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Tetrapodi, di Arianna Ulian

Tetrapodi

di Arianna Ulian

I.

ehe non è il momento, ha detto lui. Che invece è proprio il momento giusto, ha detto lei. Parlano a voce molto alta e su toni acuti e, a tratti, anche l'uomo sembra parlare con voce di donna e poi è costretto a schiarirsi la gola, che si stringe e gli brucia. Se abbassa il tono, però, la sua voce viene completamente schermata dalla pioggia e dal vento e dai colpi che sembrano grandine contro i vetri dell'auto. Sotto quest'acqua e con questo vento, dice lui, ci tocca gridare per sentirci. Come fai a voler parlare. Non vedi, non senti che è già difficile tenere la strada, non vedi che faccio fatica guidare. Se serve parlerò più forte, dice lei, ma devi ascoltarmi.

Piccoli sassi colpiscono il parabrezza, forme irregolari fra i larghi cerchi che la pioggia disegna da ore: è ghiaia schizzata dal rimorchio che li precede, con il telone lasco a causa del forte vento. I sassi fanno un rumore scostante mentre la pioggia, a seguirla, manifesta una sua uniforme pulsazione. Il cielo ai lati della strada ha colori che lui non saprebbe nominare, sovrapposizioni e ritagli di nubi scure di viola e di verde, riflessi marroni e grigi. Lui ha smesso di osservare i colori del cielo e di stupirsi. Non compie più lo sforzo di separare la bellezza poiché c'è in quei cieli tanta bellezza - dall'angoscia. Sono nuovi cieli, mai visti, e nuove acque furenti, onde e crepe, voragini e rovina. Guida. Preme le mani sul volante per assestare la direzione, contro il vento forte che potrebbe sviarli verso il centro della strada, e le sue mani mostrano la struttura delle ossa, i guizzi dei piccoli muscoli e la gomma blu delle vene.

Lei mentre parla gli guarda le mani e spera in quelle mani, per l'azione. Lui ha deciso che non farà nulla. Più delle parole contano

l'indole e la velocità del sangue nelle vene, la tensione che un uomo prova oppure no, la reattività inscritta nei suoi fianchi, così pensa lui.

Il carico del camion, un fronte di ghiaia chiara con scure venature di sabbia, smotta sotto i loro occhi e il telone di copertura .si gonfia al vento e sembra un'onda pronta a frangere le montagne. Ha visto erosioni e valanghe in time lapse nei documentari divulgativi e gli è rimasta negli occhi quella specie di morbida atrocità della terra che sfalda.

Che regga, che non ci sommerga, prega e rallenta controllando negli specchietti se l'auto seguente ha rallentato il sua volta, se chi guida ha visto le luci dei suoi freni; che stia alla giusta distanza, prega. Dobbiamo fermarci, le dice, aspettare che il camion vada avanti e che il vento si calmi almeno un po'.

Ai lati della strada, sotto al cielo variopinto, campi di fango e rare cascine vuote. Poco alla volta accostano verso la corsia d'emergenza e, sotto un cavalcavia, si fermano.

Lei dice che è egoismo, poiché per tutto il tempo della manovra aveva continuato il discorso dentro di sé. Gli dice che rifiutare la speranza è egoismo e stupidità. Quel suo far niente, rinunciare, è da irresponsabile. Non sa di essere parte di un sistema di relazioni dove nulla è solo suo, non la sua identità e nemmeno il suo corpo? Che la sua identità viene dal rapporto con gli altri e con l'ambiente. Che il suo corpo appartiene anche a lei, ai suoi, alla sua gente.

Sotto al cavalcavia c'è il silenzio, solo il bordo basso del vento accompagna la voce.

Il.

