Iniziamo il numero estivo della rivista con un focus su due importanti realtà produttive italiane: Art Funeral Italy e Vezzani Forni.
Introduciamo poi FuneralGlobe, il nuovo marketplace per il settore funerario e cimiteriale nato dall’esperienza di Tanexpo e Oltre Magazine.
L’avv. Alice Merletti segue il caso Pieroni sul suicidio medicalmente assistito, la prima applicazione concreta della normativa della Regione Toscana.
Analizziamo il lavoro degli operatori sotto molteplici punti di vista iniziando dai marmisti e dalle nuove opportunità di gestione cimiteriale.
Mettiamo poi l’accento sul ruolo cruciale di supporto svolto dagli impresari funebri e sul loro benessere psicologico. A questo proposito vi invitiamo a partecipare al sondaggio promosso dall’Università di Pavia. Per concludere, focus donna ci porta ad approfondire la professione del medico legale.
Inoltre, come è cambiato nel tempo il rapporto dei bambini con i funerali?
Vi raccontiamo della conferenza “Esisteremo oltre la vita?”.
Concludiamo con un pizzico d’arte, con il quadro La morte di Marat, e di cinema con il film Nonostante
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NEWS AZIENDE
Art Funeral Italy. La funzione sociale del cofano
NEWS AZIENDE
Vezzani Forni. Quando i pet diventano famiglia
news prodotti FuneralGlobe. Il marketplace dell’industria funeraria e cimiteriale
legale, fiscale
Il caso Pieroni tra diritto e dignità
ATTUALITà Marmisti e gestione cimiteriale
parliamo di... Presenti nel lutto
sondaggi Oltre il silenzio
focus donna Di professione medico legale orme
La morte educante? eventi Esisteremo oltre la vita? arte
La morte di Marat CINEMA Nonostante tutto 4 14 20 44 52 58 40 12 34 28 62 68
Oltre
La funzione sociale del cofano
di Raffaella Segantin
Il cofano, elemento che contraddistingue il tenore della cerimonia funebre, va scelto con cura perché non c’è seconda occasione per fare una buona impressione.
Si sa che Made in Italy per il mondo intero è sinonimo di eccellenza.
Che si tratti di capi di abbigliamento, di mobili, di auto o di prodotti alimentari, se sono stati realizzati o se provengono dal nostro Paese sono garanzia di eleganza, di originalità o di genuina bontà.
Possiamo affermare con orgoglio che la produzione nostrana emerge in ogni settore e quello funerario non fa eccezione. Tra i costruttori di cofani ed urne cinerarie, la palma d’oro la detiene senza dubbio Paolo Imeri con Art Funeral Italy, l’azienda di Caravaggio (BG) che da quasi vent’anni
crea manufatti di straordinaria ricercatezza, tanto da essere stata insignita del TANEXPO Award nella categoria Quality&Design durante l’edizione 2024 della fiera bolognese.
Tutto parte da una visione filosofica come ci spiega lo stesso Paolo Imeri.
«Considero la morte il culmine del ciclo della vita e come tutti i momenti più significativi dell’esistenza umana deve essere celebrato nel migliore dei modi. Il cofano funebre, simbolo per antonomasia del trapasso, è il mezzo con cui si può rendere la cerimonia di addio
davvero unica e tributare onore al defunto, commemorandolo solennemen te. Non sono ammesse prove, non c’è una seconda occasione. Il feretro riveste un’importante funzione pub blica e sociale; per questo
Cofanetto scrigno “Milano” in corno e in tartaruga
ritengo debba essere prezioso e costruito con raffinatezza. È un po’ come accade con un abito da cerimonia: nella scelta dell’abito nunziale, ad esempio, consapevoli del suo valore intrinseco, gli sposi lo vorranno sontuoso e ricercato, anche se lo indosseranno solo per poche ore, festeggiando con stile ed eleganza uno dei giorni più importanti della loro vita».
Ci vuole parlare delle caratteristiche dei suoi prodotti?
«Spesso vengono descritti come articoli di lusso, di nicchia, sfarzosi. È una definizione impropria, io preferisco definirli per quello che sono: pregiati manufatti italiani di alta artigianalità. Per raggiungere questo obiettivo mi sono circondato di maestranze illustri, falegnami, ebanisti e intagliatori che rappresentano l’eccellenza italiana di un’arte di cui la mia zona geografica vanta una lunga tradizione. Per il design e la scelta delle essenze mi sono affidato a Tino
Resmini, il n. 1 del settore con il quale ho intrapreso un percorso che mi ha permesso di registrare la sua firma e i suoi progetti in una partnership solida e duratura, rendendo degno lustro ad una persona di alto spessore umano. Ogni pezzo viene progettato “ascoltando” il legno, rispettando le sue peculiarità, la consistenza, le venature… Tutto viene fatto interamente a mano prestando massima attenzione ad ogni dettaglio. Utilizziamo esclusivamente materiali di assoluta qualità. Sono il solo in Italia a trattare il Bubinga, un pregiatissimo legno centrafricano dalle figurazioni uniche con colori tendenti al rosso bruno e venature purpuree; la sua importazione dal Cameroun e Gabon non è più possibile e ho girato in lungo ed in largo lo Stivale acquistando tutto il meglio che sono riuscito a trovare, pur di avere la soddisfazione di poterlo lavorare!
Paolo Imeri con Tino Resmini
Non produciamo in serie ma esclusivamente su ordinazione e ogni pezzo, scelto tra i modelli che proponiamo, viene di volta in volta personalizzato accogliendo i desideri del cliente. Lavoriamo legni masselli di grande valore come Noce Nazionale, Frassino Maggiore, Rovere, Castagno, Afrormosia, Ebiara ed Ulivo (italiano Calabrese) Produciamo direttamente l’intarsio, siamo dotati di cinque centri laser (uno dei quali per i metalli) che consentono tagli di altissima precisione azzerando gli inevitabili scarti conseguenti all’uso delle seghe circolari. Eseguiamo l’assemblamento dei vari tranciati (oltre 400 tipologie lignee), delle madreperle (più di 30 specie) e di dettagli (Corno di Bue, Tartaruga e Avorio) con estrema
perizia. Lavorazioni che vengono applicate nelle linee tradizionali come nelle più recenti. Con l’incremento esponenziale della cremazione abbiamo creato anche una serie particolare di urne cinerarie, la collezione Zeta, ricavata dal “pieno” ovvero da un unico blocco di legno
con forme singolari che simulano un movimento ad elica, richiamando simbolicamente un innalzarsi verso il cielo, proposte anche in una versione esclusiva con veri ritagli di Bibbia. Inoltre rimangono a corredo le urne floreali (Papavero, Spiga, Soffio, Rosa, Cuore Edera...), le urne Arte dedicate a pittori e scultori e diamo spazio a collezioni in Kauri millenario, Cedro Cipresso lavorati con tecnica giapponese Shou Sugi Ban 700, un’antica pratica di carbonizzazione della superficie del legno che valorizza ed impermeabilizza l’urna, decorata con accessori in ottone dorato realizzati da maestri orafi. Do ampio risalto alle urne per gli animali d’affezione, non solo per cani o gatti, ma su richiesta anche per quelli più insoliti, come cavalli o volatili».
Come si pone Paolo Imeri con Art Funeral Italy rispetto alla tutela dell’ambiente?
«Rivolgiamo grande attenzione alla questione ambientale, adottando materiali e procedure eco-sostenibili. Usiamo legni massello o MDF ecologico ed ignifugo (marino), colle di origini animale o vegetale e abbiamo messo a punto delle speciali vernici a polimeri attivi, in grado di rigenerarsi se graffiate. Non siamo energivori, il nostro stabilimento è provvisto di un sistema fotovoltaico che alimenta in autonomia i macchinari, garanzia di consumo di energia pulita e rinnovabile. Tengo infine a precisare che la nostra filiera è a km 0, ogni cosa viene eseguita in sede e persino gli utensili e la minuteria (fatta realizzare su nostre specifiche di colore e materiale) l’acquistiamo da fornitori italiani, per la precisione della nostra zona: in questo modo, oltre a generare indotto e premiare le attività del territorio, contribuiamo, anche se in piccola parte, ad una riduzione dell’inquinamento da traffico veicolare».
Cofano “Caravaggio” rosso
Dettaglio intarsio del coperchio
È vero che i vostri prodotti sono destinati ai VIP? Come vi posizionate sul mercato? Siete maggiormente presenti all’estero? «È fattuale che i nostri cofani hanno accompagnato nell’ultimo viaggio tanti personaggi famosi del mondo dell’imprenditoria (Giorgio Squinzi, Leonardo Del Vecchio, Guidalberto Guidi, Giuliani, Ducati, etc.), della finanza (Ennio Doris) o della politica (Silvio Berlusconi, Francesco Merloni), ma ciò non significa che siano destinati solo ad una ristretta élite anzi tengo molto a promuovere responsabilmente una strategia commerciale che possa acconten tare tutti indistintamente. Stiamo assistendo ad un trend positivo anche in Italia, sempre più ricet tiva al prodotto premium di alta gamma, seppure il mercato estero rappresenta una fetta rilevante del nostro fatturato ben propagato grazie ad un partner europeo che lavora in simbiosi con noi. I nostri articoli sono unici, come un’impronta digitale, ed è per questo che
le mie collezioni rappresentano al meglio il cliente, ma per apprezzarle in tutto il loro valore devono essere spiegati con cognizione. E chi può farlo meglio di me che le progetto e ne seguo le fasi di realizzazione? Per questo ho scelto di non avere agenti, ma di relazionarmi con il cliente in prima persona, anzi ad personam Ho creato una figura denominata “Ambassador” per divulgare il senso della mia mission. L’intento è quello di far capire al cliente il pregio del manufatto in relazione al servizio a cui è destinato, spiegando e coinvolgendolo nell’idea progettuale in
pevolezza che dotarsi di pezzi esclusivi può diventare lo strumento per qualificare l’attività dell’impresario funebre, offrendo al dolente qualche cosa davvero speciale per celebrare il proprio caro, in netta contrapposizione con la tendenza del corredo al ribasso, o di quello di importazione».
Paolo Imeri ed Art Funeral Italy è stata più volte al centro dell’attenzione di media italiani e stranieri. «Lo considero un risultato di cui vado molto fiero. Un settore come il nostro ha una grande necessità di uscire da certi stereotipi, di essere compreso e valorizzato. Credo fermamente nella comunicazione, sono sempre più presente sui social con video e reel che programmiamo per formare la clientela sulle prestazioni di ciò che acquistano, inviando i giusti messaggi e arredando egualmente le Funeral Home più esclusive o le abitazioni dei privati. Mi impegno ogni giorno in un’opera di sensibilizzazione, sia nei confronti dei clienti impresari che dell’opinione pubblica e ritengo di aver centrato l’obiettivo quando i media trattano il tema con rispetto e serietà, come ha fatto recentemente il quotidiano Il Giornale in un articolo dello scorso mese di marzo o il Sole 24 Ore».
