua ricchezza ed eterogeneità di produzioni.
Fino a qualche decennio fa, non molti in verità, alcuni prodotti erano - in parte lo sono ancora - legati a determinati territori. Alcuni esempi: arance e limoni erano produzioni perlopiù legate al Sud dell'Europa e al Nord Africa; lo stesso dicasi per pomodori e ulivi; fino al melograno se non addirittura i frutti esotici. Oggi, invece, se seguissimo attentamente la filiera di molti di questi prodotti, ci renderemmo conto di come il confine si stia sempre più spostando verso Nord.
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I pomodori nell'immaginario collettivo erano produzioni del Sud - tralasciamo tutto ciò che viene dall'altra parte del mondo, come nel caso della Cina, solo per citarne uno dei primi produttori-, oggi una regione del Nord Italia, in piena pianura padana, come l'Emilia-Romagna, sta divenendo uno dei territori di massima produzione; oppure da qualche anno aumentano le piante di ulivi del Friuli, regione notoriamente poco mediterranea. Probabilmente, a breve, ammesso che non sia già accaduto, nella parte Sud del Canton Ticino potremmo assistere allo stesso fenomeno.
La progressiva e purtroppo al momento inesorabile desertificazione che si sta spostando sempre più a Nord rischia di ridisegnare l'essenza profonda di molti territori. Certo, in questo caso, la tecnologia e l'attività antropica tendono quotidianamente ad affrontare la sfida con la natura. Questa sfida, alla lunga, sarà perdente.
D'altronde, se negli ultimi secoli abbiamo assistito al progressivo mutare degli status symbol - da possedere un castello, poi un terreno, una bicicletta, un'auto, la radio, la televisione e un elettrodomestico, l'auto di lusso fino ad arrivare allo smartphone di ultima generazione - già oggi e molto probabilmente domani, il vero lusso sarà il cibo di qualità che rispetti ancora quell'immaginario territoriale di prodotto, che in molti casi non rispetta nemmeno più gli standard europei.

Il difficile equilibrio tra natura e progresso umano Il rapporto tra la natura, il progresso umano e l'impatto dell'azione antropica sulla prima sono tematiche cruciali.
In ogni biosistema, l'equilibrio è un concetto chiave. Si pensi ad esempio al corpo umano. Quest'ultimo si regge su una serie di omeostasi: idratazione, capacità di ogni singolo organo si assolvere alla propria funzione, e così via. Nel momento in cui uno di questi elementi funziona male, generalmente si ricorre a un farmaco, a cure mediche e/ o interventi chirurgici. In altre parole, perso l'equilibrio organico della persona, si ricorre ad azioni che ne modificano il quadro, cercando di ripristinare un nuovo equilibrio. Da sempre, l'essere umano è stato soggetto alle catastrofi, alle avversità naturali e agli sconvolgimenti climatici
che ne hanno causato lo spostamento forzato. Il modo di intenderle, di analizzarle e di percepirle ha subito una lenta e progressiva evoluzione.
Ridefinizione degli eventi catastrofici Il concetto di catastrofe per come lo intendiamo oggi, e quindi quale sinonimo di calamità naturale, di sciagura, tragedia, fine deplorevole, ha subito, come ci spiega lo storico François Walter, un ((rinnovamento semantico corrispondente perfettamente al paradigma di una radicale separazione tra l'uomo e la natura predominante nel XIX secolo.
La natura appare come un insieme di forze e fenomeni di cui la scienza si sforza di comprendere i meccanismi e la tecnica di proporre il dominio. In un certo qual modo si potrebbe dire che la nascita di un pensiero della catastrofe deriva dal divorzio tra l'uomo e la natura cara _ tteristico della modernità».
Non è un caso che a partire dagli anni Novanta del XX secolo, il flusso mnemonico, a sua volta connesso alle grandi catastrofi del Novecento (guerre, Shoah, genocidi), richiami inevitabilmente ad· elementi, spesso rimossi, della memoria e, di conseguenza, faccia riemergere profonde lacerazioni sia sociali che culturali.

Da questo punto di vista, parte della sociologia sottolinea due dimensioni della memoria: una commemorativa, codificata, normata, legittimata ed ufficiale e l'altra evenemenziale. Quest'ultima consiste in una memoria nascosta che necessita di un lento lavoro di assimilazione, attraverso il continuo ripensare all'evento catastrofico per poi riuscire a superarlo.
Simili cognizioni collettive della catastrofe suscitano, generalmente, la diffidenza e la contrarietà dei poteri costituiti, dal momento che comportano reazioni spesso considerate irragionevoli e minacciose da parte degli attori stessi coinvolti nel dramma. Essi, a loro volta, vivono consapevolmente il passaggio da attore paradigmatico a attore sintagmatico, ovvero, non rappresentano più un semplice ((Oggetto» di interventi ma un ((Soggetto» consapevole dei propri diritti e delle proprie scelte.
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Questo passaggio è avvenuto grazie all'evoluzione progressiva da una società della fatalità ad una della sicurezza dove il sistema assicurativo prende un posto centrale nell'organizzazione sociale trasformando malattia e dolore, incidenti e perdita di lavoro in somme monetarie senza anima e dove si rileva un graduale sottrarsi da parte dell'uomo al peso della natura, ciò che conduce inevitabilmente dinanzi ad un pericolo più grande, l'uomo stesso, la cui azione genera l'evento catastrofico.
Anche l'umano diventa così un rischio che è da superare, assicurandolo o pianificandolo attraverso uno sforzo organizzativo, tecnologico e di standardizzazione.
Un simile passaggio è avvenuto nei secoli intrecciando e stratificando culture ed usanze, ma di fatto è identificabile in un fluire temporale, suddiviso in tre momenti principali: - il primo, quello della punizione e della vendetta divine; - il secondo, di tipo fatalista, avrebbe avuto termine con l'illuminismo; - il terzo incriminerebbe la responsabilità umana con un'evoluzione che procede da spiegazioni univoche (la ricerca del capro espiatorio) verso spiegazioni plurivoche, per arrivare a quello che poi fu definito da Ulrich Beck la società del rischio nella quale il colpevole personificato scompare nella divisione del lavoro guidata da piani, standard, macchine e co~plessi sistemi decisionali.
La contestualizzazione, nel tempo e nello spazio, le tradizioni e il sistema valoriale delle società coinvolte nell'evento catastrofico servono a rileggere il senso e le spiegazioni che ognuna di queste società si è data per cercare di rendere comprensibile l'evento a se stessa. Come ci ricorda ancora una volta Walter. «la spiegazione scientifica, il ricorso alla sfera religiosa, la sublimazione estetica, le diverse forme di finzione letteraria e di rappresentazione in immagini sono altrettanti mezzi culturali per gestire la catastrofe o anticiparne il rischio».

Conclusioni Al concetto di equilibrio, in questo caso sistemico, abbiamo aggiunto un'altra variante per comprendere i comportamenti, le reazioni e, più in generale, le mentalità con le quali un evento catastrofico venne e viene affrontato dalle parti in causa.
L'ultimo grande evento catastrofico della storia europea che fu percepito come una Jatalità e una punizione divina fu il terremoto di Lisbona del 1755, che distrusse metà della città con decine di migliaia di morti. Complice l'illuminismo, il concetto di fatalità fu rivisto aprendo spazi di riflessione su eventuali responsabilità umane. D'altronde, un terremoto ancora oggi è ipotizzabile, ma il momento preciso e la gravità dell'evento non sono scientificamente prevedibili, anche se molti passi in avanti in tal senso sono stati fatti.
Ciò che invece progressivamente divenne prevedibile fu la capacità delle strutture, infrastrutture e abitazioni di resistere nonostante un tale evento. Negli ultimi secoli, e soprattutto negli ultimi decenni, le costruzioni sono state adeguate e debbono per legge rispettare alcuni requisiti di anti sismicità, in particolare nelle zone altamente sismiche. Si pensi, ad esempio, ai grattacieli giapponesi o alle unità abitative monofamiliari europee.
Il passaggio successivo, che ci porta al presente e a quella che è stata definita la società del rischio, ci lega indissolubilmente alla produzione energetica.
Grazie al lavoro storico, abbiamo un'approfondita conoscenza dei disastri e catastrofi che hanno riguardato la produzione d'energia. Si pensi a tutti i disastri minerari, etichettati come incidenti sul lavoro, ma che hanno a che fare con le responsabilità umane.
Un esempio svizzero è la catastrofe di Mattmark del 1965: il distaccamento di un pezzo del ghiacciaio dell'Allalin travolse le baracche degli operai e provocò 88 vittime. In questo caso si parlò di fatalità, in quanto non era prevedibile che si staccasse una quantità così enorme di ghiaccio (2 milioni di metri cubi). Tuttavia, l'irresponsabilità di aver costruito le ba-

