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«Teoria e pratica per dare vita a narrazioni a 360 gradi»
Luca Solari, direttore del master Walter Tobagi dell’Università Statale di Milano: «Formiamo persone in grado di rendere vive le storie per diversi media ed esserne responsabili» di Fabio Pellaco e Andrea Miniutti, allievi della Scuola di giornalismo della Cattolica di Milano
«Chi conclude il master, oltre ad essere un bravo giornalista dal punto di vista tecnico, operativo e di costruzione di storie significative, deve essere consapevole che, nonostante la crisi del nostro mondo, chi scrive vale. Perché chi legge i prodotti dell’attività giornalistica, pur nella confusione che viviamo oggi, è ancora in grado di riconoscerli; quindi, quello che scriviamo ci rende responsabili». È uno sguardo puntato dritto sul futuro quello di Luca Solari, direttore della Scuola di Giornalismo “Walter Tobagi” di Milano, e sulle sfide che i suoi studenti dovranno affrontare. In questo scenario in continua evoluzione, le scuole dovranno farsi trovare pronte per accogliere le esigenze dei nuovi aspiranti professionisti.
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Stiamo investendo sul data journalism: la pandemia ha dimostrato quanto sia importante la ricerca e la sistematizzazione dei dati
Quali sono le tematiche prioritarie per il vostro master?
La scuola ha da sempre investito su un’idea di giornalista a tutto tondo; quindi, una persona che sa rendere vive le storie per diversi media. Pensiamo al giornalismo come la capacità di assumere punti di vista e di narrazione a 360 gradi. Stiamo già investendo su quelli che si considerano temi di avanguardia, come il data journalism. Credo che il periodo che abbiamo tra-
Anche in un contesto multimediale, la capacità di scrivere rimane essenziale. Teoria e pratica vanno integrate ancora di più scorso legato alla pandemia e alla difficoltà nell’utilizzo dei dati abbia evidenziato come una buona capacità di acquisizione e ricerca, l’utilizzo e la sistematizzazione dei dati sia importante.
Le innovazioni non vanno a screditare il giornalismo classico?
Assolutamente no, perché la capacità di scrivere, metro di giudizio per l’ammissione e l’esame finale, rimane essenziale. Inoltre, riteniamo che la professione non stia abbandonando alcune dimensioni, ma stia andando verso una integrazione di tante dimensioni che per molto tempo sono state più periferiche o addirittura dedicate a ruoli specialistici. Per esempio, sebbene un grafico sia un grafico e un giornalista sia un giornalista, quest’ultimo parla anche attraverso l’immagine.
Come gestite l’equilibrio fra la teoria e la pratica?
Penso sia necessario lavorare ancora di più sull’integrazione tra questi due mondi. In questi anni abbiamo reso centrali alcuni temi, come le scienze della politica, la sociologia, l’economia e gli elementi di contesto internazionale, nei quali tenere assieme la componente giornalistica con quella teorica. L’altro elemento è stato compattare molto di più dal punto di vista temporale gli interventi di natura teorica, aiutando il percorso di acquisizione di una conoscenza di attualità da applicare nella pratica per costruire un quadro d’insieme.
Quali sono i vostri rapporti con le scuole estere? Avete dei modelli?
Facciamo parte di Ejta (European Journalism Training Association), la più importante associazione delle scuole di giornalismo con la quale i momenti di confronto sono continui. È molto importante considerare la peculiarità delle scuole di giornalismo in Italia, dove abbiamo un Ordine e un meccanismo anche un po’ più eterodiretto rispetto all’estero. Sul lato operativo abbiamo osservato i curricula e le modalità con cui vengono costruiti i percorsi delle scuole in contesti diversi nei quali esistono vere e proprie school of journalism. Un mio sogno sarebbe un percorso integrato che parta dalla laurea triennale, passi per il master e arrivi fino agli studi di dottorato sul mondo del giornalismo e dei media. Negli Stati Uniti questo è già presente, da noi è ancora una prospettiva distante ma è già successo in altri ambiti, ad esempio quello dell’infermieristica: nel tempo ci siamo conformati a quello che già accadeva altrove, quindi è possibile che questo sia un percorso applicabile pure alla costruzione della competenza giornalistica.
In Italia servirebbe un percorso integrato che parta dalla laurea triennale, passi per il master e arrivi fino agli studi di dottorato sul mondo del giornalismo
Come improntate l’insegnamento della deontologia ai vostri studenti?
