Michele Amadò - Quatto quatto come un gatto

Michele Amadò

. . . .

Fotografie Studenti in Comumcaz1one v1s1va dellaSUPS I

Riflessi n.6

MMXVIII

Progrllo gra fi ro A nlonin f.iorgio l'rsrr f.o~ta

St11<lr11ti f.or~o di laurra in C:mnunir azionr \ is ha

SI PSI

Sc:uot,1 unlYtniuN profes»onale dflloSvlu.,.ltalt.n.

SUPSI f:, ir lala o~n i riprnduzinnr 11011 r .~plir itarnr11tr aulorizzala, anr hr J>arzialr r<l r ffr tuata ron qualsiasi 11u•1zo.

T1111i i clirilli ri~rr, ali. ~ 2 0 1R

F:cli1.in11i Oprra \uo,a. l.up;a 110 ,, ,, ,,.nprra nun, a.r om

Michele Amadò

Fotografie . . ..

Studenti in Comumcaz1one v1s1va della SUPSI

aLuc e

Un porcellino, uno scoiattolo, un cigno, un drago, un cerbero, ani mali esistenti e mitologici, da quando l'uomo scrive, o disegna, sono protagonisti di favole. Racconti per bambini, ragazzi, ma non solo. Gli animali son o umanizzali. Sono delle finzioni per raccontare qualcosa dell'uom o, del bambino C'he cresce, del mondo in cui vive, del senso del mondo. a rrazioni che sorgo no in ogni epoca, su valori m agari condivisi in altri eoni, m a allual izzali, riscritti in <'on testi del presente. Il fine delle favole è- cdifìcanlc, uolc contribuire alla conoscenza del mondo, e ad al trezzare il lettore ad affrontare anch<' le questioni più difficili, e anche scandalose, basti pensare b ene a Cappuccetto rosso e al lupo. Esopo, tra i primi grandi scrittori di favole, aveva un obiettivo etico. Ogni storia aveva u na sua morale.Consig liava non solo i bambini ma a nche gli adulti e i politici tramite le sue storie. Chi non ricorda quella della formica e della cicala? Di fa tto la sua v isione d<'I mondo però è pessimista. TI mondo va così , è meglio saperlo (godono di più le ci.cale che le formiC'h<'). La favola non banalizza nulla, è una finzione e come tale pcrmelle sia al bambino sia all'adulto di affrontare qu estioni, andl<' ani ipatiche, o dure, o terribili, com e quelle piacevoli, b elle, pa<'ilk he, da un punto di vist a pri vilegia lo, in un contesto sicuro, per esemp io quello della propria camera da letto con la m amma o il papà che legg<' la favola. Meglio se brevi (quelle di Esopo C'rano hrevissime). La fin1.ione permette di affrontare tutto, e i1n questo modo aiuta davvero a guardare negli occhi ogni problema, la realtà che in sé non è mai rose e fiori, e non per q uesto non m erita di essere vissuta. Come parlare della malattia? Della mort c? Della sofferenza? Della falsit à? OC'lla cattiveria? Dell 'apparenza che inganna (com e buon a parte ddlc favole di Esopo), con piglio sicuro, in pace? Solo le storie vere, anche se nella forma della fì nzion<', da vero interessano l'infante, i I ragazzo. l'adulto, l'uomo, volto verso il bene, la felicità, che proprio per questo sa a ffrontare le diffìcoltà e i mali. olo le favole coraggiose, sono am ale. La finzione, come buon terreno dunque per costruire storie, solitamente lo è anche neUa tipologia di immag ini, che sono g<'neralmente delle illus1razioni, ossia disegni.

In q uesto libretto abbiamo cercato, in un corso con studenti S PSI de) corso di laurea in Comunicazione v isi, a, di sperime ntare l'uso della fotogra fia, pur elab orata sul compu ler. Ton è evidente questa scelta, infatti si rischia d i perdere la m agia e il distacco reale, ma non emotivo, ch e è proprietà del d isegno, dove la finzione è d ichiarala. TI collega Marco BeltrameUi ha saputo g uidare gli studenti in questa diffìci le impresa. Ringrazio la collega Laura Morandi, responsabile del corso di laurea, di aver sostenuto questo esperimento che s fo<'ia in questa pubblicazione che raccoglie le storie che gli studenti hanno voluto tradurre in immagini utilizzando come mezzo p1·in<'ipale la fotografi a.

Michele A madò Profcssorf' SUP SI

"La fo1og rafìa non mostra la reah à, mostra l'idea d w sC' ne ha." \ C'i I Lcif<'r La fotografia È> sp<'sso inl <'sa come si ru m<'nl o capace di coglierP e rC'st il u ire f<'dclmeni <' iI realf'.

Le fa, ole apparl<'ngono al contrario ad 11n mondo fant astico. Semhrcrc bbc c-h<' la f'otografì a non sia il m<'zzo pi11 aclal lo p<'r rapprN;<'nt are una narrazione di fant asia. \ on <' così, C' lo dimostrano molti autori eh<' narrano con la fot ografi a mondi immagina ri tanto qua nto possono fare disegnatori<' illnslralori. Per altro non è- del lo eh<' le fa, olc apparl<'Hga no ad un mondo immaginario c non r<'alc, anzi sp<'sso raccontano attra, crso la fìn zion<' proprio cl C'I mondo realissimo, e> , erissimo m<'glio di quanto potr<'bhf' far<> un docum<'nl ario, un SC'f'\, izio g iornalistico, un lesto stori co-cron istico. L'<'s<'rr izio fall o dagli st u<lPn ti <' sialo <pu-llo cl i cc-rc·arc delle , ic, dell<' stral<'p;Ì<', p<'r narrarP i nuclei dr i racconti di \ madò u1-1ando il "cli segno ron la luc<"" 0'<'1 imo di "fo10" <' "p;r::i fì a"). Ct=>rlam<'nt<' fori<-' è stai a la fìnal izzazionc ddl' immagine in post produ zion<', cl alo eh<' non dowvano css<'r<> delle islantanN'. C'h<' <'ongclasscro il tempo, ma <lei l'acconli <·on pi t1 punti cli ,ista e momenti, per m<'zzo di d ittiei, trittici, soH apposizioni, compal'li nwntazioni. Gli approcci e gli esi ti sono di, cl'si ma di sirnro un esperimento interessa nlc.

llarm Brllram Plli Doc<'nl<' SLPSI

"Quatto quatto com<' un gallo" illustra le fiabe di Michele Amadò attraverso il m er o utilizzo della fot ografia. L'utilizzo d<'Ila tipog ra fìa con un corpo molto grande, facilità la lettura e rimanda ai classici Hbri di fiabe p<'r bambini. e scandisce i tempi e gli spazi come architettura creativa, rendendo il percorso ludico: un mondo immag inario fatto di lettere, di caratteri, di piaceYoli spazi, in armonico equilibrio con le immagini, doYc bambini e ragazzi possono soff<'rmarsi a respirare, segue ndo i criteri della l<'ggibilità, lcggerrzza e musicalità di questo sp artilo tipografìco. i scandisce così , quatto qu ali o come un gatto, i I per corso fì no al1a completezza di ogni singola fiaba e del libro in se, che vi<'nf" autenticato dalle fot ografi e degli stude nti in Comunicazione visiva.

Antonio Giorg io Pesce Costa

De:,igner

CIUCO L'ASINO INTELLIGENTE

• fotografìa Ivan Bianchetto

Il

Se qualcuno ti dice ''Sei un asino'~ stai certo che non è un complimento.

Gli asini sono testardi, ostinati, e poi tutti sanno che sono proprio dei somari. Se gli dai da scegliere tra della paglia o dell'oro, preferirebbero la paglia.

Ci sono un mucchio di motti, proverbi, sentenze su questo animale, che ricordano quanto sono ignoranti, come questo: ' ''E asino di natura chi non sa leggere la propria scrittura'~ Un giorno si racconta che un somaro andò a dormire su un lago ghiacciato, e per il suo calore il ghiaccio si sciolse, e l'asino sprofondò nell'acqua, si svegliò per morire affogato. Era proprio un asino! Ma come dicono alcuni saggi di terre lontanissime, "Giusto e sbagliato sono solo pastoie per asini'~ e "Un asino trova sempre un altro asino che lo ammira'~ ':4.sino sei, asino sarai, e asino morirai, prima che tu ti accorga di essere una bestia'~ E poi dicono che ''L'asino si accorge di aver perso la coda solo quando arrivano le mosche'~ Ma il peggio è il proverbio: "Chi è stato un asino non sarà mai un cavallo'~ Ciuco è proprio nero. Non perché ha la pelle nera, non perché è ubriaco, ma è scuro poiché è arrabbiatissimo: lui non ha nessuna intenzione di diventare un cavallo e tanto meno di paragonarsi con lui. Ciuco sta benissimo come asino, e non cambierebbe con un cavallo per nessuna ragione al mondo, e non è d 'accordo con nessuno di quei detti. Ma appena qualcuno lo vede afferma,

12

"Guarda, un asino . ", e il cavallo quando lo incontra gli dice gentilmente: "Buongiorno asino'~ Un giorno Ciucco contrabatté al cavallo: "Somaro sarai tu'~ e questi per tutta risposta gli appioppò due bei calcioni sul sedere. Insomma non vi è pace per il nostro Ciuco. Gira e rigira lo prendono sempre per un asino.

Si confrontò con i suoi genitori.

"Ma sei un asino': le disse la mamma, "Sì, proprio un somaro'~ calcò la mano il papà. Insomma che vita è quella che neanche i tuoi genitori ti valorizzano? E poi si arrabbiava anche con gli altri animali, come il maialino Giove che quando lo vedeva lo salutava dicendo "Ciao Ciucco, sei proprio un be/l'asino'~ Un giorno poi un mulo lo salutò dicendo "Buongiorno somaro'~ E un bue per prenderlo in giro gli diede del cornuto, senza neppure accorgersi che era lui ad avere le corna. Insomma Ciuco non ne poteva proprio più.

Andò dal signore del dizionario e gli chiese, perfavore, di cambiare la parola "asino" con un'altra, perché con quel vocabolo come nome tutti lo considerano un somaro. È come se un avvocato si chiamasse di cognome 'Perdetuttelecause'~ chi mai lo incaricherebbe?; o un soldato "Vigliacco'~ chi mai lo assolderebbe? O un re "Misero'~ che regno governerebbe? O un coccodrillo 'Pulcino" chi

avrebbe più paura di lui? O un bambino "Morbillo" chi giocherebbe con lui? O una bella bambina "Racchia" che la guarderebbe più? O chi tirerebbe fuori la lingua ad un medico che di cognomefacesse "Taglialingua''? O gli mostrasse il ginocchio se si chiamasse "Spaccaossi"? O chi andrebbe da un dentista che sulla targa avesse scritto: ''Dentista Spaccadenti, riceve solo per appuntamenti?, e chi scenderebbe ad una stazione se il controllore dicesse "chi scende lo mazzo"? E se lei caro signore del diz ionario, si chiamasse "Balbetta'~come il Grifo di Perugia, chi mai verrebbe ad imparare da lei come si pronunciano le parole?

Il signore del dizionario prese molto sul serio quanto gli chiedeva Ciuco, e ci pensò su così tanto che si addormentò, efe ce un sogno. Risvegliato comunicò a Ciuco quanto gli aveva detto nel sonno una signora del pozzo miracoloso nel quale sono custodite tutte le parole. Cominciò a dirgli che di nomi ce ne sono tanti, ma quelli con la letteraA, come il suo, sono i più prestigiosi, infatti sono posti all'inizio dell'alfabeto. Per tanto suggerì di pensarci bene prima di cambiare nome che il suo era quasi in cima alla lista. Non gli consigliava di regredire a nomi che cominciano con la B, come il Bue, o peggio come Cavallo, e gli ricordò che la C è al terzo posto nell'alfabeto. Di certo non intendeva chiamarsi Serpente o peggio ancora Talpa, se non Z ebra dato che la Z è l'ultima lettera. Con laA p erò i nomi sono tutti occupati, da qualcuno, come Anatra, che viene prima diAsino.Albatro viene molto prima ma anche questo nome è già attribuito. E che dire diAlloco? passare daAsino ad Allocco non è un gran guadagno. Il primo della lista è Aguglia, ma tu sai di che animale si tratta?

Pensa ad un Cavallo che dice all'Asino, "Ciao Aguglia'~ Non ci si capisce nulla. Tutti guarderebbero in giro per cercare il misterioso animale senza trovarlo, e vedendo l'asino direbbero questo è un asino non un'aguglia. Si potrebbe inventare in nome nuovo, perforza con laA, p er non cadere nella seconda lettera. Facciamo AB, le prime due lettere. Potrebbe

essereAbbacchio, ma e'è già, a Roma e da quelle parti. ForseAbbiolo, ma a Ciucca ricordava troppo un vino, il Nebbiolo, e lui era unAsino sobrio.Allora il signore del dizionario proposeAbo.A Ciucca non piaceva molo Abo, e Aba era troppo femminile. Abc è difficile da pronunciare, Abcd sembra un libro, Abd non sarà mica un nome, magari solo A. Va bene, solo A. Ma se il cavallo dicesse: "ecco A ehe arriva . ", funz ionerebbe? Mica tanto. La A si arrabbiò p erché magari dopo mille anni quando qualcuno dicesse A si penserebbe all;fsino, dato che l'animale si chiamerebbe A e non più asino, e nessuno penserebbe più alfatto che si tratta della prima lettera dell'alfabeto, ma interpreterebbe semplicemente la A come "somaro'~ AdA non piaceva proprio l 'idea di essere presa per un asino, o peggio ancora un somaro, e iniziò a fare lo sciopero. E allora tutti non si capivano più, perché chi ad esempio voleva dire '51.ndiamo a casa a giocare" o

"Bastafiniamo con questa storia che mi ha stufato'~ bisognava pronunciare "ndimo es gicre'~ "Bst,finimo con quest stor che mi h stufto'~ Il signore del dizionario ripetè a Ciucca che il suo nome era pur sempre uno della prima lista, e che il Bue poteva tanto correre, e ancor più il Cavallo, p er salire così in alto nel dizionario.

Ciucca non ci aveva mai pensato, e ora quando gli danno dell'asino cammina a testa alta, "Certo sono un A sino non un Cavallo in terza posizione'~ e mai più gli dispiacque il suo nome.Ma si arrabbiava tantissimo quando il cavallo lo chiamava so-

maro, dato che la parola inizia con la lettera S come serpente, ed à quasi alla.fine dell'alfabeto. Trovò un sistema per impedire di confondere l'asino con il somaro quatto quatto come un gatto: prese tutte le parola con la "s" del dizionario, le fece a pezzettini e li mischiò in un sacchetto. Fece estrarre al maialino i ritagli e li mise insieme a caso scambiando i nomi a tutti quelli che cominciavano per S, e sapete cosa è successo? ma questa è un'altra storia.

ARGANTE IL POLPO COL MAL DI SCHIENA

• fotografia Es t.her Awck a nd e

Argante è un polpo che vive in una roccia nel mare. Crede di essere molto, ma molto malato, e un giorno sì e un giorno no va dal dottor Trincati, professore in medicina, per chiedergli una cura.

Domenica mattina gli disse di aver il mal di testa, e questo era un grave problema di salute che lo avrebbe di certo paralizzato. E per lui, che riesce a intrufolarsi in ognifessura, per quanto sottile essa sia, diventare immobilizzato significherebbe la morte certa. Il dottor Trincati gli disse che di sicuro aveva mangiato del pesce avariato e gli prescrisse un'aspirina. E la mattina seguente, il lunedì, Argante stava bene.

Il martedì andò dal dottor Trincati per dirgli che aveva un grande male di piedi e di certo sarebbe rimasto paralizzato. In effetti sui suoi otto tentacoli aveva una miriadi di ventose, come piedi, coi quali si aggrappa dappertutto, e sefanno male non si muove più. Il dottore gli disse che di certo si era appoggiato a qualche corallo difuoco e gli ordinò di prendere una pomata. In effetti la mattina dopo, di m ercoledì., stava benissimo.

Giovedì arrivò spaventato dal dottore a dirgli che aveva mal di cuore e di certo sarebbe rimasto paralizzato. Il dottor Trincati auscultò tutti e tre i suoi cuori e uno batteva meglio dell'altro, e i tre insieme suonavano al ritmo di una tarantella, un famoso ballo del sud dell1talia, e diede adArgante una zolletta di zucchero dicendogli che era una potentissima medicina prodotta alPolo Nord perguarire lefoche malate di cuore. Argante divorò la zolletta e la mattina dopo, venerdì, si sentiva benissimo.

Sabato arrivò in lacrime da Trincati, e disse "Non c.,è nulla da fare, caro dottore., sono in fin di vita, e di certo rimarrò paralizzato'~ Il dottore gli chiese cosafosse successo, e Argante gli raccontò questa storia: '1eri sera era andato verso la riva a cercare alcuni molluschi che mi piacciono molto, quando mi vide un terribile marinaio che pensò bene di catturarmi e cucinarmi a cena, bollito. Dico, proprio lessato vivo, come fanno quei disgraziati di marinai, che se scopro chi li ha inventati gli mando a

-

dire qualcosa. E insomma il navigatore mi prese, mi portò nella cucina, e mi chiuse in un cassetto di metallo. Mise sulfornello a gas una grande pentola con tanta acqua a bollire. Ero perduto. Dovevo assolutamentefuggire. Mi sono assottigliato a forma di cassetto, e di soppiatto, quatto quatto come un gatto, sottile sottile, sono sgusciato fuori dalla fessura sulfronte del mobile, e mi sono lasciato cadere a terra prendendo la forma del pavimento a scacchi neri e bianchi. Il cuoco aprì il tiretto e vide con sorpresa che non c'ero più, e cominciò a cercarmi, ma, maledizione, non mi schiacciò sul petto con il suo pesante scarpone? Ah che mal di cuore. Fuggì e presi la forma del manico di una pentola. Il marinaio mi afferrò come sefossi l'impugnatura della stoviglia e mi mise la pentola nel forno acceso. Mi lasciai cadere ma appena toccato ilfondo mi misi a saltellare come un grillo, per il gran calore, sai che mal di piedi? Ma perfortuna mi morsi la lingua e non gridai. Saltaifuori dalla pignatta e mi attorcigliai come una sciarpa sul collo attorno allo scarico dell'acqua, e così rotondo, il marinaio non mi vide anche se mi guardò diritto negli occhi e tremavo dalla paura. Appena osservò altrove corsi verso la porta, ma il marinaio mi vide e mi lanciò addosso la pentola con l'acqua bollente che mi colpì sulla testa, ahi che dolore, che mal di testai

• Il cuciniere corse ad afferrarmi ma presi la forma del bracciolo della sedia. Il marinaio stufo di cercarmi si sedette, e appoggiò il suo pesante braccio su di me, ahi che mal di schiena, non ti dico.

Poi il marinaio si è addormentato, e con grandefatica sono sgusciato via e mi sono gettata in mare.

Ma da ieri sera ho un mal di gobba, ma un mal di groppone che non ne posso più".

Il dottor Trincati si grattò la testa, infatti non sapeva che pesci pigliare. Non si è mai sentito che un polpo avesse il mal di schiena. Non per altro, ma perché il polpo non ha una schiena, ma solo otto tentacoli con tante ventose e un gran testone, e null'altro. Potrebbe avere il mal di cuore, il mal di tentacoli, e il mal di testa, ma il mal di schiena proprio no.

20

Il dottore cercò di spiegare ad Argante che non poteva aver male a qualcosa che non possedeva.

Argante non era per nulla d'accordo, e argomentò: "So ben io se ho male o meno alla mia schiena, e questa mi procura tanto dolore, ma così tanto che rimarrò di certo paralizzato'~ Non c'era verso difargli cambiare idea.

Allora il dottore stette al gioco, e lo mandò dalfisioterapista che è quel signore che ti guarisce con le mani. Provò a fargli dei massaggi alla schiena ma non era possibile, il polpo non possiede nessuna schiena.Allora gli disse di prendere la forma della sedia, e Argante lo fece, e iniziò a manipolare la schiena della sedia, e Argante cominciò a fare dei versi tipo: "Ohohoh, ahahah, eheheh, ihihihi" e dopo il trattamento si sentiva benissimo. Andò dal dottor Trinco ti per dirgli chefinalmente qualcuno riusciva a curare il suo mal di schiena, e che aveva bisogno di una ricetta per la cassa malati, e il dottor Trincati scrisse: '54.rgante necessita di dodici massaggi alla schiena per la sua evidente scoliosi (una malattia della schiena)'~ E inviò tutto alla cassa malati. Intanto Argante andava afarsi sfregare la schiena che non aveva, e il massaggiatorefatturava fior di soldi, come anche il dottor Trincati. È proprio una strana storia, che ha del!' incredibile, come se, ad esempio un serpente volesse correre per le olimpiadi. Devi sapere che... ma questa è un'altra storia.

