Move in Sicily - 02/2015

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il magazine

N. 02 | 15

3 Jurassic Island UN TOTò (CALì) PER CAPELLO:

INTERVISTA A UN ARTISTA LISCISSIMO

SCOPRENDO

BONAFEDE UN BUSKER

A OGNI ANGOLO DI STRADA

PALLA DIETRO E SEMPRE AVANTI:

IL RUGBY

RACCONTATO DA ANDREA NICOTRA


N. 2 | ANNO I | LUGLIO 2015 Move in Sicily/moveinsicily.com Reg. Trib. di Catania n. 6 del 10/04/2015

La copertina, spiegata male da Antonio Leo

m Direttore Responsabile Rosario Battiato rosbattiato@gmail.com Art Director Ursula Cefalù ursulacefalu@gmail.com Redazione Daniela Basile, Giorgia Butera, Daniela Fleres, Viviana Raciti, Emanuele Venezia viale Bummacaro, 21/A, Librino, Catania redazione@moveinsicily.com Segreteria di redazione info@moveinsicily.com Illustrazione copertina Totò Calì Hanno collaborato a questo numero: Emanuele Grosso, Danila Giaquinta, Antonio Leo, Alex Munzone, Giuseppe Paternò Di Raddusa, Gaetano Schinocca, Marco Tomaselli Ringraziamenti: Totò Calì, Albane Cogne Banou, Gaetano Di Bella, Francesco Di Mauro (Ciclope Film), Tothi Folisi, Cecilia Grasso, Marco Leopardi, Giusi Murabito (Walking Eolie&Sicily), Andrea Nicotra, Angelo Pavone e Antonio Rocca (Fumetti al cubo), Valerio Sardella e Liliana Lo Furno (compagnia Joculares), Milena Viani (Terra di Bò) Ufficio Stampa Suttasupra suttasuprapress@gmail.com Editore Soluzione Immediata srl via Teatro Greco n. 76, Catania

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ove in Sicily, o anche solo la Sicily senza bisogno di move, è sul pezzo. Mentre voi ve ne andate a vedere Jurassic World, perché i dinosauri non passano mai di moda e sono vintage come le vostre barbe, gli occhiali tondi tondi e i cestini da pic-nic che vendono da Tiger, noi usciamo con un bel lucertolone in prima pagina. Ora che hanno sdoganato pure Rocco (Siffredi), la Sicilia può chiedere alla polvere nascosta per anni sotto il tappeto senza provare vergogna alcuna. Dice che è caduto il ponte, dice. Che l’Isola è tagliata in due, e i suoi abitanti sono più isolati del loro stesso geografico isolamento. Pignoli, questo è decadentismo spritz, cocktail dai poteri taumaturgici che soltanto al di qua dello Stretto potete assaporare. È che noi soli vogliamo stare. “Se fossi un pianista, suonerei in uno sgabuzzino” diceva Holden Caulfield. Non sia mai che un turista batta le mani troppo forte al Teatro Greco di Taormina, provocando danni irreparabili. Almeno la roba antica teniamola buona. Totò Calì – l’illustratore della copertina - ce la racconta così la “Giurassica Sicilia” che fa il bagno in mutande e perde pure quelle: «Ci mancano strade, servizi e tutto quello che farebbe di noi esseri appartenenti a un mondo tecnologicamente evoluto. Di fatto ne siamo tagliati fuori perché non possiamo andare a Ragusa come a Palermo con una strada o un treno normale. Non dico speciale, normale». Il Totò pensiero non fa una grinza, ma siccome anche nudi facciamo pur sempre la nostra figura, in questo numero torniamo a raccontarvi quelle storie che fanno della Sicilia un bel pastiche, dove potete trovare tutto e il contrario di tutto. Uno, nessuno e centomila. Godetevi dunque il nostro nuovo naked lunch, per dirla con William Burroughs, che tanto se un senso non esiste ci accontentiamo dei sensi. E questa terra li appaga tutti. Alla prossima copertina!

Stampa: Italgrafica, via Nocilia 157, Aci S. Antonio (CT) Copyright ©2015. Tutti i diritti riservati. La riproduzione anche parziale di testi, foto e illustrazioni è vietata in tutti i Paesi del mondo senza previa autorizzazione dell’editore


l’indice 004 COSI (MAI) VISTI

- SCUSI, CHI è RICHARD GERE? - CORTOMESSAGGI FROM SICILY

005 UN TOTò PER CAPELLO UN ARTISTA LISCISSIMO 007 fuori dal coro un pulp made in sicily

008 UN GIORNO LA STORIA è PASSATA DAL PARCO DELL’ETNA - LA PAROLA AL REGISTA. INTERVISTA A LORENZO DANIELE

009 PICCOLI EDITORI CHE RESISTONO PER UNA SICILIA CHE LEGGE 010 FUMETTI AL CUBO: IL FANTASTICO CI SALVERà - I FUMETTI COME CRITICA DEL REALE. INTERVISTA AD ANTONIO ROCCA

011 LA RIPETIZIONE TRA STORIA E AZIONE 012 SCOPRENDO BONAFEDE 014 UN BUSKER AD OGNI ANGOLO DI STRADA 016 CE LO TENIAMO #STRETTO

STORIE ORDINARIE DI MESSINESI CHE SOGNANO AL DI QUA DEL MARE - Colapesce, una libreria dal volto umano - Lucy Fenech e lo stato dell’arte nell’era Accorinti - MOVSCOPERTE: LA CASA DEL PUPARO

018 CAMMINARE SENZA PENSIERI PERCORSI EOLIANI PER SCOPRIRSI

019 ‘U FERRU. UNA SICILIA TRA MEMORIA E COSCIENZA 020 PALLA DIETRO E SEMPRE AVANTI IL RUGBY RACCONTATO DA ANDREA NICOTRA

022 FISE, BILANCIO E aPPUNTAMENTI

l’editoriale

Sicilandia, parco giochi a più dimensioni Non tutti riescono ad abitare, o anche soltanto a intuire, le molteplici dimensioni dei mondi. È un esercizio, un’abitudine, una predisposizione. Una sfida. Lo sapeva Edwin Abbott Abbott, scrittore e teologo britannico del primo Novecento, quando scrisse Flatlandia: racconto fantastico a più dimensioni, una satira della rigida società vittoriana. Un mondo piano con donne come righette semplici e quasi invisibili e uomini come forme geometriche da incastrare nei solchi lasciati dal potere. Eppure Quadrato, il protagonista della storia, scopre Spacelandia, grazie a un abitante di quel mondo, e non si accontenta: gli strati del reale sono sovrapponibili e pressoché illimitati. Una rivelazione che gli costerà molto, in termini personali, perché indirizzata a sradicare le radici di quel mondo muto e immutabile. Oggi Quadrato non è solo. In questo numero abbiamo il piacere di ospitarne tanti come lui che in quest’Isola hanno trovato il molteplice, perché sarebbe tristemente facile appiattire tutto o affidarsi a qualche riconosciuta e diffusa massima gattopardiana. Salvatore Bonafede ci racconterà della nostra comunicativa, che splende persino sulla strada del jazz delle origini, e Totò Calì ci deriderà sempre perché tanto da queste parti (quasi) tutto si prende con liscìa. E poi tra fumetti, artisti (non solo) di strada, documentari come iniezioni per la memoria, miscele italo americane, percorsi naturalistici, editori e librai che resistono, sport che crescono, c’è un mondo che a ogni numero pare voglia spingere oltre, senza per questo cancellare il peggio che c’è. Non letteratura d’evasione, ma nuove percezioni. Qui. Sulla terra. Perché, badate bene, noi siamo tutti dei Quadrati con la faccia da esploratori. (rb)

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Cosi Cosi (mai) (mai) visti visti Scusi,

chi è Richard Gere? La solitudine della Archibugi, il disinteresse dei giovani, il papa nazista e gli zombie caraibici: ecco cosa è successo quest’anno al Festival del cinema di Taormina

«

di Emanuele Grosso

Per il film cubano del giovedì quei 4-5 che erano in sala a poco a poco sono andati via e ci siamo ritrovati in due: io sono pagato per stare lì, l’altro era un signore con la maglietta di Che Guevara, che alla fine si è pure dichiarato filo-castrista». Tranquillizziamo subito i parenti: il ragazzo delle proiezioni se la caverà. Benché confinato nell’isolatissimo teatro Nazarena a condividere con cinefili da ultimo stadio la rassegna che ha avuto il suo culmine in una storia di zombie caraibici, si risolleverà quando gli verranno accreditati i soldi. Chi invece non si riprenderà mai più dalla solitudine taorminese è Francesca Archibugi, la regista di Mignon è partita e di Il grande cocomero, chiamata per una Tao-lezione e traumatizzata a vita dallo spettacolo dell’aula deserta. «È imbarazzante», bofonchia all’arrivo. «Scusatemi, ma non posso fare finta di niente di fronte a tutti questi posti vuoti per un incontro sul rapporto tra i giovani e il centro sperimentale di cinematografia». Quello di cui è vittima è un tipico caso di dispersione scolastica. Perché a caliarsela sono le decine di liceali e universitari senza i quali il festival non avrebbe pubblico. Taormina da anni funziona in questo modo: attira branchi di ragazzi sventolandogli sotto il naso crediti e gite premio, così mentre ascolti Richard Gere il tuo vicino chiede all’amico “Chi è questo?”, e mentre tenti di guardare uno dei rari film in circolazione sei circondato da gente che scrive, disegna, consulta schermi luminosi di varie taglie e schiamazza con disinvoltura da ricreazione. Ai giovani il cinema non interessa. Non ci fosse questo leggero sconforto, il TaoFilmFest sarebbe contestabile quasi esclusivamente per la disdicevole peculiarità di trascurare i film. Partito Mario Sesti, la recente preponderanza mondano-vipposa della valchiria Tiziana Rocca (famosa per le sue irruzioni sul palco al momento di governare le domande dei giornalisti ai super ospiti) si è trasformata quest’anno in monarchia. Anche a voler fare gli snob a tutti i costi, nessuno può negare che per quanto siano baccalà i mammasantissima che invita (tipo negli anni scorsi Robert De Niro, Ben Stiller, Melanie Griffith e Meg Ryan, totalmente incapaci di esprimere una singola frase rilevante), la suggestione di ritrovarsi a pochi metri da attori arcinoti è potente. A maggior ragione se come Susan Sarandon sono in grado di dire che «Papa Ratzinger era un nazista», o come Rupert Everett che «per una frocia vecchia lavorare nel cinema è più facile». O se, come Richard Gere, difendono l’evoluzionismo dei film, «perché tutti e 57 quelli che ho girato sono mutati strada facendo, e non ha senso rimanere attaccati a tutti i costi all’idea di partenza». Teoria interessante, Richard, ma se oltre alle tue perle di saggezza la pr che dirige il festival ci favorisse qualche film in più ci ricorderemmo che prima di parlarne è bello pure vederli.

