
einfach, nachhaltig, lokal
monni stärkt unsere wertvollen lokalen
Wirtschaftskreisläufe
Der Gutschein monni kann in ganz Südtirol in über 1000 Geschäften und Betrieben mit der monni App eingelöst werden.

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Wie wohl und willkommen wir uns fühlen, hängt unter anderem von der Pflege ab, die wir in die Welten stecken, in denen wir uns bewegen: Schütteln wir im Schlafzimmer jeden Morgen die Betten auf, freuen wir uns vielleicht schon vor dem Abendessen heimlich aufs Bett. Gilt unser erster Blick den akribisch umsorgten Pflanzen auf dem Balkon, dürfen wir uns vielleicht nicht nur über die fertige Blüte freuen, sondern über jeden Zentimeter Grün, der sich mühsam aus der Erde stemmt. Und lassen wir das Datenchaos auf unserem PC erst gar nicht entstehen, werden wir später (in meinem Fall jetzt) vielleicht nicht von Dokumentjkjksjdf01 überrollt. Es sind also nicht nur die Daten, Dinge und Lebewesen, die die Welten schaffen, in denen wir uns bewegen; sondern auch die Art und Weise, in der wir uns um sie kümmern. Wie der kleine Prinz um seine Rose können auch wir uns um die Dinge und Lebewesen kümmern, die uns umgeben. Durch unser Kümmern aber schaffen wir Welten, die uns brauchen. Was unserem Leben einen Sinn verschafft, – sei es die Pflege einer Rose oder die Unterstützung einer hilfsbedürftigen Person –, kann, wenn wir nicht aufpassen, andere in eine Abhängigkeit drängen. Und wir riskieren, ihnen unsere eigenen Erwartungen aufzudrängen; vor allem dann, wenn es sich beim Gegenüber um einen Menschen handelt. Vielleicht sollten wir unsere Mitmenschen mehr wie unsere Pflanzen behandeln und nicht umgekehrt: Wir gehen von ihren Bedürfnissen und Möglichkeiten aus (nicht jede:r kann oder möchte zur Rose werden) und versuchen, ihnen die bestmögliche Unterstützung zu bieten, um sich auf ihre eigene Art und Weise entwickeln zu können. Nicht aus Altruismus. Sondern weil es uns Freude bereitet. das zebra.Team
Ohne zebra. Ausweis geht nix Comprate il giornale di strada solo da venditrici e venditori muniti di apposito tesserino!
zebra ist eine Straßenzeitung und wird von der OEW – Organisation für Eine solidarische Welt in Brixen herausgegeben. Menschen, die sich in schwierigen Lebenssituationen befinden, verkaufen sie zum Preis von drei Euro:
… è un giornale di strada
Nel mondo esistono moltissimi giornali di strada, che si rifanno allo stesso principio e che danno l’opportunità alle persone ai margini della società di avere una degna occupazione e un piccolo guadagno e di riattivare risorse e competenze personali. zebra. fa parte della rete internazionale dei giornali di strada INSP (www.insp.ngo)
darf auf die Mitwirkung vieler Freiwilliger zählen Jede zebra. Ausgabe entsteht auch durch den Beitrag vieler Freiwilliger. Sie steuern jeden Monat Texte, Gedichte, Fotos und Illustrationen bei, die aktuelles Geschehen und Fragestellungen aus einer kritischen Perspektive beleuchten. Irgendwie ansprechend? Melde dich bei der zebra.Redaktion: zebra@oew.org
… è un progetto sociale zebra. è un progetto sociale volto all’autonomia economica e abitativa dei venditori e delle venditrici, che sono sostenuti*e e accompagnati*e in questo percorso dalle assistenti sociali del progetto.
… bleibt in Kontakt
Das zebra. Team steht in ständigem Kontakt mit allen Verkäufer:innen, Verkaufsstellen, Behörden und Gemeinden. Für Fragen, Anregungen oder bei Unregelmäßigkeiten sind sie zur Stelle und telefonisch oder per Mail erreichbar.
… va oltre
Che si tratti di una casa, del lavoro, della salute o di informazioni, per i venditori e le venditrici di zebra. la vita quotidiana rappresenta una sfida continua. zebra.Support offre loro un rapido aiuto in situazioni di emergenza e li*le segue passo passo nella ricerca di un lavoro sicuro.
Infos und Kontakt: 0039 334 1216413 | zebra.assist@oew.org
Lavori in corso: calendario 2024 di zebra.
del calendario 2024 di zebra., davanti e dietro l’obiettivo, saranno i venditori e le venditrici del giornale di strada, che in questi mesi potrebbero chiedervi di posare per un selfie. È questo il leitmotiv del progetto “Portraits of Solidarity”, ideato insieme al fotografo bolzanino Ludwig Thalheimer, che intende “fermare” parole e immagini dei momenti di incontro e condivisione che spesso si creano spontaneamente in strada tra chi il giornale lo vende e chi invece lo compra.
Sono nato nello Stato di Delta in un villaggio vicino al fiume omonimo. Ho passato tanto tempo navigando su quelle acque, perché mio padre era un pescatore e io lo accompagnavo spesso nelle sue uscite in barca. Ricordo la cura con cui preparavamo le reti, la sveglia alle prime ore del mattino, le notti dal cielo limpido in cui erano le stelle a indicarci la rotta, i gesti sicuri di mio padre quando calava le reti e la mia emozione quando le ritirava colme di pesci di ogni tipo.
Il ricordo dei momenti passati con mio padre me li porto letteralmente addosso. Sull’avambraccio sinistro, infatti, ho un tatuaggio che raffigura le onde del mare e le stelle, il mio nome e quello dei miei genitori. Ero tanto affezionato anche a mia madre. Mi ripeteva sempre di non appropriarmi di cose che non mi appartengono, di non causare guai e di dare una mano a chi ha bisogno di aiuto. Io ogni giorno faccio del mio meglio per vivere secondo i suoi insegnamenti. Per
esempio, quando vendo zebra. all’ingresso dei supermercati a Bressanone e noto una persona con tante buste, la aiuto a caricarle in macchina.
Nel mio Paese, dopo il diploma ho iniziato subito a lavorare come boscaiolo. Per cinque anni ho abbattuto alberi molto alti, fino a ridurli a tronchi di una trentina di centimetri. È stata un’esperienza molto faticosa, ma che in un certo senso mi ha temprato per le sfide che avrei vissuto negli anni a venire. Qui in Alto Adige ho lavorato come operaio in alcune fabbriche, sia nell’ambito della produzione, sia nel confezionamento. In generale sono state esperienze positive, anche se sono capitati anche alcuni episodi spiacevoli. Ho incontrato chi non voleva attorno persone Nere e me lo ha fatto capire esplicitamente, ad altri è bastato uno sguardo accompagnato da una domanda in tono sprezzante, per esempio “come hai potuto abbandonare la tua famiglia?”. Momenti come questi fanno male, ma per
“Mia madre mi ha insegnato a dare una mano a chi ha bisogno di aiuto.”
fortuna la maggior parte delle persone che ho conosciuto non ha questo tipo di barriere. Da poco ho ottenuto il riconoscimento della protezione speciale e, per quanto riguarda i documenti, dopo ben sei anni posso finalmente tirare un sospiro di sollievo. In questi anni ho vissuto all’interno di centri di accoglienza grandi, che ospitano tante persone con caratteri molto diversi e dove le attività da poter svolgere sono davvero poche. Tra un mese dovrò uscire dalla struttura e spero di trovare un alloggio. Ho fatto domanda alle varie strutture abitative sociali del territorio, ma le liste di attesa sono lunghe. Finire in strada dopo aver finalmente tra le mani il tanto agognato permesso di soggiorno sarebbe una beffa.
Nach jahrelangen Forderungen und Kampagnen von Frauenrechtsaktivist:innen hat der Senat in Usbekistan häusliche Gewalt als Straftat anerkannt. Neben physischer Gewalt sollen auch Stalking und Belästigungen verfolgt werden.
Das Parlament der Cookinseln hat ein jahrzehntealtes Gesetz außer Kraft gesetzt, das für homosexuelle Handlungen Haftstrafen vorsah. Zudem wurden die Gesetze gegen Vergewaltigungen verstärkt.
Die albanische Regierung hat den Fluss Vjosa zum ersten Wildfluss-Nationalpark Europas erklärt und schützt so einen der letzten wilden Flüsse unseres Kontinents. Die Entscheidung stoppt Dutzende Wasserkraftprojekte in der Region und stellt einen fragilen Lebensraum mit seltenen Tier- und Pflanzenarten unter Schutz.
PILLOLA LEGALIZZATA
Xiomara Castro, prima presidente donna dell'Honduras – Paese con uno dei tassi più alti di gravidanze tra adolescenti in tutta l’America Latina –, ha firmato un ordine esecutivo che dopo tredici anni consentirà la vendita e l’utilizzo della “pillola del giorno dopo”.
STOP ALLA PLASTICA
Dopo la morte per avvelenamento da plastica di alcuni elefanti e altri animali selvatici, il governo dello Sri Lanka ha annunciato che a partire da giugno vieterà la produzione e la vendita di plastica monouso.
Un processo di consultazione che ha coinvolto i popoli indigeni dei territori orientali dell’Ecuador, ha portato alla creazione della riserva Tarimiat Pujutai Nunka, il cui obiettivo è fermare la deforestazione causata dalle miniere, dai produttori di legname e dagli allevatori di bovini. Il territorio protetto misura più di un milione di ettari ed è l’habitat di tante specie endemiche.
Un progetto finanziato dalle Nazioni Unite ha portato alla costruzione di un impianto di trattamento delle acque reflue e all’avvio della raccolta dell'immondizia illegale nella riserva naturale di Wadi Gaza, in Palestina. La riserva, che era stata a un passo dal collasso ambientale, sta tornando a essere un'oasi naturale per tante specie di animali e piante e per le persone che vivono nella Striscia di Gaza.
London hat in den letzten Jahren Maßnahmen zur Regulierung des Verkehrs eingeführt, die die Luftqualität verbessert und die Zahl der Unfälle in der Stadt verringert haben. So hat das Tempolimit 30 mph (etwa 30 km/h) in Zentral-London für einen starken Rückgang der Unfälle gesorgt.
Die Gouverneurin von Oregon hat angekündigt, die Urteile aller 17 zu Tode verurteilten Personen aus moralischen Gründen in lebenslange Haftstrafen umzuwandeln. Der USBundesstaat hat seit 1997 keine Person mehr hingerichtet.
Dieses Mal in Innsbruck:
Michelle Staudinger (22)
muss manchmal andere um Hilfe bitten, wenn es um technische Angelegenheiten geht, denn wenn sie Probleme mit elektrischen Geräten nicht lösen kann, reagiert sie sehr ungeduldig. Für die Mai-Ausgabe war sie in Innsbruck unterwegs und hat sich mit Menschen über Momente ausgetauscht, in denen sie Hilfe brauchten.
Maria Malfertheiner
„
UnterwegsnachBosnien hatten wir eine kleine Buspanne.Deshalbbinicherst nachMitternachtinSarajewo angekommenundhatte keineAhnung,wieichvon der Bushaltestelle zu meinem Hostel kommen sollte,das zuFußvielzuweitwegwar. Ich fühlte mich„lost“und hatteAngst,esnichtmehrin die Unterkunft zu schaffen.
Glücklicherweise kam eine Backpackerinaufmichzu,die auch noch verzweifelt ihre Unterkunft suchte und wir konnten zusammen ein Taxi ergattern.“
Ludovit Karasz
„ Ich komme aus der Slowakei. Dort war meine Situation eine Katastrophe, schrecklich. Jetzt bin ich hier. Ich habe alles hier und mir geht es besser.“
Elena Bertazza
“Un giorno volevo andare a sciare con il bus,ma ho letto male gli orari e solo una volta arrivata alla fermata ho visto che il bus non c’era. Ho fatto autostop e si è fermata una macchina con a bordo un padre e un figlio.Anche il ragazzo aveva perso il bus e aveva poi chiamato suo padre per farsi accompagnare sulle piste!”
David Schneider
„
Sie ist weiß, um sie zu sehen muss man den Blick senken, und sie ist unverzichtbar. Die Rede ist nicht von der Unterhose, sondern von der Straßenmarkierung.
