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L'avventura di Margherita 60 Daphne lngold, La magia del cielo

La magia del cielo

di Daphne lngold • binomio: puzzola/ motoscafo

Pipet è una puzzola che ha tanta, tanta paura dell'acqua. La sola vista di quella cosa ... bagnata gli fa venire il prurito ovunque [GRAT GRAT]! E quando sente qualcuno dire la parola «acqua» [E ... E ... E ... ETCHÙ!] comincia a starnutire come un matto!

Pipet puzza più di tutte le puzzole messe assieme. Non si è mai lavato in tutta la sua vita. Per questo motivo Pipet viene sempre lasciato solo: gli altri animali non sopportano la sua puzza e lo prendono sempre in giro. - Ma guarda! Arriva Pipet! Puzza così tanto che quando passa ai fiori spuntano le zampe e scappano veloci come fulmini! - Già! Non ho mai visto un animale così stupido da avere paura dell'acqua! [E ... E ... E ... ETCHÙ!] Com'è triste Pipet.

Dall'altra parte del bosco, in mezzo ad uno splendido lago dalle acque brillanti, c'è Madeleine. Madeleine è il più bel motoscafo del mondo e anche il più veloce, ma ha un problema: ha tanta, tanta paura della terra, al punto che si rifiuta persino di avvicinarsene. Tante persone vorrebbero salire a bordo di Madeleine per esplorare il magnifico lago, ma nel momento in cui si avvicina alla riva per far salire le persone, Madeleine ha così tanta paura che spegne il suo motore e si rifiuta di ripartire. Molti meccanici la visitano per cercare di risolvere il problema, ma niente ... Visto che nessuno può salirci, le persone a poco a poco dimenticano Madeleine che rimane sola in mezzo al lago. La poverina si sente così sola che ogni notte piange. Piange così tanto che l'acqua del lago comincia a salire e a salire ...

Quella mattina Pipet si sveglia con una strana sensazione. Si sente ... bagnato ... Ma non bagnato come quando fa quegli incubi terribili pieni d'acqua [E ... E ... E ... ETCHÙ)), che lo fanno svegliare tutto sudato. No, si sente molto più bagnato. E poi ... Poi c'è quel prurito fastidioso [GRAT GRAT] ... Piano piano apre gli occhi e ...

ARGH! AIUTO! Quella cosa! La mia tana è piena di quella cosa! È piena di a ... di ac .. . DI ACQUA! [E ... E ... E ... ETCHÙ!].

E sviene.

L'acqua del lago, che è entrata nella tana del piccolo Pipet, trasporta la puzzola lontano lontano, fino al centro del lago, fino ad un'amica che già conosciamo. L'acqua lo porta da Madeleine.

Madeleine prende Pipet, lo mette sdraiato sui suoi bei sedili morbidi e aspetta che si risvegli.

Quando Pipet apre gli occhi, la prima cosa che vede sono il sole e le soffici nuvole. - Oh! Com'è bello il cielo] Come vorrei essere un uccello e volare lassù, tra le nuvole e le stelle] - Hai proprio ragione. Tante volte io vorrei essere un aeroplano per salire lassù e fare «cucù» agli uccellini.

Pipet si siede di scatto per capire chi ha parlato, e proprio allora si accorge dell'acqua [E ... E ... E ... ETCHÙ!], un lago davvero enorme che lo circonda da tutte le parti. Pipet ricomincia a urlare: - AIUTO! AIUTO! Qualcuno mi aiuti] Sono in trappola!!! - Perché gridi così, piccola puzzola? - Gli chiede Madeleine. - Tu non capisci! Io ho paura dell'ac ... dell'ac ... dell'acqua [E ... E ... E ... ETCHÙ!] - Però il cielo ti piace. - Sì, certo, ma non è la stessa cosal Il cielo non è per niente come .. . come ... come questa cosa che c'è nel lago] - Ne sei proprio sicuro? Hai mai provato a guardare com'è? - Certo che no! Quando guardo l'ac ... quella cosa, mi viene un prurito terribile! [GRA T GRA T] - Per una volta allora prova a guardarla! E se ti viene il prurito, ti aiuterò a grattarti!

Pipet si avvicina all'acqua, con gli occhi chiusi. Piano piano li apre, pronto a grattarsi come un matto, ma ... Quella non è una nuvola? E quello? Quello ... Quello è il sole! Pipet scopre così che l'acqua è come il cielo, quel cielo che gli piace così tanto! In quel momento Pipet decide di fare una cosa che non ha mai fatto prima: allarga le braccia e si tuffa, pronto a volare nelle acque del laghetto. Niente più starnuti! Niente più prurito] E scopre che gli piace davvero molto nuotare] Non vuole più uscire dall'acqua! - Oh, amica mia! Grazie] Grazie a te non ho più paura dell'acqua] Come sono felice! - Sono contenta che tu non abbia più paura. Come vorrei riuscire a vincere anche io la mia paura e riuscire ad avvicinarmi alla terra ...

- Anche a te piace il cielo, vero? - Sì, tantissimo! - Allora questa notte ti voglio mostrare un luogo speciale]

Quella notte Madeleine segue le indicazioni di Pipet e insieme arrivano vicino ad un prato pieno di fiori che brillano come diamanti. Ma Madeleine non ce la fa. Proprio non riesce ad avvicinarsi alla riva. Spegne il motore, chiude forte forte gli occhi e si mette a piangere. - Non ci riuscirò mai! - Amica mia, non piangere! Prova ad aprire gli occhi e guarda che spettacolo 1

Madeleine apre piano gli occhi e ... Oh! In quel bellissimo prato che Pipet le indica con la zampa ci sono tante piccole lucine che volano leggere facendo brillare i fiori come ... come ... - Stelle! I fiori sembrano tante stelle] E il prato ... Il prato sembra il cielo, un cielo stellato e luminoso come quello che c'è sopra di noi!

Piano piano, senza neanche rendersene conto, Madeleine si avvicina al prato. Non guarda più dove va perché quei fiori luminosi sono così belli che non riesce a pensare a nient'altro. Ad un certo punto, però, tocca la riva. All'inizio si spaventa, e vorrebbe quasi tornare indietro, al centro del suo laghetto, ma poi si accorge che in realtà la terra non le fa più paura. La guarda e si sente felice. La sua paura se n'è andata via per sempre, insieme alla paura di Pipet.

Madeleine e Pipet sono finalmente felici. Pipet decide di diventare insegnante di nuoto per aiutare tutti i piccoli animali (ma anche quelli grandi) che hanno paura dell'acqua ad affrontare la loro paura. Adesso non è più solo.

Anche Madeleine non è più sola. Adesso è sempre piena di gente che non vede l'ora di partire per fantastiche avventure: ora che non ha più paura della terra, infatti, tutti possono salirle a bordo per partire ad esplorare il meraviglioso lago.

Fiabe dall' infanzia per l' infanzia

a cura della maestra Simona Meschini

L'idea di questo progetto di riscrittura creativa nasce da una mia osservazione durante lo stage professionale: i bambini avevano buone capacità redazionali ma spesso mancava una struttura nei testi da loro scritti. Dal momento che la classe stava leggendo parecchi libri, la mia scelta è ricaduta su un piccolo ma interessante racconto di Gianni Rodari, Il giovane gambero. La storia, infatti, non era troppo lunga, aveva una struttura semplice, era facile da memorizzare e faceva esattamente al caso nostro. In un primo momento abbiamo letto il libro, lo abbiamo diviso in sequenze (sei in tutto) e per ciascuna sequenza gli allievi hanno scritto una frase riassuntiva. A questo punto, è cominciata la ricerca dei nuovi personaggi. Dopo un inizio difficoltoso, i bambini ci hanno preso gusto e le idee non sono di certo mancate. Abbiamo quindi selezionato i nuovi protagonisti e, divisi in piccoli gruppi, i bambini hanno cominciato la redazione dei nuovi racconti. Dopo un lungo lavoro di scrittura, revisione e riscrittura, i bambini hanno terminato i loro racconti e li hanno accompagnati con un disegno rappresentativo dell'intera storia. Voglio davvero ringraziare tutti i bambini per l'impegno, la motivazione, la collaborazione che ci hanno messo per raggiungere il prodotto finale. È stata per me una grande soddisfazione e un onore lavorare con la classe e con la docente titolare (e ora collega) Monica Tinetti. Buona lettura e buon divertimento.

Simona Meschini

Fiabe dall'infanzia per l'infanzia

a cura della maestra Simona Meschini

Il giovane asino

di Adriel, Ardian ed Edmea

Un giovane asino pensò: «Perché gli asini non fanno ippica e invece i cavalli sì? Io vorrei diventare il primo asino che sappia saltare gli ostacoW Diventerei il campione del mondo e sarei famosissimo!».

Così il giovane asino cominciò ad allenarsi nel prato. Saltando gli ostacoli, però, cadde sul muso e si ruppe il naso. Deciso a non arrendersi, ci provò di nuovo. Questa volta si tagliò uno zoccolo e gli uscì tanto sangue.

Poco dopo, quando stava per riprovarci, improvvisamente inciampò e, volando in aria, gli arrivò un'ape addosso che lo punse sull'occhio destro il quale si gonfiò immediatamente e il giovane asino non ci vide più. Tutto ammaccato continuò il suo allenamento perché voleva farcela a tutti i costi.

Quando fu ben sicuro di sé si presentò alla sua famiglia dicendo: «State a vedere!». Il giovane asino allora saltò tutti gli ostacoli con molta grazia e senza mai cadere. Nel vederlo la famiglia reagì male e lo invitò ad essere come loro. Il padre arrabbiato gli disse: «Chi ti credi di essere? Sei solo un asino] Non sei mica un cavallo!» e la madre aggiunse piangendo: «Figlio mio! Mi hai tradito, non pensavo fossi così ignorante!».

Il giovane asino voleva bene ai suoi genitori ma era troppo sicuro di sé; perciò salutò la famiglia gentilmente, uscì dalla stalla e partì per la sua strada.

Arrivato all'ippodromo del paese, il giovane asino incontrò tre cavalli che lo criticarono sgarbatamente. In coro gli dissero ridendo: «Ma cosa fai!

Pensi davvero di poter diventare come noi? Guardati! Sei solo un asino!

Un piccolo e miserabile asinello!». Il giovane asino fece finta di non sentirli e continuò il suo cammino.

Poco dopo, mentre camminava, incontrò una puledra che gli disse: «Lascia perdere! Fai come ti dice la tua famiglia perché anch'io ho provato a saltare gli ostacoli quando era più piccola e mi sono fatta male. La mia fa-

miglia ora è arrabbiata con me perché da grande potrei avere un problema allo zoccolo e magari non potrò più gareggiare per il resto della mia vita!». Il giovane asino rifletté un po' ma decise di non seguire il consiglio. Salutò la puledra, augurandole una buona guarigione, e riprese il suo cammino.

