Move in Sicily - 03/2015

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il magazine

N. 03 | 15

#NONSOLOARANCE

TUTTI PAZZI PER L’AVOCADO

DI SICILIA

STATE AKORTI LA LISCÌA IN FESTIVAL

HOCKEY

ELEGANZA SU PRATO

COLAPESCE NON REGGE PIÙ LA SICILIA ADESSO FA IL CANTAUTORE


N. 3 | ANNO I | AGOSTO 2015 Move in Sicily/moveinsicily.com Reg. Trib. di Catania n. 6 del 10/04/2015

La copertina, spiegata male da Riccardo Di Bella

Direttore Responsabile Rosario Battiato rosbattiato@gmail.com Art Director Ursula Cefalù ursulacefalu@gmail.com Redazione Daniela Basile, Martina Distefano, Daniela Fleres, Viviana Raciti, Emanuele Venezia viale Bummacaro, 21/A, Librino, Catania redazione@moveinsicily.com Segreteria di redazione info@moveinsicily.com Copertina Logo Orto Bòtanico Hanno collaborato a questo numero: Giorgia Butera, Giuseppe Caruso, Paola Di Mauro, Emanuele Grosso, Danila Giaquinta, Antonio Leo, Giuseppe Paternò Di Raddusa, Giuseppe Schillaci, Gaetano Schinocca, Marco Tomaselli Ringraziamenti: Albane Cogne Banou, Colapesce, Francesco Di Mauro (Ciclope Film), Claudia Fichera, Cecilia Grasso, Carlo Lo Giudice, Ugo Magno, Nicola Palmeri, Andrea Passanisi, Paolo Pintacuda, Anna Sapienza, Simone Spitaleri, Giuseppe Stagnitta, Milena Viani (Terra di Bò) Ufficio Stampa Suttasupra suttasuprapress@gmail.com Editore Soluzione Immediata srl via Teatro Greco n. 76, Catania

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uello che sto invadendo è uno spazio riservato ad Antonio Leo che mi permetto di usurpare (in via del tutto eccezionale) sol perché posso testimoniare, “spiegandola peggio”, la creazione del logo raffigurato in copertina e del progetto che esso rappresenta. “E se all’interno de la Terra di Bò creassimo uno spazio dove registi ed attori siciliani possono lasciare le loro impronte così come in Hollywood Boulevard?”. Concordo con voi che si tratta di una gran bella minchiata, sparata un paio di anni fa da Nicola Palmeri in uno quei momenti in cui si sente particolarmente ispirato. Nicola rimase incolume solo perché gli interlocutori hanno pensato si trattasse di una battuta di spirito. E per rimanere nello scherzo, un altro idiota (credo di essere stato io) gli ha risposto: “Qui nella terra di bò siamo troppo ecologici per lastricare col cemento la walk of fame siciliana. Al limite potremmo sostituire la mattonella con una pianta”. La minchiata di cui sopra si ammantò di verde diventando ecocompatibile. E dato che la Terra di Bò tende ad aggregare, si sono aggiunte tante altre proposte di pari livello: “Ma perché solo registi e attori di cinema e non anche di teatro?” “Perché escludere letterati, poeti, musicisti, scultori, pittori,e filosofi?” “Ed i viaggiatori che più degli artisti hanno raccontato della nostra isola (Paola)?” “Ed i personaggi mitologici che la rappresentano? Non ci confonderemo certo per qualche pianta da dedicare agli sportivi?” “E se collegassimo tutto come se fosse un sistema neuronale (Milena)?” “Occorre creare un Pantheon! (Nello)”. Se poi, però, viene creato un logo (e soprattutto se il logo lo crea Ursula) le minchiate più o meno green (e vi assicuro che ci sono più sfumature nel verde che nel grigio) possono trasformarsi in un progetto strutturato in cui la natura sconfina nella cultura e viceversa.

Stampa: Italgrafica, via Nocilia 157, Aci S. Antonio (CT) Copyright ©2015. Tutti i diritti riservati. La riproduzione anche parziale di testi, foto e illustrazioni è vietata in tutti i Paesi del mondo senza previa autorizzazione dell’editore


L’INDICE

l’editoriale

004 COSI (MAI) VISTI

- UN SICILIANO A VENEZIA - BREVE, INGLORIOSO OMAGGIO A OMAR

005 #NONSOLOARANCE TUTTI PAZZI PER L’AVOCADO DI SICILIA 008 VOI STATE AKORTI: LA LISCÌA È IN FESTIVAL 010 L’EROE DI PATERNÒ. UN WESTERN ISOLANO 011 MESOGEA, UNA SINTESI DEL MEDITERRANEO 012 COLAPESCE NON REGGE PIÙ LA SICILIA. ADESSO FA IL CANTAUTORE

014 SPECIALE ORTO BOTANICO COME LA URPFLANZE

SUGGESTIONI ARBORIFERE IN MARGINE AL VIAGGIO IN SICILIA DI GOETHE

016 ALLA RICERCA DEL SUONO PERFETTO. LA MUSICA DI FABRIZIO BOSSO

Il nostro lavoro, e perché farlo Forse non ci sarà una ragione sufficientemente valida per depredare il titolo del primo racconto della raccolta Dilettanti (minimum fax) di Donald Barthelme e declassarlo a titolo di questo editoriale. Però vale la pena rischiare. È una storia surreale di una giornata in tipografia tra testi da seguire anche se volavano fuori dalla finestra e la consapevolezza conclusiva che di certo «la nostra arte sarà distrutta da chissà quale altra arte che di certo sarà altrettanta buona ma che, mi fa piacere dirlo, non è ancora stata inventata». Sono passati circa quarant’anni da quella pubblicazione, eppure il processo della carta stampata, inteso in senso lato, non si ferma e questo magazine farà la sua parte per continuare ad alimentarlo. Move, infatti, rilancia. Da agosto, e per ogni mese futuro, ci accompagnerà in giro per la Sicilia lo Zio Touring, un inserto cartaceo dedicato esclusivamente agli eventi siciliani. E siccome non temiamo la nostra eventuale fine cartacea, sul sito moveinsicily.com è già possibile registrarsi per inserire i propri eventi e in questo modo partecipare attivamente a un’operazione di raccolta dati che nel giro di qualche mese produrrà il più completo sito siciliano di eventi. Il nostro lavoro continueremo a farlo perché, ci fa piacere dirlo, servirà sempre qualcuno che racconti quest’Isola. (rb)

017 LA CITTÀ CHE DIVENTA TEATRO.

L’AGOSTO DEL CALATAFIMI SEGESTA FESTIVAL

018 STREET ART SILOS

SI FA PRESTO A DIRE ARTE DI STRADA

020 IN RICORDO DEL FUTURO

UN VIAGGIO TRA I MONUMENTI VERDI DELL’ETNA

zio Touring

022 L’ELEGANZA SU PRATO

IL FASCINO DISCRETO DELL’HOCKEY

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Cosi Cosi (mai) (mai) visti visti Un siciliano a Venezia È in arrivo la mostra: non c’è droga più potente per un cinefilo incallito

di Emanuele Grosso

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er i pochi che non lo sapessero, possedere l’accredito rosso alla mostra di Venezia è il più alto status sociale nella vita di un cinefilo. Il livello di super poteri che assicura è davvero imbarazzante: non solo puoi vedere tutte le centinaia di proiezioni e assistere a ogni conferenza, ma in funzione della parola daily che sta sotto la tua faccina (intendesi “stampa giornaliera”) imbastiscono per te delle corsie modello telepass grazie alle quali superi in tromba qualunque altro cine-pretendente. Sarà per questo che l’homo accreditatus non depone la sua collana neppure quando dorme e la esibisce con ridicola naturalezza anche al supermercato. Venezia è una droga tra le più potenti. Una volta dotato di pass, che ti procuri appena sceso dal vaporetto come se ti servisse per respirare, cominci la tua vita dissennata in una trance agonistica sconosciuta agli All Blacks durante la Haka. Neanche a dirlo, vorresti istantaneamente entrare in sala, ma prima corri a depositare la tua valigiona nella casa in cui ti sei infiltrato, al confronto della quale Erasmus e Appartamento spagnolo sono monasteri tibetani disabitati. Di solito vivi per dieci giorni (quest’anno si va dal 2 al 12 settembre) con una quindicina di “tossici” tuoi pari accalcati in 6 metri quadrati per dividere le spese; e capisci subito che dovrai andare in bagno alle 6 del mattino per poter arrivare in tempo alla prima proiezione. Sì, perché si comincia con il classico spettacolo delle 8,30. Naturalmente del mattino. E se non sei un pappamolle, segui la media generale dei 6 film al giorno. D’accordo, il parapendio e una scalata rocciosa a mani nude possono dare una certa emozione (a proposito, la mostra debutta con Everest), ma non è certo paragonabile all’adrenalina degli incastri sul libretto col programma. Un oggetto che tieni abbracciato anche nel sonno e che consulti ossessivamente per far quadrare i tuoi spostamenti tra le circa 5-6 sale disponibili fino a mezzanotte. Se sei fortunato a vivere nei paraggi della mostra ogni tanto spunti a casa e scambi telegrafici pareri con i tuoi inquilini che a stento intravedi tra un boccone e un passaggio in bagno a velocità ultrasonica. “Sei andato dal samoano? È meraviglioso”. E mentre maledici tutta la filmografia oceanica a metà storia, realizzi che il tizio che ti ha passato la dritta non lo avevi mai visto prima di quel momento.