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CORTOMESSAGGI FROM SICILY di Giuseppe Paternò di Raddusa IL RACCONTO DEI RACCONTI. Lu cuntu di Matteo Garrone: nonsoloBasile. Il regista di Terra di mezzo, L’imbalsamatore e Gomorra si ispira alla raccolta di fiabe del campano Giambattista Basile (1566-1632) e dirige i tre episodi raccontati servendosi di un linguaggio “tradizionale” ma efficace, e lavorando sulle umanità dei protagonisti con sorprendente rigore. A suo agio alle prese con una grande produzione in lingua inglese e con un cast all-star (Salma Hayek, Vincent Cassell, Toby Jones, Shirley Henderson), avremmo preferito un approccio più “selvaggio” e meno legato ai consueti – giustificabili, per carità – sviluppi narrativi dell’operazione. Il meraviglioso, crepuscolare finale, però, fa passare (quasi) ogni riserva. YOUTH. L’ossessione per il corpo, la questione del tempo, i ricordi e la loro veridicità: sono ossessioni che venano da sempre il cinema del premio Oscar Paolo Sorrentino. Dopo La grande bellezza, che accostava tali elementi a un dilemma socio-zoo-antropologico più o meno discutibile, Sorrentino ritorna alle primordiali ossessioni con Youth, discreto compendio di vecchiaie, rimpianti e morti improvvise nella cornice ieratica e compulsiva di una gigantesca spa di lusso doloroso. Il regista non rinuncia ai consueti manierismi che costellano un formalismo spesso logoro; tuttavia, però, la sceneggiatura riserva più d’un momento di favorevole sorpresa, Michael Caine e Harvey Keitel se la battono a suon di talento e a Jane Fonda viene concesso un cameo d’onore che apre più d’una voragine sull’effettiva utilità dello spettacolo oggi. Tagliente e letale (lei, il film meno). JURASSIC WORLD. La saga di Jurassic Park subisce una dignitosa shakerata e, anziché tentare la strada del prequel, preferisce un approccio tradizionale da sequel “riconosciuto”, di godereccio spirito avventuroso, tanta CGI e un nuovo tipo di dinosauro “allevato” ad hoc per sviluppare le medesime facoltà neurologiche dell’uomo. Manca, s’intende, l’impianto filosofico e il sedimento culturale di “intrattenimento intelligente” concepito da Spielberg, regista del primo film nel 1994 (rimasto qui come produttore esecutivo). I dinosauri, le corse sfrenate, la tensione e il divertimento, però, resistono. E Bryce Dallas Howard, dopo alcuni anni di assenza dal set, è una protagonista di notevole fascino e tanto talento. Dirige Colin Trevorrow (autore nel 2012 del delizioso Safety Not Guaranteed).


un totò per capello un artista liscissimo di Rosario Battiato

a liscìa è come l’inchiostro simpatico, c’è sempre anche quando non dovrebbe, anche nei posti apparentemente immuni. Non è semplice, ma farla emergere è, allo stesso tempo, una decodificazione e una semplificazione dell’esistenza. Così non ci stupiamo se a dieci anni un ragazzino realizza delle caricature durante il funerale del nonno. Del resto non poteva cominciare in altro modo la carriera di Totò Calì, vignettista, pittore, scrittore e chissà cos’altro. «Senza saperlo avevo già costruito questa mia personale liscìa, era un evento che non sapevo ancora interpretare molto bene, eppure l’avevo già trasformato in qualcosa di accettabile, di digeribile». Totò è così, complesso, giocosamente ondivago, sempre con la battuta sulla lama, che sia spada, machete, o fioretto poco importa, e pronto a fregarti con quell’indecifrabile movimento che ti spiazza. Se giocasse a calcio sarebbe un fantasista, magari uno di quelli pigri e indolenti, che da solo, appena ti distrai, ti accende un faro in pieno viso. E così, tra un cortometraggio e uno schizzo, tra una pausa e un gioco di prestigio con la chitarra, ti trascina dove vuole veramente: da cinque anni porta l’arte, e la liscìa, nei terreni della problematica psichiatrica. Di liscìa si vive, anzi senza liscìa si muore. «È una condizione fondamentale per me – spiega Totò a Move, be-

l

atamente accovacciato sulla poltrona di casa - perché quotidianamente vediamo delle cose che sfiorano il grottesco». Forse ancora di più per i siciliani che custodiscono gelosamente questo termine intraducibile nel resto d’Italia. Una sorta di codice segreto che addolcisce la nostra condizione. «Noi siamo un popolo abituato ai saccheggi, alle conquiste, abbiamo molto in comune con gli ebrei che hanno vissuto la diaspora – continua – siamo specializzati nell’essere immigrati non clandestini». Da uno così non puoi certo aspettarti un lavoro normale. «Quando ho capito che non riuscivo a fare il serio, allora ho deciso di virare su quello che poteva essere più congeniale alle mie esigenze». Virare. Un termine marinaresco che non poteva dirsi più adatto. Totò è un barcone carico di storie e passioni. «Ho sbagliato tutto oppure ho indovinato tutto, dipende dai punti di vista. Quando ho finito il liceo avrei dovuto frequentare la scuola di fumetto – racconta divertito - in realtà mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti a Urbino. Lì non ho migliorato il mio modo di disegnare, ma ho appreso come si poteva vedere il mondo in maniera diversa». E qui si fa serio e tira fuori dal cilindro il «ragionamento ermeneutico, un passaggio sull’interpretazione delle cose, questo mi ha aperto la mente sull’arte contemporanea, sull’avanguardia

artistica». Un’apertura che abbraccia anche altri strumenti, altre tipologie di racconto del reale. Totò, nel corso degli anni, diventa pittore, giallista, persino regista di cortometraggi. «Bisogna imparare a utilizzare l’arte in base alle proprie esigenze». Esigenze che negli ultimi cinque anni ha rintracciato nei pazienti afflitti da problematiche psichiatriche. «Ho trovato tante cose in questo mondo, che è il mondo della follia, ma che è anche un po’ il mio, visto che prima dipingevo basandomi sulla mia follia». Un lavoro costante, a tratti inconcludente e frustrante, per smorzare la tristezza che per molti anni ha riempito la vita di questa persone. «Riuscire a farle ridere, o aiutarle a ridere, è già una terapia». Con loro Totò si esprime, trova soluzioni e sperimenta nuovi approcci artistici. Come il caso del Pollock a rotelle. «C’era questa paziente che aveva un’ossessione verso tutto ciò che è il contatto fisico – riporta mentre la memoria si fa amo e il ricordo abbocca – un’ossessione che aveva trasferito anche sul suo oggetto preferito che è la sedia a rotelle». Soltanto dopo aver costruito una relazione duratura col paziente è «riuscito a farla dipingere utilizzando la sedia a rotelle, mettendo del colore a terra e facendola passare sopra». Miracoli della creatività. O forse, più opportunamente, un’illuminazione da fuoriclasse.

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Per uno come Totò è tutto molto semplice: lui prende la realtà, la mette in un tritacarne e quindi produce qualcosa di completamente nuovo, eppure assai familiare al prodotto iniziale. L’ironia, insomma, c’è e ci sarà sempre, almeno finché ci sara realtà. «L’ironia farà sempre parte del nostro stare al mondo, altrimenti non ci sarebbe gusto». Cambiamo i modi, ma non la sostanza. «Negli anni ottanta c’erano tante pubblicazioni, ricordo in particolare Cuore, ma oggi sono tutte scomparse». Non sparisce però la vitalità di chi fa questo mestiere. «Ci sono bravi fumettisti e bravi disegnatori in Italia, ma oggi gli strumenti sono cambiati. Sui social, ad esempio, c’è molta liscìa, tutti fanno molta ironia e anche chi non sa disegnare oggi è in grado di costruire immagini composte». Non c’è limite? No, la libertà è inviolabile e da questa discende, pertanto, il diritto di satira. «Un fatto pubblico nasce per essere commentato ed è un processo che può avvenire in maniere molto diverse, dipende dai ruoli ricoperti dai singoli soggetti che se ne occupano». Nessun limite perché il commento può essere «ironico, bizzarro, offensivo». Non cambia, un fatto pubblico è pubblico. Il privato, invece, è sacro. «Considero i miei figli, la mia famiglia, un bene da proteggere, di fronte al privato bisogna fermarsi». (rb)

totò senza limiti (o quasi)

Tu falla ridere perché...