Lei, quando guida, poggia appena le mani al volante e le dita le stanno un poco allargate, attive. Parlano sempre della stessa questione, e lui non si convince e lui non si smuove, e lei insiste. Per ogni argomento che porta, le dita si attivano e dondolano come antenne di insetto; la voce si scalda e poi le sale di tono, così lui per opporsi l'abbassa, riem-

48 • I CAMBIAMENTI CLIMATICI

pie uno spazio sonoro cui lei non ha accesso e ripete il suo rigo di no, e poi si volta.

Il sole è ancora visibile bianco nel cielo slavato che non vuole scurire. Alcune strisce gialle traversano l'ampiezza del cielo, sono giallo ocra e giallo oro, i profili netti, l'inizio e la fine bordati di verde come gli striscioni degli aerei sopra le spiagge. Si può dire che sia bello, lui lo dice; e lei gli chiede di non provocare. Lui apre il finestrino ma l'aria è caldissima e impossibile da respirare; persino il tasto che ha premuto gli pare scaldato, il sedile, il tappeto sotto i piedi, allora orienta il bocchettone del condizionatore verso la propria faccia e inspira. Ti piace respirare chiede lei, che domanda senza senso dice lui e lei dice che invece di questo si tratta, che lui gode ancora la vita e che non vuole davvero morire, che si tratta di un principio ideale di scelta su cui si è impuntato, ma in fin dei conti sarà il corpo a reagire, a salvarsi. Lei dice che lui le appartiene, almeno un po', e che appartiene ai suoi, alla sua gente. Questa frase sentita mille volte ha in lui l'effetto di consolidare la convinzione, di infondergli la calma di chi ha già scelto; perciò le sorride di un sorriso che lei fraintende, e che l'appaga. Così restano entrambi soddisfatti in silenzio.

Si immette da destra un'autobotte. Lei sta guidando piano, le mani sicure sul volante, deve solo rallentare leggermente e accodarsi. L'acciaio brilla, la curva della cisterna ha riflessi verdi: è un cilindro enorme al centro della strada, luminoso, ha una qualità che calma, che quieta.

Lei grida. Lascia il volante, le mani aperte, frusta l'aria, gli occhi sbarrati, dondola il corpo sul sedile e scuote la testa bruscamente. Lui slancia le braccia verso il cruscotto e afferra il volante, una mano di lei lo colpisce in fronte, e non smette di urlare. Lui urla più forte, la sovrasta, le punta un gomito al petto per bloccarle i movimenti, per sedarla. Dice cosa cazzo fai sei scema fermati, frena, le preme una mano sul ginocchio destro. Ape urla lei Ape e scuote i capelli e scuote il collo

gonfiato. L'auto resta in carreggiata, lui riesce a condurre dal posto del passeggero, riesce a rallentare, la reattività inscritta nei suoi fianchi, l'indole e la velocità del sangue nelle vene. Lui riesce ad accostare. Il corpo reagisce e salva. L'autobotte si allontana, un cerchio lucente all'orizzonte.

Sono fermi sotto al sole bianco, i finestrini aperti, l'abitacolo vibra di caldo e della rabbia di lui. Lei parla veloce, nessuna pausa, nessuno spazio, senza fiato. Un'ape! Non avrei mai creduto che, eppure era una vera ape, deve essere entrata quando hai aperto in corsa, chissà come, devi scusarmi, io non credevo che ce ne fossero ancora, sai, non ho saputo trattenere il terrore, e credevo che mi fosse entrata dentro l'orecchio, per indole ho sempre avuto così paura delle api!

III.

Lei ha inclinato un po' il sedile, senza premere contro il bagaglio ammassato sui sedili posteriori, e poi si è addormentata con il viso rivolto verso di lui. Se aprisse gli occhi, sarebbe pronta a ricominciare. Gli occhi spalancati di quando tenta di convincerlo, come in uno sforzo, come incredula: lo fa a fin di bene, certo, per lui per sé per la loro gente. La vita di lui è importante e se c'è anche una sola possibilità, allora è un atto responsabile e pieno d'amore, che lui deve compiere. La paura è naturale, si affronterà. L'affronteremo. Non si può rassegnarsi.