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Breve, inglorioso omaggio a Omar dai cento corpi di Giuseppe Paternò Di Raddusa A volte si pensa, in maniera affatto erronea, che le icone del cinema sono tali perché una parte di esse sopravvive nei ricordi e nella celluloide. È per questo che ci nutriamo delle immagini che le riguardano, è per questo che quando se ne va Omar Sharif siamo tutti tristi, ma con l’amarezza ben lenita dal privilegio della memoria. Un esordio “ufficiale”, il suo – nonostante avesse già preso parte a diverse pellicole – in quel capolavoro che è Lawrence d’Arabia, di David Lean. Era il 1962, e l’egiziano Sharif irrompeva corrodendo letteralmente l’inquadratura nel deserto che lo vedeva protagonista. Uno sparo e un arrivo trionfale e profumato: di nero bardato, Sharif si mangiava il film, meritando una candidatura all’Oscar come non protagonista. Lean lo avrebbe voluto in un altro romanzone epico da lui diretto: questa volta, però, il ruolo è quello principale. E con Il dottor Zivago (1965), torrenziale e indimenticabile trasposizione da Pasternak, Sharif si consegna all’iconografia del cinema insieme alla sequenza dell’infarto, a Julie Christie e al tema di Lara firmato Maurice Jarre. Parlava correttamente quattro lingue (italiano incluso), dono che – se unito a una fisicità poco riconducibile a una data etnia – gli avrebbe permesso di interpretare ruoli di nazionalità disparate. Poco importa se dopo i due film citati non trovò quasi mai quelli adatti al suo robusto talento: fu, per esempio, sia il figlio di Sissi e Cecco Beppe nell’ormai dimenticato Mayerling di Terence Young, che addirittura Ernesto Guevara nel pessimo Che! di Richard Fleisher. Si sarebbe fatto rubare la scena da Barbra Streisand in Funny Girl e sequel, e avrebbe girato due dei film meno amati di due geniacci come Francesco Rosi e Blake Edwards (C’era una volta e Il seme del tamarindo, con Julie Andrews), collezionando poi tante pellicole di genere. E, come in fondo è giusto che sia, qualche apparizione alimentare, come in Top Secret! del trio Zucker-Abrahams-Zucker. Era riuscito di nuovo a mostrare il suo piglio da leone di razza nel 2003, con Monsieur Ibrahim e I fiori del Corano, dal romanzo di Schmitt: un film dolce e volutamente in sottrazione, che fu persino un discreto successo economico. Il César vinto come miglior interprete non sarebbe bastato: complici uno stile di vita non sempre salubre (ah, le sigarette!) e l’età in avanzata, i ruoli sarebbero diminuiti, riducendosi a partecipazioni speciali, camei di lusso e glorificati. Poi, la morte. Che si presenta audace, del tutto identica nella forma a quella del suo Zivago. Una coincidenza, però, che non merita più d’una riga: è della leggenda che si parla. Ed è della leggenda nera come la notte che nasce dal deserto, paradigma di ambiguità, fascino ed esotismo, che vogliamo mantenere per sempre il ricordo.


TUTTI PAZZI PER L’AVOCADO DI SICILIA Benvenuti nella giungla siciliana dove cresce l’oro verde

#nonsoloarance di Antonio Leo

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uando Andrea Passanisi ha iniziato a produrre avocado in quel di Giarre, piccolo comune della costa ionica, certo non poteva immaginare che quei frutti così insoliti per la Sicilia sarebbero andati a ruba in Francia, in Polonia, in Olanda, in Belgio. E che nel giro di un paio d’anni la domanda sarebbe stata superiore all’offerta. È un’Isola che non ti aspetti quella che scoviamo in contrada San Leonardello, che non si sa mai. L’Isola subtropicale dove l’agricoltura esotica non solo fiorisce, ma è anche buona. Perché non è tutto arance, limoni e mandarini. Mentre lo intervistiamo, ci fa leggere un messaggio di una famiglia cilena residente a Palermo. Ne vogliono ancora, di avocado. «Eravamo consapevoli delle potenzialità dell’avocado siciliano – ci spiega Andrea, imprenditore agricolo di 31 anni – ma anche del fatto che i concorrenti in Europa sono fortissimi, su tutti la Spagna e Israele. Cionondimeno abbiamo deciso di puntare sull’eccellenza, una scelta premiata da diversi Paesi europei che riconoscono la qualità intrinseca del no-

stro prodotto. Un frutto che coltiviamo con metodi tradizionali, tanto da aver ottenuto una certificazione biologica. Sono il primo a mangiarlo e dunque ritengo sia una questione di rispetto verso l’ambiente e i consumatori». Una qualità possibile anche grazie a un’intuizione fortunata: il terreno della zona di Giarre è ideale per la crescita del frutto più amato dai vegani. «Quando si parla di Sud Tropicale – racconta Andrea - si immagina subito la zona autoctona, dove le piogge durano cinque-sei mesi, i terreni sono molto sciolti e l’umidità è alta. Ma queste sono condizioni che abbiamo anche qui nella zona ionica della Sicilia, alle pendici dell’Etna». Certo non ci si può improvvisare. «Non puoi permetterti leggerezze – precisa Passanisi - inizialmente abbiamo fatto studi, ricerche, poi con l’ausilio di tecnici professionisti abbiamo piano piano convertito i terreni e piantato i primi alberi». E pensare che una volta nella tenuta Passanisi era tutta una macchia gialla, si coltivavano soprattutto limoni. «Ho avuto la fortuna di ereditare questi terreni da mio nonno, il quale dopo una lunga militanza da ufficiale dell’esercito, durante la seconda guerra mondiale e la guerra d’Africa, tornò in Sicilia e si volle

occupare delle proprietà di famiglia. Volevo seguire le sue orme, però sentivo la necessità di innovare. Il limone in queste zone si vende bene, ma viviamo un momento storico in cui il prezzo è sceso in maniera evidente. A quel punto, ho creduto fosse necessario un pizzico di follia». La folgorazione lo colpisce sulla via del Brasile, quando durante un viaggio di piacere prende corpo l’idea di impiantare l’avocado nell’Isola. «In realtà, negli anni ‘60-70 c’erano stati dei test sulle colture siciliane. Da noi il clima è favorevole, ma il vero segreto è il terreno di origine vulcanica, particolarmente morbido, e la qualità dell’irrigazione. Noi preleviamo l’acqua dal sottosuolo a circa 130 metri di profondità, grazie a un condotto che fece costruire mio nonno negli anni ‘50. Fu la vera fortuna per l’impianto stesso, senza il quale non avremmo un prodotto di altissime qualità». E che secondo Andrea non ha rivali in Europa. «Sono reduce da un viaggio in Spagna, sono andato nelle zone della Costa del Sol. Viaggio molto e devo dire che in Sicilia ci sono condizioni più favorevoli che altrove per l’acqua, il clima e una maggiore umidità. Elementi che uniti alla terra vulcanica rendono il no-

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#nonsoloarance

MovExtra Per l’intervista completa e le riprese video delle piantagioni di avocado Move in Sicily moveinsicily.com

Photo credit: Š Cecilia Grasso

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Illustrazione: Alessandro Venuto


MovConsigli

IL GUACAMOLE Chissà se anche Montezuma, l’ultimo imperatore azteco, andava ghiotto per una delle più famose ricette a base di avocado: il guacamole. Proponiamo ai nostri lettori la versione scelta da Siciliaavocado.it.

stro frutto eccezionale da un punto di vista organolettico, così come riconoscono i clienti». Così buono da non bastare per tutti: le richieste sono superiori all’offerta, dicevamo. Nel giro di pochi anni, l’azienda agricola è passata da 3 ettari e mezzo a dieci «con pazienza e soprattutto con sacrifici». Oggi la produzione ammonta a circa ottantamila chili all’anno, ma «grazie ai nuovi impianti e alle nuove tecniche di coltivazione, frutti dei tanti viaggi e degli incontri con i professionisti del settore», Andrea conta di raddoppiare il volume nei prossimi anni. Con un obiettivo: serrare le fila dei coltivatori siciliani attraverso il brand Sicilia Avocado, marchio da esportare in tutto il mondo. Come l’arancia rossa, il nero

INGREDIENTI 2 AVOCADO MATURI 1 CIPOLLA BIANCA MEDIA ½ LIME 1 PEPERONCINO MESSICANO JALAPENO 2 PEPERONCINI VERDI FRESCHI OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA GERMOGLI DI SOIA SALE E PEPE Preparazione: prima bisogna frullare gli avocado sbucciati e denocciolati con la cipolla, i peperoncini verdi, un filo d’olio, il lime, sale e pepe. Fatto questo, va amalgamato al composto mezzo peperoncino rosso privato dei semi e sminuzzato. Come ultimo tocco mettete qualche pezzettino di erba cipollina sopra la salsa.

d’Avola, il pistacchio di Bronte. Sicilia avocado conta già la presenza di numerose aziende ed è online un portale (siciliaavocado.it) con informazioni sulle proprietà del frutto, nonché un e-commerce dove si può perfino acquistarlo (per adesso è sold-out). «Sicilia Avocado rappresenta l’eccellenza di questo frutto tropicale in Italia. L’idea nasce come esigenza, in quanto la domanda non viene soddisfatta da un’offerta ancora limitata». L’unione fa la forza, insomma. «Con il progetto Sicilia Avocado cerco di coadiuvare, di mettere insieme tanti piccoli produttori. È un gruppo che rema verso la stessa direzione, dove non è importante essere grande o piccolo, ma offrire un prodotto con uno standard qualitativo elevato».