«Meglio avvicinarsi a un uomo che ti consuma il rossetto e non il mascara». Totò esordisce con una battuta quando ci addentriamo brevemente nel capitolo dedicato alle donne. «Un uomo che ti fa ridere, e lo stesso vale per una donna, ti mette di buon umore, l’ironia è una cosa importante, anche se non è che puoi essere sempre liscio». Ci sono momenti in cui bisogna fermarsi, perché un passo oltre, o un passo prima, c’è il ridicolo. «Nella vita servono i tempi comici per non finire nei tempi del ridicolo, perché ci sono momenti in cui bisogna affrontare una realtà amara e quindi ogni atto va valutato attentamente». (rb)

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MovExtra Per l’intervista video di Totò Calì, le sue canzoni e le fasi di creazione della copertina Move in Sicily moveinsicily.com


fuori dal coro

un pulp made in sicily di Danila Giaquinta

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a a Los Angeles per fare cinema e si ritrova a cucinare spaghetti per Robert De Niro. È il 1994 e Pulp Fiction è l’ultimo film che vede prima di partire e il primo che rivede appena arriva negli Stati Uniti. Sergio Misuraca, classe 1973, dopo qualche anno torna a casa, apre un ristorante messicano, scrive di notte e raccoglie soldini finché realizza il suo sogno americano. Ed è tutto pulp e made in Sicily Fuori dal coro, l’opera prima del regista terrasinese nelle sale dal 4 giugno. Il film è prodotto da Sciò Produzioni in associazione con Movie Sound Editor, distribuito da Microcinema Distribuzione, e vanta un cast e una troupe prevalentemente siciliani. Oltre a Dario Raimondi e Alessio Barone che vestono i panni dei ragazzi protagonisti, ci sono Alessandro Schiavo, Ivan Franek, Aurora Quattrocchi, Emanuela Mulè, Salvo Piparo, Antonello Puglisi, Consuelo Lupo, Sergio Vespertino, Marta Richeldi. Dario e Nicola sono due amici molto diversi, «uno si è laureato da poco e

vorrebbe fare qualcosa nella vita. L’altro ama farsi le canne e vive in modo rilassato» – racconta il director. Finché il “Professore”, un tipo che conta nel loro paese, chiede a Dario di portare a Roma una busta di documenti promettendo in cambio di segnalarlo per un posto di lavoro. Il ragazzo accetta, coinvolge Nicola ma niente va liscio. Di mezzo c’è pure lo zio Tony e lo slavo Pancev, “uno strano”. Al momento della consegna la busta scompare. «È una commedia noir siciliana – continua Misuraca – un film dalla doppia anima, si sente con le musiche e si vede con la fotografia. Volevo spiazzare e infastidire lo spettatore, fare qualcosa di diverso. E come dice il titolo, è una storia fuori dagli schemi, sia quelli della commedia classica che quelli del cinema ambientato nella nostra terra. Un mix di generi con cui racconto esperienze di vita, una Sicilia moderna e le difficoltà dei giorni nostri, anche se difficoltà ne abbiamo da sempre». Capitale a parte, le location sono tutte siciliane e il film è stato girato a Terrasini, Cinisi e Partinico. Arrivare al “the end” non è stato facile. Un lavoro condiviso e partecipato, un “piccolo miracolo” autoprodotto, che non ha incassato finanziamenti pubblici. «Parliamo di una produzione indipendente realizzata grazie al sacrificio di tutti: tanti hanno lavorato gratis, altri hanno messo le proprie attrezzature. Certe volte ci chiedevamo: “riusciremo a finirlo?”. Alla fine che soddisfazione, un film così piccolo in 30 sale in tutta Italia. Molti fanno cinema e aprono ristoranti, io ho fatto al contrario». In fondo

anche la storia di Sergio potrebbe ispirare un soggetto cinematografico. Non capita a tutti di andare a Los Angeles, ritrovarsi a fare il cuoco e imbattersi, un giorno per caso, in quel taxi driver che entra nel ristorante dove lavora, gli chiede di scambiare una banconota con monete per il parchimetro e dopo un po’ diventa il suo capo. Dai fornelli di Toscana Misuraca passa a quelli di Ago, di proprietà di De Niro e di altre star hollywoodiane, dopo aver lavorato in sala da Pane e cioccolata. «All’inizio ho vissuto quella città come un luna park e il cinema era dappertutto: riconoscevo ovunque luoghi di film e poi andavo a mare e giravano Baywatch, vivevo nel quartiere di Melrose Place. A un certo punto dovevo pur vivere, pagarmi le spese e ho messo da parte l’idea di fare cinema senza mai abbandonarla. De Niro? Sul momento non l’ho riconosciuto. Quando mi sono avvicinato e l’ho visto, mi ha fatto un certo effetto. Tra le star ho incontrato anche Morgan Freeman, Madonna e proprio da Ago hanno fatto la festa nella Notte degli Oscar per il premio a Kim Basinger come attrice non protagonista in L.A.Confidential». Tarantino non l’ha mai incontrato e dopo quattro anni torna, gira cinque cortometraggi e apre a Terrasini il suo ristorante, «vivo e vegeto ormai da 16 anni. Mi sento un ristoratore con l’hobby del cinema – conclude Sergio – e sono un autodidatta. Non cambierei la mia città con niente al mondo, la Sicilia è un posto difficile da abbandonare. Non sono più andato a Los Angeles ma magari ci torno e provo a far vedere il film a De Niro».

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UN GIORNO LA STORIA è PASSATA DAL PARCO DELL’ETNA

la parola al regista

di Daniela Fleres

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Quale parte della storia di questo luogo avete raccontato attraverso il film? La narrazione è affidata in parte alla voce fuori campo e in parte all’abate Mauro, un personaggio trans-epocale che esprime la costante presenza dei monaci qui. Egli comincia il suo particolarissimo tour toccando l’epoca di Eleonora d’Angiò, quando, al marito Federico III, re di Sicilia, era succeduto, a capo del regno, il figlio Pietro II. In questo monastero, infatti, la sovrana amava trascorrere i suoi periodi di villeggiatura e preghiera. Nel film appaiono anche Goethe che visitò la Sicilia e raccontò, nei suoi scritti, quanto ne rimase affascinato e Wolfang Sartorius, l’illustre scienziato che, tra l’altro, realizzò l’orologio solare della cattedrale di Acireale, il dodecaedro di Villa Bellini e la meridiana sul pavimento dell’imponente basilica di piazza Dante a Catania.

L’Ex monastero nicolosita rappresenta, quindi, un sito e delle mura che hanno molto da raccontare. Avete pensato a un se-

ttraverso un viale alberato che crea un’ombra confortevole musicata dal canto di grilli, cicale, uccellini e crepitii di foglie secche; mi incammino calpestando antichi lastroni in pietra lavica, che rivestono il pavimento di questo corridoio immerso nella natura e, oltrepassando l’arco del portale d’ingresso, d’improvviso, mi ritrovo di fronte a una struttura secolare, riuscita a resistere, quasi intatta, agli avvenimenti storici e naturali che si sono susseguiti nell’area in cui essa sorge. Un cartello indica che si tratta dell’ex monastero benedettino di San Nicolò La Rena. No, non è un sogno al quale non ho saputo dare una spiegazione, si tratta, invece, della sede, suggestivamente reale, dell’Ente Parco dell’Etna. Qui si sono avvicendati monaci, regine, poeti viaggiatori, artisti e oggi, con il docufiction Un Giorno la storia passò dal parco dell’Etna si sono voluti raccontare gli eventi storici che hanno caratterizzato questo luogo. Secoli addietro, il monastero rappresentava la base spirituale della comunità benedettina dell’area pedemontana, la sua struttura, come si presenta oggi, risale al XIV secolo; la zona circostante, un tempo destinata alla produzione agricola del monastero, accoglie frutteti, vigneti e il Sentiero del Germoplasma, uno scrigno verde che custodisce le essenze vegetali più importanti del territorio. Grazie alla collaborazione tra l’assessorato ai Beni culturali e all’identità siciliana, la Soprintendenza ai Beni culturali e Ambientali e l’Ente Parco dell’Etna, che hanno sostenuto il progetto, la casa di produzione Fine Art si è occupata di realizzare questo film. «Credo che il linguaggio del docufiction, a metà tra il documentario e la tecnica narrativa della fiction, sia l’ideale per mettere in scena eventi storici», sostiene Lorenzo Daniele, il regista. «È un modo per arrivare a un pubblico vasto ed eterogeneo. Il nostro scopo», continua, «è quello di presentarlo qui al parco, ai visitatori, ai ragazzi delle scuole, insomma, puntiamo a un’ampia diffusione».

a

quel o comunque un altro docufiction di questo genere, magari in altri luoghi storici di Catania o della provincia? Sì, vorremmo continuare con i luoghi in cui ha soggiornato Eleonora d’Angiò, a Belpasso, o con il monastero dei Benedettini di Catania, che avrebbe, di certo, molto di cui narrare. Il soggetto di Un Giorno la Storia passò dal parco dell’Etna scritto da Salvo Fleres, con la collaborazione tecnica di Giuseppe Gumina e Salvo Caffo, dipendenti del Parco dell’Etna, è nato con l’intento di promuovere la cultura volta alla conoscenza del sito benedettino. La storia è stata, poi, trasformata in sceneggiatura, grazie all’apporto di Alessandra Cilio e mio e chissà che non si possano realizzare altri docufiction con gli stessi intenti d’incentivazione culturale. Agli attori professionisti, Amelia Martelli, Massimo Giustolisi, e Giuseppe Bisicchia, si sono affiancati gli allievi della scuola di recitazione Buio in Sala Acting School e alcuni dipendenti dell’Ente Parco: Alfio Caltabia-

no e Domenico Culoso, che si sono prestati a fare le comparse e a recitare come l’abate Mauro, interpretato da Giuseppe Gumina.

