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Il nemico, di Luigi La Rosa

Il nemico

di Luigi La Rosa

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ll'occorrenza Janet sapeva anche rivelarsi una madre dura e particolarmente severa. L'ultima volta che Virginie c'aveva provato, non erano bastati i rimproveri, né la minaccia di rinchiuderla in casa per il resto dei suoi giorni, a farla desistere da quelle fughe irruente e un po' capricciose. Certi giorni la piccola spariva per delle ore, durante le quali cercarla era inutile: chissà quanti e quali nascondigli s'inventava. Poi, eccola rientrare con il suo sorriso affannato e la pelle scottata dall'afa, che sotto gli occhi disegnava occhiaie grandi come monete.

Eppure, sua madre credeva di essere stata chiara: oltre il cortile, oltre le foglie vizze che contornavano di un bronzo dorato e polveroso le siepi spettinate dell'ingresso, il divieto d'uscire si faceva assoluto. Indiscutibile. Sebbene inascoltato.

Virginie avrebbe compiuto otto anni la prossima vigilia di Natale, ma i mesi che precedevano l'inverno apparivano minacciosi e carichi d'angoscia. Janet covava dentro di sé il timore desolante di non farcela, e lo trasmetteva alla bambina attraverso i suoi gesti fermi, intensi, appesantiti dall'apprensione.

La città era un deserto, e il quartiere in cui vivevano si stendeva come una penisola frastagliata sulla deserta periferia ovest. Morti ovunque, uomini e donne che si accasciavano come mosche. I quotidiani parlavano di strage climatica. Solo nell'ultima settimana il Comitato di Salute Pubblica aveva certificato addirittura ben sette decessi, tra cui quello precoce dei gemelli W arren, i due monelli sdentati che abitavano a qualche edificio da loro e che Virginie aveva incontrato giusto qualche volta all'uscita di scuola.

Il giorno prima era toccato all'anziana capofamiglia: la vecchia si era distesa intorno allo stagno della grande villa comunale mormorando be-

stemmie incomprensibili e chiudendo gli occhi sull'ultima striscia accesa di crepuscolo. Poi, adagiato il capo su uno strato di sterpi pietrificati, non si era più mossa.

Chi l'aveva accompagnata al cimitero giurava che il cadavere aveva conservato la stessa rigida posizione anche all'interno della cassa metallica che ormai sostituiva le antiche bare di legno. Qualche preghiera e un pugno di terra sconsacrata su quelle ossa affaticate. Poi, il silenzio.

Tuttavia, non erano quelle morti improvvise, inspiegabili e quasi prive di dolore ad allarmare Janet, ma il tempo.

Le mattine, soffocanti, scolpite nella chiara d'uovo, con i loro cieli che fiammeggiavano quasi qualcuno li avesse cosparsi di zolfo. I pomeriggi che esplodevano come bolle di folgore sui tetti semidistrutti. E le notti, che tardavano sempre a giungere e che non portavano nessun refrigerio ai campi incolti. Pure gli animali vi crollavano stremati, bestie che imputridivano scarnificate ai margini dei sentieri. Terreni su cui si moriva adagiandosi senza ribellarsi, piegati in posizioni che rammentavano violente nascite, i volti fissi in smorfie piene di sgomento.

La temperatura, annunciava il drastico bollettino del telegiornale serale - questo fino a quando gli utensili avevano continuato ad andare e le combustioni domestiche non avevano mandato definitivamente per aria aggeggi elettronici e impianti elettrici , avrebbe continuato a salire, oltre ogni lecita previsione, oltre ogni umana supposizione, al di là di ogni terrificante sospetto, fino al punto di prosciugare gli ultimi corsi d'acqua della regione, compreso il romantico fiumiciattolo che bagnava la zona, insinuando il suo corsivo fangoso tra filari di bassi canneti ed erba medica. Negli ultimi tempi il suo livello s'era abbassato orribilmente, e spuntoni di roccia del colore della carne viva, emergevano tra flutti sempre più deboli. Prima di Natale, prima dell'ottavo compleanno di sua figlia, pensava Janet, il fiume avrebbe perduto anche l'ultima goccia d'acqua e il suo letto si sarebbe trasformato in un nastro di fuoco. Prima di allora, si ripeteva soggiogata dall'ansia, bisognava che si trovassero entrambe altrove.