Lo seguiamo Andrea, mentre cammina soddisfatto tra i frutti della sua terra come chi ha avuto ragione dal tempo. Quella degli avocado a Giarre è una sfida vinta con passione, come ama ripetere – in qualità di delegato provinciale di Coldiretti-giovani impresa – ai giovani che come lui si avvicinano all’agricoltura. «Il consiglio che do è di fare gruppo, perché i propri limiti sono compensati dalle competenze di un altro. Bisogna ammetterli i propri limiti». E soprattutto ci vuole tanto lavoro. «Ci sono giornate grigie, altre proprio nere e poi quelle luminose. I giorni più foschi li supero di slancio perché penso che il giorno dopo è un altro giorno, è un giorno positivo. E lo faccio con tantissimo amore».

BACON, FUERTE, HASS. GLI AVOCADO FIGLI DELL’ETNA

POTASSIO E DINTORNI. QUANTE QUALITÀ IN UN SOLO FRUTTO

L’avocado non è uno. Nel senso che ce ne sono proprio centinaia di varietà del frutto tropicale, ciascuna con le sue caratteristiche. Quando Andrea ha deciso di impiantare gli alberi a Giarre, la prima cosa da capire era proprio questa. Avocado va bene, ma quale? «Abbiamo iniziato facendo un’indagine di mercato, perché l’avocado ha circa 500 varietà. Quindi ne ho selezionate diverse in modo da offrire alla clientela un’ampia scelta. Abbiamo la varietà Bacon che viene raccolta nel periodo tra la metà di ottobre e l’inizio di novembre». «Altra nostra varietà è la Fuerte, che raccogliamo nel periodo di novembre-dicembre, e infine abbiamo anche la varietà Hass. Quest’ultima da un punto di vista organolettico è la più apprezzata, sia nel mercato europeo che in quello italiano. A differenza delle altre, è un po’ più piccola e concentra quel gusto prelibato, cremoso, di noce-pistacchio che è l’eccellenza dell’avocado». (al)

Chiunque abbia un nonno o un genitore zelante non ha scampo: “Mangiati un’altra banana”. Perché per l’italiano la banana è l’unico frutto dispensatore di quella sostanza taumaturgica che è il potassio. Pochi sanno, però, che l’avocado ne contiene in quantità addirittura maggiori. Ricco di beta-carotene e glutatione, è altamente calorico (un frutto intero può equivalere a un filetto di bue). Con un avocado si assumono fibre e numerose vitamine, in particolare la A, la D, la E, la K e quelle del gruppo B. Per ogni 100 grammi di prodotto troviamo il 19% di grassi, il 7% di zuccheri e il 2% di proteine. Tra i sali minerali, oltre al potassio, si annoverano il fosforo, il magnesio e il calcio. Fa bene alla pelle, al cuore e aiuta a contrastare il colesterolo. Questo grazie alla presenza di grassi buoni, come l’acido grasso linoleico e l’omega3. La presenza di numerosi antiossidanti permette di ritardare l’invecchiamento e, proprio per le sue proprietà benefiche, è spesso usato dall’industria cosmetica. Per esempio, l’olio che se ne ricava è particolarmente indicato per rigenerare la pelle. Tra i principali alimenti antitumorali, addirittura l’avocado favorirebbe la ripresa dalla depressione. (al)

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Voi State aKorti:

la liscìa

è in Festival di Rosario Battiato

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iunto quest’anno all’ottava edizione, State aKorti non è un festival come gli altri. E non soltanto per essere stata la prima rassegna di video ironici e corti e per la qualità degli ospiti e dell’organizzazione, ma perché è un evento che manifesta la sua più intima natura in ogni pezzo, e in ogni passo, della sua realizzazione. Qui sono davvero tutti intinti nella liscìa. State aKorti, infatti, è un universo fatto di codici strani e personaggi ilari, una realtà permeata dalla liscìa catanese che dagli organizzatori cola abbondante su tutti gli ospiti, come se piovesse. E non è sudore. E non ci sono ombrelli né cerate né scafandri che ti possano salvare, perché la liscìa o la abbracci o la subisci. E così al povero giornalista non restano molte speranze di fare un servizio normale, un’intervista consuetudinaria. Una di quelle cose che ti fanno tornare a casa sereno e soddisfatto. No, qui bisogna stare cauti e muoversi con discrezione. Fiutare l’intoppo o la battuta. Prevedere la mossa dell’avversario, anticiparlo, proprio come negli scacchi, anche se è più rischioso. A cominciare dai quattro (dicasi quattro) direttori artistici della manifestazione. Il primo a tendere la trappola è Nicola Palmeri. Originario di Casteltermini, in provincia di Agrigento, è il creatore del MizzicaFilm Festival (mizzica.net), il festival itinerante dove vinci una stretta di mano che conclude annualmente il proprio percorso con State aKorti con cui è gemellato, ed è anche autore del validissimo Lo chiamavano Zecchinetta, documentario sul puparo e attore Tano Cimarosa. A lui, ingenuamente, chiedo di svelarmi i “passaggi” più importanti di queste otto edizioni del festival. Subito dopo scatta l’ingranaggio, la liscìa è in moto (anzi, in auto): «Tra i passaggi più importanti delle varie edizioni sicuramente ci sono quelli che ho dato agli ospiti dopo la serata del festival per accompagnarli a casa». Da liscìa a liscìa. «La nostra


L’edizione 2015

vita è un viaggio, una gita, un passaggio. Un giorno lasceremo tutto e i nostri affanni, i nostri ricordi svaniranno come “lacrime nella pioggia” (cita una nota battuta di Blade Runner di Ridley Scott, ndr), forse. Possiamo opporci a questo destino? No. Quindi siate lisci in vita, almeno». Del resto «se non vi salverà la fede in Dio vi salverà la liscìa. Abbiate fede!». A spingere più a fondo il bisturi nella storia di questo festival, nato da una costola degli Stipsy King, la band goliardico-demenziale made in Catania, è Simone Spitaleri, proprio uno dei fantastic four dell’edizione di quest’anno, e membro storico del gruppo fondato da Riccardo Di Bella, che è un po’ l’uomo nell’ombra, il ghost writer. Proprio quest’ultimo «resosi finalmente conto di non essere in grado di fare il sassofonista (precedentemente “aveva voluto scoprire” di fare schifo anche come batterista) – ci racconta Simone – decide, per continuare a fare finta di essere un artista e fare lo splendido con le donne, di creare State aKorti, utilizzando non a caso le lettere SK per rimarcare la continuità con gli Stipsy King». Da quella prima edizione del 2008 e dal suo successo non si sono più fermati. «Ci siamo detti – continua Simone – perché non replicare l’anno prossimo? Solo per questa volta, tanto smettiamo quando vogliamo!». E tra quelli che non hanno più smesso c’è anche Carlo Lo Giudice, regista di documentari, corti e video per il teatro, e lost in State aKorti visto che «già dopo la prima edizione qualunque essere dotato di mirudda (cervello, ndr) sarebbe scappato via». Alla fine la «vanità umana di ritrovarsi prima presidente di giuria in contumacia e poi direttore artistico senza portafogli di uno dei più importanti festival internazionali, ha avuto la meglio». Del resto «l’ironia – ci spiega – è una delle forme più alte di espressione del pensiero e delle emozioni». E qui siamo su livelli altissimi. Ce lo conferma la Susan “Sue” Storm Richards del gruppo, la invisible woman dei fantastic four. Claudia Fichera però non è invisibile, anzi, al contrario, è stata presente sin dagli esordi come giurata. «Il festival è piccolo, ma ha un livello qualitativo elevatissimo, e non è merito solo della presenza internazionale».

Anche quest’anno, tra il 31 luglio e il 2 agosto, si preparano tre giorni intensi, con ospiti di caratura nazionale tra cui i due giurati del MizzicaFILM festival: Aurelio Grimaldi, che sarà il testimonial della manifestazione, e Stefano Chiodaroli. Presente anche Guia Jelo, presente in molti film di Grimaldi e già ospite nell’edizione 2013, il vignettista catanese Totò Calì e il critico cinematografico Sebastiano Gesù. Inoltre per la prima volta State aKorti da spazio anche ai documentar con Alicudi nel vento di Aurelio Grimaldi, Lo stato brado di Carlo Lo Giudice, Fuitina, fuga d’amore di Salvo Spoto e Vito Trecarichi e I ragazzi della Panaria film di Nello Correale. Particolarmente interessanti anche i workshop, tra cui inEFFECTS dove si parlerà delle basi per l’elaborazione delle immagini digitali (maggiori info su www. nicolapalmeri.it), la II edizione di Re View realizzato dall’Accademia delle Belle Arti di Catania e diversi incontri e conferenze come la presentazione ufficiale di Mov(i)e in Sicily e di Move in Sicily. Quest’anno il festival

Nicola Palmeri

sarà anche l’occasione per svelare i risultati di “Shoot the movie in Sicily”, il concorso fotografico organizzato da Cineprospettive e Movie in Sicily aperto a fotografi e cinefili di tutte le nazionalità che permette ai concorrenti di individuare e fotografare le location siciliane nelle quali è stato girato uno dei film indicati nella lista reperibile reperibile sul sito www.stateakorti.it

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L’EROE DI PATERNò Un western isolano di Danila Giaquinta

n sella, tra colpi di tacco e nuvole di terra, nitriti e rivoli di sudore. E con un revolver. Non sono cowboys alla conquista del west anche se da est vanno ad ovest, da Paternò a Palermo attraversando una Sicilia rovente, desolata e sfiancante. Siamo nel 1866, in quei burrascosi anni post unitari, e il destino unisce Angelo Botta, un brigante della banda delle montagne e Vito Leone, un ex soldato della Guardia Nazionale noto tra la gente come L’eroe di Paternò, titolo