Avete in mente di presentarlo in anteprima? Sì, probabilmente lo faremo in agosto in questa incantevole cornice fuori dal tempo che è la sede del parco dell’Etna. Il Docufiction parteciperà anche alla Rassegna del documentario e della comunicazione archeologica di Licodia Eubea, che si terrà in ottobre e, il prossimo anno, al festival internazionale del cinema archeologico a Rovereto. Due uomini incappucciati ci raggiungono. No, nessuna rapina, sono solo le comparse che interpretano i monaci. È l’ora di ricominciare le riprese; saluto il regista e la troupe e, congedandomi, penso che se a scuola la storia l’avessero spiegata così, forse, non solo non l’avremmo odiata con le sue date e le sue battaglie, ma l’avremmo fatta nostra invece di dimenticarla tra le pagine dei libri. (df)


F

austa Di Falco è una giova-

ne editrice siciliana, da anni sinonimo della VerbaVolant Edizioni, casa editrice da lei fondata a Siracusa, consolidata e riconosciuta per la ricercatezza delle sue pubblicazioni. Di ritorno dalla fiera palermitana Una Marina di libri, ha condiviso con noi i suoi progetti e il suo punto di vista sulla condizione attuale del mondo editoriale. Sei reduce dall’esperienza di Una Marina di libri: puoi fare un bilancio? Aggiungo: sono reduce da Una Marina di libri e di ritorno dal Salone del libro di Torino. Questa postilla non è casuale. Il Salone è una vetrina di prestigio, punto di incontro di grossi scrittori, agenti letterari e giornalisti. Ma è anche un ambiente piuttosto freddo, frenetico e “classista”. Le differenze tra le piccole realtà editoriali e i grandi marchi è troppo sfacciata e il pubblico dei lettori medi non riesce a cogliere bene il valore della vera editoria indipendente A una fiera del

re con una storia più lunga. Anche quest’anno i palermitani, e non solo loro, hanno dimostrato un lato della Sicilia che tanto ci piace e che troppo spesso pensiamo non esista: la Sicilia che legge, che partecipa, che si appassiona, che apprezza il lavoro ben fatto. A parte la soddisfazione data dalle vendite, è il rapporto diretto con i lettori che soddisfa. Quelli che ritornano anno dopo anno per vedere le novità, quelli nuovi che comprano un titolo per la prima volta, quelli che semplicemente vogliono confrontarsi con te per le scelte editoriali e grafiche… Ci sono molti richiami al latino nel tuo progetto editoriale, dal nome alle collane. Da dove nasce? A quale pubblico ti rivolgi in particolare? Sì, è vero. Quando ho aperto la casa editrice avevo in mente il famoso motto latino e quindi, alla ricerca di un nome, quello mi è sembrato adatto. Sono cresciuta in una famiglia intrisa di studi classici e di forti lettori. Le citazioni classiche erano consuete nei discorsi con i miei nonni e i miei genitori.

è il rapporto diretto con i lettori che soddisfa. Quelli che ritornano anno dopo anno per vedere le novità, quelli nuovi che comprano un titolo per la prima volta, quelli che semplicemente vogliono confrontarsi con te

libro come quella di Palermo la musica è totalmente diversa. Atmosfera festosa, solo editori pieni di passione e di idee, condivisione. Finora Una Marina di libri non ci ha mai deluso. Partecipiamo dalla prima edizione, sono cambiate le sedi, la manifestazione è cresciuta, si è arricchita ed è diventata un punto di riferimento per la piccola editoria al pari di fie-

Così, niente di più naturale per me, che fra l’altro amo la lingua latina. In particolare la collana Ad maiora mi ricorda mio nonno Ciccio il quale, ad ogni successo, piccolo o grande, negli studi o nel lavoro mi augurava sempre “ad maiora!” Del resto, è quello che nel mio piccolo cerco di fare sempre: cose nuove e sempre un po’ più “grandi”. In effetti ci rivolgia-

Piccoli editori che resistono per una Sicilia che legge di Marco Tomaselli

mo un po’ a tutti; se dovessi scegliere direi ai più giovani. Perché le collane più floride che alimento sono quelle dedicate ai bambini e quella di narrativa surreale, che di solito sono le più apprezzate da una fascia di venti-trentenni. In realtà però i nostri libri sono posseduti dai tre anni in su. “Editoria” e “crisi” sono due termini troppo spesso associati. Credi che riguardi solo i grandi gruppi o è un fenomeno generale? Una tua ricetta contro la crisi del settore? La crisi è tristemente associata a tanti settori in questo periodo. Il lavoro dell’editore è particolare essendo un’impresa culturale. Certamente la crisi coinvolge anche noi. Ci sono librerie che chiudono e non pagano le fatture, oppure che ritardano clamorosamente a farlo. E questo ci crea problemi, più spesso che un tem-

po. Certamente le crisi dei grandi gruppi hanno scale ben diverse. Nel caso di noi piccoli editori indipendenti penso che il punto di forza sia la qualità. Puntare ad autori selezionati, alla cura dei dettagli e della veste grafica. Ma anche alle idee innovative. Nel nostro caso, ad esempio, scommettere su una collana come quella dei Libri da parati (r), libri che si aprono invece che sfogliarsi e che dopo la lettura diventano “affiches”, ci ha dato ragione.

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Fumetti al cubo:

di Gaetano Schinocca

il fantastico ci salverà

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umetti al cubo nasce dall’incontro tra Angelo Pavone, autore, insegnante e fondatore della scuola del fumetto

di Catania, e Paolo Montalbano, artista catanese scomparso nel 2009 e presidente della Fondazione Marco Montalbano, dedicata

al figlio scomparso e impegnata nella promozione della cultura del fumetto. Montalbano voleva fondare una rivista, Angelo voleva un mezzo che permettesse di sublimare attraverso l’arte i vari problemi che attanagliano e violentano la Sicilia. Così nasce F3: un cubo che apre una sorta di porta da cui si accede al multiverso dell’onirico. «Paolo ci ha lasciati – si legge in un’intervista ad Angelo diffusa sul blog dell’associazione - qualche giorno dopo avere stretto nelle sue mani il prototipo del numero zero, erano trascorsi 15 anni e avevamo maturato questo progetto». Le F rappresentano il fantastico, il fantasy e la fantascienza, dimensioni parallele regolate ciascuna da regole diverse ma che permettono all’artista (e al lettore) di trasformare il cubo in un elemento fantastico e misterioso che solo la matita dell’autore può descrivere. La rivista diventa, così, un contenitore immaginifico all’interno del quale gli allievi della Scuola possono esprimersi liberamente, senza gabbie o limiti: ognuno ha un suo stile diverso dagli altri. «Non volevamo omologare - rac-

conta Pavone alla camera di Move né creare modelli uguali agli altri ma avvalorare la loro passione». Delle tre dimensioni è il fantastico quello che permette alla sensibilità dell’autore una libertà espressiva maggiore. «Il fantastico è nel quotidiano, lo troviamo ogni giorno. Può essere una pozzanghera d’acqua o una luce che entra dalla finestra della nostra stanza. Tutti possono accedere al fantastico, è dietro ogni angolo» afferma Pavone. Il fantasy, invece, ha delle regole diverse, più rigide, e consente margini di movimento limitati. La dimensione fantascientifica ha uno scopo sociologico: è in grado di placare le nostre paure e le nostre ansie sul futuro e, al contempo, sublima la nostra realtà, trasformandola in qualcosa di nuovo. Purtroppo, in Italia, è un genere che non ha avuto molta diffusione (la Bonelli ha avuto ottimi risultati con Nathan Never ma anche Hammer della Star Comics) come in Francia e in altri Paesi. Pur appartenendo a chi preferisce disegnare col pennino e inchiostrare con la china, tradizionalmente, Pavone non chiude al futuro: tra i suoi allievi c’è chi usa la tecnologia digitale; e il digitale, inteso come piattaforma di distribuzione, è in grado di assottigliare le distanze globali. Non è un caso che la rivista è disponibile anche su tablet, in modo da poter far visionare le opere dei ragazzi della Scuola anche dall’altro lato del pianeta. Pavone è convinto dell’idea che il pubblico vada educato: «del resto negli anni ‘90 a Catania erava-

mo quattro gatti a parlare di fumetti». Contribuiscono a questa forma di “educazione” le fiere del fumetto; Etnacomics segna ogni anno nuovi record di affluenza e queste vetrine sono importanti per permettere uno scambio di idee fra autori ed editori appartenenti a culture e Paesi diversi. Scambio culturale e educazione sono due parole chiave che entrano anche nella Scuola del fumetto di Catania. «Non si possono fare fumetti se non si conoscono Pratt, Moebius e Miyazaki» è l’assunto di Pavone, «per questo nei corsi spiego cosa hanno fatto e perché sono così importanti»; la globalizzazione è entrata anche nel fumetto, culture diverse si incontrano e si influenzano: i manga contaminano i Marvel e viceversa e nel fumetto italiano entrano in gioco supereroi americani e personaggi di ispirazione giapponese. La linea della Scuola e, di conseguenza, della rivista è europea, vicina alla tradizione franco-belga, più autoriale con una morbidezza del tratto e un’importanza alla colorazione.

MovExtra Per l’intervista video ad Angelo Pavone e Antonio Rocca Move in Sicily moveinsicily.com

Le tavole sono tratte dal numero 20 di Fumetti al cubo, Algra Editore, rivista curata da Progetti d’arte. Specifiche tecniche: China, pennelli e pennarelli su f.to cm 20x28 | cartoncino da 250 gr Canson. Modifiche e correzioni su pc.