22

BIDDRINA IL

SERPE NTE CORRIDORE

• fotog ra lìa Artu r Strupka

Biddrina era un enorme serpente dacqua. Pensa che era talmente grande che ci volevano dodici bambini distesi a terra uno infila al/altro per raggiungere la sua lunghezza. Era di color verde e blu, con una pelle che era una vera corazza. Era temuta da tutti. I grandi dicevano ai bambini di non andare mai a fare il bagno negli stagni o nei laghetti, perchéproprio lì Biddrina la golosa li mangiava.

Biddrina si rattristava molto per queste dicerie, perché lei amava tantissimo i bambini. Le piaceva guardarli trottare di qua e di là attorno allo stagno. Sin da piccola voleva correre anche lei, era il suo sogno segreto. Ma, come dice il proverbio: 'Per correre ci vogliono le gambe'~ Diventata più grande si comperò un telefonino e guardava, grazie ad internet, le sfide di corsa, specialmente durante le Olimpiadi. E la gara che più lafaceva sospirare era la Mara tona. Si informò su cosa signifì-cava la parola e scoprì che veniva da una storia di molti e molti annifa, in una città chiamata con quel nome. Un tizio, per portare una notizia, corse per quaranta chilometri, che non sono mica pochi. Era una specie di postino, ma evidentemente la posta non esisteva ancora a quei tempi.

Biddrina ammirava quegli uomini che filavano sulle gambe come fossero tanti Bip Bip, l'uccello corridore. Era stufa di stare sempre nella palude, nell'acqua, ne/fango, ed anchefuori dall'acqua a strisciare sulla terra e mangiare polvere, che non è poi così buona; e doveva farlo per tutta la vita.

Non era giusto! Le piacevafare le cose anche un poco strane, e non solo quelle chefanno tutti. No, lei era diversa, doveva assolutamente partecipare ad una Maratona.

Ne parlò con papà e mamma, che si misero a ridere ma a ridere a crepapelle che sembravano i genitori di Odette, il piccolo cigno, quando gli disse che aveva il mal di mare. Ma i genitori ridono sempre dei bambini? Biddrina se ne tornò nelfondo della palude arrabbiatissima, e per consolarsi mangiò dieci rospi, che si erano messi uno sopra le spalle dell'altro come i musicanti di Brema, perché stavano cercando di divorare unafarfalla grassa.

Pensa che ti ripensa Biddrina decise che prima di tutto doveva cominciare ad allenarsi. Per correre ci vogliono delle gambe, e anche dei piedi, e poi sui piedi ci vanno le scarpe. Biddrina decise di cominciare da quelle e andò nel negozio a comperarle. Quando entrò la commessa svenne, il venditore la afferrò al volo prima che toccasse terra, e rimase impietrito: proprio come di pietra. Non osava neppure respirare per il terrore che la serpe lo divorasse. Biddrina chiese di poter provare le scarpe da corsa. Il negoziante con un leggerissimo cenno della testa pelata e sudata, lefece capire di accomodarsi pure.

Biddrina provò tutte le scarpe da ginnastica ma neanche una le andava bene. Ed era normale dato che non aveva dei piedi. Provò a calzarne una sulla coda, ma non riusciva a fare neanche un passo.

Riusciva solo afare dei saltelli, ma di sicuro gli organizzatori della Maratona non avrebbero accettato un concorrente che balzasse invece che corresse. Tornò a casa con la testa bassa -in realtà l'ha sempre bassa, dato che scivola a terra-, e si immerse nelfondo della palude, e per la rabbia inghiottì un altro rospo. Quando poi girò la notizia che era andata al negozio per comperare le scarpe da corsa, tutti gli abitanti dello stagno ridevano a crepapelle. E poi sogghignavano anche del commesso e della venditrice che erano ancora lìfermi, come di pietra da ben due giorni, perché non avevano il coraggio di muoversi. E anche i rospi della palude - non quelli che aveva divorato - iniziarono a prenderla in giro: "Biddrina, prendimi se riesci, corrimi dietro'~ e scappavano come lepri - anche se in realtà saltellavano come rane-. Biddrina non cifaceva caso, era triste e incolpava tutto, ma proprio il tutto, di non averlefatto delle gambe e dei piedi, e così non poteva correre, che era il suo desiderio più grande.

Anche più di mangiare, infatti per due settimane rifiutò di cibarsi.

Un giorno, guardando la televisione sul suo telefonino che funzionava anche sotto l'acqua, sentì l'annuncio: "Domani l'organizzatore delle Olimpiadi passa da queste parti per prendere l'iscrizione alla Maratona, chifosse interessato si presenti presto al negozio in paese'~

Biddrina si alzò di buon ora e andò al punto vendita. Arrivò anche torganizzatore delle olimpiadi che si stupì di vedere solo un pretendente, si aspettava infatti una lungafila di persone. In realtà cera stata una lunga colonna in attesa maBiddrina la mangiò tutta per colazione, come si vedeva dalla sua pancia piena. L'organizzatore non si meravigliò tanto per ilfatto che Biddrina era un serpente quanto che avesse un ventre così gonfio, ma siccome era tunica aspirante di quelle parti le disse di trovarsi tra due ore, né un minuto di più né un minuto di meno, al campo di calcio, e che se avesse corso attorno al campo in meno di trentatré secondo avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi.

Biddrina quatta quatta come una gatta, andò al campi di calcio, che distava da lì, per un serpente, giusto giusto due ore, né un minuto di più né un minuto di meno.

L'organizzatore era già lì ad aspettarla, con in mano un gigantesco cronometro, grande come la sua testa,fece partire la corsa di Biddrina con un colpo di pistola. Biddrina si attorcigliò tutta come sefosse una ruota, e con un pezzettino di coda che aveva lasciato penzolare lanciò la ruota a tutta birra e percorse il perimetro del campo da calcio in trentun secondi e mezzo, e cosìfu iscritta alla Maratona delle Olimpiadi. Biddirina, in questo modo,facendosi tutta tonda come una ruota, senza neppure doversi comperare delle scarpe da corsa, vinse la Maratona alle Olimpiadi, arrivando prima che gli altri fossero solo a metà strada. Anzi, quando arrivò corse ancora e raggiunse di nuovo la meta per la seconda volta, molto prima che tutti gli altri giungessero al traguardo. La televisione parlò della nuova stella della Maratona, e Biddrina ricevette una grossa medaglia d'oro, molto più grande del cronometro dell'organizzatore delle Olimpiadi.

Se vuoi vedere Biddrina, pare che vi è una scultura che la ritrae su una fontana in Sicilia. Si dice che questo serpente gigante fosse stato catturato dopo una lunghissima caccia e grazie ai rospi che aveva mangiato, ma che erano scappati perché che nella bocca di Biddirina entrò una cimice, ... ma questa è un'altra storia.

DIGI DIGI L'ANTILOPE INNAMORATA DEL LEONE

• fotografia Giorgia Scaran tino

Digidigi è un'antilope della tribù dei Dik Dik. Sa di essere molto bella, più graziosa delle sue sorelle e cugine. È snella e velocissima. Ha due begli occhioni grandi e scuri, con le ciglia lunghe. Chi la guarda rimane stregato e non parla più, o al massimo balbetta come Grifino. Il suo manto chiaro, con sfumature e con delle piccole chiazze come dei brillantini, la rende molto elegante. La sua voce è soave. Tutte le antilopi vogliono giocare con lei, ma lei non gli dona attenzione. Cammina sempre a testa alta. Anche le giraffe ammirano il suo straordinaria fascino e si complimentano con lei e con i suoi genitori. Digidigi, quando le incontra, allunga un pochino il suo collo, infatti era un po' gelosia dei loro così eleganti, ma in.fin dei conti, si diceva, che anche il suo non era poi così male. La sua mamma la faceva partecipare a tutti i concorsi di bellezza. Quello di miss antilope ormai lo ha sempre vinto, ma è arrivata infinale anche quello di miss giraffa e addirittura di miss ippopotamo.

Una volta divenuta in età di marito, rifiutò i pretendenti e i loro doni. Si negò aiDikDik, e alle antilopi, ma pure alfiglio del re delle gazzelle, che gli donava un palazzo fatto interamente di corna della sua tribù; e anche al.figlio del re ippopotamo, che gli regalava una collana di denti canini di tre generazioni dei suoifamigliari. Disse no persino al.figlio del re degli scimpanzé che gli effriva pellicce e gioielli. La chiese in sposa il principe degli elefanti, che promesse la sua protezione a tutta la tribù dei Dik Dik dal terribile leone, che preferiva, come pasto principale, proprio loro. Per questo motivo la famiglia di Digidigi la implorava di sposare ilprincipe dalle zanne bianche, ma Digidigi non ne voleva sentire, come pure del 'ippopotamo, e degli altri pretendenti. E poi se il leone era così pericoloso sarebbe andata a lei a parlargli perché lasciasse in pace la sua tribù. Tutti si misero a gridare per lo spavento: e supplicarono "Digi digi, digidigi, digidigi, nonfarlo, non andare, il leone èferoce, ti mangerà in un sol boccone'~ Ma Digidigi era già partita. Quatta quatta come una gatta è entrata nellaforesta ed ha cominciato ad avere un pochettino di paura: sapeva bene di quei balordi digatti selvatici che sipappano volentieri iDik Dik.Arrivata in una piccola radura, si scoprì circondata daifamelicifelini. Era in trappola. Tre grossi

Silvestris, tutti.fratelli, l'avevano imprigionata, e iniziarono a discutere tra loro. Il più grande disse: '1o la cuocerei alla griglia con legna stagionata, che ne vienefuori un gusto e un profumo che già mi lecco i baffi'~ Il secondo affermò: '1o lafarei essiccare così abbiamo una bella riserva di carne secca'~ Il terzo si espresse così: '1o lafarei bollire con tanta menta, che ci sta proprio bene'~ E siccome non si mettevano d'accordo iniziarono a litigare, e a darsi di quelle graffiate che un altro diventava orbo, che significa cieco. Dopo la litigatafacevanofinta di essere stanchi e di dormire.Allora Digidigi colse l'occasione per scappare di corsa via come il vento, ma i gatti, che per giocare avevano fatto finta di dormire, infatti erano proprio cattivi, ma cattivi cattivi, si misero a inseguirla. Era vero che Digidigi era velocissima ma lì in mezzo agli alberi, alle liane, ai cespugli non erafacile sottrarsi agli artigli dei terribili Silvestris, che per di più, avevano una granfame. Si accordarono di mangiarla cruda e di non pensarci più.

Digidigi corse però più velocefino a che si trovò bloccata davanti ad una cascata. Dietro di lei sentiva arrivare ifamelici Silvester, e allora cercò di arrampicarsi sulle rocce, ma non era mica una scimmia, e continuava a cadere in basso, e siferiva le belle zampine, e alla schiena. Saliva e cadeva, montava e ruzzolava. Ormai sfinita eferita si mise tremante in un angolo, sotto la cascata, ad aspettare la fine.

I tre Silvester, con l'acquolina in bocca stavano per azzannarla e gustarla come fosse un sandwich, quando, in alto Samba, il principe,figlio del re dei leoni, ruggì. Non era a dire il vero un grande rumore, irifatti ilprincipe era ancora molto giovane, ma i gatti selvatici sifermarono guardinghi, irifatti pensarono: "Non è che per caso c'è in giro anche il papà'~

31

E il primo Silvester con un ghigno da impostore dichiarò: "Quale onore vederti qua caro Samba. Ti stavamo proprio cercando per portarti come dono questa succulenta Dik Dik, giovane e tenera. Stavamo considerando di cucinartela, e per tanto la portiamo via e te la rendiamo già cotta stasera per cena, e la prepariamo alla griglia'~ "iffu . ,,, a mzcata ribaàz il secondo Silvester, "bollita'~ sostenette il terzo, e cominciarono, come al solito, ad azzuffarsi e darsi di quelle zampate che un altro era già orbo. Samba osservò la scena e poiguardò l'intimoritaDigidigi tutta bagnata,ferita, infreddolita. Pensò che in effetti sarebbe stata un bel boccone, e saltò giù, dinanzi ai trefratelli gatti e gli disse: "Vi ringrazio, cari cugini, del bel dono che mifate, ma ci penso io a cucinarmela come voglio. La porto direttamente ai miei genitori, cosìfarò un.figurone'~ Sapeva benissimo che i tre furbastri non gliel'avrebbero mai riportata. I tre fratelli se ne andarono malvolentieri, ma uno sgarbo alfiglio del re della savana non lo si può fare, e litigando e dandosi botte da orbi se ne andaronofacendo una gran cagnara. Digidigi svenne dal terrore rimpiangendo il momento in cui è venuta nellaforesta per convincere il leone a lasciare in pace la sua tribù, e ancora di più di non aver accettato la mano delfiglio del re degli elefanti che ora proprio le sarebbe tornato utile. Era il suo destino, si vede, essere mangiata dai leoni.

Digidigi si risvegliò alla sera, e si trovò davanti ad unafaccia che era grande quanto l'intero cielo. Era il papà leone che stava osservandola da vicino, interrogandosi su come prepararla: arrostita, bollita, o divorarla cruda. Nel momento in cui lei aprì gli occhi rimasefolgorato. Che bella antilope, non ne aveva mai vista una così graziosa, e pensò che sarebbe stata la sposa giusta per Samba. La mamma di Samba, che era lì a fianco e pensava già di bollirla, vide lo sguardo strano di suo marito, e non le

32

piacque per nulla. In quel momento arrivò Samba affamatissimo. E chiese: "Mamma, papà cosa c'è per cena,,?

La mamma le rispose, 'VikDik bollita'~ e subito, nellaforesta si sentì il terzofratello Silvester, che gridò, 'Ho vinto, avete visto, ha detto bollita'~ e i tre iniziarono di nuovo ad azzuffarsi che un altro sarebbe rimasto orbo. Simba disse: 'Vmmm, che buono, non vedo l'ora'~ Digidigi era terrorizzata. Ma il papà leone ruggì e ordinò.

"Samba, guardala negli occhi,,?

Samba non aveva visto quegli occhioni neri grandi con quelle ciglia lunghissime, ed ora che piangeva era ancora più bella. Era così graziosa, ma così incantevole, che non voleva più divorarla ma sposarla. E di sicuro sarebbe capitato così se non che la mamma leonessa, convinse re e principe, che la cosa aveva poco senso, quanto che l'acquafosse asciutta, che la nevefosse bollente, che la rocciafosse morbida, che il sotto fosse il sopra, e che la zia Ermegildafosse simpatica. È aveva ragione. Samba magari senza accorgersene, di notte, mezzo addormentato o insonne, avrebbero potuto divorare Digidigi senza neanche volerlo, avrebbe vinto la natura del leone.

Perfinire la lasciarono andare a casa, anche se la mamma leonessa non era del tutto convinta e l'avrebbe volentieri invitata a cena come piatto principale. Mai più si sentì che un leone divorò un Dik Dik in quella regione. Digidigi tornò a casa, abbraccio i genitori, ma non si sposò mai, e non perché, come prima,faceva la preziosa, ma poiché era innamoratissima di Samba.

Sognò a dire il vero una cosa strana, e un angelo in sogno le disse che non era impossibile l'amore tra lei e Samba, ma doveva aspettare che... ma questa è un'altra storia.

33

GIOVE IL MAIALINO CUI PIACEVA IL SALAME

• fotografie icolò Bianchi

34

Sapete cosa è un maialino di latte? È un porcellino piccolo piccolo che non ha bevuto altro che il latte della sua mamma. Una volta svezzati i maialini non bevono più il latte ma mangiano un po' di tutto: pane, pasta, mele, pere, lattuga, zucca, patate, carote, noci, castagne, polenta e via di seguito.

Il nostro maialino si chiamava Giove, un nome da dio, anzi di un dio che tanto deve a questi animali dato che da piccolo era cresciuto proprio bevendo il latte di una scrofa, la.femmina del maiale.

Un giorno si era stufato di dover sempre litigare con ifratellini per bere e poi voleva provare altri gusti. Di soppiatto, quatto quatto come un gatto, scappò dalla stalla e si avventurò nel mondo, che era poi solo la fattoria ma per lui era grande come tutto l'universo. Attraversò la strada di terra battuta e arrivo alla dispensa. La porta era socchiusa, la laboriosa padrona andava avanti indietro.

Di soppiatto, quatto quatto come un gatto, quando la padrona era uscita, entrò. Dentro c'erano tante cose colorate e ben ordinate, in ceste, cassette, sulla tavola e negli scaffali. E che fiumi di profumi scorrevano nelle sue raffinate narici, quei buchi nel muso rosa a.forma di cuore, efacevano cantare il suo cervello e stringergli lo stomaco.Avevafame, ma tanta, '54.ltro che latte, qui c'è ogni ben di Dio, per Giove'~ Si disse.

Si avvicinò alla cicoria e stava per gustarla quando, d'un tratto, entrò la padrona. Di soppiatto, quatto quatto come un gatto, si nascose sotto un grande piatto. La padrona appena entrata se ne è di nuovo andata. Giove uscì dal nascondiglio e per un movimento sbagliato il piatto cadde sulla sua testa e si ruppe in mille pezzi. Conteneva qualcosa che profumava diversamente dalla altre.

"Sarà cosa buona"? si domandò Giove. D'un tratto entrò con uno scatto di nuovo la signorafattora {ma perchégli uomini continuano a correre avanti e indietro?). Di soppiatto, quatto quatto come un gatto, Giove azzannò il contenuto del piatto, e corse via veloce com e un cerbiatto. La padrona fece un salto in alto con

35

piroetta e avvitamento per lo spavento di qualcosa che gli era corsa tra le gambe. Il porcellino corse nella stalla, si riparò sotto la mamma, efece finta di bere il latte. Ma in realtà stava gustando quel cibo saporitissimo che aveva arraffato in dispensa. ''E che buono! e che profumi! e che saporiiAh se ne intendevano i padroni, ecco cosa mangiano loro, altro che latte di scrofa'~ Insomma Giove si era appassionato di quel cibo, che aveva qualcosa del latte, ma era molto più gustoso, e non voleva più nient'altro. La tecnica era sempre quella: di soppiatto, quatto quatto come un gatto, entra in dispensa, afferra la manna sul piatto, e scappa veloce come un cerbiatto, con il bottino sottratto, ed è solo il primo atto. Insomma per sette giorni Giovefece così.

La mamma si accorse che il porcellino non beveva più, poi lui proprio quello che di solito poppava con piùforza e mordicchiava le mammelle.Ma però non dimagriva affatto. Ne parlò con suo marito, e non capivano cosa stesse succedendo. Di sicuro qua c'è un mistero. Allora il papà disse "Ci penso io'~ e si nascose un giorno intero in un anfratto per spiare il porcellino. Questi, di soppiatto, quatto quatto come un gatto si irzfilò nella dispensa, ma questa volta dietro di lui suo papà, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, lo seguì.

Non vi dico come si sentì il papà maiale quando vide Giove, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, arraffare il salame sul piatto. E poi lo vide azzannarlo con gusto. Stette così male che svenne.

Giove si accorse di essere stato scoperto dal papà e di soppiatto, quatto quatto come un gatto,fuggì come un cerbiatto stupefatto del suo misfatto. Ma questa volta la mamma scrofa non lo accolse nella stalla, il papà, che era rinvenuto, lo cacciò, e gli disse, di andarsene e di non tornare mai più.

"Ma cosa hofatto di così grave'~ domandò Giove, e il papà gli spiegò che aveva mangiato il suo povero zio.

37

"Lo zio? Ma quando?

"Tutti i giorni, da una settimana. Quella che mangiavi con così tanto gusto era lo zio Pig, che padroni hanno ucciso e insaccato in tanti salamini, che loro mangiano con grande gusto'~ Giove fu perso da ribrezzo e da una terribile tristezza, e pensò che i padroni, che tutti ritenevamo buone persone, non erano poi così perbene se la parte amabile che apprezzavano di noi maiali, erano i salami. E urlò: "Bisogna ribellarci"!

Ma il papà gli diede una zampata cosiforte sul sedere che si trovò a sbattere oltre la strada proprio sulla porta della dispensa. Cosafare? Giove, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, entrò e andò sino al piatto. Lo svuotò di tutti i ziosalami e di soppiatto, veloce come un cerbiatto, scappò come un matto, lontanissimo dalla fattoria con il suo malloppo.