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iezionista e fotografo, c’è il papà Mimmo dietro il personaggio di Alfredo e il volto di Philippe Noiret in Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. «Mi ha sempre interessato quel periodo storico – spiega l’autore – per le zone d’ombra taciute dalla storiografia ufficiale. L’unificazione non è fatta solo di eroi che trionfano. Quello del romanzo è un viaggio fisico, personale e politico che va da un punto all’altro dell’Isola: si scoprono gli angoli della terra e quelli interiori, è un’esperienza di conoscenza e cambiamento. Vito comincia ad avere dubbi rispetto ai suoi ideali. La Rivolta del sette e mezzo in cui i due si ritro-

Mimmo Pintacuda, Giuseppe Tornatore , Paolo Pintacuda dell’opera prima del bagherese Paolo Pintacuda, edito da Il Palindromo. Due personaggi tormentati che hanno fatto una scelta di vita opposta ma condividono un incessante senso di colpa, un coraggio misto a paura, la Morte. Si parte dal rapimento della figlia di un nobile per finire alla Rivolta del sette e mezzo. Dopo quasi due anni di studi e ricerca, Paolo Pintacuda approda al suo primo romanzo molto visivo, forse perché nella vita fa lo sceneggiatore – ha vinto il Premio Solinas nel 2010 – lavora immaginando, prova a «fotografare con le parole». La visione, d’altra parte, è un dono di famiglia: pro-

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vano non coinvolse solo gente di malaffare, mafiosi o briganti, ma diverse anime politiche, borbonici, mazziniani, ex garibaldini, gente comune, delusi per le tante promesse disattese dai Savoia. L’unificazione non ha considerato le diverse realtà territoriali dell’Italia di allora. Imponendo la leva per 5 anni, ad esempio, si toglievano alle famiglie del Sud le braccia maschili che andavano a zappare nelle campagne, molto spesso unica fonte di sostentamento. Quello fu un periodo di latitanza e rivolte, non solo di lustrini e bandiere, ma anche di teste tagliate e morti appesi ai lampioni di Via Maqueda. A scanso di equivoci,

il brigantaggio fu una piaga per tutto il Meridione, ma occorre anche constatare che le scelte di alcuni furono dettate da certe condizioni». Storia cocente e infernale di anime, carne e sangue, in cui il buono, brutto o bello non importa, si scopre essere anche cattivo e la soglia tra cinismo e umanità non è mai netta. In mezzo c’è tanto altro, persino l’amore. Da servitore della patria Vito diventa un barbiere flebotomo che taglia capelli e fa salassi con sanguisughe, Angelo è uno dei tanti renitenti alla leva che preferisce fare il brigante anziché il latitante solitario. I due si trovano a compiere quel viaggio, a ripercorrere e inciampare nel loro passato fatto di dolore, nodi irrisolti. «L’uno ha combattuto per l’altro contro l’Unità – continua Paolo – eppure entrambi hanno le loro ombre. Si passa dal bene al male, il bianco diventa nero, un gioco della dualità. Una storia ti sembra reale quando c’è questa contaminazione». Tra “plaghe desolate”, “pianure gialle”, “colline lontane” e “Vulcanelli”, il libro è un on the road che si muove toccando e mappando tutta la Sicilia. Un’opera essenziale, asciutta come la temperatura che trasmette, che si affida a pochi dialoghi, a una lingua fatta pure di parole desuete e capitoli che galoppano veloci verso tanti piccoli finali a sorpresa. «È un romanzo storico – conclude Paolo – in cui il paesaggio diventa quasi un personaggio. Ho trascorso un anno e mezzo raccogliendo materiale, studiando, scavando. A suggerirmi lo stile western è stato proprio quel periodo in cui la Sicilia, ancora una volta terra di conquista, vede contrapporsi militari e briganti. E poi, certi panorami della nostra terra ricordano i Canyon, la Death Valley. C’è poco dialetto, comprensibile per chiunque, quel tanto necessario a trasmettere una storia e l’anima siciliana. Raccontare in modo che il lettore riesca a vedere oltre le parole è la più grande soddisfazione. La sceneggiatura è già pronta perché c’è l’idea di farne un film».


MESOGEA: una sintesi del Mediterraneo di Marco Tomaselli

l Mediterraneo e le sue tante, meravigliose, storie. Ed i suoi popoli, «molteplici identità di un mosaico di culture, di storie, di saperi spesso reciprocamente ignorati e rimossi.» Sono queste, da sempre, le linee guida della Casa editrice Mesogea, dal nome di un’antica regione dell’Attica. Ne parliamo, in esclusiva per Move, con l’editore Ugo Magno. Quando e come nasce Mesogea? Nelle estati dal ’94 al ’96, traversando il Mediterraneo in barca a vela e leggendo Breviario Mediterraneo di Predrag Matvejevic e Il Pensiero Meridiano di Franco Cassano, è andato maturando il progetto di una casa editrice specializzata in “culture del Mediterraneo”. Erano gli anni della Conferenza di Barcellona, in cui l’Europa prefigurava una grande area di libero scambio nel Mediterraneo entro il 2010. L’impostazione era molto economicista e discutibile, infatti non se n’è fatto nulla, tuttavia l’opportunità per la Sicilia e il Mezzogiorno d’Italia di recuperare centralità è stata la spinta politica, prima ancora che culturale, per avviare il progetto editoriale. Per più di due anni un gruppo di circa venticinque intellettuali, coordinati dal professor Nino Recupero, hanno affinato il progetto e, quindi, un numero più ridotto ha costituito il Comitato di Redazione, che ancora oggi ha il potere assoluto di decidere i libri da pubblicare. In una di quelle riunioni, dopo una votazio-

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ne e i ballottaggi, si è anche deciso il pasoliniano ci stava a pennello. nome: Mesogea. Dopo la scomparsa Dal Mediterraneo, uno sguardo verdi Nino Recupero, il Comitato è coor- so il futuro è d’obbligo: quali sono i dinato da Silvio Perrella ed è composto progetti in cantiere? da Caterina Pastura e Giovanni Raffa- Quest’estate abbiamo avuto il piaceele (Messina), Biagio Guerrera e Carlo re e l’onore di essere l’editore d’esorGuarrera (Catania), Elisabetta dio di Vincenzo Pirrotta, che Bartuli (arabista, Vicenmolti conoscono come za), Bice Agnello e Mario straordinario attore. In Mesogea Valentini (Palermo). È autunno pubblicherenon è solo libri: stata ed è dura, ma mo, dopo lunga geSabir è una nuova oggi possiamo dire stazione, Mahmud società che utilizza con soddisfazione Darwish, che viene le competenze che Mesogea è l’econsiderato il più e i contatti dell’editore ditore di riferimento importante poeta per organizzare eventi per chi è interessato arabo contemporao produrre spettacoli, alle varie culture che neo. Citando questi mostre, etc. si affacciano sul nostro due libri per esigenza di mare. sintesi, però, temo di far L’elenco delle vostre coltorto a tutti gli altri “nostri lane è molto particolareggiato; figli”; scelti, lavorati e pubblicati tra queste, “Petrolio”, il cui richia- tutti con la stessa cura. Mesogea non mo a Pasolini sembra evidente. è solo libri, ha generato, infatti, SaSin dall’inizio, le nostre collane si sono bir: una nuova società che utilizza le caratterizzate solo per la dimensione: competenze e i contatti dell’editore per La Micro (piccoli libri di grande quali- organizzare eventi o produrre spettatà), La Piccola (da leggere anche sotto coli, mostre, etc. Lo scorso settembre è l’ombrellone), La Grande (libri più im- stato inaugurato a Messina SabirFest, pegnativi che richiedono una poltrona un festival con decine di ospiti e di ino un divano). Per offrire agli studiosi contri, SabirLibri, con l’esposizione di un luogo per le loro ricerche, è nata decine di editori di qualità, SabirSuq, S&R. Dopo qualche anno, il Comitato con gli oggetti e i sapori delle nostre ha sentito la necessità di una collana culture, infine SabirMaydan, un forum dedicata all’impegno sociale e politico. di attivisti per promuovere una nuova Il primo libro, non a caso, è stato Un cittadinanza mediterranea. Tanta è anno di Pippo Fava. L’abbiamo chia- ancora la carne al fuoco e tanti i promata Petrolio perché il nome si presta- getti. Mi fermo qui per non abusare va, perché la grafica prevedeva il fondo dello spazio e… per non rovinare la nero e anche, certo, perché il richiamo sorpresa.