Andò lontano? Fece fortuna? Aggiustò tutti gli ostacoli rotti di questo mondo? Noi non lo sappiamo perché egli sta ancora saltando con il coraggio e la decisione del primo giorno.

Il giovane gatto

di Giada, Luis e Sabina

Un giovane gatto vide un cane abbaiare e si chiese: «Perché il cane abbaia e io no? Voglio imparare a farlo anche io!». Così iniziò ad allenarsi. Nel farlo si morse la lingua, le guance; si scheggiò perfino un dente. Alla fine ci riuscì e dalla bocca gli uscì una sorta di guaito. Il giovane gatto era davvero soddisfatto. Si presentò ai tre fratellini dicendo: «Guardate cosa so fare!» e iniziò ad abbaiare come un cane.

I tre fratelli rimasero pietrificati a bocca aperta. D'un tratto il fratello maggiore sbottò: «Ma cosa ti salta in testa? Sei matto? Ti sembra forse un comportamento da gatto?!». Il fratello minore aggiunse: «Ma non ti vergogni di quello che hai appena fatto?!» e l'ultimo concluse: «Nessuno ti capirà e tutti ci prenderanno in giro per colpa tua!!».

I fratelli erano infuriati e delusi dal suo comportamento tanto che decisero di cacciarlo da casa. Il giovane gatto era abbattuto e triste ma, nonostante tutto, voleva ancora inseguire il suo sogno. Fece i bagagli e, dopo aver salutato tutti, se ne andò per la sua strada.

Lungo il suo cammino incontrò tre topini che lo criticarono. Quello nero gli disse: <<Perché abbai? Ma sei pazzo?», quello bianco aggiunse: «Ma cosa dici? Sei un gatto, non un cane!» e quello grigio esclamò. «Mamma mia! Così non farai mai più paura a nessun topo! Se proprio ti vuoi rovi-

nare la vita, sei sulla buona strada!». Il giovane gatto li ignorò e continuò il viaggio verso il suo sogno.

Camminando arrivò al porto del paese, dove incontrò un vecchio gattone dall'aria malinconica che gli disse: «Caro amico, anche io avevo il tuo stesso sogno. Ho girato in lungo e in largo per il mondo cercando di farmi accettare da cani e gatti. Ed ora guarda come sono ridotto. I gatti non mi parlano mai e i cani non mi capiscono o fanno finta di non capirmi. Sei sicuro di voler continuare il tuo sogno? Vuoi davvero diventare come me: triste, infelice e solo! Arrenditi, non ce la farai mai!».

Il giovane gatto rifletté un attimo sulle parole del vecchio. Quindi lo ringraziò per il racconto, lo salutò cordialmente e saltò su una delle barche che era in partenza. Si nascose dietro le botti di vino e si addormentò.

Andò lontano? Fece fortuna? Insegnò a tutti i gatti del mondo ad abbaiare? Noi non lo sappiamo ma lui ne fu convinto fino all'ultimo.

Il ragazzo straordinario di Alice, Caroline e Remi

Una mattina d'estate un ragazzo di nome Jovan uscì di casa per andare a fare una passeggiata nel bosco. Jovan era figlio unico e desiderava tanto avere un fratello o qualcuno con cui parlare. Così decise che avrebbe provato a parlare con tutti gli animali che avrebbe incontrato lungo il suo cammino.

Incontrò per primo un gufo, provò a parlargli ma egli restò muto e Jovan decise di proseguire. Poco dopo incontrò una talpa e provò a parlare anche con lei. La talpa ebbe la stessa reazione del gufo: restò muta e immobile. Jovan cominciò a sentirsi un po' triste e solo. Tutto ad un tratto un lupacchiotto bianco si avvicinò al ragazzo e gli chiese: «Perché piangi?». Jovan sussultò: «Ma tu parli?!».

Il lupacchiotto allora gli disse che lo stava seguendo dall'inizio e che lo aveva visto parlare con il gufo e la talpa, che si era incuriosito e alla fine si era deciso a parlare con lui. Jovan era finalmente felice perché oltre ad aver trovato un nuovo amico, sapeva che alcuni animali lo capivano davvero.

Il giorno dopo il ragazzo andò a scuola e raccontò al maestro quello che gli era successo. Il maestro allora scoppiò a ridere: «Ma cosa ti salta in mente?! Ti sembra che gli animali possano parlare?! lo sai che io detesto le

bugie! Vai in punizione!».

Jovan quindi uscì dall'aula ma invece di andare in punizione, scappò verso lo zoo e, una volta dentro, cominciò a parlare con tutti gli animali. Lì vicino c'erano tre pappagalli che stavano osservando la scena. In coro si misero a deridere Jovan: «Ahahah! Guardate quel ragazzo! È davvero pazzo! Lui pensa davvero di poter parlare con gli animali! È fuori di testa!». Jovan però ignorò i commenti dei pappagalli e continuò il suo giro.

All'uscita dello zoo incontrò Sebastien, un giovane ragazzo solo, che gli disse: «Ciao, prima ti stavo guardando e non credevo ai miei occhi! Anche tu sai parlare con gli animali?! Pensavo di essere l'unico a saperlo fare! Finalmente ho trovato qualcuno come me! Vuoi essere mio amico?!». Jovan ne fu entusiasta e rispose di sì.

Finalmente aveva trovato quello che cercava: un amico con cui giocare e parlare. I due nuovi amici allora s'incamminarono per il mondo alla ricerca di altri ragazzi. Andarono lontano? Insegnarono a tutti i ragazzi del mondo a parlare con gli animali? Noi non lo sappiamo ma loro stanno ancora marciando alla ricerca di altri ragazzi straordinari.

Sognare a occhi aperti

di Beatriz, Fjolla e Veronica

Un pomeriggio d'estate, in un giardino folto di fiori, sotto il sole splendente, Stella, una bambina molto tranquilla, passeggiava allegramente nel parco. Lungo il suo cammino vide un piccione spiccare il volo e si chiese: «Perché io non posso volare? Sarebbe meraviglioso poter toccare le nuvole con un dito, librarsi nel cielo, sentire il vento tra i capelli!». Stanca dal tanto camminare si sdraiò sul prato e convinta si ripromise «Domani imparerò a volare!».

Di mattina presto, invece di uscire normalmente da sotto le coperte, Stella si buttò dal letto con un tonfo. Poi scese in cucina dove, invece di sedersi, cominciò a saltare dalle sedie, dal tavolo e infine anche dagli armadi. Non riuscendo a volare come il piccione che aveva visto nella sua testa balenò un'idea: «Ho trovato! Mi costruirò delle ali1».

Dopo tanto lavoro e grazie alle sue nuove ali, a poco a poco cominciò a volare sempre più in alto. Quando finalmente smise di allenarsi, si guardò allo specchio e realizzò di essere piena di botte. Il duro allenamento le aveva lasciato tanti ricordi sul corpo ma non vedeva l'ora di far vedere agli altri quello che aveva appena imparato a fare.

Il giorno dopo, Stella invitò a casa sua alcune amiche per mostrar loro

le sue ali. Appena arrivarono, le accolse con un leggero volo dalla finestra di camera sua. La sua migliore amica Malvina diventò subito gelosissima delle sue ali e le parlò con disprezzo: «Stella! Se continui così non sarò più tua amica perché mi imbarazzi e non voglio farmi vedere dagli altri sto giocando con una pazza!».

Stella si sentì male, non pensava che Malvina potesse trattarla così male. Così si allontanò spiccando il volo. Ad un tratto incontrò tre uccellini. Uno dei tre disse «È la fine del mondo! Invece di camminare si vola!». Un altro aggiunse «Ma chi ti credi di essere?!». Il terzo concluse: «Ma come fa a volare una bambina?! È diventata matta?!».

Stella continuò il suo volo senza dar retta agli uccellini. Poco dopo atterrò su un'isoletta in mezzo al mare. Lì incontrò Peter Pan e Plinio Romaneschi che stavano parlando animatamente. Appena vide la bambina, Plinio le disse «Smettila di fantasticare e torna a casa prima che ti succeda qualcosa di male!».

Peter lo interruppe subito supplicandolo: «Lasciala qui a giocare con me! Ti prego] Ti prometto che non le permetterò di volare, così sarà al sicuro!».

Stella rimase impalata ad ascoltare, non sapeva cosa fare. Si sentiva un po' delusa: lei voleva assolutamente continuare a volare. Decise quindi di salutare Peter Pan e Plinio e se ne andò dall'isola volando con le sue meravigliose ali.

Ebbe fortuna? Ebbe problemi? Noi non lo sappiamo ma probabilmente lei sta ancora volando per i cieli di questo mondo andando incontro al suo futuro.

La graffatrice di Adam ed Erjon

In un ufficio di Boston, viveva una graffatrice. Tutti i giorni vedeva le sparachiodi appese al muro e nell'ammirarle si ripeteva sempre: «Che invidia! Sono più grandi di me e sono molto più precise. Vorrei proprio essere come loro così la gente potrebbe utilizzarmi di più!».

Decise quindi che sarebbe diventata come le sparachiodi, solo che lei avrebbe sparato graffette. Si allenò a lungo e si fece male mentre cercava di migliorare nella precisione degli spari.

Dopo un duro allenamento, durante il quale si era graffiata e si era ag-

graffata al tavolo, si presentò ai suoi colleghi: i fogli. La graffatrice si mise quindi a sparare graffette tutto intorno. I fogli, spaventati a morte, si rifugiarono nei cassetti e uscirono solo dopo che la graffatrice fu scarica. I fogli non apprezzarono per nulla il cambiamento. Uno di loro disse: «Smettilan Sei troppo pericolosa! Potresti ferire qualcuno! Noi non ti vogliamo se fai così... Vattene oppure torna come prima!». La graffatrice non era d'accordo, voleva raggiungere il suo sogno. Così salutò i fogli e se ne andò per la sua strada.

All'inizio del suo viaggio incontrò tre martelli che la criticarono duramente: «Non sarai mai una vera sparachiodi! Sei troppo piccola e non sei per niente forte!» La graffatrice un po' triste se ne andò e continuò il suo cammino.

Poco dopo incontrò una grande sparagraffette che le disse: «Ritorna da dove sei venuta perché nessuno ti userà mai nella vita se ti comporti così. Non voglio che ti riduci come me perché nessuno ti rivolgerebbe più la parola!». La graffatrice però non cambiò la sua idea e decise di provarci lo stesso.

Andò lontano? Fece fortuna? Diventò una famosa spara graffette? Noi non lo sappiamo ma lei continua a marciare con la stessa voglia dell'inizio.

La lucertolina

di Alessia, Mirko e Stefano

In un bosco, accanto al centro spaziale della NASA, Dina la lucertolina è attratta dai camaleonti e pensa: «Perché noi non cambiamo colore? Voglio diventare viola per mangiare tanti mirtilli! O rossa per poter andare su Marte».