Con Art Funeral Italy si concretizza quel mix perfetto tra design, qualità, abilità tecnica e cultura. Siamo un passo avanti rispetto a ciò che può essere universalmente considerato bello e di buona fattura: qui possiamo parlare a pieno titolo di Arte Funeraria.
Quando i pet diventano famiglia
di Ufficio Stampa Vezzani Forni
Nelle case italiane sta crescendo una nuova idea di famiglia, più affettuosa e inclusiva.
Non si parla più solo di figli, nipoti o parenti stretti.
Sempre più spesso, i protagonisti della nostra quotidianità sono adorabili compagni a quattro zampe che conquistano un posto speciale nei nostri cuori e nelle nostre vite.
Per decenni, la famiglia tradizionale è stata il perno della nostra società.
Oggi, però, le statistiche raccontano una storia diversa: sempre più spesso, il guaito festoso di un cane o le fusa rassicuranti di un gatto fanno da colonna sonora alla quotidianità di milioni di persone. Non sorprende, quindi, che secondo
recenti indagini un terzo degli italiani (35%) desideri avere un animale domestico – una percentuale che supera di dieci punti chi aspira ad avere un figlio (25%).
Un divario che, pur attenuandosi tra i più giovani, resta significativo e segnala un cambiamento culturale profondo.
Più di un semplice animale
Non si tratta soltanto di numeri: questi dati riflettono una trasformazione profonda, tanto emotiva quanto sociale. L’animale domestico non è più visto come “solo” un animale. È un figlio adottivo, un confidente silenzioso, un membro a tutti gli effetti del nucleo familiare.
Box dati
- Desiderio di un animale domestico: 35%
- Desiderio di avere figli: 25%
- Il 79% dei proprietari considera il pet parte della famiglia
nucleo familiare.
Questa umanizzazione dei pet è un fenomeno sempre più diffuso: il 79% dei proprietari italiani considera il proprio animale come parte integrante della famiglia. E tra i Millennials, questa percentuale raggiunge addirittura l’85%.
Questa umanizzazione dei pet è un fenomeno sempre più diffuso: il 79% dei proprietari italiani considera il proprio animale come parte integrante della famiglia. E tra i Millennials, questa percentuale raggiunge addirittura l’85%.
Questo legame sempre più profondo genera nuove esigenze, nuove abitudini e nuove forme di cura. Se un tempo ci si limitava a garantire cibo e cure veterinarie di base, oggi il mondo dei pet è diventato un universo variegato e in continua espansione.
Questo legame sempre più profondo genera nuove esigenze, nuove abitudini e nuove forme di cura. Se un tempo ci si limitava a garantire cibo e cure veterinarie di base, oggi il mondo dei pet è diventato un universo variegato e in continua espansione.
Toelettatura di lusso, asili per cani, pet sitter professionisti, alimenti gourmet e persino abbigliamento su misura: i servizi dedicati agli animali da compagnia riflettono una cura che va ben oltre il necessario, entrando nel territorio dell’amore, del comfort e dello stile di vita.
Toelettatura di lusso, asili per cani, pet sitter professionisti, alimenti gourmet e persino abbigliamento su misura: i servizi dedicati agli animali da compagnia riflettono una cura che va ben oltre il necessario, entrando nel territorio dell’amore, del comfort e dello stile di vita.
condivisa. Un gesto che va oltre l’aspetto pratico, per diventare espressione di rispetto, amore e gratitudine.
allavanguardia, ma anche una profonda sensibilità.
È qui che realtà come Vezzani Forni entrano in gioco.
Il rapporto con i nostri animali è diventato così intenso che la loro presenza influenza le nostre decisioni quotidiane, dalle vacanze alla scelta dell'abitazione. E, naturalmente, influisce anche sul modo in cui affrontiamo i momenti più difficili, come il distacco finale.
Il rapporto con i nostri animali è diventato così intenso che la loro presenza influenza le nostre decisioni quotidiane, dalle vacanze alla scelta dell’abitazione.
E, naturalmente, influisce anche sul modo in cui affrontiamo i momenti più difficili, come il distacco finale.
Un addio dignitoso: l'evoluzione del rispetto
Un addio dignitoso:
l’evoluzione del rispetto
In un contesto fatto di legami profondi e crescente consapevolezza, emerge con sempre maggiore forza il bisogno di offrire un addio dignitoso anche ai nostri amici a quattro zampe. Se un tempo la sepoltura –spesso in giardino o in luoghi non dedicati – era l’unica opzione considerata, oggi lo scenario è cambiato radicalmente.
La cremazione degli animali domestici sta diventando una scelta sempre più sentita e condivisa. Un gesto che va oltre l’aspetto pratico, per diventare espressione di rispetto, amore e gratitudine.
In un contesto fatto di legami profondi e crescente consapevolezza, emerge con sempre maggiore forza il bisogno di offrire un addio dignitoso anche ai nostri amici a quattro zampe. Se un tempo la sepoltura – spesso in giardino o in luoghi non dedicati – era l’unica opzione considerata, oggi lo scenario è cambiato radicalmente.
La cremazione degli animali domestici sta diventando una scelta sempre più sentita e
È un modo per onorare chi ci ha accompagnato con affetto incondi-
È un modo per onorare chi ci ha accompagnato con affetto incondizionato, per elaborare il lutto e conservare un ricordo che continua a vivere. A confermare questa tendenza è un dato significativo: il 38,1% di chi ha perso un animale ha già scelto la cremazione – una percentuale destinata a crescere.
zionato, per elaborare il lutto e conservare un ricordo che continua a vivere. A confermare questa tendenza è un dato significativo: il 38,1% di chi ha perso un animale ha già scelto la cremazione – una percentuale destinata a crescere.
È qui che realtà come Vezzani Forni entrano in gioco. Progettiamo soluzioni che uniscono innovazione e rispetto, pensate per accompagnare con discrezione e dignità un momento tanto delicato quanto significativo.
Vezzani Forni: al servizio di un amore che non conosce fine
Dietro questa crescente richiesta si muove un settore in costante evoluzione, che richiede non solo competenze tecniche e tecnologie
Vezzani Forni: al servizio di un amore che non conosce fine Dietro questa crescente richiesta si muove un settore in costante evoluzione, che richiede non solo competenze tecniche e tecnologie all'avanguardia, ma anche una profonda sensibilità.
Progettiamo soluzioni che uniscono innovazione e rispetto, pensate per accompagnare con discrezione e dignità un momento tanto delicato quanto significativo. Non si tratta solo di garantire efficienza o conformità alle normative ambientali, ma di rispondere a un bisogno umano profondo: onorare chi ci ha donato amore incondizionato. Crediamo che un addio consapevole e rispettoso sia parte integrante del legame che ci unisce ai nostri animali per tutta la vita – e oltre.
Non si tratta solo di garantire efficienza o conformità alle normative ambientali, ma di rispondere a un bisogno umano profondo: onorare chi ci ha donato amore incondizionato. Crediamo che un addio consapevole e rispettoso sia parte integrante del legame che ci unisce ai nostri animali per tutta la vita – e oltre.
Via Mazzacurati 14
Via Mazzacurati 14
42122 Reggio Emilia (RE) - Italy
42122 Reggio Emilia (RE) - Italy
Tel 0522 946036 info@vezzaniforni.it www.vezzaniforni.it
Tel 0522 946036 info@vezzaniforni.it www.vezzaniforni.it
FuneralGlobe
Il marketplace dell’industria funeraria e cimiteriale
Presto online la piattaforma.
È nato il primo marketplace B2B del settore funerario e cimiteriale che fa incontrare produttori e buyer di tutto il mondo!
FuneralGlobe è la nuovissima piattaforma online volta ad agevolare il lavoro dei professionisti del nostro settore e arriva dall’esperienza della fiera TANEXPO e della rivista Oltre Magazine, pilastri di questo comparto che da decenni ne scrivono la storia.
Dal know-how sviluppato “sul campo” in anni di organizzazione
di una delle più importanti fiere del settore, nasce quindi il marketplace che vuole rispondere alle nuove necessità di aziende e impresari, che vedono sempre più l’utilizzo di strumenti digitali per il lavoro quotidiano. Con radici ben solide, ma con una struttura moderna e all’avanguardia lanciata verso il futuro, FuneralGlobe è la nuova realtà per tutti coloro che vogliono avere un ruolo di risalto all’interno del business funerario
L’innovativa piattaforma web
Cosa offre
Per gli operatori
� Navigare tra gli articoli presenti grazie a una ricerca facile, veloce e intuitiva;
� Vedere le immagini, leggere descrizioni tecniche e studiare le caratteristiche di ogni articolo;
� Confrontare prodotti e servizi;
� Creare una wishlist dove salvare e condividere i propri prodotti preferiti;
� Avere un contatto immediato e diretto con i produttori per chiedere informazioni e specifiche tecniche.
Per i produttori
� Caricare online e aggiornare facilmente le schede prodotti attraverso una dashboard personalizzata;
� Ottenere e mantenere una visibilità internazionale;
� Ricevere un contatto immediato dai propri clienti e acquisirne di nuovi;
� Rispondere in modo istantaneo a richieste di informazioni e preventivi da parte di buyer qualificati.
dedicata ai professionisti del settore, si propone di fare incontrare domanda e offerta, dando la possibilità a chi opera nel mondo funerario e cimiteriale di trovare prodotti, scoprire le ultime novità dei più interessanti produttori e acquisire contatti diretti con le aziende.
FuneralGlobe, attraverso le infinite possibilità e opportunità fornite dal web, riesce a far incontrare produttore e cliente in modo veloce, efficace e diretto, mettendo al centro dell’attenzione il prodotto. Un meccanismo molto simile a quello di una fiera dove aziende e operatori trovano un luogo ottimale per incontrarsi e fare business, ma su scala maggiore e senza soluzione di continuità, 365 giorno l’anno, grazie all’approccio internazionale di quello che è lo strumento di visibilità online.
Che cos’è un marketplace?
FuneralGlobe è la piattaforma business to business del mondo funerario e cimiteriale. Un luogo dove i protagonisti del mercato possono trovare un’ampia selezione di
fornitori e ricevere risposte veloci alle proprie necessità. A differenza di un e-commerce, dove è possibile acquistare online, su FuneralGlobe non si effettua vendita diretta, ma si creano le condizioni per un contatto immediato tra i diversi professionisti del comparto, all’interno di un portale esclusivo dedicato ad aziende e operatori. Una vetrina senza
precedenti che pone l’accento su tutti i prodotti e i servizi per l’attività funeraria e cimiteriale.
Che cosa troverai su FuneralGlobe?
• Tutto l’occorrente per la preparazione e l’organizzazione della cerimonia funebre, come cofani, urne, accessori, autofunebri e furgoni, arredi per la camera ardente, kit e strumenti per la presentazione e movimentazione del corpo, composizioni floreali.