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Colapesce

non regge più la Sicilia Adesso fa il cantautore di Giuseppe Schillaci

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erchè proprio Colapesce? La Sicilia ha bisogno dell’eroe che la salvi o possiamo invece sperare che almeno un giorno il popolo siculo possa reggersi da sé? La scelta del nome è legata principalmente alla mia infanzia. Mia madre mi raccontava spesso la leggenda di Colapesce, quindi gli sono legato proprio per questo motivo e perché mi interessa l’aspetto del sacrificio che è insito nella leggenda. Colapesce probabilmente oggi, invece, farebbe sprofondare la Sicilia. Quindi speriamo che i siciliani riescano a salvarsi da soli, in qualche modo. Indie Pop Italico e le sue propaggini sicule. Cantori folk e pop parlano tutti delle stesse cose o gli isolani – a tratti – sembra prediligano tematiche particolari? Negli ultimi anni in Sicilia ci sono molti nuovi artisti e sicuramente a livello di linguaggio abbiamo tutti dei riferimenti all’Isola e al particolare rapporto degli isolani con la propria terra, che sappiamo quanto sia viscerale. Per fortuna abbiamo anche modi diversi di raccontare questa terra, penso per esempio a Dimartino, che oltre a essere un amico, è

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molto bravo a scrivere e lo stimo moltissimo per come sa descrivere certe dinamiche; oppure a un Cesare Basile che, nonostante scriva in maniera differente dalla mia, ha un modo molto interessante di narrare. A proposito degli artisti siculi, c’è qualche nome che stimi particolarmente? I sopracitati Basile e Dimartino, poi Fabrizio Cammarata (nonostante non canti in italiano) e gli Uzeda. La scena siciliana fortunatamente è ricca di artisti che hanno un riconoscimento che va oltre il nostro territorio. Penso pure a Omosumo o Carnesi. Non ti chiederò cosa ascolti ora. Invece ti chiedo, qual è il disco che ti piacerebbe ascoltare? In questo momento sto ascoltando parecchia musica strumentale italiana degli anni ‘70. Egisto Macchi, Piero Umiliani, i Goblin, tanta musica strumentale di quel periodo perché la conoscevo poco. Sto cercando di approfondire e rimediare a questa mancanza. In Italia quello fu un periodo molto florido, se pensi anche a Morricone che ha fatto delle cose che in questi giorni sto ascoltando tantissimo, come


la colonna sonora del film The Thing (“La cosa” in italiano ndr) di Carpenter, le cui musiche sono eccezionali. L’Egomostro, e il Meraviglioso Declino. Sembrerebbe ci sia sempre qualcosa che non va, una decadenza architettonica, umorale e sociale. Da siciliano “itinerante” come vedi l’Italia tra i tuoi viaggi? Felice e rassegnata? Non sono notoriamente un ottimista (ride) diciamo. In realtà Egomostro rispetto a Un Meraviglioso Declino forse è un disco più autobiografico rispetto al precedente, che per certi versi era un album più sociale con dei riferimenti politici abbastanza chiari e definiti. Non mi va di dare giudizi in generale quando scrivo perché non lo reputo un compito dell’autore, che dovrebbe essere semmai quello di invitare a riflettere. Dare giudizi non rientra nel mio modo di scrivere. Egomostro è un disco decisamente più intimo e più autobiografico, nonostante alcuni elementi che possono essere definiti sociali, se pensi al primo singolo Maledetti Italiani che forse è il brano più legato alla mia prima fase, al mio primo modo di scrivere. In realtà non volevo entrare troppo nei particolari, seppur il video sia parecchio esplicito da questo punto di vista. È uno spaccato dell’Italia ma non c’è una lista di buoni e cattivi. Ognuno può trarre le sue conclusioni. Non porgere più le guance. Un’idea da ricordare a se stessi per sopravvivere, o qualcosa che hai deciso di attuare nella tua vita? Quella canzone è il primo pezzo che ho scritto. È decisamente autobiografico e parla di un rapporto di coppia. Mi piaceva inserire questo riferimento biblico. Egomostro. Tante belle tastiere anni ‘80 e una vena synth pop che garba assai. Ci parli di queste scelte? A livello sonoro, rispetto al precedente o all’ep omonimo, c’è un utilizzo più massiccio di elettronica ma che in qualche modo percepisco come organica. Interagisce innanzitutto armoniosamente con gli strumenti acustici. L’idea era di fare un disco alla Talking Heads, sento che ci sia molta della loro influenza e forse anche del Battisti del periodo di Panella. Ho ascoltato parecchia musica non italiana negli ultimi anni e molto probabilmente questa cosa ha influito nei brani e nella realizzazione del disco. Sono molto contento del lavoro fatto con Mario Conte soprattutto per l’equilibrio tra elettronica e utilizzo degli strumenti acustici. Penso all’interazione della tr 808 (drum machine della Roland, ndr) con i fiati e la batteria acustica oppure a brani come Copperfield dove c’è Alfio Antico che suona il tamburo a cornice. Poi c’è uno strumento degli anni ‘30 che è simile a un autoharp però si suona col martelletto. Sembra un brano elettronico ma in realtà di elettronico c’è ben poco oltre l’approccio. C’è da dire che molti brani rispetto al passato li ho scritti partendo dal piano e non dalla chitarra, questo ha cambiato probabilmente lo sviluppo armonico della scrittura. Perché il rosa? Il rosa della copertina l’abbiamo sviluppato assieme ad Alfredo Maddaluno che, oltre ad essere un bravissimo grafico, suona anche con me. Ci piaceva questa idea anche se il titolo dell’album era già stato elaborato. Come dire: avevamo questo contenitore e lo abbiamo riempito. Diciamo che è una giusta sintesi tra un colore forte, quasi respingente, unito a una mia statuetta in 3d (per realizzarla abbiamo dovuto fare in pratica uno scanning del mio corpo). È la celebrazione dell’Egomostro per eccellenza unita alla scelta di inserire in copertina una statuina di sé stessi su di un piedistallo. Baronciani, le graphic novel e le storie da raccontare oltre il linguaggio musicale. Ce ne parli? Ho conosciuto Baronciani grazie ad Emiliano Colasanti, il mio manager. Eravamo a Milano durante un festival, in realtà già lo conoscevo perché avevo letto il suo libro Quando tutto diventò blu. Lui suonava con gli Altro, band di cui è il leader, un gruppo storico della scena punk italiana. Da lì è nata una buona amicizia. La nostra prima collaborazione è avvenuta a Roma durante un festival;

Egomostro rispetto a Un Meraviglioso Declino è un disco più intimo e autobiografico. È uno spaccato dell’Italia, ma non c’è una lista di buoni e cattivi.

Photo credit: © Fabrizio Vatieri

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MovExtra Per l’intervista video a Colapesce e altri contenuti Move in Sicily moveinsicily.com

Urpflanze

come lA

mentre io suonavo lui disegnava e tutto veniva proiettato alle mie spalle. Collaborazione che poi è seguita, con lo stesso metodo, durante due concerti al Teatro Coppola Occupato di Catania. Da queste esperienze e da una mia idea abbiamo cominciato ad abbozzare un racconto, e devo dire che i nostri rispettivi editori sin da subito si sono fomentati all’idea di realizzare un fumetto ambientato in Sicilia, scritto da me e disegnato da Alessandro. All’inizio abbiamo lavorato senza meta, poi quando abbiamo presentato la prima bozza del progetto devo dire che è piaciuto molto. Ci sono molte suggestioni all’interno del fumetto, secondo me. La prima è stata L’avventura di Antonioni. Viaggio metafisico all’interno della Sicilia, si parla di distanza in una duplice valenza: geografica ed emotiva. È stato molto divertente avere a che fare con dei riferimenti musicali e territoriali precisi: rock 86 (negozio di dischi situato a Catania, ndr), l’Ypsigrock, Pantalica, il luogo dove viene vissuto gran parte dell’avventura dai protagonisti e Solarino, il mio paese di origine. Il posto più bello della Sicilia dove ti piacerebbe organizzare un tuo concerto. La Sicilia è piena di posti incantevoli dove organizzare concerti. Un mio piccolo sogno sarebbe quello di suonare al Teatro Greco di Taormina o meglio in quello di Siracusa, ma in quest’ultimo non credo facciano nulla al di fuori di concerti come quello di Massimo Bocelli, e per di più una volta ogni due anni. Mi è sempre piaciuto pensare a un tour nei posti più inconsueti. Anche a Pantalica. La Sicilia è decisamente metafisica, ha dei luoghi assurdi e incredibili al tempo stesso. Penso alla nostra costa orientale, la trovo bellissima e il teatro greco di Taormina è uno dei posti più incantevoli.

Suggestioni arborifere in margine al viaggio in Sicilia di Goethe di Paola Di Mauro

Italien ohne Sizilien macht gar kein Bild in der Seele: hier ist der Schlüssel su allem [L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto]

Johann Wolfgang von Goethe 014


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ell’orto botanico di prossimo allestimento alla Terra di Bò – all’interno del quale verranno piantati variegati alberi dedicati, tra gli altri, a viaggiatori e viaggiatrici che resero artisticamente celebre la Sicilia – uno spazio se lo assicura lo scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe, in virtù del suo viaggio del 1787 raccontato e pubblicato in Italienische Reise (Viaggio in Italia, 1817). L’accostamento proposto tra movimento del viaggio e staticità solo apparente della pianta, si radica nella creativa intuizione di Goethe della Urpflanze, la pianta originaria che il viaggiatore mitteleuropeo ebbe, dopo la visita a diversi orti botanici italiani, a Villa Giulia di Palermo, ammirando rigogliosità e grandezza degli arbusti mediterranei: «Le molte piante che ero abituato a vedere solo nelle case o nei vasi, e per la maggior parte dell’anno solo nelle serre, qui [a Palermo] allignano vegete e fresche all’aria aperta; sì che, conformandosi interamente al loro destino, ci diventano anche maggiormente intellegibili. Alla presenza di tante forme nuove e rinnovate, mi tornò alla mente un’antica fantasia: perché in tale ricchezza di vegetazione, non dovrei scoprire la Urpflanze, ossia la pianta originaria? […] D’altro canto, come potrei riconoscere che questa o quella forma è una pianta se non fossero tutte modellate sulla base di un unico modello». Rintracciare l’identità originaria evolutiva di tutte le piante, individuare una sorta di conformità a leggi che le coinvolgesse tutte, era per Goethe la ricerca di un archetipo primordiale del mondo vegetale, di una forma primitiva della pianta, sostanziale e immutabile, di cui ogni singolo esemplare non sarebbe stato che attuazione concreta: «[c]on questo modello e con la sua chiave si potranno infatti inventare piante all’infinito, che saranno perfettamente conseguenti – e che, pur senza esistere nella realtà, potrebbero tuttavia esistere». L’autore tedesco credeva nell’estendibilità ad altri ambiti dello schema della Urpflanze: «[l]a stessa legge si potrà applicare a tutti gli altri esseri viventi». La precisazione appena evidenziata non è marginale: se Goethe avesse ricercato una pianta esistente, avrebbe restituito del mutamento della vita vegetale, solo ciò che permane, non il suo divenire. La ricerca di Goethe della Urpflanze viceversa – più che rivolta a specie vegetali vere e proprie – era un tentativo ermeneutico metaforico di cogliere l’inafferrabile, incessante metamorfosi della multiformità del mondo, vegetale e non. L’estensione dello schema concettuale della Urpflanze, infatti, anche al viaggio in Italia e in Sicilia – che Goethe concepiva, anch’esso, quale entità organica – ne evidenzia la dimensione trasformativa: alternanza di peregrinare e stanzialità, ricerca del punto di quiete e progredire spaziale e spirituale, entrambe necessarie al raggiungimento, sia per il morfologo che per il viaggiatore, della meta ultima. Quale albero reale, concettuale e archetipico, è da associare alla Urpflanze di Goethe? Lo si scoprirà visitando l’orto botanico alla Terra di Bò.