Li fece una buca e vi pose delicatamente i resti dello zio. La coprì e rimase in silenzio. Insomma, gli fece ilfunerale. Da quel giorno non ebbe più fame, né voglia di mangiare. Decise di andare a nord, sempre a nord,finché sarebbe morto difame. E così sarebbe stato se nonfosse che suo papà, di soppiatto, quatto quatto come un gatto di color scarlatto, lo aveva seguito per vedere cosa faceva.

L'aveva bandito ma in cuor suo non voleva farlo, in fin dei conti Giove mica sapeva che i salami erano fatti di maiale, e rimase stupito che Giove preparò ilfunerale allo zio Pig, e invece loro non gli avevanofatto proprio nulla. Allora chiamò a sé suo figlio.

Giove abbracciòforteforte il suo papà, e gli disse che era colpevole e non voleva cibarsi mai più, ma per la contentezza del perdono del padre, e questi e del perdono delfiglio, di colpo ebbero entrambi una grandefame, e insieme si papparono la bella e succulenta cicoria di un giardino di unafattoria lì accanto e con la pancia piena tornarono a casa.

Ma non sempre le piantefanno bene, un giorno ad esempio capitò ad un ape di scoprire che il suo fiore preferito ... ma questa è un'altra storia

GLIS GLIS IL

GHIRO INSONNE

• fotogra fia De bora Talla rico

39

Ah che dormiglioni i ghiri! Dormono tutto l'inverno come gli orsi.Almeno sei mesi. Negli altri sei di giorno rorifano "come ghiri'~ ma di notte, quando si svegliano, allora si che sifanno sentire.

Oggi parliamo di Glis Glis. Viveva in una vecchia stalla, sistemata come casa di vacanze. Glis Glis e i suoi.fratellini glissini agivano nelle ore notturne. Prima di tutto incominciavano afare colazione, che matti alle dieci di sera. Si mettevano tutti in cerchio e Glis Glis serviva su unafondina, ghiande, castagne, nocciole, bacche, ifunghi, la frutta. Riempiva il piatto e lo passava a Glis Glis Secondo, che lo porgeva a Glis Glis Terzo, che lo consegnava a Glis Glis Quartino, che lo passava a Glis Glis Quintino, che lo tendeva a Glis Glis Sesto, che lo ridava a Glis Glis, che riiniziava ilgiro. Restituiva ilpiatto a Secondo, che lo spingeva verso Terzo, che lo sdrucciolava in direzione di Quartino, che lo spostava davanti a Quintino, che lo riconsegnava nelle mani di Sesto, che lo rendeva a Glis Glis, che ancora più veloce di primafaceva volare il piatto a Due, a Tre, a Quartino, a Quinto a Sesto che glielo ritornava sulle sue zampette, e poi tutti correvano afare ilgirotondo così veloci che si vedeva solo un turbine di vento che sembrava quello vero che muove lefoglie in tondo. Quindi si gettavano in basso, nella casa che li ospitava.

Si tuffavano sulla poltrona gialla e ciascuno mordeva un pezzo di ripieno e poi saltavano sulla tovaglia e la rosicchiavano con cura. Si divertivano a mettere sotto i denti, stoffa, lana, impagliature delle sedie, a volte anche la plastica, il cartone poi per loro è una leccornia, e insieme cantavano chiassosi "che divertimento è tutto rosicchiar, tutto masticar, e tutto maciullar'~ Poi la mattina ifratelli andavano dormire, ma non Glis Glis che non aveva per nulla sonno ma solo desiderio di giocare a mordicchiare tutto e di più.A voglia cercare di convincere ifratelli a scorrazzare ancora negli armadi per buttare all'aria tutti i vestiti, o l'isolazione del tetto, o a giocare alle talpe nei materassi scavando gallerie e producendo grandi mucchi di lana. Niente dafare. E questo ogni giorno e per ogni inverno quando i suoifratelli rorifavano come il tuo papà.

Glis Glis doveva inventarsi qualcosa. Ha cercato di giocare con i cugini scoiattoli, ma quelli sono

snob, e lo prendevano in giro; e non ti dico le faine che neanche lo ascoltavano. Le martore gli ordinavano di non andare a mordicchiare i succulenti tubicini delle auto dato che è un piatto dedicato a loro. Ci mancava anche questa! Proibirgli di non farlo era come spingerlo a commettere il misfatto, e i-rifatti di giorno, quando le martore non ci sono, lui andava nei motori e azzannava i cavi, e soprattutto quelli delle Wage, delle Biemme, delle Merci, delle Peggiot, delle Fiit, e poi che dire delle Citro, o delle Onda, queste gustosissime, quasi come i cavi delle Scudi,A volte capitano le prelibatezze come le Ferri, le Gutti, le Mase, le Rati, le Beni, e le Ley, parenti delle Roll buone quanto le Royce, insomma poi divenne un esperto, e delle Wage preferiva le Palo, ma non disdegnava le Gol e al top vi erano le gomme delle Londover, e in particolare il modello sport delle Disco. Che sballo.

Ma dopo settegiorni,gira di qua egira di là, le auto posteggiate vicine agli uffici erano tutte mangiucchiate e gli uomini se le prendevano con le martore, le quali non ne sapevano nulla dato che tutto succedeva di giorno quando loro o dormivano o cacciavano altrove. Trovavano i lavori giàfatti e volevano indagare per scoprire il colpevole e per punirlo, ma non potevano perchédovevano scappare. Insomma a Glsi Glis gli è andata bene, ma dovette cercare un'altra attività, le martore si erano arrabbiate davvero tanto.

Glis Glis quando volevafare danni era un campione.

Si intrufolò nella piscina comunale. Era divertentissimo; le ragazze che si cambiavano quando lo vedevano urlavano come lupi, e saltavano più in alto possibile, salivano sulle panchine, e quando potevano scappavano via veloci. Che risate, che risate, lo scambiavano per un topo, '54.h ah, ah'~ E poi arrivavano gli inservienti, chiamati dalle ragazze, per catturarlo, ma lui passava da un armadietto ad un altro strappando tutti i bottoni dalle gonne, dai pantaloni, dalle camice, dalle giacche, eforava le mutande, le calze, le canottiere, ma anche, e con che gusto, quando li trovava, gli asciugamani.

'54.h che goduria, che bello girare per il mondo, si imparano tante cose'~

4-2

Tutte le settimane, cambiava attività perché si stufava.

Nelle stanze da letto degli Hotel si divertiva a frantumare tutto ciò che era nei cassetti, ma non dal di sopra ma dal di sotto, così prima che gli uomini se ne accorgessero ci voleva tanto tempo. E poi di giorno non c'è mai nessuno a controllare, sono tutti a lavorare da qualche parte, o a fare la spesa.

Dopo sei mesi di divertimento invernale, mentre i suoi fratelli dormivano, aveva mordicchiato, forato, strappato in città tutto quello che sui poteva mordicchiare,forare, strappare. Decise perciò che sarebbe andato lontano, per cercare altre cose da addentare. Di soppiatto, quatto quatto come un gatto, prese l'aereo nascondendosi in una valigia, e volò verso un'isola tropicale. E lì ne ha combinate il doppio. Il massimo erano i villaggi di vacanza e gli alberghi, specialmente se a molte stelle, con sete e rasi e mussoline da triturare e radere comefa ilgiardiniere con un Zeki Boy. Passava da un albergo all'altro, uno alla settimana, di giorno e di notte senza interruzione.

Glis Glis il birichino era proprio soddisfatto.

Ma vi domanderete, giustamente, quando mai dormiva Glis Glis? Ci sarà una cura contro l'insonnia altrimenti a questo passo avrebbe distrutto tutto il mondo. Perfortuna un giorno, nei suoi lungi ed esotici viaggi, andò in un villaggio di vacanze in Africa e mentre stava gustando un bikini di marca, lo punse sulla lingua una mosca di nome Tse e di cognome Tse, per gli amici Tse Tse. Gli prese un sonno, ma un sonno, un sonno da ghiro. Gli cadevano le palpebre, la mascella diventava debole.

Volle tornare a casa, si stancava di tutto, sia di giorno sia di notte. Di soppiatto, quatto quatto come un gatto, si imbarcò su un Jumbo, e si nascose nella stiva.

Sono passati anni ormai da quel giorno, e dormendo ha fatto mille volte il giro del mondo nella valigia dispersa che era la sua casa. E gira e gira, e gir gir, e gil e gil il Glis glis è sparito dal giro.

Quando si sveglierà? Questo è un belproblema, ma un giorno si è ridestato su una nave, che guidava un certo Noè ..., ma questa è un'altra storia.

43

GOURMET IL

CATTIVO BUON CERBERO

•

fotografie Giulia Crocetti co n di seg ni d e ll a cla sse 48 Scuole E le m e ntari Be llin zona Sud

44

Ci sono cani e cani.A volte sono dei barboni, anche se piccolini, come i barboncini, altri sonofamelici come i lupi; alcuni sono dei nanetti come i bassotti, altri dei giganti come l'alano. Il più tremendo, chefa più paura di tutti, è di certo il cerbero. E' grandissimo, ha cinquanta teste, gli occhi rossi, una barba lunga e nera, degli artigli al posto delle zampe. Protegge l'entrata del regno sotterraneo, che è anche una prigione. La sua voce è così acuta che penetra dalle orecchie sino al cervello,facendo venire il mal di testa a chi la sente. Si diverte a straziare i viventi, e non li lascia mai scappare dal carcere infernale. Insomma è uno che è meglio non incontrare. È anche unfalso, o così credono in tanti, infatti se vede arrivare qualcuno scodinzola per la contentezza e muove teneramente le orecchie e sbatte gli occhi, e il viaggiatore si convince in tal modo che è un buon cane. Ma in realtà si dice che è allegro perché sa che quando il malcapitato sarà entrato e cercherà di scappare lo divorerà come una costina alla griglia. Non ha caso si chiama Gourmet.

Un giorno il cane Pluto, insieme al suo amico Rintin, andò a trovarlo per cercare di riportare a casa il loro compagno Scotch, imprigionato nel carcere custodito dal Cerbero. Gourmet, appena li vide, iniziò a scodinzolare, e a muovere le orecchie. Pluto e Rintin si misero a terra, in segno di riverenza, e gli diedero un osso di stinco da sgranocchiare, che Gourmet accettò volentieri. Stettero un po' di tempo a chiacchierare tra un morso e l'altro. A volte capitava che qualcuno voleva fuggire dal carcere e allora Gourmet si allontanava per un attimo, e tornava con la pancia più piena di prima.

Ricompariva subito perchégli piaceva la compagnia di Pluto e di Rintin.

Luifaceva questo lavoro per tradizione, diciamo che era nato perfare il guardiano tremendo, ma, in cuor suo, avrebbe volutofare altro. E sapeva benissimo cosa avrebbe desiderato essere: un pastore di montagna, che è buonissimo e cura le pecore e le capre, e anche le mucche se necessario. Aveva conosciuto una certa Giovenca, una grande mamma, e i suoi.figli, ed era proprio una bellafamiglia, insomma avrebbe voluto una vita semplice, normale.

45

Ma non era il suo destino. Vi è una lunga tradizione di cerberi che doveva seguire, quella del nonno, di nome Spia, e del papà di nome Goloso. Si sentiva prigioniero del suofato come i detenuti del loro carcere. Con le sue cinquanta bocche mangiava almeno unfuggitivo al giorno, e faceva fatica ad alzarsi perché la pancia era cresciuta moltissimo. Quando poi scodinzolava e muoveva le orecchie era perché era davvero contento di vedere qualcuno, e non poiché lo avrebbe poi mangiato, ma questo non poteva dirlo a nessuno ma solo pensarlo. Era nato perfare il cattivo, e dovevafare il cattivo.

Pluto e Rintin, che avevano capito che Cerbero aveva un buon cuore, cercarono di convincerlo a lasciare tornare a casa il povero Scotch , che era un buon pastore scozzese. Ma Gourmet non poteva farlo. Era come pretendere che l'acqua fosse asciutta, che la neve fosse bollente, che la dura roccia fosse morbida, che il sotto fosse il sopra, e che la zia Ermegilda fosse simpatica. No, lui era il terrificante guardiano della porta degli inferi, mica un buon pastore bergamasco. Ma Pluto e Rintin insistettero tanto perché volevano un bene cane a Scoch. Gourmet nel segreto del suo cuore anche se le cinquanta teste pensavano cinquanta cose diverse, avrebbe voluto lasciarlo libero di tornare a casa con i suoi amici.

Ma non vi era modo di ingannare le cinquanta teste. Se una dormiva le altre erano sveglie, se una parlava l'altra spiava, se una mangiava l'altra ruttava, se una era stupida l'altra era intelligente e scrutava anche il cuore. Ma afuria di pensare anche le teste, e non erafacile accordare così tante crape, si convinsero che il cuore aveva ragione, e bisognava aiutare Pluto e Rintin, ma senza darlo troppo a vedere.

Il re del regno sotterraneo, un certo Plutone, non sarebbe mica stato d'accordo.

Gourmet si accordò tra e sé e sé, tra le sue teste, e, senza dire nulla a Pluto e a Rintin, fece finta che tutte le cinquanta teste dormissero contemporaneamente, cosa che, sappiamo, non capita mai.

Scotch, che era lì dietro ad ascoltare tutto quanto capitava, quando vide il terribile guardiano dormire, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, strisciò tra i colli, le teste e le zampe del Cerbero sino

ad arrivare da Pluto, ma mentre stava per alzarsi e correre a casa quando si sentì un rimprovero fortissimo, potente come un tuono estivo: era il rombo di Plutone che disse: "Gourmet, cosafai, dormi? Guarda che Scotch sta scappando'~ e allora per istinto Gourmet afferrò con un artiglio il povero scozzese e lo gettò nella più grande delle sue bocche per divorarlo. Pluto e Rintin chiusero gli occhi per lo spavento, mentre Plutone osservava soddiifatto la scena, che nessun'altro saprebbe guardare senza gelarsi le vene. Intanto Gourmet schiacciò l'occhio destro di quarantanove delle sue teste a Plutone, come per dire: "Mhmmm che buono questo boccone'~ mentre la cinquantesima era occupata a masticare per bene Scotch. Plutone, che aveva il difètto di amare le lusinghe, che signifì,ca le finte attenzioni, schiacciò anche lui l'occhio a Gourmet. In quel momento il cerbero, quando Plutone ci vedeva solo da un occhio, e Plutone aveva un'unica testa e non cinquanta, mise la boccafuori dalla vista dell'altro occhio del re, e sputòfuori un osso,facendo un bel rutto, e disse con la sua voce lancinante rivolta ai due poveri cani suoi amici: "Era gustoso il vostro amico Scotch'~ e si mise a dormire per digerire.

Pluto e Rintin osservavano sconsolati l'osso, insomma tutto ciò che rimaneva del loro amico Scotch, ma riconobbero subito che si trattava dello stinco che avevano portato loro. Il cerbero con un solo occhio di una delle sue cinquanta teste,fece come segno benevolo d'intesa l'occhiolino ai suoi due nuovi amici. Cosa era successo?

Quando Plutone gridò, Gourmet se lo aspettava, conosceva bene il suo padrone, efece finta di dormire per poi crudelmente divorare ilfuggitivo. In realtà, velocissimamente, scambiò Scotch con l'osso, come fanno certi giocatori di tre carte alle stazioni, e lo nascose sotto la sua grande pancia.

Fecefinta di masticare Scotch ma mordeva l'osso donatogli da Pluto e Rintin, che sputò come sefosse

)

stato il resto del cane scozzese, mentre Scotch, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, strusciò all'ombra di Gourmet sino all'uscita della caverna, e aspettò fuori i suoi due amici.

Pluto e Rintin salirono in fretta e una volta fuori abbracciarono Scotch e si misero a correre in cerchio e a giocare. Intanto Gourmet sorrideva in cuor suo mentre le teste guardavano attorno minacciose per il piacere di Plutone. I tre cani tornarono a casa e raccontarono la loro storia ad un regista di cinema, che decise difare dei.film sui cani, come quello nel quale una bestiolafu venduta e allontanata dal suo padroncino che non era d 'accordo e allora ... ma questa è un'altra storia che puoi chiedere ai tuoi genitori difarti vedere.

50

GRIFINO IL

MOSTRO TIMIDO

• fotogralìa Stefano Mon ti

51

Girando nel mondo capita di vedere delle statue che rappresentano uno strano animale. È molto grande e minaccioso. Ha un becco e delle ali di un'aquila, e il corpo di un leone. Si chiama Grifo.

Ma Grifi-no, che è il nostro mostro carino carino, era molto timido. Non aveva il carattere dei suoigenitori e si vergognava.Ad esempio capitava che la mamma, quando suonava il campanello, gli diceva, "Va ad aprire la porta sono in lavanderia'~ ma Grifi-no non voleva, cosa doveva dire efare? E poi chissà chi era.A volte anche ilpapà gli ordinava, "Vai a comprarmi le cicche nel negozio'~ Grifi-no era impacciato, non guardava negli occhi il commesso, e poi diventava rosso e scappava via dicendo: '51.rrivederci'~ talmente piano, che non lo sentiva nessuno, e sembravafosse scortese. Oppure la sorella maggiore che era una grande leonessa, gli chiedeva: "Telefona perfavore a Samba per dirgli che arrivo in ritardo, sono ancora in bagno'~ e a lui tremava la mano ne/fare il numero, e gli veniva la voce ballerina, e poi metteva subito giù il telefono. Quando poi doveva parlare con qualcuno si impappinava.Anche con i compagni era così.

Gli sarebbe piaciuto molto giocare con la piccola Gonzillina, ma non riusciva neppure ad avvicinarsi a lei.Appena lei lo guardavafaceva finta di osservare da un'altra parte con molta attenzione.

Per cui lei si stufa non lo considerò più. E lui non lafissava per paura che se ne accorgesse, o peggio ancora per il terrore che i loro occhi s'incrociassero. Aveva provato in realtà a mirarla tramite uno specchio, ma un giorno un signore gli chiese cosa osservava e divenne tutto vermiglio (che è sempre rosso), che sembrava avesse la febbre. Quando rispose si mese a balbettare, come se avesse al collo una catena con la quale qualcuno gli stringeva la gola.

"Caro si-signore non sto/sto pro/proprio guardando/do nulla, prolprolprio nulla'~

52

MM M

"Ma tu balbettt~ disse il signore, "No, io no, non/non balba/ba-balbetto affalaffalfatto'~ replicò Grifi-no.

La sua timidezza era un vero disastro. I grififanno paura, sonoforti e spavaldi. Se li vedi tifanno spavento. Quando compaiono tutti scappano e si nascondono. I ladri se la danno a gambe. I grifi soprattutto non balbettano.

Pensa se un grifo scoprendo un bandito andasse in pappa, e dicesse: "brilbrilbri gante, scalscalpp/ppa di qua'~ Ilfuorilegge cosa penserebbe? Magari si metterebbe a ridere, e lo prenderebbe in giro?

'Puoi ripetere? Non ho capito cosa mi hai detto'~ "Scalscalppalppa'~ ''Di quale pappa parli'~ "No-no pap-pappa, scalscap/ppalpa'~ ''Spappa? E' un nuovo cibo?'~ "No/no ci/cii-cicici /bo, volvolevo di/didi/didireldiiiiiire... '~ E poi, per il nervoso, comincia a ripeter davanti ad ognifrase: "U nem, hemm, mmmm,,, schioccando gli artigli alla ricerca della parola giusta. Insomma Grifi-no in quei casi rimaneva imprigionato nella frase e non riusciva ad uscirne. Rimbalzava di qua e di là tra i termini come una palla, e L'effetto paura che doveva fare al brigante era già sparito da un pezzo, e il malfattore rideva a crepapelle. Ilfurfante se ne andava sogghignando e lui restava lì tutto amaranto (che è sempre rosso) dalla vergogna.

54

Si sentiva impacciato e sapeva bene che parlando a un certo punto si sarebbe inceppato, sifermava e ripete dei suoni. Il suo pensiero funzionava benissimo, ma quando usava le parole queste si bloccavano. Erano i vocaboli a frenare la lingua di Grifino, che era come davanti ad un muro contro il quale si schiantavano le parole, e si ripetevano per superare quella parete, quel confine, come un martello percussore che batteva più volte per avanzare. Il pensiero era già infondo, ma il vocabolo era intrappolata a metà strada.

Insomma il nostro Grifino timido decise che dal suo becco non doveva uscire più nulla. Mamma e papà, e la sorella maggiore dopo tanti tentativi rinunciarono a cercare di farlo esprimere. Pensarono che sifosse mangiato la lingua, infatti a volte capita ai grifi che sono talmente ingordi che confondono la propria lingua con una salsiccia.