• Materiali e attrezzature per la cartotecnica funeraria.
• Tutto quanto concerne la casa funeraria, dalla progettazione all’arredo degli ambienti e della sala del commiato, fino alle attrezzature tecniche per la morgue
• Lapidi e complementi tombali, fotoporcellane, arte cimiteriale e prefabbricati.
• Attrezzature e macchinari per la lavorazione del marmo e la gestione cimiteriale.
• Forni crematori e servizi alla cremazione
• Servizi tecnologici come gestionali per l’impresa, il cimitero e il crematorio e soluzioni per la condivisione del ricordo.
FuneralGlobe
Connecting Funeral Professionals
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Il marketplace B2B del settore funerario e cimiteriale che fa incontrare produttori e buyer di tutto il mondo.
Il B2B che non fa vendita diretta, ma che crea un contatto immediato.
Un nuovo modo per connettere fornitori, distributori, grossisti, rivenditori ed imprese.
Guarda il video di presentazione
duttori, distributori, grossisti, rivenditori ed imprese.
FuneralGlobe per i produttori
FuneralGlobe offre una serie di opportunità irrinunciabili per tutti quei produttori, già presenti sul mercato internazionale o che vi si affacciano per la prima volta, che intendono mantenere ed ampliare la loro rete di clienti e contatti.
Un incredibile business booster che spingerà in poco tempo i prodotti della tua azienda verso livelli di visibilità globale: non ci sono limiti di distanza, di confini o di valuta Attraverso il nostro marketplace potrete entrare in contatto diretto con il vostro cliente o fornitore e proseguire la vostra trattativa con i tempi e i modi a voi congeniali, in totale privacy.
I produttori hanno la possibilità di
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Da quasi 30 anni arrediamo locali con fiori e piante artificiali di altissima qualità, indistinguibili dal vero e privi di manutenzione e costi accessori.
Specializzati nel reparto funebre ed arredo uffici, rendiamo caldi ed accoglienti anche i momenti più difficili.
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Il caso Pieroni tra diritto e dignità
di Avv. Alice Merletti
Suicidio medicalmente assistito: la svolta della Regione Toscana con la prima applicazione concreta della L.R.
Il tema del fine vita è da anni al centro di un acceso dibattito pubblico, giuridico ed etico.
In Italia, nonostante le sollecitazioni della giurisprudenza costituzionale e le numerose proposte legislative avanzate, il legislatore nazionale non ha ancora adottato una disciplina organica sul suicidio medicalmente assistito. In questo vuoto normativo, la Regione Toscana ha scelto di intervenire in modo coraggioso e responsabile, approvando la legge
16/2025. regionale 14 marzo 2025, n. 16, che disciplina in modo dettagliato il percorso di accesso al suicidio assistito all'interno del proprio Servizio Sanitario Regionale.
Questa legge si pone come primo esempio normativo italiano capace di dare attuazione concreta ai principi già sanciti dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 242/2019 e n. 135/2024, entrambe fondamentali per delineare i contorni della liceità dell'aiuto al suicidio
in presenza di determinate condizioni. La Toscana, dunque, non ha inventato un nuovo diritto, ma ha costruito un modello operativo per rendere effettivo quello già riconosciuto, dimostrando come anche una Regione, nell'ambito delle proprie competenze, possa svolgere un ruolo di supplenza rispetto all'inerzia statale.
Il primo caso concreto:
Daniele Pieroni e la scelta serena del fine vita
Il 17 maggio 2025, nella sua abitazione di Chiusi, il poeta e scrittore Daniele Pieroni ha scelto di porre fine alla propria vita con il supporto del personale sanitario dell’ASL Toscana Sud Est, diventando così il primo cittadino ad accedere al suicidio medicalmente assistito ai sensi della L.R. 16/2025.
Affetto da oltre quindici anni da una grave forma di Parkinson, Pieroni era sottoposto a nutrizione artificiale per 21 ore al giorno tramite PEG, a
causa della disfagia. La sua domanda di accesso alla procedura risale al 31 agosto 2023. Il via libera è giunto il 22 aprile 2025: l’intera procedura si è svolta nella piena legalità, con la supervisione di una équipe sanitaria pubblica, e alla presenza di rappresentanti dell’Associazione Luca Coscioni.
Secondo quanto riportato da diverse fonti giornalistiche, Pieroni avrebbe vissuto l’intera fase conclusiva della vita con grande lucidità, serenità e consapevolezza. L’intervento dei medici della ASL Toscana Sud Est è esempio di piena applicazione della legge regionale, evidenziando come ogni fase si sia svolta all’interno del sistema sanitario pubblico, senza deleghe a strutture esterne, e con l’assistenza volontaria del personale medico e infermieristico.
Pieroni ha lasciato una lettera scritta ai suoi cari, successivamente resa pubblica, in cui ha parlato della sua scelta come di un atto di “liberazione dal dolore” e di “coerenza personale con il proprio modo di
intendere la dignità”. Ha voluto che la sua morte non fosse né segreta né drammatica, ma consapevole, condivisa e civile. Le immagini trasmesse dalla Rai e le parole degli attivisti presenti hanno testimoniato il clima sereno e composto nel quale si è svolto il gesto, descritto come un momento di alta umanità e sobrietà. L’associazione Coscioni ha sottolineato l’importanza di un percorso che ha permesso di «evitare l’esilio della morte in Svizzera», garantendo invece una soluzione italiana, pubblica e garantita dallo Stato. Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, ha commentato il caso definendolo «un esempio di civiltà», sottolineando come la normativa abbia garantito una morte «serena, assistita, rispettosa della dignità e della volontà della persona». Anche il presidente del Consiglio regionale Antonio Mazzeo ha rivendicato con orgoglio l’azione dell’Assemblea legislativa, mentre le critiche non sono mancate da parte di alcuni esponenti politici e del mondo cattolico,
TUTELIAMO IL DANNEGGIATO. INSIEME.
In 30 anni di attività abbiamo risarcito con successo più di 6.800 casi di perdite di congiunti: nessun altro in Italia ha raggiunto una simile competenza.
LA FORZA DI CUI HAI BISOGNO.
che parlano di «scivolamento verso derive eutanasiche».
L’evento ha assunto un valore fortemente simbolico, non solo per l’identità pubblica del protagonista, ma per l’efficacia dimostrata dalla procedura: tutti i passaggi previsti dalla legge sono stati rispettati nei tempi e nei modi, e il sistema sanitario ha risposto in modo coordinato e rispettoso. Il personale coinvolto ha agito su base volontaria, in orario di servizio, confermando che anche in Italia è possibile garantire un accompagnamento al fine vita rispettoso, trasparente e umano.
Il caso Pieroni, raccontato anche da numerosi quotidiani e media nazionali, rappresenta dunque una pietra miliare nell’attuazione concreta dei principi costituzionali in materia di autodeterminazione terapeutica. È stato inoltre il banco di prova dell’impianto tecnico-procedurale previsto dalla legge toscana, che ha retto con piena efficacia alla prima applicazione pratica, dando corpo e senso a quanto fino ad oggi era rimasto solo nella teoria delle sentenze e nei dibattiti accademici.
Alla luce di questa esperienza, l’au-
spicio è che non solo altre Regioni seguano l’esempio della Toscana, ma che il Parlamento italiano decida finalmente di colmare il vuoto legislativo che ancora caratterizza l’ordinamento nazionale.
Il quadro giurisprudenziale: da Cappato alla Toscana
Il punto di partenza è noto e più volte richiamato anche qui su Oltre Magazine: la sentenza n. 242 del 2019, con cui la Corte costituzionale ha escluso la punibilità dell'aiuto al suicidio reso nei confronti di persone in condizioni di patologia irreversibile, sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, dipendenti da trattamenti di sostegno vitale e capaci di autodeterminarsi. Tale pronuncia, sollecitata dal caso Cappato/Dj Fabo, ha rappresentato una svolta nel panorama italiano, storicamente ancorato al principio di indisponibilità della vita umana.
La Corte ha anche indicato la necessità che il legislatore disciplinasse le modalità procedurali di accesso, proprio per evitare soluzioni disorganiche, diseguali o rischiose. Nel 2024, la sentenza n. 135 ha ulteriormente
rafforzato questo impianto, chiarendo che il requisito dell'essere sottoposti a trattamenti salvavita deve essere interpretato in senso sostanziale, includendo anche i casi in cui il paziente, pur avendone diritto, rifiuti tali trattamenti.
Nonostante ciò, il Parlamento è rimasto inerte. Da qui la scelta della Regione Toscana di intervenire per colmare un vuoto che, pur essendo giuridicamente ammissibile, era di fatto inaccessibile.
Un confronto internazionale: modelli esteri e principi condivisi
Il suicidio medicalmente assistito non è una prerogativa italiana. Diversi Paesi europei e non solo hanno introdotto normative che disciplinano questa pratica nel rispetto dei diritti fondamentali. In Svizzera, ad esempio, è legale il suicidio assistito a condizione che non vi sia un movente egoistico da parte di chi lo facilita. In Germania, la Corte costituzionale ha riconosciuto nel 2020 il diritto alla "libera autodeterminazione della propria morte". In Canada, la Medical Assistance in Dying (MAiD)
Foto di MegafloppDreamstime
è disciplinata da una legge federale, che consente l'accesso alla procedura anche in caso di malattia non terminale ma comunque insopportabile.
Questi ordinamenti, pur con differenze importanti, condividono alcuni principi cardine: la centralità della persona, la necessità di garanzie procedurali, il coinvolgimento del personale medico e il rispetto delle convinzioni etiche individuali. La legge toscana si inserisce idealmente in questa corrente, dimostrando che anche all'interno del nostro ordinamento è possibile costruire un modello rispettoso dei diritti e dei valori costituzionali.
Il contenuto della legge regionale 16/2025
La legge toscana si sviluppa in nove articoli, preceduti da un preambolo ricco di riferimenti costituzionali, legislativi e giurisprudenziali. Essa stabilisce che la procedura si svolga interamente all'interno del Servizio Sanitario Regionale, sotto la supervisione di una commissione multidisciplinare e con il coinvolgimento di un comitato etico.
La procedura si articola in più fasi: presentazione dell'istanza, verifica dei requisiti da parte della commissione (che include medici specialisti, psicologo, infermiere), parere etico obbligatorio, conferma della volontà del paziente, redazione del protocollo clinico (eventualmente condiviso con il medico curante), ulteriore valutazione etica e attuazione della procedura da parte dell'ASL, che ha sette giorni per organizzare l’intervento. Sono previsti termini certi per ogni fase. Le prestazioni sono gratuite, coperte da fondi regionali, e il personale sanitario agisce su base volontaria. La persona può sospendere o revocare la procedura in ogni momento, a garanzia della propria autodeterminazione.