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racche perpendicolari al ghiacciaio suscitò più di qualche dubbio, facendo di questo evento il più catastrofico della recente storia elvetica.
La produzione energetica, come accennavamo, ci porta dritti alla questione.
Il modello di società che abbiamo costruito ci obbliga costantemente a cercare soluzioni che consentano il giusto equilibrio tra costi e benefici. Ed è da qui che si sviluppa la teoria della società del rischio.
Con l'energia nucleare, con i disastri di Chernobyl prima (1986) e Fukushima poi (2011) crebbe la necessità di cambiare il paradigma. L'energia nucleare è vantaggiosa nel breve periodo, ma molto rischiosa. Talmente rischiosa che i danni sono irreparabili e la gestione delle scorie non è ancora stata risolta.
In definitiva, nella società complessa nella quale viviamo e per gli standard di vita che abbiamo raggiunto, mai come in questo momento è di vitale importanza cercare i punti di equilibrio tra la natura e l'essere umano.
Ormai non si tratta solo di questioni tecniche, come in passato. Non basta costruire un acquedotto o un sistema di irrigazione per evitare la desertificazione di un territorio. Non basta più convertire la produzione da carbon fossile in rinnovabile. Produzione che non arriva al 20% in media in Europa. Con tutte le dovute cautele, potremmo definire la questione come etica.
Ancora una volta, trovare il punto di equilibrio è probabilmente la sfida più complessa che ci attende. Come conservare i nostri modelli di società, le nostre aspettative di vita e di progresso senza intaccare il futuro di chi verrà dopo di noi e, ormai, sempre più frequentemente, il nostro stesso presente?
L'unica risposta utile è quella di acquisire profonda consapevolezza del fatto che non abbiamo ereditato dai nostri genitori la terra che pro tempore abitiamo, bensì l'abbiamo presa in prestito dai nostri figli

Bibliografia di riferimento
Beck, Ulrich, Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne,
Suhrkamp, Frankfurt am M. 1986. Cattacin, Sandro, «Fordist Society and the Person», Studi Emigrazione/Migration Studies 196: 557-566, 2018. Clavandier, Gaelle, La mort collective : pour une sociologie des catastrophes, CNRS Editions, Paris 2004. Ewald, François, L'État-providence, Grasset, Paris 1986. Faggi, Pierpaolo, Turco, Angelo (a cura di), Conflitti ambientali. Genesi, sviluppo, gestione, Edizioni Unicopoli, Milano 1999. lntergovernmental Panel on Climate Change-IPCC, Draft Report «Global W arming of 1.5°C», Ginevra Internal Displacement Monitoring
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Washington 2018.

84 • I CAMBIAMENTI CUMA TICI
OPERE NUOVE


Yannis imbraccia le armi
di Roberto Mc Cormick
In groppa al mulo che aveva chiesto in prestito a Manolis, Petros scendeva giù verso il mare. Era fine settembre - un autunno di grigi, marroni e verdi. Arrivato in cima al crinale che separava casa sua dalla vallata in cui sorgeva la piccola cittadina costiera, Petros guidò il mulo esitante giù per un ripido sentiero terroso che costeggiava un letto di vivaci pietre argentee scolpite e ridipinte dalla pioggia. Al di là di uno stretto crepaccio, le pareti di roccia levigate dalle intemperie erano di un grigio brunito, venato qua e là di macchie color ruggine. Petros contemplò ammirato la moltitudine di colori e la varietà di forme delle sue montagne; pensò che anche suo padre, prima di lui, aveva provato lo stesso piacere lì davanti, e pensò che quando fosse toccato a lui andarsene, loro sarebbero rimaste lì immutate ancora per molto tempo.
Assorto com'era da tanta bellezza, per un attimo si era dimenticato di ogni cosa intorno a sé, poi di colpo affondò senza pietà il frustino nel posteriore del mulo. «lii-aaah» urlò, spronando l'animale che si era inchiodato all'improvviso per paura di perdere l'equilibrio sulle pietre scivolose. Dopo quell'incitamento, il mulo riprese a scendere, con cautela, lungo il pendio. Dove la discesa era meno irta, avevano messo radici piccoli arbusti e cespugli tondeggianti di un verde polveroso e nell'aria c'era un forte profumo di origano selvatico. Petros diede uno strattone alle redini per fermarsi - e mentre assaporava quell'aromatica fragranza, gettò uno sguardo alla sconfinata distesa cerulea davanti a sé.
Di colpo, una grande macchia d'ombra oscurò il paesaggio. Petros fu contento che le nuvole venissero a proteggerlo, perché la strada era sempre più pianeggiante e non c'era riparo dal sole. Contemplare i risultati tangibili dell'attività umana gli dava un gran piacere: le abitazioni rudimentali dei contadini, i muretti di pietre ben conservati che cingevano piccoli tratti di terra, tutti quei terrazzamenti, destinati soprattutto al pascolo ma anche ai fichi e agli ulivi. Lungo il sentiero, Petros osservò le foglie di fico a forma di guanto: i bordi erano rifiniti di una sfumatura

bruna e i frutti viola scuro, maturati da poco, erano già stati saccheggiati dai passanti. Più in là, oltre i fichi, gli olivi verde scuro erano pronti per la raccolta. I rami pregni e pesanti si curvavano verso terra e le minuscole foglie argentee scintillavano nel sole settembrino, fremendo nella brezza.
«È proprio vero quel che si dice del sole di settembre,» pensò Petros tra sé e sé. «In questa luce soffusa si avverte la fine delle cose,» rifletté, mentre il mulo scarpinava con un'andatura sincopata giù per il sentiero sterrato. <<Mi sa che questa sarà l'ultima gita al mare, per quest'anno.»
Mentre rimirava le olive pronte per la raccolta, i pensieri di Petros andarono al tabacco; gli venne in mente che quest'anno il raccolto era stato proprio abbondante e tutto era andato liscio. La parte difficile era fatta. Non restava che venderlo.
«Un'annata di successo anche per me,» proclamò a gran voce.
Piuttosto compiaciuto, si apprestò a dirigere l'animale sulla strada battuta ai piedi della collina, e fu allora che una voce familiare lo risvegliò dalle fantasticherie.

«Ehi! Non dimenticarti che ci siamo anche noi!» gridò Yannis, bonario ma un po' seccato, per essere stato lasciato indietro insieme alle donne. «Che fretta c'è? È domenica!»
Petros diede uno strattone alle redini e si fermò, aspettando che l'amico lo raggiungesse.
«Perché sfrecci via così?» gli chiese Y annis a mo' di rimprovero, affiancandolo. «È un giorno di riposo, sbaglio? E poi il raccolto è finito!»
Petros si limitò a un cenno di assenso mentre si voltava verso la moglie che si faceva sempre più vicina. Lei tirò le redini del piccolo mulo grigio e si fermò, senza dire una parola, appena dietro il grande mulo marrone di Petros. A lui bastò uno sguardo per capire che era stanca, così si fermarono a riposare. Con un vestito di lana nero e disadorno che arrivava ben oltre il ginocchio, sua moglie stava seduta immobile e di traverso sul mulo; nella mano sinistra reggeva le redini e uno scudiscio di canna. Per proteggersi dal sole si era messa un semplice foulard.
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Petros diede un'occhiata al crocifisso che portava al collo. «Molto meglio quando l'ho incontrata,» si disse, ripensando alla festa di matrimonio che si celebrava in paese il giorno in cui per la prima volta era stato catturato da quel suo sorriso gioioso, così pieno di vita, così beatamente inconsapevole dei processi dell'età. Aveva un vivido ricordo della gonna nera di lana che fluttuava come la veste di un derviscio a ogni giravolta e dell'elaborato ricamo rosso sul suo podia. Gli tornò in mente un flash della collana luccicante che lei aveva fatto con tutte le monete d'oro che aveva guadagnato o che le avevano regalato da ragazza. Ad attrarlo non era stato solo lo scintillio dell'oro. E neppure il modo in cui le monete rimbalzavano su e giù sul suo petto ad ogni saltello. A piacergli era stato soprattutto il modo in cui la collana le incorniciava il viso, acceso da una vitalità giovanile.
Dopo qualche minuto di riposo, Petros chiese alla moglie se fosse pronta per continuare. Lei annuì con acquiescenza, così lui fece schioccare le redini e ripartì in testa a tutti sulla strada che portava alla cittadina. Raggiunte le mura esterne delle fortificazioni bizantine, passarono tutti e quattro dalla porta nord, senza dire una parola. Neppure uno sguardo alle sentinelle turche di guardia su entrambi i lati. Petros diresse l'animale verso destra e procedettero lentamente all'interno delle mura, lungo una strada acciottolata costeggiata da diversi caffè all'aperto. Lì fuori, seduti a prendersi cura di ciò che rimaneva nelle tazzine da caffè, alcuni amici li salutarono a gran voce: «Buongiorno, Petros. Y annis.» Altri stavano a capo chino, così assorti nel lancio dei dadi sul tavli che non notarono affatto il passaggio di Petros e Y annis. Le mogli, però, benché coperte, provocarono non pochi commenti.
Il loro arrivo fu visto con maggior sospetto dai turchi che fumavano il narghilè nel loro caffè più giù, sulla strada che curvava seguendo le mura fortificate. Alla porta ovest attraversarono di nuovo i bastioni massicci, perché il tratto più ampio di spiaggia sabbiosa si trovava appena oltre. Arrivati sul litorale, legarono i muli all'ombra di una piccola pineta che circondava la spiaggia, assicurando un po' di privacy alle famiglie che si