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LA RIPETIZIONE

TRA STORIA E AZIONE di Alex Munzone

I fumetti come critica del reale Antonio Rocca è il direttore e coordinatore della scuola del fumetto di Catania. Fumetti al Cubo è una rivista che punta molto sul fantastico, un ambito che include svariati generi come fantasy e fantascienza, tra gli altri. È una scelta precisa per la vostra scuola? In realtà l’argomento è secondario, perché noi non crediamo che per parlare della guerra si debba disegnare la guerra. Per noi è importante che i ragazzi acquisiscano dei meccanismi di critica del reale. E come lavorate? I nostri allievi devono acquisire delle regole e soltanto dopo averle rispettate possono modificarle. Qualsiasi disciplina è poi appresa con piacere, i ragazzi scelgono liberamente di venire da noi e qui cominciano a disegnare e a perfezionarsi. Voi siete un gruppo fortemente indipendente. Quanto costa questa indipendenza? L’indipendenza non costa molto, abbiamo deciso di realizzare queste cose perché ci piace farle. E così abbiamo anche cominciato a farci conoscere e in questo la rete ci aiuta parecchio. È molto facile entrare in contatto con il nostro gruppo e così promuoviamo il mestiere difficilissimo del disegnatore di fumetti a Catania. (rb)

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ella dinamica del quotidiano, diversi interventi del linguaggio portano alla possibilità di generare espressione. Nell’arte, o ancor meglio, nella grammatica artistica, l’approfondimento si tramuta come azione intrapresa a favore della conoscenza, non soltanto dell’altro, ma soprattutto di se stessi, dei propri limiti, del personale potenziale. È nella ripetizione, in quell’imperturbabile attività di frequenza e di sforzo, che sfocia il lavoro complessivo dell’artista, nato nel 1979 e originario di Sant’Agata di Militello, Tothi Folisi. Egli si adopera in una precisa ricerca dell’io complessivo, del soggetto ai margini che viene evocato con aritmetica costruzione del colore e delle forme, riproducendosi negli atti e tramutandosi in forza cognitiva. Nella sua visione, ogni tassello cromatico, scheggiato e incastonato in una sequenza volumetrica a favore della percezione visiva, è esso stesso, per sua origine, forma e partitura della ripetizione, proponendosi attraverso un riordino che certamente trae origine dal lavoro di carbonaio del nonno dell’artista, mansione fatta di consuetudine, inventario perpetuo e oculata stratificazione. Come lo sgretolarsi, lo sfarinarsi del carbone, anche i pannelli statici e pigmentati dell’autore posseggono delle frantumazioni, delle distorsioni del colore puro o sfumato che, pur partendo da una sto-

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ricità, riescono a collocarsi in una visione contestuale dell’oggi. In questa ogni riquadro posizionato, infatti, sembra suggerirci e denunciare una reale alterazione degli schermi al plasma, del difetto del pixel e, nel complesso, della massiccia diffusione mediatica che pervade il naturale percorso della nostra quotidianità, con la trasmissione di eventi logori trasmessi e di parole deformate. In Grande Fuoco, intervento del 2014 eseguito per la nuova edizione di Fuoco Project / residenza di arte contemporanea presso l’azienda Trulli legna e Camini di Anzio (RM), il gesto della combustione, atto univoco eseguito tra i diversificati interventi installativi sul luogo, si delinea come “azione della tradizione” rivolgendosi verso una cospicua quantità di legna accatastata, che nella funzione del mestiere reale si traduce, una volta arsa, in quantitativo di carbone. Qui l’artista crea, nell’atto del bruciare, un’attività principalmente simbolica dove il cerchio, ricavato dalla totalità della superficie combusta, si prefigge come testimonianza di cosa succede quando una carbonaia viene distrutta e si modella in quanto passaggio, una sorta di tunnel virtuale dove ognuno può introdursi ed immergersi tra i profumi, la naturale saggezza e dedizione di un processo lavorativo intriso di ricordi e dignità.

l’artista in breve Tothi Folisi (Sant’Agata di Militello (ME), 1979) ha Frequentato l’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove ha conseguito la laurea in pittura nel 2004. Insieme a Marco Barone, Giuseppe Borgia e Vincenzo Profeta ha costituito nel 2003, il collettivo Laboratorio Saccardi, con cui ha collaborato fino al 2013. Dal 2010 al 2014 ha lavorato al progetto editoriale La Forma.

MovExtra Per le immagini dell’artista Move in Sicily www.tothi.tumblr.com moveinsicily.com

Immagine pag. prec.: Tothi Folisi

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Illustrazione di Alessandro Venuto

scoprendo

Bonafede di Rosario Battiato

ll’inizio degli anni Novanta Carlo Fruttero e Franco Lucentini avevano azzardato un apparentamento particolarmente suggestivo. Nell’introduzione a Il quarto libro della Fantascienza, una delle più interessanti e introvabili raccolte di racconti della serie Le meraviglie del possibile pubblicate da Einaudi, costruivano una corrispondenza tra jazz e science fiction per dati anagrafici, origini umili miscelate con ascendenze nobili, struttura rudimentale e per quell’attraente carica di «viscerale immediatezza». Nell’immaginario popolare coincidono persino l’idea degli interpreti, spesso finissimi intellettuali passati per improvvisatori senza studi, e la ‘carriera sociale’, da grande e candida passione popolare a elitaria, incomprensibile e sofisticata tendenza. Passaggi che, in ogni caso, non ne esauriscono la carica dirompente, perché jazz e fantascienza re-

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stano indefinibili e offrono strumenti pressoché illimitati. Roba così esplosiva non la puoi mettere sottovuoto. E bisogna effettivamente ammettere che nella lunga conversazione con Salvatore Bonafede, jazzista palermitano tra i più importanti d’Italia, ogni tanto, sullo sfondo, facevano capolino proprio le parole di quella grande coppia. E così abbiamo voluto umilmente ricambiare la cortesia di quel libro in cui jazz e letteratura giacevano assieme. Adesso leggeremo un grande jazzista. Capitolo per capitolo.

Capitolo I: Jazz è comunicare La prima domanda è anche la più ovvia e imbarazzante. Cos’è il jazz? «Il jazz me lo sono sempre domandato – risponde Salvatore dopo averci deliziato con una breve esibizione privatissima - senza mai trovare una risposta, però studio quello che dicono coloro che l’hanno fatto prima». Se c’è un prima nel jazz, allora c’è soltanto un nome da fare. Louis Armstrong


diceva che «se ti piace non devi farti troppe domande, non devi stare lì a preoccuparti». Una definizione resta impossibile. «Se qualcuno ce l’ha – scherza – lascio la mia mail e prego di mandarmela perché io non l’ho mai trovata». Poi ci pensa e trova pure lui, come Fruttero & Lucentini, una corrispondenza forte ed enigmatica. «Il jazz è come l’amore, ce ne sono di tantissimi tipi e ci sono tantissimi modi di farlo. Pensate a quelli che urlano e sudano e si muovono, e altri, come Bill Evans, che invece sono impassibili, distaccati, non lasciano trapelare nulla». Insomma, la risposta è nell’amore. Anche se ultimamente questo amore è diventato, almeno per il grandissimo pubblico, difficilmente decifrabile. Come se quelle origini popolari che l’avevano fatto esplodere in tutto il mondo fossero state un po’ annacquate. «Di recente il jazz è diventato ermetico perché è stato gestito da incompetenti, perché il jazz è nato per intrattenere e far divertire la gente. Se il jazz non comunica allora deve tornare alle origini». E così si aggiunge un altro pezzo alla composizione di questo complesso quadro jazzistico, perché quando questa musica aveva una comunicativa meravigliosa allora funzionava e «non era astrusa, non faceva venire il mal di testa». Del resto «ho deciso di voler fare jazz – ci spiega - perché mi permetteva di riprodurre qualsiasi cosa in qualsiasi momento sempre in maniera differente. Il jazz è anche questo: ogni giorno lo stesso brano sarà sempre differente, mai uguale». Sembra il go, il gioco di strategia di origine cinese che secondo la leggenda non avrebbe mai visto due partite identiche, ma è molto di più. È l’uomo. «Il jazz in questo vuole rappresentare l’uomo stesso, neanche tra un’ora saremo uguali, forse il mondo ci vuole sempre uguali, ma il jazz non è globalizzazione».

Capitolo II: Vita (non) privata di un jazzista Salvatore nasce nel 1962. A quattro anni comincia a suonare, a otto a studiare. Negli anni settanta è già con l’orchestra della Rai di Milano. «Trovai un ambiente meraviglioso, io ero solo un ragazzino, avevo tra 12 e 13 anni, e c’erano tutti quei signori che mi hanno accolto con grande affetto anche se ero una cosa pericolosissima, un bambino prodigio».