Aspetti bioetici: la dignità, il dolore, la libertà Il suicidio medicalmente assistito chiama in causa profondi interrogativi di natura etica e filosofica. È possibile parlare di libertà, quando la scelta di morire nasce dalla sofferenza? È davvero autodeterminazione o non, piuttosto, resa? La bioetica contemporanea si è interrogata a lungo su questi dilemmi, e sebbene non vi siano risposte univoche, un punto sembra emergere con chiarezza: la possibilità di scegliere è di per sé una forma di rispetto della dignità umana
La legge toscana non obbliga, ma consente. Non promuove la morte, ma accoglie la volontà di chi, in piena coscienza, ritiene che la propria esistenza non sia più compatibile con il proprio concetto di vita degna. In questa cornice, l’intervento istituzionale non è un incentivo, ma un presidio di libertà vigilata
Certo, uno dei profili più delicati è quello relativo ai medici e agli operatori sanitari. La legge toscana prevede espressamente che la partecipazione sia volontaria, tutelando così la libertà di coscienza. Ma resta aperto un interrogativo più ampio: quale è il ruolo del medico nel fine vita?
La deontologia medica è tradizionalmente orientata alla tutela della vita e al sollievo dalla sofferenza. Tuttavia, in contesti di patologia irreversibile e dolore intollerabile, il confine tra cura e accompagnamento verso la morte può diventare sottile. L’etica della cura, intesa come prossimità, può includere anche il sostegno alla scelta consapevole del paziente, se condotta con rigore, trasparenza e rispetto.
La storia di Daniele Pieroni è la testimonianza concreta che è possibile morire con dignità, senza dover andare all'estero, senza scorciatoie illegali, senza attese infinite. In un ambito dove ogni giorno conta, la certezza dei tempi è essa stessa tutela del diritto.
La Toscana ha dimostrato che una Regione può farsi carico della fragilità dei propri cittadini, offrendo strumenti di libertà e protezione. L'intero impianto normativo ha tenuto insieme le esigenze di garanzia, i principi etici, le prerogative del servizio sanitario e la volontà dei cittadini.
L’esperienza toscana apre la strada a una più ampia riflessione sul ruolo delle Regioni: la difficoltà di disciplinare non può essere una scusa per l'immobilismo.
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Marmisti e gestione cimiteriale
di Daniele Fogli
Nuove opportunità di espansione tra innovazione, concorrenza e vincoli normativi.
Nel settore dei servizi funebri e cimiteriali, il marmista si trova a operare in un punto di incontro delicato tra artigianato, memoria e gestione operativa.
Negli ultimi anni, il rapporto con le imprese funebri si è evoluto, con queste ultime che detengono oggi un maggiore potere contrattuale nei confronti dei marmisti. In questo contesto, alcuni professionisti del settore lapideo stanno valutando un ampliamento delle proprie attività: non più solo lavorazioni su singole
tombe, ma anche partecipazione diretta alla gestione complessiva dei cimiteri, specialmente nei comuni di piccole e medie dimensioni. Tuttavia, questa evoluzione non è priva di attriti. Da un lato, le imprese funebri locali vedono con sospetto l’ingresso dei marmisti nella gestione cimiteriale, temendo uno squilibrio nei rapporti di forza; dall’altro, alcuni marmisti concorrenti percepiscono questo cambiamento come una minaccia al proprio spazio di mercato.
Marmisti e gestione: un conflitto con la concorrenza?
Una domanda centrale emerge: un marmista che opera in regime di libera concorrenza può, con la stessa impresa, gestire un cimitero? In altre parole: l’affidamento della gestione cimiteriale a un singolo marmista altera la concorrenza locale? L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha affrontato la questione con la delibera n. 198 del 13 marzo 2019. Pur riferendosi alla normativa lombarda, il principio espresso è applicabile anche in altre regioni dotate di disposizioni simili. L’ANAC ha stabilito che non esiste alcuna norma nazionale o regionale che vieti a chi esercita attività marmorea di partecipare a gare per la gestione dei cimiteri. Pertanto, escludere tali operatori da un bando è illegittimo, in quanto in contrasto con l’art. 83, comma 8 del Codice dei Contratti Pubblici (allora D.Lgs. 50/2016).
Il caso emblematico: clausole escludenti e parere dell’ANAC Nel bando oggetto della delibera, re-
lativo alla gestione di diversi cimiteri in un comune lombardo, era presente una clausola che impediva la partecipazione agli operatori “esercenti attività funebre e/o attività commerciale marmorea e lapidea”. La motivazione risiedeva nella volontà di evitare distorsioni della concorrenza in un mercato percepito come poco trasparente.
Una società esclusa ha contestato la clausola, sostenendo che la legge regionale vieta la partecipazione solo a chi svolge attività funebre, non a chi opera nel settore lapideo. L’ANAC ha accolto la tesi: i marmisti non possono essere esclusi automaticamente da queste gare, salvo esplicita previsione normativa. La clausola in questione è stata quindi considerata nulla.
Opportunità per i marmisti: tra espansione e responsabilità
Questo pronunciamento ha così aperto nuove possibilità per i marmisti, che possono partecipare alle gare di gestione cimiteriale a patto di non svolgere attività funebre (intesa come disbrigo pratiche, vendita
prodotti per il funerale e trasporti funebri). Ma le opportunità si accompagnano a responsabilità crescenti. Assumere la gestione di un cimitero significa entrare in un ambito pubblico regolato, con obblighi gestionali, etici e giuridici. Richiede competenze specifiche, strutture adeguate e massima trasparenza.
Un settore da regolamentare: attenzione ai rischi
Il parere ANAC evidenzia anche alcune criticità del settore: presenza di pochi attori dominanti, potenziali conflitti d’interesse tra gestione pubblica e attività private, regolamentazioni a volte carenti o ambigue.
Per questo, un marmista che desidera partecipare a una gara per la gestione cimiteriale dovrebbe:
• Evitare sovrapposizioni con l’attività funebre, salvo che operi con separazione societaria, se prevista dalla legge regionale.
• Garantire imparzialità: nella gestione cimiteriale, il trattamento deve essere equo verso tutti i clienti, propri e altrui.
• Non invadere ambiti non pubblici: come evidenziato dall’Antitrust nel parere AS772 del 2 novembre 2010 (1), il servizio pubblico non deve includere attività private come la posa di elementi lapidei.
• Curare la compliance: visure camerali aggiornate, assetto giuridico trasparente, regolarità amministrativa e chiarezza societaria sono imprescindibili.
• Valutare con attenzione i bandi: contestando eventuali clausole che violano le normative vigenti.
Conclusione: da artigiano a gestore
Il calo delle sepolture tradizionali, legato all’aumento delle cremazioni (specie nei piccoli comuni), sta ridisegnando il ruolo del marmista.
Non è più solo un esecutore (non sempre …) artistico, ma può diventare un attore interessante nella filiera cimiteriale, con competenze imprenditoriali, progettuali e gestionali. Si tratta di un’opportunità concreta per diversificare l’attività e valorizzare un know-how spesso sottovalutato.
Con la giusta preparazione e visione, i marmisti possono anch’essi competere per la gestione dei cimiteri.
(1) Si riporta il passo del parere citato AS772:«Quanto alla fornitura di arredi funebri, l’Autorità intende evidenziare come tale attività non rientra nel novero dei servizi pubblici cimiteriali, rivestendo natura commerciale e imprenditoriale relativamente alla quale anche il legislatore non ha in alcun modo previsto riserve o privative a favore dei Comuni o dei soggetti affidatari dei servizi di gestione delle aree cimiteriali. Solo questi ultimi, infatti, come già evidenziato dall’Autorità in occasione della segnalazione AS392 del 17 maggio 20075, “concernono interessi pubblici di carattere prevalente, trattandosi di attività che hanno connotati tipicamente igienico-sanitari e comunque riferite all’esercizio di servizi pubblici sociali”.»
Foto di Vasilis VerveridisDreamstime
Presenti nel lutto
di Elisa Mencacci
Il ruolo cruciale dell’operatore funebre tra presenza e cura nel processo di elaborazione nei primi momenti dell’evento.
Il lutto non è solo un’esperienza privata e intima, ma un processo che avviene in un contesto sociale e rituale molto più complesso.
L’operatore funebre, in questo senso, svolge un ruolo chiave: è un facilitatore della transizione tra la vita e la morte, una guida silenziosa che aiuta i familiari a dare un senso alla perdita. Ma cosa accadrebbe se questa figura non esistesse? E in che modo la sua presenza influisce sul vissuto emotivo di chi affronta un lutto?
Cosa accadrebbe senza l’operatore funebre?
Immaginiamo una situazione in cui non esista una figura di riferimento per la gestione della morte:
• I familiari, già sconvolti dalla perdita, si troverebbero a dover organizzare da soli ogni aspetto burocratico e rituale, aumentando il senso di smarrimento e sovraccarico emotivo.
• L’assenza di un rito funebre ben strutturato priverebbe il lutto di uno spazio simbolico di espressione,
rendendo più difficile elaborarlo.
• Senza un interlocutore esperto, le emozioni potrebbero restare confuse e irrisolte, portando a un lutto più complesso e disfunzionale.
• Il silenzio e il vuoto lasciati dalla morte potrebbero diventare insostenibili senza una figura capace di sostenere la famiglia in quei primi momenti cruciali.
L'esperienza della presenza e dell’ascolto
Quando una persona in lutto percepisce l’ascolto e la presenza di un operatore funebre empatico, si attivano diversi processi psicologici:
1. Regolazione dell’ansia e del panico: un operatore che si mostra calmo e presente aiuta a normalizzare l’esperienza, dando un senso di stabilità.
2. Legittimazione del dolore: uno sguardo accogliente e un atteggiamento rispettoso comunicano: "Il tuo dolore è comprensibile, non sei solo”.
3. Creazione di un contenitore si-
curo per le emozioni: piangere ed esprimere il dolore con qualcuno che comprende, aiuta i familiari ad affrontare la perdita.
La presenza fisica dell’operatore funebre
La presenza fisica dell’operatore funebre preparato a ricevere, interpretare e accogliere il dolore diventa uno specchio del “saper stare” nella morte.
1. Il corpo come simbolo di stabilità: un operatore calmo trasmette il messaggio che la morte può essere affrontata con dignità.
2. Lo sguardo e il contatto visivo: uno sguardo diretto ma gentile crea una connessione emotiva con la persona in lutto.
3. Il silenzio come strumento di presenza: il silenzio dell’operatore, se consapevole, diventa una forma di ascolto attivo.
4. I movimenti e il ritmo dell’azione: la lentezza e il rispetto nei gesti aiutano i dolenti a elaborare la perdita con più consapevolezza.
Questi sono alcuni esempi di come il lavoro che ci troviamo a fare nei confronti delle famiglie possa essere importante per il primo impatto con la consapevolezza della perdita. Proviamo a vedere alcuni esempi concreti e come la figura dell’operatore possa promuovere effetti significativi sul processo di lutto in atto.