riunivano lì. Infilati larghi costumi da bagno neri, gli uomini fecero strada verso il mare.
Y annis, con il suo aspetto ordinario, scrutò con invidia la bella figura imponente di Petros procedere sicura verso l'acqua, come uno stallone. La carnagione bruna e le folte sopracciglia corvine conferivano al suo viso un'aria minacciosa, con quel naso aquilino e gli zigomi pronunciati che già esigevano il rispetto dovuto a una statua finemente cesellata. Le spalle ben tornite, il torace imponente, coperto da un tappeto di riccioli neri, e la sua camminata spedita e determinata contribuivano a dargli l'aspetto virile e sicuro di chi è abituato alla deferenza.
Raggiunta la parte più animata della spiaggia a mezzaluna, i quattro bagnanti entrarono timidamente in acqua, aspettando di capire come avrebbero reagito i loro corpi al cambio di temperatura. Visto che il mare non era poi così freddo, continuarono a camminare adagio, finché non ebbero l'acqua all'altezza dei polpacci. A quel punto, le mogli convennero che lì era abbastanza fondo e che non sarebbero andate oltre. Petros e Yannis fecero uno scatto fulmineo e corsero via divertiti, fino a quando le ginocchia non riuscirono più a riemergere dall'acqua. Quando anche le cosce si fecero troppo pesanti, si tuffarono in avanti come due delfini e cominciarono a dimenare furiosamente le braccia in quel modo alquanto bizzarro che avevano di nuotare. Y annis se la cavava bene, ma Petros si rialzò poco dopo, scostandosi i capelli dagli occhi che bruciavano per il sale. Mentre Y annis continuava imperterrito a nuotare, Petros gettò uno sguardo a riva e vide le due donne che chiacchieravano, sedute con l'acqua fino alla vita, spruzzandosi di tanto in tanto come due bambine gioiose.

In quel breve interludio, Y annis aveva smesso di nuotare e si era girato sulla schiena. Ora fluttuava tra le dolci onde come un uccello marino. Dopo avere osservato il corpo inerte dell'amico abbandonato senza sforzo sul pelo dell'acqua, anche Petros si piegò all'indietro, sollevò le gambe e allargò le braccia, imitandolo. Sorretto dal mare, Petros ebbe una nuova percezione di sé. Per un attimo non vide e non sentì più nulla. Sentiva solo l'acqua che lo sorreggeva, gli riempiva le orecchie, gli lambiva il petto e le gambe. L'unica cosa di cui avesse coscienza era la superficie mi-
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nuscola che il suo corpo occupava nella vastità del cosmo; provò una calma incommensurabile. Quando alla fine tornò a guardare a riva e vide stagliarsi contro il limpido cielo azzurro la bella linea scoscesa dei pendii appena percorsi, si soffermò a guardare le cime variegate che scintillavano al sole e fu sbalordito non solo da tutta quella bellezza maestosa, ma anche dall'armonia della natura e dal suo posto lì in mezzo.
Di colpo, però, i piedi cominciarono a farsi pesanti e Petros si accorse che stavano andando a fondo. Inarcò la schiena in modo esagerato e tese le braccia, ma senza successo. I piedi precipitarono sempre più rapidi, fino a sfiorare la sabbia. Si tuffò di schiena una seconda volta, ma dopo essere rimasto a galla per un breve istante, i piedi cominciarono di nuovo a gravitare verso il fondale.
Riavvicinatosi, Y annis mostrò a Petros come tirare indietro la testa e le spalle, come inarcare la schiena e allargare il più possibile le braccia a mo' di crocifisso, per poi prendere un respiro profondo. Petros seguì alla lettera i consigli e per un attimo, sorretto dalla mano di Y annis, sembrò riconquistare un buon equilibrio. Ma non appena la mano fu sfilata da sotto le cosce, i piedi ripresero ancora una volta a scendere, lenti e inesorabili.

Stizzito per il fallimento, Petros si rialzò bruscamente e si diresse a riva a passo di marcia. Raggiunti i primi banchi di sabbia che affioravano dall'acqua, si sfregò gli occhi in fiamme, poi alzò lo sguardo per dare un'ultima occhiata ai suoi monti. Non c'era traccia, però, dell'armonia appena sperimentata. Esaminando le vette più attentamente, riuscì a distinguere una specie di vortice di fumo grigio che saliva da dietro la cresta. Incerto su cosa fosse, indicò le spirali grigie all'amico. Ma Yannis lo rassicurò: erano soltanto i contadini che ripulivano i sentieri coperti di erbacce; allora smisero entrambi di pensare al vortice e ripresero a camminare verso la spiaggia.
Una volta usciti dall'acqua, scoprirono che le loro mogli erano tornate nella zona più appartata del litorale. All'ombra della pineta dove avevano lasciato i muli e le provviste, Anna aveva già steso un lenzuolo che serviva da tovaglia e la moglie di Yannis aveva cominciato a tirare fuori
il pranzo dai cestini. Ora scartava una teglia preparata da Anna con i cosciotti di agnello al forno, guarniti di riso bianco e di peperoni verdi ripieni. Sotto la fasciatura a mo' di bendaggio era ancora tutto bello caldo e, scoperchiata la teglia, gli aromi stuzzicarono l'appetito dei presenti. La moglie di Y annis aveva portato i pomodori maturi e i magri cetrioli del suo orto. C'era anche l'uva, con i suoi acini verde chiaro, belli paffuti e pronti a esplodere sotto la buccia traslucida, poi qualche pesca gialla con le guance cremisi e una grossa forma di pane rotonda che Anna aveva preso da Mitsos quella mattina, appena sfornata. Petros si precipitò verso un venditore ambulante di frutta e, dopo una trattativa vociante, comprò un grosso melone giallo, che insieme al fiasco di raki di Manolis avrebbe completato il banchetto.
Famelici com'erano, spazzolarono tutto quello che trovarono sulla tovaglia improvvisata e, di lì a poco, la moglie di Yannis stava già tagliando l'ultima metà del melone in piccoli bocconi. Petros e Y annis avevano cominciato il brindisi e buttarono giù il raki a sorsate. Quando l'amico ebbe vuotato l'ultimo goccio, Petros alzò il bicchiere, ne trangugiò il contenuto e intonò una canzone ben nota a tutti i suoi compatrioti: «Oh, mia cara Tracia, perché sei vestita di nero?». Appena finì, per non e~sere da meno, Y annis alzò a sua volta il bicchiere, sorseggiò il raki come per assaporarlo e cominciò a cantare un kleftiko della guerra d'indipendenza.
Intorno a loro, tutti, persino i turchi, abbassarono la voce in segno di deferenza: la voce di Y annis non solo era stentorea e commovente, ma incarnava il fervore di chi comprende a fondo il significato dei canti patriottici. A differenza di Petros, però, non tutti sapevano che la condotta di Y annis in guerra avrebbe eguagliato quella dei grandi eroi della rivoluzione e che in tutta la regione Y annis non aveva eguali per il coraggio dimostrato nelle furtive incursioni rurali contro i nemici del popolo greco. Non essendo particolarmente incline alle prodezze marziali, Petros ammirava ancora di più la virtù dell'amico.
Subito dopo che Yannis aveva intonato il suo canto, molti altri greci sulla spiaggia si erano uniti a lui e ora poco a poco smettevano di canta-

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re. Y annis dirottò lo sguardo e notò che il bey turco e il suo entourage, il cui arrivo era passato quasi inosservato, si erano stesi dall'altra parte del boschetto ricurvo. Y annis fissò l'ufficiale turco per alcuni secondi di troppo. Poi si alzò in piedi, sollevò il bicchiere come per proporre un brindisi, buttò giù l'ultimo goccio di raki e prese a cantare sottovoce O Elefterias, il famoso kleftiko dedicato alla libertà.
Allora i greci, intenti a rilassarsi a riva o all'ombra dei pini, si alzarono spontaneamente e, quasi fosse tutto pianificato, si unirono in coro alla voce di Y annis. Anche Petros si era fatto prendere dal fervore del canto. Alzatosi in piedi, prese parte con ardore a quell'istintiva esternazione di patriottismo ribelle. Allora la pineta, la spiaggia, e persino le colline circostanti riecheggiariono di strida greche.
Tutti gli occhi si rivolsero lentamente all'autorità locale. Dapprima il bey Murat provò a fingere che non stesse accadendo nulla di strano. Poi accorgendosi di essere al centro dell'attenzione, in un clima chiaramente ostile, il funzionario turco cominciò ad aggiustarsi nervosamente il fez rosso, scambiando qualche osservazione con i suoi sottoposti. Tentando, nonostante la faccia arrossita, di mostrare quanta più dignità possibile, si alzò in piedi e con un gesto quasi impercettibile dei guanti che stringeva nella sinistra, ordinò alla sua cerchia di seguirlo. Infine, per tutta risposta a quell'insulto pubblico verso di lui e il suo sovrano, se ne andò silenziosamente, così come era arrivato.