Grifi-no, in totale silenzio, senza più doversi incontrare con nessuno, si sentiva, dentro di sé, benissimo. Non doveva più aprire la porta, o telefonare; non doveva più andare nel negozio a comperare qualcosa. Non giocava nel parco così non rischiava di incontrare la bella Gonzi/Lina. Guardava tantissimo la televisione, giocava con i suoigiochi elettronici. E tutto sembrava andare per il meglio.

Sennonché. ..

Una sera che era da solo a casa sentì dei rumori strani nel giardino. Suoni metallici e di respiri profondi, e vedeva riflessi difuoco, e le ombre di qualcosa che si stava muovendo sull'erba. Guardò fuori e vide che succedeva qualcosa dove abitava Gonzi/Lina. Si sporse dal balcone per osservare.

Erano due draghi cattivi che volevano rapire la sua graziosa vicina per chiedere un riscatto alla suafamiglia, che come si sa, era molto ma molto ricca. Grifino, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, scese in giardino e si avvicinò ai due draghi. Quando vide che avevano preso Gonzi/Lina saltò fuori dal cespuglio come un leone,fece un grido lancinante ed acuto come l'aquila, suono chefu sentito anche su Marte, e si scagliò come un grifo contro i draghi. Questi, appena lo videro lasciarono

55

subito la presa e si misero a scappare a gambe levate - anche se non hanno a dire il vero proprio delle gambe ma delle zampe -, e Grifi-no li inseguiva e sferrava dei colpi con il becco che parevano dati con una spada di acciaio. I malfattori gridavano dal dolore e si dileguarono nelle profondità della terra mentre Grifino, in piedi, guardava dall'alto in basso con i suoi occhi intelligenti ed acuti, verso il buco dove erano spariti. Dalfaro giunse il signor Talpa per dirgli che i due draghi erano sprofondati in un tal lago incendiato sotterraneo che non ne sarebbero più usciti. E tutti gli animali applaudivano il coraggio di Grifi-no.

E Grifi-no rivolto a Gonzillina, le chiese se stesse bene, e che l'accompagnava a casa, e che non doveva avere paura.... E si rese conto che lefrasi non lo imprigionavano più e grazie a quel lancinante suono che aveva sparato sui draghi, la balbuzie era ormai un lontano ricordo polverizzato da quella vibrazione scaturita dal prefondo. Da qui nasce il detto: "Lancia un suono e resta il coraggio'~ Oggi potete trovare la statua di Grifi-no sul palazzo dei Priori nel centro di Perugia. Un giorno, in verità, è sceso giù sullafontana e si è avviato lungo il corso Vannucci, e vide arrivare, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, travestito da menteccatto, il Basilisco spendaccione che... ma questa è un'altra storia.

56

ISIDE LA MUCCA CUI NON PIACEVA L'ERBA

• fotografia Ser ena Lacaria

57

Iside era una bellissima mucca. Per meglio dire una carinissima vitellina, di un colore chiaro, bianco come la porcellana. Aveva gli occhi neri, grandissimi, e un musetto tutto lucido scuro come il carbone, così brillante che doveva a stare attenta alle gazze che a volte cercavano di prenderlo per il naso, per quanto amavano le cose luccicanti. Le orecchieformavano una bella curva regolare, e il collo era lungo ed elegante, specialmente quando faceva la cosa che gli piaceva di più, ovvero poppare litri e litri del meraviglioso nettare che proveniva dalle rosee mammelle della sua mamma Giovenca. Se avesse potuto sarebbe stata tutto il giorno a succhiare di quella bevanda. Neanche giocare con ifratellini era così bello, almeno per lei.

I suoi fratelli, dopo l'abbuffata, la chiamavano per andare a fare una gara sul prato, o a correre giù al ruscello e a giocare a nascondino, o a darsi una qualche cornata, anche se non le avevano ancora, ma Iside non voleva lasciare le mammelle. E Giovenca doveva staccarla e spingeva verso ifratellini ordinandole di giocare con loro.

Malavoglia giochicchiava, ma spesso stava in disparte. Non vedeva l'ora della merenda, e dopo la merenda di cena, e dopo la cena della colazione, e dopo la colazione del pranzo e via di seguito. Un giorno i suoi tre fratellini, Apis Auro e Tauros, la trascinarono quasi di forza nel prato dietro la fattoria, dove non li vedeva nessuno, e le dissero, "Vieni su che tifacciamo vedere una cosa'~ Dietro lafattoria Tauros per primo iniziò a brucare l'erbetta, che proprio li è tenerissima perché ci sono tantissimi trifogli. E dopo di luiApis e Auro cominciarono pure loro a gustare di quelle verdi prelibatezze.Ma Iside si scandalizzò. Sentiva ancora ilprofumo della mamma e del latte, e per nulla al mondo si sarebbe avventurata a riempirsi di altre cose, che magari, diceva, fanno male. Apis, Auro e Tauros non ci facevano caso, e continuavano a rimpinzarsi di quella prelibatezza, come fanno i bambini con un gelato al cioccolato, sporcandosi anche tutta la faccia.

Iside scappò e corse dalla mamma per la merenda, e poppò a più non posso. Le veniva da star male alla sola idea di mangiare erba, che magari era anche sporca di terra, e piena di animaletti schifosi, e certo di batteri e microbi, e forse anche della pipì di qualche cane. No, no, lei non si sarebbe mai abbassata a tanto: era meglio alzare la testa verso le mammelle della mamma.

Giovenca si era accorta che i .figlioletti non bevevano più così tanto, eppure erano vigorosi e sanissimi. Chiese a suo marito, il signor Minotauro, di seguirli un poco quando vanno a giocare per vedere se per caso mangiassero qualcosa d'altro. Era infatti un po'presto, erano ancora piccoli per mangiare l'erba. Minotauro, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, di nascosto, osservò i tre piccoli a rimpinzarsi di trifogli dietro lafattoria, e con che gusto. Di solito, si sa, i cuccioli abbandonano raramente il latte per l'erba, ma così non era per i tre figli, e andò a dirlo alla moglie. Sapevano infatti che il contadino preferiva aspettare di più per togliere i vitelli dal latte della mamma. Ma che farci?, l'erba era buonissima, sanissima efaceva benissimo. La mamma, davanti al contadino fingeva di allattarle, e poi i.figli potevano correre alla loro amatissima erba.

Intanto Iside era allegrissima, infatti quello che non bevevano ifratellini, la trangugiava lei, prima una mammella, poi fa/tra, poi fa/tra ancora, e in.fine si addormentava e sognava. Nel sogno il ruscello era unafiume di latte, l'erba era bianca e lucida come la porcellana, il cielo era del color della panna come la via lattea, e il sole una luminosa sfera color neve splendente. Tutto era un solo e immenso candido, e ogni cosa profumava del latteo e nutriente liquido. Anche il vuoto e il nulla, nei suoi sogni, erano lattescenti.

Giovenca però, che era ben contenta di non avere sempre tra i piedi {letteralmente) i suoifigli, che diventavo sempre più grandi e forti, e indipendenti, cominciava a preoccuparsi per Iside. Non poteva mica stare attaccata alle sue mammelle per tutta la vita. Ma non c'era nulla da fare, Iside non voleva in nessun modo brucare.

59

Minotauro cominciava ad irritarsi, irifatti ogni volta che voleva fare una passeggiata da solo con Giovenca, arrivava sempre Iside che voleva poppare. Allora Giovenca la prese perfame, e chiuse i rubinetti - non che abbia dei rubinetti è un modo di dire-, cioè non gli dava più il latte. Iside si mise a piangere disperata, e per rabbia disse che allora non avrebbe mangiato più nulla e che voleva morire difame così che i suoi genitori si pentissero. Comefanno alcuni bambini arrabbiati con la mamma che in inverno, per punirla, escono alfreddo senza guanti così gli si gelano le mano. Lo fanno credendo che così che la loro mamma avrebbe pianto, e sarebbe costretta a dargli la giusta attenzione.

Giovenca era decisa e non gli dava più neppure più una goccia di latte.

"Cattiva, cattiva... " gridava Iside. E aveva deciso di non mangiare più nulla fino a morire.

Il primo giorno lo passò a piangere, il secondo a singhiozzare, il terzo a gemere, il quarto a vagire, il quinto a guaire, il sesto a frignare, e il settimo dirai? Dio mio, che fame gli era venuta, aveva perso di sicuro qualche chilo, e la panciafaceva di quei rumori, come dei rombi di un temporale ma all'interno, come una tromba che suona in una caverna, come una porta che scricchiola aprendosi in un locale con le ragnatele. Si gettò a terra sconsolata, e aspettava di spirare. Ma la signora morte tardava a venire. Il musetto lucido si era poi posato su un mazzetto di quadrifogli, ed uno entrava proprio nel naso. E che profumo che giungeva diretto nel cervello, non solo anche nel primo stomaco e nel secondo e nel terzo e infine nel quarto. E lentamente, con la lingua, lo leccò. Iside era contraria, voleva assolutamente morire e basta, ma la lingua non la obbediva. Lo sai che la lingua non obbedisce micafacilmente anche negli uomini, prova con la tua: ordinarle di stareferma per cinque minuti senza dire nulla, e vedrai se è facile. La sua lingua leccò le foglie, e le strappò pigramente dalle radici e le masticò lentamente in bocca, e poi mandò giù il boccone. E ilgiù si mise ad esultare, "Finalmente,finalmente arriva qualcosa, e qualcosa di buono'~

60

E che buono! Con la testa Iside voleva rimanere fedele al suo impegno di spegnersi di fame, ma la lingua, il naso, lo stomaco, non l'ascoltavano, e iniziò prima a brucare adagio adagio, e poi a divorare tutta l'erba dei dintorni. Gli stomaci esultavano, la testa non era d'accordo. Poi la crapa faceva finta di non vedere, lo stomaco continuava ad gioire e la testa cominciava a cambiare idea, alla fine tutta Iside gongolava.

Dopo una gran scorpacciata tornò a casa da Giovenca. Non lo sapeva ma a turno Giovenca e Minotauro la guardavano di nascosto, non crederai che il papà e la mamma non sappiano tutte queste cose. Con ifratelli corse in riva al.fiume a giocare ai quattro cantoni, e a guardie e ladri. Di notte, quando sognava tutto era verde come l'erba, il cielo era verde, come ilfiume, il sole. Il profumo dei fiori gli sembrava verde smeraldo. L'erba era così buona che capì come mai le piaceva così tanto il nettare della mamma, dato che ciò che era gustoso del latte veniva proprio da essa.

L'erba piace tantissimo anche ai maiali, ma lo sai che ad uno piaceva il salame, un giorno infatti capitò che... ma questa è un'altra storia.

LAVARELLO IL

PESCE CHE AVEVA PAURA DI AFFOGARE

• fotografia Elena Pavan

Lavarello era un pesce che viveva in un grande lago. E fino a qui nulla di strano, sennonché ungiorno, mentre stava nuotando in un canneto, passando vicino ai cigni, si mise a gridare a squarciagola: "Aiuto, aiuto'~ Subito i suoigenitori, uditolo gridare, lasciarono perdere di seguire il banco di gamberetti che avevano trovato e corsero dal.figlioletto per soccorrerlo. Pensarono di tutto, che urlava perchéaveva visto il terribile pesce siluro che voleva divorarlo, chefosse stato infilzato dall'amo di un pescatore, ma quando giunsero rimasero di sasso. Se avessero potuto si sarebbero dati unagrattatina sulla testa.Lavarello gridava: "Soccorso, aiuto, annego'~ La mamma guardò il papà con aria interrogativa e stupita, efece con una pinna un gesto simile a quello di una mano con le dita raccolte che oscilla in su e in giù. Il papà abbracciò il piccolo e gli chiese cosa aveva, e questi non smetteva di gridare: "Alffi ,, ./1. 090, ann-ann, nego .

E piangeva chefaceva invidia al coccodrillo pentito dopo aver mangiato la sua preda. Ma ilpapà non capiva quello che diceva, neppure le parole che pronunciava e che non aveva mai sentito, e gli chiese: "Caro figlio mio che cosa neghi'~ E Lavarello rispose, di non negare nulla, che stava annegando, cioè che stava affogando. Ma neppure la parola "affogando" era conosciuta dal papà che disse: "Vedo che gridi confoga, ma perché" capendoci sempre di meno.

Andarono dal nonno a chiedere un consiglio. E questi, dopo aver consultato un papiro, trovò una spiegazione in unafrase che diceva che: "annega chi sotto l'acqua non riesce più a respirare e infine muore'~ e guardò attentamente Lavarello, come si osserva un matto, e non sapeva che pesci pigliare. Come

fa un animale che vive nel lago ad annegare? I pesci abitano nell'acqua, e caso mai muoiono sulla terra, affogano sulla superficie perché all'aria non riescono a respirarla. Pensò magari che era un pesce d'aprile, ma in realtà era luglio. E intanto Lavarello continuava a gridare: '54.iutatemi, annego, soccorretemi affogo'~ Il nonno si sentiva lui come un pescefuor d'acqua, e chiese consiglio al dottor Trincati che si buttò a pesce su un grande librone, che ci vogliono due assistenti per aprirlo. Volume dove trovava sempre ogni risposta. Eccoforse Lavarallo aveva la malattia di quelli chefanno il pesce in barile, perché nel barile non si vede niente di cosa capita fuori, ma Lavarello faceva capire che percepiva bene cosa succedeva intorno a lui, e infatti chiamava chi poteva per aiutarlo. E ilpapà cominciò ad arrabbiarsi e a scusarsi con tutti i pesci e i granchi e i gamberi, e le anatre acquatiche che accorrevano al grido del poveretto per soccorrerlo. Dopo un po' arrivò anche un pesce grosso, uno importante che abita nei piani superiori, che si arrabbiò di essere sceso per nulla e si sentì preso a pesci infaccia.Allora ilpapà divennefuribondo, sembrava addirittura che gli uscisse ilfumo dal naso, come a certi tori in Spagna, e volle dare una punizione esemplare alfiglio, prendendolo a bastonate. Ma prova a dare bastonate a un pesce nell'acqua, e vedrai che è difficilissimo. E intanto Lavarello continuava a gridare: "Soccorso, aiuto, annego'~ La mamma lo prese in braccio e gli disse, "Caro Lavarello, è un'ora che gridi preoccupato e vedi che non sei ancora affogato'~ Allora il piccolo smise di gridare e pensò che in effetti mamma aveva ragione, se doveva morire soffocato sarebbe capitato da un pezzo. Eppure dentro di lui si sentiva molto male, e spiegava che era come se nel lago, in questa immensità, s'annegasse il suo pensiero.

Il dottor Trincati, al sentire ciò trovò nel suo librone la risposta: Lavarello viveva un male stranissimo e rarissimo per i pesci, il mal d 'anima. Di solito i pesci hanno il mal di pinne, il mal di denti, il

66

mal di coda. Ma il mal d'anima non lo si è mai sentito dire. Ma come sifa a curare il mal d'anima?

Cominciarono a portalo più in alto, sino alla superfice dell'acqua per provare se a meno profondità gli passasse il malessere. Ma nulla da fare, Lavarello piangeva come un cagnolino abbandonato.

Poi videro passare Noè con la sua barca e i suoi animali, che erano arrivati attraverso il mare, tra i qualiMotty, l'elefantina, e la sua compagnia, ma nessuno sapeva dare qualche buon consiglio per questo caso insolubile. Neppure Noè aveva mai udito parlare di un problema analogo.

Erano tutti disperati. Il dottor Trincoti non ci cavava un ragno dal buco. Passò di lì Lavare/la, la figlia dei vicini di casa, i signori Coregone, che stava facendo un giro. E di colpo gli occhi di Lavarello smisero di lacrimare e la vista si allungò per vederci bene. Lavare/la chiese spiegazioni sulla confusione che si stavafaceva in quel ramo del lago, e come mai tutti erano così agitati, e cosa avesse il povero Lavarello.

Il pesciolino prese una lunga boccata d'acqua e chiuse la bocca, voleva restare muto come un pesce, sennonché si rese conto che non stava affogando nell'acqua ma che era innamorato, e al sorriso di Lavare/la tutta la sua paura di affogare sparì come se nonfosse mai esistita. Lavare/la proseguì la sua passeggiata e Lavarello, di soppiatto, quatto quatto come un pesce gatto, la seguì con gli occhi e poi con le pinne, e la smorfiosa, facendo finta di non accorgersene, pinneggiava come non mai.

A un certo punto si voltò e guardò negli occhi il malcapitato, che divenne rosso come un pesce rosso.

Il dottor Trincoti allora andò a prendere il suo librone e cercò la medicina per il mal d'amore. Ma in quel momento un gran trambusto capitò di sopra, e tutti corsero a vedere, e adocchiarono Motty l'elefantino, appesa ad un'ancora della nave nella tempesta sul grande lago mentre su di lui si aggrapparono tanti animali, e sapete cosa è successo? Ma questa è un'altra storia.

LOKI Lo

SCOIATTOLO CHE PENSAVA DI ESSERE UNA TALPA

• fotogra fie Elisa Cappelletti

68

Loki era uno scoiattolo dellafamiglia Scoitol, dalla pelliccia di uno splendido color rosso come una fiamma di fuoco vivo nel camino. Aveva una grande coda con la quale sifaceva ombra quando il sole era troppo forte, infatti proprio non sopportava la luce. È come se invece difargli vedere bene le cose glie le nascondesse, accecandolo. Un giorno ha provato a guardare negli occhi il sole, e dopo un po' non ci vedeva più niente, vedeva nero, e un nero cupissimo. Siccome poi scorgeva i suoifratelli e la sua famiglia arrampicarsi sino alle cime delle piante più alte, efare vere e proprie acrobazie, cominciò ad avere le vertigini. E questo perché quando era accecato dal sole non era più sicuro, e immaginava di cadere, e di capitombolare a lungo, come nei suoi incubi peggiori quando si svegliava di soprassalto, pochi centimetri prima di toccare terra. Ed era un bel problema dover essere deifunamboli, come quei signori che camminano tra due grattacieli su unafune, e aver paura del vuoto a causa della luce. No, no così non andava bene. I suoifratelli lo canzonavano quando giocavano al salto in lungo tra una quercia e un pino, e guardavano Lokijèrmarsi all'ultimo momento e guardare in basso. Lo deridevano cantando in coro: "Loki è un.fifone, Loki è unfifoooneee'~ Loki decise di abbandonare gli alberi e di muoversi solo a terra, o esclusiva"!-ente sui rami bassi degli alberi. La mamma, era molto preoccupata di questa cosa perché se è vero che gli scoiattoli corrono spesso suiprati nel bosco, è pure altrettanto certo che in basso ci sono dei terribili mangiascoiattoli, come ifamelici gatti selvatici, le astutissime volpi, e i viscidi serpenti. Ma Loki aveva troppo paura di cadere quando, accecato dal sole, e non protetto dallombra della propria coda, non ci vedeva più bene. Triste si nascose nella pancia di un tronco di un castagno che era stracolmo di cose di metallo luccicante. Si coprì il volto con la sua coda per nonfarsi abbagliare, lacrimando come un bambino, perché era un cucciolo.

Ad un certo punto sentì dei rumori, come di un contadino che scava con la pala la terra, ma non c'era nessuno nei dintorni, e p er di più i suoni venivano da sotto terra. Scorse che il suolo cresceva come sefosse vivo. Dopo un poco comparve il signor Talpa, che, appena uscito, si mise un paio di occhiali

69

da sole con delle lenti molto spessa, che gli avevafatto mettere il dottor Trincati, irifatti era miope, che significa che ci vedeva pochissimo, quasi meno dell:Allocc'Orbo. Però aveva sentito il pianto di Loki, e da sotto terra, dove praticamente vive sempre divertendosi a scavare lunghe gallerie che solo lui sa quando iniziano e quando finiscono, per la curiosità, nonostante sia un solitario, lo raggiunse. Appena uscito, siccome è miope, lo scambiò per un suo cugino alla lontana e lo invitò a bere qualcosa a casa sua. Loki lo seguì per tante gallerie e infine arrivarono nella sala del the, e il signor Talpa gli offrì un bel centrifugato di lombrichi che aveva nelfrigorifero. Loki si sentiva a suo agio nel buio sotto terra. Era come se il suolofosse una grandissima coda afargli ombra, e sotto terra deifamelici gatti selvatici e delle astutissime volpi non c'era traccia. Così almeno pensava.