„ In einer Situation,in der ich Hilfe brauchte,fühlte ich mich sehr schlecht, ungewöhnlichhilflos.Weil ich nicht wusste,was ich machenundwoichhingehenkonnte.Hilflosigkeitist das schlimmste Gefühl.“
Magdalena Vonmetz
„ AlsichAutofahrengelernt habe,warichamAnfang sehr unsicher und fühlte michschnellgestresst,doch durch die Hilfe meiner Eltern und dem Fahrlehrer konnte ich schnell Fortschritte machen.“
Als ich mich schwer an der Hand verletzte,fühlte ich mich sehr hilflos. Glücklicherweise konnte mich ein Freund ins Krankenhaus chauffieren; allein hätte ich es nichtgeschafft.ImKrankenhauswurdeichgutversorgt und in den sechs Monaten Heilungsprozesshabenmir vieleMenschenbeiKleinigkeitengeholfen,diefürmich unmöglichwaren:Schuhe bindenzumBeispieloder Reißverschlüsse schließen. Ich wurde daran erinnert,wie wenigesbraucht,umauf andereangewiesenzusein. Seitdem bemühe ich mich umso mehr,Menschen Hilfe anzubieten.“
Hannah Knoblechner
„ Ich hatte bei einer mündlichenPrüfungeine Frageerhalten,zuder ich nichts wusste. Meine Mitstudent:innen haben dannsolangehinterdem Professorherumgestikuliert,bisichgecheckthabe, was sie meinten,und die PrüfungmitvollenPunkten bestanden habe – das war natürlichsuper!“
1911 wurde in Detroit die erste Mittellinie durch eine Fahrbahn gezogen. Grund dafür war die Voraussage aus den 1880ern, dass Automobile bald mit einer Geschwindigkeit von 25 km/h über die Bahn fahren würden. Seitdem haben sich die Markierungen beachtlich weiterentwickelt, bis sie eben zu jenem heiß geliebten Imperativ geworden sind, den wir heute kennen. Anfangs wurde auf dem hellen Beton noch in schwarzer Farbe markiert. Die Konsistenz war schon damals von großer Bedeutung. Wetterfest, langlebig, schnell trocknend und trotzdem spritzbar musste sie sein. Heute werden der Farbe häufig Plastikpartikel beigemischt, welche im Scheinwerferlicht wie Reflektoren wirken und so auch bei Nacht sichtbar sind.
Mit dem französischen Philosophen Bruno Latour gedacht sind Straßenmarkierungen und Schilder Ersatz für konkrete Menschen mit einer gewissen autoritären Position in der Gesellschaft. Die Straßenmarkierung hält sie präsent und definiert unser Verhalten. Michel Foucault würde darin wohl die perfekte Verschränkung von Fremd- und Selbstbeherrschung sehen. Sie ist ein Zwang, und zwar einer, den wir gerne mögen. Er schränkt uns ein und befreit uns so vor der Unerträglichkeit eines Zustands, indem alles möglich ist. An der Straßenmarkierung finden wir jene Linie, an welcher sich Selbst- und Fremdführung kreuzen und eine nahtlose Einheit bilden. Wie hilfsbedürftig wären wir, wenn sie morgen plötzlich überall fehlen würde? Wir könnten uns
determinierend wirken können wie Biologie und Gene!
Wir alle sind auf äußere Hilfsmittel angewiesen.
nicht mehr orientieren. Linien, Dreiecke und Striche sind zwar kein Naturgesetz, aber wohl ähnlich prägend. Sie zeigen, dass kulturelle und soziale Phänomene genauso
Straßenmarkierungen sind ein gutes Beispiel, um aufzuzeigen, wie sehr wir ALLE auf äußere, in der materiellen Welt verankerten Hilfsmittel angewiesen sind. Ob es sich nun um eine weiße Linie handelt – oder um Krücken, Brillen oder Rollstühle. Hier mag es zwar individuelle Unterschiede geben. Fix ist aber, dass wir den Graben zwischen Hilfsmittel für „gesunde“ und jene für „kranke“ Menschen oder „Menschen mit Beeinträchtigung“ künstlich ziehen müssen. Das bedeutet aber auch, dass wir die Macht haben, diesen Graben wieder zu verschließen und die Unterschiede zwischen uns als Abstufungen und Nuancen zu sehen anstatt als Rechtfertigung, um Menschen nach gewissen Merkmalen von vorneherein in gewisse Schubladen zu packen und ihnen den Weg in die Mitte der Gesellschaft zu versperren.
Wollen wir anderen Menschen helfen, gilt unsere Aufmerksamkeit häufig den praktischen Schritten, die eine hilfsbedürftige Person von A nach B bringen sollen. Dabei vergessen wir uns selbst infrage zu stellen: Was bewegt uns dazu, einem anderen Menschen zu helfen? Und inwiefern geht unsere Hilfe tatsächlich von den Bedürfnissen der anderen aus?
Die zebra. ist eine Straßenzeitung. Hinter ihr steht also nicht nur eine Redaktion, sondern auch der Anspruch, Menschen, die sich in einer schwierigen Lebenssituation befinden, zu unterstützen. Obwohl das Projekt prinzipiell allen offensteht, wenden sich vor allem Menschen mit Migrationshintergrund an uns, die – aufgrund fehlender Papiere oder anderer durch die Migration gegebener Schwierigkeiten – keiner regulären Arbeit nachgehen können. Durch den zebra.-Verkauf haben sie die Möglichkeit, autonom ein kleines Einkommen zu generieren.
Aber was bedeutet es eigentlich, jemanden in einer schwierigen Lebenssituation zu unterstützen? Jemandem zu helfen? Und welche Schwierigkeiten ergeben sich diesbezüglich im Umgang mit Menschen mit Migrationshintergrund? Darüber hat die zebra. Redaktion mit Kwanza Musi Dos Santos gesprochen. Die Schwarze Aktivistin, die sich als Italo-Afro-Brasilianerin bezeichnet, wurde in Hamburg geboren und ist später in Rom aufgewachsen, wo sie die Organisation „QuestaèRoma“ mitbegründet hat. Heute leitet Kwanza Musi Dos Santos Workshops zu Diversität und Rassismus, unter anderem auch in Südtirol.
zebra.: Was bedeutet es für Sie, jemandem zu helfen?
Kwanza Musi Dos Santos: Helfen ist ein egoistischer Akt und wir sollten uns nicht schämen, das zuzugeben. Aber es ist ein Akt, der beide Seiten bereichern kann, wenn wir es schaffen, die Linie zwischen unserem Ego und den Bedürfnissen der anderen zu finden. Das heißt: Bevor wir damit beginnen, müssen wir uns fragen, warum, wem und wie wir helfen wollen. Und wir müssen uns selbst infrage stellen. Wer bin ich in dem Ganzen? Warum mache ich das? Wer hat mich darum gebeten?
Sonst passiert es, dass wir nicht von den tatsächlichen Bedürfnissen einer Person ausgehen, sondern ihnen unsere Erwartungen aufzwängen… Dankbarkeit zum Beispiel! Dankbarkeit ist kein Recht, das sich eine helfende Person erkaufen kann. Wir müssen unsere Position und Beweggründe also laut aussprechen –auch damit sich eine hilfesuchende Person eventuell darauf einstellen kann.
man genau von dieser Würde ausgehen.
Was ist das für Sie, Würde?
Würde ist für mich, mich als Mensch fühlen zu dürfen. Nicht als Objekt, nicht als Zahl, nicht als Tochter von Migranten, Ausländerin, Gefahr, zu rettende Person und auch nicht als Person der geholfen werden muss. Ich bin in erster Linie ein Mensch, der imstande ist, etwas zu wollen oder zu beabsichtigen – auch, wenn mir das nicht immer gelingt. Ich will mit meinem Namen, meiner Geschichte, meiner Persönlichkeit und meiner Komplexität anerkannt werden: als Mensch. Das bedeutet Würde für mich.
Sie sind Mitbegründerin der Organisation „QuestaèRoma“, eine Organisation, die von Personen mit Migrationshintergrund getragen wird und deren Subjektivität in den Mittelpunkt stellt. Was können wir uns darunter vorstellen?
„Wer bin ich in dem Ganzen? Warum mache ich das? Und wer hat mich darum gebeten?“
Wie können wir Hilfe hingegen verstehen, wenn es speziell darum geht, Menschen ausländischer Herkunft im italienischen Kontext zu unterstützen?
In diesem Fall ist es noch viel wichtiger die Würde der Person anzuerkennen. Nicht umsonst entscheiden sich viele Menschen, wenn sie vor der Entscheidung stehen Hilfe anzunehmen oder nicht, dagegen: Sie wollen ihre Würde nicht gefährden. In Italien wird die Menschenwürde aber oft als Nebensache angesehen; dabei müsste
Viele der Gründungsmitglieder waren in unterschiedlichen Organisationen aktiv. Dort waren wir manchmal die einzige Person mit Migrationshintergrund, was dazu führte, dass unsere Gesichter häufig in der Öffentlichkeit standen. Das kann sich nach außen hin natürlich positiv auf unsere Wahrnehmung auswirken, wenn neue Gesichter gezeigt werden. Aber wir haben irgendwann gemerkt, dass sich dieser Cover-Moment, nicht nur auf öffentliche Auftritte belief, sondern, dass wir auch innerhalb der Organisation nur als „die Schwarze Person“ oder „die Person mit Migrationshintergrund“ wahrgenommen wurden. Wir wurden nur dann gefragt, wenn es um Themen ging, die uns in diesem Sinn direkt betrafen. Unsere Interessen,
Kompetenzen und beruflichen Erfahrungen wurden außer Acht gelassen. Aus dieser Frustration heraus haben wir „QuestaèRoma“ gegründet. Der Name der Organisation ist ein klares Statement, keine Frage. Wir haben niemanden darum gebeten, zu existieren, irgendwo integriert oder miteinbezogen zu werden; wir wollen für das angesehen werden, was wir sind: Menschen, Italiener:innen, Fachleute… mit einem zusätzlichen Wert, der dadurch gegeben ist, dass wir eine weitere Sprache sprechen, aufgrund der kulturellen Herkunft einen anderen Ansatz haben oder eine größere Sensibilität für gewisse Themen. Aber wir sind in erster Linie Menschen. Durch „QuestaèRoma“ wollen wir zeigen, wie bereichernd Heterogenität sein kann, wenn wir die Alibi-Funktion überwinden.
Sie sprechen darüber, dass „QuestaèRoma“ niemanden darum bittet, „existieren zu dürfen“, welche Erfahrungen stecken hinter dieser Prämisse?
Viele unserer Eltern sind Teil der sogenannten
„ersten Generation“ von Migrant:innen. Sie sind mit 18 oder 20 Jahren nach Italien gekommen, mit bereits geformten Gewohnheiten und Identitäten. Sie kamen im Wissen, in ein anderes Land einzureisen und die Gegebenheiten dort akzeptieren und respektieren zu müssen. Grob gesagt: „Niemand hat sie darum gebeten, nach Italien zu kommen“. Wir nicht. Wir sind hier geboren und aufgewachsen, aber wir haben niemanden darum gebeten! Deshalb haben wir auch nicht das Gefühl, jemanden um etwas bitten zu müssen oder jemandem Dankbarkeit zu schulden – auch, wenn uns unsere Familien und die Gesellschaft in diese Richtung drängen: Wir sollen dankbar sein, uns integrieren, zeigen, dass wir durch und durch italienisch sind ...
Der Ausdruck „niemand hat sie darum gebeten“ überrascht mich. In vielen Fällen sind es die unmöglichen Lebensumstände
im Herkunftsland, die Personen zur Migration zwingen. Natürlich. Aber wer sich für eine Migration entscheidet, gezwungenermaßen oder nicht, ist sich bewusst, in ein anderes Land zu reisen. Und dieses Bewusstsein kommt mit einer bestimmten Haltung. Aber wenn ich hier geboren und aufgewachsen bin, dann muss es mir jemand sagen, dass ich keine Italienerin bin. Wie soll ich das sonst wissen?
Die Grundeinstellung ist also eine andere, das muss auch von der Gesellschaft endlich verstanden werden.
Auch Menschen ohne Migrationshintergrund sind Teil von „QuestaèRoma“. Wie kann ihre Rolle in der Organisation aussehen?
So wie die aller anderen auch: Wir haben alle einen anderen Hintergrund, unterschiedliche Blickwinkel und können die Diskussion auf unsere eigene Art bereichern.
Genau das ist unser Reichtum: Es gibt eine ständige Konfrontation, nie Homogenität. Das ist die Philosophie, die uns eint.
Die zebra. Redaktion ist eine weiße Realität, die versucht, sich der Vielfalt zu öffnen. Aber als Redaktion haben wir natürlich auch eine gewisse Macht: Wir entscheiden, wem wir das Wort geben, wen wir wie darstellen und wen wir hingegen nicht darstellen. Welche Gefahren birgt diese Ausgangslage?
Einerseits die Gefahr der „single story“, wie Chimamanda Ngozi Adichie erklärt: Wenn eine Geschichte von einem einzigen Blickwinkel aus erzählt wird, wird – bewusst oder unbewusst – eine bestimmte Perspektive gestärkt. Zudem kommt, dass Weiß-Sein nicht als filternde Linse, sondern als neutrale Ausgangslage wahrgenommen wird. Dabei müsste man genau dieses Weiß-Sein in den Vordergrund rücken, um die Machtverhältnisse zu dekonstruieren. Es ist wichtig, sich infrage zu stellen und auch zu verstehen, warum die Redaktion so weiß ist, wie sie diverser werden könnte und welche Maßnahmen nicht umgesetzt werden, um sie vielfältiger zu gestalten.