Alla fine del canto ci fu un boato fragoroso e Petros sentì il sangue martellargli nei timpani davanti a quell'inaspettata manifestazione. Un acceso dibattito riempì l'aria di un continuo ronzio di voci e di grida. I simpatizzanti galvanizzati si avvicinarono a Yannis e a Petros per congratularsi e offrire loro del raki. I due amici persero presto· il controllo dei sensi e Petros dovette tornare a sedersi. Poi di colpo, dimentico del mare e delle cime che lo circondavano, sentì gli occhi chiudersi, si stese lentamente sulla schiena e cadde in un sonno profondo, perdendosi addirittura le prime note di lira che annunciarono il ballo del fazzoletto in cui Anna fu invitata a danzare.
Seduto alla scrivania, sul davanti della piccola bottega arredata con gusto austero, Petros annotava i numeri in un libro mastro nero. Davanti a lui, un vecchio turco con il turbante, una spessa camicia di lana abbottonata fino alla gola e un bolero a maniche lunghe sorseggiava ciò che rimaneva di una tazza di caffè praticamente vuota. L'uomo teneva la tazza premuta sulle labbra e non smetteva di fissare le lire d'oro impilate sulla scrivania davanti ai suoi occhi.
Due fratelli assistevano alla scena. Erano due dei primissimi fornitori di Petros e con il tempo erano diventati anche buoni amici. Stavros, che indossava un paio di pantaloni larghi e marroni, gli stivali neri e un maglione pesante con qualche buco nelle maniche sporche di fango, stava al davanzale della finestra sulla facciata. Manolis, il più giovane, era vestito più o meno allo stesso modo. Come molti di quelli che facevano visita a Petros, anche lui amava rintanarsi accanto alla stufa panciuta al centro della stanza appena fuori cominciava a far freddo. E poi lì si sentiva a casa e spesso veniva pagato per fare piccole commissioni. Poggiato il bastone alla sedia, andò a scaldarsi le mani alla stufa in ferro battuto e si guardò intorno con aria assente. A differenza degli altri, sembrava poco interessato alle monete lucenti. <(Su, forza, effendi Hussein! È da venti minuti che trattate,» sbottò alla fine Stavros, con malcelata l'impazienza. ((Mi sono già fumato due sigarette intanto che vi guardavo! Sai benissimo che Petros non ti ha mai truffato. Ti sta offrendo la stessa cifra che ha dato a noi. E poi, poco più o poco meno, che differenza fa? Non sarà questo a mandarti in rovina, sbaglio?»

((Te l'ho detto, Hussein. Il tabacco mi serve entro oggi, perciò posso darti al massimo poco più del prezzo di mercato,» insisté Petros. <(Più di questo, non posso proprio fare.»
Il contadino turco tese lentamente la mano destra verso il tavolo e raccolse la pila di monete d'oro. Con il pollice le fece rotolare una a una sull'indice destro e poi nel palmo della mano sinistra, finché non si sentì appagato dal loro peso. Poi alzò di nuovo lo sguardo verso Petros.
94 · I CAMBIAMENTICUMATICI
«D'accordo, Petros, amico mio,» disse, tirando fuori un fazzolettino dalla cintola in seta. «Per volere di Allah accetto di venderti il mio raccolto profumato a questo prezzo,» continuò con le labbra curvate in un sorriso appena accennato. «E speriamo che con il mio bel tabacco tu faccia ottimi incassi,» aggiunse, avvolgendo le monete nel fazzoletto che rimise al sicuro sotto l'ampia fascia. A quel punto si alzò in piedi e andò lentamente verso la porta.
«Grazie, Hussein, e puoi stare certo che ti ho fatto un buon prezzo,» aggiunse Petros in tono cordiale, alzandosi per accompagnare il cliente. «Spero proprio che passerai di nuovo per un caffè, la prossima volta che sei da queste parti.»
«Farò il possibile,» rispose Hussein, senza prendersi davvero l'impegno. «In realtà preferisco il tè!» aggiunse, rimettendosi le scarpe aperte sul tallone che aveva lasciato fuori dalla porta. Poi si avviò lungo la fila di negozi che fiancheggiavano la strada acciottolata.
«Chissà perché Y annis non arriva?» domandò Petros, voltandosi di colpo verso Manolis, non appena il coltivatore turco sparì in fondo alla strada.

«Non saprei,» borbottò Manolis.
«Sapeva che il tabacco mi serviva entro oggi. Sapeva che sarebbe venuto un cliente a vederlo,» continuò Petros seccato, rivolgendosi agli amici in cerca di solidarietà.
<<A Y annis posso solo fare i complimenti,» replicò Stavros. «Che dire del modo in cui ha sfidato i turchi l'altro giorno! Se tutti i greci facessero come lui, in breve saremmo liberi dagli oppressori,» affermò infervorato.
«li bey se lo meritava proprio,» convenne Petros. «Eppure, ripensandoci, non sono certo che sia stata una buona idea offenderlo in pubblico.»
«Sono d'accordo,» gli fece eco Manolis.
«Come fate a dire che non è stata una buona idea?» esclamò il fratello. «Prima ci ammazzano con il lavoro nei campi, poi ci finiscono a sangue freddo nelle strade di periferia. E noi continuiamo a non fare niente. Visto che hai aperto uno spaccio qui in città, magari te ne sei dimentica-
to, Petros, ma i turchi si mettono in tasca un quarto dei raccolti e, come se non bastasse, sul resto ci paghiamo le tasse. E se tardi a pagare, hai già i soldati alla porta. Siamo noi le vittime della loro brutalità, perciò abbiamo il diritto di reagire] Tanto, un giorno o l'altro prenderanno di mira anche te1»
Petros fu sorpreso e al contempo seccato dalle affermazioni dell'amico. «Senti, Stavros, sono greco anch'io, nel caso te ne fossi dimenticato] Se invece di perdere le staffe mi ascoltassi, capiresti cosa intendo. Cercavo di dire che, pur avendo partecipato io stesso a quella provocazione pubblica, non credo sia stata molto utile. Cosa ci avremmo guadagnato, secondo te?»
Intimidito dall'accesso di rabbia di Petros, Stavros preferì non fiatare.
«Pensa a quello che ci abbiamo rimesso,» rincalzò Petros. «Intanto che Y annis e la sua comitiva - me compreso - stavamo in spiaggia a bere, a cantare e a provocare il bey, i soldati turchi alla soffiata sulla nostra gita hanno appiccato il fuoco e raso al suolo due fattorie dei nostri vicini, rubando tutto il bestiame. Non sono certo che siamo stati noi a guadagnarci,» concluse Petros, facendo su e giù a con la testa come per soppesare i pro e i contro.

«Sono d'accordo con Petros. Non credo sia stata una mossa molto accorta» intervenne Manolis.
<<Zitto tu, Manolis,» proruppe Stravros con rabbia. «Tu non c'eri nemmeno.»
«Neanche tu1» lo rimbeccò il fratello.
«Mano, andresti qui di fianco a prenderci tre caffè?» chiese Petros nella speranza che Stavros si calmasse. «Almeno facciamo qualcosa intanto che aspettiamo.»
Proprio in quel momento udirono un suono di passi di fronte alla bottega. Seguì un colpo alla porta deciso e sicuro. Pensando che fosse Y annis, Petros andò subito ad aprire, ma sulla soglia trovò un uomo basso e ben rasato, intento a sistemarmi con aria fiera il cravattino per accertarsi un'ultima volta che fosse dritto. Indossava un completo fatto su
96 • ICAMBIAMENTICUMATICI
misura con tanto di gilet e una camicia bianca inamidata, con il colletto rialzato a svelare il cinturino nero del cravattino che gli cingeva la gola.
«Entri pure, signor Agoras,» disse Petros in tono eccessivamente allegro. «Puntualissimo.»
«Cerco di rispettare sempre l'orario degli appuntamenti,» rispose orgoglioso l'acquirente, entrando nella stanza.
«Manolis, prendi quattro caffè allora. E fai alla svelta, il nostro ospite va di fretta.»
«A proposito, come lo vuole il caffè?» chiese Petros, rivolgendosi al cliente.
<<Liscio1»
«Quattro caffè, Mano, due lisci]»
Sorreggendosi con la mano sinistra al bastone, il fratello di Stavros uscì zoppicando dalla porta d'ingresso. Dato che Petros insisteva, l'acquirente si mise a sedere accanto alla scrivania.
«Quando è arrivato?» domandò Petros per rompere il ghiaccio.
«Ieri pomeriggio, alle cinque più o meno. La nave era puntuale. Ho avuto a malapena il tempo di andare in camera e prendermi qualcosa da mangiare, ma mi è già arrivata voce delle case messe a fuoco e fiamme dai turchi e delle scorribande dei greci in campagna per provocare gli ufficiali. Cosa sta succedendo? Non si parla d'altro.»