Decide allora di trovare un modo per cambiare colore. Cerca a lungo la soluzione migliore, ma non la trova. Dina è molto triste e frustrata e mentre cammina nel bosco le cade sulla testa un ribes che, esplodendo, la bagna tutta. La lucertolina si dirige allora verso il fiume per lavarsi. Quando si sporge sopra all'acqua, nota che ha cambiato colore. Allora le viene subito un'idea: decide di bagnarsi con il succo dei ribes per diventare rossa e usa quello dei mirtilli per diventare viola.

Avendo trovato la soluzione perfetta, si presenta alla zia mostrandole il suo nuovo aspetto. La zia, inorridita e disgustata da quello che vede, la caccia da casa dicendo: «Ti ho già detto che non puoi andare su Marte! Anche perché come faresti ad arrivarci? V attene! Non ti voglio più vedere perché sei disubbidiente!». Dina si sente offesa e triste, senza salutare la zia se ne va di casa piangendo lacrime rosa.

Lungo il suo cammino incontra tre camaleonti che la criticano. Il primo dice: «Ma se le lucertoline diventano rosse, le banane allora sono blu!».

Il secondo aggiunge scocciato: «Noi non sopportiamo le lucertole!». Il terzo conclude: «Vattene da qua, noi non ti vogliamo perché non sei come noi!»

Così la lucertolina continua per la sua strada e arriva alla recinzione del centro spaziale. Poco distante si sente chiamare da un vecchio lucertolone che le dice: «Non fare il mio stesso errore, o ti ridurrai come me. Anche io volevo cambiare colore ma come vedi il mio corpo adesso è tutto a macchie marroni e nere. Sembro un mostro! Nessuno mi accetta e non mi parlano più. Vuoi davvero continuare così?».

Dina saluta il vecchio lucertolone e oltrepassa la recinzione. Per sua grande fortuna, proprio quel giorno è prevista una spedizione per il pianeta Marte e, prima che il capo astronauta indossi la sua tuta, lei riesce ad infilarsi dentro.

Andrà lontano? Avrà successo? Visiterà tutti i pianeti dell'universo? Noi non lo sappiamo perché di lei sulla Terra non si è più saputo nulla.

Quando i quadri raccontano storie

a cura di Simone Fornara

Introduzione

di Simone Fomara

Iracconti che costituiscono questa sezione sono stati scritti dai docenti del Diploma di insegnamento per le scuole di maturità che hanno conseguito l'abilitazione per la materia di italiano nell'anno accademico 2015-2016 presso il Dipartimento Formazione Apprendimento della SUPSI.

Si tratta di quattro racconti che narrano e interpretano la medesima situazione di partenza da quattro differenti punti di vista, e adottando anche quattro stili letterari diversi. L'esercizio, che di solito viene classificato nell'ampia categoria degli esperimenti di scrittura creativa, ha una valenza didattica non indifferente. E nato infatti come sperimentazione di una tecnica che può essere applicata anche in classe, con ragazzi delle superiori o anche prima, per allenare la complessa abilità della scrittura senza far avvertire la fatica e il peso associati tradizionalmente all'insegnamento della composizione scritta.

Lo spunto di partenza, concordato dopo un'attenta analisi di una serie di altri spunti, è il celebre quadro dell'artista americano Edward Hopper Nighthawks («I nottambuli»), che ritrae una scena notturna in un diner americano nel periodo della seconda guerra mondiale. Tre avventori sono seduti attorno al bancone del locale, immerso nel buio della notte e arredato in maniera essenziale: un uomo solo, di spalle, con un bicchiere in mano, e, alla sua sinistra, una coppia intenta a consumare uno spuntino (lei) e a fumare una sigaretta (lui). Di fronte a loro, chinato verso la parte interna del bancone, il barista, impegnato in qualche non ben identificabile faccenda consona al suo ruolo. L'immagine suggerisce un'atmosfera di sospensione e immobilità, peraltro tipica delle opere di Hopper.

Dopo la scelta dello spunto, si è proceduto a formulare ipotesi sui personaggi ritratti e sulle loro storie, cercando di individuare alcuni possibili punti di contatto, frutto ovviamente di supposizioni anche molto creative. A questo punto, ogni autore ha scelto un personaggio e ha deciso di procedere in autonomia nella composizione di una breve narrazione. I quattro testi, dunque, riproducono il punto di vista immaginato di ciascun avventore. Per rendere l'esercizio più stimolante, si è deciso poi di adottare uno stile differente per ogni testo, traendo ispirazione dalla prosa di quattro grandi scrittori (di cui non si svelerà il nome, ma solo che si tratta di tre autori italiani e di un autore irlandese). Ogni racconto narra dunque una storia, un punto di vista, e tutti e quattro i testi insieme, considerati nella loro globalità, contribuiscono a determinare una visione complessiva, più o meno decifrabile, con elementi di armonia e anche con fratture e punti di inderminatezza che sembrano lasciare le cose indefinite, appena

percepibili o celate dietro un velo di nebbia. Proprio come fa anche il quadro di Hopper, che appare allo stesso ben definito e preciso, dai contonri netti, e misterioso e indecifrabile.

Partire da uno stimolo iconico, come un celebre quadro, per esercitare la scrittura è dunque una strategia premiante, perchè coinvolge e perché permette di non cadere nella tanto temuta ansia da pagina bianca, che coglie spesso lo scrittore ancora inesperto e apprendista: non è il caso dei quattro autori dei nostri racconti, ovviamente, ma può essere quello dei ragazzi che loro stessi incontreranno nella professione di docenti. Il quadro fornisce la materia prima per trovare le idee, e la successiva discussione consente di precisarle meglio e di passare con più serenità all'atto di scrittura. La variazione stilistica, poi, si configura come un ulteriore sviluppo utile per capire meglio le possibilità espressive della letteratura e dei singoli autori: impossibile attuarla, infatti, senza aver prima approfondito la conoscenza della prosa degli autori scelti a modello.

I quadri raccontano storie. E la scuola può trame ispirazione per combinarne l'osservazione con lo sviluppo di competenze linguistiche e testuali avanzate, relative a uno degli ambiti più complicati da gestire per gli allievi di oggi (e non solo): la scrittura.

E. Hopper, Nighthawks, 1942

Il rapace dolore notturno della cognizione

di Lia Galli

Il bancale di legno ipertrofico e mortificato forse di prunus avium, di ciliegio, che si irradiava in un tempo anche forse troppo lontano? protendendosi in maniera multiforme quasi come una filigrana brunastra verso i nembi, verso l'azzurro del cielo estivo, cielo intarsiato dei solstizi, accoglie ora il mio bicchiere non cristallizzato: un solido amorfo dalla struttura disordinata come le rimuginazioni di questa notte. Al suo interno, racchiuso tra i riverberi della luce al neon, artificiale, biancastra e gassosa che non elenca le cose come i raggi solari ma frantuma le forme accecandole, del Bourbon, che ha attraversato l'America per arrivare fino a qui. Ha il colore dell'oro, dei pesci di Koi dai baffi simili a quelli di anziani samurai canuti, degli anelli d'ottone delle donne giraffa dell'etnia Padaung i cui colli non si allungano in una tentata separazione della mente dagli impellenti e insaziati bisogni corporali, ma svellono le clavicole in un amplesso che cessa unicamente con la morte. Dalla Birmania al Kentucky a questo Diner, paradigma dell'illusoria libertà degli Stati uniti in cui ogni uomo può farsi da sé: da una carrozza con cavallo a un vagone ristorante e l'art déco e l'acciaio, la formica, il plexiglas, la plastica rossa, rosa, cobalto, porporino, canarino, bianco titanio, mercurio che non attraversa soglie, non è più psicopompo perché se l'inferno esiste è sicuramente qui, in questo luogo che si ispira al linguaggio delle ferrovie, ma non si muove, non si inclina, precipita in una notte come questa uguale e dissimile a molte, troppe? altre. Avrei bisogno di ossigeno, anche se l'aria in realtà è al 78% composta da azoto e questo contribuisce al mio senso di soffocamento, a questa claustrofobia che prescinde da soffitti bassi, da sciatte stanze con finestrelle simili a fanalini di automobili: non respiro quindi non vivo: non ho mai vissuto: solo Mary Lou aveva gli occhi così grandi, enormi pozzi color merda, feci di topo, residui di gastroenteriti e infiammazioni al fegato screziati di falsità, da farmi sentire a casa. Non ho mai creduto di meritare molto di più di quel vago retrogusto amaro che si sente in bocca quando ormai si sono vomitate paure, ansie, chimere, voli pindarici, fantasmi, allucinazioni e rimane solo la bile, gommosa, appiccicaticcia che per quanto la sputi si aggrappa alla gola in una lunga dichiarazione di amore esofageo. Arrivare fino a qui non ha estinto il mio bisogno di respirare: inspiro ma questa stanza ovale non belligerante? è impregnata dal fumo di troppe sigarette di pessima qualità: come per Cartesio l'eccessivo razionalismo della stanza cerca di nascondere il vuoto, inutilmente. Quando sono uscito dal motel di Bride street mi sembrava di

avere argento nei polmoni, e nel viottolo semi oscuro obbligatorio per giungere fino a qui non ho visto nemmeno una sposa, senza parlare del tulle, di quelle che dicono sempre «lo sogno da quando sono una bambina alta due spanne questo grande, esorbitante, evento» che poi vaglielo a dire che il tempo non si spezza (mele e barbecue e pargoli paffuti e con le guanciotte sporche di cioccolato hanno un'estetica di bassa lega considerando le aurore boreali) ma si arrotola come una trottola impazzita schizzando schegge di possibilità sprecate ovunque: e le case si trasformano in vasi stracolmi in cui non ci sta più nemmeno l'ultima goccia: e l'esplosione è sospesa come un'affilata scure sull'amorosa vita coniugale: è un favore. «Mi hermano es un chancho», che è già un'espressione che implica una certa qualsivoglia quantità d'affetto rispetto a formule che rinviano a suini, a adiposità eccessive e proliferanti, a crimini del cuore o della ragione con un grado più o meno alto di intenzionalità. Nell'intrico di viuzze, stradette, mainstreets, squares, avenues che circondano come un gomitolo senza capo questo locale notturno, che compongono questa città puzzle, questa città labirinto, al passante non è concessa libertà di scelta: egli avanza spronato da luci artificiali, dal suono di un musicante, dalle urla disperate di un senzatetto o di una donna derubata: stuprato da una catena di casualità che potrebbe manifestarsi in un'assoluta diversità: il caso è il suo unico folle duce, dux lux reflux, priapico furioso babbeo che getta il suo seme fecondando di violenza e assurdità esistenze alla deriva di ogni tipo di autocoscienza e moralità. Per quanto mi riguarda cerco sempre di non lasciarmi abbindolare da quelle che comunemente vengono chiamate le circostanze: esse stanno affianco, attorno, alle estremità del noumeno, non lo scalfiscono in sé, se esso non si lascia penetrare. Sono appendici, protesi, accompagnatrici, bagasce, pompose circonvenzioni di incapace a cui imputare ogni colpa: passandole in rassegna una per una, quella imbellettata, quella floreale zeppa di ghirigori di scuse per cui ogni rosa ha le spine altrimenti non sarebbe una Rosa che poi è uno degli unici fiori su cui continua a vigere il dogma latino al punto che è ancora oggi la regina oltre che dei fiori anche delle desinenze, quella dalla punta smussata come i coltelli di plastica, confezionata per simulare una vivisezione dell'animo mai avvenuta. Da quando mi trovo in questo luogo non vivo che di notte, quando il buio assorbe i doveri, lasciando gli irrequieti liberi di flagellarsi la mente senza dover rispondere alle seccanti domande di uomini troppo innocenti o troppo stupidi per badare a se stessi. Ho scelto questo diner ma avrei potuto cercare di dimenticare me stesso altrove: ovunque. Sono ormai passati svariati anni dall'attimo scardinato dal tempo in cui ho pubblicato il mio ultimo romanzo; mi rileggo e quello che intrecciava preposizioni, aggettivi, pomposi avverbi dalle identiche desinenze tra