MovApprofondimento Goethe fece confluire i risultati dei suoi studi botanici nell’elegia scritta nel 1798 Die Metamorphose der Pflanzen [Metamorfosi delle piante], pubblicata dopo il suo viaggio in Italia. Il modello goethiano della pianta archetipa, contribuendo allo sviluppo d’un pensiero morfologico e genetico fecondo in vari ambiti, conteneva l’idea fondamentale per la quale l’evolversi della pianta è da descriversi secondo un principio ascendente, per il quale ciò che è profondo è più informativo della superficie, o – secondo una definizione in voga – del “rizomatico”: «[o]sservando il tipo vegetativo, notiamo istantaneamente un sotto e un sopra: la parte inferiore è formata dalla radice, la cui azione si svolge verso terra e appartiene all’umidità e al buio, mentre in senso diametralmente opposto il gambo, il tronco, o ciò che troviamo al suo posto, si protende verso il cielo, l’aria e la luce». Negli ultimi anni della sua vita, a partire dal 1828 Goethe, sviluppò l’idea della metamorfosi evoluzionistica mediante una particolare concezione della linea a spirale, così in Über die Spiraltendenz der Vegetation (1830) dove l’arbusto della vite rappresenta il modello supremo della riconciliazione di due opposti movimenti e le oscillazioni laterali si armonizzano grazie a una spinta verso l’alto. - Cfr. Johann Wolfgang Goethe, Urpflanze: la pianta originaria, a cura di Massimo Donà, Milano, 2014. (pdm)

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di Giorgia Butera

ALLA RICERCA DEL SUONO PERFETTO

La musica di Fabrizio Bosso

MiniBio

Provate a chiudere gli occhi, scorrono nella vostra mente le immagini del film capolavoro vincitore del Premio Oscar, Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore; arriva sottile un suono, una esecuzione perfetta mescolata a vibrazioni cosmiche. Il suono arriva dalla tromba di Fabrizio Bosso. Il cielo si apre, le stelle sorridono e le campane suonano a festa. In scena, l’amore per la vita attraverso il linguaggio del jazz, del cinema e della poesia narrata. Incontriamo il jazzista piemontese in uno dei suoi concerti a Palermo, a Palazzo Mazzarino, direzione artistica di Alessandra Mirabella. Fabrizio Bosso, classe 1973, inizia a suona-

re la tromba all’età di 5 anni. «La sperimentazione del suono – spiega a Move -, alla ricerca di quello perfetto, appartiene alla natura umana di ogni musicista. Per me è importante sentirmi appagato dall’esecuzione e riuscire a trasmettere il mio stato al pubblico presente; in questo modo è come se lo toccassi il mio pubblico». Per molti artisti c’è una esigenza naturale di misurarsi con i maestri del passato, così Fabrizio Bosso decide di rendere encomiabile tributo, nel suo ultimo lavoro, a Duke Ellington, tra i compositori più influenti di tutto il Novecento. Gli arrangiamenti funambolici e pieni di verve sono stati scritti da

Paolo Silvestri. Ad accompagnarlo alla tromba il suo quartetto composto da Julian Oliver Mazzariello al pianoforte, Luca Alemanno al contrabbasso, Nicola Angelucci alla batteria e una sezione di fiati maestri: Fernando Brusco e Claudio Corvini alla tromba, Mario Corvini al trombone, Gianni Oddi al sax alto, Marco Guidolotti al sax baritono e Michele Polga al sax tenore e soprano. «A 22 anni capii che il sogno dell’essere un musicista apprezzato ed affermato si stava avverando, uno stato evolutivo in continua crescita, sino ad arrivare al mio ultimo disco, un omaggio al grande Duke. Ma ho ancora dei sogni da realizzare, delle

conquiste da compiere, ad esempio, riuscire a suonare anche solo due note insieme a Stevie Wonder. E chissà, scrivere una colonna sonora per un film cinematografico». Fabrizio Bosso non è soltanto musica, ma è anche generosità, attenzione verso il sociale, verso mondi dove la condizione di vita è negata sin dalla tenera età, come l’Africa. «Non dimenticherò mai la luce negli occhi che ho visto in tanti bambini costretti a vivere in uno stato di povertà. Loro sanno essere felici, anche se non hanno nulla». Ed ora, tutti insieme ad ascoltare la musica, arrivano le note di Fabrizio. Inizia lo spettacolo, il pubblico applaude. Chapeau!

A 15 anni consegue il diploma presso il conservatorio G. Verdi di Torino. Nel 1998 viene chiamato per quattro concerti nel tour italiano della Canergie Hall Orchestra diretta da John Faddis. Nel 1999 è premiato come “Miglior Nuovo Talento” del jazz italiano nel referendum della rivista Musica Jazz. E nel 2000 esce il suo primo disco Fast Flight in quintetto con Rosario Giuliani pubblicato per la Red Records. Questo è l’inizio del percorso artistico di Bosso, trombettista dalla voce inconfondibile e tra i più quotati nella scena jazz italiana e internazionale. Dal Giappone all’Africa passando per la Sicilia, terra che lo ha visto protagonista più volte accarezzare i suoi palcoscenici. Come quello, del Castelbuono Jazz Festival. Il 26 maggio scorso è uscito il suo nuovo disco, un omaggio al “Duca” Ellington per la Verve/Universal. (gb)

Photo credit: in alto © Giovanni Daniotti - a sx © Roberto Cifarelli

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MovEventi

L

’apertura nell’ultima settimana di luglio, la chiusura il 12 settembre. In mezzo un intensissimo agosto. In questo arco temporale si sviluppa il programma del Calatafimi Segesta Festival 2015 - Dionisiache che offre al pubblico la possibità di assistere a 42 rappresentazioni con duecentocinquanta artisti, 29 spettacoli, di cui 6 prime nazionali, 19 laboratori, 3 concerti e un premio di scrittura teatrale per i giovani talenti. Un cartellone che si svilupperà all’interno di una città che diventa Teatro. La stagione teatrale del comune trapanese, creata dal direttore artistico Nicasio Anzelmo, permetterà di sfruttare come luoghi delle esibizioni tre spazi simbolici: il Teatro di Segesta, il Tempio dorico e il borgo cittadino. «Il territorio segestano – spiega Vito Sciortino, sindaco di Calatafimi Segesta - quest’anno sarà un teatro a cielo aperto che educa e forma alla crescita della popolazione incrementando le competenze culturali e creative che oggi più che mai ritengo capaci di incidere positivamente sullo sviluppo socio-economico del territorio». Una vera e propria scarica culturale che passerà da uno spettacolo simbolo del Teatro siciliano, il musical Pipino Il Breve con Tuccio Musumeci il 16 e il 17 agosto, alla presentazione, lo scorso 31 luglio, in anteprima europea, del film Leaves of the Tree che il regista newyorchese Ante Novakovic ha girato tra il Texas, Castellammare del Golfo, Segesta e Erice miscelando sapientamente la Sicilia, il cinema, il paesaggio naturale e archeologico. Appuntamento imperdibile anche il primo del mese con Ritratti d’amore, un balletto che avrà due interpreti d’eccezione: Sara Renda, la giovane alcamese prima ballerina del Ballet de l’Opéra National de Bordeaux e lo straordinario ballerino russo Roman Mikhalev, Etoile della compagnia francese. Un agosto che diventa ancora più suggestivo con le albe segestane. Ben tre gli appuntamenti al sorgere del sole: sabato 7 agosto con Vincenzo Pirrotta nell’Odissea; martedì 11 agosto la giornata si aprirà con Sogno di una notte di mezza estate; venerdì 21 agosto l’appuntamento musicale con la chitarra di Francesco Buzzurro, uno dei più talentuosi e poliedrici chitarristi italiani che presenterà il suo ultimo lavoro discografico Il Quinto Elemento. Il mese si chiuderà in bellezza, giorno 30, con la serata di assegnazione del Premio Cendic-Segesta che rilancia la centralità della scrittura teatrale e sostiene i giovani autori altrimenti a rischio di estinzione, consiste nell’allestimento e nella rappresentazione dell’opera. L’ampio e dettagliato programma è disponibile sul sito dell’evento (calatafimisegestafestival.it).