Poi il viaggio negli Stati Uniti dove cinema mi ha permesso di estendeincontra i grandi maestri america- re lo studio dei favori del pubblico, ni, quelli che fino a qualche anno però è importante che la musica prima aveva studiato e osservato accompagni e sorregga il film, non soltanto sulle copertine dei suoi di- deve disturbarlo». E per il lettore ha schi. «Nella metà degli anni Ottanta un’immagine magnifica da illustramolti di questi erano ancora viventi, re: «la musica deve essere un polso quindi ho pensato di andarli a tro- di ferro in un guanto di velluto». vare, ho studiato e li ho conosciuti e loro mi hanno trasmesso l’amore Capitolo quarto: Palermitudine per questa musica». Un amore che I siciliani all’estero soffrono di più. è comunicazione - «ce ne sono mi- Forse perché sanno di appartenegliaia bravi, ma non tutti comunica- re a una terra che, in un modo o no» - e poi totale dedizione a questa nell’altro, li marchia a vita. Salvatomusica. Rientra in Italia nel 1994 e re ce lo rivela come in un sussurro. la situazione che trova non è delle «La sicilitudine, o peggio ancora migliori. In quel periodo il jazz era la palermitudine, è la comuniintanto entrato nei conservatori, ma cativa che noi siciliani abbiamo. c’era soprattutto aria di business. Quando stiamo altrove sono tutti capaci di identificarci come E basta. «L’Italia non è stasiciliani, abbiamo delle ta in grado di mettere caratteristiche che in evidenza i suoi alla fine si rivelaartisti, ma solIl jazz è come no sempre e che tanto di farne l’amore, ci sono abbiamo sfrutun business tantissimi modi di farlo. tato, ad esema tutti i costi. Pensate a quelli pio, anche Per capire la che urlano e sudano nel jazz». La formazione di e si muovono, e altri che, musicologia quei ragazzi invece, sono moderna sta che hanno dimostrando studiato il jazz impassibili, distaccati, che lo sviluppo nei conservatonon lasciano di questo nuovo ri dovete provare trapelare nulla linguaggio, che coa guardarli e capiminciò a strutturarsi re se vi comunicano verso la fine dell’Ottocenqualcosa, se ci riescono to e primi anni del secolo scorso, hanno fatto un buon lavoro». Si parlava di dedizione? «Il jazz non ha visto una grande partecipazioti lascia molto spazio se lo scegli ne di siciliani. «Nella fattispecie come professione, perché devi lavo- si tratta di personaggi nati nella rare a casa, e poi devi anche curare zona tra Palermo e Trapani, dei il rapporto col pubblico per capire quali oggi abbiamo i carteggi che quello che effettivamente funziona lo dimostrano. Dai documenti possiamo risalire agli pseudonimi che e piace». questi emigrati si erano dati per Capitolo III: Il ritorno di Salvatore suonare negli Stati Uniti con gente Il rapporto con Franco Maresco come Charlie Parker». Una precomincia negli anni Ottanta, quan- senza che parte da New Orleans do il regista palermitano curava ma che coinvolgerà anche Los Anuna trasmissione radiofonica sul geles e New York. «Anche in quel jazz e, già in quell’occasione, ave- caso abbiamo portato la nostra cova chiesto a Salvatore di curare municativa, perché noi siamo uno le musiche in vista del suo primo nessuno e centomila». film. Le loro strade però si dividono e si ritroveranno soltanto all’inizio MovExtra degli anni duemila quando Bonafede realizza le musiche per Il ritorPer l’intervista video no di Cagliostro (2003) di Ciprì e a Salvatore Bonafede Maresco. Poi la collaborazione cone per una breve esibizione tinua nel corso degli anni, anche in esclusiva per la televisione, e prosegue anMove in Sicily cora oggi con Franco Maresco visto che la coppia non esiste più. Dopo moveinsicily.com Belluscone (2014), infatti, sta lavorando a un documentario sul drammaturgo Franco Scaldati. «Il

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Un busker a ogni angolo di strada di Rosario Battiato

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alerio Sardella si è laureato in ingegneria elettrica e ha esercitato la professione per due anni. Oggi fa l’artista di strada a tempo pieno. «Una scommessa vinta – spiega sorridente alla camera di Move – perché ho capito che è possibile lavorare con amore, impegnarmi e mantenere la mia famiglia». Un sogno partito da molto lontano - nel 1999 scopre la giocoleria - e che trova la sua compiuta realizzazione nella costituzione della compagnia Joculares, un progetto che miscela quattro elementi essenziali: teatro, danza, musica e arti circensi. Ne fanno parte anche Annalusi Rapicavoli, Marco Previtera, Serena Fede, Liliana Lo Furno, Cristina Mazzeo e Giuliana Randazzo. Professionisti che hanno ampliato il patrimonio della compagnia: dalla giocoleria gli spettacoli si sono arricchiti di altre tipologie di linguaggio – leggiamo sul loro sito ufficiale -, creando un’alchimia magica tra giocoleria, acrobatica, verticalismo, funambolismo, tessuti aerei, cerchio aereo, trapezio, roue cyr, danza e fuoco. «Fino al 2008 collaboravo con tanti artisti di strada – racconta Valerio – poi ho conosciuto Marco Previtera e abbiamo fatto crescere una vera compagnia che produce costantemente spettacoli». Una scelta precisa all’interno di un calderone in cui l’osservatore profano infila un po’ di tutto. «Il mondo degli artisti di strada è molto variegato, c’è chi sceglie di non essere ingaggiato e fare solo cappello. Noi preferiamo avere un business ricercando committenti nel pubblico e nel privato». Per strada o per committenti, i buskers offrono tanta qualità a spettatori spesso distratti e condizionati dalla location dell’esibizione. A sensibilizzare l’opinione pubblica ci hanno pensato anche grandi nomi internazionali – da Bruce Springsteen agli U2 passando per Sting e Jon Bon Jovi – che hanno voluto lanciare un messaggio molto chiaro. «Stai attento a chi hai davanti – riassume Valerio - perché potrebbero anche essere gli U2».

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Un’immersione nell’arte circense, torna il Bò Buskers Festival

Il Bò Buskers Festival, festival di teatro di strada e circo contemporaneo, nasce nel 2014 dalla collaborazione fra la Compagnia Joculares e Terra di Bò. «L’anno scorso è stato un esperimento che ci ha rivelato un successo inaspettato in termini di pubblico, qualità degli artisti e riscontro delle persone che ci hanno scritto». L’entusiasmo e la professionalità di Liliana Lo Furno e degli altri organizzatori stanno alla base di una macchina complessa e strutturata che per l’edizione 2015 ha messo in piedi un evento che ospiterà oltre 20 spettacoli di artisti internazionali, un mercatino ecosostenibile, un’area food, tantissimi workshop pomeridiani di attività circensi e spazi dedicati ai bambini. Un evento per tutti. «Grazie ai social – sottolinea Liliana -, ormai fondamentali, è possibile raggiungere molto facilmente il nostro pubblico, che poi è composto da tutti i bambini da 0 a 90 anni». Un progetto di questo genere non poteva che ricevere un marchio di qualità d’eccezione. La Terrà di Bò, nata cinque anni fa dall’incontro tra la pedagogista Milena Viani e i fratelli Di Bella, proprietari dell’omonima Villa, è un parco emotivo che vuole avvicinare i bambini ai ritmi e ai tempi della natura. «L’idea di associare il marchio al Festival – spiega Milena - muove dal piacere di promuovere ciò che è bello, ciò che è arte, e legare sempre più stretti la compagnia Joculares, che proprio qui ha la sua casa, e la Terra di Bò». (rb)

MovExtra Per l’intervista video a Valerio Sardella, Liliana Lo Furno, Milena Viani e altri contenuti Move in Sicily moveinsicily.com

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Ce lo teniamo #Stretto

Storie ordinarie

che sognano

Colapesce, una libreria dal volto umano di Antonio Leo

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l suo pulmino, carico di libri e fantasia, alla fine si è fermato al numero otto di via Mario Giurba. È qui che Filippo Nicosia ha aperto – con i fratelli Ciccio e Nicola - il caffè letterario Colapesce, oggi punto di riferimento per le iniziative culturali e artistiche di Messina. È di fatto l’approdo dopo un lungo errare tra piazze e trazzere siciliane. Per 70 giorni con il progetto Pianissimo ha condotto una bancarella-bus perché i libri si promuovono sulla strada e fanno ridere i soloni «da divulgazione a mezzo tweet». Il fatto è che Filippo si era scocciato di starsene a Roma, dove lavorava per una casa editrice. «Intorno ad aprile 2013 – spiega - ho avuto una crisi motivazionale. Lavorare nella piccola e media editoria oggi significa non sapere quello che farai non solo dopodomani, ma domani stesso. Anche nei grandi gruppi assumono solo con la partita iva». «Sono tornato in Sicilia – continua - perché volevo fare una libreria itinerante, pensavo che fosse più divertente e stimolante. Era una cosa totalmente folle, ai limiti della legalità, non poteva durare». E così per non rischiare di non tornare più a terra come il noto eroe siculo, sfidato a singolar immersione da Federico II (nella versione siciliana del cunto), si è fermato prima di attraversare lo Stretto, nella sua Messina. Ma cu tu fici fari (ma chi te l’ha fatto fare), verrebbe subito da esclamare in tempi di vacche magre, specie in Sicilia dove l’Istat ci certifica regione in cui si leggono meno li-

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bri. Appena il 26% dei siciliani ne ha letto almeno uno nel corso del 2014. Nel resto d’Italia si arriva in media al 41%. Invertire la tendenza è certamente difficile, ma è il mezzo che in questo caso supera l’importanza del fine. «A noi interessa – puntualizza Nicosia - creare un posto in cui la gente possa sentirsi tranquillamente accolta e che abbia anche all’interno dei libri come riferimento. Non seguiamo le novità, facciamo molto catalogo e cerchiamo di proporre eventi che non siano soltanto la presentazione dei testi». Una libreria a chilometro zero, insomma, dove magari si può perdere il senso pedante del tempo tra la scelta del libro e una degustazione di vini. «Una libreria pensata per un essere umano che ha comprato parte dei suoi libri in ebook, un’altra su amazon e infine il resto da noi perché ha il piacere di andare in un posto e sceglierli là». Non è facile, ma chista è a zita (lett. questa è la fidanzata, in altre parole la situazione) per dirla con Filippo. «L’unica cosa che si dovrebbe fare è cercare di rendere la vita del libraio un po’ più semplice, con una percentuale di guadagno più elevata». La libreria Colapesce vuole essere dunque avamposto di quanti non si rassegnano a morire lettori da supermarket. «Il mercato ha perso il 10% in 3 anni di utenti, ma a un certo punto ci assesteremo. Il futuro sono questi posti, non i megastore. Recentemente ne ha aperto uno a Milano, ma a me l’idea di qualcosa di ‘mega’ riporta sempre alla mente il megadirettore generale di Fantozzi». Disumano, troppo disumano.