quelle pagine non lo riconosco: non sono io, non lo sono mai stato: dev'essere stato un altro che si è preso il mio nome: forse un caso di omonimia. Osservo queste tre facciacce davanti a me, ma non riconosco in loro la mirevole arte del trapassare, la mia grave forma di malinconite, il mio intestardito dolore che pervade, scompone, seziona il mio tessuto nervoso: dendriti corti come cerini brucianti che scarnificano la punta delle dita e, sfiniti, insorgono sopraffatti dalle incalcolabili sfilacciature che li collegano, spietate come divinità vendicative, alla realtà: assoni inetti, mezzi addormentati, che accidiosi sonnecchiano in preda all'apatia creando un'enucleazione e un isolamento costanti, come una muraglia cinese ma più spessa, impenetrabile, come un'informe materia collosa e biancastra, sporca di sogni raggrumati, in cui ogni slancio rimane invischiato. Da me non esce nulla e coloro i quali (pochi, disadattati perlopiù) hanno interesse a osservare vedono una maschera di cera e pensano «è una persona ordinaria ... alla moda del tempo ... ». Gli sciocchi spiluccano le loro torte mentre sul mio copricapo pende la spada di Damocle dello scrittore: condannato a decifrare ecolalie, lallazioni, rutti, smorfie e rughe: soprattutto rughe poiché è sulla pelle che si riflettono le pene, si rifrangono i miracoli, si incartapecoriscono i desideri, imbertacchiscono gli ardori. Senza concessioni metafisiche: senza Aldilà in cui redimersi. La donna che mi sta davanti discende forse da Seth per il colore della sua chioma che lascerebbe lombrosianamente presagire un temperamento criminale o un'inclinazione alla follia. Strix, lupus hominarius volgare, stridente creatura generata dall'imbecillità umana, fra tuoni, dalle derive imbitorzolate della superstizione e dal terrore arcaico, tellurico quasi, di tutto ciò che è dissimile. L'impassibilità del suo volto ceruleo la differenzia però dalle libidinose e degenerate medievali o forse no, forse invece è proprio dietro quel disgusto impassibile che si cela la sua propensione alla lussuria e nella sua mente risuonano impiccagioni, sbrilluccicano ghigliottine, tintillano boccette di cianuro di potassio (arsenico a buon mercato per casalinghe annoiate) al punto che il profumo che l'avvolge potrebbe ricordare quello delle mandorle amare. Malleus Maleficarum e roghi per disintegrare la diversità: come oggi. Basilischi e preadolescenti per trasmutare il rame in oro. 1942 (una sera come questa o tante altre): forni per trasmutare il grasso in sapone. «Oh sangue e gente delle stragi e delle ibridazioni lontane» pare pensare. O forse no, magari rimugina sulla foglia di insalata? che tiene tra le dita o su quell'uomo che l'accompagna che pare uscito da Casablanca, la cui prima era proprio stasera. Si sfiorano le mani quelli che potrebbero essere due vecchi amanti tra cui il sesso non funziona più. L'uomo se ne sta lì, imbastardito nel suo completo oltremare quasi isocromo alla camicia, affilato nel volto dal naso aguzzo intento a fendere l'aria, a tagliarla con

respiri nervosi che schioccano come rami secchi e passi di vecchie nevrasteniche. Appollaiato come un falco stanco allo sgabello attende che la sigaretta gli consumi l'ansia. Povero stolto non sa che l'ansia è enigma capillare che ha origine nell'Esserci, nello stare al mondo. Non ci sono vie di fuga, non esiste assenza di tonalità emotiva. Imbacuccato nella sua presunzione, in ciò che egli ritiene vero prima di appurarlo, vestito della sua grandezza da attore di prima serata, ipotizza probabilmente di essere un personaggio da tragedia, uno di quelli usciti dalle opere di Shakespeare, un Don Giovanni della periferia dei grandi Stati uniti d'America ripopolati dalle migliori genealogie e stirpi di discendenti di puritani, moralisti, amatidaDio olandesi e inglesi e spagnoli, mentre in realtà è una comparsa da show domenicale, uno come tanti che si gingilla qui con quelle che sono insostanziali trivialità e pochezze quotidiane; problemi di ordinaria superficialità, quasi amori che si nutrono di tre o quattro formule standardizzate come «resta», «ritorna», «ritorna e resta» che senza di te avverto la mia insostenibile inconsistenza e non mi va di fare qualcosa della mia vita, di costruirmi quindi «ti prego, torna» che mi servi per colmare ciò che sono: un banale pozzo vuoto. Dicevo: si sfiorano le mani: si passano un biglietto: si fanno un cenno e all'uno, due, tre, parte il colpo di pistola e revolverano il barista dal cranio accartocciato come un uovo fin dall'adolescenza. Quattro capelli biondi paglierino sopra gli zigomi sporgenti come balconi arrugginiti di un motel di pessima categoria che spuntano sotto le tempie sbrilluccicanti per il sudore o per qualche brillantina di infima qualità spalmata sulla pelle nell'illusione che lì ci sia ancora qualche pelo. Nella zona subzigomatica niente di rilevante. Il barman ha uno sguardo sospeso come se non sapesse decidersi tra la paura, la stanchezza e l'imbecillità. Forse sta pensando che tutti noi dovremmo smetterla di bere e uscire da questo locale per affrontare i nostri fantasmi. Forse invece si sta solo chiedendo quali siano i problemi di questa coppia uguale a molte altre. Qui non c'è nulla di cui valga la pena scrivere, mi verrebbe da pensare osservandoli in uno spasmo convulso di lucidità artefatta dall'esperienza, dall'illusoria percezione di non essere sbronzo e dalla noia che mi assale a fasi alterne come un Crotalus atrox che nessun piffero né magico né di legno o polimeri o metallo sarebbe in grado di addomesticare o anche solo di contenerne l'istintiva furia e brama di affermare il suo predominio sonoro e velenoso sulle altre creature. Mi porto la noia e il dolore addosso come se fossero un tabarro (prolificante residuo dandy o anarchico), come un ushanka: quei copricapi russi dell'esercito sovietico snaturati da plotoni di ragazzine vanitose e narcisisticamente autoreferenziali: mi seppellisco nell'inedia dei mill'anni baudelairiani ma io non possiedo dell'oppio come il buon vecchio Charles, ma ne condivido i ricordi e la profusione di vermi: grossi, grassi, obesi,

dilatati vermi che penetrano nei volti già sbiaditi di coloro che hanno avuto la sfortuna di incontrarmi: rimorsi. Lo spleen implica un'aspirazione alla caduta: un desiderio della rovina perfetta: la sete di distruggere volontariamente in un unico gesto deliberato tutto ciò che sopravvive alla disfatta casuale. Ci avevo anche scritto un racconto intitolato La notte in cui tutte le vacche sono nere sul desiderio di scomporre, decomporre, estirpare l'unica monade scampata alla dissoluzione totale di ogni speranza, ma alcuni di cui non mi interessa rievocare il nome l'avevano accusato di manierismo, di essere come quei palazzi tardocinquecenteschi la cui asimmetria diventa una regola e le cui linee impazziscono tentando una fuga verso qualche imprecisato e subdolo altrove. Vorrei scrivere dell'amore ma appena ci rimugino su, il viso mi si deforma in un ghigno e inizio a sudare copiosamente e maleodorantemente e allora fisso ancora questa coppia, la penetro, la assedio e mi insedio nel labile spazio tra la loro e la mia esistenza e immediatamente il mio cervello balbetta due o tre frasi sgangherate che potrebbero magari riferirsi a loro due, ma al contempo potrebbero rimanere solo congetture farsesche di un solitario uomo solo. Con uno sforzo sisifico di immaginazione intavolo una conversazione con il loro subconscio provando a carpire le motivazioni che potrebbero averli spinti qui ed ecco che la mia fantasia, pomposo mostro bischerone insaziato capriccioso, stila vertiginosi elenchi tra il grottesco e il canzonatorio: un incontro clandestino che cela torbidissimi retroterra generati dall'indicibilità di alcuni avvenimenti remoti, il proposito di ammazzarsi a vicenda in un hapax esistenziale, bisogni fisiologici primari, la necessità di costruirsi un alibi dopo essersi lasciati sedurre dall'immoralità come quei ratti di fogna trasudati la notte dai tombini fumanti della grande Nuova York che azzannerebbero un loro fratello per conquistarsi un succulento scarto di putrescente bluastro cacio ammuffito, la zozza volontà di apparire (desiderio di sfoggiare vestiti firmati su misura), la noia (arcaico onnipresente male schopenhaueriano e leopardiano dato in affido esclusivo alla nauseata società occidentale), l'incapacità di trovare qualcosa da dire o la sua risibile matrigna l'incapacità di stare in silenzio, l'oroscopo del giorno, il verdetto di un giro di tarocchi fatto da una zingara i cui lunghi capelli corvini si inzuppano nella luce rosa dell'ottovolante di Coney Island, l'urgenza di precipitarsi fuori di casa a fumare un'american blend perché c'è un neonato dormiente e non ci sono terrazze, la biforcazione di un matrimonio, un molesto borracho, una guarra sessantaduenne che sfarfalla, un funerale singhiozzante, un boss della malavita, il furto di una gioielleria, l'assuefazione da luci al neon, il caffè, la nicotina, infiammazioni croniche alla prostata, amiche ciacolone che stanno lì a checchereccheccare per un nonnulla, ulcere mefitiche, prostituzione d'alto bordo, eiaculazioni precoci, stelle filanti, parenti