Max Kröll & Susan-Jolie Lechner. Gegenseitig versichert. Seit 1821.
Hinter der zebra. steht nicht nur eine Redaktion, sondern auch ein Sozialprojekt: Personen in einer schwierigen Lebenssituation und ohne stabile Arbeitsmöglichkeiten haben durch den Verkauf der Straßenzeitung die Möglichkeit, ein kleines Einkommen zu generieren. Inwiefern muss auch dieser Aspekt infrage gestellt werden? Ich nehme hier eine gegenseitige Abhängigkeit wahr. Einerseits entscheiden sich die Personen, die die Straßenzeitung verkaufen, vielleicht nicht wirklich autonom für diese Verdienstmöglichkeit, sondern deshalb, weil sie keine andere Möglichkeit sehen, um über die Runden zu kommen. Ich würde damit beginnen, den Menschen zuzuhören, um zu verstehen, ob es vielleicht andere Möglichkeiten gibt, um ihre Fähigkeiten und Bestrebungen zu realisieren.
Darum kümmert sich die Sozialarbeit, die Bedürfnisse und persönliche Entwicklung
der Verkäufer:innen in den Mittelpunkt stellt. Der Verkauf der Straßenzeitung ist also nur als Überganglösung gedacht. Sollte es diese Möglichkeit irgendwann gar nicht mehr brauchen, wäre das ein Erfolg! Habt ihr euch je gefragt, was passieren würde, wenn es die Straßenzeitung nicht mehr brauchen würde? Um bestimmte Systeme zu durchbrechen, muss man davon ausgehen, dass die Veränderungen bereits eingetroffen sind. Sonst reproduziert man ein System in der Hoffnung, dass es sich irgendwann ändern wird, ohne die Voraussetzungen dafür zu schaffen. Indem wir uns eine andere Welt vorstellen, können wir Projekte gestalten, die wirklich zukunftsgerichtet sind.
Zu einem anderen Thema: Im August 2022 wurde der in Civitanova ansässige nigerianische Staatsbürger, Alika Ogorchukwu, durch eine rassistische Gewalttat ermordet. Daraufhin haben Sie eine Kundgebung organisiert, an der in erster Linie Schwarze Personen teilnahmen. Warum war es wichtig, als geeinte Gruppe aufzutreten? Das war für mich ein großer Meilenstein.
Antirassistische Kundgebungen und Proteste werden fast immer von weißen Menschen organisiert, mit der Idee, helfen zu wollen, etwas für andere zu tun – nicht mit ihnen.
Dahinter stecken natürlich gute Absichten, aber das reicht leider nicht. Weil was
dabei passiert, ist, dass eine weiße Person einen Platz besetzt, der anderen Menschen gehört. Wenn eine weiße Person nämlich eine Kundgebung organisiert und ich – aus welchen Gründen auch immer – nicht an dieser Kundgebung teilnehme, dann bin ich diejenige, die fehlt. Diejenige, die sich nicht kümmert. Wenn eine weiße Person also das Bedürfnis verspürt zu protestieren, ist das kein automatischer Freispruch, im Gegenteil: Wird die eigene Position nicht infrage gestellt, führt es dazu, dass sich das Machtgefälle verstärkt.
Bei vielen antirassistischen Kundgebungen nehmen weiße Organisationen, Gewerkschaften oder politische Parteien mit Ihren Fahnen teil oder ergreifen das Wort. Ist das in Ihren Augen ein Problem? Ja, weil der Antirassismus zur Propaganda wird. Ein Akt des Widerstands wird dazu verwendet, ein Produkt zu verkaufen – auch, wenn dieses Produkt gewerkschaftliche Unterstützung ist. Die Kundgebung für Alika war deswegen so wichtig, weil alle Beteiligten direkt Betroffene waren. Wir wussten alle, dass jeder und jede von uns Alika hätte sein können. Wir haben diese Kundgebung nicht für andere gemacht, sondern für uns selbst. Wir hatten das Bedürfnis zu spüren, dass wir nicht alleine waren, dass wir zusammen existierten und
„Der Name der Organisation ist ein klares Statement, keine Frage.“
„Gute Absichten reichen leider nicht.“
als solche genau verstanden, was passiert war. Wir haben auch keine Medien eingeladen. Für uns war es nur wichtig, dass wir, dass unsere Körper dort vereint waren. Später haben sich auch weiße Menschen zu uns gestellt, auch das war ein wichtiger Moment. Aber das war nicht das Ziel der Kundgebung. Es war ein Moment des Widerstands, des Erkennens und der Stärke. Andere Kundgebungen sind hingegen häufig voll von Paternalismus ... „die armen Schwarzen Menschen“, wird dann gesagt.
Wie sehen Sie die Rolle weißer Personen im Kampf gegen den Rassismus?
Es wäre interessant, wenn sie den Rassismus aus ihrem Blickwinkel angehen würden. Das heißt, aus der Perspektive derjenigen, die den Rassismus aufgebaut haben und diesen – wollend oder nicht – reproduzie-
ren. Dann nimmst du nicht meinen Platz ein, sondern trägst zur Sache aus deiner eigenen Perspektive bei. Eine Perspektive, zu der ich keinen Zugang habe. Ich werde nie wissen, was es heißt, weiß zu sein. Ihr müsst das Konstrukt selbst infrage stellen. Ich kann nur erklären, wie ich dieses Machtkonstrukt erfahre.
Häufen sich auf der einen Seite die Erwartungen an Menschen mit Migrationshintergrund, so steht auf der anderen Seite die Annahme, dass es unsere Aufgabe sei, sie zu „retten“. Wo drückt sich dieser Retter-Komplex in Italien heute aus?
In wohltätigen Vereinen und NGOs! Wenn ich könnte, würde ich sie alle morgen schon schließen. Diese Organisationen brauchen die Hilfesuchenden, um selbst über die Runden zu kommen. Aber Menschen wollen
nicht immer geholfen, gerettet, verstanden oder bemitleidet werden! Das ist ja auch bei Freunden so: Sie wollen oft gar keinen Rat und auch kein Schulterklopfen. Nur jemanden, der ihnen zuhört. Oder jemanden, die mit ihnen einen Kaffee trinkt und fragt, wie es ihnen geht.
Wir schließen also die NGOs und dann?
Dann versuchen wir in erster Linie uns selbst zu helfen, uns infrage zu stellen und die Machtverhältnisse, die wir aufrechterhalten, zu dekonstruieren. Das ist ein sehr persönlicher und intimer Prozess – das hat gar nichts damit zu tun, links und rechts Workshops zu besuchen. Ich versuche in den Workshops zwar Denkanstöße zu geben, aber dann musst du dich selbst damit auseinandersetzen.
Il problema della casa in Alto Adige è tutt’altro che circoscritto. Anche per studenti e studentesse trovare alloggio a Bolzano sembra troppo spesso un’impresa impossibile. A volte alcuni*e giovani rinunciano all’iscrizione nonostante il superamento del test di ingresso per l’università, perché qualsiasi alternativa allo studentato per loro non è economicamente sostenibile. A questa sfida cerca di rispondere yost.apartaments, un servizio del MUA - Movimento Universitario Altoatesino.
große Auswahl an Jungpflanzen für eine erfolgreiche Ernte
ampia selezione di piante giovani per un raccolto di successo
large selection of young plants for a successful harvest
Attivo da maggio 2017, yost.apartments collabora con il Comune e la Libera Università di Bolzano per supportare studenti e studentesse che incontrano difficoltà a trovare un alloggio a un prezzo accessibile. “Il servizio mette in contatto proprietari di appartamenti e chi è in cerca di una sistemazione ed è totalmente gratuito”, spiega Stefano Zuliani, coordinatore del progetto.
In media ogni anno circa 500-600 studenti*esse hanno contattato yost.apartments per informazioni, mentre nel 2022 i contatti singoli hanno toccato addirittura quota 790. Tutte queste persone sono seguite fino al “match”, cioè la finalizzazione del
contratto di affitto. “Di solito si stipulano contratti brevi e di tipo transitorio (da 1 a 18 mesi non rinnovabile automaticamente) o contratti “per studenti” da 6 a 36 mesi”, illustra Zuliani.
In questi anni il portale è cresciuto molto: dai 120 match del 2020, si è passati ai 261 del 2022. Di questi, l’80 percento riguarda studenti*esse, mentre il 20 percento giovani lavoratori*rici. Durante il periodo di minore richiesta da parte di univeristari*e (da ottobre ad aprile), infatti, il servizio apre le porte anche a giovani tra i 18 e i 35 anni. Il servizio si confronta quotidianamente con le difficoltà legate alla questione abitativa in Alto Adige. Zuliani riscontra che “in generale i prezzi degli affitti negli ultimi anni sono aumentati, i proprietari sono preoccupati per l’aumento delle spese e molti di loro preferiscono adibire gli appartamenti a case-vacanza per permanenze brevi.” Secondo i dati del MUA, il prezzo medio di una stanza singola a Bolzano si aggira intorno ai 500 euro, con punte di 650 euro. Per una stanza doppia,
“Notiamo ancora oggi una generica diffidenza verso i giovani da parte di chi affitta.”
invece, si va dai circa 380 euro fino a un massimo di 440 euro a persona. Gestire un servizio di aiuto alle persone per la ricerca casa, inoltre, significa scontrarsi con una serie di chiusure su più livelli da parte di chi affitta. “Notiamo una generica diffidenza verso i giovani, l’idea che i ragazzi danneggino gli appartamenti, per cui alcuni preferiscono affittare solo a donne, e una certa discriminazione nei confronti dei cittadini extra-comunitari”, sostiene il coordinatore di yost. apartments. Proprio per cercare di arginare questi fenomeni, MUA organizza degli incontri con i*le proprietari*e, a cui partecipano anche avvocati*e che garantiscono supporto in caso di problemi con l’inquilinato, anche se, confessa Zuliani, “in questi anni su un totale di 400 appartamenti si sono verificati solo uno o due casi di questo tipo”. Questo dato conferma che spesso chi affitta si affida a pregiudizi infondati. Anche per questo fare informazione e dare supporto a tutte le parti - come fa yost. apartments - è fondamentale.
Creare relazioni e fare informazione attraverso una web radio interculturale e intergenerazionale, in grado di accendere i riflettori su una parte della società di fronte alla quale troppo spesso ci si volta dall'altro lato: alzate il volume, va in onda Radio Comini. Da febbraio, ogni lunedì pomeriggio, un gruppo di giovani bolzanini*e e ospiti del Centro di accoglienza temporaneo di via Comini – da qui il nome della radio – si incontra in un’aula al secondo piano della struttura, situata in zona industriale a Bolzano. È questo mix eterogeneo ad animare la redazione dell’emittente del Gruppo Volontarius, iniziativa ideata nel 2021 da
Silva Rotelli, direttrice artistica del Gruppo Volontarius, e coordinata da Maria Elena Crescentini dell'Ufficio Direzione Artistica e dallo streetworker (e Vicepresidente del Consiglio di Quartiere Gries-S. Quirino) Diego Laratta.