Filippo Nicosia


di messinesi al di qua del mare MovScoperte Lucy Fenech e lo stato dell’arte nell’era Accorinti LA CASA Messina è una città abituata a rialzarsi tra le macerie. Non solo quelle dei numerosi terremoti che hanno flagellato la città, ma anche i detriti lasciati da amministrazioni inadeguate. A volere usare un eufemismo. Renato Accorinti, il sindaco balzato subito agli onori della cronaca per le t-shirt free Tibet e una guerra dichiarata al nodo della cravatta, ha ancora tanta strada da fare. Ma se è vero che dopo due anni di sindacatura – passati per lo più a dirimere l’enorme groviglio del bilancio - la rivoluzione appare lontana, cionondimeno l’elezione di un personaggio così distante dal politicante comune sta lì a testimoniare il bisogno di voltare pagina. Di questa rottamazione spontanea, dal basso ça va sans dire, fa parte anche Lucy Fenech, giovane consigliera comunale con alle spalle una storia fatta di cooperazione internazionale, volontariato e startup. Una sua idea è Ora design (www.oradesign.it), impresa innovativa che recupera i materiali di scarto per trasformarli in complementi d’arredo (per esempio il copertone di una macchina può diventare un comodo pouf, una vecchia sdraio può tornare a darsi delle arie in salone). Il suo impegno politico è in un certo senso bandiera di tanti giovani messinesi che di lasciare la loro terra non ci pensano nemmeno. A maggior ragione ora che il vento sembra essere cambiato. «Io sono convinta – spiega Fenech - che la vittoria di questa amministrative sia un fatto storico, al di là dei risultati. Oggi i bambini, dal più piccolo al più grande, sanno chi è il sindaco». «Questi – continua - ha una visione molto ambiziosa che sta portando avanti con atti forti come la cittadinanza al Pm Di Matteo. A breve aprirà la biblioteca per bambini e sono state attivate iniziative come il bibliobus che si muove nei quartieri più disagiati della città. E poi c’è il Teatro che ha allestito per la stagione estiva un calendario ricco di appuntamenti». Tutto bellissimo, indietro non si torna, ma

è ancora poca cosa. Urge dare una sistemazione adeguata ad Antonello e Caravaggio con l’apertura del nuovo Museo regionale. Soprattutto perché i turisti poi scappano col primo traghetto che passa. «Dal punto di vista turistico – ammette Lucy - il lavoro è ancora da fare, manca addirittura un infopoint per i crocieristi. Per il Museo regionale ho notizia che dovrebbe aprire a ottobre. Siamo agli inizi di un percorso: nonostante la nostra città ha quasi 500.000 crocieristi all’anno, non ha mai offerto qualcosa affinché si fermino a Messina».Punto fermo è invece l’ecosistema delle startup che, con il sostegno dell’amministrazione prima e in totale autonomia poi, crescono in numero e in qualità delle proposte. Startup Messina e la fabbrica delle idee sono realtà ormai consolidate. La forza di questa città sta proprio nel non arrendersi mai: ne è un simbolo la storia del Birrificio Messina, riaperto grazie a 16 lavoratori che hanno investito il tfr e tutti i loro risparmi per riunirsi in una cooperativa e continuare a produrre birra nell’Isola. Forse basterebbe, come primo passo, soltanto recuperare quello che già esiste, ridare vita e forma a cose non più in uso, proprio come fa Ora design. Lucy Fenech annuisce: «Messina ha un grandissimo patrimonio culturale e naturalistico spesso abbandonato. Se riuscissimo a valorizzare quello che abbiamo - a partire dal mare, dallo Stretto, dalla pesca del pesce spada, dai laghi di Ganzirri fino alla Galleria Vittorio Emanuele - credo che senza spendere troppi soldi si possano fare buone cose». (al)

DEL PUPARO Tra le curiosità da andare a vedere a Messina c’è la Casa del puparo, decorata dal 1970 e fino alla morte dal Cavalier Cammarata, che lavorava nel quartiere di Maregrosso come muratore e artigiano. Oggi è un sorta di castello bizzarro con sculture, mosaici, assemblaggi di vario genere. Saltano subito agli occhi diverse figure che mescolano sacro e profano (da animali e personaggi mitologici fino a crocifissi, madonne e putti). Purtroppo, sebbene mantenga intatto il suo fascino, la Casa non è in ottime condizioni così come ci racconta la consigliera comunale Lucy Fenech. «Si tratta – spiega Fenech – di un luogo dal fascino incredibile, a me personalmente ricorda Dalì. Esternamente è fatta con diversi stili che richiamano l’arte popolare. Purtroppo è stata più volte oggetto di deturpazioni e inoltre è stata parzialmente sventrata per fare spazio al parcheggio di un supermercato. Il Comune in passato aveva cercato di tutelarla, ma sempre con una mano troppo leggera». (al)

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Camminare senza pensieri Percorsi eoliani per riscoprirsi

MovItinerari

di Filippo Grasso

L’offerta di Walking è variegata e ispessita dalla molteplicità dei percorsi e dalla combinazione delle camminate con le degustazioni dei prodotti tipici. Impossibile citarli tutti – vi rimando alla pagina fb o al sito dell’associazione – ma per i nostri lettori abbiamo richiesto qualche suggerimento. «L’itinerario più particolare – ci ricorda Giusi – è walking on the moon che mostra il sole entrare come una moneta d’oro nel mare e la luna sorgere dal lato opposto, è il completamento del ciclo della luce». Un altro itinerario consigliato è sunset walking che segue il tramonto sul lato ovest dell’etna. Tra i tanti appuntamenti che abbinano percorsi e cibo resta certamente imperdibile il wine tour con le degustazioni nei vigneti di Malvasia nel territorio salinese che si associano al cibo semplice e locale che rende onore all’uva.

consigliati da Walking Eolie & Sicily

a prima regola di una guida: condividere e mostrare solo quello che si conosce già. E Giusi Murabito di esperienza sul territorio ne ha in abbondanza. Sin da piccolissima ha vissuto i tempi della cultura contadina, appresi dal nonno, per poi tornare, da adulta, al recupero e all’offerta di quella storia antica e a rischio estinzione. Percorsi da camminatore «per scoprire quello che se sei troppo concentrato non scopri o se sei troppo strutturato non vedi, andare oltre col pensiero diverso». Dalle parole di Giusi si formano le sembianza della sua creatura: Walking Eolie & Sicily. Scuola per interpreti e traduttori di Roma, poi la laurea in biologia molecolare, quindi l’avventura da camminatrice. Una vita in avanti, col passo giusto per non perdersi la bellezza di formare una famiglia, tra «follie, cambi di rotta, curiosità e dubbi». Concetti che nella vita di Giusi diventano materia vivente in grado di trarre beneficio persino dalla crisi degli ultimi anni. «A quel punto, per capire dove sono e chi sono, comincio a camminare – ci spiega visibilmente emozionata - e arrivo a Filicudi dove mi prende la magia di quest’isola, che diventa un grande grembo, una madre per tutti». Il cammino prosegue per le montagne dove trova «delle sfumature che non avrei mai pensato esistessero, sia di luce che di terra, poi mi sposto ad Alicudi, Salina, mappo sempre i percorsi». Nasce così Walking Eolie nel 2013, all’inizio quasi per gioco, e poi associandolo a un messaggio di benessere, pace e libertà. «La condivisione dell’esperienza tra gli attori del territorio – ci racconta – diventa una condizione fondamentale per fare questo lavoro, il cuore ha bisogno di adrenalina per combattere, uno stimolo che puoi trovare nella scelta di proseguire seguendo un cammino impervio ma che comunque conduce a te stesso». Proprio in questo percorso reale e interiore si innesta il concetto di turismo sostenibile secondo Giusi Murabito. «Dobbiamo attingere dalle risorse contadine, dalle mani sapienti che conservano in silenzio le ricette e le tradizioni antiche, dalla raccolta alla cucina, dall’orto alla pentola, così che fuori dalle etichette e dagli schemi più commerciali possiamo veramente veramente aprire i sensi alla vera Sicilia».

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MovExtra Per l’intervista video a Giusi Murabito e altri contenuti Move in Sicily walkingeolie.com moveinsicily.com

Ph Marco Vitale | mxvphotos.it

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Percorsi e Visioni

‘U Ferru: una Sicilia tra memoria e coscienza di Rosario Battiato

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l movimento dalle Eolie allo Stretto non è mai stato così facile. Dai percorsi naturalistici in terra ci tuffiamo in quella striscia di mare Mediterraneo e diventiamo spettatori di una storia straordinaria che è stata girata proprio tra Ganzirri, Torre Faro e l’arcipelago eoliano. A raccontarcela è Marco Leopardi, che dal 1990 realizza documentari di carattere naturalistico, geografico e socio-antropologico per la Rai ed emittenti straniere, tra cui il National Geographic Channel. Il suo ultimo lavoro, che affonda il suo arpione proprio nel rapporto di questa terra con la sua memoria storica, è ‘U Ferru, prodotto grazie anche al sostegno della Sicilia Film Commission. Una storia di mare, che forse soltanto quest’Isola è ancora in grado di stimolare. «Passato e presente in Sicilia – ci spiega Marco - convivono con più vigore che altrove e in particolare la pesca del pesce spada, una pesca che ha sviluppato da una parte imbarcazioni che sfidano le leggi della fisica e dall’altra adoperano arpioni che possono avere decine di anni e che con poche differenze erano adoperati anche 3000 anni fa». Un incrocio temporale in cui convivono i due protagonisti della storia, Giuseppe, laureando in biologia marina, e Nino, un infallibile cacciatore dello Stretto. Padre e figlio che si affrontano, e confrontano, in un corto circuito causato dalla presenza confliggente

della tradizione di famiglia e dell’etica merosi nello Stretto di Messina, anche ambientalista che pretende il rispetto di grazie a un maggior rispetto delle norme tutti gli esseri viventi. che regolano la pesca, le imbarcazioni Un racconto, pertanto, che si sviluppa che effettuano questo antico sistema lungo due binari: il dilemma di Giu- stanno diminuendo a causa dell’alto seppe di fronte all’uccisione del suo costo di esercizio. E qui sorge la primo pesce, in una sorta contraddizione, proprio nel di rito ancestrale di pasmomento in cui affiora saggio all’età adulta, e l’incontro tra la pesca ‘U Ferru il valore documentatradizionale e un’etica regia: Marco Leopardi ristico di una delle più consapevole. «In Anno di produzione: 2014 pratiche storiche un mondo dove il durata: 75’ della pesca regioprofitto e lo sfruttatipologia: nale. «Questa pemento ambientale lungometraggio sca è sicuramente stanno mettendo genere: cruenta, ma quanti in crisi l’ecosietnologico/sociale di noi ragionano sul stema – sottolinea produzione: Terra fatto che i pesci peil regista - la caccia altri titoli: The harpoon scati all’amo o con le tradizionale del pesce reti possono rimanere in spada nello Stretto rapagonia per ore prima di mopresenta uno degli esempi rire? Il pesce spada da quando migliori di pesca eco-compatiè arpionato muore in circa 30 minuti. bile, poiché gli esemplari catturati sono I documentari dovrebbero darci proprio sempre di grossa taglia e vengono attenla possibilità di stimolare nuove rifles- tamente selezionati». sioni, od osservare il mondo da prospettive non abituali». MovExtra Una caccia che, nella mente del regista, resta un simbolo delle contraddizioni Per l’intervista video contemporanee. «Questa tecnica di a Marco Leopardi pesca ancestrale esprime un rilevante e altri contenuti valore culturale sotto il profilo del rapMove in Sicily porto uomo-pesca-ambiente, oggi è diventato un esempio di come si possa atmoveinsicily.com tuare una politica della pesca seguendo i principi di uno sviluppo sostenibile». Eppure, sebbene negli ultimi tempi i pesce spada si sono riaffacciati più nu-