La presenza che calma il caos
Quando una famiglia arriva in un’impresa funebre, scossa dalla morte improvvisa di un proprio caro, presenta spesso segni di shock e confusione. Chi resta e si trova a dover affrontare un compito emotivamente pesante, spesso non sa da dove iniziare. I pensieri vanno dal timore di “sbagliare qualcosa” prendendo decisioni non in linea con il volere del defunto, alla pressione di dover assolvere a un compito gravoso di cui non vorrebbe avere la responsabilità ma al quale non può sottrarsi. L'operatore funebre può intervenire in maniera efficace nel
Foto di Yuri ArcursDreamstime
caos: accoglie i familiari con uno sguardo sereno e un tono di voce pacato, spiega con calma ogni passaggio, rassicurandoli che saranno guidati passo dopo passo.
Il gesto silenzioso che dona sollievo
Durante la veglia funebre possono verificarsi momenti in cui qualcuno dei presenti può farsi prendere dallo sconforto esternando attimi di disperazione; oppure può capitare che alcuni amici o parenti abbiano una reazione come di immobilità, quasi a pietrificarsi davanti a un fatto difficile da credere e accettare. L'operatore funebre può intervenire in modo rispettoso, magari avvicinandosi di qualche passo e offrendo un fazzoletto oppure rimanendo in silenzio vicino alla bara per non lasciare sola quella persona che fatica a vivere quella esperienza. Chi soffre, in questo modo può sentirsi meno solo perché qualcuno sta condividendo quel momento in silenzio e senza fretta.
Il tempo per dire addio
Un’altra situazione esemplificativa può essere quella relativa al termine del funerale, momento in cui la bara sta per essere portata via. In questa situazione altamente emotiva in cui i familiari possono provare incertezza su quello che devono fare, i loro pensieri offuscati dal dolore sono spesso confusi: "È già finito tutto? Non siamo pronti a lasciarlo andare."; "Dovremmo dire qualcosa? Dobbiamo andare via ora?". L'operatore funebre, prima di procedere, può fermarsi, lasciando qualche secondo di silenzio. Con un gesto lento, può fare un piccolo cenno ai familiari, come a invitarli ad avvicinarsi per un ultimo saluto. Anche questo gesto può avere un grande effetto sulla famiglia che capisce che c’è spazio per salutare senza affrettarsi e, infine, il silenzio e il ritmo lento dell’operatore aiutano a vivere la transizione con maggiore consapevolezza.
Bibliografia
Conclusioni:
un modello di come “stare” nella morte
Questi esempi mostrano come la presenza attenta dell’operatore funebre possa influenzare profondamente l’esperienza del lutto.
La famiglia impara così dall’operatore:
• che il dolore ha bisogno di tempo e spazio.
• che anche i piccoli gesti possono avere un grande significato.
• che la morte può essere affrontata senza paura.
Il lavoro dell’operatore funebre può diventare prezioso nel farsi testimone della morte in un modo che aiuti i dolenti a viverla con maggiore consapevolezza.
La sua presenza fisica ed emotiva offre un esempio di come si possa “stare” di fronte alla morte senza evitarla o temerla, ma accogliendola con dignità.
Bowlby, J. (1980). Loss: Sadness and Depression. New York: Basic Books. Kübler-Ross, E. (1969). On Death and Dying. New York: Macmillan. Worden, J. W. (2009). Grief Counseling and Grief Therapy. New York: Springer Publishing.
Mencacci E. (2015). Dalla malattia al lutto. Zanichelli.
Neimeyer, R. A. (2001). Meaning Reconstruction and the Experience of Loss. Washington, DC: American Psychological Association.
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Oltre il silenzio
di
Mateus Eduardo Romão
Uno studio e un questionario per una delle prime indagini sul benessere psicologico dei professionisti della morte.
In ogni società, la morte rappresenta un momento di confine che interroga non solo la biologia, ma anche la cultura, l’etica e l’organizzazione sociale
Se da un lato accomuna tutti gli esseri umani, dall’altro assume forme e significati profondamente diversi a seconda dell’epoca storica, delle tradizioni e delle strutture che la circondano (Howarth, 2007).
Oggi, in contesti altamente medicalizzati e urbanizzati, la morte è sempre più esternalizzata: affidata a luoghi deputati – ospedali, obitori,
cimiteri – e a professionisti specializzati che operano spesso lontano dalla scena pubblica. Tra questi vi sono i cosiddetti deathcare workers: operatori funerari, addetti ai crematori, custodi cimiteriali.
Persone che lavorano quotidianamente a stretto contatto con la fine della vita altrui, prendendosi cura del corpo, sostenendo i familiari, gestendo i rituali, garantendo dignità nel passaggio.
Nonostante il valore sociale e simbolico di questo lavoro, la ricerca scientifica ha raramente rivolto l’attenzione a questa categoria
professionale. I deathcare workers rimangono in gran parte invisibili agli studi psicologici e sociologici, con importanti implicazioni in termini di salute mentale, esposizione al trauma e rischio di burnout. Il burnout – definito come sindrome da stress cronico legato al lavoro – è una condizione estrema che può avere manifestazioni fisiche (affaticamento persistente, disturbi psicosomatici), psicologiche (depressione, insonnia, ansia) e organizzative (disimpegno, turnover, assenteismo) (Maslach et al., 1996).
In Italia, nel solo 2023, si sono registrati oltre 671.000 decessi (ISTAT).
Cifre che implicano un coinvolgimento costante di migliaia di lavoratori della morte, spesso senza adeguato riconoscimento, supporto o monitoraggio del loro benessere.
Per colmare questa lacuna il WHYpsy Lab del Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia ha aperto un filone di ricerca dedicato a queste tematiche coordinato dal dottor Mateus Eduardo Romão, sotto la supervisione scientifica delle professoresse Serena Barello e Ilaria Setti. Lo studio – approvato dal Comitato Etico (Protocollo n. 176/24) – rappresenta una delle prime indagini italiane a esplorare sistematicamente l’impatto psicologico e organizzativo del lavoro con la morte
In particolare, l’indagine mira a:
• Analizzare i principali fattori di stress connessi al lavoro (carico emotivo, gestione della sofferenza, volume di decessi, esposizione al trauma);
• Valutare le risorse personali e organizzative disponibili (resilienza individuale, supporto sociale, senso attribuito al lavoro, autonomia professionale);
• Indagare le conseguenze sul benessere psicologico e lavorativo, inclusa la possibilità di crescita post-traumatica vicaria, ovvero lo sviluppo di trasformazioni positive in risposta all’esposizione indiretta alla sofferenza altrui (Tedeschi & Calhoun, 1996).
Questo studio si inserisce in un più ampio filone di ricerca sviluppato dal medesimo gruppo di lavoro, che ha recentemente pubblicato una revisione della letteratura su Public Health (Romão, Setti, Alfano, & Barello, 2025).
L’articolo, intitolato Exploring risk and protective factors for burnout in professionals working in death-related settings: A scoping review, ha evidenziato la presenza di importanti fattori di rischio per il burnout in questi contesti – come l’elevato carico emotivo, l’esposizione prolungata alla morte e la carenza di supporto – ma anche la possibilità di attivare risorse protettive,
La locandina del progetto
legate alla resilienza individuale e alla percezione di significato nel proprio ruolo.
L’obiettivo della nuova indagine è dunque produrre evidenze empiriche aggiornate che possano contribuire allo sviluppo di strategie di prevenzione, supporto e formazione dedicate a questi professionisti, rafforzando una cultura organizzativa più attenta alla salute mentale in contesti ad alta intensità emotiva.
Per questo motivo, invitiamo i lavoratori e le lavoratrici del settore funerario, cimiteriale e crematorio a partecipare allo studio
La partecipazione è anonima, sicura, volontaria e richiede circa 15 minuti. Il questionario è stato sviluppato secondo i più alti standard etici e metodologici.
I risultati dell’indagine contribuiranno a rendere più visibile il vostro lavoro e a costruire interventi concreti per il miglioramento del benessere professionale in questo settore tanto fondamentale quanto poco conosciuto.
Voi vi prendete cura degli altri. Ora tocca a noi prenderci cura di voi.
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Mateus Eduardo Romão: Dottorando in Psicologia presso l'Università di PaviaLaboratorio di Psicologia del Lavoro e della Salute
Referenze
• Howarth, G. (2007). Death and Dying: A Sociological Introduction. Polity Press. http://opus.bath.ac.uk/1117/
• Norstein, F. E., & Selsvold, I. (Eds.). (2025). Archaeological Perspectives on Burial Practices and Societal Change: Death in Transition. Routledge Studies in Archaeology. https://doi.org/10.4324/9781003441557
• Maslach, C., Jackson, S. E., & Leiter, M. P. (1996). Maslach Burnout Inventory Manual. Consulting Psychologists Press. https://ci.nii.ac.jp/ncid/BA37648763
• Romão, M. E., Setti, I., Alfano, G., & Barello, S. (2025). Exploring risk and protective factors for burnout in professionals working in death-related settings: A scoping review. Public Health, 241, 1–11. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0033350625000599
• Tedeschi, R. G., Shakespeare-Finch, J., Taku, K., & Calhoun, L. G. (2018). Posttraumatic Growth: Theory, Research, and Applications. https://eprints.qut.edu.au/120810/
Di professione medico legale
di Alice Spiga , direttrice di SO.CREM Bologna
Grazie all’incontro con la dott.ssa
Michela Frustaci, entriamo nel merito di una professione affascinante e spesso mal conosciuta: il medico legale.
Accettando di rispondere alle nostre domande, la dott.ssa Michela Frustaci, medico legale di 43 anni, oggi ci permette di aprire una porta sulla sua professione, tendenzialmente poco conosciuta e vittima di una narrazione televisiva intensa e spettacolarizzata.
Innanzitutto, è importante sapere che la medicina legale, conosciuta anche come medicina forense, si concentra sulla relazione tra medicina e legge ed è applicata in vari contesti, tra i quali le indagini con-
seguenti a reati penali sulla persona, la valutazione del danno in ambito penale, civile e assicurativo.
Il ruolo della dott.ssa Frustaci è quindi cruciale: la sua doppia competenza professionale, unita all’esperienza sul campo, le permette di garantire una corretta valutazione medica nelle questioni legali, assicurare l’integrità delle indagini e contribuire alla giustizia, valutare i danni fisici e le disabilità di una persona, stabilire una connessione tra le condizioni mediche e l’eventuale incidente o atto criminale.
Foto di Katarzyna BialasiewiczDreamstime
Essendo anche specializzata nella valutazione medico-legale di un cadavere, con l’obiettivo di determinare la causa e le circostanze della morte, si occupa anche delle autopsie giudiziarie su richiesta della Procura, volte a identificare la causa di morte in presenza di un’ipotesi di reato (incidenti stradali, suicidi, omicidi, violenze sessuali). Da questo punto di vista, svolge una funzione diversa rispetto all’anatomopatologo; anche quest’ultimo si occupa di autopsie, ma a scopo clinico, quindi al fine di identificare le cause della morte di un paziente deceduto in ospedale o sul territorio, e il suo intervento viene richiesto non dalla procura, ma dai familiari, dal personale ospedaliero o dal medico curante.
