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A cosa serve il Consiglio di disciplina territoriale
L’organismo che vigila sull’aspetto deontologico della professione fa parte dell’Ordine regionale ma al tempo stesso è indipendente e sovrano nelle sue decisioni. Una piccola guida su composizione, caratteristiche e funzioni di Riccardo Sorrentino, presidente dell’OgL
Ènell’Ordine, è l’Ordine. Il Consiglio di disciplina territoriale (Cdt) è però anche un organismo indipendente, sul quale il Consiglio regionale – eletto dai colleghi – non può e non deve intervenire. Se non in un modo: difenderne l’indipendenza e, come avviene senza esitazioni in Lombardia, esprimergli totale fiducia.
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Il Cdt, dopo la riforma del 2011, ha caratteristiche che permettono agli Ordini italiani di ridimensionare il problema che assilla, per esempio, i press council all’estero: l’autodichia, l’amministrare giustizia da sé, innescando potenziali conflitti di interesse. Gli illeciti disciplinari continuano a essere valutati da colleghi; non si tratta però di persone interessate a conservare il consenso elettorale. L’apertura dell’Ordine dei giornalisti alla società civile, attraverso la figura dei pubblicisti, riduce questo problema: nel Cdt lombardo, per esempio, siedono tre giuristi: due avvocati, uno dei quali ex preside della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Milano, e un ex magistrato.
Giornalisti giudicati da giornalisti. Ovunque nei sistemi liberaldemocratici, laddove c’è il rischio o il tentativo di un intervento del Parlamento per disciplinare il giornalismo, che deve restare libero, i colleghi si precipitano a formare un press council, un Ordine “in tono minore”, senza le caratteristiche e il riconoscimento da parte dell’Ordinamento giuridico, dell’istituzione italiana. Hanno fatto così, in tempo record, i giornalisti dei Paesi appena usciti dal socialismo reale; quelli australiani, quelli britannici; e quelli del Belgio, dopo la depenalizzazione della diffamazione. Se, in futuro, l’Ordine fosse abolito si può essere abbastanza certi del fatto che resterebbe comunque attivo, anche in Italia, un Consiglio di disciplina. L’obiettivo è quello di garantire il diritto di informazione dei cittadini. Funzionale a questo obiettivo è la libertà giornalistica – una classica libertà “di” fare informazione e non solo una libertà “da” interferenze esterne – che deve sempre restare un faro della valutazione deontologica. Il primo dovere dei giornalisti – ed è una caratteristica unica del Testo italiano dei doveri del giornalista – è del resto quello di «difendere il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona». La giurisprudenza del Cdt lombardo tende a una interpretazione restrittiva delle norme che possono, anche per la loro genericità, estendere l’ambito di valutazione disciplinare oltre i confini di un fisiologico controllo. Si è più volte affermato il principio secondo cui è sempre da privilegiare il fondamentale diritto alla libera manifestazione del pensiero cui l’art. 21 della Costituzione àncora la libertà di stampa. La valutazione di responsabilità deontologica, soprattutto in tema di correttezza dell’informazione e di opinioni espresse, può quindi scattare, secondo il Cdt lombardo, solo quando altri ed omogenei principi di rango costituzionale rischiano di essere posti in discussione su basi e prospettive oggettive.
La giurisprudenza del Cdt lombardo restringe il proprio ambito di valutazione entro i confini di un fisiologico controllo
Come è composto. Il Consiglio di disciplina è composto da nove membri: pochi rispetto, per esempio, ai quaranta dell’Ordine degli avvocati di Milano, di dimensioni analoghe a quello dei giornalisti lombardi. Sono nominati dal presidente del Tribunale del capoluogo di regione enrto una rosa di diciotto nomi predisposta dal Consiglio regionale. La legge prevede che la carica di presidente sia affidata al giornalista con maggiore anzianità professionale, quella di segretario al collega con minore anzianità. Tutto per ridurre al minimo arbitrio e discrezionalità.
È composto da nove membri, nominati dal presidente del Tribunale in una rosa di 18 nomi proposti dal consiglio dell’Ordine
Come funziona. La separazione dei poteri istituita dalla riforma del 2011, impone al Consiglio regionale dell’Ordine di avere in materia disciplinare una funzione di «mera denuncia». Segnalazioni possono però arrivare anche dalla Procura della Repubblica o da terzi, istituzioni – Garante delle comunicazioni, Garante della privacy, Consob... – o anche da colleghi e lettori. Il Consiglio dell’Ordine non può far altro che trasmettere – senza esprimere valutazioni – gli atti al Consiglio di disciplina, che ha sia poteri istruttori sia decisionali. L’esponente, invece, non ha più alcun ruolo: può solo conoscere, su richiesta, la decisione finale. Le segnalazioni che riguardano comportamenti oggetti di un parallelo procedimento penale sono sospese, in attesa di giudizio. Le altre vengono affidate a un collegio di tre persone, istituito caso per caso dal presidente, nel quale siedono due professionisti e un pubblicista, con almeno una componente donna. Il collegio, valutato l’esposto, può decidere un “non luogo a procedere”, può ampliare l’istruttoria con una “raccolta di sommarie informazioni”, sentendo anche il giornalista segnalato, oppure può aprire il procedimento. A questo punto scatta anche il diritto di difesa del giornalista, il quale può farsi assistere da un legale, può presentare memorie difensive, e deve in ogni caso essere ascoltato. L’apertura del procedimento disciplinare non comporta, come talvolta erroneamente si ritiene, una valutazione di colpevolezza ma, semplicemente, la ritenuta opportunità di un chiarimento approfondito tanto che, frequentemente, il giudizio disciplinare si conclude con un proscioglimento. Le audizioni, in Lombardia, vengono integralmente trascritte. Le decisioni vengono adottate dal collegio a scrutinio segreto e le sanzioni sono esecutive. Possono però essere sospese da un ricorso al Consiglio Nazionale dell’Ordine, che può essere presentato solo dal giornalista sanzionato – con un avvertimento, una censura, una sospensione da due a dodici mesi, o una radiazione – o dalla Procura della Repubblica. Non dal Consiglio dell’Ordine. I gradi di giudizio sono cinque: dopo l’Ordine nazionale, il procedimento può passare, con una procedura particolare, alla magistratura ordinaria. Il sistema è quindi decisamente garantista.