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La città nel deserto, di Dario Galimberti
from Opera Nuova 2019-2
La città nel deserto
di Dario Galimberti
Dove portino ogni giorno il I.oro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori dalla città, certo; ma ogni anno la città s'espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l'imponenza del gettito aumenta e le cataste s'innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Italo Calvino, Leonia, Le città invisibili
Nell'anno 2020 le Nazioni Unite approvarono il progetto Leonia.
Le politiche internazionali sulla diminuzione dei rifiuti e sul riciclaggio si erano rilevate fallimentari. L'UNEP (U nited N ations Environment Programme) fu smantellato. Le nazioni all'avanguardia in quell'ambito, come la Svizzera, l'Austria, la Germania, e l'Olanda si arresero. La logica del profitto prevalse sulla necessità di salvaguardare le risorse del pianeta. Una commissione di esperti internazionali - già all'opera dal 2016 - propose un progetto radicale per la raccolta di tutti i rifiuti della terra.
L'idea della Commissione W ok era semplice e si basava sullo slogan: all in one. Un unico luogo dove collocare i rifiuti, controllabile e gestibile in maniera razionale e sicura. La gestione sarebbe stata affidata in maniera ciclica alle nazioni appartenenti all'ONU, le quali avrebbero potuto disporre dei metalli preziosi e quant'altro estraibile dai rifiuti.
Il 27 settembre del 2020 Charlie W ok, presidente della commissione omonima, presentò il rapporto al palazzo delle Nazioni Unite a New
York. Dopo scrupolose analisi di numerosi siti del pianeta, la commissione decise che Leonia sarebbe sorta nel deserto del Sahara. Duecentocinquantamila chilometri quadrati tra la Mauritania, il Mali e l'Algeria: un'area grande quanto il Regno Unito. Quattro assi sugli
oceani e sui mari avrebbero garantito un adeguato collegamento con tutte le nazioni del mondo.
- Asse r: Oceano Atlantico sud, porto di Abidjan, Costa d'Avorio. Collegamento con l'America del Sud e l'Africa sub equatoriale. - Asse 2: Oceano Atlantico nord, porto di Dakhla, Sahara Occidentale.
Collegamento con l'America del Nord e il Canada. - Asse 3: Mediterraneo, porto di Al Hoceima, Marocco. Collegamento con l'Europa e la Russia. - Asse 4: Mar Rosso, porto St. Johns. Collegamento con l'India e la Cina.
A nulla valsero le proteste dei governi e degli abitanti dei luoghi scelti, così come quelle degli ecologisti e degli ambientalisti di tutto il mondo.
Il g marzo del 2022, fu posata la prima pietra di quella che sarebbe stata la più grande città senza abitanti: Leonia, la città dei rifiuti.
Leonia: 8 marzo 2044

«Cosa?»
«Dove è il cappello?»
«Accidenti Derek, l'ho perso. Sarei dovuto stare più attento. Non riesco ad abituarmi a questo posto, alla pioggia perenne e al cielo grigio.»
«Ci sei cresciuto ... »
«Odio questo luogo e chi ha avuto la maledetta idea di costruirlo.»
«Hanno edificato Leonia nel più grande deserto allora conosciuto, sottovalutando i cambiamenti climatici che essi stessi avevano innescato. Non hanno previsto quelle variazioni che si nascondono nelle pieghe degli eventi e che possono provocare fatti catastrofici. Non hanno pensato al caos.»
«Che cosa intendi?»
40 • I CAMBIAMENTI CLIMATICI
«Intendo che molti anni fa decisero di trasportare i rifiuti prodotti dall'uomo in un luogo sicuro. Un luogo asciutto dove non piovesse mai. Non è andata così.»
«Qui piove sempre ... »
«La pioggia ha prodotto proprio quello che non volevano: Spoon River.» Fece un sorriso amaro. <<Un nome irriverente per un fiume, anche se trasporta morte.»
«Derek, perché hanno tutti paura dello Spoon River?»
«Perché nel suo letto non scorre acqua ma veleno, e lo riversa nel Mediterraneo e negli oceani.»
«E cosa succederà?»
«Il fiume di percolato sta riversando nel mare, arsenico, bario, berillio, piombo, antimonio, mercurio, cromo, diossine e chissà quante altre porcherie utilizzate per reaJizzare oggetti che dopo poco tempo sono stati buttati. Oggetti che sono durati quanto la vita di una farfalla, e ora sono qui a morire, a liquefarsi, a disintegrarsi e a produrre tossine». Derek fece una lunga pausa e aggrottò le sopracciglia. «Questo è quello che sta succedendo. Che cosa succederà? Non lo so, proprio non lo so ... »