serpenti, segreti. Il loro esserci non è però presenza, in quanto io, bulimico, mi nutro unicamente di dialoghi passati con assenze presenti. Gli sgabelli vuoti accanto a me hanno infatti un significato trascendente: su ciascuno di essi siedono presenze ectoplasmatiche che io solo posso percepire in quanto prive di una forma tangibile: sono le persone che ho amato e che hanno abitato le mie ore prima che la misantropia mi costringesse a questo eremitaggio forzato: sfilano afone? accanto a me le possibilità scartate, rinnegate, accartocciate come fogli di carta il cui acuminato biancore ferisce lo sguardo, che ciascuna di esse portava con sé: i percorsi che non ho intrapreso: le scelte mancate: i legami abbandonati. Siedono accanto a me in silenzio, sospese. Incapace di capire se esse mi torturino o mi facciano compagnia sollevandomi dal peso di me stesso, non mi volto a guardarle, ma le respiro, piano, indugiando ancora un istante in quell'anticamera dell'inferno che è la memoria, per poi riuscire, almeno questa volta, a lasciarle qui. Sogno infatti di riuscire a incamminarmi verso casa da solo questa notte, senza la maledetta fanfara che suona unicamente requiem nel mio encefalo e mi costringe a fissare il suolo, a guardarmi i piedi per non inciampare; sogno di alzare finalmente lo sguardo e che si apra, all'improvviso, su di me il cielo: con tutte le sue stelle, le nane bianche, le comete e quel volto imbronciato e un po' perplesso della luna di cui mi parlava sempre mia madre quando ero bambino: quando ancora ero figlio.

As time goes by

di Michèle Python

Sì solo un caffè magari ci vorrebbe qualcosa d'altro anche perché sembra di fare una delle nostre colazioni a letto pane marmellata e caffè sono anni che non lo facciamo più poi c'era quella vecchia vicina invidiosa che ogni volta che ci vedeva si consumava di gelosia e cominciava per ripicca con l'elenco dei suoi mali e con i flagelli dell'umanità da quando in Europa era scoppiata la seconda guerra mondiale era in lutto per la vita sì queste sono cose di tre anni fa vediamo un po' due guerre e due secoli dovrebbe avere circa 70 anni naaa è troppo giovane tutte quelle rughe e quei modi sempre ancora vestita con colori sgargianti a sfoggiare un lusso oramai decaduto e sbiadito sì noi ci siamo trasferiti in quell'appartamento nel '38 ha fatto la festa dei suoi 80 anni un anno prima che partissimo dunque ora dovrebbe avene 84

Dio ora c'è solo una fredda distanza tu stretto nel tuo completo blu col volto ombroso che fumi una sigaretta dopo l'altra tossendo qualche colpo sì non riesci più a ridere né a guardarmi né a parlarmi niente parole niente di niente solo pensieri che ti fanno sembrare uno spettro usciti dal cinema c'era quella bambina che si è nascosta dietro le gambe di sua madre quando ha incrociato il tuo sguardo ghiacciato Dio tu eri quello che giocava per ore con Mery costruivi con lei dei grandi pupazzi di neve mentre fuori faceva un freddo da restar secchi io e mia sorella Anna parlavamo al calore del camino uno come Humphrey Bogart sì che mi fa venire il caldo dentro e io che mi sono infilata questo benedetto vestito rosso solo per riaccenderti un'ora di trucco a mascherare i primi segni del tempo rossetto cipria ombretto e quell'aggeggio infernale per allungare le ciglia che sembra un arnese medievale di tortura o una pinza per le chele dei granchi più che un utensile estetico bah mi sento come una sardina schiacciata in una di quelle scatole rosse e non è finita qui anche queste scarpe troppo strette per camminare mi fanno un gran male ai piedi ecco infatti prima le campane della chiesa della Trinità hanno suonato l'una di notte è tardissimo troppo tardi per cercare di parlarti eh certo che in un ambiente come questo dove tutti stanno assorti nei loro pensieri soli e avvolti dalla noia non è mica facile sì

You must remember thiiiis

Aaaa kiss is just a kiss, a siiiigh is just a siiiigh.

Tttthe fundamental things apply

As time goes byyyyy.

Come potrei cominciare?

Tesoro dovrei parlarti di una cosa

Ah non cominciare con le tue paranoie quando usi questo tono già lo so che

No ti assicuro che è una cosa importante veramente

Bevi sto caffè e mangia il tuo panino che andiamo

Magari il silenzio è l'arma migliore sì prima o poi ti accorgerai che le cose sono mutate che dietro al mio dolce sorriso c'è dell'amaro sì che il tempo sta scorrendo il tic tac dell'orologio si fa sempre più frenetico assordante rumoroso m entre il tempo passa ecco vedi ora devo anche andare al bagno uhmm queste scarpe più si sta ferme con il mal di piedi peggio è spero che quei due uno là a destra imbambolato e cupo peggio di te l'altro qui davanti che armeggia da tre ore con non so cosa spero che non mi stiano guardando sono tutt'altro che graziosa scendendo da questo sgabello un po' troppo alto e poco stabile e ovviamente ora c'è anche la porta che cigola accidenti e sicuramente mi stanno fissando soprattutto quello sullo sgabello che è proprio nella direzione giusta per seguirmi con gli occhi ecco ora manca anche la carta come al solito io il fazzoletto l'ho messo in fondo alla borsa aspetta Gesù aspetta con tutta quest'ansia mi sono anche venute in anticipo non ci mancava altro vabbè ora sono in tinta dall'interno all'esterno una ripassata di rossetto e ci siamo

A aand when two lovers woooooo

They still say: «I love youuuuu» figurati due amanti non ti sei nemmeno voltato c'è solo il barista che mi fissa sì e guarda un po' è proprio il tuo opposto vestito e cappello bianco capelli biondi occhi chiari avrei sicuramente un'altra storia sì forse meno intensa più frivola all'insegna dell'attrazione l'amante di un giovane ragazzo che non mi può fare regali perché con i tempi che corrono e con il lavoro che fa figuriamoci però finito il turno pulito il diner pedalerebbe come un pazzo per raggiungermi e mi troverebbe assopita sul divano con il libro appoggiato sul petto all'ultimo barlume della candela e allora sarebbero le note di Glenn Miller della sua Moonlight Cocktail che mi sveglierebbero girando sul giradischi un odore di rum e sigari rigorosamente Phillies mi avvolgerebbero la testa

Moooonlight and love sooongs - never out of dateee

Hearts full of passionnn - jealousy and hateee

Woman neeeeds maaaan - and man must have his mate

That no one can deny tu invece credi che senza di te non possa succedere niente tu assorto in te stesso non ti accorgi che il mondo cambia tu non immagini che anch'io possa muovere delle pedine importanti nel gioco delle nostre vite sì un assaggio di una mossa fatale ce l'ha già avuto in quella calda sera passata sul portico della casa dei miei genitori sì tu convito che con i tuoi pezzi neri disposti in quella sequenza non c'era più niente da fare invece ecco sacco matto] il meglio della vittoria era l'espressione del tuo volto sì la tua misteriosa impassibilità si era trasformata in un'espressione tra la sorpresa e l'incredulità tu che avevi sempre tutto sotto controllo ti eri fatto prendere al gioco abbandonandoti alle emozioni sì

It's stili the same old storyy

A fight for love and gloryy

A caaaase of do or diiieee

Bruuuuuuuuuuuuuummmmmm un altro nottambulo che a bordo della sua Ford nera illumina la strada tutte le vie vuote i negozi vuoti tutto all'esterno sembra vuoto nessuna luce nemmeno dalle finestre del palazzo in faccia solo un gioco d'ombre che provengono dalla luce di questo ristorante a buon mercato il giallo delle pareti nei bordi si ammuffisce e forse anche il mio panino non è più dei più freschi sì se poi mi prendo un'intossicazione chi ti sente che quando ho chiesto se c'era qualcosa da mettere sotto i denti hai fatto quella tua solita faccia storta sì non vorrei dover correre al bagno come quella volta che eravamo a cena con il tuo capo e lui parlava parlava parlava non la finiva più io continuavo a contorcermi accavallavo le gambe fino a quando mi sono dovuta precipitare in bagno perché me la stavo facendo addosso poi una litigata da fine modo in taxi sì mi trattavi come una bambina a cui dovevi insegnare le buone maniere sì ma ora vorrei che mi stringessi a te mi abbracciassi e mi baciassi così da poterti sussurrare nell'orecchio il mio segreto

The world will always welcome lovers

As time goes by allora sì è deciso ora se noi non ci sorridiamo più lo farà il mondo c'è spazio per noi c'è speranza basta trovare il coraggio sì tu ora ti alzerai mi prenderai la borsa appoggiata sulle mie gambe e mi darai il braccio per camminare a casa in questa buia notte e allora sì che sarà il momento di spezzare il silenzio della notte con delle dolci parole che permetteranno di ritrovarci sì ora te lo dico Sì.

They know

di Davide Circello

The time is out ofjoint- O cursèd spite, That ever I was bom to set it right! Nay, come, fet's go together. Hamlet, Act 11 Scene 51 188-190

What's buzzin' cousin'? Sarei stato in grado di riconoscere quel- la voce slightly garrulalike ma smoky alla prima sillaba, anche nel tumulto gremito di una piazza.

Temevo in parte la possibile portata delle rivelazioni di cui quella telefonata sarebbe stata latrice: non avevo sue notizie da tempo, in un tempo, quello presente, in cui no news is bad news anyway, specialmente involving il suddetto. Temevo fosse pronto a partorire l'ennesimo miscarried brainchild e che avesse nuovamente scelto il long-lost cugino quale levatrice (non eravamo veramente related, quel saluto scivolava via dalle labbra come un ritornello, una filastrocca, senza che nessuno potesse ricordare da quando e perché si fosse tìniti per chiamarsi vicendevolmente in quel modo). - Hey buddy - ripresi - long time no see ... come un vano e poco convinto tentativo per disinnescare qualsiasi lingering nel suo saluto folle proposta e nel suo fare desperately bosseggiante. Certo era possibile che un giorno qualcuno che appartiene a quel mondo che avevo deciso di lasciarmi alle spalle sarebbe tornato a farsi vivo (e insistente, shortly); la probabilità di un simile evento mi era sempre parsa però minima; come irrilevante avevo voluto che fosse tutto quel periodo, quantità négligeable su di un intero life-span. Continuo a fingermi nella mente che quella telefonata sia la causa di tutto questo, anche se la triste underlying verità è un'altra.