«Riguarda un po' tutti qui,» spiegò Petros, senza preoccuparsi di celare l'ironia che, ne era certo, sarebbe passata inosservata agli occhi del mercante cittadino.
«Sì, ma cosa credono di ottenere questi delinquenti? Certo, le tasse sono pesanti, ma basta conoscere un paio di funzionari turchi per farsele ridurre parecchio.»
Stavros si riaccese in volto, ma per il bene di Petros riuscì a trattenersi dal dire qualunque cosa.
«Mi auguro solo che tutto questo trambusto non sfoci in qualcosa di molto più grande,» disse il signor Agoras, «altrimenti finisce che blocca-
no i flussi di commercio con Costantinopoli. Sarebbe un bel danno per gli affari, vero, Petros?» chiese Agoras con un sorriso di intesa stampato in faccia.
Petros si limitò a guardarlo torvo e fu felice di vedere tornare Manolis con il vassoio di caffè del bar di fianco. Bevuto il caffè, Petros condusse l'acquirente di Costantinopoli in una stanza rettangolare lunga e alta sul retro dello spaccio. Quel mattino all'alba Stavros e Manolis avevano legato le piantine di tabacco non ancora brunite con il crine di cavallo e le avevano appese alle travi del magazzino. Il resto era impilato in mazzi perfettamente bruniti in corridioio. Il signor Agoras esaminò attentamente le ampie e fragili foglie: prima quelle venate di verde che pendevano dal soffitto, poi quelle più secche a terra.
«Sai bene cosa cerco, Petros,» esclamò il mercante, rivolto al proprietario. «Ormai sono quattro anni che compro da te e non mi hai mai deluso. Voglio un tabacco trace leggero, con un retrogusto di bergamotto e adatto alle sigarette; qualcosa da mischiare con il tabacco turco.»
«Quest'anno ho cominciato a vendere un po' prima; è per questo che alcune foglie non sono ancora pronte,» si scusò Petros. «Anzi, mi pare che fosse stato proprio lei a proporre di anticipare il nostro appuntamento annuale,» aggiunse Petros di proposito. «E se ora non vede molto tabacco qui è perché uno dei miei fornitori non si è ancora fatto vivo con il suo raccolto. Speravo di avere quasi il cinquanta percento di tabacco in più in questo periodo.»
«Tipico dei greci,» commentò il mercante anatolico.

«Di solito Y annis è molto affidabile,» ribatté Petros, subito pronto a difendere l'amico. «Non posso darglielo per meno di. .. »
«Devo dire che preferisco trattare con gli inglesi e gli americani,» continuò l'acquirente. «Loro credono nel fair-play. Se promettono di fare una cosa per quel tal giorno a quella tal ora, nove volte su dieci rispettano l'impegno. E poi pagano bene. Soprattutto gli americani. Qualche anno fa, quando ancora lavoravi in città, anche tu hai concluso qualche trattativa con loro, vero, Petros?»
98 • I CAMBIAMENTICUMATICI
«Erano per lo più transazioni relativamente semplici e dirette,» mormorò Petros, rispondendo alla domanda in termini commerciali, sperando che quella breve risposta non invogliasse l'altro a continuare la discussione e gli desse modo di trovare una scappatoia dall'argomento.
«Be', ora che ha esaminato attentamente il raccolto, signor Agoras, cosa gliene pare?» chiese Petros piuttosto fiducioso.
«Si direbbe che le foglie siano di ottima qualità, Petros,» riconobbe l'acquirente. «Ma dovrei fumarne qualcuna per esserne certo.»
Come se non aspettasse altro che quella richiesta, Petros aprì prontamente il cassetto della scrivania e tirò fuori diverse sigarette rollate con il tabacco che avevano trinciato presto quel mattino. Ne accese una all'acquirente, che fece un paio di lunghi tiri senza dire una parola.
«Non male,» riconobbe alla fine, fingendosi indifferente.
«Allora, quanto ne vuole?» chiese Petros schietto.
«Me ne servirebbero circa sessanta oka subito e ottanta appena arriva il resto. Puoi occuparti dell'ordine?»
«Nessun problema. Credo di avere circa sessanta oka qui. Vediamo, centoquaranta per quarantacinque piastre l'una,» ripeté Petros meccanicamente. «Fa sessantatré lire più le spese di spedizione per il secondo lotto.»

<<Facciamo cinquanta in tutto,» rilanciò l'acquirente.
«Non posso davvero venderlo a così poco, nemmeno a un cliente fedele come lei. Già glielo sto vendendo a poco più del prezzo a cui l'ho comprato io. E sa quanto pago di tasse, non solo sul raccolto, ma su ogni vendita. La tassa sul tabacco è una delle maggiori fonti di guadagno per lo stato e a farne le spese sono i commercianti e i consumatori. No, la mia offerta la conosce,» concluse convinto. «È un prezzo onesto.»
«Che ne dice di sessanta lire per tutto?» azzardò il signor Agoras.
«Senta,» ribatté Petros. «Siccome lei è un cliente abituale e il tabacco non si è ancora seccato bene e pesa parecchio, posso darglielo per sessantuno e cinquanta. Ma questo è davvero il massimo a cui posso arrivare.»
Avvertendo dalla fermezza del tono di Petros che non sarebbe andato oltre, il signor Agoras non osò proporre una controfferta. Stette un attimo a riflettere sulla qualità del raccolto e sul fatto che aveva assolutamente bisogno di un buon tabacco trace per la miscela. Inoltre il clima politico era molto precario. Messa una mano nella tasca della giacca, tirò fuori un borsellino verde di velluto e dopo aver contato le lire richieste, le distribuì sulla scrivania di Petros.
«Dopodomani riparto per Costantinopoli. Può occuparsi di far portare il primo carico sulla nave?» chiese.
Petros annuì e il signor Agoras tornò nella stanza principale, lasciando il proprietario da solo a contare le monete appena guadagnate. Piuttosto soddisfatto della transazione, Petros guardò meglio le monete lucenti prima di metterle nella cintura di pelle nascosta sotto la cintola, dove era solito tenere il denaro.
Vedendo riapparire il mercante, Manolis si accorse del lento e ritmico clop clop degli zoccoli di un mulo sul selciato di ciottoli. Credendo di trovare Y annis, apri la porta deciso. Ma al suo posto trovò padre Paschalis, appollaiato in sella a un grosso mulo bruno. In quel momento anche Petros era tornato nella stanza. Indovinando lo scopo di quella visita, invitò il prete ortodosso a entrare. Padre Paschalis smontò dalla sella di legno, cacciandosi i lunghi capelli grigi in un cappello a cilindro nero, poi entrò e, su invito di Petros, si sedette al solito posto accanto alla stufa panciuta.
Il corpo minuto, proteso verso la stufa, era nascosto sotto un pesante cappotto di lana nero. Era fin troppo grande per lui e le mani pallide sbucavano da due tunnel scuri che erano le maniche smisurate. L'indice destro, con la sua nocca ossuta, si teneva inconsapevolmente a distanza dal pollice, creando un vistoso spazio che risaltava ancora di più quando padre Paschalis stava seduto, perché per un tic nervoso era solito sfregare la mano avanti e indietro sulla coscia.
La barba grigia e rada accentuava la magrezza del viso, conferendogli un tocco ascetico, dovuto forse agli zigomi pronunciati. L'aspetto macilento e lo sguardo distratto suggerivano che la sua esistenza era orientata

t 00 • I CAMBIAMENTI CUMA TJCI
verso questioni più mistiche. La combinazione di fragilità e sacralità diventava particolarmente evidente il giovedì santo. Durante la liturgia della sera, padre Paschalis, chino sotto il peso di un'enorme croce di legno, faceva il giro della piccola chiesa ortodossa, reinterpretando - con i suoi passi strascicati, l'aspetto scarno e i lamentosi canti liturgici - il martirio di Cristo. Quella commovente rievocazione della passione gli era valsa una certa fama nella regione e l'aveva pure riconciliato con quella parte di popolazione maschile che l'aveva emarginato per via del suo evidente interesse per le donne e i bambini. Nessuno, però, dubitava della fiera determinazione con cui difendeva l'ortodossia greca.
In ogni caso, almeno metà della sua esistenza era mondana e si distingueva per tutta una serie di idiosincrasie terrene. Tanto per cominciare, forse a causa della corporatura non sufficientemente robusta, sul finire dell'autunno e soprattutto in inverno, padre Paschalis aveva sempre freddo. E forse per la stessa ragione aveva cominciato a fumare - sigarette, in genere - anche se cercava di non dare troppo nell'occhio. Inoltre, come parte dei suoi doveri clericali, amava far visita alle famiglie della comunità e l'evidente interesse nei confronti dei fedeli suscitava una risposta spontanea nei bambini. I pettegolezzi locali, ad opera più che altro dei suoi detrattori, attribuivano la causa delle frequenti visite parrocchiali alla moglie, che con le sue incessanti lamentele e l'accanito sostegno alla monarchia lo invogliava a uscire di frequente.
«Ha già avuto modo di conoscere padre Paschalis?» chiese Petros al signor Agoras.
«Sì, ho già avuto il piacere di incontrarlo,» rispose il mercante, annuendo.