“Abbiamo scelto di predisporre la redazione e la sala di registrazione al “Comini” per promuovere la ricchezza dell’interculturalità e stimolare l’ascolto reciproco”, racconta Veronica Tonidandel, dell’Ufficio comunicazione creativa e fundraising di Volontarius. La redazione e la sala di registrazione, allestita dai*lle partecipanti, diventano quindi luoghi in cui trovare facce amiche al termine di una giornata faticosa, a volte vissuta (tutta o in parte) in strada. Nell’immaginario collettivo, i servizi di accoglienza e i*le loro ospiti sono spesso associati unicamente a deprivazione e marginalità. Radio Comini – così come le iniziative artistiche, di cura del verde
e il bookcrossing avviati all’interno della struttura – favorisce una narrazione diversa, facendo emergere gli interessi e le risorse delle persone senza dimora e dando spazio alle loro prospettive e alla loro voce. Abdul e Aldo, ospiti del Centro, sono due pilastri della “radio di strada” bolzanina: il primo arricchisce le puntate con la sua passione per la musica marocchina, mentre il secondo con il suo sguardo acuto aiuta spesso a sciogliere il ghiaccio e a creare empatia con l’ospite di puntata. “Abdul e Aldo sono parte di un gruppo molto dinamico, all’interno del quale viene favorita la conoscenza tra persone che nella quotidianità difficilmente hanno modo di frequentarsi”, sottolinea Tonidandel. È il caso di Luca, studente di 18 anni, arrivato a Radio Comini grazie al passaparola perché
“interessato a cogliere aspetti della nostra società di cui avevo solo sentito parlare o letto sui giornali e che qui ho potuto conoscere grazie alle storie e alle persone
che altrimenti non avrei avuto modo di incontrare”, afferma. Un ruolo fondamentale per confezionare le puntate di Radio Comini lo svolgono, inoltre, il tecnico Andrea Cozzo e Greta Marcolongo, artista bolzanina e vero e proprio motore del progetto, impegnata a gestire la drammaturgia e a guidare le fasi di sviluppo e registrazione di ciascun episodio. Realizzare una puntata di Radio Comini prevede tre ore di lavoro, escluso il montaggio: “la prima ora la dedichiamo a una chiacchierata informale con gli ospiti, poi stabiliamo le domande da fare in puntata così da avere una struttura ben definita per la registrazione, dopodiché entriamo in studio, dove ogni redattore e redattrice pone una domanda all’ospite e si misura così anche con alcuni aspetti prettamente tecnici della radio”, spiega Marcolongo. Le trasmissioni della seconda stagione hanno toccato diversi temi di carattere culturale e sociale: la relazione tra letteratura, musica rap e lotte sociali è stata al centro del dialogo con la scrittrice, traduttrice e docente universitaria Paola Attolino; si è parlato di scuola come luogo di apprendimento, di vita e comunità con gli insegnanti Nazario Zambaldi e Andrea Oradini; mentre il musicista Lorenzo Frizzera ha accompagnato ascoltatori e ascoltatrici in un viaggio tra i generi musicali, mettendo in risalto la capacità della musica di unire le persone. Radio Comini, inoltre, guarda sempre con attenzione al territorio, perché, afferma Marcolongo, “da un lato ci preme promuovere la cultura in luoghi in cui
di solito non arriva, dall’altro vogliamo segnalare formazioni, iniziative ed eventi che hanno luogo in provincia.”
Al termine delle registrazioni la redazione si ferma un’altra ora per programmare le puntate a venire, discutere proposte e possibili argomenti da trattare, ma soprattutto per chiacchierare e condividere un momento di convivialità.
“Mi piace poter creare qualcosa che spezzi la monotonia della 'solita' radio”.
“Io vengo soprattutto per le ragazze e i biscotti”, scherza Aldo, che tornando serio confessa di aver scelto di far parte di Radio Comini, perché “mi piace molto l’idea di creare qualcosa di diverso, proporre tematiche che spezzino la monotonia della ῾solita᾽ radio”.
La finestra dello studio di registrazione di Radio Comini affaccia sulla sala che ospita il dormitorio della struttura. Per l'etnomusicologo Gianpaolo Chiriacò, che con Greta Marcolongo ha accompagnato la seconda stagione della radio di strada, è proprio questa finestra il simbolo del progetto. Puntata dopo puntata, attraverso momenti di socialità, infatti, Radio Comini avvicina mondi apparentemente lontani e
prova a ridurre la distanza tra la società e chi si ritrova, suo malgrado, ai margini. A chi si sintonizza sulle frequenze di Radio Comini il compito di cogliere l’invito della redazione e provare ad aprire, oltre alle orecchie, anche gli occhi.
Radio Comini – La radio di strada è un progetto della Società Cooperativa Sociale River Equipe e dell’Associazione Volontarius ODV ed è ideato da PianoB –Social Design, tutti e tre membri del Gruppo Volontarius. Il progetto è finanziato dall’Azienda Servizi Sociali di Bolzano (ASSB).
Le puntate della trasmissione sono disponibili sul sito www. gruppovolontarius.it e su Spotify. I podcast della terza stagione, attualmente in produzione, saranno disponibili dal prossimo autunno.
Se potesse scegliere, in quale secolo vorrebbe vivere?
# ©Anna Mayr
∞Da 1 a 10: livello di senso dell'umorismo del personale di Bad Bachgart? # 21
“Anche se da bambino avevo talento nel disegno, già alle elementari sapevo che avrei svolto una professione in cui il dialogo sarebbe stato fondamentale”, racconta Martin Fronthaler, psicologo e terapeuta sistemico familiare, dal 2020 direttore del Centro Terapeutico Bad Bachgart di Rodengo. La struttura dell’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige conta 65 posti letto e ha come obiettivo la cura residenziale intensiva e globale di depressione, dipendenze e disturbi psichici e psicosomatici. “A Bad Bachgart ogni cliente è accompagnato*a da una psicologa e da un medico”, spiega Fronthaler, “attorno alle quali la nostra equipe multidisciplinare costruisce un intervento che prevede anche tecniche di rilassamento, ergoterapia, yoga, terapia di scrittura e interventi assistiti con animali.” Rispetto allo stigma che ancora oggi accompagna la malattia mentale, Fronthaler è ottimista, perché “la consapevolezza in questo ambito sta aumentando grazie alle giovani generazioni, per le quali andare dallo psicologo non significa essere sbagliati, ma aiuta a guardarsi dentro per stare meglio con sé stessi e gli altri.”
Quanti animali vivono a Bad Bachgart? #16
Media voto della sua carriera scolastica?
# 8
In percentuale: nel corso della sua carriera in quanti pazienti ha visto sorgere nuovi talenti? #85%
Quanti notti insonni a causa del suo lavoro nel 2022?
Quante volte al giorno sente utilizzare la parola “matti”? #1-2 # 3
Quanti*e pazienti ha accolto Bad Bachgart dal 2001 a oggi?
#8.000
Quante settimane di attesa per accedere a Bad Bachgart? #4-6
Quanti libri legge in un mese?
# 1
Quante volte nell’ultimo anno si è trovato senza parole durante una seduta?
Quanti minuti sorride ogni giorno? #90 # 10
Quante volte al giorno bussano alla porta del suo ufficio?
Quanti caffè beve ogni settimana? # 0
# 21
Es gibt eine Parallele zwischen Kinderbetreuung und Pflege. Beide sind weiblich. Und das nicht nur im grammatikalischen Sinn. Letztere ist zudem fast unsichtbar. Für dieses länderübergreifende Phänomen gibt es viele Gründe und hoffentlich bald genauso viele Lösungen.
Arbeit. Vielen Menschen sind Mechanismen der WER ÜBER DEN TELLERRAND BLICKT, HAT MEHR VOM LEBEN.
Was mich antreibt, ist das Streben nach Gerechtigkeit, etwa bei der Gleichstellung der Geschlechter. Dass ich gelernt habe, wie viel mehr man oft durch Diplomatie und Empathie erreicht als dadurch, mit dem Kopf durch die Wand zu wollen, verdanke ich auch meiner Arbeit. Vielen Menschen sind Mechanismen der Benachteiligung einfach nicht bewusst, doch sie sind sehr wohl für Argumente empfänglich. Deswegen begeistert es mich, wie gut Zebra Überzeugungsarbeit leistet.
Verena Polli Projektmanagerin
Durch Worte entstehen Bilder im Kopf. Auch beim Thema „Vereinbarkeit Familie und Beruf“ entsteht ein ganz klares Bild in den Köpfen der Menschen. Meist zeigt es die klassische junge Familie, in welcher die Frau Teilzeit arbeitet, mittags das Kleinkind aus der Kita abholt und später ein zweites Kind bei den Hausaufgaben betreut. In modernen Köpfen entstehen Bilder von beiden Elternteilen, die sich anhand flexibler Arbeitszeitsysteme gleichermaßen an der Erziehungsarbeit beteiligen. Selten wird ein Bild gemalt, das auch die Pflege älterer Familienmitglieder gedanklich berücksichtigt. Verwunderlich, denn wie es für ein Kind sprichwörtlich ein Dorf braucht, um es großzuziehen, braucht es dieses Dorf auch in der Pflege unserer älteren Mitmenschen. Und die wird im Vergleich zur Betreuung von Kindern in den Jahren bekannterweise im zeitlichen Ausmaß nicht weniger, sondern mehr und intensiver. Was sie gemein haben, ist, dass auch im Jahr 2023 die Pflegearbeit wie die Arbeit mit Kindern, beruflich oder familiär, mehrheitlich den Frauen zugeordnet wird. Das kommt nicht von ungefähr. Bereits in der Erziehung werden Mädchen traditionell mehr in ihrer Sozialkompetenz und Empathie-Fähigkeit geschult. Expert:innen bestätigen: Je häufiger Kinder mit einem gegenderten Spielzeug spielen, desto mehr stärken sie damit verbundene Fähigkeiten. Mit diesem Wissen wird klar, dass Mädchen, die ihre Puppen umsorgen und in der Spielküche kochen, von ihrem Umfeld für Sozialberufe prädestiniert
werden, während Buben sich durch das Bauen von Lego-Schlössern und Kriegsspiele ganz andere Kompetenzen aneignen. Die Altenpflege ist einer dieser möglichen Berufe mit sozialem Charakter. Hier ist unsere Gesellschaft sehr stark auf Frauen angewiesen, wobei sich Südtirol und Italien diesbezüglich nicht von anderen Ländern unterscheiden. Internationale Statistiken zeigen, dass sowohl die Kinderbetreuung als auch die Pflege fest in Frauenhand liegen. In Österreich sind beispielsweise 80 Prozent der Pflegekräfte weiblich. Viele von ihnen arbeiten in Teilzeit. Die Gründe dafür sind nicht neu: Die meisten Einrichtungen sind unterbesetzt und verlangen zehrende Arbeitszeiten. Auch dieses Problem ist länderübergreifend. Dazu kommt, dass die Arbeit im Pflegebereich körperlich wie emotional sehr fordernd ist und viele den physischen und psychischen Belastungen keine 40 Stunden standhalten können. Südtirols Soziallandesrätin Waltraud Deeg betont: „Jeder Mensch hat Anrecht auf eine gute, qualitativ hochwertige und menschliche Pflege, sobald er oder sie dies benötigt.“ Doch die Umsetzung bleibt schwierig. Aktuell leben in Südtirol circa 16.000 pflegebedürftige Menschen. Nur etwa ein Viertel davon sind in Seniorenwohnheimen untergebracht. Wer die Wahl hat, wird lieber zu Hause alt, auch wenn sie oder er dazu allein nicht im Stande ist. Die Mehrheit ist deshalb auf häusliche Pflege angewiesen: 40 Prozent werden von verschiedenen Pflegediensten, wie beispielsweise der Hauspflege unterstützt. Die übrigen 60 Prozent werden durch die hingebungsvolle Unterstützung von Familienangehörigen und „Badanti“ gepflegt. Meist handelt es sich bei Letzteren nicht um einheimische Pflegekräfte, sondern zunehmend um Menschen (vorwiegend
auch hier Frauen) aus dem Ausland. Oder wie Barbara Plagg es zuletzt spitz, aber treffend beim FF-Talk im April beschrieb: „... von den einzigen Ausländer:innen, die uns gut gehen.“
Mädchen in ihrer Sozialkompetenz geschult.
Die Tatsache, dass die Altenpflege in den Bildern in unseren Köpfen oft fehlt, zeigt, wie unsichtbar ältere Menschen und ihre Pfleger:innen in unserer Gesellschaft sind. Selten ist der Blick auf sie und auf ihre Bedürfnisse gerichtet. Anders als für Eltern, die beispielsweise in Eltern-Kind-Zentren gehen können, fehlen für Pflegende sämtliche soziale Strukturen. Bedenkt man, welch zentrale Rolle diese Gruppe übernimmt, wird klar, dass eine bessere Unterstützung, Entlastung und Integration dieses Teils unserer Gesellschaft zentrale Ziele der Pflegestrategie der kommenden Jahre werden müssen. Denn anders als in anderen Bereichen ist eine Abhilfe durch den technischen Fortschritt nur begrenzt zu erwarten. „Pflege erfolgt von Menschen für Menschen und muss menschlich bleiben“, so Ulrich Seiz, Präsident der Südtiroler Alzheimervereinigung. Und das verlangt Zeit und humane Fürsorge. Es gilt also auf die Menschen zu schauen, die derzeit auf unsere Liebsten schauen.
Dopo la laurea in Scienze Politiche, Katja Holzner ha portato a termine una formazione specifica in materia di mediazione penale e dal 2009 è mediatrice presso il Centro di giustizia riparativa della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, attivo da quasi vent’anni sul territorio regionale.
zebra.: Qual è la procedura standard per l’avvio di una mediazione penale?
Una somma di denaro basta a risarcire una persona vittima di reato? E per chi il reato lo ha commesso, è sufficiente scontare la propria pena per riparare al danno provocato? Dalla fine degli anni ’80 a livello internazionale si è cominciato a parlare di giustizia riparativa, un modello di giustizia basato sul dialogo e l’ascolto tra vittima e reo.