C'erano novità, diceva. Direttamente from the horse's mouth, dovevo crederci. I movimenti nella vecchia Europa avevano innescato un meccanismo che non solo aveva lasciato strade e fabbriche vuote, ma aveva finito anche per portare alla luce lungodimenticate faccende tra shock and awe riaffioranti ora: la scatola di vermi non era mai stata definitivamente chiusa. Cercai istintivamente il pacchetto di sigarette nelle tasche dei pantaloni, rovistando alla rinfusa e finendo per accartocciarne qualcuna sfuggita alla presa del piccolo box disseminante polvere di tabacco tra le mie dita e la fodera: «the man who knows» capeggiava

smirkeggiante dal cartellone pubblicitario. Ed era un uomo che sapeva ora a tornare dal mio passato, a cambiare forse per sempre il corso della mia storia.

Mi aveva telefonato all'albergo in cui alloggiavo da qualche tempo, e lo aveva fatto senza annunciare per iscritto il suo arrivo ed aveva scelto un momento in cui ero sicuramente reperibile: segno manifesto che non solo aveva avuto il tempo di seguirmi a lungo, ma che lo faceva continuamente. Da solo o più probabilmente coadiuvato da uno o più complici. Un presentimento, pungente ed icefying, confermato ma ridimensionato dalle sue ultime parole: non era venuto per me o per coinvolgermi; he carne with a warning: - You have to get out. - Disse. - They know.

II

Dai tombini di quella notte - farthest in the deep recesses of the mind, yet so vividly viva - il vapore esalava lento e finiva per formare addensamenti nebbiosi, come nuvole bassoradenti, costrette a infime quote da un inatteso may-day; tutto precipitò velocemente e inesorabilmente e le decisioni furono prese con la scrosciante rapi<lità di un acquazzone: out of that town, out of the state. Tutto quella medesima notte: a snitch is a snitch, dicevamo. E le conseguenze per aver rattato qualcuno sono sempre e comunque inscampabili, anche quando le underlying reasons paiono le più nobili e giuste e i tempi assurdi e out-of-joint. Con la dissoluzione del gruppo e gli epocali cambiamenti che ci avrebbero atteso negli anni a venire, ero certo che tutto quanto sarebbe stato definitivamente left-behind. Un ultimo circospetto saluto a quelle strade e a quella nebbia in cui sparire per sempre senza un nome e senza un passato.

Funny che quella telefonata fosse giunta pochi giorni prima di questa ultima serata. Fatico quasi a ricordare come abbiamo finito per frequentarci; forse era proprio questa insondabile vaghezza, questa everlasting sensazione di inaccessibilità, di enigmatica ritrosia e negazione ad attrarmi; smoke and mirrors, come quel detto che ho sentito forse in dormiveglia per le strade di chinatown: un fiore allo specchio, sull'acqua la luna. - Let's go to the movies.

Non potei fare altro che acconsentire noddingly stupefied Non ho mai avuto un buon rapporto con il cinematografo: dopo la folle corsa di Dillinger e compagni da Crown Point a Manhattan Melodrama e le notizie dei cinegiornali (all'impropria ironia nell'accostare la mia misera vicenda a

quella del public enemy dichiarato di Hoover si sostituisce ora l'oscena consapevolezza - doppiamente colpevole poiché sto fuggendo anche da quello - della cruda realtà di questa nuova folle guerra, a cancellare per sempre ogni alone di leggenda dall'american greatest crime wave) ho sempre cercato di mantenere una certa safe distance da quelli e da altri luoghi consimili. Ma l'enigma irrisolto del suo sguardo è sempre riuscito a neutralizzare ogni resistenza.

Per un istante ho persino pensato che la scelta - della serata e della pellicola - fosse in qualche modo un messaggio, nemmeno tanto velato, indirizzato alla mia vigliaccheria; non era il tipo da low-blows e colpi proibiti, eppure mi pareva che cercasse di rinfacciarmi il mio mancato interventismo, la latitanza in questi anni dai recruitments, e infine la mia età, non certo avanzatissima, ma bastevole, dopo l'executive order del presidente, a garantirmi la permanenza in patria e ad evitare il nuovissimo fronte nordafricano.

Non ho pensato ad altro, durante la proiezione; anche ora, attendendo questa insolita colazione a tarda notte, far past the edge of the night (un altro enigma: perché qui? Perché questo diner? Perché questa attesa?), tutto quello che ho negli occhi e nella mente è lo smoking bianco smooth e leggiadro di Bogart e quelle parole: - When I said I would never leave you. - And you never will. But l've got a job to do, too. Where l'm going, you can't follow. What l've got to do, you can't be any part of. l'm no good at being noble, but it doesn't take much to see that the problems of three little people don't amount to a hill of beans in this crazy world Someday you'll understand that.

Le strade sono sempre deserte. Il mio caffé lentamente si raffredda e le capriole di cenere della mia sigaretta si fondono e si confondono nell'atmosfera sospesa di questa notte: l've got to shed this comica! look from my face; regain my composure; teli her the truth. Dirle la triste prosaica verità. - Get out. They know.

Il sugo di tutta la storia di Valeria Callea

Quella parete di vetro del palazzo, che curva sulla destra all'incrocio di due strade gremite di edifici, forma due muri del locale notturno Phillies, il quale, pur trovandosi spoglio, come la modernità richiede, di tutte quelle raffinatezze che tempi addietro adornavano i luoghi di convivialità, arredato solamente da un banco centrale di legno scuro, dove i clienti possono consumare la loro ordinazione grazie agli sgabelli solo leggermente più chiari, sbiaditi con ogni probabilità per l'eccessivo uso, rimane tuttavia un luogo piuttosto accogliente per la tinta gialla delle pareti, che così vive riescono a dare una certa luminosità all'ambiente, incoraggiando gli avventori notturni a trascorrere il proprio tempo in un posto decisamente più confortevole della desolazione delle strade, che nel 1942, anno in cui è avvenuto l'incontro di cui si parlerà, risultavano essere ancora più vuote per la tremenda catastrofe che stava mettendo in ginocchio il mondo.

Sappiano i miei venticinque lettori che era quello il secondo anno di guerra per gli Stati Uniti d'America, una guerra nata oltre l'oceano e che è passata alla storia come la seconda guerra mondiale. Per le strade della città regnava in quel periodo la paura e lo sgomento, per una guerra non combattuta dentro i propri confini, ma che comunque chiamava tanti giovani innocenti a sacrificare la vita. È necessario precisare in che cosa consistesse questa guerra, la più sconvolgente per l'umanità di allora. In quello che si usava, e si usa tuttora, chiamare l'antico continente, e più precisamente in una nazione della vecchia Europa, la Germania, aveva preso il potere un governo che solo il passare del tempo ha dimostrato essere totalitario e assolutista. A capo di questo governo stava, o forse è più corretto dire che il governo stesso era, Adolf Hitler. Questi era un austriaco normalizzato tedesco, che prese il potere in Germania nel 1933 iniziando una politica basata sul nazionalismo, l'anticomunismo e l'antisemitismo; con lo scopo di espandersi in tutta Europa, attaccò la Polonia il 1° settembre del 1939, data che segna l'inizio del conflitto mondiale. Gli anni che seguirono a quest'aggressione possono dirsi di alterna fortuna per le due parti, fino a che, grazie all'ingresso di due potenze, la Gran Bretagna e per l'appunto gli

Stati Uniti d'America, Hitler e i suoi alleati furono sconfitti.

In tempi così bui, come quelli appena descritti, era diventata abitudine distogliere la mente dalle preoccupazioni più reali e cercare un rimedio immediato, anche se fallace, alla tristezza più dura. Conviene quindi ricor-

dare che non erano ancora passati dieci lustri dalla comparsa del cinema nelle vite degli uomini, che già questo nuovo intrattenimento si era trasformato in una specie di rito che si svolgeva rigorosamente la sera e che consentiva agli spettatori di dimenticare per qualche tempo le proprie malinconie, per entrare in un mondo diverso, magari lontano.

Tornava bel bello, proprio da una delle serate appena descritte trascorsa presso un cinema di cui ormai non si trova traccia né nei ricordi degli abitanti del posto né altro, un uomo di media statura, seria in viso, che si accomodò presso il bancone. Beveva tranquillamente la bevanda ordinata e talvolta, tra un sorso e l'altro, il suo sguardo si perdeva trasognato in un mondo lontano, forse quello appena vissuto durante la visione della pellicola. Era questi uno di quegli individui a cui si è accennato: quelli che, pur coscienti che il male non lascia più l'uomo dopo che l'ha conosciuto, concedono comunque a loro stessi dei momenti di temporanea sospensione della mente per tentare di ingannare loro stessi circa la disperazione che delle volte, in particolari momenti storici, cerca di dominare la realtà umana. Lo sguardo, se a tratti poteva apparire, ad occhi poco attenti, assorto nei propri pensieri, tradiva una certa attesa, come se da lì a poco dovesse accadere, proprio nel mio locale, qualcosa di estrema urgenza.

Non fu forse un caso, allora, l'ingresso di una coppia di signori, un uomo e una donna, nel mio locale, anche loro provenienti dal cinema distante appena cento metri dal bar, dove era stato proiettato Casablanca, un film ambientato nel Marocco francese proprio nella tragica contemporaneità. Serve forse fornire qualche notizia ulteriore sul film visto dai nostri protagonisti, se non altro per spiegare al lettore le ragioni per cui in quel caso la visione del film non aveva potuto portare che un minimo giovamento agli animi dei due signori che decisero di passare la notte seduti al tavolo del locale. Il protagonista della vicenda è Rick Blaine, un espatriato statunitense, gestore di un locale a Casablanca, con un passato di contrabbandiere d'armi durante l'invasione italiana dell'Etiopia del 1935 e di combattente repubblicano nella guerra civile spagnola dell'anno seguente, ma che sembra essere diventato un uomo cinico e dichiaratamente neutrale sulle vicende politiche e belliche che stanno accadendo. Una sera Blaine rimane in possesso di due lettere di transito, documenti di estrema importanza che consentivano di lasciare Casablanca sull'aereo per Lisbona, da cui, essendo questa capitale di un paese neutrale, si sarebbe poi potuti partire per gli Stati Uniti. Il giorno seguente arriva a Casablanca Isla, di cui si era innamorato, ricambiato, anni addietro, Rick. La donna, però, è ora sposata con Laszlo, ricercato dalla Gestapo per essere fuggito da un campo di concentramento dove era stato internato in quanto leader della resistenza cecoslovacca. Rick darà loro le lettere di transito per consentire alla donna

amata di salvarsi insieme al marito. Vi son dei momenti in cui l'animo è disposto particolarmente ad operare il bene: questo accade con maggior frequenza quando si ha un esempio da imitare, poiché il cuore, senza saperlo, si accorge della bontà di un atto e desidera ardentemente perpetuarlo. Così era successo a Rick, dopo aver visto la disponibilità del marito di Isla a rinunciare a lei pur di saperla salva.