«A Costantinopoli, se non sbaglio,» aggiunse padre Paschalis, facendo la sua parte in quel rito sociale. <<Comincia a fare freddo,» affermò, tornando a rivolgersi a Petros.
«Sì, fa piuttosto freddo,» convenne Petros.
In realtà la giornata non era delle più gelide, ma Petros ricordava che il sacerdote passava la fine dell'autunno e tutto l'inverno a fregarsi le mani.
«Non ci sono state ricadute sul raccolto, vero, Petros?» chiese il prete, fissando la parete di fronte, visto che aveva la singolare abitudine di non guardare i suoi interlocutori, a meno che non fosse profondamente coinvolto in una discussione.
Sapendo che il prete era ben informato sull'entità del raccolto, Petros sfoderò un astuccio con lo stesso tabacco che aveva offerto al signor Agoras e ne diede un po' al prete insieme a qualche cartina, aggiungendo: ((Perché non lo prova, padre? Mi piacerebbe avere la sua opinione. È sempre stato un giudice eccellente in fatto di qualità.»
«Immagino che abbiate già parlato delle case greche appena distrutte,» azzardò il prete, infilando il pollice e l'indice ossuto nell'astuccio. ((Già due volte oggi,» rispose Petros succinto. ((Quando finirà tutto questo saccheggiare e fare morti?» domandò padre Paschalis, senza aspettarsi davvero una risposta. ((Quando non bruciano la casa di un contadino e gli rubano il bestiame, ci rimette la gola un insegnante, sgozzato di notte da assassini assetati di vendetta. Chiunque abbia un benché minimo sentimento filoellenico diventa bersaglio o dei musulmani o dei bulgari che hanno l'audacia di definirsi cristiani ortodossi. Il mio ultimo collega di Serres, per esempio, è stato ucciso a colpi di pistola in una stradina di campagna isolata mentre andava a celebrare la messa. E poi perché il sultano avrebbe dovuto riconoscere l'esarcato bulgaro?» concluse retoricamente, scuotendo la testa per sottolineare la sua perplessità.

Nel silenzio generale, il sacerdote si fece ancora più veemente. Sulle labbra di Stavros comparve un lieve sorriso, sentendo verbalizzati i suoi pensieri.
«E poi non è niente di nuovo,» continuò il sacerdote. ((Fino a poco tempo fa ci lamentavamo del sultanato di Abdul Hamid Il. Abbiamo accolto la costituzione dei Giovani Turchi con grandi aspettative, pen-
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sando che ci fosse posto anche per noi nel loro progetto confederale. Te lo ricordi, Petros? È stato meno di quattro anni fa,» continuò, stavolta guardandoli dritti negli occhi. «Ma le nostre speranze si sono infrante alla svelta, non appena i Giovani Turchi hanno intrapreso il loro programma brutale; a confronto, la politica del sultano sembrava pacifica. E ora abbiamo un altro sultano. Hanno cambiato nome tante volte, ma che siano i Giovani Turchi o i vecchi Turchi, che sia Abdul Hamid II o Mehmet V. Re§ad, non cambia molto, sbaglio? La nostra sorte non è cambiata di una virgola. Siamo sempre giauri. Infedeli.»
«Esatto! E quanto ci vorrà ancora prima di imbracciare le armi e fare qualcosa?» lo interruppe Stavros, con un tono di voce che tradiva una certa indignazione.
«Quando sono partito da Costantinopoli, girava voce che la Grecia avesse firmato un'alleanza segreta contro i turchi insieme alla Serbia e alla Bulgaria,» si intromise il signor Agoras. (<I bulgari non sono tanto meglio,» rimbeccò padre Paschalis con rabbia. ((Forse potrebbero tornarci utili, se ci aiutano,» li interruppe Pctros. ((Devo ammettere che mi fido di Venizelos; secondo me è abbastanza intelligente da capire, in un modo o nell'altro, cosa vuole il popolo greco. E poi è cretese. Sa bene cosa vuol dire farsi mettere i piedi in testa dai turchi!» ((Secondo me,» intervenne il mercante con quel tocco di sfrontatezza che poteva concedersi sulla base delle sue convinzioni, (de grandi potenze sono le uniche che possono aiutarci. Loro sì che potrebbero costringere i turchi a fare le riforme e a liberalizzare l'impero.» ((È quello che avrebbero dovuto fare i Giovani Turchi,» esclamò il prete quasi gridando, ((e le cosiddette grandi potenze ce lo promettono da parecchio tempo!» ((Magari ci penseranno gli inglesi a intervenire per salvarci dai musulmani,» ipotizzò il signor Agoras, imperterrito. ((No, le grandi potenze non sanno fare altro che dare aria alla bocca,» insisté il prete ortodosso, ((ma l'impero ottomano è comunque destinato

a cadere. L'impero ottomano è come uno yalis di qualche riccone dimenticato sul Bosforo: diventa sempre più vecchio e fatiscente. Senza interventi di manutenzione, prima o poi crollerà da solo. E allora arriveremo noi e libereremo i nostri compatrioti in Anatolia. E alla fine marceremo di nuovo sulla città santa dell'ortodossia!» esclamò il sacerdote compiaciuto, in tono quasi profetico. «Questa sì che è una Grande Idea!•
«Sarebbe ancor meglio ristabilire l'impero bizantino. E perché non addirittura l'impero di Alessandro Magno, già che ci siamo,» ribatté il signor Agoras sarcastico tra il vocio di approvazione.
Non appena i due ebbero smesso di parlare, si udì un rumore di zoccoli di cavalli che correvano veloci sull'acciottolato. Subito dopo si udì un tonfo sordo e un battere metallico sulla porta di legno. La strada cominciò a riecheggiare di furiose grida maschili in lontananza. Petros riuscì a distinguere tra le urla uno spaventoso: «Giaur!».
Sbirciò fuori dalla finestra e vide passare gli ultimi soldati di un contingente turco ché correva via al galoppo. Quando apri la porta, fu terrorizzato alla vista del sangue fresco che inondava la soglia. Il sangue sgorgava a fiotti da quello che, a prima vista, sembrava un braccio mozzato appena sopra il gomito. Grondava sangue e molti dei nervi scoperti fremevano ancora sulla pietra ricoperta di rosso. Di fianco c'era una sciabola ancora nel fodero. Petros riconobbe immediatamente il fodero: era di Yannis.

(Traduzione dall'inglese di Sofia Vinci)
I 04 • I CAMBIAMENTI CLIMA TlCI
Biografia degli autori
GIOVANNI BRUNO (Zurigo, 1964) è laureato in italianistica e ispanistica. Vive a Cugnasco-Gerra, nel Locarnese, e lavora a Bellinzona come traduttore e giurilinguista presso la Cancelleria federale svizzera. Alcuni dei suoi racconti sono stati pubblicati sulle antologie Incantati: dodici fantastici racconti e Racconti in libertà e su vari quotidiani ticinesi.
SABRINA CAREGNATO (Rovereto, 1965) laureata in economia, con una specializzazione in risorse umane, CAS in mediazione dei conflitti, diploma federale d'incaricato di salute e sicurezza sul lavoro. Ha esordito con due raccolte di poesie, poi ha pubblicato vari racconti. Nel 2015 ha vinto il concorso «Ioscrittore» indetto dal gruppo GeMS con il suo primo romanzo La fiamma dell'uroboro. DARIO GALIMBERTI (Lugano, 1955) è architetto e vive a Lugano. È responsabile del corso di laurea in Architettura della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSO e professore in progettazione architettonica. Nel 2014 ha pubblicato il suo romanzo Il bosco del Grande Olmo e l'anno dopo Lo chiameremo A,go. Con Libromania ha pubblicato Il calice proibito (2015), L'angelo del lago (2017) e Un'ombra sul lago (Vincitore del premio «Fai viaggiare la tua storia», 2019).
LUIGI LA ROSA (Messina, 1974). laureato in Lettere moderne. Ha collaborato con riviste e quotidiani. Per la casa editrice Rizzoli ha curato i seguenti volumi: Pensieri di Natale, Pensieri erotici, L'anno che verrà, L'alfabeto dell'amore. Ha al suo attivo racconti e testi antologici. Per l'editore Ad est dell'Equatore ha pubblicato: Solo a Parigi e non altrove e Quel nome è amore.