Loki si sentiva così a casa sua che credette di essere davvero il cugino talpa del signor Talpa, e decise di vivere sotto terra. Il sole lì non la accecava mai, se non quando usciva allo scoperto per buttare via la materia scavata per fare le gallerie, ma quel "quando" durava pochissimo, e poi si poteva scavare anche di notte. La talpa dorme solo un paio d'ore ogni tanto, non ha il problema dell'alba e del tramonto, del buio della notte e del chiaro delgiorno, sotto terra è sempre uguale: è sempre notte.

Per Loki era una pacchia, non aveva le vertigini, lì sotto non si può cadere da un albero.

Ali'inizio il signor Talpa gli insegnava tutto e lei lo seguiva per vedere comefaceva. Loki, con i suoi artiglietti, che gli permettevano di correre in su e in giù sulle piante, non riusciva a fare grandi progressi negli scavi, mentre il signor Talpa aveva delle manone che lo facevano procedere speditamente. La lunga coda di Loki poi lo ostacolava nei movimenti sotto terra. Per lafatica chefaceva, decise di prendere una boccata d'aria, e, un poco impacciato, riuscì ad aprirsi una via verso l'aperto.

Non poteva chiedere aiuto al signor Talpa perché questa era a chissà quanti metri di distanza.

Neppure salire in superfice si rivelò facile: una volta aveva scavato sotto una roccia, un'altra sotto le radici di una pianta, poi sotto una casa, l'altra ancora sotto unafontana, insomma sempre sotto

qualcosa, e infine riuscì.finalmente ad uscire in mezzo al prato, non lontano da un albero di nocciole.

C'erano le stelle, era una bellissima notte stellata. Vivendo sotto terra e non sapendo più quando era notte e quando giorno, si stupì della notte; rimase incantato da quello spettacolo all'aperto. Quando era uno scoiattolo non vedeva le stelle, perché di notte dormiva. Ed ora, chefaceva la talpa, non badava più alla luce, e, così, quella notte il cielo gli piacque tantissimo. Le sembrava di essere un neonato che vede per la prima volta il mondo. Ma soprattutto gli piacevano le nocciole sull'albero. Gli venne l'acquolina in bocca. Come talpa mangiava, già lo sappiamo, tanti lombrichi, ma a dire il vero si era un poco stufato, come degli altri insetti, ma le noci e lafrutta, che adorava, non crescono sotto terra.

Decise allora difare un'eccezione e di comportarsi per un attimo non più da talpa ma da scoiattolo.

Corse velocissimo sul prato, con i suoi eleganti movimenti, saltellando come un'onda del mare, verso il nocciolo, ma un allocco, alla velocità di un colpo di palpebra si avventò suLoki confondendolo con un topo dato che era orbo, e lo acchiappò con i suoi artigli.

Intanto il signor Talpa, che si era accorto dell'imprudenza diLoki, l'aveva raggiunto e afferrato la sua estremità. L'allocco tiravaLoki e il signor Talpa aggrappato alla coda dello scoiattolo verso l'alto, ed eraforte per cui lì sollevò su entrambi. Di soppiatto, quatto quatto come un gatto, arrivò ilfamelico gatto selvatico che afferrò la talpa, e l'allocco faceva fatica a volare con quel peso, e poi arrivò l'astutissima volpe che agguantò la coda delfamelico gatto che aveva afferrato la talpa abbracciata alla coda di Loki preso dagli artigli dell'allocco, che non poteva reggere a quel peso, non era mica forte come Motty l'elefantina, per cui, con tutta la combriccola appesa andò a sbattere contri il tronco dell'albero. Per il trambusto si scomodò il lupo grigio per vedere cosa succedeva, alla sua comparsa la volpe mollò la presa e si infilò in un cespuglio, ilfamelico gatto spicco un salto e si arrampicò su una parete di roccia, la talpa si tuffo nella terra e scavò infretta efuria una galleria, l'allocco spiccò il volo e se ne andò lontanissimo dal lupo lasciando cadere lo scoiattolo. Loki che fece? Ha seguito

72

73

l'esempio della talpa scavando una galleria sotterranea verso il centro della terra? Quello de/famelico gatto scalando una roccia? Quello della astutissima volpe infilandosi in un cespuglio? Quello dell'allocco volando via? O rimase fermo sulla terra impietrito aspettando di essere divorato dal lupo? Nulla di tutto ciò. Gli venne spontaneo, senza doverci pensare,fuggire a gambe levate verso il tronco del nocciolo, e con la velocità delfulmine si arrampicò sull'albero e cominciò a saltare da un ramo all'altro. Tanto rapidamente che il lupo non poté che osservare da lontano la scena. E Loki per la paura saltava di qua e di là con l'agilità di un atleta olimpico. E lo spavento gli avevafatto completamente perdere il timore di cadere.Al semibuio della notte illuminata dalle stellefaceva acrobazie come sefosse il migliorfunambolo del circo, e anche al buio riusciva a balzare tra un ramo e l'altro.

La mamma si svegliò per il rumore e vide il suo Loki scatenato nei suoi salti sul nocciolo efu felice di rivederlo, e insieme si mangiarono una saporita nocciolina.

Il signor Talpa, tornò su a vedere cosa era successo e quando sentìLoki balzare sui rami del nocciolo scosse la testa come per dire, "Oh povera me, ora le talpe si credono scoiattoli'~ e, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, tornò in sala da pranzo a mangiarsi un altro gustoso lombrico. Lombrico a dire il vero non era poi così tanto d'accordo, ma questa è un'altra storia.

74

MEDUSA IL LOMBRICO MUSICISTA

• fotografie Alessandro Ferraro

75

Se uno ti dice: "Sei un verme'~ non lo prendi come un complimento. Eppure se avessi conosciuto il lombrico di nome Medusa cambieresti idea.

Vive sotto terra. Un giorno incrociò la galleria del signor Talpa, il quale, appena la vide, la afferrò e la portò nella dispensa per mangiarla a cena. Ma Medusa non era per nulla d'accordo, e cercò di convincerlo che non era bello divorarla. Ma il signor Talpa sorrise e disse che in realtà era bellissimo perché i lombrichi sono buonissimi. A quel punto cercò di convincerlo che lei era utilissima, ma senza successo.Allora gli disse, "Senti, dimmi cosa vuoi che iofaccia per lasciarmi vivere'~ Allora il signor Talpa le rispose, "Ti lascio vivere se stasera mifarai commuovere con la tua musica'~ In realtà era proprio un burlone, infatti chiese a Medusa difare una cosa per lei impossibile: come fa un verme a suonare uno strumento, animale che non ha ne braccia négambe, né mani népiedi?

Ma ovviamente pensava solo al buon pasto che ne avrebbefatto.

Medusa era disperata, e cominciò a considerare tutti gli strumenti musicali che conosceva. Ne escluse subito alcuni. Del tamburo e degli strumenti da percuotere è meglio nonfar conto, con che cosa poteva battere unagrancassa? Ma anche agli strumenti afiato rinunciò, te lo vedi un verme che suona un trombone, lui che non ha dei polmoni? Ma pure il violino, con che cosa potrebbe manovrare !archetto? e così per tuttigli strumenti simili. E poi neppure unpianeforte, o un organo.Forse qualche strumento elettrico?

Intanto il signor Talpa continuava a scavare buche e pensava alla buona cena che !aspettava. Medusafece capolino sulla superficie e vide un usignolo, che tutti sanno canta benissimo. La sua è una musica soave per le orecchie, un cinguettio dolce e potente. L'usignolo, per il coraggio di Medusa

di interpellarlo direttamente, si sa infatti che non solo alle talpe ma anche agli uccelli piacciono moltissimo i vermi per uno spuntino, gli.fece ascoltare tutte i duecentosessanta tipi di strofe che conosceva e che suonava usando il becco e la gola come sefossero unflauto. Toni chiari, singoli e doppi nella riconoscibilissima lingua regionale. Spiegava a Medusa che la principale qualità per cantare bene è la memoria, che lui avevafortissima. E si pavoneggiava comefosse un pavone perchéfamosi musicisti avevano composto musiche prendendo spunto proprio dal suo canto.

Medusa non provò neppure, non usciva nessun suono soave dalla sua bocca. Chiese aiuto a tutti gli animali che passavano, ed erafortunata perché tutte le bestie dellaforesta transitavano proprio di lì per andare a bere nel laghetto, e in quel periodo vi era una grande siccità. Il gallo, la cicala, e il grilloformarono un gruppojazz per l'occasione suonandole una canzona. Il gufo iniziò a bubolare, i pulcini si misero a zirlare, il lupo ad ululare, l'allodola a trillare, l'oca a starnazzare, i topi e il coniglio a squittire, il cavallo a sbuffare, le zanzare a ronzare, l'asino a ragliare, il corvo a gracchiare - e non era un bel sentire-, il canarino a gorgheggiare, il tacchino a gloglottare, le rane a gracidare, l'anatra ad anatrare e infine il giaguaro a brontolare. Insomma si eraformata un'orchestra e tutti gli animali insieme eseguivano una sinfonia. Un pesce siluro suonava nel laghetto con delle conchiglie comefossero fischietti, e un mulo soffiava in un corno di toro comefosse una tromba, e un tasso batteva un tronco comefosse un tamburo, e Grifi-no usava la corazza di una tartaruga morta, dove aveva legato delle budella di una pecora, comefosse una chitarra.

Medusa applaudiva il belli.ssimo concertofotto per l'occasione, lofaceva battendo la punta della coda sulla testa, ma non trovò nessuno strumento adatto a lei: non sapeva cantare, non aveva s<f.Jio per suonare uno strumento, némani o piedi per battere una batteria o un piatto, o pizzicare una lira, eforse riusciva solo a brontolare.Apprese tri.ste la rinuncia, dove non ci sono braccia e gambe, mani e piedi, gomiti e ginocchi, non c'è musicalE si mise ad aspettare sconsolata il ritorno del signor Talpa per diventare la sua cena.

Tornò sotto terra e scorse una galleria che gli sembrava abbandonata, e Il lombrico di soppiatto, quatto quatto come un gatto, vi si intrufolò. Medusa sperava che magari lì signor Talpa non l'avrebbe trovata, e incontrò un ragno. E, come dice il proverbio, 'TI ragno porta guadagno" e anche ''Ragno di sera, ricchezza si spera'~ e fu proprio unafortuna. L'insetto si chiamava Clizia e amava tessere ad arte la sua tela. Tutta la sua casa era un meraviglioso tessuto. Clizia portò Medusa al centro della ragnatela. Per arrivare lì il verme doveva strisciare tra i.fili, si allungava e accorciava, e con questo movimento degli anelli del suo corpo al contatto congli spaghi si produceva un suono soave che pareva quello della più piacevole delle arpe mai costruite. L'eco della galleria faceva il resto. Medusa senza braccia e gambe, mani e piedi, gomiti e ginocchi, e bronchi e polmoni, erafelicissima di riuscire anche lei a suonare uno strumento. Si lasciava cadere sulla tela come un acrobata al circo sulla rete di sicurezza e rimbalzava, si attorcigliava e pizzicava i.fili con gli anelli sulla coda e con la bocca.

Tutti gli animali in superfice,fecero silenzio e ascoltarono con le orecchie posate sulla terra il dolce orchestrare di Medusa, la quale era felicissima e i suoi due cuori erano commossi (ne ha proprio due). Il signor Talpa, che era tornata per cena, ascoltò quella soave armonia e andò a cercare da dove provenisse, e vide con stupore che Medusa era riuscita nell'impresa.

Da quel giorno Medusa fa un concerto tutte le sere, e gli animali vengono anche da lontano per udirla. Il ragno erafelicissimo di vedere così ben utilizzata la sua ragnatela, e invitò tutti i suoi parenti della regione ad ascoltare lo spettacolo, e questi arrivarono tutti. Il signor Talpa si spaventò di così tanti insetti e decise di cambiare casa. Di soppiatto, quatto quatto come un gatto, il mammifero uscì dalla sua dimora quando una lucciola la in.formò di stare molto attenta perché sottoterra era arrivato il Cerbero che... ma sai chi è il Cebero? ma questa è un'altra storia.

80

MELISSA L'APE ALLERGICA ALLA MELISSA

• fotografia Mattia Goffi

L'ape, che meraviglioso insetto. Ha tanti occhi. Due sono molto grandi composti da migliaia di piccoli occhietti per scrutare lontano, e tre semplici che gli servono per vederci da vicino. È addomesticata per produrre il miele. Fa anche la cera che serve per illuminare di notte e cacciare le paure e i ricordi amari con le candele, e il miele per rendere dolce il giorno a partire dal mattino.

Sulla fronte ha due antenne che pulisce sempre perfettamente. Per mezzo loro sente gli odori e il calore, comefossero un naso e delle mani, e percepisce pure r umidità delfaria. Con le mascelle da forma alla cera che produce. Ha una lingua, una specie di proboscide come quella egli elefanti, con la quale aspira il nettare deifiori. Il polline lo prende con le zampette. E, altro elemento da non dimenticare, ha il pungiglione che è un'arma. Se attaccata si difende, protegge falveare, e soprattutto la sua regina.

La nostra ape si chiamava Melissa. Amava soprattutto i fiori bianchi come la neve di una pianta chiamata proprio come lei. Frequentava una zona del giardino dove, tra i cespugli, era pieno di quella pianta aromatica, e vi si tll;/Java come se fosse stata una piscina, ed esplorava il mondo contenuto lì dentro. Le cose che più amava del fiore erano il profumo, e il suo fantastico sapore.

Sdrucciolava nei calici come sefossero stati degli scivoli, raccoglieva grandi quantità di polline, e beveva abbondante nettare. Non c,è nulla di più bello per Melissa, proprio niente.

Ma un giorno non si sentiva bene e andò dal dottor Trincoti. ~'Ecci,'- ecci,\. ecci,.,.,, continuava a starnutire, il suo naso colava in continuazione, aveva dolore alle mandibole e a volte addirittura il mal di testa. E il dottore gli disse: "O cara Melissa, dalle analisi che ho fatto ho scoperto che sei allergica aifiori della melissa,~ Melissa era tutta preoccupata, e chiese, "Cosa significa "allergicam~

"Vuole dire che hai una malattia che tifa reagire troppo per una sostanza estranea, nel tuo caso sei esageratamente sensibile aifiori della melissa'~ I malanni è meglio non averli, ma ognuno prima o poi ne ha qualcuno, e quasi sempre si diventa piùforti, e all'ape è capitata questa malattia. ''Ela cura quale er , chiese Melissa.

"E semplicissimo, cara Melissa stai alla larga dalla melissa'~ Rispose il dottore.

"Oh noooooooo, a me piace moltissimo! Sto ore ed ore a godere del suo profumo, a chiacchierare con i fiori, e con i ragnetti che a volte camminano sullefoglie, e anche con i bruchi che si divertivano a trapanarle beccando di qua e di là. Con loro gioco a briscola'~ Adorava la pianta, e non poteva e non voleva rinunciare ad andare a trovarla. Che tristezza. Chefare?

Il dottore fu irremovibile, e ordinò a Melissa di abbandonare la melissa, ma Melissa era una testa dura.Andò nel negozio e comprò una maschera per subacquei, con un boccaglio. Poi, quatta quatta come una gatta, si inabissò ancora tari cespugli dove cresceva il.fiore, ma così conciata, non poteva raccogliere il polline e bere il nettare.Allora toglieva la maschera e immediatamente le veniva da starnutire, il dolore alle mascelle, il mal di testa. Melissa si mise a piangere come una bambina cui fosse stato rubato il più bel giocattolo del mondo.

Cercò tutti i rimedi possibili ma nessunofunzionava. Prendeva delle medicine contro l'allergia ma poi il suo miele diventava amaro, e all'alveare tutti reclamavano. Melissa doveva proprio rinunciare anche solo ad avvicinarsi alla melissa. Ma non voleva. Sentiva che l'intero mondo le voleva toglierle il gusto e il sapore della vita, e si mise a piangere a gemere, efrignare.

Il dottor Trincoti la consolava dicendogli che la malattia come tutti i malesseri si può curare, e lei '(}JJ

\.

dovevafare una dieta. Cosa è mai una dieta se non mangiare le cose giuste, nelle quantità adatte, al momento adeguato? E quindi Trincati ordinò: "Tu e il nettare dovete stare alla larga. Mangia tantissima frutta, che per altro ti piace da matti, e verdure e legumi, ma anche un poco di tutto ma attenta agli zuccheri'~ Ma insomma! è come dire ad una palla che non deve essere rotonda, a un piumino di non essere morbido, a un ladro di non rubare, alla luna di non rifl,ettere il sole, al sole di non scaldare la terra, alla pioggia di andare in su, alfumo di andare in giù, a una montagna di essere piatta, ad una pianura di essere una vetta, alla neve di essere calda, alla zia Ermegilda di essere simpatica, e chi più ne ha più ne inventi.

Melissa p er la rabbia tirava i pugni nell'aria con le sue zampette, e poi di nuovo si lagnava e singhiozzava, ma talmente tanto che si liberò il suo naso, ma così bene che sentiva ancora meglio gli odori. E avvertì un profumo nuovo, meraviglioso, intenso. Di cosa si trattava? Seguì il sublime effluvio, che è come dire l'odore, e arrivò in un posto nuovo. Vi era un grandissimo albero, ma proprio massiccio, e certamente vecchissimo, con una enorme pancia pieno di cose luccicanti: gioielli, posate, vetri luccicanti, sp ecchi. Da quella imponente pianta, che avrà avuto almeno mille anni, ogni primavera sbocciavano i suoi fiori bianchi e profumatissimi. Melissa non aveva mai sentito quell'aroma, che l'accurato lavaggio delle sue antenne aveva permesso di percepire, e se ne innamorò come Romeo di Giulietta, Freddi Wilma, Aladino di Jasmine, o come la Bella della Bestia, Minnie di Topolino, Paperina di Paperino, Marge diHomar, N ia di Simon, Lilli del Vagabondo, e, miracolo, non starnutiva affatto per quel polline e quel nettare.

Successivamente la regina in persona la convocò per farle ufficialmente i complimenti e le diede una medaglia, p erché il miele che produceva non solo era buonissimo, ma guariva anche dalle malattie della respiraz ione. Già, che strana cosa, unfiore aveva guarito la malattia di Melissa che

'-

era prodotta da un altro fiore. E proprio vero, come dicono le vecchie api: "Chiodo schiaccia chiodo'~ Una sera tardi incontrò, in cima al castagno, una civetta, che voleva giocare anche lei, ma purtroppo non ci vedeva più tanto bene, allora Melissa le consigliò di parlare con il dottor Trincati che conosceva una certa gazza la quale si sa che quando vede una cosa che luccica... ma questa è un'altra storia.

86

MOTTY L'ELEFANTE A CUI NON PIACEVA LA PROBOSCIDE

• fotografia Chiara Mancini

Sull'arca di Noé vi erano animali di tutta la terra, tra di essi vi era anche l'elefante. Il papà era africano mentre la mamma era asiatica.Avevano unafiglia di nome Motty. Era carina, ma lei non la pensava così. Non vi era tanto posto nella grande barca costruita per sopravvivere al diluvio universale, e Motty vedeva da vicino, ma molto da vicino, tutti gli altri animali, che le sembravano bellissimi e perfetti. Noè li aveva scelti proprio bene. Rimaneva a bocca aperta ammirando il lungo collo delle giraffe, con la testa che spuntava sopra il tetto (Noè avevafatto duefori per le loro teste), come eleganti erano le zampe magre e snelle delle gazzelle. E che dire del maestoso leone? Del bel corno a punta del rinoceronte, delle orecchie appuntite dei gatti, del naso fino dei levrieri, delle leggiadre ali delle farfalle? E poi ammirava il bel corpo nero delle formiche, la folta pelliccia dei grizzly, i denti aguzzi dei lupi, le preziose code degli scoiattoli, la lucida corazza dei coccodrilli, la linea snella dei cavalli, il sorriso delle iene, il nobile becco delle aquile, le penne variopinte del pappagallo, i grandi occhi dell'allocco, le sontuose corna dell'alce, la divina bellezza egizia delle faraone, ilpetto possente dei gorilla, le lunghe braccia degli orango, la veste cangiante del ramarro, la raccolta casetta della chiocciola, la coda sontuosa del pavone, quando aperta a ventaglio, il minaccioso pungiglione dello scorpione, i pungenti aculei del riccio, ma pure il musetto carino dei pipistrelli, la brillante luce della lucciola, e insomma le bellezze di tutti gli animali? Motty pensava: '1o invece non ho nulla di così bello, sono troppo grande e pesante, e poi ho un naso enorme, sproporzionato, che spunta nellafaccia efinisce per terra. Devo trascinare per terra il mio povero naso, mentre tutti gli altri l'hanno bello corto o all'insù'~ E poi, siccome, come detto, tutti gli animali erano vicini per il poco posto, vi era sempre qualche sgradevole zecca, o pungente pulce, o fastidiosa zanzara, o antipatico ratto, o scortese coyote, o ambiguo avvoltoio, o un verme, che,facendo finta che Motty non sentisse, parlava ad alta voce a bell'apposta perché lei ascoltasse, e diceva agli altri parassiti

88

"Oh che naso ha Motty, oh che nasone! Ma è proprio brutta, e respira la polvere che alziamo'~ E questo lo dicevano solo perché si erano accorti che a Motty non piaceva la propria proboscide.