«Faranno qualcosa?»
Derek guardò negli occhi il suo giovane accompagnatore, non rispose, aumentò il passo e cambiò discorso.
«Acceleriamo. Dobbiamo raggiungere District Keyboards prima del tramonto.»
Derek e Boone avanzavano a fatica nella strada di melma che costeggiava lo Spoon River. La fanghiglia attanagliava gli stivali e i passi erano lenti, come se i piedi fossero appiccicati al suolo. La pioggia scalfiva la superficie del fiume e gli anelli concentrici parevano indissolubili in quel liquido marrone denso e maleodorante. Su una montagna di computer, rotti, smontati, e disassemblati, un gruppo di smantellatori corvi, protetti da mantelline antracite, rovistavano chini nelle masse plumbee di ferra-
glia alla ricerca di tecnologia arrugginita. Con perizia e risolutezza racco0 glievano pezzi di rifiuti come se stessero vendemmiando. I veleni che gli smantellatori corvi manipolavano ogni giorno avevano innescato qualcosa di orribile: un'esponenziale e irreversibile modifica genetica dei loro organismi era in atto. La natura li stava mutando per la sopravvivenza. Un residuo di timore verso gli altri li induceva ancora a mimetizzare le secrezioni cutanee, le piaghe e tutte le altre malformazioni che stavano appropriandosi del loro aspetto umano. Nessuno voleva averci a che fare, come i lebbrosi della Bibbia, ma da lì a poco avrebbero mostrato con orgoglio i segni della nuova specie.
«Devo procurarmi un copricapo.»
Boone si avvicinò a una massa di rifiuti e con un pezzo di metallo, trovato nelle vicinanze, si mise a frugare tra gli scarti. Un frammento di plastica antracite poteva diventare il suo nuovo cappello.
«Fermo!» Fece Derek all'amico fradicio.
Boone lo fissò attraverso uno schermo d'acqua che gli velava il viso. Derek girò la testa verso la collina e con un cenno del capo indicò gli smantellatori corvi. Boone lasciò cadere tutto, fece vibrare le mani come se avesse preso la scossa e si allontanò con uno scatto dagli ammassi informi che delimitavano la via.

«Non devi utilizzare nulla di quello che ci circonda. Usa solo oggetti che si trovano all'interno delle torri.»
«Derek, me ne voglio andare da questo posto». Fece Boone quasi in lacrime. «Mi hanno sempre raccontato che l'inferno fosse tra le fiamme, invece è nell'acqua. In questa insopportabile, odiosa e schifosa acqua.»
«È quello che faremo. Ma prima dobbiamo arrivare alla torre di District Keyboards.»
«Quanto manca?»
«Non molto.»
42 • I CAMBIAMENTI CLIMATICI
Una fila di persone disordinata si estendeva per una cinquantina di metri nei pressi della District Keyboards. Derek la superò di lato e Boone lo seguì. Girarono l'angolo del gigantesco monolite di calcestruzzo, che pareva una mesas della Monument Valley, finché furono davanti a una porta d'acciaio invulnerabile. Derek appoggiò la mano in un settore a metà dell'anta blindata e, tra cigolii ferrosi, la porta si apri. Entrarono, si lavarono e si rifocillarono, Boone trovò una mantellina impermeabile.
Discesero nei sotterranei, attraversarono un cunicolo e si ritrovarono davanti alla fila sul molo. Due smantellatori corvi, armati di Kalashnikov, controllavano l'accesso. Con noncuranza Derek passò a uno dei coroi una barretta di rodio, questi la prese con la stessa noncuranza e li lasciò passare. Davanti a loro un vecchio sottomarino U47 della Seconda guerra mondiale stava per levare gli ormeggi: si affrettarono a salire.
La stiva era colma di gente d'ogni risma e d'ogni conio: impiegati, tecnici, operai, gente grigia e feccia umana. Arroccati nel sudicio e malsano posto conquistato con fatica, abbracciavano stretti valigie e fagotti, e parevano pronti a difendere il loro anfratto con i denti e con le unghie. Derek e Boone si strinsero nell'ultimo posto rimasto, sotto un tubo arrugginito da cui colava un indefinibile liquido che spariva miracolosamente tra le fessure del pavimento.
Un vecchio lì vicino lanciò a Derek uno straccio, questi lo ringraziò con lo sguardo e s'ingegnò a riparare il tubo.
«Come ti chiami ragazzo?» Fece il vecchio.