Nel 2012 una direttiva UE ha sancito che le vittime di reato vanno tutelate con supporto e assistenza, anche psicologica. Ad oggi in Italia la “giustizia riparativa” è prevista per le persone autrici di reato condannate a meno di 4 anni. Con la legge Cartabia, che entrerà in vigore a luglio, la giustizia riparativa sarà introdotta ufficialmente nel sistema di giustizia penale.
L’esempio di Padova
Di giustizia riparativa a Padova si parla dall’inizio degli anni ‘2000, grazie all’impegno dell’Associazione Granello di Senape e di “Ristretti Orizzonti”, il giornale della casa
di reclusione di Padova e dell’Istituto di pena femminile di Venezia. La redazione è composta da detenuti e volontari e, da più di vent’anni, il periodico è un punto di riferimento per le tematiche riguardanti il carcere e non solo. L’impatto sociale di questo lavoro culturale è evidente nel modo in cui oggi la città accoglie e parla di questi temi. È qui che nel 2018 nasce il Centro per la mediazione sociale e dei conflitti: un servizio promosso da Granello di Senape e finanziato dal Comune. Da gennaio 2023, l’attuale Centro di giustizia riparativa e mediazione è gestito dalla neonata cooperativa sociale “La Ginestra” e offre, tra le varie attività, incontri di mediazione, accoglienza e ascolto delle vittime di reato e supporto
Katja Holzner: Il nostro ufficio riceve l’invio dalla procura della Repubblica presso il tribunale dei minorenni o dall’ufficio servizio sociale per i minorenni, dagli uffici del giudice di pace o da quelli dell’ufficio esecuzione penale esterna. A quel punto contattiamo le persone coinvolte invitandole a un colloquio individuale. Illustriamo il principio della giustizia riparativa, i suoi meccanismi e ascoltiamo il loro punto di vista. Se entrambe le parti dono disponibili, si organizza l’incontro congiunto in cui ciascuno*a espone il proprio punto di vista sulla vicenda del contendere. Solo in un secondo momento si cerca di instaurare un dialogo tra le parti per riflettere insieme sulle possibili modalità di riparazione.
Che ruolo svolge come mediatrice nella gestione di un conflitto?
Chi svolge la mediazione non deve giudicare, né prendere posizione. Si tratta di un ruolo di supporto alla comunicazione tra le persone. L’obiettivo è facilitare l’incontro tra due o più parti e non bisogna dare suggerimenti, ma lasciare che siano loro le parti attive, perché tocca a loro decidere cosa proporre, dove andare e soprattutto dove arrivare.
C’è un’esperienza di mediazione che ricorda volentieri?
Le mediazioni che mi toccano di più sono quelle che portano a degli sviluppi inaspettati. Mi ricordo il caso di un incidente sul lavoro, dopo il quale le due persone coinvolte non si sono parlate per quasi dieci anni pur abitando vicine. All’epoca la persona offesa era molto giovane e il datore di lavoro aveva comunicato quasi esclusivamente con i suoi genitori. Con lui non c’era mai stato un incontro o una telefonata; quindi, ognuno si era solamente costruito un’immagine dell’altro. Durante l’incontro è emerso che le cose erano andate diversamente da come loro se l’erano immaginate. È stato bello vedere che anche in situazioni dove il risarcimento era stato ormai definito, l’incontro abbia fatto stare meglio tutte e due le parti, anche a distanza di tanti anni dall’accaduto.
A che punto è l’Alto Adige in materia di giustizia riparativa?
Bisogna lavorare molto a livello culturale e attivarsi in un’opera di sensibilizzazione. Forse è un tema che la cittadinanza percepisce come lontano, perché si è abituati*e a delegare ai tribunali, al giudice o all’avvocato. Noi cerchiamo di avvicinare le persone alla giustizia riparativa attraverso alcune iniziative di sensibilizzazione.
Quali?
Dal 2018 abbiamo avviato un protocollo con la Procura Generale e le procure di Trento, Bolzano e Rovereto che per la prima volta dà la possibilità alle vittime di un reato di rivolgersi direttamente a noi. In provincia poi è stato avviato il progetto “Cassa Ammende”, che ha portato la giustizia riparativa sul territorio per sensibilizzare e diffonderne i principi e lo spirito. In due
Comunità comprensoriali – Valle Isarco e Burgraviato – sono stati aperti degli sportelli e in questi territori ora sono maggiori le richieste di mediazione. Inoltre, a Bolzano gestiamo due gruppi di riflessione sulla giustizia riparativa che si incontrano una volta a settimana: uno costituito da persone in esecuzione penale (misura alternativa) e l’altro da persone detenute in carcere. Nei gruppi ascoltiamo storie di vittime di reato, di persone che hanno fatto percorsi di giustizia riparativa e usiamo la scrittura autobiografica.
Quale vantaggio può trarre una persona dalla giustizia riparativa?
Chi accetta la mediazione si mette in gioco per risolvere il conflitto col dialogo e così facendo vive un momento di crescita personale. Anche se l’esperienza può concludersi diversamente da come ci si aspettava, l’incontro permette di porre il fatto reato in un momento passato e consente – sia alla vittima, sia a chi ha recato l’offesa – di andare avanti.
agli autori di reato nell’individuazione di attività riparative.
“Il centro”, racconta Giuseppe Ceravolo, mediatore e vicepresidente della cooperativa, “si occupa di mediazione sociale grazie al protocollo con il Comune e alle segnalazioni della Polizia Locale, mentre per la mediazione penale collabora con l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna.” La mediazione sociale, nella maggior parte dei casi, riguarda conflittualità tra condomini. Una volta ricevuto l’esposto, il Centro contatta le due parti per proporre loro un colloquio preliminare dove ognuna “trova lo spazio d’ascolto per raccontare la propria versione dell’accaduto”, afferma Ceravolo. Nello stesso modo vengono contattate le parti per la mediazione penale che, tuttavia, è più complessa. Giusy Seminara, psicologa di comunità e socia de “La Ginestra”, sottolinea che “per un autore di reato spesso viene richiesta la mediazione con l’idea che possa portare a dei benefici in termini processuali,
come previsto anche dalla legge Cartabia.” Questo aspetto va in contraddizione con i principi della giustizia riparativa, che dovrebbe avere il carattere della volontarietà. Malgrado questo, la mediazione resta importante, “perché dà alla persona l’opportunità di ascoltare la voce della vittima e riflettere così sul reato commesso”, sostiene Seminara. La differenza tra mediazione sociale e penale sta proprio in questo: nell’ambito penale c’è effettivamente un reato, mentre in quello sociale si affrontano conflitti quotidiani che, anche se apparentemente semplici, risultano più difficili da mediare.
Alla giusta distanza
Se entrambe le parti sono d’accordo, dopo il primo colloquio si arriva in mediazione: uno spazio d’ascolto, dove il giudizio viene meno, che vede la presenza di tre mediato-
ri*rici. Solo uno*a dei tre partecipa anche ai colloqui preliminari. “In totale sono coinvolti cinque mediatori”, afferma Ceravolo, “tre nel primo colloquio e tre in mediazione”. Ci sarà sempre una persona che conosce tutta la storia, ma l’interscambiabilità dei mediatori e delle mediatrici è fondamentale: il punto di vista sul racconto deve essere il più neutrale possibile. I mediatori sono “terzi imparziali” e applicano il principio dell’“equiprossimità”, che significa mantenere la stessa distanza da entrambe le parti. La mediazione si fonda inoltre sul “qui ed ora”: il mediatore deve avere la capacità di cogliere gli stati d’animo della persona in quel preciso momento e restituirli attraverso il “sentito”. Questo significa che “se durante il discorso si riconosce della paura, compito del mediatore è farla emergere dicendo 'sento della paura'”, spiega Ceravolo. I “sentiti” danno ritmo alla mediazione e permet-
tono alle persone coinvolte di esternare le proprie emozioni, rifletterci e risignificarle. La mediazione inizia con il racconto del conflitto da parte di entrambe le parti. Il mediatore memorizza quanto ascoltato e, senza interpretazioni o giudizi, lo riassume. A questo punto arriva il primo “sentito” che dà inizio al confronto. “Il “sentito” ha la funzione di portare la persona a riflettere sul perché, ad esempio, dal suo racconto è emersa rabbia”, evidenzia Seminara, perché “anche la negazione di quell’emozione può essere importante: non sono arrabbiata, sono triste”. Il fine della mediazione non è il perdono e nemmeno la punizione, ma il riconoscimento. “Alcune mediazioni possono finire con una stretta di mano e la decisione di non vedersi mai più”, racconta Ceravolo, “altre volte le parti decidono di compiere un gesto simbolico e riparatorio: in entrambi i casi la mediazione è andata a buon fine.”
Come uno specchio
Per far sì che le due parti possano incontrarsi e riconoscersi il ruolo di chi media è fondamentale. “Nella mediazione ti poni in ascolto dell’altro in modo totalmente nuovo”, racconta Gabriella Spiga, psicologa e operatrice di Servizio Civile Universale presso il Centro, che sottolinea quanto “nella vita di tutti i giorni cerchiamo sempre di attribuire un nostro significato a quanto ci viene detto, mentre l’“ascolto empatico” tipico della mediazione modifica questa prospettiva.” I mediatori e le mediatrici sono persone formate per supportare e accompagnare le parti in un processo di reciproco ascolto e riconoscimento, libero da qualsiasi giudizio o interpretazione. “La mediazione ha l’obiettivo dare un nuovo valore al conflitto e di portare al riconoscimento reciproco” afferma Spiga, “per questo si dice che il mediatore deve essere uno specchio: l’altra persona in te deve rivedere sé stessa, non un’interpretazione di quanto ha detto. Io come mediatrice sono lì perché la persona possa specchiarsi in me e per restituirle la
sua storia, come un riflesso che da opaco diventa un po’ più limpido”.
Una giustizia di comunità
“Per riparare a un danno che, ad esempio, ha contribuito ad accrescere la paura in quartiere non basta mettere qualcuno in carcere”, afferma Ceravolo. Ecco perché nella “riparazione” va coinvolta la comunità. L’obiettivo del “Community Group Conference”, uno strumento della giustizia riparativa che quest’anno verrà riproposto a Padova per la terza volta, è proprio questo. Il “Community Group Conference” coinvolge tre gruppi: cittadinanza, operatori e operatrici della giustizia e un gruppo di autori di reato, per la maggior parte persone “messe alla prova”. Dopo quattro incontri con i singoli gruppi, dove si affrontano i temi della giustizia riparativa quali la mediazione e l’ascolto, seguono due incontri in plenaria. Nel primo incontro i tre gruppi hanno modo di confrontarsi sul percorso fatto, mentre il secondo prevede una simulazione di mediazione pubblica che, spesso, diviene una mediazione vera e propria. Nell’ultima edizione questo è avvenuto tra una signora vittima di reato e una persona messa alla prova che aveva commesso un reato simile. “Nonostante le parti non si conoscessero, c’è stata una mediazione a tutti gli effetti perché entrambi si sono ascoltati e riconosciuti”, afferma Seminara. La comunità sottolinea la psicologa, “oltre a risentire del reato commesso, ne è in qualche misura responsabile: il senso del conference è compiere atti di giustizia riparativa, accogliere la persona che ha commesso un reato e dare modo di riparare a quanto fatto, al contempo sensibilizzando la cittadinanza.” La società è sia ferita sia responsabile poiché, continua Seminara “risente del reato insieme alla vittima, ma è anche il primo approdo di chi una volta scontata la pena deve risocializzarsi”.
“La mediazione”, afferma Spiga, “è uno
spazio di libertà dove vengono meno i ruoli predefiniti di vittima e colpevole.” La giustizia riparativa interrompe una narrazione a senso unico e permette alla persona che ha commesso un reato di guardarsi con gli occhi di chi quel reato lo ha subito e, al contempo, lascia spazio e voce alla vittima che può ascoltare la storia di chi le ha fatto un torto. Questo approccio può diventare utile anche nel quotidiano e nella gestione del conflitto più semplice, poiché cambia la relazione con gli altri e loro emozioni, ma anche con sé stessi. Secondo Seminara, grazie alla mediazione “riuscire a riconoscere e ad ascoltare empaticamente le emozioni dell’altro diventa sorprendentemente semplice.” Abituati ad una quotidianità dove è automatico schierarsi, indossare le lenti della giustizia riparativa può cambiare il paradigma e permetterci di guardare al conflitto come a una crepa, certo, ma da riparare insieme.
Ha imparato quanto è importante ascoltare per capire, non per rispondere.
Il fine della mediazione non è il perdono, ma il riconoscimento reciproco.