Motty piangeva di nascosto, e non osava chiedere alla mamma e al papà come mai avevano quel lunghissimo naso, insomma era come dire a mamma e papà che erano brutti. Era talmente triste che si era convinta che Noè, prima difare entrare gli elefanti ci abbia pensato su parecchio, e che pensò anche di tagliarli il naso. Ma lo credeva soltanto, non ne era sicura.

Motty, per nascondere il problema, ne inventava una ogni mattina. Ad esempio ieri indossava il naso come fosse una sciarpa. La sera a volte le dava la forma di una cravatta, e usava ancora mille altri trucchi per nascondere la sua proboscide. Tutti altri animali si resero conto che Motty si vergognava del suo lungo naso, e non solo la sgradevole zecca, o la pungente pulce, o la fastidiosa zanzara, o l'antipatico ratto, lo scortese coyote, l'ambiguo avvoltoio, e il verme.

Devi sapere che non vi era tanto dafare sulla barca, e cera il tempo di pensare alle cose più sciocche. Le bestie decisero di canzonarla per il suo atteggiamento. Tranne sua mamma e suo papà che erano stati tenuti al/oscuro. Motty intanto osservava gli altri animali con cura e cercava di imitali, quasi volesse confondersi con loro, e non essere più canzonata. Ma più faceva così e più gli altri ridevano di lei a crepapelle, e non solo le iene. E lei diventava sempre più triste. Non voleva poi offendere i suoi genitori dicendogli che avevano il naso troppo lungo. Loro non sembravano badarci. Anzi pareva che stessero in pace con il loro nasone, talmente lungo che Pinocchio doveva spararne delle grossissime a raffica e a ripetizione per raggiungere a mala la metà di quella misura. Insomma era disperata.

Motty, senza farsi vedere, di soppiatto, quatta quatta come una gatta, aveva tolto tutti gli specchi dalla sua casa, e si era messa in un angolo, come quando si gioca ai quattro cantoni, ma senza voltarsi mai. E così la situazione diventava sempre più preoccupante, non mangiava quasi nulla, i genitori si preoccuparono. Non voleva parlare di nulla, non spiegava cosa aveva.

go

Neanche Noè, chiamato dalla coppia, riuscì a capirci un acca. ''Magari soffre il mal di mare" disse Noè. Macché quello lo soffre solo il cigno, non l'elefante, rispose il saggissimo dottor Trinco/i.

Una notte cifu una tempesta piùforte del solito, e pioveva ormai da quasi quaranta giorni, cosìforte che nessuno l'aveva mai vista, e un'onda fortissima scaraventò in mare una decina di cuccioli di animali, nati sulla barca come Motty, che erano andati sul ponte per sgranchirsi le zampe. Anche Mottyfu catapultata come una palla sulle onde, ma con la proboscide riuscì ad afferrare l'ancora, e così a non affondare nel mare burrascoso. Tutti gli altri cuccioli si attaccarono a lei, chi alle zampe, chi alle orecchie, chi alla coda. E mentre l'arca ballava di su e di giù e di qua e di là, il corpo di Motty oscillava come un pendolo di qua e di là di su e di giù, e con lei il piccolo cigno col mal di mare, la serpe, quel verme di un verme, l'antipaticissimo ratto, lo scortese coyote, e anche la giraffa, e i musicanti di Brema, l'asino, il cane, il gatto e il gallo, e alla fine Glis glis lo scoiattolo, uno sopra l'altro proprio sulla testa di Motty Finalmente la burrascafinì e Noè ripescò Motty e tutta la banda che si era aggrappata a lei.

Da quelgiorno tutti gli animali al passaggio di Mottyfacevano un inchino, e la lodavano tutti. Motty, dopo quello che successe, camminava col naso ali'insù, talmente era contenta, e mai più, ma proprio mai, si lamentò della sua bellissima, lunghissima, preziosissima,fortissima, sicurissima proboscide.

Finche non si accorse di avere delle orecchie enormi, e allora decise di prendere delle molette e che servono per stendere i panni e ... ma questa è un'altra storia

91

ODETTE IL CIGNO CON IL MAL DI MARE

• fotografi e Roberto Schneebe rge r

92

Odette viveva tra le canne di un bel lago. Era un piccolo cigno, ancora tutto grigio come il brutto anatroccolo, ma sapeva benissimo di essere un cigno. Sua mamma gli aveva dato un nome di principessa.

Ogni volta che la mamma la portava sul lago, le veniva il mal di mare. Cos'è il mal di mare? Ah, solo chi lo patisce lo sa. Ad alcuni poveretti capita di averlo sulla nave. Quando ci sono tante eforti onde il pavimento si muove di qua e di là, in su e in giù, e tutto si sposta insieme alla stanza: le pareti, i mobili, i lampadari. Fuori dall'oblò, lafinestra nei battelli, il mondo oscilla anche lui come un pendolo, in qua e il là, in su e in giù. E i piedi implorano: 'Vove sta la terra ferma? Dateci un punto fisso'~ Odette nel canneto ai bordi del lago ci stava benissimo dato che la faceva sentire protetta da tutti i nemici, soprattutto da quelli cattivi, come le poiane e le volpi. Le piaceva anche andare sul prato, sulla terra ferma, a gustare la gustosa erbetta, e a volte qualche boccone di una manna che gettano gli uomini, che chiamano pane, "Mhmmm, roba da leccarsi il becco'~ Ma quando si inoltrava nel lago le venivano le vertigini e la nausea. Appena usciva da grigia diventava pallida, cominciava a sudare, e dopo un poco le veniva l'ansia, e allora Odette sentiva che i pensieri correvano tutti in su e in giù in qua e in là senza poterlifermare in un punto. Scappavano dal di dentro, e non sa dovefuggivano. Si sentiva perduta, smarrita, abbandonata.

"Mamma stai qui'~ implorava Odette quando uscivano all'aperto, ma la madre continua imperterrita a nuotare e le diceva: 'Vevi conoscere anche l'aperto, cara Odette'~ "Ma ho il mal di mare'~ rispose.

E la mamma si mise a ridere:

93

"ma chi ti ha parlato del mare, qui siamo in un placidissimo lago'~ "Che calmissimo, non è tranquillo per niente, qui tutto si solleva e casca come nel mare. Mi si abbassa la pressione, il cuore batte a cento all'ora non vedi!Altro che lago placido mi sa che siamo nelMar Morto'~ E la mamma si mise a ridere ancor di più: "Mar morto? Ma chi ti ha detto che esiste, e poi quello è proprio calmissimo: è defunto'~ Odette si arrabbiava moltissimo quando la mamma non la prendeva sul serio, le usciva ilfumo dalle orecchie come una pentola a pressione. Lei aveva il mal di mare per davvero, non perfinta, anche se non sapeva cosafosse il mare. In quei casi la mamma la spingeva verso il largo con il suo forte becco, e le diceva di mangiare un gamberetto che tutto sarebbe passato. ''Per il becco del nonno, non passa per niente il mal di mare, anzi mi sembra di sprofondare in un mulinello, mamma non capisci"?

Il problema divenne serio e i genitori ne discussero a lungo, tutta la notte, e chiesero al nonno se si era mai sentito che un cigno avesse avuto il mal di mare. Il nonno chiese a suo padre, il bisnonno di Odette, dato che lui non ne aveva mai udito nulla di simile. Il bisnonno era un cigno vecchissimo e saggissimo che sapeva tutto, ma proprio ogni cosa, e disse subito: "Ci penso io, portatemi Odette'~ Lei non l'aveva mai incontrato. Lui viveva sempre sull'erba vicino al canneto dove era nata. Equestofatto le piaceva moltissimo. Si avviò contenta da lui,finalmente qualcuno la prendeva sul serio, e poi camminare sulla terra ferma era il massimo. Se fosse stata una bambina si sarebbe fatta un selfie lasciando sullo sfondo il canneto e la dietro, mooolto lontano, il lago.

Ma, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, sulla via verso il nonno comparve ilferoce predatore, la volpe, che stava scappando dal cacciatore. Siccome era una volpe, anche se in fuga, vedendo Odette, pensò ad alta voce,

94

"Su che mi pappo questo be/l'anatroccolo'~ Che offesa per Odette rispose a tono: "Guarda, be/l'imbusto, che non sono un be/l'anatroccolo'~ Laferoce e scaltra bestiola, alla quale non importava nulla che si trattasse di un'oca, una gallina, ma solo di un buon boccone, stava azzannando Odette, quando, quatto quatto come un gatto, comparve il cacciatore col suo fucile che le sparò sulla coda.

'Vhuuu-uhuuu'~ la volpe ululò come un lupo e corse viaferita. Il cacciatore puntò allora il suo grandefucile su Odette, che svenne.

Si risvegliò il giorno dopo in braccio al bisnonno. Il vecchio non le disse nulla, le accarezzò il collo delicatamente con il becco. Come avevafatto a liberarla dal cacciatore? Quando Odette era svenuta il nonno si era scagliato contro il cacciatore volando e soffiando, e l'uomo che si era spaventato a morte scappò via a gambe levate.

Odette l'aveva scampata bella. Era così contenta che, appena vide la sua mamma, si lanciò verso di lei, che era proprio in mezzo al lago, non a un quarto o a un terzo, ma proprio nel centro, per raccontarle tutto. Sulle acque non nuotava ma correva come sefosse sulla terraferma, e di colpo il mal di mare sparì per sempre, ma proprio per sempre. Gli venne in mente allora il suo amico Giovanni, l'aquilotto che ... ma questa è un'altra storia.

96

PICHINA LA GAZZA ONESTA

• fotografi e Federica Spiaggiari

-

98

Le gazze, si sa, sono tutte ladre. Non lo dico io, ma un grosso librone dove sono scritti, uno infila all'altro, tutti i nomi, dalla A alla Z. Sono uccelli per natura molto scherzosi e giocosi, a amano le cose che luccicano, specialmente le monete e le posate brillanti, leforchette, i cucchiai, i coltelli, ma pure gioielli.

La famiglia dei Pica Pica, così è il nome delle gazze, si era organizzata per raccogliere un vero e proprio tesoro. Tutte le cose che riuscivano a rubare, arraffare, saccheggiare, abbrancare, le gettavano in una grandefessura in un vecchio ed enorme castagno, che aveva una grande cavità ali'interno del tronco, una specie di gigantesca pancia. L'obiettivo dei Pica Pica era quello di riempirla tutta come riserva per momenti difficili. Non pensarono però che il castagno cresceva sempre più nel tempo e così anche la sua cavità. Per ora, dopo anni e generazioni e generazioni, l'avevano riempita giusto a metà. Ci voleva insomma ancora un lungo tempo di generazioni e generazioni per completare l'impresa. C'è da dire che lafamigliaPicaPica, negli anni, aveva accumulato tante, ma tante di quelle gioie, che un re non ne aveva la metà.

L'ultimafiglia dei Pica Pica, Pichina, però era diversa, era onesta. Vedeva che la mamma, il papà, come il nonno e la nonna, e la zia e lo zio, e ifratelli, e i cugini, volavano avanti e indietro dalle case dei villaggi e della città, e che si industriavano per arraffare quante più cose luccicanti potevano dai davanzali, o entrando nelle case quando erano aperte le finestre: anelli, orecchini, cucchiaini.

Continuavano a riempire il grande castagno, che sembrava scoppiare, anche se era colmo solo a metà. Non contente di rubare i metalli razziavano con il loro becco anche le uova di altri uccelli dai loro nidi.

Pichina osservava dall'alto di un pino tutti questi movimenti. Le ragazze o le donne cui erano state rubati le gioie piangevano disperate, sui davanzali; le cameriere che non trovavano più le posate venivano sgridate o condannate per furto; le mamme che non trovavano più le uova nei nidi diventavano così tristi, ma così tristi, che non cinguettavano più, e i boschi diventavano sempre più

99

silenziosi. Il vecchio castagno poi si lamentava perché il tesoro di metallo nella sua pancia era diventato troppo pesante, e si spaventava ali'idea che i Pica Pica avrebbero aumentato il suo peso ancora del doppio, di ben due volte; e più l'albero cresceva e più il doppio diventava tanto.

Pichina, che era una gazza onesta, sentiva di dover fare qualcosa. Ne parlò ai suoi genitori, ma questi si misero a ridere, ma a ridere, ma a ridere a crepapelle, e tutta la grandefamiglia dei Pica Pica sogghignò per una settimana, tanto che a tutti venne il mal di pancia, e ordinarono a Pichina di non dire più delle stupidaggini simili: era la loro natura quella di essere ladri, era così e basta.

Il loro compito da secoli era quello di riempire l'enorme cavità nel vecchio castagno. Amavano le cose luccicanti e sicuramente anche Pichina doveva desiderarle.

Infatti Pichina, bramava le cose luccicanti, ma le bastava vederle brillare, come il sole di giorno e la luna e le stelle di notte. E le cose scintillanti nelle case le guardava dall'alto dell'abete rosso. E un'altra cosa luminosa le piaceva tantissimo, erano i rifl,essi del sole sui vetri dellefinestre. Vetri che splendevano talmente tanti e a volte con i colori dell'arcobaleno. Pichina desiderava appollaiarsi sull'arcobaleno, ma ogni volta che ne vedeva uno, e volava perso di lui, per sedervisi sopra, questo . . spariva come per magia.

Invece non scompariva ma a volte gli appariva, come per incantesimo, l'immagine di una bellissima gazza. Questa si affacciava attraverso i vetri, o sull'acqua calma dello stagno sotto l'abete.

Nelle case poi vi erano dei vetri speciali, e dietro di essi l'uccello, bello bello - e si vede che è della famiglia dei Pica Pica-, giocava ad imitare tutto ciò che faceva Pichina. Aveva il petto bianco, il corpo e il becco di un nero morbido morbido, e delle ali con riflessi di blu, di verde, di giallo. Un arcobaleno di splendore.

Per Pichina il riflesso più attraente era quello di quei vetri incantati, dove l'uccello bello bello, copiava tutto ciò che leifaceva. Pichina stava davanti a quel vetro a giocare con l'imitatore, cercando

100

difare gesti imprevisti per vedere se l'altro li indovinasse. Spostava il becco in su, di colpo; alzava un'ala a metà e !altra per intero;facevafinta di sollevare una zampa e poi la tenevaferma. Saltellava verso !esterno del vetro, e di soppiatto, quatta quatta come una gatta, sgusciava via, e di colpo guardava nel vetro con le testa, e giuro, non c'era una volta che l'altro non riuscisse a raggiungerla.

Pichina si domandava comefaceva l'altro a sapere quando sarebbe tornata a davanti al vetro.

La cosa era molto misteriosa.

Parlò con i genitori che subito si interessarono alla questione, infatti bastava riferire di qualchecosa che luccica e riflette e subito si entusiasmavano. Senza volerlo Pichina aveva suggerito al clan dei Pica Pica di rubare quei vetri magici. Le gazze iniziarono a prenderne dalle case e portarli al vecchio castagno, che si lamentava sempre di più. Ciò fece proprio arrabbiare la nostra Pichina, piccina piccina, che per la rabbia tirò una zampata a uno di quei vetri che tanto ammirava, e sifece un gran male alla zampetta. L'altro dietro il vetro le aveva dato a sua volta un bel calcio, e aveva preso una grande zampata da lei, e si lamentava. Ma chi era il colpevole, si domandò la nostra Pichina, che come sappiamo, a differenza di tutta lafamiglia dei Pica pica, è onesta, e perciò si domandava cosa è giusto e cosa no? E qualcosa di non giusto capitava davanti a quel vetro, davanti all'altro che era arrabbiato come lei per quello che avevafatto.

E in un istante che è durato meno di un attimo, capì tutto: quel vetro speciale non conteneva nessun altro, ma rispecchiava la sua immagine come la luna di notte la luce del sole. Insomma Pichina quando guardava dentro quel cristallo, vedeva se stessa. Ecco perché !altro sapeva sempre cosa avrebbefatto, l'altro non era altro che lei stessa. Rise ma rise, per una settimana tanto che le venne il mal di pancia. Poi ebbe un'idea bellissima. Prese uno di quei vetri incantati e lo miseall'entrata della cavità del grande castagno e quando arrivavano i suoifamigliari per metterci ancora delle cose sembrava loro chefosse già pieno, infattigrazie allo specchio il tesoro era raddoppiato. E allora

102

siccome non c'era più posto i Pica Pica smisero di portare altra roba nella pancia del/albero. Ma continuarono però a prendere le uova dai nidi per divertimento. Pichina mise allora gli specchi nei nidi degli altri uccelli, e le gazze, quando volevano arraffare le uova si trovavano davanti a quei vetri magici e non riuscivano a prenderne una perché le coefondevano con quella negli specchi (Pichina, piccina piccina aveva chiamato "specchi" quei vetrifatati).

Il castagno e gli altri uccellifecero i complimenti aPichina, che ora, appollaiata in cima al suo abete rosso, vedeva che le cose brillavano due volte grazie a quegli specchi. Tutte le gazze ormai cercavano solo quel vetri magici, più belli di tutti i gioielli, perché vedevano loro stesse luccicare dentro qui mondi misteriosi, che grazie a quei vetri sfondavano ogni muro.

Di colpo il mondo era diventato grande il doppio, e dal cielo la cosa incuriosì Dio stesso, che scese a guardare e disse ... ma questa è un'altra storia.

103

PITECUSA LA SCIMMIA CHE VIVE SOTTO L'ACQUA

• fotogra fi a Lucia Tonola

I pesci d'acqua li conoscono tutti, ma chi ha mai sentito delle scimmie d'acqua? Eppure nelfiume Cusa c'è chi può testimoniare di una scimmia che vive nell'acqua e volte emerge dalla superfice del torrente. Voglio raccontarti la sua storia.

Pitecusa era una bertuccia, una piccola scimmietta molto simpatica che per divertirsi scherzava la gente. Dapprima importunava la sua padroncina, una bambina carina che studiava tanto. Pitecusa, quando la bimba leggeva un libro invece che giocare con lei, gli tirava la veste e il braccio, impedendole di studiare.Allora il papà dellafanciulla legò la scimmietta, con una catenella, ad un anello infisso nel muro. Ma la scimmietta, che erafurba, aveva rubato la chiava al padrone mentre questi se la metteva in tasca, e si liberò in quattro e quattrotto, e, di soppiatto, quatta quatta come una gatta, tornò subito ad importunare la figlioletta. Questa volta il papà si arrabbio tanto che la cacciò via a legnate, per fortuna senza però mai riuscire a colpirla. Così la bertuccia cercò una/tra casa.

Nel bosco c'erano tanti animali, grandi e piccoli. Pitecusa volle tormentare un lupo di nome Gengis Khan, ma cambiò idea quando questi la guardò, e aprì leggermente il labbro sinistro mostrando i suoi denti aguzzi. Scappò via come unfulmine su per il castagno più alto. Salendo trovò il signor Allocco, un poco addormentato, che stava pulendosi gli occhiali e gli chiese se poteva aiutarlo. L'allocco che si chiama Tiresia, la ringraziò e le chiese di pulirgli gli occhiali dato che non ci vedeva più, e Pitecusa, che aveva in tasca un poco di inchiostro rubato alla bambina, disse di sì e impiastrò gli occhiali di nero, si che l'Allocco si spaventò pensando di essere diventata totalmente orbo. Pitecusa birichina salì più in alto e trovò Loki, lo scoiattolo, e si attaccò alla sua coda e la usava come una liana e andava avanti e indietro come su un'altalena. Loki gridava "Hai, che male, hai che male'~ aggrappandosiforte forte su un ramo.Ma Pitecusa non ha mollato la presa sino a che non vide in un buco nel tronco dove i ghiri dormivano. Lasciò la coda del povero Loki e mise nelforo dei ghiri una

105

sveglia potentissima che suonòforte come la sirena dei pompieri quando arrivano per spegnere un incendio. I ghiri si svegliarono e scapparono, e con loro tutti gli abitanti della quercia. Pitecusa si mise a ridere a crepapelle. Ma di soppiatto, quatto quatto come un gatto, Silvester, ilgatto selvatico, che aveva visto tutta la scena, si avvicinò a lei dal di dietro perfarle una burla. Volevafarle pagare quel suo vizio di importunare tutti, e le mise sulla schiena qualcosa, senza che lei se ne accorgesse.