FABIO LO VERSO (Palermo, 1967) è giornalista d'inchiesta, in economia, finanza e politica, ex corrispondente parlamentare a Berna per il quotidiano «Tribune de Genève», ex redattore capo del quotidiano <<Le Courrier». A Ginevra ha fondato e diretto i giornali «La Cité» e «Il Quaderno». Nel 20161 ha creato l'agenzia «Lo Verso Consulting» e collabora con una rete di giornalisti e fotografi indipendenti e con esperti in edizione e design.
MANUELA MAZZI (Locarno, 1971) è caposerv1z10 presso il settimanale svizzero «Azione». Giornalista dal 2000 ha lavorato per più testate giornalistiche, tra cui «Giornale del Popolo», «il Caffè», «Cooperazione», «Il Nostro Paese», «TicinoOggi», «Il Giornale» (sezione Milano). Ha frequentato la «Bottega di narrazione» di Milano sotto la guida di Giulio Mozzi. Fra le sue pubblicazioni: una raccolta di racconti con Ulivo Edizioni di Balerna; una serie di gialli con Safarà editore di Pordenone; un lungo racconto onirico e un romanzo sociale con Progetto Cultura 2000 di Roma.
ROBERTO McCORMICK vive a Lugano da molti anni ed è stato professore di Letteratura e scrittura creativa presso la Franklin University Switzerland. Di recente, la University of Virginia Press ha pubblicato la sua traduzione inglese del romanzo di Louis-Philippe Dalembert L 'Autre /ace de I.a mer.
LETIZIA PAMPANA (Pisa, 1980) diplomatasi al liceo classico, si è laureata in Lettere all'Università di Pisa, successivamente si è specializzata nell'insegnamento dell'italiano come lingua seconda diplomandosi in didattica dell'italiano Li. Dal 2010 vive a Ginevra dove insegna lingua e cultura italiana agli adolescenti e agli adulti. In questo ambito collabora con l'Università di Ginevra.

DUILIO PARIETTI (Luino, 1958) radiofonico e scrittore. Ha pubblicato i romanzi: Il sindaco con due mogli (Albus Ed., 20 13) ristampato nel 2016 (Rapsodia Ed), Se non sono gigl~ (Rapsodia Ed., 2015), ristampato nel 2016 con l'introduzione di Pier Michelatti, (storico bassista di Fabrizio de André), La notte dei soli (Europa Ed. 2017) e il thriller Non mi prenderete mai (Vertigo Ed, 2018). TONI RICCIARDI è storico delle migrazioni presso l'Università di Ginevra. È condirettore della collana «Gegenwart und Geschichte-Présent et Histoire» (Seismo), è tra i coautori del Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, del primo Dizionario enciclopedico delle migrazioni italiane nel mondo (Ser, 2014) e membro del comitato editoriale di «Studi Emigrazione». Tra le sue ultime pubblicazioni, L'imperialismo europeo (Corriere della Sera, 2016), Breve storia dell'emigrazione italiana in Svizzera. Dall'esodo di massa alle nuove mobilità (Donzelli, 2018) e Suchard un colosso dalle mani migranti. Storie di donne italiane nell.a cioccol.ata (Tau, 2019) .
CARLO SILINI (Mendrisio, 1965), si è laureato in teologia a Friburgo, è sposato e ha un figlio. Editorialista e caporedattore al «Corriere del Ticino», nel 1999 ha firmato con Giovanni Vigo il saggio Dal mille al futuro, ed. San Giorgio. Nel 2005 ha vinto il premio di Giornalista svizzero dell'anno, attribuito dalla rivista «Schweizer Joumalist». Nel 2015 si è invece aggiudicato Lo Swiss Press Award - il principale premio di giornalismo svizzero - nella categoria Print. E nel 2017 ha fatto il bis del medesimo riconoscimento nella categoria «Locab>. Come scrittore ha esordito nel 2015 col thriller storico Il l.adro di ragazze (ed Gabriele Capelli), ambientato nel Mendrisiotto del Seicento. In gennaio 2019 è uscito, sempre per Gabriele Capelli, il suo secondo romanzo dal titolo Latte e sangue.
ARIANNA ULIAN (Sandrigo, 1975), laureata in fìlosofia all'Università di Bologna, ha ottenuto un DEA presso l'Università di Parigi IV Sorbona Ha frequentato il Conservatorio di Bologna e studiato composizione elettroacustica a Parigi. Nel 2015 è entrata nella Bottega di Narrazione di Giulio Mozzi e Gabriele Dadati. Vive a Venezia, è insegnante.
Gli autori di Opera Nuova
Prisca Agustoni 2011/t, 2014/1, 2014/2 Michele Amadò 2015/1 Fabio Andina 2013/i
Flavio Arrigoni 2013/t, 2014/i, 2015/i, 2016/i
Fabiano Alborghetti 2010/t, 2018/i Pier Carlo Apolinari 2010/i Wystan Hugh Auden 2015/i Sylvia Bagli 2019/ 1 Raffaele Beretta Piccoli 2011 / 1 Daniele Bernardi 2013/ 1 . Yari Bemasconi 2017/2 Vanni Bianconi 2010/i
Domenico Bonini 2011/i, 2015/ 1
Tomaso Bontognali 2010/i
Giovanni Bruno 2019/t, 2019/i
Lorenzo Buccella 2015/ 1 Elia Buletti 2010/i Michele Canducci, 2018/t Sara Camponovo, 2016/t Sabrina Caregnato 2014/t, 2017/t,

2017/2, 2018/2, 2019/1, 2019/2
Valeria Callea 2017/t Lillith Cavalli 2018/i Pierre Chappuis 2011/t, 2012/i Joanne Chassot, 2016/i Luca Cignetti, 2017/i Davide Circello 2017/t Lucia Colombi-Bordoli 2010/i Fabio Contestabile, 2016/ 1 Angela Curatolo 2019/t Valeria Dal Bo 2012/ 1 Alessandro Dall'Olio 2016/i Andrea De Alberti 2012/t Adele Desideri 2014/ 1 Daniele Dell'Agnola 2013/i, 2017/i Daniela Delfoc 201 i/ 2 Anna Maria Di Brina 2019/ 1 Mauro Delfoc 2011/i Jacques Dupin 2010/t Anna Felder 2015/i
Simone Fornara 2011/2, 2015/t, 2017/t
Gaetano C. Frongillo 2012/i
Lia Galli 2012/t, 2017/t
Mario Gamba 2011/i, 2015/1
Claire Genoux 2013/ 2 Dario Galimberti 2019/i Laura Garavaglia 2015/t Debora Giampani 2016/i Alberto Gianinazzi, 2018/ 1 Francesco Giudici, 2018/t Giuliana Pelli Grandini 2015/ 1
Cécile Guivarch 2014/i
Silvia Harri 2011/i Federico Hindermann 2010/t Marica Iannuzzi 2017 / 1
Gilberto !sella 2013/t , 2015/i
Elisabetta Jankovic 2012/i Elena Jurissevich 2010/ 1 Luigi La Rosa 2019/ 2 Pierluigi Lanfranchi 2011/t Eva Maria Leuenberger 2016/i Wanda Luban 2019/t Allievi della 1 ° elementare di
Lugano-Cassarate, 2018/ 1 Claudio Magris 2016/i Massimo Malinverni 2011 h Simonetta Martini 2011/i Sebastiano Marvin 2016/i
Manuela Mazzi 2015/t, 2019/i
Roberto Mc Cormick 2017/i, 2018/i,
2019/i
Nadia Meli 2013/i, 2014/i Paola Menghini 2010/i
Fabio Merlini 2015/1 Roberto Milan 2015/ 1 Christian Moccia 2014/i Edoardo Moncada 2019/ 1 Nicolai Morawitz 2017/i
Gerry Mottis 2012/1, 2013/i, 2017/i Laura Muscarà 2011/i Alberto Nessi 2011/i Guido Oldani 2014/i Tiziana Ortelli 2014/i Duilio Parietti 2019/i, 2019/i Angela Passare Ilo 201 7 h Amleto Pedroli 2013/i Alfonso Maria Petrosino 2010/i Vincenzo Pezzella 2013/i Annamaria Pianezzi-Marcacci 2010/i Mariacristina Pianta 2012/i Rosa Pierno, 2016/1 Roberta Plebani 2019/i Hélo"ise Pocry 2016/i Ivan Pozzoni 2012/i, 2106/ 1, 2018/ 2