Quando lei usa il plurale lui si sente solo e si immagina non più corpo ma ombra, un'ombra allungata su un terreno arido e piatto. Un deserto. Una gettata di cemento. Se non si mette in lista, sarà questione di mesi, lui questo lo sa. Il suo pensiero è già oltre: e infine, sarà doloroso? Non crede. Esistono centri specializzati, sostanze, trattamenti. Non sentirà più dolore di quanto sia abituato a sentirne. Un'ombra stesa sul cemento è una buona immagine per la sua esistenza. Per quella di tutti, crede. Non è depresso, non è rassegnato. Non è quella la sua indole. Siamo ombre nel tempo, il tempo ci da forma. Non le scelte, la nostra

50 • I CAMBIAMENTI CUMATICI

volontà, il progresso civile. Ma nel tempo ognuno e ogni cosa avanza, consuma il suo tempo e lascia il tempo. Cosa resterà di noi nel tempo.

La notte è straordinariamente fredda dopo i giorni cocenti e i forti temporali. Talvolta è necessario convertire l'aerazione interna in riscaldamento nel giro di poche ore. Sono sempre eventi estremi, adesso: ogni tempo che viene è maltempo. Lei ha partecipato a conferenze, dibattiti, presentazioni e comunque ritiene che si debba agire; anche in questo, per responsabilità e per amore.

Lui pensa al cemento, così prossimo all'eterno. Fra pochi chilometri la strada prenderà a costeggiare il mare e lui potrà ascoltare il rumore delle onde, gli schiaffi alla costa, le crepe della terra che cede alla furia dell'acqua.

Nell'area di sosta ci sono solo due camion, parcheggiati paralleli sotto ai lampioni. Il loro carico, illuminato bene, ben visibile, è però impossibile da definire. Sono forme metalliche, rugginose e immense, piedi di ferro che escono dal bordo del rimorchio, solidi di cui non puoi contare i lati, per i quali non possiedi un nome né assomigliano a nulla che conosci, e diresti che vengano da un altro spazio per prendersi tutto il tempo che resta.

D'un tratto si accorge di quanto è stanco, sente che deve chiudere gli occhi e spegne l'automobile, piccola forma domestica che tutti conoscono, accanto ai due camion.

Il loro carico incomprensibile, nel sonno, lo sovrasta.

IV.

Qualche chilometro di terra fra l'autostrada e la costa verrà cantierato domani, per permettere la fabbricazione dei tetrapodi. I camion di materiale inerte rovesceranno il loro carico, sabbia e ghiaino, al centro dello spiazzo. L'autobotte luccicante verrà fatta accostare, il grosso tubo verrà agganciato all'impianto di betonaggio. Terra e acqua si impasteranno e poi sarà come una masticazione di mostri, un suono di enorme

mangiare. Per ultimi arriveranno i due camion con le casseforme di acciaio, stampi a quattro piedi da riempire di calcestruzzo: dopo un periodo di riposo, gli stampi verranno aperti e il tetrapode sarà pronto all'uso.

Basteranno quattro stampi per fabbricare centinaia di tetrapodi.

Ogni tetrapode sarà sollevato e posato sulla riva, accanto e dentro al tetrapode che l'ha preceduto, fino a creare una barriera contro le onde e il vento che vorrebbero mangiare la costa, e non la mangeranno: perché i tetrapodi disperderanno la forza d'impatto dell'acqua, romperanno il fronte dell'onda in rivoli.

I tetrapodi formano argini cementizi per migliaia di chilometri, il 60% delle coste cinesi: contro le minacce ambientali agli insediamenti esistenti, per assicurare nuova terra da occupare. Sono oggetti eterni creati dall'uomo, che stratificheranno il pianeta futuro, indicatori geologici dell'azione umana. Tecnofossili sotto cieli variopinti, casseforme sotto i lampioni dell'aera di servizio.

52 • I CAMBIAMENTI CUMATICJ

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