Come questo film avesse agito nelle menti dei due signori era per me difficile indagarlo, ma si capiva che aveva dato loro modo di riflettere sul rapporto che li univa e che quella notte sarebbe con ogni probabilità mutato per sempre.

I nostri avventori, dei quali il lettore non sa ancora nulla, erano appunto appena usciti dal cinema e avevano preso la decisione di proseguire la serata in compagnia l'uno dell'altra all'interno del mio locale. L'aspetto di lei, che poteva dimostrare 30 anni, faceva a chi la osserva con attenzione un effetto di bellezza ricercata, voluta e, direi quasi, sfrontata. Un abito rosso le stringeva tutto il corpo, del quale risaltava il candore, per l'ampia scollatura lasciata dal vestito. I capelli, rossi anch'essi, le scendevano lungo il collo fino a toccare le spalle e facevano da contrasto al candore della pelle. Le labbra, di un rosso più intenso ma non per questo meno luminoso del resto, pure spiccavano in quel pallore. Lo sguardo era di una voluta indifferenza e permetteva a chi lo osserva di ipotizzare che fosse accaduto qualcosa che aveva lasciato impressa in lei la volontà di mantenere un distacco tra sé e il mondo. L'ombra del passato era la stessa che scendeva sugli occhi, intenti a guardare lo stuzzichino che normalmente servo per accompagnare la bevanda richiesta dal cliente, poiché ritengo sia sempre più gustoso dissetarsi con una qualsivoglia bevanda dopo aver mangiato qualcosa, perché solo in questo modo si sente il reale bisogno di bere e il desiderio di soddisfarlo.

Accanto le sedeva un uomo più maturo, un cliente abituale, che i giorni scorsi avevo visto agitato: era di un'eleganza non studiata, ma che voleva mostrare sicurezza e orgoglio, sebbene gli occhi tradissero una certa preoccupazione, lasciando presagire che ciò che stava avvenendo sotto i miei occhi era qualche cosa di estremamente urgente per entrambi.

Gli uomini, e con essi intendo il genere umano, trascorrono la maggior parte della loro vita incoscientemente, vale a dire senza la preoccupazione o la coscienza del tempo che sta passando; si godono i momenti loro dati con assoluta spensieratezza, lasciando spesso irrisolte, e volendole lasciare tali, certe questioni di estrema importanza. Succede poi, nessuno può dire perché accada in un certo istante e non in un altro, che qualcosa in loro si muova e si accorgano limpidamente di non poter più far finta di niente. Quello vissuto dai due signori di cui si è accennato era esattamente l'istante ora descritto.

È un'esperienza condivisa da molti quella di ipotizzare attraverso un'osservazione attenta ma discreta i pensieri di due persone e la relazione che li lega; quella sera era per me impossibile non intuire che stava succedendo qualcosa che con ogni probabilità avrebbe mutato la vita dei due. Lei attenta a non mostrare attenzione, ricordava come fossero state diverse le cose un tempo. Da fanciulli è più semplice vivere, perché l'uomo è convinto della bontà del mondo, per cui ad esso si affida, facendosi dono agli altri, senza condizioni; addio, giovinezza trascorsa veloce, momento privilegiato della vita di ognuno! Addio giocondità spensierata di chi viveva le giornate con l'innocenza del fanciullo. Chi ora è staccato da quei tempi custodisce di allora appena un ricordo e sa che quanto succederà ora è per cambiare tutto, e turberà la gioia degli antichi fanciulli, non si sa se per prepararne loro una più certa e più grande. Di questa natura, o quasi, erano i pensieri della donna, poco prima che lui iniziasse a parlarle.

La voce dell'uomo attirò sia l'attenzione del narratore, che forse troppo indugia sulle sensazioni che suscita in lui l'incontro con i clienti del bar, e il misterioso individuo che li aveva preceduti nell'ingresso; il bello, a detta mia, era finalmente sentirlo parlare: le parole rivolte alla donna sembravano la conclusione di un lungo discorso, di un discorso che durava anni, e sembravano essere dette apposta in quel momento, in quel luogo, a quella donna, davanti a quel signore, come il sugo di tutta la storia.

INCONTRI

Massimo Gezzi

A colloquio con Massimo Gezzi

a cura di Raffaella Castagnola

Numero dei vivi: è un titolo che mette in relazione il singolo e l'umanità. Come ha combinato queste due realtà?

Sono uno di quelli che credono che non possiamo prescindere dal nostro io, per conoscere il mondo, per interpretarlo e per interagire con esso. Il numero dei vivi è un titolo che, effettivamente, mette in relazione il singolo (l'io poetante, diciamo, che spesso - ma non sempre - coincide con quello biografico) e gli altri, i vivi, appunto, cioè tutte quelle persone che danno un senso all'io e che magari chiedono, esigono qualcosa da lui. Nel mio caso "i vivi" sono stati, a livello biografico, una figlia e i ragazzi che mi sono trovato davanti a partire dal 20131 quando sono diventato docente e padre. Questo libro parla anche di questa esperienza e di questa interazione, e di come gli altri abbiano cambiato il punto di vista dell'io biografico e anche il modo di esprimersi e di guardare, credo, dell'io poetico. È come se, dopo la protesta dell'Attimo dopo (un libro tutto sul e contro il tempo e la sua prodigiosa capacità di distruggere vite e tracce), quelli che restano ed esistono abbiano chiesto prepotentemente di essere messi in versi. Credo di averlo fatto con questo libro.

Il libro cerca delle certezze, senza mai arrivarci. È la m etafora della nostra società?

Forse tutti noi cerchiamo delle certezze senza arrivarci, sì. Forse anche la nostra società è all'affannosa richiesta di certezze. Talvolta però la società sacrifica la verità e la complessità irriducibile delle cose sull'altare delle certezze e delle sicurezze (basti pensare ai tentativi di semplificazione violenta e grottesca cui assistiamo riguardo al fenomeno delle migrazioni). Secondo me la poesia, in quanto altissima espressione di pensiero, ha il compito di allontanare le certezze facili, le autoillusioni. Lo diceva già Leopardi un paio di secoli fa e l'ha ripetuto, nel Novecento, un grande poeta come Auden. Occorre accettare queste difficoltà, senza smettere di cercare risposte. È un compito arduo, ma è l'unico degno degli uomini (e dei poeti).

Dopo il premio svizzero di letteratura è iniziato un lungo tour di presenze a incontri, festival, ecc. Le letture pubbliche cambiano il rapporto con i suoi lettori?

Direi di no. Sarà che mi sento piuttosto apocalittico, su questo argomento, ma a me continua a sembrare che la poesia sia una vox clamantis in deserto. I lettori sono pochissimi (lo vedo anche tra i miei allievi) e le letture in pubblico, che a me piacciono molto, possono servire al massimo a far comprendere meglio un testo, a far capire che la poesia non è una sorta di incomprensibile formula magica decifrata a fatica da un polveroso libro degli incantesimi, ma una delle espressioni più vicine e aderenti al nostro tempo. Una lettura in pubblico può far capire e sentire che la poesia parla della vita di tutti noi. È una cosa molto importante, ma non oso sperare che questo basti per cambiare il rapporto tra autori e lettori ...

Lei è molto legato a Fabio Pusterla. Come si rapporta con la sua poesia?

Ho conosciuto Fabio Pusterla quando facevo il dottorato a Pavia ( 2002 o 2003). Ho letto allora i suoi libri, che mi hanno immediatamente interessato perché ci ho subito riconosciuto una voce autentica, forte, personale: una di quelle che insegnano qualcosa a un giovane poeta in cerca di esempi e di strade. Da allora le nostre vite, per puro caso, si sono molto avvicinate, perché l'ho ritrovato dapprima come formatore alla SUPSI di Locarno, poi come collega al Liceo Lugano 1. Da Fabio Pusterla imparo quotidianamente una postura etica assoluta nei confronti della letteratura e del mondo; dalla sua poesia, da cui ho tratto ciò che dovevo trarre per poi allontanarmene e imboccare la mia via, un'attenzione acuta nei confronti di tutti gli aspetti del reale. Averlo incontrato è un privilegio per cui sento molta gratitudine, che cerco di esprimere anche in una poesia del Numero dei vivi (Lettera a Fabio, in omaggio alla sua predilezione per le lettere in versi).

Lei viene dalla Marche e lavora da tempo a Lugano. Che tipo di attenzione ha nei confronti degli scrittori di questi luoghi significativi per la sua vita?

Ci sono stati anni in cui mi sembrava importante studiare la letteratura in relazione ai luoghi, in particolare a quelli della mia regione d'origine. Come un grande poeta e critico di Macerata, Remo Pagnanelli (morto suicida giovanissimo), anch'io credevo di avvertire la presenza di una sorta di magistero metafisico condiviso nell'opera e nella vita di Giacomo Leopardi, vero nume tutelare della poesia marchigiana (anche se Pagnanelli sosteneva, non a torto, che nessun poeta del Novecento - non solo quelli nati nelle Marche - poteva non dirsi leopardiano). Ho organizzato incontri di poesia nelle Marche, ho scritto un libro a quattro mani con un mio amico poeta di Fermo (Adelelmo Ruggieri) sulla poesia contemporanea delle Marche (si intitola Porta marina. Viaggio a due nelle Marche dei poeti ed è stato pubblicato da peQuod nel 2008). Poi le esperienze di vita mi hanno allontanato: credo di aver vissuto, nel mio piccolo, la stessa trasformazione che subì Montale quando si trasferì da Genova a Firenze e realizzò che il mare - cito a memoria - si estendeva ovunque, anche sui colli intorno a Firenze, e non solo a Genova o a Monterosso. Mi sono così "smarcato" (rubo questa espressione a un altro scrittore marchigiano che pubblica in Svizzera, Daniele Garbuglia) e ho cominciato a interagire, ad ascoltare gli altri, arricchendomi e capendo, una volta per tutte, che la mia comunità intellettuale è ideale e dislocata nello spazio (e forse anche nel tempo).

L'arrivo in Ticino mi ha arricchito ulteriormente di confronti, scambi e incontri: Vanni Bianconi, Vari Bernasconi, Fabiano Alborghetti, Tommaso Soldini, Pietro Montorfani sono solo alcuni - oltre al già citato Fabio Pusterla - degli scrittori con cui ho avuto la fortuna di confrontarmi e di collaborare. Credo che il Ticino stia vivendo un momento davvero vivace, dal punto di vista intellettuale: mi sembra che tutte le voci che ho citato siano aperte alla letteratura europea e mondiale (basti pensare allo straordinario lavoro di Bianconi e del suo Babe/), e questo non può che portare vantaggi alla letteratura e alla cultura del Cantone.

Spesso i poeti amano tradurre: chi ha tradotto o chi le piacerebbe tradurre?