Dovete sapere che il tutto capitava nel mese di aprile e quel giorno era il primo d'aprile. Il gatto selvatico aveva attaccato sulla schiena della bertuccia un pescefatto con il cartoncino. Tanti dissero che era un pesce persico, altri che era una trota, secondo alcuni un pesce in carpione, ma tant'è che Pitecusa ridiscese a terra per cercare qualcuno da innervosire. Ma non sapete lo stupore di accorgersi che tutti sogghignavano di lei. Digidigi la piccola antilope le correva intorno lacrimando dalle risa. Motty l'elefantina batteva così velocemente le zampe dal ridere che tutte le talpe in terra saltavano su per le vibrazioni, e ghignavano pure loro. Il serpente Biddrina si mise a rotolare dalle risa per poi ruzzolare nel.fiume. No, Pitecusa non poteva accettare un tale oltraggio, lei che pensava di essere l'unica a potersi permettere di prendere in giro la gente, e inseguì dapprima Digidigi, ma era troppo veloce, poi volle braccare Motty, che era più lenta, ma sinceramente avvicinandosi a lei cambiò decisamente idea, e ir,fine si tuffo dietro a Biddrina perfarle un pizzicotto, ma appena si trovò sott'acqua fu circondata da milleduecenticinquantacinque pesciolini piccoli piccoli, che avendo visto il pesce sulla sua schiena e l'avevano presa per la loro mamma.

Erano delle alborelle, che a Pitecusa facevano proprio pena, così sole, alla ricerca della madre.

Non capiva perché l'avevano presa per la genitrice, non sapeva irifatti di aver appeso un pesce d'aprile sulla schiena, ma voleva aiutarli.Allora cominciò a parlargli, ma dalla bocca non usci alcun suono, anzi entrò un secchio, se nonforse due, di acqua, e subito risalì in superfice e buttòfuori dai polmoni tutto quel liquido che stava per soffocarla. Bisogna perdonarla, era la prima volta che

106

andava sott'acqua e non aveva idea dell'effetto chefa. Una volta ripresa vide le alborelle che erano tutte lì in cerchio attorno a lei. O meglio milleduecentocinquantaquattro, infatti il milleduecentocinquntacinque pesciolino era andato da un'altra parte, e non si sa dove. I pesciolinifacevano gli occhi teneri e dicevano in coro: "Mamma, mamma mia, non andare più via'~ Pitecusa si commosse e cercò però di spiegare loro che non poteva essere la loro madre, infatti sotto l'acqua non riusciva a respirare come fanno loro, e questo fatto dimostrava da solo che non potevano essere neppure parenti. Ma queste in un coro che farebbe invidia alla Bosco band band, cantavano "Maaaammmaaaa, maaaaama miiiaaa, tu sei la miiiiiaaaaaa mammmma miiiiiaaa'~ e i tassi accorsi per l'occasione battevano i tamburi allafine di ogni "iiiaaa'~ Pitecuse era abituata a prendersi in giro della gente, non a queste situazioni sentimentali chefanno lacrimare le signore e i signori,le ragazze e i ragazzi, le bambine e i bambini. E decise di andarsene altrove per cercare qualcuno da disturbare, e lasciar perdere i milleduecentocinquantacinque pesciolini (era tornato anche quello che mancava prima, chissà dove era andato). Ma i pesciolini balzarono dall'acqua sulla terra ferma e saltavano come sefossero su una padella ardente, e aprivano la bocca ma non usciva alcun suono.

Pitecusa era una birichina, ma non era per nulla cattiva, per cui tornò dai pesciolini e gli chiese di rigettarsi nell'acqua e che lei gli avrebbe fatto da mamma. Allora tutte le alborelle si rituffarono nelfiume. Pitecusa intanto fu presa da un mulinello che la trascinò sott'acqua. Questa volta però non aprì bocca né respirò, e incontro un mucchio di altri pesci, come Lavarello, il signor Coregone che ridevano a crepapelle. E quando guardava in alto, sopra la superficie delfiume, intravvedeva gli animali del bosco che ridevano a crepapelle. Poi si voltò verso le alborelle e pure loro ridevano

108

a crepapelle, come anche Biddrina che per le risate vomitò unafila di animali che aveva mangiato ieri, che erano ancora vive, e con loro anche gli undici rospi che aveva inghiottito ilgiorno prima.

E sul ciglio del.fiume gioiva anche la bambina con suo papà. Insomma come dice il detto, "Chi la fa l'aspetti'~ si erano tutti messi d'accordo perfargliela pagare con questo scherzo del pesce d'aprile, con la complicità delle alborelle e dei tassi.

Per la rabbia da allora Pitecusa non è più risalita dall'acqua, e siccome non poteva continuare a non respirare, ha rubato al panda una canna di bambù. E si teneva ben nascosta da tutti perché quando la vedevano si mettevano a ridere. Pitecusa trovò poi una soluzione per dormire e mangiare nelfiume, irifatti scoprì dove era andato il milleduecentocinquantacinquesimo pesciolino, sai cosa gli è successo? ma questa è un'altra storia.

110

QUADRATO L'UCCELLO CUBICO

• fotografia Lucia Tonola

III

L'albatro, è un uccello enorme, ha le ali più grandi di tutti i volatili del mondo. Se metti cinque bam: bini distesi per terra uno in fila all'altro hai un'idea di quanto siano lunghe quando sono aperte. E silenzioso, e vola sempre, senza quasi mai posarsi a terra, ha delle forme tonde e sinuose. Mangia tantissimo, e dove stare attento a non adagiarsi sul mare dopo pranzo, se no non riesce più a decollare finché non ha digerito. Si sposa una volta sola e non si separa mai, ma proprio mai.

Questi uccelli sifermano solo per deporre l'uovo, e il papà prepara bene il nido per la mamma, e la lascia cacciare in pace sul mare. Lei è ghiotta di calamari, di gamberetti, di pesce di ogni genere. Lui fa il letto, rassetta la casa, insommafa il casalingo. Gli albatri sono dei vagabondi tranne quando nasce il.figlio, allora sifermano.Adorano l'isola Sandwich, proprio perché si chiama così.

Una volta il papà aveva mangiato così tanto di quelle cose squisite che quegli scialacquoni di marinai gettavano via dalle navi invece che ingerirli, che non riuscì più a volare per una settimana, e sull'acqua veniva preso in giro da tutti i pesci: 'Prendimi se riesci'~ o

"Cucu, , uove J sono.P".

E rischiò grosso, infatti, di soppiatto, quatto quatto come un pesce gatto, passò di lì uno squalo dentis aguzzis che pensò bene di farsi uno spuntino con quella bella massa pelosa con la pancia così rotonda e ripiena di buone cose. Arrivò in quel momento un gruppo di de{fini burloni, che per divertirsi importunarono lo squalo comefosse un pallone, salvando così l'albatro.

Visto il pericolo corso Diomedea, sua moglie, voleva convincerlo a fare un po' di dieta, ma è come dire ad un'ape di non mangiare il nettare della melissa, o a un chiodo di non essere diritto, o ali'olio di non essere oleoso, o all'insalata verde di non essere più verde, o alfuoco di non bruciare, al ghiaccio di non esserefreddo, o alla zia Ermegilda di essere simpatica. Insomma, niente da fare.

II2

Diomedea, per convincere il suo sposo a fare la dieta gli raccontava una storia che le aveva narrato la sua nonna. La leggenda diceva che una volte gli albatros erano uomini, anzi dei poeti, e per gelosia un dio li aveva trasformati in uccelli silenziosi. Per quel motivo inseguivano le navi degli umani, e andavano matti del cibo da loro cucinato come ilfritto misto, il pesce a/forno, gli scampi al cognac, l'aragosta alla sarda, ilpesce spada in carpione, l'insalata di mare, il risotto alla pescatora, l'impepata di cozze, l'orata al cartoccio, il caciucco, le seppie con piselli, e che dire del sauté di cozze e vongole, ... tutti resti di prelibatezze che dalle navi vengono gettati in mare. Non mangiavano però mai il riso Venere con gamberetti e zucchini, chissà perché.

"Si si, cipiacciono tanto quei piatti, di certo eravamo uomini, ma non lo siamo più e dobbiamo accettarlo'~ diceva Diomede. Ma questa storia invece che far mangiare di meno all/J.lbatros aveva l'effetto contrario. E infatti il marito diceva: "Si eravamo uomini, ed era meglio che essere uccelli'~ Un giorno Diomeda aspettava il suo primo figlio, andarono sull'isola Sandwich ad attendere l'evento, e mentre suo marito preparava bene tutto giù sul suolo, si riempì anche lei il più possibile di leccornie da una nave che passava di lì, per dare poi il cambio al marito, e senza farci troppo caso mangiò anche un'intera scatola di the aforma di cubo che era stata gettata in mare per sbaglio insieme ai resti della frittura di calamari. Ma tanto aveva una pancia enorme e la scatola ci stava dentro bene.

Arrivò l'ora di deporre l'uovo. Ma questo non voleva uscire. Diomedea spingeva, spingeva, con l'aiuto del suo caro marito, ma l'uovo non voleva uscire. Tutti si preoccuparono di questofatto efu chiamato il dottor Trinco ti, che però nonfece altro che spingere con il marito sulla pancia di Diomedea. lrifine l'uovo uscì, e tutti rimasero con la bocca aperta. Era sì sbottato qualcosa, e che botto, ma non era un bell'uovo tondo, ma cubico? come un dado da gioco.A vogliafar faticai

Papà e mamma si misero a covarlo a turno. Il papà e la mamma si danno il cambio per tenere al caldo ruovo comefossero una morbida coperta di lana, mentre raltro va a prendere da mangiare, e va un poco a zonzo - chissà dove è zonzo?-. E passarono i giorni, e le settimane, insomma quando sarebbe sgusciato il pulcino? Questi è un pezzo che voleva venirefuori ma il cubo gli impediva la strada.

E lui cresceva e lo spazio per muoversi diventava sempre di meno. Allora si sviluppava ancora e spingeva conforza per spaccare l'uovo, ma questo era duro come ilferro. Un giorno dalla rabbiafece un urlo, un grido cosìforte che tremò tutta l'isola, e il metallo, che non era altro che la scatola di the che aveva ingoiato Diomeda, sifrantumò in tanti pezzi. Anche in cielo si accorsero di quel grido, e mamma e papà si misero ad urlare per la gioia insieme al loro figlio. Sembravano una banda rock, e tutti gli albatros sull'isola urlavano con loro di contentezza, e su tutte le navi che viaggiavano da quelle parti sentirono queste grida. Una tempesta siformò a causa di quei clamori. Le nuvole li presero per tuoni per cui produssero i fulmini, che colpirono gli alberi delle navi, e fecero tremare i capitani, che redarguirono gli ufficiali, che strigliarono marinai, che ripresero i macchinisti, che rimproverarono i cuochi, che ammonirono i camerieri, che sgridarono i mozzi.

Da allora gli uomini chiamano questi uccelli albatros urlatori, che non erano più silenziosi come una volta, e mai più i marinai gettarono in mare scatole di metallo. E ilfiglioletto? Lo chiamarono Quadrato e crebbe benissimo e ancora lo potete vedere in giro per l'Australia, che è un poco più in giù dell'Africa, svoltando a sinistra, e lo riconoscete subito perché ha la testa con la forma del cubo, ed ha uno strano profumo di the verde, che perfortuna piace molto allefanciulle.Alle signorine piace molto ballare e tra gli uccelli chi organizza lefeste danzanti era l'allocco, ma un giorno capitò che... ma questa è un'altra storia

115

REGULUS IL BASILISCO SPENDACCIONE

• fotografia Karine Jam

-

116

Il Basilisco non è un animalefacile da incontrare, e ancor meno da vedere. Non si trova tutti i giorni, neppure allo zoo. Anche perché, da quando il mondo è mondo, ne esiste uno solo e nessuno è mai riuscito a catturarlo. Il suo nome è Regulus. Non si sa neppure bene come siafatto. Ci sono tante descrizioni della bestia. Di sicuro ha il corpo di un serpente la testa di un gallo e le ali e le zampe dell'aquila.

Alcuni lo chiamano drago. Sembra che abbia uno sguardo velenoso, che uccida con un colpo d'occhio chi guarda, e per questo lui stesso non si ammirava mai allo specchio. Qualcuno dice che sia il diavolo.

Stava a guardia del tesoro più grande di tutte lefortune che esistono sulla terra. Si sa che il tesoro era in una caverna nella roccia vicino al centro del mondo. Patrimonio ricercatissimo, ad esempio dai condottieri che facevano le guerre per avere i soldi per pagare i soldati, dai presidenti per pagare i dipendenti, e naturalmente dai re, che avevano sempre bisogno di molti denari. Così era da millenni.

E siccome nei secoli dei secoli le cose preziose, come monete d'oro, sculture, metalli preziosi, gioielli, armi con brillanti incastonati, chiodi d'argento contro i vampiri, cristalli, ceramiche preziose, tappeti persiani e turchi antichi, mobili d'epoca, valevano sempre di più, ogni anno che passa il tesoro continua ad aumentare di valore. Regulus collezionava anche le corone dei re e dei potenti decaduti, e la ricchezza cresceva.

IL Basilisco era stato incaricato da un Grande Re di proteggere il suo immenso capitale. E neanche uno è riuscito a rubarne neppure una monetina, anzi manco a vederla. Dopo circa dodicimiladuecentododici anni e dodici mesi e dodici giorni, verso mezzogiorno e dodici minuti esatti che Regulus faceva la guardia all'unica porta d'entrata della caverna, per dodici secondi si addormentò. Dodici cavalieri, che da dozzine di anni erano lì pronti, per generazioni, per appropriarsi del malloppo e portarlo nei loro dodici castelli, in quei momenti di sonno del drago riuscirono ad aprire il portone.

Regulus si svegliò e salvò la fortuna. Ma iniziò a preoccuparsi tantissimo. Infatti sapeva bene che da sveglio nessuno avrebbe mai potuto entrare e rubare nulla, ma siccome si era assopito una volta,

117

nei millenni potrebbe ricapitargli ancora, e ci sono sempre in giro quelle dozzine di cavalieri pronti a cogliere l'occasione. E se la prossima volta si sarebbe appisolato non per dodici secondi ma per dodici minuti, o di più? Che disastro!

Si mise a studiare una strategia, comefa un generale che prepara una battaglia. Lui erafedelissimo al suo Grande Re che gli aveva ajfidato i sui beni, e questi non dovevano essere rubati da nessuno.

Era così preoccupato e pensieroso che divenne distratto, e quando era rapito nei suoi pensieri e divagava con la testa, i dodici figli dei dodici cavalieri di prima, riuscirono ad aprire la porta, ma Basilisco salvò ancora una volta il tesoro ma si disse: ''No, così non va. Non deve più capitarer Non è che non dormisse più di notte per la preoccupazione, tanto non dormiva mai, come un ghiro di mia conoscenza, ma rischiava di deconcentrarsi e di non controllare più bene quelle maledetta serie di dozzine di cavalieri che di generazione in generazione erano sempre lì ad aspettare anche la sua più piccola distrazione.

Toccava a lui trovare una soluzione, e gli venne questa malsana idea.

"E se spendessi tutto? Nessuno potrebbe più rubare il tesoro, eforse riuscirò anche dormire, che non so bene come sifa'~ Per tenere a bada i cavalieri costruì un pupazzo di peluche uguale a lui e lo mise davanti al portone.

E poi una sera, dopo il tramonto, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, il Basilisco, travestito da talpa, ovvero da spia, entrò dal portone e prese un sacco di monete. Salì sulla superfice e spese tutto in unfamoso ristorante che è un pezzo che voleva andarci. Tornò sottoterra prima dell'alba. Vide che i cavalieri dormivano e il tesoro era salvo.Allora la sera successiva, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, entrò nella stanza del tesoro, ma questa volta travestito da Grifo e portò via un vagone di sacchi di monete d'oro. In superfice spese tutto in elemosina dando una monetina a tutti i miseri che trovava

118

in giro che se ne andavano da qui a là sperando di trovare da vivere. Tornò la mattina prima dell'alba e prese il posto del peluche e i cavalieri non si accorsero proprio di nulla. La notte dopo si travestì da elefante, che era grande, anzi enorme, e, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, portò via dalla caverna tutte le armi preziose e le distribuì ai costruttori di un grande tempio chefusero il metallo e usarono i gioielli per adornarlo. A ancora oggi si può visitare quella meravigliosa costruzione. La notte seguente caricò molti preziosi sull'arca di Noè nella quale si intrufolò prima del diluvio universale travestito da cavallo, tirando un grande carro pieno zeppo di gioie. Poi, sera per sera, si travestì da tutti gli animali e trovò il sistema per spendere tutto, ma proprio tutto. Alla fine non rimase più nulla nella caverna, ma proprio niente, se non che una ragnatela senza più neppure Clizia il ragno.

Regulus era contento. I dodici cavalieri se ne erano andati, dato che non c'era più nulla da arraf fare. La voce girò e si diffuse per tutta la terra e anche sulla luna, e nessuno quindi si interessò più al tesoro nascosto, e finalmente Regulus poté dormire. Scoprì che poltrendo si possono fare dei bellissimi sogni, e non vi era motivo di fare incubi dato che non c'era più nulla da rapinare. Dopo aver dormito era molto più riposato, sereno, rilassato, insomma era un altro Basilisco e così disteso, sembrava anche simpatico.

Tutto sembrava perfetto, e la storia sarebbe finita qui se non che un giorno seppe che il Grande Re stava tornando, e gli venne una grande paura, e qualche dubbio. Si diceva "Chissà se ho fatto bene? Mi ha detto che dovevo badare al suo tesoro, e infatti nessuno lo ha svaligiato, spendendolo ho impedito che chiunque lo sottrasse'~ Con questo ragionamento si voleva convincere di aver agito giustamente, ma pensava anche il contrario, ''Ho speso tutto il suo tesoro e si accorgerà che sono stato io. Sarò punito duramente!"

E attendeva che arrivasse il Grande Re. Una notte, quando meno se lo aspettava, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, arrivò il monarca, e quando lo vide gli disse... ma questa è un'altra storia.

1.20

TIRESIA L'ALLOCCO ORBO

• fo togra fi a Alicia Orq ui n Se lle r

121

Tiresia era un allocco. Somigliava un poco ad un gufo, ma anche ad una civetta e a un barbagianni.

Tanti lo prendevano per sciocco. Digiorno dormiva sotto una coperta difoglie di edera su una grande quercia. Si svegliava al tramonto e quindi caccia, cantava e danzava. La sua passione era ballare.

Tiresia aveva imparato il valzer e la mazurka, la Cumbia e il Bambuco. Danzava tutta la notte, e tutti gli uccelli e gli animali notturni lo venivano a vedere. Era sempre una grandefesta, proprio da sballo.

Quando iniziava a muoversi a ritmo di Cumba, siformava una grande orchestra, la Bosco band band. I pipistrelli suonavano gli archi, pizzicando le ragnatele che si trovavano un poco ovunque, i ghiri una vecchia chitarra abbandonata, ruotandovi dentro, il più apprezzato era Glis Glis. Il grifo soffiava nelle canne dei bambù dei panda. Gli scoiattoli suonavano con gli aculei dei ricci, producendo unfruscio che sembra quello delle maracas. I tassi battevan la batteria usando tronchi vuoti. I gechifacevano gech ghec gech. Lefalene battevano le ali al ritmo della danza e il tutto era illuminato sia dalle stelle in cielo sia dalle lucciole in aria.

Tiresia imitava tutti quelli chefrequentavano il bosco:faceva la danza dei cacciatori che cercavano le prede, e dei loro cani che correvano di qua e di là, dei i turisti che si perdevan nel bosco, dei contadini che si alzavan la mattina presto, e di tutti gli animali che vivono nellaforesta. Tiresia era un grande osservatore e scrutava, con occhi da falco, tutto ciò che accade. Per la gioia degli abitanti notturni, della luna e delle stelle,faceva le imitazioni di ciò che aveva visto. Ogni sabato sera la popolazione del bosco si recava alla grande quercia per l'evento.