la città che diventa teatro L’agosto del Calatafimi Segesta Festival di Filippo Grasso

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na decina di giorni di lavoro, settecento bombolette, mille chili di colore, otto artisti. E una tavola da disegno di 10.000 metri quadrati. Questi i numeri che hanno rifatto il trucco ai Silos del Porto di Catania, enormi granai che si stagliano possenti tra il molo e la città. Dall’Etna a Polifemo, da Colapesce al Minotauro: sono i miti e le leggende – il tema voluto dall’amministrazione comunale - impressi su sette tele di metallo, che provano a raccontare l’identità della Sicilia con un’arte nata nei sobborghi e oggi sempre più apprezzata ad alti livelli. Street art silos è il progetto immaginato e portato a termine da Emergence festival con la cura di Giuseppe Stagnitta, inserito all’interno del contenitore I-art, rassegna di eventi estivi ideati e diretti da I-world con il Comune di Catania. «L’idea – ci spiega Stagnitta, originario di Giardini Naxos - nasce come esigenza delle Istituzioni catanesi di riportare la città al mare. L’obiettivo è di trasformare questo porto in turistico, unendolo al centro storico tramite una serie di passeggiate. Insomma, un po’ come a San Francisco e Miami». Un’idea quasi unica nel suo genere, anche se ci sono altri esperimenti «come quello di Vancouver», ma - precisa Giuseppe - «questa resta l’opera più grande, con 10.000 mq di superficie. È un monumento del XXI secolo». Sulle gru si sono alternati diversi artisti: gli spagnoli Okuda e Rosh 333 (autori recentemente di un’imponente opera all’interno della nuova metro di Madrid); il duo ucraino Intersni Kazki; gli italiani Danilo Bucchi, Bo130, MicroBo e Vlady Art (quest’ultimi, tra l’altro, catanesi). Ognuno con la propria tecnica e il portato delle proprie esperienze, ma «con una scelta stilistica ben precisa», come sottolinea Giuseppe, di fatto direttore in un’orchestra di solisti. «Danilo ha la sua tecnica – racconta - lavora con la china, fa delle colature. Okuda usa la bomboletta a mano libera. Le tecniche si diversificano, ma il modo di fare arte è molto vicino». Il minimo comun denominatore, dunque, sta proprio nella volontà di scendere in strada per comunicare. Cosa? Possibilmente un’identità a luoghi inghiottiti dal degrado urbano, dove spesso a farla da padrone sono palazzoni sfregiati e cadenti. Nessuno però parli di riqualificazione: «Emergence è la riemersione, io vengo dall’arte e volevo portarla in strada». In realtà, quella visibile a cittadini e turisti è solo una parte del progetto “Street art silos”. È prevista una seconda sessione a settembre,

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STREET ART SILOS

SI FA PRESTO A DIRE “ARTE DI STRADA” di Antonio Leo

Miti e leggende impressi sui granai di Catania, che ora sogna un porto a misura di cittadino quando il portoghese Vhils andrà a scolpire gli altri silos visibili soltanto dal mare. «È uno dei più importanti artisti al mondo – continua Stagnitta - che ha creato un nuovo modo di fare street art: scolpisce con i martelli pneumatici. Gli otto silos che danno sul mare (sono un po’ più piccoli

e di cemento, ndr) saranno prima ricoperti da una resina e in un secondo momento scolpiti per realizzare un grande volto che rappresenterà la città di Catania». E che tutti potranno ammirare o riconoscere familiare quando le imbarcazioni si avvicineranno alla costa.


NELLA TESTA DEGLI ARTISTI

Le interviste a Bo130, Danilo Bucchi e Vlady Art Dice che la Sicilia è più pesante. E non è che lo racconta uno così, un fanfarone qualunque, ma l’eroe siculo per eccellenza: Colapesce. Perché vuoi mettere la fatica di sorreggere duecentomila cristi in più ogni anno? L’aggiornamento della leggenda l’ha fornito – anzi l’ha spruzzato con la bomboletta - BO130, artista di strada proveniente dal mondo della protesta, particolarmente conosciuto per la rappresentazione di figure aliene. Suo è il soggetto del secondo Silos (contando da destra) che a prima vista sembrerebbe un extraterrestre in salsa, pardon in acqua, siciliana. «Tutti gli artisti – racconta Bo - ci siamo dovuti adattare al fatto che il sindaco e il Comune hanno voluto dare un tema e nessuno di noi lavora con un tema. Nel mio caso, ho interpretato a mio modo la leggenda di Colapesce: venendo in Sicilia, la prima cosa che mi è venuta in mente è quella dell’immigrazione». «Così ho ripensato al povero Colapesce, che sta lì a sorreggere la Sicilia e deve aver sentito un peso maggiore con tutti gli sbarchi del 2015. E mi è piaciuto immaginare che a un certo punto Colapesce, non riuscendo più sorreggere il peso, sia dovuto salire

a galla per spiegare ai migranti che la sperata terra promessa – l’Europa, l’Italia, in generale l’Occidente – è in realtà la causa dei loro problemi». Ma certo l’interpretazione resta aperta: l’alieno potrebbe essere al tempo stesso proprio un migrante, che riemerge dall’acqua come un corpo estraneo. E a tal proposito, Bo 130 ci ricorda che «in inglese gli emigranti vengono chiamati illegal aliens (alieni illegali, ndr)». La tecnica utilizzata per Colapesce è un mix di smalto d’acqua e bomboletta a spray: «è stato come lavorare su un treno a forma di scatoletta. Essendo il Silos di metallo, la bomboletta è stata il materiale migliore da usare ed è quello che dura di più». Tecnica completamente diversa per Danilo Bucchi, artista romano che lavora molto con il segno e di certo non può essere definito uno street artist. «Essendoci un tema di miti e leggende – spiega Danilo – ho scelto il Minotauro, un soggetto imponente e dunque adatto ai Silos. Il mio lavoro si basa sul segno e così ho voluto riprodurlo sul Silos trattandolo come una tela. Quello che mi diverte fare – è la seconda esperienza di una parete così grande – è riportare quella ge-

stualità più facile su un foglio di carta rispetto a grandi formati». Artista “di ritorno” è Vlady Art, che nella sua Catania ha mosso i primi passi come writer e ci tiene a precisare: «Io non ho iniziato con la street art, è la street art che ha deciso di iniziare con me». Nel frattempo, la città è profondamente cambiata. «Dieci anni fa, qui non c’era un’arte urbana di questo genere, mentre altrove già sì. Dieci anni fa, quando operavo io, esistevano solo i graffiti sui muri». Il suo è l’unico Silos interamente dipinto e ci spiega il perché: «in realtà sono rimasto un po’ schiacciato tra degli artisti che fanno figurativo, con giochi pittorici molto colorati. Pur cercando di rimanere a tema cromaticamente, non ho rinunciato al mio stile. Ho sfruttato la forma del silos per creare tre barattoli impilati. È un gioco di metafora in cui il silos ha una forma cilindrica e io gli do una veste: questo fa la street art in genere». Per quanto riguarda la scelta tecnica «il ruolo dello spray è stato marginale. Le campiture più ampie sono di acrilico. C’è chi ha fatto alcuni o molti dettagli a spray, ma fondamentalmente è un lavoro che non puoi fare senza l’au-

silio di acrilici e rullo». Su quello che può rappresentare questa opera monumentale per la sua città, Vlady è perentorio: «Togliamoci dalla testa che noi siamo qui per abbellirvi i palazzi. Non è questa la verità dell’arte, e a maggior ragione non lo è della street art. Non siamo palazzinari. L’arte non è che la ciliegina sulla torta di un percorso educativo. Laddove manca un background culturale, anche la stessa presenza dell’arte può essere fuori posto». (al)

E se finisse tutto come lacrime nella pioggia? I soliti maligni ghignano: ci vediamo tra qualche anno. Perché il timore che alla fine le opere possano essere cancellate dalle piogge e dalle intemperie esiste. Giuseppe Stagnitta, curatore del progetto per conto del Comune di Catania, è comunque ottimista: «Io credo che le opere dureranno tanto perché stiamo utilizzando dei colori molto particolari, abbiamo fatto fare un miscuglio apposta per i silos. Di solito dopo circa un anno iniziano a scolorire alcuni colori, ma spero che il mix realizzato ad hoc duri nel tempo». Bo 130 ci va più cauto: «Qua, sotto il sole, quasi tutto il giorno… e poi ci sono il sale e le intemperie. Bisogna vedere se i colori saranno fissati, probabilmente alla fine verranno verniciati con uno speciale materiale che li protegge. Vediamo se lo fanno…». (al)

MovExtra Per l’intervista integrale all’organizzatore dell’evento e a tutti gli artisti Move in Sicily moveinsicily.com

Photo credit: © Antonio Leo

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In ricordo del futuro Un viaggio tra i monumenti verdi dell’Etna di Giuseppe Caruso

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esidui di dagale e formazioni boschive endemiche, i maestosi monumenti vegetali sopravvissuti alla lava (e all’antropizzazione); in ogni stagione generano diverse e molteplici sensazioni fino a rivelarsi dei veri e propri luoghi dell’anima. Una legge del 2013 ne dispone una più accurata protezione. Sono sopravvissuti a diverse cala-