Ho tradotto molto, ma quasi solo prosa, per il momento (soprattutto romanzi, il più celebre dei quali credo sia The Old Devils di Kingsley Amis, padre del più noto Martin). L'ho fatto perché speravo, molti anni fa (e prima di capire che l'editoria italiana è ridotta in condizioni così disastrose da essere quasi irrecuperabili), che la traduzione potesse diventare il mio mestiere. Ho frequentato diversi corsi di traduzione tenuti da Massimo Bocchiola, uno dei più grandi traduttori dall'inglese, e ho fatto qualche passo in quella direzione. Ho tradotto anche qualche poesia di poeti anglofoni (Robert Hass, Louise Gliick, Sinead Morrissey, Norman MacCaig), ma mi piacerebbe misurarmi con qualche opera contemporanea importante. Al momento sono interessato a una notevole poetessa americana che si chiama Claudia Rankine: spero di poterne dare presto qualche saggio in italiano. La traduzione è un lavoro straordinario, per chi scrive versi: non solo perché è una palestra espressiva formidabile, ma anche perché è un esercizio profondissimo di comprensione degli altri. Bisogna imparare a guardare, pensare e parlare come un altro: ecco perché dovremmo proporne qualcuna ai nostri studenti, ogni tan-

to ...

Tre Poesie inedite

di Massimo Gezzi

Saluto di V.

«Mandatemi un'email quando vorrete leggere una poesia, così, per gusto: fatemelo sapere perché questo mi renderà meno solo, mi farete illudere che questa professione serva ancora a qualcosa». «Stia sereno, sore, e se non riceve nuova posta non è per l'antispam che non funziona. È che a me la poesia fa sbadigliare proprio tanto: non c'è vita, non c'è nessuna felicità dentro le pagine che lei ci legge. Qualche lacrimuccia (ma che palle!}, ma anche tante scemenze, di nessuna importanza. Certe volte, quando leggo una poesia, mi sembra di leggere la mia pagina Facebook, solo messa più difficile, quasi per dispetto. Però mi dica lei se mi sbaglio, e perché quello che scrive lei, per esempio, così, senza rime e andando a capo quando le vien voglia, la chiamano "poesia", e questo mio bello sproloquio invece no. E non metta su quella faccia, adesso, che magari la uozzappo, ogni tanto ... ».

Confessione di A.

<<Come si sentirebbe, lei, di fronte a dei muri parlanti, gente che non ricorda nemmeno il tuo nome, che ti ignora nei corriodi, ma poi decide di te, di quanto vali? È come se la mia vita si fermasse la domenica sera e riprendesse il venerdì. È più scuola o galera, secondo lei, questa qui?»

Svolgimento di S.

«Cosa vuole che s'impari, con dieci ore al giorno? Certe volte la scuola mi somiglia allo zapping: premi un tasto, cambia l'ora, e via con una roba che non c'entra un'emerita con quella precedente. E poi immaganizzare, registrare a memoria ... Conta questo, per voi. Ma imparare è un'altra cosa, professore: c'è bisogno di tempo, fallimenti, dormite sotto un albero per potere imparare davvero. Me lo dà, lei, il permesso di sbagliare, di perdermi in un sogno?»

Gli autori di Opera Nuova

Prisca Agustoni 201t/ 1, 2014/ 1, 2014/i Michele Amadò 2015 / 1 Fabio Andina 2013/i Flavio Arrigoni 2013 / 1, 2014/i, 2015/i, 2016/i Fabiano Alborghetti 2010/ 1 Pier Carlo Apolinari 2010/i W ystan Hugh Auden 2015/i Raffaele Beretta Piccoli 201 ti 1 Daniele Bernardi 2013 / 1 Vanni Bianconi 2010/i Domenico Bonini 201 1/i, 2015/1 Tomaso Bontognali 2010/i Lorenzo Buccclla 2015/ 1 Elia Bulctti 2010/i Sara Camponovo, 2016/ 1 Sabrina Caregnato 2014/ 1, 2017/ 1 Valeria Callea 2017/1

Picrrc Chappuis 2011 / 1, 2012/ 2 Joanne Chassot, 201 6h Davide Circello 2017/ 1 Lucia Colombi-Bordoli 2010/i Fabio Contestabile, 2016 / 1 Valeria Dal Bo 201i/1 Alessandro Dall'Olio 201Gh Andrea Dc Albcrti 2012/1 Adele Desideri 2014/ 1 Daniele Dcll'Agnola 2013/i Daniela Dclfoc 2011 /i Mauro Delfoc 2011 /i Jacqucs Dupin 2010/ 1 Anna Felder 2015/i

Simone Fornara 2011 /i, 2015 / 1, 2017/ 1 Gaetano C. Frongillo 201i/2

Lia Galli 2012/ 1, 2017/ 1 Mario Gamba 2011/i, 2015 / 1 Claire Gcnoux 20 13/i Laura Garavaglia 2015/i Debora Giampani 2016/i Giuliana Pelli Grandini 2015/ 1 Cécile Guivarch 2014/i Silvia Harri 2011 h Federico Hindermann 2010/ 1 Marica lannuzzi 2017/1 Gilberto !sella 2013 / 1, 2015/i Elisabetta Jankovic 20 12/i Elena Jurisscvich 2010/ 1 Pierluigi Lanfranchi 2011 / 1 Eva Maria Leuenberger 2016/i Claudio Magris 20 16/i Massimo Malinverni 2011/i Simonetta Martini 2011 h Sebastiano Marvin 2016/i Manuela Mazzi 20 15/ 1 Nadia Mcli 2013/i, 2014/i Paola Menghini 2010/i Fabio Merlini 2015/ 1 Roberto Milan 2015/i Christian Moccia 20 14/i Nicolai Morawitz 2017/ 1 Gerry Mottis 2012/1, 2013/i Laura M uscarà 20 11 h Alberto Nessi 2011/i Guido Oldani 2014/i Tiziana Ortelli 2014/i Amleto Pcdroli 2013/i Alfonso Maria Petrosino 2010/i Vincenzo Pezzella 2013/i Annamaria Pianezzi-Marcacci 2010/i Mariacristina Pianta 2012/i Rosa Pierno, 2016/ 1 Hélo·ise Pocry 2016/i Ivan Pozzoni 201i/1, 2106/i Michéle Python 2017/1 Fabio Pusterla 2011 / 1 Federico A. Realino 2013/i Anita Rochedy 2016/i Sergio Roic 2012/ 1 Marina Riva 2015/i Paola Celio Rossello 2012/i Antonio Rossi 2014/ 1 Tiziano Rossi 2011/i Luca Saltini 2011 / 1, 2014/ 1, 2015/i Maria Elena Sangalli 2015/ 1 Laura Sarotto 2013 /i Oliver Scharpf 2010/ 2 Adam Schwarz 2016/i Giulia Elsa Sibilio 20 12/ 1 Carlotta Silini 2017/ 1 Tommaso Soldini 2013/i Michelle Steinbeck 2016/i Studentesse DFA-SUPSI 2014/ 1, 2015 / 1,

2016 / 1, 20 17/ 1 Flavio Stroppini 2010/ 1, 2010/i, 20 12/i, 2013/i

Denise Storni 20 12/i, 2013/i, 2014/i Lolvé Tillmanns 2016/i V incenzo Todisco 2013/i Andrea Trombin Valente 2012/i Maria Rosaria Valentini 2013/i Bernard Vargaftig 2013 / 1 Simone Zanin 20 13 / 1

Le interviste di Opera Nuova

Massimo Gezzi 2017/ 1 Pier Vincenzo Mengaldo 2010/i Fabio Pusterla 2011 / 1 Gian Mario Villalta 2010/i

I collaboratori di Opera Nuova

Prisca Agustoni 20 10/i, 2012/i, 20 13/i Claudia Azzola 2015/i Arnaldo Benini 2016/ 2 Giovanni Bardazzi 2010/i Andrea Bianchetti 2013 / 1 Laura Branchetti, 2016 /t Mariarita Buratto, 2016 / 1 Raffaella Castagnola 2010/t , 2011/i,

2012/ 1, 2013/1, 2014/ 1, 2015/1, 2015/ ~

20 17/ 1

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2014/ 1, 20 14/2, 20 15 / 1 Nina Jaeggli 2010h Sandro Lanzetti 201 2/ 2 Paola Magi 20 13 h Flavio Medici 201 i/ 2 Simona Meschini 2017/1 Sara Murgia 2014/ 1 Margherita O rsino 20 11 / 1, 2012/i Fabio Pagliccia 2015h, 20 16/i Emilio Palaz 2012h Maurizio Palma di Cesnola 2011 / 2 Giulia Passini 2012/ 1 Matteo Maria Pcdroni 2010/ 1 Mariacristina Pianta 2012/ 1, 2015/ 1 Giuseppe Polimeni 201i/ 1 Giulia Raboni 2011h Stefano Ra i mondi 20 11 I 1 Gerardo Rigozzi 2010/i, 2011 /i, 2014/i Roberto Ritter 2011 / 2 Sergej Roic 2013 / 1 Lorenzo Tomasin 2015/ 1

Matteo Viale 2012/1, 2016/1 Lorenzo Tomasin 2017/1 Luca Zuliani 2010h

le pubblicazioni di Opera Nuova

Artemis

1. Luigi Rossini, Collerico, superbo, nel tempo istesso modesto, benigno.

Scritti autobiografici, 20 14

Autografica 1. Federico Hindermann, Cerchi di luce, 2010 2. Prisca Agustoni, Casa delle ossa, 2010 3. Pier Carlo Apolinari, Preludi e fughe senza indicazioni di tempo, 20 11 4 . Robero Milan, Il mare alla rovescia, 20 11 5. Jacques Dupin, Scarto, traduzione di Gilberto !sella, 2011 6. Simone Fornara e Mario Gamba, I cavalieri davanti al fiume, 2011 7. AA.VV., Il punto illustrato, 2011 8. Sergej Roic, Il gioco del mondo, 2012 g. Pierre Chappuis, Il mio sussurro. Il mio respiro, 2012 10. Gilberto !sella, Caro aberrante fiore, 2013 11. Giuliana Pelli Grandini, Le Marfungole, 2013 12. Sergio Wax, Fragm entos, 2013 13. Michele Amadò, Nient'altro che cinque minuti, 2014 14. Sergio Wax, Terra e sale, 2015

Riflessi 1. POESIT. Repertorio bibliografico dei poeti nella Svizzera Italiana, a cura di Raffaella Castagnola e Matteo Viale, 2012 2. Oscar Mazzoleni, Andrea Pilotti e Marco Marcacci, Un cantone in mutamento. Aggregazioni urbane ed equilibri regionali in Ticino, 2014 3. Michele Amadò, Disegnare il mondo, 2015 4. Michele Amadò, La casa delle muse - LAC, 2016

finito di stampare nel mese di gennaio 2017 dalla tipografia Salvioni arti grafiche, Bellinzona

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ISSN 1663-2982 ISBN 978-88-96992-19-7

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