Quindi, in sintesi, il medico legale:
∞ Esegue l’esame autoptico (anche detto autopsia) per stabilire la causa e le circostanze del decesso in caso ci sia un’ipotesi di reato.
∞ Svolge indagini medico-legali per determinare l’eventuale presenza di patologie, lesioni o tossine che possono aver contribuito alla morte.
∞ Collabora con le autorità giudiziarie e le forze dell’ordine, fornendo informazioni tecniche e mediche utili alle indagini penali.
∞ Esegue perizie, che possono essere richieste nei casi di negligenza medica, incidenti stradali o sul lavoro, processi penali o civili, ma anche a livello amministrativo e assicurativo, in caso di invalidità e inabilità al lavoro.
Premesso tutto questo, che speriamo possa avervi illuminato sulla professione del medico legale, diamo la parola alla dott.ssa Michela Frustaci, che ha scelto sin da giovanissima che questa sarebbe stata la sua strada e svolge il suo ruolo con profonda passione e devozione.
Dott.ssa Frustaci, perché ha scelto la specializzazione in Medicina Legale?
«Nell’estate tra la quinta elementare e la prima media, mi ero appassionata al caso del Cannibale di Milwaukee: Jeffrey Dahmer che, tra il 1978 e il 1991, commise 17 omicidi. Mi dedicai alla lettura dei quotidiani e a seguire tutte le notizie che arrivavano dall’America tramite i telegiornali. Pur essendo una bambina di circa 11 anni, cercavo indizi per scoprire come avessero fatto gli investigatori a capire in che modo erano morte quelle persone; ed è lì che è nata la mia passione per la medicina legale».
Quindi, ha sempre voluto diventare medico legale?
«Sì, anche se si è trattato di un percorso lungo, l’ho affrontato sempre con l’obiettivo della medicina legale, pur patendo un po’ i primi tre anni, dove mi sono letteralmente scontrata con materie come fisica, chimica e anatomia. Solamente dopo la laurea in medicina, un anno di tirocinio e l’esame di Stato ho iniziato i quattro anni di specialità che, paragonati ai primi anni a Medicina, sono stati tutti in discesa. Alla sala settoria, dove gli specializzandi imparano a dissezionare i cadaveri, ci si arriva al terzo o al quarto anno dei sei anni che portano alla laurea. C’è anche chi la approccia prima, ma io non sono mai stata interessata ad accelerare i tempi. Avevo investito tutta me
FOCUS DONNA
Michela Frustaci
stessa e volevo arrivarci preparata. Anche perché, chi affrettava i tempi, finiva spesso per svenire e non voler più mettere piede in sala settoria».
In quali modi hanno reagito famigliari e amici quando hanno saputo quale specializzazione aveva scelto?
«I miei genitori sono entrambi medici oncologi, quindi si può dire che la passione per la medicina sia una cosa di famiglia, però la morte per loro resta più simile a un nemico contro cui combattere e da tenere il più possibile lontano dai pazienti. Mia madre ha anche ammesso che, da studentessa, sveniva in sala settoria e preferì non includere la medicina legale nel suo piano di studi, visto che ai suoi tempi era una materia facoltativa.
Si è avvicinata al mio lavoro solo in tempi recenti, guardando la serie televisiva L’Allieva, e ha iniziato a farmi domande e a chiedermi maggiori dettagli. I miei amici ne erano al corrente, perché parlo di medicina legale sin da bambina, quindi erano già o preparati o rassegnati».
E oggi? Quando le viene chiesto
che lavoro svolge, quali reazioni suscita la sua risposta?
«La maggioranza cambia in fretta discorso o si esibisce in gesti scaramantici di varia natura, ma ci sono anche tante persone che mi fanno domande, incuriosite da un lavoro che ha raggiunto una certa notorietà grazie a CSI, anche se è tutto molto meno scenografico di come lo fanno apparire. Senza contare che noi non abbiamo a disposizione la loro strumentazione e i risultati di laboratorio sono molto più lenti ad arrivare».
Ritiene di aver dato un’impronta femminile allo svolgimento del suo ruolo?
«Nel mio lavoro devo attenermi a protocolli molto rigidi e a linee guida standard, quindi è difficile dare un’impronta personale. In generale, l’ambiente in cui mi sono trovata prima a studiare e poi a lavorare è un mondo in prevalenza maschile, e spesso mi sono ritrovata a fronteggiare uomini arroganti, narcisisti e pieni di sé. Ho sempre cercato di restare professionale, senza lasciarmi coinvolgere o contagiare dal loro atteggiamento. In un certo senso, la
mia vittoria è restare donna in un mondo che mi vorrebbe uomo».
Come donna, che accoglienza ha trovato da parte dell’ambiente in cui lavora e dei suoi colleghi? «Le prime volte che svolgevo i sopralluoghi per la Procura sulle scene del crimine, mi sono ritrovata in situazioni spiacevoli, tra risatine e commenti, perché sono una donna, ma anche perché sono minuta, bassa di statura e porto i capelli con la cresta. Ho dovuto dimostrare il mio valore, imparare a farmi rispettare e a reagire con professionalità e fermezza agli sfottò. In questo, mi ha aiutato un’altra esperienza che sto portando avanti in parallelo: sono infatti istruttrice di scuola guida per le patenti professionali e lavoro spesso a contatto con i camionisti. Si tratta di una vera e propria scuola di vita, in cui ho imparato a rispondere per le rime, senza però offendere o mancare di rispetto».
Ci sono aspetti del suo lavoro che le risultano più ostici? Quali? «L’inizio non è stato facile. Durante il mio quarto anno di studi universitari, stavo fuori dalla porta della sala settoria, in attesa di entrare per la mia prima volta, e pensai: “E se adesso mi rendo conto che non fa per me, cosa faccio? Non ho un piano B”. Lì, sì, sono stata investita dall’ansia anticipatoria e sono andata un po’ nel panico. Poi però l’impatto con il cadavere è andato bene, perché l’ho visto sin da subito come un “oggetto di studio”; non me ne voglia chi leggerà queste mie parole, ma per chi svolge questo mestiere, di fatto è così. È anche una sorta di barriera, che inevitabilmente bisogna mettere, soprattutto nei casi che risultano più coinvolgenti ed emotivamente drammatici. Nel mio primo sopralluogo, ad esempio, mi sono trovata di fronte alla morte di un ragazzo di 17 anni, che si
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FOCUS DONNA
era ucciso nella sua cameretta. Una vita così giovane, finita in modo così violento e improvviso; soprattutto i suoi occhi mi sono rimasti impressi. Oggi come oggi, però, più che il mio lavoro sui cadaveri, trovo più ostiche le funzioni che svolgo come medico legale nelle commissioni di invalidità, dove vedo quotidianamente persone terminali o affette da patologie invalidanti, che le consumano giorno dopo giorno. Vengo in contatto con così tanta sofferenza, ed è difficile non farsi coinvolgere».
Da quando svolge questo lavoro, in che modo è cambiato il suo rapporto con la morte?
«Quando ho iniziato il mio percorso di studi ero molto motivata, ma anche molto spaventata dalla morte. Adesso non lo sono più, perché ora la vivo ogni giorno e ho imparato a conoscerla. Ora so, ad esempio, che la morte è sia un processo che porta alla distruzione del cadavere, ma anche fonte di vita per insetti e micro-organismi che, dal corpo defunto, traggono la loro vita. È un cerchio che si chiude. In molti casi, poi, la morte è anche fonte di riavvicinamento: ho visto famiglie e amici riunirsi attorno al defunto, ritrovarsi nel dolore e nei ricordi condivisi. Ho imparato a godere di ogni attimo come se fosse l’ultimo e dal lavoro quotidiano svolto (non solo perizie) nelle commissioni di invalidità, a non dare nulla per scontato e ad apprezzare le piccole fortune che abbiamo, come il semplice fatto di potersi regalare una passeggiata in un parco, godendosi i raggi del sole».
Lavorando a contatto con i defunti, sente di aver imparato qualcosa, che non avrebbe diversamente appreso?
«Ho certamente imparato, come dicevo, a godere di ogni piccola cosa e a vivere appieno il presente, ma anche ad approcciare il tema della
morte con maggiore sensibilità, perché non tutti amano parlarne apertamente. Il mio compagno, ad esempio, chiude in fretta il discorso, però dopo aver condiviso con lui l’ascolto di un podcast che affrontava l’esperienza di premorte da un punto di vista scientifico, ha ammesso che sente di non avere ancora gli strumenti per parlarne e di avere bisogno di tempo per maturare l’idea. Questo esempio mi ha fatto comprendere che ognuno di noi ha un rapporto personalissimo con il concetto della morte e che abbiamo tutti tempi di maturazione diversi».
Chi è Michela Frustaci
Laureata in Medicina e Chirurgia, specializzata in Medicina Legale, ha svolto un master di II livello in “Scienze criminologico-forensi” presso l’Università “La Sapienza” di Roma e il corso di perfezionamento “La valutazione complessa del danno” all’Università degli Studi di Firenze. Oggi è medico legale dirigente I fascia presso INPS (sede di Pordenone) e consulente tecnico in ambito penalistico (sopralluoghi, esami esterni, autopsie) e in casi di responsabilità professionale medica presso la Procura di Pordenone.
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La morte educante?
di Asher Colombo e Barbara Saracino
Come è cambiato nel tempo il rapporto dei bambini con funerali e defunti.
Negli ultimi decenni si è andata diffondendo l’idea che la nostra società mostri una crescente tendenza a proteggere i bambini dall’esperienza della morte.
Della morte si parla loro sempre meno, si tende a evitare il più possibile l’esperienza della vista di un cadavere, li si risparmia dai funerali e dalle cerimonie funebri. Tuttavia, un recente studio1 basato su un’indagine condotta in Italia, rivela una realtà più sfumata e complessa di quanto si creda comunemente.
L’indagine, condotta su un campione rappresentativo di oltre duemila italiani adulti, si è concentrata su due degli aspetti menzionati, cercando di rispondere a domande semplici ma cruciali: quanti bambini hanno avuto occasione di vedere un defunto o di partecipare a un funerale prima dei 14 anni? E come sono cambiate nel tempo queste esperienze?
La ricerca ha rivelato alcune sorprese. In primo luogo, ancora oggi una buona parte della popolazione
Foto di NebasinDreamstime
italiana ha avuto un contatto diretto con la morte già durante l’infanzia: il 28% degli intervistati ha visto un defunto prima dei 14 anni e il 41% ha partecipato a un funerale. Percentuali che salgono drasticamente (rispettivamente al 46% e al 66%) tra chi ha subito la perdita di un parente stretto, come un genitore, un fratello o un nonno prima di quell’età. L’idea che la nostra società “neghi” ai bambini l’esperienza diretta della morte non sembra trovare quindi molto conforto nei dati raccolti. Ma ci sono altri aspetti inattesi.