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Photo credit: © Giuseppe Caruso

mità, ci hanno preceduto e a noi stessi sopravviveranno. Sono monumenti come i templi pagani o quelli cristiani. Per tutti si tratta di secoli, in alcuni

casi millenni. Secondo le stime del Corpo Forestale, in Italia sono più di 20mila. Tra questi, oltre 2mila sono definiti di “grande interesse” e ben 150 di “eccezionale valore storico o monumentale”. Alcuni sono stati anche testimoni di importanti eventi storici. Monumenti della natura, insomma, che, oltre al già ec-


cezionale aspetto botanico e agrario, meritano di essere accostati a quelli creati dall’uomo e costituiscono un patrimonio di inestimabile valore. Da conoscere, tutelare, valorizzare, riscoprire con la giusta riverenza. Diversi elementi concorrono al concetto di monumentalità, a secondo del profilo biologico, storico e paesaggistico, e quindi culturale. La presenza di questi patriarchi verdi non solo ha caratterizzato il paesaggio, ma le loro radici hanno trovato terreno fertile nell’immaginario collettivo con valenze cosmogoniche, così come nelle espressioni artistiche dell’uomo - a tal proposito, senza andare troppo lontano, la rinnovata sensibilità verso la natura e la riscoperta del paesaggio sono state testimoniate dalla crescente presenza degli elementi naturali nelle opere di pittori e scrittori dell’Arcadia; con tinte crepuscolari nei romantici; e, ancora, dagli innesti floreali nell’art nouveau. Il riconoscimento di monumentalità per gli alberi secolari, poi, a livello nazionale è stato di recente sancito dalla legge 10/2013 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”. Categorie determinanti la dimensioni dell’albero, l’età, la rarità botanica, il portamento e la forma, la capacità di connotare un luogo, il legame con la storia, l’arte, la cultura e le tradizioni; e, dunque, il contesto di Sono sopravvissuti a diverse calamità, riferimento dell’elemento veci hanno preceduto e a noi stessi getale, l’appartenenza ad un sopravviveranno. Sono monumenti giardino storico o l’esistenza come i templi pagani o quelli cristiani di relazioni significative con elementi architettonici; o, ancora, l’essere testimonianza di forme colturali antiche. Insomma, degli antichi paesaggi agrari rimangono «singoli esemplari – si legge nel testo di Giuseppe Barbera con circonferenza e altezza di circa Molte buone ragioni per abbracciare 22 metri. A causa delle numerose vigli alberi, in Il futuro ha radici antiche: cissitudini (diversi incendi) l’albero, che la bellezza dei Monumenti della Natura - che si deaveva una circonferenza di 50 metri circa, è finiscono “alberi monumentali”, a dimostrare la loro ridotto a tre grandi ceppaie. appartenenza anche al mondo della cultura oltre che a Ad alcune centinaia di metri, confinante con Sant’Alfio quello della botanica o della agricoltura». ma nel territorio del comune di Mascali, si trova l’alIntraprendiamo il viaggio alla scoperta degli alberi mo- tro vetusto Castagno della Nave (o di Sant’Agata), numentali dell’Etna (per il Parco dell’Etna, il recente nell’antico piccolo borgo rurale di contrada Taverna, nei censimento ha prodotto 39 schede illustrative di esem- pressi di un altarino. plari arborei che rivestono un ruolo di unicità o rarità Spostandoci di alcuni chilometri in direzione sud-ovest, nel paesaggio etneo) segnalando quelli presenti in con- tra i boschi di Milo, amati da Giovanni d’Aragona, iltrada Carpineto, nel versante orientale del vulcano. Non lustre vicario del Regno di Sicilia (1340-1347) che qui a caso, visto che alcuni studiosi ritengono questa zona soleva ritirarsi, si erge imponente il più grande e antico sia stata oggetto in passato del primissimo atto di tutela leccio (quercus ilex) dell’Etna: l’Ilice di Pantanu di conambientale. trada Carrinu. Uno degli ultimi relitti della foresta scuIl maestoso Castagno dei Cento Cavalli, un albero ra e sempreverde descritta da naturalisti e viaggiatori colossale che detiene il duplice primato in campo na- del passato. Sotto le sue fronde colore verde scuro delle zionale di albero più grande del mondo e più longevo, querce sempreverdi, si trovano due casedde in pietra riconosciuto nel 2008 dall’Unesco Monumento mes- lavica: una in parte diruta serve il pozzo antistante (ai saggero di pace nel mondo, è il relitto più importante lati del quale, fino ad un decennio fa, si potevano ammidi questi boschi, e si trova nel territorio del comune di rare degli scifi in pietra lavica); l’altra, qualche decina di Sant’Alfio, a ridosso del quartiere Nucifori. Meta di tanti metri a ovest, presenta una rara forma circolare. viaggiatori e naturalisti europei tra Settecento e Otto- Sotto «alberi non a misura di vita umana e che hanno cento (G. Recupero, J. H. Vion Riedesel, P. Brydone, D. perciò a che fare con la fede o la religione», come diceSestini, D. Vivant-Denon, A. Fortis, J. Houel, E. Reclus, va Sciascia, potremo meglio riflettere sul fatto che gli etc – viaggiatori del Grand Tour di cui si conservano le alberi ci sopravviveranno (altri bambini si arramdescrizioni e le incisioni), il Castagno attrae ancora oggi picheranno, altri amanti si sdraieranno alla loro ombra, per la sua millenaria storia. Si tramanda, tra storia e altri uomini si fermeranno a riflettere appoggiati al loro leggenda, che servì da riparo ad una imprecisata regina tronco) e che grande è quindi la nostra responsabilità col seguito di cento cavalieri. È una Castanea sativa, verso il futuro.

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L’eleganza su prato Il fascino discreto dell’hockey di Rosario Battiato nna Sapienza è presidente del comitato regionale hockey prato. Con lei abbiamo discusso dello stato di salute del movimento, della buona scuola siciliana e dei progetti per il futuro. Prima di diventare una dirigente, lei ha praticato con successo questo sport. Ci può raccontare il suo primo incontro con l’hockey su prato e perché ha deciso di farlo diventare la sua passione? Ero una appassionata di sport, ma anche innamorata del mio attuale marito che praticava l’hockey. Insieme abbiamo quindi provato a mettere su una squadra femminile nonostante non vi era nessuna attività sportiva del genere nel territorio. Impresa ardua ma che alla fine ci ha reso mille gratificazioni sia personali che societari. A suo avviso, quali potrebbero essere le ragioni per convincere un ragazzino a praticarlo? Il fascino di uno sport di squadra. Il fascino di uno sport che viene praticato con l’utilizzo di un attrezzo (il bastone) che dopo le prime difficoltà tecniche ti affascina per gli stimoli a migliorarti e a competere in modo sano e corretto. La possibilità di giocare su dei campi in erba sintetica. Un incentivo più stimolante lo si ha in campo femminile perché l’hockey è uno tra i più eleganti sport di squadra da praticare sia all’aperto che al chiuso con la versione indoor.

a

Ci può parlare del movimento siciliano di hockey su prato? L’hockey prato si gioca in Sicilia prevalentemente in quattro province: Catania, Messina, Ragusa e Caltanissetta; nelle altre province è presente una lieve attività giovanile. L’attività più cospicua si svolge a Catania e a Messina con squadre che militano nella massima serie sia in campo femminile che in quello maschile. Ci sono squadre siciliane che giocano nella massima seria del campionato? I risultati più eclatanti sono stati ottenuti con il CUS Catania femminile che ha vinto nel passato 13 titoli italiani e ha vinto nuovamente il titolo di hockey prato nella stagione 2013-14. Ci sono atleti da nazionale? Specialmente in campo femminile l’hockey siciliano è stato sempre ben rappresentato in nazionale. Attualmente due atlete militano nelle file della nazionale Italiana: Dalila Mirabella ed Eleonora Di Mauro. Ci può fare un bilancio di questi ultimi anni di attività? Negli ultimi anni purtroppo si è registrato un decremento dell’attività sportiva a causa della recessione economica che ha investito anche e soprattutto il settore sportivo. Hanno resistito solamente le società che hanno una struttura societaria più salda o che hanno a disposizione un campo su cui giocare e sul quale possono portare avanti progetti di reclutamento di giovani atleti. È per que-

sto che il Comitato Regionale Hockey Sicilia (di cui sono il Presidente) non ha mai trascurato il settore promozionale con i piccoli proponendosi in progetti con le scuole, con i Comuni e in generale con il territorio prevalentemente della Sicilia orientale.

MovExtra Per le interviste video e contenuti dell’hockey su prato Move in Sicily moveinsicily.com

Anna Sapienza

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Divorzio all’italiana di Pietro Germi Italia 1961, 105’ Trama: Il barone Ferdinando Cefalù, detto Fefè, è sposato da dodici anni con Rosalia, ma è segretamente innamorato della cugina Angela. Non avendo la possibilità di ricorrere al divorzio, non ancora previsto dalla legge italiana, cercherà allora di trovare un’alternativa nel delitto d’onore, un omicidio punito con una pena assai più mite in Sicilia. Location: Ragusa (Palazzo Rocca, Via Duomo), Ispica (Via Papa Giovanni XXXIII, Via Dante, Cimitero, Incrocio tra Corso Garibaldi e via 24 Maggio, Chiesa di San Bartolomeo, Incrocio tra Corso Garibaldi e Piazza Maria Josè). Cast: Daniela Rocca, Lando Buzzanca, Leopoldo Trieste, Marcello Mastroianni, Stefania Sandrelli. Tutte le location del film si trovano sull’app di MovieinSicily scaricabile gratuitamente da tutti gli store e/o sul sito movieinsicily.org A cura di Giorgia Butera e Daniela Fleres ph Valentina Giuffrida


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