“La mediazione è uno spazio di libertà dove vengono meno i ruoli di vittima e colpevole”
Fesselungen: Eine gewaltsame Art der Normalisierung
Fesselungen und Fixierungen sind eine gängige Praxis, um Menschen in ihrer Bewegungsfreiheit einzuschränken. Zu ihrem Schutz – heißt es. Und zum Schutz anderer gegenwärtiger Personen. Gleichzeitig sind sie eine gewaltsame Form der Diskriminierung, die katastrophale Folgen haben kann.
Eine Frau in verwirrtem Zustand wurde am 8. März von drei Polizisten in Bozen vor den Augen der Öffentlichkeit zu Boden gebracht und mit Handschellen festgehalten. Warum es notwendig sei, mit solcher Gewalt mit der Frau umzugehen, fragten Demonstrierende eines transfeministischen Protests. Der Frau ginge es nicht gut, sie sei ihnen bereits bekannt, halte den Verkehr auf,
laufe gegen Autos, habe ihre Medikamente nicht genommen, sie müssten sie schützen ...
Reichen diese Rechtfertigungen aus, um einen vulnerablen Menschen mit Gewalt über einen längeren Zeitraum in ihrer Freiheit einzuschränken? Wer entscheidet darüber, ob Gewalt legitim ist?
Um Frieden und Ordnung zu garantieren, hat allein der Staat die Macht und Legitimation, physische Gewalt anzuwenden. Ausüben darf der Staat dieses Gewaltmonopol allerdings nur zu vom Gesetz definierten Zwecken. Sowohl der anfangs beschriebene unmittelbare Zwang vonseiten der Polizisten als auch die Einschränkung der Bewegungsfreiheit in Einrichtungen durch Fixierung mit Handschellen, Gurten und Ähnlichem sind Formen von Gewalt, welche nur unter bestimmten Umständen erlaubt sind.
Provinz von Salerno gefesselt worden war. Der Fall, der im Film „87 ore“ dokumentiert wird, kam vor Gericht. Das Urteil zum Fall Mastrogiovanni legte 2018 den Grundstein für die heutige Rechtslage zum Einsatz von Fesselungen: Laut Art. 54 des italienischen Strafgesetzbuchs ist der Einsatz von Gewalt nur dann nicht strafbar, also legitim, wenn ein Notstand besteht. Die Kernelemente dieses Notstandes sind (a) die gegenwärtige Gefahr eines ernsthaften Schadens für eine oder mehrere Personen; (b) die Unvermeidbarkeit der Gefahr andernfalls und (c) die Verhältnismäßigkeit der Handlung. Das Prinzip der Verhältnismäßigkeit schützt die Betroffenen vor exzessiven Eingriffen – die eingesetzte Gewalt muss im Verhältnis zu einer „punktuellen” und „detaillierten” gegenwärtigen Gefahr stehen. Präventives Fesseln ist demnach nicht zulässig. Darüber hinaus muss die Gefahr über einen längeren Zeitraum als solche wahrgenommen werden und setzt daher eine ständige Überwachung der betroffenen Person voraus.
trogiovanni war weder der Erste noch der Letzte, der in einer Pflegeeinrichtung gefesselt starb.
Zudem kommt: Wird die Bewegungsund Entscheidungsfreiheit einer Person eingeschränkt, gleicht die Verarbeitung dieser Erfahrung der Verarbeitung eines Traumas, da die Fesselung einen fragilen Zustand der Person impliziert. Wissenschaftliche Studien belegen, dass viele Betroffene später nicht wissen, was wirklich passiert ist und warum und von Zweifeln und Schuldgefühlen geplagt werden. In manchen Fällen werden Personen an der Befriedigung der eigenen Grundbedürfnisse – Essen, Trinken oder dem Besuch der Toilette – gehindert.
zum Schweigen.
Von Fixierung oder Fesselung (contenzione meccanica auf Italienisch, physical restraint auf Englisch) betroffen sind hauptsächlich pflegebedürftige Personen, die ohnehin schon sozial benachteiligt sind und aufgrund von gesellschaftlichen Barrieren weniger selbstbestimmt leben können: Menschen, die als alt, behindert und/oder psychisch krank kategorisiert werden. Viele sind sich ihrer Rechte nicht bewusst oder haben keine Möglichkeit, diese zu verteidigen. Wenn sich keiner für ihre Würde einsetzt, sind sie der gegen sie angewendeten Gewalt und deren Folgen oft schutzlos ausgesetzt.
Klare Rechtslage
Am 4. August 2009 verstarb Franco Mastrogiovanni, nachdem er 87 Stunden lang an ein Bett in der psychiatrischen Abteilung des Krankenhauses „San Luca“ in der
Das Urteil des Obersten Gerichtshof zum Fall Mastrogiovanni präzisiert außerdem, dass körperliche Fixierung keine „medizinische Maßnahme“ darstellt, da der Eingriff weder Heilungszwecke verfolgt noch den Gesundheitszustand der Person verbessert. Die Fixierung hat eine bloße Vorsorgefunktion, die dazu dient, die körperliche Unversehrtheit der gegenwärtigen Person zu schützen. Ein Arzt, der eine Fesselung ohne Notstand vornimmt, begeht also eine Straftat.
Tiefgreifende Folgen für Betroffene Der Strafbestand existiert nicht ohne Grund: Diese Art von Freiheitsentzug kann dazu führen, dass sich der psychophysische Zustand einer Person stark verschlechtert. Fixierung kann zu direkten Verletzungen wie zum Beispiel Risswunden, Abschürfungen und Stauchungen führen. Indirekte Verletzungen hingegen umfassen Druckgeschwüre, Stürze und verlängerte Krankenhausaufenthalte. Franco Mas-
Die Wut, der Schmerz, die Hilflosigkeit und die schiere Demütigung, die Menschen durch Fesselungen erfahren müssen, können tiefgreifend sein. Die Scham über die Entwürdigung, die Betroffene aufgrund ihres Zustands durch die gewaltsamen Maßnahmen hinnehmen müssen, führt in vielen Fällen zum Schweigen. Dadurch werden sie auch nach der Zeit der Fesselungen, in der sie ohnehin nicht selbstbestimmt existieren dürfen, daran gehindert, sich für ihre Rechte einzusetzen. Zudem stärken Fesselungen den Widerstand gegen die Inanspruchnahme von psy* Diensten und die Stigmatisierung psychischen Leidens. Werden Betroffene gewaltsam aus dem Entscheidungsprozess ausgeschlossen und wird kein Dialog mit ihnen angestrebt, kann sich das negativ auf das Vertrauensverhältnis zwischen ihnen und dem Pflegepersonal auswirken. Die negativen Folgen reduzieren sich dabei nicht nur auf die zu pflegenden Personen: Eine rezente Studie im „Journal of Psychiatric and Mental Health Nursing“ zeigt, dass Fesselungen schwerwiegende moralische Konflikte beim Pflegepersonal verursachen können. Um die Sicherheit aller ohne Fesselungen gewährleisten zu können, sind strukturelle Veränderungen, mehr Personal und Weiterbildungen nötig. Diverse Studien bestätigen aber auch, dass Momente der Unruhe bereits durch
Seit 2021 wird die Abschaffung von Fesselungen in psychiatrischen Einrichtungen in Italien durch eine öffentliche Initiative angestrebt. Dadurch sollen das Thema Fesselungen auf der Grundlage wissenschaftlicher Erkenntnisse vertieft und operative Empfehlungen formuliert werden. Dazu gehören Schulungsmaßnahmen für alle Betroffenen und die Organisation integrierter, inklusiver und lokal verwurzelter Dienste für psychische Gesundheit. Schließlich gilt es auch, Krisen – und somit auch Fesselungen – allgemein präventiv entgegenzuwirken.
Zuhören und Verstehen besänftigt werden können – dies war auch bei der am 8. März gewaltsam festgehaltenen Frau der Fall.
Ohne Gewalt? Geht!
2015 prangerte die italienische Kommission für Bioethik die Fesselung von psychiatrischen Patienten und älteren Menschen in einer öffentlichen Stellungnahme an: Die Öffentlichkeit nehme das schwerwiegende Problem nicht ernst; es fehlten diesbezügliche Untersuchungen und Daten. Wir wissen aber, dass es möglich ist, auf die Fesselung von Menschen zu verzichten. Erfolgreich durchgeführte Programme zur Überwachung und Reduzierung dieser Praxis bestätigen diesen Hinweis. Die Psychiaterin Michela Nieri berichtet von den sogenannten „no restraint-Abteilungen“, wo ohne Fesselung und mit offenen Türen gepflegt wird. Hier sind Beziehungsarbeit und Kommunikation besonders wichtig. Laut Daten aus der psychiatrischen Klinik in Ravenna können durch den Abbau der Fesselungspraxis sogar Personalausfälle reduziert und Kosten eingespart werden, da
Verletzungen verhindert und Aggressionen gegen das Personal reduziert werden. In Italien werden aktuell aber nur in etwa 10 der 323 psychiatrischen Kliniken keine Fesselungen vorgenommen. Zudem wird der Einsatz von Fesselungen trotz mangelnder gesundheitlicher Funktion noch immer ans Pflegepersonal unterrichtet. Laut Giorgio Bert, Arzt und Universitätsprofessor, ist diese Praxis eine gewaltsame Art der „Normalisierung“ von Seiten derer, die die Macht dazu haben, die Norm festzulegen. Betroffen sind hingegen pflegebedürftige Menschen, deren Interessen aufgrund ihres Zustandes und der damit einhergehenden gesellschaftlichen Position kaum politische Vertretung finden.
Wo bleibt die Würde?
Pflegebedürftige Menschen sind Gewalt also häufiger ausgesetzt als andere. Noch
wird der Einsatz von Fesselungen in Italien hauptsächlich im Zusammenhang mit psychiatrischen Kliniken thematisiert. Allerdings sind auch Menschen mit Behinderung(en) und ältere Menschen unverhältnismäßig stark von dieser Gewalt betroffen. Sie haben oft noch weniger Möglichkeiten, sich zu verteidigen. Es muss also ein Paradigmenwechsel stattfinden: Jegliche Art von Pflege und Hilfe muss dem Respekt, der Autonomie und der Würde der betroffenen Person untergeordnet werden. Die Grundlage muss die Wahrnehmung anderer als Menschen sein, sind sich die Bioethikkommission und Slegalosubito* einig. „Die Person in einer Krisensituation ist nicht ihre Störung oder Diagnose, sie ist nicht ihre Krankheit. Ich habe eine Person mit ihrem ganzen erlebten Leiden vor mir,“ bringt es Nieri auf den Punkt.
*Slegalosubito ist eine nationale Organisation, die sich für die Abschaffung von Fesselungen einsetzt. Sie nutzen das Wort „legare“ anstatt „contenzione“ und sprechen von „gebändigten Körpern“ (corpi domati), um auf den Machtübergriff auf wehrlose und vulnerable Personen aufmerksam zu machen. Der Weg zum Schutz vor Gewalt für alle ist noch ein weiter. Auch du kannst zur Veränderung beitragen, indem du das Thema sichtbar machst und ansprichst. Du kannst Slegalosubito mit deiner Unterschrift und einer Spende unterstützen und dich auf der Website über weitere Handlungsmöglichkeiten informieren.
Hier findest du ein Video zum Thema.
M. ist eine junge Frau, die viele Jahre in verschiedenen Pflegeberufen gearbeitet hat. Vor Kurzem hat sie sich vom Sektor – nicht aber von der Pflege – abgewandt und blickt nun für die zebra. auf ihre Erfahrungen zurück.
... sind Mitglieder bei den Raiffeisenkassen. Und damit Teil starker Genossenschaftsbanken. Wir reden und entscheiden mit. Wir stehen für Vielfalt und Wachstum und leisten somit unseren Beitrag lokal vor Ort. Mit uns wird Zukunft gebaut. Und darum geht es auch bei der Mitgliedschaft. www.raiffeisen.it
Wo soll ich anfangen? Ich finde es wichtig, dass über Pflege gesprochen wird und dass ich meine Erfahrungen mit euch teilen kann. Wer mit anderen Dingen beschäftigt ist, verliert leider oft den Blick für die Pflege und Hilfe, die gebraucht werden. Mir hat es immer sehr viel Freude bereitet, Menschen helfen zu können. Deshalb habe ich eine Ausbildung zur Krankenpflegerin gemacht. Aber als ich dann im Krankenhaus gearbeitet habe, hat mich das Verständnis von Gesundheit und Pflege, das ich dort vorgefunden habe, schnell abgeschreckt.
Es gab wenig Zeit und viel zu tun. Medikamentöse Therapien wurden schnell und
gut verabreicht. Aber der Rest kam zu kurz. Ich hatte immer das Gefühl, mich nicht wirklich um die Pflege und Gesundheit eines Menschen kümmern zu können. Menschen wurden wie Maschinen behandelt. Es herrschte viel Unzufriedenheit und kaum Aussicht auf Besserung: Die Dienstpläne waren festgefahren und es gab keinen Spielraum für Veränderung. Manche hätten beispielsweise gerne ein Essen ausgelassen oder sich nur jeden zweiten Tag gewaschen. Aber hier gab es keine Flexibilität.