Un secolo di cambiamenti
Il secondo elemento inatteso è che, se li osserviamo su un periodo piuttosto lungo di tempo - diciamo un secolo - gli atteggiamenti e le pratiche che concretamente i genitori hanno messo in opera nei confronti dei rapporti dei loro figli e delle loro figlie con la morte non possono essere descritte come una lunga e inarrestabile transizione verso una sempre maggiore protezione. Passando dagli intervistati nati prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, ai nati dopo quella immane tragedia, infatti, la quota di bambini a cui sono capitate le due esperienze su cui la ricerca si è concentrata - ovvero vedere un morto o assistere a un funeralenon solo non è diminuita, come ci si sarebbe aspettati se effettivamente la protezione fosse cresciuta, ma anzi, è aumentata. E non di poco. Secondo le stime della ricerca infatti proprio la generazione nata subito dopo la seconda guerra mondiale – i cosiddetti Boomer – è stata quella maggiormente esposta
(1) Colombo, A. D. (2025), ‘Educating death. Children of five generations confronting dead and funerals’, Death Studies, 1-15, www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/0748 1187.2025.2489572
a queste esperienze, come mostra il grafico presentato in questo articolo. È, invece, a partire dagli anni ’70 e ’80, con la Generazione X (nati tra il 1966 e il 1980), che la tendenza descritta ha preso a invertirsi. La percentuale di bambini di questa generazione che ha vissuto queste due esperienze si è ridotta progressivamente, fino a toccare livelli più bassi tra i Millennials (ovvero, convenzionalmente, i nati dal 1981 al 1999).
Perché è cambiato il modo di educare i bambini alla morte?
Secondo i dati raccolti, i motivi dietro questi cambiamenti sono molteplici e intrecciati con trasformazioni sociali profonde. Nel passato i livelli di mortalità erano di gran lunga superiori a quelli odierni, in molte famiglie convivevano più di due generazioni sotto lo stesso tetto e la morte avveniva più spesso a casa che in ospedale. Semplicemente, anche volendolo, nascondere la morte a un bambino era decisamente più difficile di quanto sia diventato oggi. Ma a iniziare a proteggere i propri figli dall’esperienza della morte sono stati i genitori di quella che abbiamo chiamato la Generazione X, ovvero gli italiani e le italiane che sono nati tra la seconda metà degli anni trenta e la prima degli anni Cinquanta e che sono poi cresciuti nell’Italia del boom economico. È stata questa generazione a rompere con le pratiche delle generazioni precedenti e ad adottare protezioni crescenti nei confronti dei propri figli.
Tuttavia i dati mostrano anche che altri tre fattori influenzano la tendenza a proteggere i figli dall’esperienza della morte. In primo luogo, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, al crescere del livello di istruzione dei genitori e al crescere del loro livello di secolarizzazione cresce la tendenza a coinvolgere i figli in esperienze legate alla morte, forse riconoscendo l’importanza di preparare emotivamente i bambini a queste inevitabili esperienze della vita. Allo stesso modo, in aree caratterizzate da un forte senso civico e comunitario, la partecipazione dei bambini a funerali o alla visione del defunto rimane significativamente più alta.
E sono questi tre fattori a essere alla base di una terza sorpresa.
La nuova pedagogia della morte
Negli ultimi anni, infatti, si è affermato un atteggiamento più equilibrato e consapevole nei confronti della morte e del lutto infantile. Nonostante persista una generale tendenza alla protezione, proprio tra gli appartenenti ai ceti sociali più istruiti e secolarizzati e negli insediamenti sociali caratterizzati da maggiori livelli di senso civico, si intravvedono i segni dell’emergere di nuovi orientamenti educativi che vedono nella partecipazione dei bambini ai riti funebri un’occasione per accompagnarli nella comprensione e nell’accettazione della morte, ritenuta cruciale per uno sviluppo emotivo sano.
Oggi, esperti e psicologi raccomandano di non escludere completamente i bambini da queste esperienze. Partecipare a un funerale o vedere un defunto, se adeguatamente spiegato e contestualizzato, può infatti contribuire a ridurre l’angoscia e favorire la resilienza emotiva.
L’indagine mostra quindi che parlare di una società contemporanea totalmente “chiusa” e timorosa nei confronti della morte sarebbe riduttivo e impreciso. Esiste invece una pluralità di atteggiamenti che riflette cambiamenti generazionali e socio-culturali profondi.
Può tutto questo avere un significato anche per chi opera nel settore funebre? Forse questi risultati suggeriscono la necessità di tenere conto dell’esistenza di sensibilità diverse, che richiedono l’offerta di condizioni e ambienti adeguati che permettano una partecipazione positiva e costruttiva dei bambini ai riti della morte e che offrano un sostegno alle famiglie nella gestione di questi delicati passaggi emotivi.
Esisteremo oltre la vita?
di Tanja Pinzauti
Grande successo di pubblico per la conferenza organizzata da Giorgio Lorenzetti.
“Esisteremo oltre la vita?” porta in sé il quesito presente nella mente dell’uomo dagli albori della nostra civiltà.
La conferenza divulgativa ideata e organizzata da Giorgio Lorenzetti, imprenditore funerario romano in collaborazione con Gioemia Communication, si è tenuta lo scorso 6 giugno a Roma presso il Midas Palace.
Alla conferenza hanno partecipato come relatori Massimiliano Steffen, guida e formatore spirituale che nelle sue relazioni invita a riscoprire una
visione dell’Oltre come continuum energetico e coscienziale; il Dottor Stefano Mungari, Medico-Chirurgo e Ipnologo, che ha portato la sua coinvolgente testimonianza personale di premorte (NDE) raccontando l’importanza dell’esperienza vissuta anche nel suo sviluppo professionale; Davide De Alexandris, Fondatore e Presidente dell’Associazione NDERS ODV, testimone diretto di un’esperienza NDE e punto di riferimento nazionale per la raccolta e l’analisi delle testimonianze e il Dottor Francesco Sepioni, Medico di Urgenza ed Emergenza Asl Umbria
Foto
1, autore del libro “Al confine con l’Adilà” in cui racconta gli oltre 250 casi di pazienti tornati da stati di coma profondo. L’esplorazione del tema ha visto l’intervento in particolare di un ospite illustre come il Prof. Fausto Aufiero, Medico Chirurgo, Direttore Didattico di Bioterapia Nutrizionale.
L’incontro ha avuto un ottimo successo di pubblico e ha visto la partecipazione di oltre 250 persone che hanno seguito il dibattito con attenzione, interesse e grande coinvolgimento riportando riscontri positivi.
Le tematiche
Cosa accade quando lasciamo il nostro corpo? Cosa sopravvive alla morte; la coscienza, l’anima? E soprattutto, è possibile cambiare il nostro modo di vivere imparando a guardare alla morte non come a una fine ma solo come a una soglia? Queste le domande al centro della conferenza dove è stato esplorato il senso del mistero della morte.
Giorgio Lorenzetti, il promotore di questo nuovo paradigma, ha avuto il coraggio di sdoganare, anche nel suo ambito lavorativo, il tema dell’oltre vita. Durante l’incontro,
scienza e spiritualità sono state messe a confronto grazie ai relatori e alle loro esperienze personali e professionali che hanno permesso un approfondimento esaustivo delle tematiche, superando limiti e confini.
Il progetto sui media
Il tema trattato durante la conferenza interessa un pubblico molto vasto ed eterogeneo per età, area di provenienza, professione. È per il grande interesse suscitato da questa tematica che Giorgio Lorenzetti, ideatore e organizzatore dell’incontro, ha creato un marchio e un canale espressivo presente su diversi media dove chiunque sia interessato, possa seguire gli studi e informarsi sulle prospettive di questo argomento. Il progetto si chiama “La vita non finisce mai” e racchiude video conferenze, interviste, testimonianze ed è un input di ricerca per chi volesse approfondire il tema. I contenuti sono presenti su tutti i canali social e in particolare su YouTube, strumento che si è rivelato vincente per la divulgazione rapida sul tema della conferenza. Da qui l’idea e l’importanza di estendere l’iniziativa ad altre imprese funebri che volessero condividere il progetto per dare vita
ad un ciclo di conferenze, creando eventi che prevedano momenti di dialogo, domande dal pubblico e spazi di riflessione sul tema dell’Oltre; una rara occasione per fare esperienza diretta comunicando all’unisono che l’immagine dell’impresario funebre sta cambiando e può ampliare il proprio raggio di comunicazione.
«In un momento storico segnato da instabilità e bisogno di riferimenti interiori, questa linea comunicativa sembra voler corrispondere a una sete collettiva: quella di credere che l’amore e quello che siamo stati in vita non si dissolvano ma potrebbero continuare ad esistere in forma diversa», come recita il messaggio della stessa conferenza.
Al termine della conferenza, Giorgio Lorenzetti ha dichiarato: «Con le conferenze itineranti si può riportare al centro il tema della morte, per restituire dignità, sacralità e senso, condizione essenziale del servizio delle Onoranze Funebri. Parlare di morte per ritrovare il senso della vita». L’interesse dimostrato dal pubblico presente alla conferenza è la riprova che il tema è molto sentito e che c’è la necessità di discuterlo.
Un momento della conferenza
La morte di Marat
di Raffaella Segantin
Sanguinario traditore, come lo ritenne la sua assassina, o eroe della Rivoluzione Francese a cui rendere onore?
Il 14 luglio è il giorno della festa nazionale francese, che coincide con quello della presa della Bastiglia avvenuta a Parigi nel 1789.
È la data che segna l’inizio della Rivoluzione francese, un periodo storico e politico testimone di uno sconvolgimento sociale mai visto prima, segnato da un grande fermento ma anche da un clima spesso fortemente violento. Un’epoca turbolenta che durò una decina di anni fino all’avvento di Napoleone. Nulla fu poi come prima perché gli echi della Rivoluzione si propagarono, in un modo o nell’altro in tutta Europa, tanto che la storia la considera lo spartiacque tra l’età moderna e quella contemporanea.
Jean-Paul Marat
Uno dei protagonisti più famosi e controversi della Rivoluzione fu
Jean-Paul Marat, medico giornalista e politico. Nato in Svizzera nel 1743 Marat esercitò per diversi anni la professione medica, ma allo scoppio della Rivoluzione volle partecipare in prima persona agli eventi che stavano cambiando la storia del suo Paese. Fondò il giornale L'Ami du peuple (L'amico del popolo), dove manifestò apertamente le sue posizioni radicali al limite del fanatismo. Divenne inoltre presidente del Club dei Giacobini, l’ala più estremista della Rivoluzione, che incitava la lotta verso i più moderati Girondini. È l’inizio del cosiddetto Regime del Terrore, caratterizzato da azioni particolarmente spietate nei confronti delle fazioni interne della stessa Rivoluzione perpetrate allo scopo di spronare a combattere con maggiore determinazione la guerra per scardinare l’Ancien Régime ovvero la monarchia assoluta.