Michèle Python 2017/i Fabio Pusterla 2011/i Federico A. Realino 2013/i, 2019/ 1 Anita Rochedy 2016/i Sergio Roic 2012/ 1 Marina Riva 2015/i Paola Celio Rossello 2012/ 2 Antonio Rossi 2014/ 1 Tiziano Rossi 2011/i
Luca Saltini 201 i/ 11 2014/i, 2015/i
Maria Elena Sangalli 2015/i Laura Sarotto 2013/i Oliver Scharpf 2010/i Adam Schwarz 2016/i Giulia Elsa Sibilio 2012/i Carlo Silini 2019/i Carlotta Silini 2017/i Tommaso Soldini 2013/i Michelle Steinbeck 2016/i Studentesse e studenti DFA-SUPSI
2014/i, 2015/i, 2016/i, 2017/i, 2018/1
Flavio Stroppini 2010/ 11 2010/i, 2012/i, 2013/i
Denise Storni 2012/2, 2013/2, 2014/2 Lolvé Tillmanns 2016/i Vincenzo Todisco 2013/2, 2017/i Andrea Trombin Valente 2012/i Arianna Ulian 2019/i Tiziano Uria 2019/1 Maria Rosaria Valentini 2013/i Bernard V argaftig 2013/i Simone Zanin 2013/i
I collaboratori di Opera Nuova
Prisca Agustoni 2010/i, 2012/2, 2013/2 Claudia Azzola 2015/i Arnaldo Benini 2016h Giovanni Bardazzi 2010/ 2
Michela Bettoni 2018/ 1
Andrea Bianchetti 2013/ 1 Stefano Bragato 2018/i Laura Branchetti, 2016/i, 2019/i Mariarita Buratto, 2016/i Sebastiano Caroni 2017h Raffaella Castagnola 2010/i , 2011/i,
2012/ 1, 2013/1, 2014/1, 2015/ 1,
2015/2, 2017/1, 2018/2
Luca Cignetti 2010/i, 2014/ 1, 2014/i,
2015/1, 2017h
Silvia Demartini 2017h
Dario Corno 2010/ 1, 201d 1, 2013/ 1
Andrea Fazioli 2017h Natascha Fioretti 2015/i

Simone Fornara 2011/1, 2017/i,
2017/i, 2018/i
Simone Giusti 2010/i
Gilberto !sella 2010/1, 2011/i, 2013/1,
2014/ 1, 2014/2, 2015/1
Nina Jaeggli 2010/i Sandro Lanzetti 2012/i Fabio Lo Verso 2019/i Paola Magi 2013/ 2 Manuela Mazzi 2019/ 1 Flavio Medici 2011/i Simona Meschini 2017/i
Sara Murgia 2014/i Giampiero Neri 2017h Margherita Orsino 2011/i, 201i/2
Fabio Pagliccia 2015/i, 2016h, 2018h Emilio Palaz 2012/i Maurizio Palma di Cesnola 2011/i Letizia Pampana 2019/i Giulia Passini 2012/ 1 Matteo Maria Pedroni 2010/i Mariacristina Pianta 201i/1, 2015/1 Giuseppe Polimeni 2012/ 1 Giulia Raboni 2011/i
Ludovica Radif 2017/i Stefano Raimondi 2011 / 1 Toni Ricciardi 2019/i
Gerardo Rigozzi 2010/i, 2011/2, 2014/i
Roberto Ritter 2011/i Sergej Roic 2013/i Antonio Spagnuolo 2018h Lorenzo Tomasin 2015/i
Matteo Viale 2012/1, 2016/ 1, 2019/i
Lorenzo Tomasin 201 7 / 1 Luca Zuliani 2010/i
Le interviste di Opera Nuova
Y ari Bernasconi 201 7 h Massimo Gezzi 2017/1
Pier Vincenzo Mengaldo 2010/i Fabio Pusterla 2011/i
Gian Mario Villalta 2010/i
Le pubblicazioni di Opera Nuova
Collana Artemis
1. Luigi Rossini, Collerico, superbo, nel tempo istesso modesto, benigno.
Scritti autobiografici, 2014
Collana Autografica
1. Federico Hindermann, Cerchi di luce, 2010 2. Prisca Agustoni, Casa delle ossa, 2010 3. Pier Carlo Apolinari, Preludi e fughe senza indicazioni di tempo, 20 11 4 . Robero Milan, Il mare alla rovescia, 2011 5. Jacques Dupin, Scarto, traduzione di Gilberto !sella, 2011 6. Simone Fornara e Mario Gamba, I cavalieri davanti al fiume, 2011 7. AA.VV., Il punto illustrato, 2011 8. Sergej Roic, Il gioco del mondo, 2012 9. Pierre Chappuis, Il mio sussurro. Il mio respiro, 2010. 10. Gilberto !sella, Caro aberrante fiore, 2013 11. Giuliana Pelli Grandini, Le Marfungole, 2013 12. Sergio Wax, Fragmentos, 2013 13. Michele Amadò, Nient'altro che cinque minuti, 2014 14. Sergio Wax, Terra e sale, 2015 15. Anna Felder, Liquida, 2016 (2° ed. 2017) 16. Luca Cignetti, Nel tempo cavo, 20 19

Collana Riflessi
1. POESIT. Repertorio bibliografico dei poeti nella Svizzera Italiana, a cura di Raffaella Castagnola e Matteo Viale, 2012 2. Oscar Mazzoleni, Andrea Pilotti e Marco Marcacci, Un cantone in mutamento. Aggregazioni urbane ed equilibri regionali in Ticino, 20 14 3. Michele Amadò, Disegnare il mondo, 2015 4 . Michele Amadò, La casa delle muse - LAC, 2016 5. Michele Amadò, Oracoli. Fontane del Ticino, 2017 6. Michele Amadò, Quatto quatto come un gatto, 2018
L'ERRORE
PREMIO LETTERARIO OPEHA NU0\IA 1" E0IZI0I\E
«Cli 1·1T11ri ,111111 lll'1·,.s.,;;11'Ì. 111 ili ,
·11111,• il pan,· ,. s111·ss11 a11ch1· lll'lli». Così sni,·1·, a Cia1111i H,.l11ri 1lt'I , 11111·..l,·lin· / _ il,ro t!,,.di 1·rn11i. 111 111·orclo cl,·l µrnnd,· st-ri111,r1•. cli rni 11..I :l0:l0 ri1·11rr1· il 1·1·1111·11ario cl1·lla na,,.·i1a. la rivista Opera Nuova bandisce un premio letterario dedicato a racconti inediti ispirn1i al 1t·111a d1•ll'1•rr,,r1•. Il n·gola1111·1110 1\ ,,.,111plin·: • ogni a11l11n· p11ù itl\ian· il proprio ll'slo entro il 13 dicembre 2019 all'indirizzo premio@operanuova.com. irnli.-:1111111 il 1i1ol11 cl..! n11Ton10. il proprio 1101111' 1· 1·0µ1101111•. 1111 n·rnpilo po,,1al1·. l'i111lirizzo ,·-mail 1· 1111a did1iarnzioi11· ,·Ili' il ra,·,·011111 pn·,,.·111a10 ì· frullo cl,·1 proprio i11µ1·µ110 ,. dlt' ,,.. m· 1••ssi1·cl1· r,,,,.·111,i\"a 1i111lari1ù d1·i diri11i di , fru11a11wn10. :,4•11za li111i1azio1lt' o 11111·n· aln11111 sullo slt'"" 1ll'i n,nfnnlli cli 11·rzi:
• il 11·, 111 cl1·,·1· 1•s.,;,•n· cli 1li11lt'n,io11i 1·0111pn•st• fra lt· 6'000 1· I,· :l0'000 ha111111· (spazi i11.-l11si) ,. srri1111 in 11110 d,·i St'!(llt'llli f11n11a1i: d, • .. d1•·.x o rlf:

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• 111'1 caso in n1i il 11·,10 n·nµa -,·lt·zionalO ,·01111· li11alis1a. l'aulon· a1· , ·011,,.·111t· alla sua
p11lilili1·azi111w ,11lla rivi,1a 01wrn .\1111"·a:
• la par1t·1·ipazion,· implit'a l'.11T1·11azio1w i1111·µnd1• ,. l'o,,1·r\11nza 111·1 pn·.i·nlt· lmndo.
Cli aulori ,..!1·ziona1i ,arn111111 i11fonna1i p1·r l'-lllail 1·111m il 111,·st· di µ,.1111aio 20:l0 ,. i rn1·1·0111i li11alis1i ,aranno p11lihlirn1i sulla ri\"iSIH Op1·rn .\1110\'ll. Il rn111i1a10 di l1·1111ra ì· rn111po,10 da Sal,rina Can·µnalo. Luca Cig1lt'lli. Si11101w Fornaru. \la111lt'la .\lazzi 1· Ci11lio .\lozzi . . \I , ·i1u-i1or,. d1·I 1·1111.-orst, sarì1 rnrrisposlo un premio di 300 CHF . . \I st·1·1111clo ,. al 1t·1·/.o das.ilirn111 sarù 1-orris1•.slo un premio di 100 CHF.
·ruui µ:li auluri ~·lt·zionn1i ri,·1·,t•ranuo in orna;.::gio un ahlm11a11w1110 alla ri, i:-tla d,·lla durali!
di 1111 anno. P1·r ahn· i11f11r111azioni sni\t·n· all'indirizzo premio@operanuova.com o visi1an· il ,ilo
www.operanuova.com.
finito di stampare nel mese di dicembre 2019 dalla tipografia La Buona Stampa di Lugano


ISSN: 1663-2982 ISBN: 978-88-96992-27-2