Ich habe also meinen Job im Krankenhaus gekündigt. Trotzdem zog es mich immer wieder in diesen Bereich: Ich war in der Kranken-, Alten- und Kinderpflege beruflich tätig und privat in der Haus- und Umweltpflege. Ich wollte mit dem, was ich tue, etwas Gutes hinterlassen. Das gelang mir nicht immer. Ich stieß überall auf Verletzungen, die wegen mangelnder Fürsorge nicht mehr geheilt werden konn-
ten. Fürsorge, damit meine ich jemandem zuzuhören, der Person etwas zu kochen, mit ihr zu essen, ihr aufs Klo zu helfen oder ein Bild zu schenken. Fürsorge hat weniger mit Zeit und Geld zu tun als mit Mitgefühl und Verständnis. Nur lässt unser System das nicht zu. Wir wollen, dass alles koordiniert und konditioniert wird. Natürlich braucht es Menschen, die den Überblick behalten und schauen, dass alles gut abläuft. Aber gleichzeitig fühle ich, dass genau diese Koordinierung zu einer endlosen Schleife führt, die uns wegschauen lässt.
Ich bin heute nicht mehr in diesem Bereich tätig und schaffe es oft gar nicht mehr, mich um meine Liebsten zu kümmern. Aber ich versuche, jeden Schritt bewusst zu setzen, sodass Fürsorge zum Selbstverständnis wird; zu einem strömenden Fluss, der irgendwann auch mich mitreißt.
Teilst du mit mir? von Katie Daynes
Usborne, 2022
Warum sollte ich teilen? Unter 40 Klappen findest du heraus, warum teilen so wichtig ist und unser Zusammenleben mit Menschen und anderen Lebewesen bereichert. Die verkannten Grundlagen der Ökonomie: Wege zu einer Caring Economy von Riane Eisler Büchner, 2020
An der Wurzel jeder Ökonomie, die Ungleichheit, Armut und Zerstörung produziert, ist eine Gesellschaft, die Frauen und die ihnen überantwortete Care-Arbeit abwertet. Jede progressive und nachhaltige Ökonomie muss den Bereich der Fürsorge für andere wieder in das ökonomische Denken hereinholen. Eisler zeigt auf, wie ein solcher Wandel umsetzbar ist.
L‘arminuta di Donatella Di Pietrantonio Einaudi, 2017
Per “l’arminuta” (colei che è tornata) comincia una nuova vita. La casa è piccola e il cibo scarseggia, ma ci sono Adriana, che condivide il letto con lei, e Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi.
Der Glanz der Unsichtbaren (DVD)
Frankreich, 2020
Das Envol, Tageszentrum für wohnungslose Frauen, steht vor der Schließung. Drei Monate bleiben den Sozialarbeiterinnen, um ihren Schützlingen wieder auf die Beine zu helfen. Und die ziehen kräftig mit. Von jetzt an sind alle Mittel erlaubt.
In der OEW-Fachbibliothek Eine Welt im Jakob-Steiner-Haus am Vintlerweg 34 in Milland/Brixen dreht sich alles um das Leben außerhalb Europas, um alternative Wirtschafts- und Lebensformen, um das Schicksal von Menschen in und aus den Ländern des Globalen Südens mit Schwerpunkt auf Kinder- und Jugendbüchern. Telefon:
0472 833950. Öffnungszeiten: Montag bis Freitag von 9.00 bis 12.30 Uhr und Montag und Mittwoch auch 14.00 bis 16.30 Uhr. Unter bibkat.de/oew gibt es unser Medienangebot online.
La custode di Karina Sainz Borgo Einaudi, 2022
A Mezquite, cittadina popolata di cantastorie dall’umorismo nero, missionari disillusi e proprietari terrieri che spadroneggiano come feudatari, l’unica speranza per chi vuole seppellire i propri cari è Visitación Salazar, una donna che nella violenza di un Paese allo sbando ha deciso di fare della cura dei morti la propria missione.
Dall'avidità alla cura: la rivoluzione necessaria per un'economia sostenibile Vandana Shiva Emi, 2022 Capitalismo apparentemente compassionevole, multinazionali che fanno profitti su ogni aspetto dell'esistenza, disprezzando l'ambiente e la Terra: non si possono affrontare le emergenze del nostro tempo senza andare al cuore del concetto di crisi. Non si può generare una vera economia di pace se non abbandoniamo un immaginario economico radicato nella guerra.
La Biblioteca Culture del Mondo (BCM) onlus è una biblioteca specialistica per le culture e la narrativa del mondo, i diritti umani, la cooperazione allo sviluppo e le molte aree tematiche collegate, come i rapporti economici nel mondo, la sostenibilità, la cultura di pace, l’intercultura e le religioni. La biblioteca si trova in via Macello 50, a Bolzano, ma trovate tutto il nostro materiale anche sul sito www.bibmondo.it.
Die Buchstaben in den Kreisen ergeben, in die richtige Reihenfolge gebracht, das Lösungswort: Vor ihr heißt’s „An guatn!“ und nach ihr ist Zahl-Time
UMMIWÄRTS
6 Eine zylinderförmige Schokokekspackung?
Harry of Wales hat sie freiwillig zurückgelegt!
8 Landesgesellschaft, der Wirtschaft und dem Tourismus gewIDMet
10 Beliebte Dachstuhlformen für Kirchen und Moscheen ... oder was man vorhat beim gut gemeinten Überfall auf zwei Singles im Freundeskreis?
12 So sind viele Staffetten ... and all Cocktails
13 Sagt man gern über Pensionist:innen, die noch fit genug sind, um afn Berg zi giahn ... oder um sich ban 19 oiwärts in dr Metzgerei vorzudrängeln!
14 Diese kindgerechte Comicbiene flattert nicht von Blume zu Blume, sondern in der Raika von Geldschein zu Geldschein
15 Diese Bozner animals sind auf dem ice heimisch (und hierzulande nicht ganz so unbeliebt wie wolves oder bears)
16 Der Seppl und der Heinz / sind sich nicht ganz eins. / Erst kommt vom Heinz laut Impfkritik, / danach geht’s noch um Politik.
/ „ “, / urteilt Sepp.
20 Der Koch gart heute nix: Selbst im 5 oiwärts bleibt die Küche an dem kalt
21 Mais non, monsieur, wir nennen die Plent-
3 Tipps zum Lösen
1 Kreativ, um die Ecke und mehrsprachig denken! Und: Beim Kreuzworträtseln ist alles erlaubt – raten, googeln, Mami fragen …
2 Rätselfragen genau lesen: Kursive, vermeintliche Tippfehler, verirrte Satzzeichen etc. können Anagramme, Hinweise oder Lösungshilfen sein.
3 Wenn gar nichts mehr geht: Rätsel eine Stunde weglegen und dann wieder in die Hand nehmen. Meistens geht der Knopf dann auf!
pflanze in Südtirol anders!
23 Die Straße in Leifers ist nach John F. benannt, nicht nach dem ebenso unglücklichen Bruder
Bobby oder Sohn John-John
25 Klingt wie Biancaneves achter nano, ist aber ungebetener Hautgast, von adolescenti mit Topexan bekämpft
26 Besitzerin einer sprechenden Waschmaschin, zumindest laut Sepp Messner Windschnur
27 Jetzt hat dieses Komitee die gIOChi invernali secco uns und den Bellunesern und Milanesern anvertraut!
28 Sie ist für die halbe Weltbevölkerung in den meisten Monaten Ritus
OIWÄRTS
2 Rabiate Aufforderung, wenn Südtiroler:in afn Geahsteig net schliaft: „Ausstellen oder ...!“
3 Jandl schrieb z. B. das Gedicht „schtzngrmm“: Klingt lustig, aber war als Kriegskritik durchaus gemeint!
4 Hier sind die 10 ummiwärts besonders zahlreich und der typische 22 oiwärts aus semolino ist mit Parmesan überbacken
5 Wartet oft eher mit Sternen und Molekularkügelchen auf als mit Sättigungsbeilage, Arbeitermenü und Hausschnapsl
6 Beim Zuckerfest wird ordentlich gefuttert, darauf leg ich einen Eid ab!
7 Sorgt Akkurat für Verzweiflung, wenn sich seine Anzeige bedrohlich den 0 % nähert
9 Also des sei mol gsog: Diese italienische Region ist zwar winzig, hat aber immerhin cavatelli und fusilli erfunden
11 Rearltaugliches gläsernes Reindl: Darin
gekochte Lasagna macht die ganze Familie hapPy, Rex den Hund inklusive!
16 Auch beim 12-ummiwärts-Tennis gilt dieser Satz (!): „Game, , Match!“
17 Disziplin, die zu Schulzeiten für MathesVierer viele Potenziale barg: Kein Wunder, für mich ist sie Arabisch
18 Ein ganz feiner Hafen (!) an der Riviera, zur Info: top Ort, um VIPs auf ihrer 24 oiwärts zu erspähen, bevor sie im 5 oiwärts speisen
19 Gehört zu gemeinsamen Haushaltsaufgaben wie Marend herrichtn oder Wäsch auhängen
20 Die Sella- fährt man auf zwei Brettln, die altoatesina fährt nachts und passt auf, dass es nicht zu rund (!) geht
22 Gutaussehender ragazzo… oder, wenn in Bologna frittiert, gutschmeckende Unterlage für affettati
24 CrazY, acht Millionen kostet so ein Schiffele?!
Dopo la morte per assideramento di Mostafa, nel dicembre 2022, le istituzioni della provincia di Bolzano hanno adottato la politica del "Nessuna persona dovrà più dormire all'addiaccio". Anche se dopo un morto, e in drammatico ritardo, è stato comunque un primo passo per dare un minimo di dignità alle tante persone senza fissa dimora, migranti e non. I centri dove le persone vengono accolte sono spesso grandi capannoni o container e la promiscuità dei luoghi ha generato tensioni interne dovute, in particolare, ai differenti background di chi cerca una brandina per passare la notte. Anche chi è regolare e ha un lavoro è costretto a vivere nei suddetti dormitori in quanto risulta praticamente impossibile trovare un alloggio a Bolzano e dintorni; i prezzi di un affitto sono proibitivi ed essere migrante toglie le più flebili possibilità di essere scelti come affittuari.
Le strutture "Emergenza Freddo" ubicate tra Bolzano, Merano ed Appiano, hanno chiuso il 30 aprile lasciando per strada più di 200 persone che, oltre a dormire all'addiaccio, non avranno la possibilità di usufruire di servizi igienici e di un luogo dove riporre gli effetti personali.
Chiediamo pertanto alle istituzioni di riferimento (Provincia, Comune di Bolzano, Comune di Merano, Comune di Appiano):
1 L'apertura annuale delle strutture in "Emergenza Freddo"
2 Il superamento dell'accoglienza in capannoni e container e l'inizio di un percorso abitativo di piccole comunità (4/5 persone) in alloggi comunali e provinciali
3 Un tavolo di lavoro tra istituzioni, associazioni e rappresentanti delle categorie agricole e alberghiere per discutere la possibilità di dare un alloggio con residenza ai lavoratori e alle lavoratrici che operano nei settori menzionati.
Per adesioni scrivere a associazione@bozensolidale.it
BOZEN SOLIDALE
Ich wurde geschaffen aus Baumwolle, Farbe und Schweiß Für mich braucht es Wasser, Chemie und vieles, was ich gar nicht weiß.
Ich wurde schnell hergestellt, lebte schnell Und werde schnell vergehen.
In der Zwischenzeit bin ich
In einem Geschäft in Bruneck gelandet.
Einer kauft mich, er behandelt mich nicht gut.
„Sie ist ein billiges Teil“, sagt er zu seinen Freunden. Doch ich weiß, Ich wurde geschaffen aus Baumwolle, Farbe und Schweiß.
Ich bin schwarz, weit und habe große Hosentaschen.
Ich komme aus Bangladesch.
„Sie ist ein billiges Teil“, sagt er zu seinen Freunden.
Doch ich weiß, Ich wurde geschaffen aus Baumwolle, Farbe und Schweiß.
Ich werde oft getragen.
Da habe ich Glück.
Jeder Europäer und jede Europäerin kauft 60 Kleidungsstücke im Jahr
Socken und Unterhosen nicht mal mitgerechnet.
4 davon werden nicht mal getragen.
Ich werde oft getragen.
Da habe ich Glück.
Mein Besitzer passt aber nicht auf mich auf.
„Sie ist ein billiges Teil“, sagt er zu seinen Freunden.
Doch ich weiß,
Ich wurde geschaffen aus Baumwolle, Farbe und Schweiß.
Wer hat mich gemacht?
Darüber habe ich viel nachgedacht.