La deontologia è un tema centrale. Abbiamo il vantaggio di avere questo rapporto fortissimo con l’associazione Walter Tobagi e con l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia per cui la copertura dei contenuti legati alla deontologia viene garantita attraverso docenti e giornalisti che sperimentano in prima persona il significato di rispettare una deontologia in ambito giornalistico. Vogliamo che al termine del master i nostri giornalisti non siano bravi solamente dal punto di vista realizzativo e di costruzione di storie significative, ma che siano anche consapevoli che i loro prodotti debbano avere una valenza per le persone, soprattutto considerando la confusione del mondo in cui viviamo.
Qual è il rapporto della scuola con le istituzioni, dall’Odg ai sindacati?
Il rapporto con l’Ordine lombardo è diretto, anche perché di fatto la Tobagi ha assorbito quello che fu lo storico Istituto per la Formazione al Giornalismo (Ifg). Con l’Ordine nazionale ci rapportiamo durante i momenti istituzionali, gli incontri e le verifiche, che non sono solo controlli, ma anche occasioni di scambio e confronto. Auspicherei che questo rapporto fosse ancora più intenso e, rispetto a un’attenzione a volte un po’ troppo legata alla norma, si spostasse maggiormente l’attenzione alla sostanza. Inoltre, all’interno del nostro percorso, ci confrontiamo con le persone che rappresentano la dimensione del sindacato. Altre occasioni nascono poi dai rapporti con gli editori, anche se questo avviene in modo minore rispetto ad altre realtà che hanno anche un rapporto più diretto con i grandi editori.
Quali sono i progetti per la scuola del futuro?
L’ateneo ha approvato, con un grosso investimento, un percorso di modernizzazione tecnologica della nostra sede. Sarà installata una serie di monitor che durante le attività lanceranno costantemente le notizie da tutti i canali, come può accadere in una redazione vera. Le aule saranno dotate di microfoni ambientali che consentiranno l’interazione anche a distanza. Infine, ampie vetrate permetteranno a chiunque sia presente nel piano della scuola di vedere cosa sta accadendo nelle altre aule. Credo che l’azione collettiva sia una delle dimensioni più emozionanti dello stare in una redazione e questo progetto ci consentirà di migliorare ulteriormente la qualità della didattica e dell’esperienza all’interno del praticantato. Un altro investimento già approvato prevede di rafforzare il coordinamento tra la componente giornalistica e quella universitaria per avere degli strumenti di interpretazione di fondo che in passato non venivano sfruttati.
Aggiorneremo le tecnologie della nostra sede per favorire l’interazione a distanza e la dimensione collettiva del lavoro degli allievi
Come sono cambiati gli studenti e le loro necessità dopo dieci bienni?
È evidente lo spostamento dalla carta stampata, che nei primi anni la faceva ampiamente da padrona, verso altri media come l’online, il video, ma anche verso percorsi professionali originali. In questo mutamento del contesto, un ele - mento centrale dei miei due mandati da direttore, a conclusione di ogni biennio, è stato proprio quello di discutere insieme agli studenti della loro esperienza. C’è una richiesta di lavorare sempre di più sull’uso delle tecnologie digitali, quindi abbiamo investito sul rafforzamento dei nostri tutor delle aree tecnologiche. Un altro elemento a mio avviso molto importante è lavorare di più sulle dinamiche interpersonali di gruppo. Abbiamo introdotto alcune sessioni perché il lavoro di redazione non è una pratica solo individuale ma di interazioni, di contatto, di collegamento e, per chi farà carriera, anche di coordinamento organizzativo e gestionale all’interno delle redazioni. In futuro cercheremo di capire quali altri elementi siano rilevanti per i nostri studenti. Probabilmente avranno sempre più a che fare con la capacità di districarsi rispetto al placement finale: comprendere le diverse forme contrattuali, capire che scelte fare. Il mio sogno sarebbe avere la possibilità di una mentorship, durante i due anni, che aiuti ognuno a qualificare i propri talenti, una brutta parola perché viene usata a volte a sproposito, ma che in questo caso rende il senso. Mi riferisco alle inclinazioni dei ragazzi, agli ambiti in cui eccellono, non per fare esclusivamente determinati compiti ma per far capire loro che possono essere delle chiavi importanti per decidere cosa vogliono fare al termine di questo percorso.
Il mio sogno sarebbe avere per ogni studente una mentorship durante i due anni, che aiuti ognuno a qualificare il proprio talento
