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Il difficile mestiere del traduttore culturale

In una società complessa e iperspecialistica spetta al giornalista ridurre le distanze tra saperi e competenze e favorire una società orizzontale e democratica. Questa funzione, oggi minacciata non solo dalla disintermediazione innescata dal digitale, va tutelata dalle istituzioni.

Anche dalle nostre

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Editoriale

Recuperare la fiducia dei cittadini. La soluzione è semplice: per uscire dalla crisi del giornalismo – una crisi economica generata dalla diffusione di tecnologie che hanno travolto anche le modalità della nostra professione – non c’è altra strada.

di Riccardo Sorrentino

Le discussioni che l’Ordine della Lombardia ha aperto prima con il mondo dei medici per l’informazione sanitaria, dopo la pandemia, e poi con il mondo degli avvocati su quella che è provocatoriamente chiamata “giustizia mediatica” ha suggerito alcune riflessioni sul ruolo della nostra professione.

Ruoli e diritti. La prima riflessione riguarda il ruolo, attivo, dei giornalisti, che sono davvero – collettivamente – i “guardiani del cancello” delle notizie. Tocca a noi decidere quali notizie siano in ciascun “settore” rilevanti; quali quelle che i cittadini devono conoscere. Esattamente come è il medico che deve spiegarci quali cure o quali medicinali acquistare, e come è l’avvocato che ci dice quale procedura adire. È questo, e non altro, che fa di noi dei professionisti e rende il nostro lavoro diverso –nell’eguaglianza della dignità di tutte le occupazioni – da quello di chi vende alimentari, o vestiti o automobili. L’ansia dei click va in una altra direzione. La seconda riflessione riguarda il nostro ruolo nella società. La nostra Costituzione non prevede un diritto all’informazione, che tuttavia è stato affermato dalla Corte Costituzionale, secondo la quale si tratta di un diritto individuale, ma anche di un diritto funzionale al corretto andamento della democrazia.

In realtà si può andare anche oltre, e per questo è un male che la Carta non preveda esplicitamente il diritto di informazione: al giornalismo è affidato il compito di ridurre tutte quelle asimmetrie informative che impediscono lo sviluppo di una società orizzontale e democratica sul piano politico e il buon funzionamento dei mercati sul piano economico. L’ampia discussione sul tema della presunzione di innocenza ha permesso di individuare un terzo ruolo, quello di “traduttore culturale”: ne ha parlato in più occasioni – anche nel precedente numero di Tabloid – l’avvocato Carlo Melzi d’Eril. In un mondo di competenze crescenti, in cui la divisione del lavoro crea specializzazioni sempre più alte, è necessario che “qualcuno” faccia da tradut- tore. Nella consapevolezza delle insidie di questo ruolo: come dicevano gli antichi, “ogni traduttore è un tradittore”. Nel mondo del giornalismo economico e finanziario questo già avviene; in quello scientifico i grandi divulgatori non sono mancati; nel mondo della cronaca giudiziaria sono ora invocati a gran voce. È l’intero giornalismo che, però, può trovare qui una grande occasione di rilancio.

Spazi che si stringono. La tendenza, nella società e nella politica, va in un’altra direzione. Approfittando della crisi economica e professionale, gli spazi di libertà per la professione si riducono, sia pure in nome di buone intenzioni. La presunzione di innocenza è stato un caso clamoroso e recente (a pagina 34 tutte le nostre iniziative), ma altri ostacoli si ergono sul nostro percorso. Sono ben note le slapps, le strategic lawsuits against public participation, quelle querele e citazioni intimidatorie che in modo molto opportuno la definizione inglese definisce «contrarie alla partecipazione pubblica». Altri ostacoli sono in arrivo: il diritto all’oblio apre la strada a nuove procedure intimidatorie (a pagina 23), un disegno di legge chiude invece le assemblee delle società quotate ai cronisti (a pagina 27). Gli spazi per la libertà di informazione insomma si riducono.

Cambiamenti e azioni. Il punto è che riconoscere i diritti – il diritto di informazione, in questo caso – in una Costituzione è fondamentale, ma occorrono anche istituzioni che diano loro vita. E in questo i tribunali non bastano. Nel nostro mondo occorrono imprese che siano finanziariamente solide e sostenibili, e non può essere più un tabù chiedere –tenuto conto della centralità del nostro ruolo – un aiuto economico: non parliamo qui di sussidi concessi dal governo, ma di una regolamentazione valida per tutti (esenzioni, crediti d’imposta, tassazione speciale e così via), che crei uguali condizioni di partenza. Le nuove tecnologie però stanno anche ribaltando i rapporti tra le imprese e singoli giornalisti: se l’accesso alle notizie avviene innanzitutto attraverso i motori di ricerca, il singolo articolo diventa più importante di prima rispetto alla testata e alla gerarchia delle notizie che propone. Avanzano dunque anche nuove forme di organizzazione del lavoro (ne parliamo da pag. 62), e attraverso di esse si iniziano a testare nuovi modelli di business. Anche l’Ordine può contribuire a dar vita al diritto di informazione dei cittadini e alla libertà giornalistica che gli è funzionale. I giornalisti hanno bisogno di un’istituzione che si prenda cura dei loro interessi professionali correttivi (per quelli economici, il ruolo fondamentale spetta al sindacato). Inutile ripetere cose mille volte dette su formazione e competenze, deontologia e fiducia dei cittadini, interventi pubblici e libertà. Ormai è emersa anche la consapevolezza che l’Ordine ha bisogno di fare, insieme a tutti i colleghi, un “salto”. Prepararci sarà il nostro prossimo compito.

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