Eine Frau hat mich genäht, die 12 Stunden an der Nähmaschine steht.
Ist es fair, wenn Frauen für viel Arbeit wenig Geld bekommen?
Ich weiß
Ich wurde geschaffen aus Baumwolle, Farbe und Schweiß.
Geschaffen für die Müllhalde
KLASSE 2 B MITTELSCHULE OLANG
Stroh im Topf & null Tassen im Schrank so verloren & geboren auf der Suche nach dir nach Haaren am Kopf klingst du verlassen im Wind es riecht auch harzig wie im Wald und ich sehne nach saphirrosè und du bringst Stille rein aus dem Nichts & vor dem Nichts bis auf jenen klatschenden Tropfen in der spiegelglatten See der Träume für unser zartes Zusammensein scheint nun vieles klar & lebt nun alles da.
MARTIN STREITBERGERTafeln Billigschokolade sind stolz 100 g süßen Lebenssinn immer mehr Notleidenden zu schenken die Tafeln aufsuchen und für die sozialpolitik ein Mogelpackungs-Wort
JÜRGEN RIEDL
wenn du wählst hast du Verantwortung sie übernimmst eine Bestimmung es erkennst lebst du
JANINA NIEMANN-RIECHHo iniziato a prestare servizio come docente presso l'ITE Raetia di Ortisei nell'anno in cui è scoppiata la pandemia. Sappiamo tutti cos'è accaduto successivamente nel mondo e quali sono state le sue conseguenze. Prendendo a esempio la realtà in cui lavoro, è su queste che vorrei soffermarmi, mettendo in luce le ricadute che la pandemia ha avuto su studenti e studentesse. Nel periodo post COVID-19 le richieste di supporto da parte degli*lle alunni*e, nella zona Val Gardena e Val Badia, sono aumentate considerevolmente. Le cause di questa crescita sono identificabili nelle difficoltà di gestione delle paure e delle ansie, in attacchi di panico dovuti alla pressione sociale del ritorno in classe e del confronto con gli altri senza potersi più “nascondere” dietro uno schermo, in sintomi depressivi e in certi casi anche in autolesionismo. Le azioni realizzate per gestire tali difficoltà si distinguono in progetti individuali e progetti di prevenzione. I primi sono riferiti a casi specifici in cui le situazioni meno gravi possono essere supportate dalle educatrici sociali, mentre i casi più complessi vengono accompagnati in servizi mirati come il consultorio familiare e i servizi psicologici e psichiatrici. Le seconde sono invece azioni generiche, che prevedono anche incontri in aula su tematiche come lo star bene con sé stessi*e e sulle strategie funzionali per la gestione delle difficoltà. Inoltre, l’istituto collabora con la Provincia attraverso lo sportello di consulenza psicologica. Dal punto di vista scolastico, invece, le criticità riscontrate sono una maggiore disattenzione, una difficoltà di concentrazione, un abuso degli strumenti digitali, asocialità e difficoltà nello studio, nello scrivere e nel leggere. La scuola anche in questo caso ha messo in atto delle soluzioni per tentare di arginare tali problematiche. Ad esempio, offre il servizio CIC – Centro Informazione e Consulenza in cui alunni*e
e genitori possono sostenere un colloquio confidenziale con alcuni insegnanti di riferimento ricevendo supporto su questioni legali e relative allo studio. Inoltre, attraverso un processo partecipativo che ha coinvolto alcuni studenti e professori, è stato realizzato il progetto “Look Up” con lo scopo di ridurre l’utilizzo degli smartphone e promuoverne un uso consapevole. Sono stati discussi gli effetti negativi che possono scaturire da un abuso di tali strumenti cercando di rendere gli studenti e le studentesse consapevoli dei rischi a cui potrebbero andare incontro.
In conclusione del progetto e in compartecipazione tra la rappresentanza degli studenti e dei professori è stato deciso che gli alunni del biennio devono consegnare volontariamente il proprio smartphone all’inizio della giornata scolastica con l’impossibilità di utilizzarlo, tranne che per emergenze, fino alla conclusione delle lezioni. Chi frequenta il triennio, invece, ha la possibilità di tenerli con sé, ma a condizione di non utilizzarli, nemmeno durante le pause. A tal proposito e al fine di aumentare la socialità sono stati introdotti dei giochi (pingpong, calcio balilla, giochi da tavolo, carte, ecc) da poter utilizzare durante la ricreazione o la pausa pranzo. Abbiamo notato che l’introduzione di queste misure ha portato evidenti benefici sia per quanto riguarda la socialità di studenti e studentesse – si nota una maggiore e vivace interlocuzione tra loro durante le pause –, sia per quanto concerne l’attenzione in classe e i risultati scolastici. Inoltre, il fatto che gli studenti e studentesse chiedano supporto per i problemi di ansia e per quelli sopra descritti denota quanto la scuola possa essere un’interlocutrice fondamentale nella vita
“Non lasciate per strada più di 200 persone”
Se fatto nel modo giusto l’ascolto può salvare vite. Può anche fare danni, e gravi, se però viene svolto con superficialità. Mentre il “sentire” è un istinto passivo, ascoltare è uno sforzo attivo, complesso e sfaccettato, che va imparato e allenato. Di seguito troverai qualche consiglio pratico per migliorare la tua capacità di ascolto, in particolare in termini di supporto e cura.
1 Leggi la situazione, con empatia
L’ascolto è estremamente personale: diverse persone e contesti necessiteranno di un tipo di ascolto diverso. Per esempio, ci sono situazioni in cui chi viene ascoltato*a si aspetta dei consigli e altre in cui un consiglio non richiesto può danneggiare. Per questo è fondamentale saper leggere chi si ha di fronte. Mettersi nei panni dell’altro*a, cercare di capire e cogliere i segnali. A tal fine, può essere utile fare domande di ap-
profondimento, in modo da comprendere al meglio il punto di vista di chi ascoltiamo.
2 Dai il giusto tempo e abbi la giusta sensibilità
Dai tempo a chi ascolti e non farlo*a sentire giudicato*a: soprattutto per chi non è solito*a ad aprirsi sarà difficile metabolizzare e verbalizzare i propri pensieri. Dai un senso di sicurezza lasciando loro il proprio tempo e spazio per esprimersi. Non interrompere mai: se devi chiedere o aggiungere qualcosa, fallo solo quando l’altra persona ha veramente finito di parlare. Interrompendo, comunicherai disinteresse e poco rispetto verso la vulnerabilità altrui.
3 Non si tratta di te, ma di chi hai di fronte Ricorda che non si tratta di te. La tentazione di riportare il discorso su di sé o di agganciarvisi per esternare cose che ci premono può essere forte, ma non bisogna cedere. Per ascoltare davvero, abbandona il tuo ego e lascia il focus sul tuo interlocutore.
Stadtrundgang durch versteckte
Gassen und Gebäude der Kurstadt, in denen unterschiedliche Frauen gelebt und gewirkt haben.
When?
Freitag, 19. Mai, 17:00 – 18:30 Uhr
Where?
Vor dem Frauenmuseum, Meinhardstrasse 2, Merana
Non sminuire e non svalutare i sentimenti dell’altro*a, anche quando non li riesci a comprendere. Fai attenzione, però, a non annullare te stesso*a: se la persona decide di aprirsi, significa che vuole il tuo ascolto e ciò che tu puoi apportare, ma mantieniti in secondo piano.
4 Non devi sempre ascoltare L’ascolto attivo comporta un grande dispendio di energie e può essere stremante. Quindi presta il tuo orecchio con cura, rispettando anche il tuo benessere e tutelando la tua salute mentale. Quando si ascolta si verifica molto spesso il “trauma dumping”, ossia il riversamento sconsiderato di esperienze traumatiche e pesanti, che può essere molto dannoso per chi lo subisce. È importante che tu chiarisca i tuoi limiti, con dolcezza e fermezza. Comunica chiaramente se non hai energia o tempo a disposizione per ascoltare, altrimenti rischi di fare danni non voluti, a te stesso*a e all’altro*a.
Jawohl, keine Zählerinnen! Ich behaupte einfach mal, Erbsen zählen ist eine rein männliche Angelegenheit. Oder kennt jemand eine Erbsenzählerin? Vielleicht gibt es Ausnahmen, aber im Allgemeinen sind Frauen lockerer. Möge also niemand die Nase rümpfen, dass in diesem Text nicht gegendert wird. Welcher Frau würde es einfallen, nachzuprüfen, wie hoch die Achttausender wirklich sind. Frauen haben Besseres zu tun. Und Nützlicheres. Weil wir Männer schon einmal dabei sind, genau nachzuschauen, wie hoch die höchsten Berge sind, wo genau sich die Gipfel befinden, wollen wir auch wissen, wer von den Gipfelstürmer:innen welche Route bestiegen hat, um zu beweisen, dass er oder sie – auch Frauen besteigen Berge – vielleicht doch nicht ganz oben war, also auf dem höchsten Punkt, sondern nur irgendwo in der Nähe oder – ganz schlimm – vier, fünf Meter unterhalb. Drüber geht ja nicht. Außer jemand ist auf das Gipfelkreuz geklettert. Das müsste
Presentazione del libro “Libertà vo’ cercando. Il lavoro del Teatro Nucleo nel carcere di Ferrara” con l’autore Horacio Czertok.
When?
Venerdì 26 maggio, ore 18:00
Where?
Via Dalmazia 77 F, Bolzano
Concerti, workshop e presentazioni di libri in questa nuova edizione di “ zebra. goes out”, la rubrica che dà spazio agli eventi organizzati in Alto Adige da segnare assolutamente sul calendario.
Anmeldung: service@museia.it
Sexwork e prostituzione in Italia.
Workshop con Giulia Selmi
When?
Giovedì 25 maggio, ore 17:00 – 19:00
Where? Spazio SpIQ, piazza Parrocchia 21, Bolzano
QR-Code
Zum 18. Mal lädt das Haus der Solidarität zu dem offenen, bunten, charmanten Festival für alle
When?
Samstag, 03. Juni, 17:00 – 0:00 Uhr
Sonntag, 04. Juni, 10:00 – 18:00 Uhr
Where?
Haus der Solidarität, Vintlerweg 34, Bressanone
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sich eigentlich auch nachprüfen lassen. So als Fleißaufgabe. Viele Erbsenzähler warten ein Leben lang vergeblich auf die Anerkennung ihrer akribischen Arbeit im Dienst der Wissenschaft. Außer sie haben das Glück, dass jemand ihre bedeutsamen Forschungsergebnisse in Frage stellt und sich furchtbar darüber aufregt, über so eine besserwisserische Erbsenzählerei. Den Rest erledigen die Medien. Sie fragen zuerst beim Erbsenzähler nach und lassen dann – journalistisch korrekt – die andere Seite zu Wort kommen. Das war der Fall beim Streit über die Frage, ob einer, der alle Achttausender bestiegen hat, auch tatsächlich auf allen Achttausender-Gipfeln war. So eine fundamentale Frage alpiner
Abenteuergeschichte muss schließlich geklärt werden. Besonders prickelnd wird es, wenn sich ein deutscher Staatsbürger (typisch deutsch, wissen immer alles besser!) und ein Südtiroler (mir sein mir und sowieso die Besten!) zoffen. Hat aber Spaß gemacht, und so denken wir halt darüber nach, wer ganz oben war und wer nicht. Eile ist geboten, denn der nächste Erbsenzähler zerbricht sich schon den Kopf, vielleicht über die Frage, ob wirklich alle Marathon-Rekordhalter:innen (das Gendern muss jetzt sein) 42,180 km zurückgelegt haben. Oder haben einige die Kurven enger genommen und am Ende 8,5 cm eingespart? Viel Spaß beim Nachmessen.
Mitwirkende dieser Ausgabe per questa edizione hanno collaborato
Adrian Luncke, Alessio Giordano, Adele Zambaldi, Alice Makselj, Anna Mayr, Asia Rubbo, Bozen Solidale,Collins Ambrus, Daniela Halbwidl, Federico Simoncini Ulivelli, Hildegard Weger, Janina Niemann-Riech, Judith Baur, Jürgen Riedl, Klasse 2B Mittelschule Olang, Luise Bacher, Madelaine Alber, Margareth Pallua, Marta Larcher, Martin Streitberger, Michael Wallnöfer, Michelle Staudinger, Monika Thaler, Nadia Sorg, Nils Bertol, Patrizia Insam, Robert Asam, Sabrina Bussani, Samia Kaffouf, Sofie Terzer, Stefanie Unterthiner, Tamara Torggler, Valentina Gianera, Valeria Dejaco, Verena Dariz, Verena Gschnell.
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„Die Antibabypille werd in Italien in Zukunft gratis sein!”
„Sel het a gibraucht! Noa hetti ban Sex net olbn la Ongst kop.”