I fatti
Questo clima di odio e di incertezze armò la mano di Charlotte Corday, una giovane donna di Caen che nel 1793 si recò nell’abitazione di Marat con il preciso scopo di uccidere colui che a suo avviso si era macchiato della grave colpa di aver tradito i veri ideali rivoluzionari innescando una guerra civile. La donna, che si fece ricevere con il pretesto di dovergli consegnare una lettera, fu accolta da Marat mentre era immerso in una tinozza di acqua medicamentosa dove soleva cercare sollievo da una dolorosa malattia della pelle di cui era afflitto. Ed è proprio in quella vasca, intento a leggere la falsa lettera, che il giornalista viene pugnalato a morte.
Un efferato assassinio che, oltre a minare le basi stesse della Rivoluzione, ebbe un grande impatto sul pittore Jacques Louis David, amico
personale di Marat, profondamente colpito da quella che fu a tutti gli effetti un’esecuzione. David accettò quindi di buon grado l'incarico di rappresentare il momento della morte di Marat, rendendo omaggio a quello che per i committenti e per lo stesso artista fu un eroe della Rivoluzione.
L’artista
Jacques-Louis David (1748-1825) è stato uno dei massimi rappresentati del Neoclassicismo, corrente che si affermò a metà del Settecento, in contrapposizione alle linee sinuose e allo stile stravagante del barocco e del roccocò. Dopo un primo periodo di formazione basato sui dettami della tradizione pittorica francese, entrò all’Académie Royale di Parigi ottenendo più volte il Prix de Rome che gli permise di soggiornare a più riprese in Italia. La permanenza nel nostro Paese sarà fondamentale nell’evoluzione della sua concezione artistica. Lo studio dell’arte classica lo porterà alla scoperta dei capolavori dell’antichità, come pure del Rinascimento, cogliendone la loro bellezza e potenza espressiva. Il suo stile subirà una svolta epocale virando verso espressioni e forme più eleganti e imponenti
Il Giuramento degli Orazi del 1784 è l’opera che lo rese celebre, insieme alla successiva Morte di Socrate, per aver infranto le tendenze allora in voga, influenzando la pittura europea del XIX secolo che prenderà dapprima il nome di “Vero Stile” e successivamente quello di Neoclassicismo. Sono dipinti che per la loro essenzialità e gravità si rifanno ad opere antiche che intendono esaltare i valori morali e pedagogici. Sono caratterizzati da scene che appartengono alla tradizione mitologica rappresentate in modo maestoso e solenne.
Durante la Rivoluzione francese
David si dedicò alla politica in modo attivo entrando nel Club dei Giacobini dove ricoprì importanti incarichi. In questo periodo i soggetti delle sue tele passano dalle rappresentazioni dei miti classici a temi reali legati alla situazione storica con-
temporanea. L’ascesa di Napoleone, uomo che ammirava profondamente, condizionerà ancora una volta la sua produzione artistica: diventandone il pittore ufficiale; i quadri di questi anni si concentreranno nella rappresentazione delle gesta eroiche dell’imperatore. L’Incoronazione di Napoleone, del 1807, è l’opera più famosa di questo ciclo e una delle più importanti di David.
Dopo la caduta di Napoleone, l’artista riprese a lavorare su commissione e nel 1816 si trasferì a Bruxelles, dove morì nel 1825. I suoi resti riposano ora nel cimitero parigino di Père-Lachaise
L’opera
Realizzata, olio su tela, immediatamente dopo il suo assassinio nel 1793, La Morte di Marat (165×128 cm) vuole essere una testimonianza e un tributo ad un martire della Rivoluzione colto nell’attimo più estremo dell’eroismo, quando sacrifica la propria vita per la causa in cui crede. David sceglie di non descrivere il momento concitato dell’uccisione, ma quello immediatamente successivo dove tutto è fermo e avvolto in un silenzio quasi irreale.
Per conferire ulteriore drammaticità alla scena ha volutamente omesso qualsiasi elemento che potesse distrarre lo spettatore: l’ambiente è scarno, privo di oggetti o di suppellettili che sicuramente erano presenti nella stanza e la parete di fondo è anch’essa spoglia. Il dipinto è dominato da tonalità scure, i colori sono ridotti al minimo, probabilmente per ottenere un
Autoritratto di Jacques-Louis David
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contrasto di maggiore impatto con il rosso del sangue. La luce, proveniente da una fonte esterna, colpisce il corpo di Marat creando intensi chiaro/scuri che mettono in risalto i dettagli del suo corpo ormai senza vita
Il volto della vittima appare sereno, come chi sa di aver fatto il proprio dovere fino in fondo. Il cadavere, disteso su un lenzuolo bianco che sembra volerlo accogliere come un sudario, giace appoggiato sul bordo della vasca, la mano sinistra regge ancora l’ingannevole lettera, mentre il braccio destro, pendente verso il pavimento, impugna una penna, l’arma con cui Marat combatteva per la rivoluzione. La posizione del corpo ricorda non a caso l'iconografia del Cristo in croce, una scelta consapevole attuata da David
allo scopo di attribuire un’aura di sacralità al defunto. In primo piano si trova uno scrittoio in legno che sembra fungere da lapide. Abbandonata a terra nell’angolo sinistro, l’arma del delitto: il coltello insanguinato che ha decretato la morte del giornalista.
Le opere di David del periodo neoclassico sono riconducibili ad uno studio geometrico e prospettico che ha una rilevanza sia visiva che emotiva sulla rappresentazione. La morte di Marat può essere suddivisa in due parti ben distinte. Quella superiore vuota e scura è funzionale per dare maggior spessore alla figura dell’eroe, che occupa esclusivamente la parte inferiore del dipinto. L’intera composizione segue uno schema costituito da linee orizzontali e verticali, ponendo
il punto di fuga nella zona superiore in modo che all’occhio dello spettatore la vista del corpo risulti rialzata. Grande enfasi è posta sul braccio destro che, ormai inerme, toccando il suolo diventa metafora della morte, quando l’uomo si ricongiunge con la terra.
All’epoca della sua realizzazione il dipinto di David conobbe una grande popolarità, ma fu presto dimenticato per essere rivalutato anni dopo da intellettuali quali Stendhal e, in particolare, Baudelaire, che ne scrisse anche una sentita recensione. La Morte di Marat è stata fonte di ispirazione per molti artisti del Novecento, tanto che i celebri pittori Edvard Munch e Pablo Picasso hanno dato vita ad una loro personale versione. Il quadro è oggi conservato al museo del Louvre di Parigi.
Schema geometrico compositivo
Bozzetto dello studio del volto di Marat
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Nonostante tutto
di Tanja Pinzauti
Un film toccante, tenero e a tratti comico, che ci suggerisce un nuovo
punto di vista sulla malattia e sulla morte.
Un ospedale, il reparto delle cause perse, quattro protagonisti e il rapporto con la morte come non è mai stato affrontato: sono queste le basi su cui Valerio Mastandrea, attore e in questa pellicola anche regista, sviluppa la trama e la storia di Nonostate, film del 2024 molto apprezzato dalla critica.
Un lungometraggio delicato, a tratti comico, introspettivo e riflessivo che ci porta all’interno di un mondo al confine tra reale e immaginario, narrando le vicende del protagonista e dei suoi quattro compagni di avventura che condividono la sorte di essere “in attesa” che qualcosa accada. In attesa perché ognuno di loro è fermo, immobile e inerte nel limbo dello stato comatoso da tempo, relegato nell’ala invisibile dell’ospedale in cui è ricoverato. Non a caso, non ci sono nomi a identificare i protagonisti della
vicenda, non ci sono età o compleanni, non ci sono nemmeno riferimenti spazio-temporali: la città, la stagione, l’anno; niente è specificato nella pellicola di Mastandrea, quasi a voler mantenere l’intera storia in sospeso, proprio come in sospeso sono i protagonisti della vicenda tra un saluto a chi alla fine “se ne va” e chi resta immobile davanti al trascorrere del tempo.
La trama
Il protagonista del film è Lui (Valerio Mastandrea), un uomo ultracinquantenne che da tempo si trova ricoverato in ospedale dopo aver salvato la vita a un ragazzino. È in coma, sdraiato in un letto anonimo in una delle tante
Foto di Matteo Graia
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stanze del nosocomio e non dà alcun segno di ripresa. O almeno, questo è quello che vedono ogni giorno medici e infermieri che passano per il giro di visite e medicazioni. Nella realtà, l’essenza (o l’anima, se preferite) di Lui è totalmente staccata dal suo corpo e vaga tra i corridoi e le stanze dell’ospedale interagendo con gli altri pazienti che si trovano in quella sottile apertura tra vita e morte che è lo stato comatoso.
Lui si intrattiene con Veterana (Laura Morante) e Curiosone (Lino Musella), due pazienti con cui ha stretto amicizia e con cui assiste ai funerali di coloro che sono passati “dall’altra parte” trascinati via da questo vento impetuoso che a tratti invade i corridoi dell’ospedale. Tutto resta così, una routine immobile che si ripete ogni giorno fino a quando arriva Lei (Dolores Fonzi), vittima di un incidente stradale a cui assegnano il letto di Lui, che viene spostato in un’altra stanza. Dopo l’iniziale fastidio e avversione per quella donna che gli ha “rubato” il letto e la stanza più bella del reparto, Lui ne rimane affascinato: Lei è combattiva, vuole andarsene, vuole riprendere la sua vita. Non è come tutti loro, terrorizzati all’idea di riprendere possesso dei propri corpi perché consci che se questo avvenisse, dimenticherebbero tutto quello che stanno vivendo e che hanno passato insieme. A Lei non importa, Lei vuole tornare a vivere.
Lui e Lei cominciano a passare intere giornate insieme: a parlare, a rincorrersi e anche a discutere. Fino a quando Lui si accorge di essersi innamorato. Così i due intrecciano una relazione nel limbo del loro mondo sospeso, tra passione, risate e momenti di tenerezza. Ma il vento impetuoso della morte soffia ogni giorno e diventa sempre più difficile resistere. È così che Lui, un giorno,
viene portato via e non basta nemmeno la stretta del suo amico Curiosone a trattenerlo. Lei, invece, torna in vita senza più ricordare niente di quello che è stato.
Nonostante ci offre uno spunto di riflessione sullo stato vegetativo dei pazienti in coma e sulla morte, suggerendo che forse l’immobilità del corpo non è l’unica cosa che resta e ci suggerisce un mondo parallelo, fatto di sentimenti e consapevolezza, che ci rende una visione umana anche di coloro che riposano immobili in un letto d’ospedale in stato vegetativo. Un film toccante che affronta il tema della malattia e della morte da un punto di vista inusuale e curioso. Bravo Mastandrea.
Foto di Matteo Graia
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