Ma col passare degli anni, prima adagio adagio, e poi più velocemente, Tiresia cominciò ad avere problemi di vista. Lui, che ci vedeva benissimo, non riusciva più a distinguere le cose. Andò dal dottor Trinco ti, che glifece la visita agli occhi. Mise in fila gli animali, dal lupo all'ape per ordine di grandezza, a tre metri da Tiresia, e scoprì che vedeva bene il lupo per nulla l'ape, ma neppure la talpa, e solo poco poco la gazza. E il dottore sentenziò:

122

"Caro Tiresia, sei diventato orbo. Sei proprio guercio, devi mettere gli occhiali'~ O per l'amor del cielol tutti si rattristarono moltissimo, cosa avrebbero fatto il sabato sera senza Tiresia e le sue imitazioni e le sue mazurke e cumbie? Tiresia provò a danzare ancora ma cascava spesso, picchiava contro un ramo, guardava dalla parte sbagliata, e soprattutto non scorgeva più nessuno da imitare. Il dottore aveva prescritto gli occhiali, ma dove prenderli? Mica ci sono lefabbriche di lenti per allocchi. Tutti si industriarono ma gli occhiali erano una cosa da uomini non da animali, e men che meno da allocchi che ci vedono benissimo, nessuno avrebbe costruito qualcosa per chi non ne ha bisogno.

Il bosco era diventato una noia, soprattutto la notte, e specialmente il sabato sera. La luna guardava verso un altro bosco, e le stelle brillavano di meno. Le lucciole poi se ne andarono in Perù. Di soppiatto, quatto quatto come un gatto, perché di notte ci vedeva poco, arrivò un uccello. Pichina, la gazza ladra, era stata contattata dal medico. Arrivò con appeso al becco uno strano oggetto che aveva preso dallo scaffale di un negozio in città. Il dottor Trincotifissò quella cosa su un occhio di Tiresia. Era molto grande e pesante, a tal punto che all'allocco cadeva la testa e poteva guardare solo verso il basso, e distingueva solo le cose piccolissime.

Osservava le cose microscopiche, e ricominciarono le sue imitazioni ma nessuno capiva cosa o chi stava copiando. Infatti, senza quel suo speciale occhiale, nessuno riesce a vedere le minuscole cellule. Sai cosa sono le cellule? Tiresia imitava i movimenti di quegli esserini che ci costituiscono, che sembravano i chicchi di riso quando la mamma gira il risotto. Ma avete mai provato a fare il ballo del risotto? Delle lenticchie bollite? O delle mille uova di rana in uno stagno che si muovono?

O delle diecimila formiche che si spostano di qua e di là nelformicaio che sembra lui ad animarsi?

Perché è così che volteggiava Tiresia.

Il dottor Trincoti chiese a Pichina di prendere qualcosa d'altro dallo scaffale del negozio dell'oculista, perché qui non se ne può più con il ballo del risotto. Pichina portò un altro oggetto. Era una lente speciale fatto per vederci bene da lontano. Il dottore lo legò sull'occhio destro di Tiresia, e allacciò la testa ad un ramo. Tiresia di colpo avvistava le cose più lontane. Se prima, le stelle in cielo le sembravano tante, ora lepareva che ilfirmamento fosse una coperta ricamata di luci, ma moltissime, come i brillantini di un vestito di una sposa che aveva visto ad un matrimonio in un suo viaggio in India, come un cassetto pieno di diamanti luccicanti, come una bottiglia di vetro zeppa di tremilacinquecento lucciole, come le formiche che si muovono insieme nelformicaio. Tutti gli animali accorsero per vedere gli effetti di quella novità. Ma Tiresia ballò esattamente allo stesso modo di quando aveva gli occhiali per vedere le cose piccolissime. Infatti, al suo sguardo il cielo era come un risotto di luce, una grande pentola in cui bollono le lenticchie, un immenso stagno pieno di uova di rana, ma anche come una polenta uncia nella pentola. La bosco band band erafrustrata, in pratica suonavano solo gli scoiattoli, pizzicando gli aculei dei riccifacendo il suono sempre uguale con pochissime variazioni, come quelle delle maracas.

Tiresia era disperato, quando la gazza, quatta quatta come una gatta, portò al dottore degli occhiali, dicendo che li aveva rubati direttamente dal naso dell'oculista. Trincoti lifece inforcare a Tiresia dicendogli che erano appartenuti ad un'oca chefa la lista, ma Tiresia capì che appartenevano ad un vocalista, e dunque andavano di certo d'accordo con la Bosco banb band. Se li montò e le sembrò di essere in un altro mondo, cioè nel mondo, così come lo vedeva prima di diventare un Allocc'orbo. Il sabato sera successivo tutti avevano la febbre, come in un concerto di rasco vossi.

Anche le stelle tornarono a frequentare la festa sulla quercia. La luna non era più scura come i sabato precedenti. Tiresia imitò la gazza e il vocalista che la inseguiva per il negozio sino alla finestra, e tutti ridevano al ritmo di una salsa. Arrivò per curiosità anche il leone, che di nomefa-

ceva Samba, mentre il dottor Trincotifumava un sigaro cubano, e ilfumo arrivava in alto, sopra la grande quercia, verso la via lattea. In quel momento passò un'astronave che non riusciva più a vederci nulla a causa dellafoschia, e si scontrò con la coda di una stella cometa, e questa precipitò in un grande lago. Per questo fracasso e si svegliò Basilisco. Sapete chi è il basilisco? È un mostro che vive sotto terra efa la guardia ad un tesoro ma un giorno... ma questa è un'altra storia.

YANG IL PANDA CHE ADORA LE BISTECCHE fotogra fie Chiara Ort.e lli

127

Yang è un orsacchiotto, dellafamiglia dei Panda. Vive in Cina. Da quando mondo è mondo i panda mangiano quasi solo germogli di bambù. Yang ha un fratello, Yin. Solitamente i panda crescono solo un.figlio per volta. Yang, invece che morire, come è naturale per un cucciolo rifì,utato,fu adottato dall'Orsa della luna che era scappata da una/attoria di uomini crudelissimi. Vedendo Yang si commosse e lo adottò.Ma non sapeva che i panda si nutrono praticamente solo di bambù, e cominciò a dargli in cibo quello che mangiava lei, ovvero un po' di tutto: vegetali, soprattutto ghiande, noci, castagne e quando ce l'aveva, della carne, come di topo, coniglio, uccello, e se trovava unformicaio anche gli insetti. Yang, che aveva moltafame quando si nutriva solo di bambù, cominciò ad apprezzare molto la carne. Ma tanto tanto.

Un giorno passò di lì un macellaio, con un carretto pieno di ciccia da portare in un rifugio sulle montagne. In una curva stretta, a causa di un grosso sasso sulla via, il carretto sobbalzò e cascarono per terra delle bistecche di manzo tibetano. Yang passò di lì ed assaggiò per la prima volta le bistecche.

"Mhmmm, come sono buone, come sono gustose, come sono succo/enti ,~ E Yang disse all'Orsa della luna, che voleva mangiare tutti i giorni quella prelibatezza.

"Ma caro Yang'~ gli rispose l'Orsa della luna, "non è mica una cosa che si trova tutti i giorni, devi accontentati di quanto ci capita. La carne è rara da queste parti. Magari se siamofortunati ci imbattiamo in qualche lepre morta'~ ''Macché lepre e lepre, voglio ogni giorno le bistecche'~ disse il nostro buon Yang. Ma l'Orsa della luna aveva ragione: lì di bistecche non se ne trovano, e non èfacile uccidere un Yakt, il bue tibetano.

Il nostro buon Yang si rassegnò e continuò a nutrirsi di quanto trovavano, soprattutto erbe, ma era triste: lui voleva le bistecche. E chefatica faceva l'Orsa della luna a fargli inghiottire le verdure.

1.28

Un giorno passarono attraverso il reame di Da/i, dove Yang incontrò per la prima volta un altro panda, e si presentarono: '1o sono Yin", "T V JJ .1 o sono 1 ang .

I due si somigliavano tantissimo e ogni giorno facevano grandi chiacchierate. Gli sembrava diconoscersi da sempre, quasi come fossero due fratelli, non sapevano di esserlo davvero. Ma quando parlavano poi avevanofame. Dato che lì c'era un sacco di bambù, Ying invitò Yang a gustare una decina di chilogrammi di germogli. Yang disse che erano proprio sfiziosi, e che, come le ciliege, o le noccioline, una tira l'altra e non riesci più a finire. Infatti, la sera, avevano la pancia pienissima e dovevano andare continuamente al gabinetto. La mattina seguente Yang raccontò a Yin del suo cibo preferito, ovvero le bistecche, che sono buonissime e basta ingerirne una bella grossa che non hai piùfame per mezza giornata almeno. Yang non aveva mai sentito parlare delle bistecche, ma proprio mai. È vero che qualche volta aveva provato un poco di carne di roditore, ma lui preferiva mille volte i germogli di bambù.

Yang decise di procurarsi due belle bistecche, ma non sapeva come fare. L'unica sarebbe stata di andare in una macelleria a comperarle, ma si sa che gli orsi non portano mai soldi con se. Yang chiese consiglio all'Orsa della luna, che si mise a ridere a crepapelle anche solo per l'idea di Yang di possedere del denaro. Ma all'alba, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, Yang andò nel villaggio poco sotto a cercare qualche soldo, e si travestì da Panda. Si, hai capito bene: il pandafece finta di essere un clown travestito da panda, e indossò un elegante cappello nero, chiamato cilindro, che non si sa bene dove avesse trovato, una giacca color carbone, delle scarpe lucide nere e bianche.

Si arrampicò sopra la fontana della piazza al centro del villaggio, rimanendo totalmente fermo, con il cilindro in mano verso la gente che passa. I bambini si incuriosirono, e andavano a vederlo

130

da vicino, e qualcuno riusciva a convincere il papà o la mamma a dargli una monetina da mettere nel cappello. E allora Yang si muova, alzava il cilindro, metteva un dito sulla bocca come a dire: "Silenzio'~ e si inchinava per ringraziare, e poi tornava nella posizione iniziale. La notizia si sparse anche in altri villaggi e tutti accorrevano per vedere ilfenomeno da baraccone, il clown-panda muto. E alla sera Yang aveva riempito il cilindro di renmimbi (si chiamano così i soldini da quelle parti).

Tornò a casa e fece vedere all'Orsa della luna il suo guadagno. L'orsa si grattò la testa e disse che non sapeva dire quanto soldi erano, perché da quando il mondo è mondo non usano monete, ed è evidente dato che non hanno delle tasche per metterle. Yang si disse che loro non sapevano quanto valevano ma gli uomini di sicuro sì. L'alba successiva Yang, di soppiatto, quatto quatto come un gatto, tornò in paese e, sempre travestito da clown panda, entrò nella macelleria, e senza dare a vedere chefosse un vero panda, indicò con le dita, come sefosse un clown muto, due belle e succose bistecche di yak. Il macellaio, che ormai conosceva il clown perché suo figlioletto ne era entusiasta, pesò le fette, le incartò, le mise in un sacchetto e diede il conto da pagare a Yang.

Avete mai sentito di un orso che sa leggere? Yang almeno non lo sapevafare, e guardò quegli strani disegni sulfoglietto, e non sapeva cosafare.Allora decise di dare il suo cilindro pieno di soldini al macellaio, che tutto contento perché aveva sempre bisogni di spiccioli, iniziò a contare i soldini e ne diede indietro la metà alfelicissimo Yang. Il panda corse da Yin e insieme si mangiarono tartare di bistecca, ovvero bistecca crudafinemente tritata, con il contorno digermogli di bambù. Entrambi sifecero una bella scorpacciata e la sera si distesero sulprato per digerire e guardarono il cielo. In quel momento scorsero una stella cadente, e ognuno di loro espresse un desiderio. Yang di un'altra bella bistecca e Yin di una montagna di germogli di bambù, insomma carne e verdure.Arrivò l'Orsa della luna e vedendoli così contenti ebbe un'idea geniale per equilibrare la dieta di Yin e Yang, sapete comefece? ma questa è un'altra storia.

FARFALLO L'INSETTO GRASSO

• fotografia Dav ide Somarchini

1

33

Lafarfalla è bella,fragile, delicata, ma soprattutto snella. Vola leggero tra unfiore e l'altro, o meglio, così è di solito. Ma non per la nostrafarfalla, che in realtà era un maschio e si chiamava Farfallo.

Farfalla era così pienotto, paffuto, obeso chefaceva moltafatica a volteggiare. Era così grosso perché una volta era caduto in un melario e si era rimpinzato di così tanto miele che la sua pancia sembrava una nave con un carico di grasso di balena bianca, o quella di un castagno che qui conoscono tutti. Le sue ali erano azzurre. Guardava il mondo dalla cime del pino, cui era arrivato quando aveva fatto da cravattino per Giovanni, l'aquila, al suo matrimonio. Farfalla non osava muoversi tanto su quella cima per paura di cascare, e le poche volte che si spostava lo faceva lentamente, adagio adagio, di soppiatto, quatto quatto come un gatto.

Un giorno successe che stava per arrivare unforte temporale, ed era meglio correre al riparo, e il suo rifugio preferito era in una piccola caverna di ungrande sasso giù a terra. Sifece coraggio dopo aver visto i primi lampi e si gettò in basso.

Cadendo con movimento rotatorio si aggrappò sull'orecchio di Tiresia, l'allocco con dei grandi occhiali. Questi cominciò a girare velocemente la testa avanti indietro e si liberò delfastidioso insetto che stramazzò sino a posarsi sul becco di un albatros di nome Diomeda che passava di lì. L'uccello cercò di inghiottire Farfalla in quale si tuffo più sotto dove, per miracolo, sfuggi dal becco robusto di una nocciolaia. Questa si arrabbiò per non aver inghiottito Farfalla e gli sputò addosso un seme.

Aggrappato al chicco comefosse una slitta piombò sulla coda di Loki, lo scoiattolo, che, comefosse unafionda, lo spedì lontano su un altro pino dove dormiva un ghiro chiamato Glis Glis che si svegliò malvolentieri. Questi lo calciò con le zampe come sefosse una palla. Farfallo atterrò sulle piume di Pichina, la gazza ladra, che con uno scossone se ne liberò come sifa con unafarfalla che ti si posa sulla schiena. Farfalla scivolò sul dorso di Melissa, l'ape, che la condusse in volo sopra il bosco. Far/allo, per salvarsi, si aggrappò a un lungo ramo, che però si muoveva, e si accorse che non era una

frasca ma la proboscide diMotty, I'elefantina, che l'inalò come un aspirapolvere. PoiMotty starnutì, con energia, sparando Farfallo come una pallottola di unfucile da caccia. Farfallo fu scagliato in basso diritto diritto sulla lingua di Giove, il maialino, che però aveva rinunciato a mangiare carne, dopo una triste esperienza con suo zio Pig, per cui non lo ingerì ma lo allontanò. Farfallo finì sulla coda della mucca Giovenca che lo catapultò, comefosse unafastidiosa mosca, sulla zampe da leone di Grifi-no, il mostro, che se ne liberò con un colpo d'ala. Farfallo sdrucciolò sulla testa del leone Samba, che si sbatté per ilfastidio. Passando vicino e alla zampa di Ciuco l'asino, Farfallo ruzzolò in uno stagno, e Pitecusa, una scimmia d'acqua la tolse dal becco di Odette il cigno prima che lo divorasse, ma Farfallo sfuggi dalle mani bagnate della bertuccia, e si rifugiò sotto terra sottoterra nella buca del signor Talpa. Signore che non era per nulla contento di avere un intruso in casa, e vedendolo troppo grasso per unafarfalla non lo mangiò, credeva infatti chefosse malato, e lo gettò nel cunicolo più in basso. F arfallo atterrò sulla schiena di Medusa, il lombrico, e capitombolò in una cavità rimbalzando sulla ragnatela di Clizia, il ragno. Si aggrappò sui baffi dell'Orsa della luna nella caverna dell'orso, che stava oziando. L'orsa sospirò efece volare Farfalla sino ad un torrente sotterraneo che lo trascinò in basso fino ad un lago, dove Lavarello lo inghiotti, e poi entrambi furono ingoiati da un pesce muto, e poi un pesce molto più grosso inghiottì il pesce muto. Biddrina, il serpente d'acqua, li mangiò tutti con un solo boccone e gli animali nella pancia sembravano una matrisoka. Biddrina cercò di divorare Argante, il polpo e aprì la bocca efarfalla fuggì e sprofondò in un profondissimoforo nero come il carbone che lo condusse al centro della terra.

Nel mezzo del mondo non capiva più cosafosse il basso e cosa l'alto per cui si avviò a salire prendendo una via a caso, evitando quella protetta da un terribile cane di nome Cerbero. Montando incontrò uno strano popolo dei pipistrelli giganti, che lo trascinarono in una grotta molto più in su, dove viveva una tribù di pipistrelli molto più piccoli e puzzolenti. Per il tanfo Farfallo volteggiò via verso l'alto,

e vi riuscì perché nel viaggio dimagriva, e giunse ad un lago pieno di viscidi rospi che glifacevano schifo. Farfallo si arrampicò più in alto, e saltando sulla groppa di un drago addormentato, che di nomefaceva Regulus, arrivò ad una galleria sotterranea, dove incontrò Medusa un lombrico occupato con una ragnatela, e quindi un signor Talpa con gli occhi a mandorla che le disse qualcosa in una lingua sconosciuta. Uscì sulla superfice della terra, e si trovò insieme ad unaformica solitaria sui piedi di un Grifo che li calciò verso un elefante che peròfaceva l'indiano. Il pachiderma starnutì Farfallo verso un cigno, che non riuscì ad addentarlo.L'insetto si aggrappò ad un'ape che passava di lì e lo lasciò sul naso di una antilope, che lo regalò ad un agnello, che lo diede a Ciucco, l'asino. Questi non lo volle e lo portò da dei ghiri, i quali lo calciarono dagli scoiattoli, che non ne vollero sapere e lo spinsero nella cuccia di lupi che lo gettarono in alto mentre scappavano da un cane che era andato in Cina in vacanza. Un allocco lo afferrò. Farfallo,fuggìfacilmente dal/allocco dato che era orbo, e montò ancora svolazzando tra le grinfie di un panda di nome Yang. Farfalla raggiunse infine la cima di un pino tabuliformis {che è un pino cinese), efinalmente si riposò.

Aveva attraversato il mondo ed era diventato magrissimo per il grande sforzo fatto. Ed ora, all'altro capo della terra, dopo la suafolle caduta dal pino che lo condusse in cima ad un altro pino, e il Panda di nome Yang gli disse: "Caro Farfalla devi sapere che l'orsa della luna è riuscita a scappare dalla prigione, e un giorno mi ha adottato, infatti... " Ma questa è un'altra storia.

1 37

Le collane di Opera 1 uova

1.

Artemis Luigi Rossini, Collerico, superbo, nel tempo istesso modesto, ben(gno.

Scritti autobio,grqfiri, 2014 Riflessi

Raffaella Castagnola - Matteo \'iale, POE IT. Repertorio bibliografico dei poeti nella Svizzera Italiana, 2012 2. Oscar Mazzoleni ndrea Piloui \farco ~ arcacci, Un cantone in mutamento.

Aggregazioni urbane ed equilibri re,9ionali in Ticino, 2014 3- Michele madò, Dise,gnarPil mondo, 2 015 lj. Michele madò, La casa dPlle Muse l AC, 2016 5. Michele A madò, Oracoli Fontane del Ticino, 2017 6. Michele Amadò, Quatto quatto come un gatto, 2018

1.

Autografica Federico llindermann, Cerchi di luce, 2010 2. PriscaAgusloni, Casa delle ossa, 2010 3- Pif'r Carlo Apolinari, PrPludi P.fughPsmza indicazioni di tempo, 201, 4. Roberto Milan, Il mare alla rovescia, 2 011 5. Jacques Dupin,Scarto, 2011 6. Simone Fornara e Mario Gamba.I Cavalieri davanti alfium e, 20n 7. AAVV.,l/ punto illustralo, 2011 8. Sergej Roic,llgioco del mondo, 2012 g. Pi erre Chappuis, Il mio sussurro. il mio respiro, 2012 10.Gilberlo !sella, Caro aberrante.fiore, 2013 TI. Giuliana Pelli Grandini,Le Maifun,9ole, 2013 r2.Sergio , vax, Fra,9 mentos,2013 13- Michele Amadò, ient'altro che cinque minuti, 201fi 14. Sergio ,vax, Terra e sale, 20 15 15. Anna Felder, l iquida, 20 17 1.

Un giorno il maialino si era stufato di dover sempre litigare con ifratellini per bere il latte della mamma) e poi voleva provare altri gusti.

Di soppiatto) quatto quatto come un gatto) scappò dalla stalla e si avventurò nel mondo) che era poi solo quello la fattoria) ma per lui era grande come tutto l'universo.

Attraversò la strada e...