54 • ICAMBIAMENTI CUMATICI

Sulla mappa stradale rinvenuta tra i disordinati scaffali del salotto, Janet aveva individuato almeno cinque diverse vie di fuga, cinque possibilità per scampare all'abisso nel quale il mondo pareva esser precipitato. Sarebbero andate a piedi, avrebbero attraversato la pianura che un tempo era stato il vasto giardino fiorito del Municipio e oltre la piazza silente del paese avrebbero finalmente intrapreso una marcia ostinata fino alla statale. Poi giù, verso l'incrocio con la direzione Nord e l'autostrada.

Si diceva che di tanto in tanto qualche camion diretto al confine passasse ancora. Ma forse si trattava di chiacchiere, speranze che il racconto dei sopravvissuti s'impegnava disperatamente a tenere in vita. Si sapeva che il carburante scarseggiava, e che le poche taniche di riserva venivano scambiate a prezzi da capogiro. Janet intuiva quello che avrebbe dovuto pagare in cambio della promessa di essere trasportate lontano - lontano da quell'inferno, da quella solitudine, lontano dalla loro vita condannata - ed era disposta a tutto pur di salvare sua figlia e se stessa.

Non temeva le mani rudi degli uomini che quotidianamente risalivano da un capo all'altro il paese, né i loro sguardi sporchi, egoisti, traboccanti di lussuria. Troppe volte se li era sentiti addosso come una scorza. A preoccuparla erano semmai i viveri, la mancanza di cibo, la scarsità d'acqua.

Negli scaffali degli store lungo la strada, le scorte diventavano ogni giorno più rare. Scoppiavano liti furibonde. Un tipo aveva perfino fatto brillare il coltello. Ma Janet era donna di fede e recitava tutte le sere un fitto rosario di desideri impronunciabili: sapeva che da lassù qualcuno avrebbe pensato a loro. Mare forse, il suo adorato Mare, che da quando se n'era volato via per una rissa con una lama infilata fin dentro ai polmoni, non aveva mai smesso di farle sentire la sua presenza. Certe notti Janet credeva di percepirla dal profumo, pallida come un'aureola intorno a lei e a Virginie. La bambina non mostrava neppure d'accorgersene.

Erano le notti in cui il desiderio del marito tornava ad assalirla come una febbre. Janet si accarezzava maldestramente, piangendo ogni volta un poco. Poi si asciugava le lacrime nel bozzolo dell'oscurità.

Ma questo succedeva prima dell'eclissi, prima che gli astri si mettessero a ronzare come sinistri pipistrelli di morte, e i termometri impazzissero e le cavallette si spegnessero sui davanzali simili a manciate di coriandoli di . un'apocalisse annunciata.

Ormai nulla, nulla di tutto questo aveva importanza, e il passato stesso appariva lontano, sfocato, insignificante quanto un sogno sognato prima dell'alba, uno di quelli che svaniscono in un batter d'occhi e che non sono in grado di vincere la lotta con la realtà.

Per questo Janet si era imposta di non arrendersi. Se non avesse ottenuto il passaggio, sarebbero andate a piedi. Si sarebbero mosse come soldati in fuga, come sorelle, due creature solitarie e affamate di vita. Nessuno sarebbe riuscito a fermarle. Avrebbero dormito all'aria aperta, sotto la luce di stelle crudeli, e trovato riparo nelle torri metalliche dei tralicci in disuso. Avrebbero digiunato con dignità, orgogliose come regine. Se necessario, Janet avrebbe pescato a mani nude, per la sua piccola, gli ultimi pesci degli stagni incendiati. Li avrebbe cotti e sminuzzati sulle pietre dei giardini ardenti. Li avrebbe liberati con un soffio delle loro polveri lievi.

Da quei roghi sarebbero rinate le loro certezze.

Se necessario lei e la sua bambina si sarebbero spinte fino alla fine del paese, fin dove termina il mondo. Poi, prima di Natale, prima del compleanno della piccola, Janet avrebbe invocato la neve, una pioggia di bianco per spegnere ogni sofferenza, per seppellire ogni preoccupazione, per annientare il loro nemico principale. Il fuoco.

Ma bisognava che Virginie fosse paziente e la ascoltasse, che le ubbidisse senza margini d'errore. Non poteva essere altrimenti. Ecco perché all'occorrenza Janet sapeva anche rivelarsi una madre dura e particolarmente severa.

56 • ICAMBIAMENTI CUMATICJ

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