<<Boone.»
«Vai a incontrare il mondo, quello vero?»
«Andiamo a Parigi a vedere la torre.»
«La tour Eiffel... La plus belle du monde ... »
«La conosce?»
«È da più di vent'anni che sono qui all'inferno e da allora non ho più visto nulla ... E tu, ragazzo?»
«lo sono cresciuto a Leonia e non conosco il mondo.»
Il vecchio lo guardò con malinconia.
«Sai cosa mi manca del mondo, quello vero? Lo sai ragazzo?»
Il giovane era in trepida attesa. Il vecchio gli puntò addosso due occhi opachi, smarriti, e poi, guardando oltre le cuccette stracolme di gente, oltre le pareti e il soffitto del sommergibile, fece risoluto: «Un cielo azzurro.»

Boone ascoltava. Aveva la bocca mezza aperta e le orecchie pronte ad assimilare ogni narrazione che lo aiutasse ad arricchire quello che aveva visto solo attraverso le immagini.
«Puoi resistere per parecchio tempo senza tante cose, cose utili e cose inutili, oggetti d'ogni genere, comodità, cibo, amicizia, amore, ma senza un cielo azzurro non ce la fai ragazzo, non ce la puoi fare ... »
Il vecchio s'incupì, girò lo sguardo e lo pose sul pavimento e sull'acqua che colava lenta tra le fessure.
Il sorriso soddisfatto di Derek, che aveva appena riparato il tubo, portò una briciola di serenità in quell'assurdo posto.
«Posso vedere la foto della torre di ferro?»
Derek frugò per qualche istante nella borsa di cuoio che si portava sempre appresso ed estrasse una busta ingiallita e logora. Con cautela prese il mazzo di cartoline dell'inizio del secondo millennio che vi erano al suo interno e, attento a non sciuparle, iniziò a spillarle come in una mano di poker. Vi erano raffigurati i più importanti monumenti dell'umanità: il Taj Mahal, la Torre di Londra, il Colosseo, le piramidi di Giza, e molte altre, finché non comparve la Torre Eiffel: la estrasse dal mazzo. Baone allungò la mano, la prese tra il pollice e l'indice con delicatezza, gli piantò gli occhi addosso e si estraniò. La Torre Eiffel si stagliava verso il cielo blu cobalto velato di bianco e pareva lo volesse trafiggere. Ai suoi piedi i filari di alberi del Campo di Marte accentuavano la prospetti-
44 • ICAMBIAMENTI CUMATICI
va facendola sembrare l'incredibile mezzo con cui si sarebbe potuto raggiungere il cielo, i pianeti e tutte le stelle.
L'U47 si avviò lento sullo Spoon River. Navigando in superficie attraversò L'Algeria e il Marocco fino ad Al Hoceima, da lì si immerse nelle profondità, raggiunse lo stretto di Gibilterra e poi l'Atlantico. Costeggiando il Portogallo, la Spagna e poi la Francia arrivò a Le Havre. Riemerse nei pressi di Notre-Dame-de-Gravenchon e navigò sulla Senna fino Parigi.
Un corvo, ccin addosso la perenne mantellina antracite, fece una specie di verso simile al grido di un rapace e lo accompagnò col gesto perentorio della mano che comanda. I primi della stiva si alzarono, e poi anche gli altri iniziarono a raccogliere le loro poche cose per accodarsi nello stretto corridoio del sommergibile: erano arrivati. Boone guardò Derek e i loro sorrisi s'incontrarono.
L'infernale viaggio era finito. Nonostante i numerosi giorni di disagio, con poca aria, acqua, senza luce e spazio, annichiliti tra tensioni e pene, ce l'avevano fatta. Ce l'avevano fatta oltre ogni ragionevole limite e oltre ogni speranza. Finalmente avrebbero visto il cielo azzurro, gli alberi rigogliosi, i prati verdi e una città vera. La felicità di Boone traspariva dagli occhi e da lì si diramava ovunque contagiando tutti: la torre di ferro lo aspettava.
Al portellone d'uscita un corvo celava un ghigno sinistro nell'ombra del cappuccio scuro: si fissarono. Boone uscì di corsa sulla banchina, guardò i giardini del Trocadéro, e poi si girò verso la Torre Eiffel. Gli occhi si trasformarono in fessure e le lacrime le riempirono sfuocando ogni prospettiva di quel panorama torbido. Non vi erano né ombre né colori, e l'aria era colma di un odore nauseabondo e di un'irrespirabile pulviscolo grigio: Leonia ormai era il mondo.