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a storia del rubgy siciliano lambisce un’area di confine tra un passato glorioso e un futuro in fase di costruzione, mentre il presente è da considerarsi in “transizione”. Un etichetta che giunge direttamente dalla federazione

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pure adesso senza grandi squadre di riferimento, è motivo di grande vanto. Come funziona l’Accademia? Tra Sicilia e Calabria selezioniamo una trentina di ragazzi under 18 che vivono come in un collegio. Sono guidati dai tutor che si occupano di loro per tutte le ore della giornata, quindi sia nella fase tecnica che nel percorso di studi. Vogliamo formare campioni e ragazzi che siano bravi e vincenti anche a scuola e nella vita, perché non tutti

Palla dietro e sempre avanti Il rugby raccontato da Andrea Nicotra di Rosario Battiato

nazionale rugby. A piazzarla sul prezioso contenitore della palla ovale isolana è Andrea Nicotra, consigliere federale della federugby, che si è lasciato intervistare da Move. Per i nostri lettori ha affrontato e analizzato con estrema lucidità la situazione rugbistica in Sicilia e in Italia. Società come il Cus Rugby Catania e il San Gregorio Rugby, che hanno fatto la storia di questo sport anche a livello nazionale, si sono adesso ridimensionate e non sono più nelle categorie di vertice. Come sta il rubgy in Sicilia? Siamo di fronte a una nuova fase sostenuta dalla federazione tramite l’Accademia federale, lanciata due anni fa. In tutta Italia ce ne sono soltanto nove e averne una a Catania, città dalla solida tradizione rugbistica ep-

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avranno la possibilità di proseguire in questo sport. Ci sono anche tanti altri giovanissimi che magari nemmeno hanno l’opportunità di provare la bellezza di questo sport. Cosa intendete fare? Abbiamo avviato un progetto molto importante nelle scuole di tutta Italia, partito anche in Sicilia, che promuove la pratica di questo sport. Per il momento abbiamo cominciato con le medie, ma il nostro prossimo obiettivo sono le elementari. Un’altra spinta per allargare il campo degli appassionati può venire anche dai grandi campioni che praticano questo sport. I testimonial fanno da traino e in questo momento la nazionale è una locomotiva. Anche i nostri campioni regionali che sono diventati delle stelle della nazionale, come Orazio Arancio e Andrea Lo Cicero, aiutano, ma abbiamo bisogno soprattutto di luoghi adatti dove portare i nostri bambini. Proprio in merito ai luoghi: quanto conta l’assenza di strutture adeguate per far crescere ragazzi che vogliono semplicemente praticare rugby? Lo stato delle strutture sportive, in


do si toglie un ragazzo dalla strada o da uno schermo, possiamo dire che stiamo svolgendo bene il nostro compito, ma questo vale per tutti gli sport. Il rubgy, a mio avviso, ha una funzione particolare: è uno sport che insegna molto. Ad esempio ti dice di andare sempre avanti ma che per farlo devi passare la palla indietro. Una domanda d’obbligo Il rubgy sulla nostra ha una funzione nazionale. particolare: è uno sport Abbiamo che insegna molto. attraversaAd esempio ti dice to un modi andare sempre avanti mento diffima che per farlo cile a causa devi passare di un anno e la palla indietro mezzo di scarsi successi, nonostante il grande sostegno del pubbliSicilia così come nel resto d’Italia, è co. Pur avendo giocatomolto precario. Noi abbiamo bisogno ri fortissimi non riusciamo ancora a di prati, perché per praticare il rubgy trovare dei sostituti adeguati anche il terreno deve essere soffice. Ci man- perché abbiamo un vivaio limitato. Ci cano gli impianti e il manto erboso prepariamo ai prossimi appuntamenti che sono criticità importanti, perché come la Coppa del Mondo che si terci impediscono di osservare i bambini rà a settembre in Inghilterra. Speriagiocare e scoprire quanto sia bello, fa- mo di poterci candidare per l’edizione cile e istintivo come sport. 2022, che a quel punto diventerebbe Rugby e sociale sono due termini un traguardo importantissimo per far spesso accostati. crescere il rubgy in Italia in maniera L’aspetto sociale è importante. Quan- esponenziale.

MovExtra Per l’intervista video ad Andrea Nicotra e la galleria fotografica Move in Sicily moveinsicily.com

Photo credit: © Giuseppe Maugeri (fotografo ufficiale C.R.Si. F.I.R.)

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fise

bilancio e appuntamenti di Rosario Battiato

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concorrenti che sono il meglio di quello che si trova in Regione». Quest’anno non si chiude ancora. Nel mese di luglio si concluderà il trofeo Sicilia, la manifestazione più importante riservata ai ragazzi, e poi le tappe del circuito Mipaff. Tutte le date e le informazioni necessarie si trovano sull’aggiornatissimo sito del comitato regionale.

Dario Agosta campione assoluto seniores

Gabriele Carrabotta campione assoluto juniores

I prossimi appuntamenti

Il movimento equestre siciliano continua crescere anche in questo 2015. Lo ha confermato Gaetano Di Bella, presidente del comitato regionale Sicilia della Federazione italiana sport equestri (fise), proprio nei giorni dei campionati regionali salto ostacolo che si sono tenuti all’Adim di Augusta alla fine dello scorso maggio. «Un’annata cominciata alla grande – spiega a Move - con risultati su campi nazionali e internazionali e, adesso, i campionati regionali che rappresentano l’evento più importante e che servono a raccogliere il frutto del lavoro che si è fatto». A ospitare la manifestazione, per il secondo anno di fila, è stato l’impianto Adim di Augusta, la migliore struttura siciliana che nel passato ha ospitato anche Internazionali e Campionati italiani. «Per noi è un grande onore dare la possibilità agli atleti siciliani di potersi confrontare in una gara così importante – sottolinea Roberta Aprile, rappresentante della famiglia Aprile proprietaria dell’impianto Adim – inoltre la mia famiglia è sempre in prima linea nell’agevolare la crescita di tanti giovani atleti». In campo circa trecento cavalieri che hanno dato lustro alla manifestazione (tutti i risultati li trovate su fisesicilia.it), ma l’evento è stato propizio anche per valutare la qualità delle giovani leve isolane. «Abbiamo registrato una crescita esponenziale – continua il presidente -, i nostri ragazzi sono ormai conosciuti a livello internazionale e sono sempre molto spesso sui podi». Risultati che arrivano dopo un lavoro intenso e un vivaio sempre più florido. «Stanno crescendo anche i numeri: nelle categorie giovani partono 50/60

5 luglio 2015

25 luglio 2015

5^ tappa Campionato regionale Sicila Endurance 2015 – Endurance - Noe Equitazione – Partinico (CT) Trofeo Sicilia – Salto Ostacoli – Camelot Riding School – Sciacca (AG)

Gara nazionale Club – Club – Circolo Ippico Il Ciliegio – Tremestieri Etneo (CT)

11/12 luglio 2015

Trofeo Sicilia – Salto Ostacoli – Sis – Siracusa (SR)

18/19 luglio 2015

3^ tappa Campionato regionale reining 2015 + Maturity – Reining – Sir – Ragusa (RG) Campionato regionale reining 2015 + Maturity – Reining – Sir – Ragusa (RG)

19 luglio 2015

Circuito Mipaff/Progetto Giovani – Salto Ostacoli – Sis – Siracusa (SR) Finale Concorso B Città di Palermo – Salto Ostacoli - Chirone – Palermo (PA)

26 luglio 2015

Endurance 2015: 2° tappa Campionato regionale Sicilia Pony – Endurance – Canicattì (AG)

MovExtra Per le interviste integrali a Gaetano Di Mauro e Roberta Aprile e le spettacolari riprese dei campionati regionali salto a ostacoli Move in Sicily moveinsicily.com


Le strisce di Move

#MoveAnticipazioni Sul prossimo numero...

Intervista esclusiva a Colapesce MoveInSicily è distribuito in tutte le province siciliane. Non ci puoi portare a casa, ma ci puoi consultare nei luoghi selezionati dalla redazione mappati sul nostro profilo facebook. Oppure ci puoi leggere online su Issuu. Per riceverci direttamente a casa o per diventare uno dei nostri punti di distribuzione, scrivi a info@moveinsicily.com


Forza d’Agrò Location: Il piccolo centro messinese, a circa 400 metri sul livello del mare, vanta una densità cinematografica assolutamente invidiabile. Da queste parti, solo per citarne alcuni, sono passati capolavori mondiali come i tre capitoli de Il padrino, polizieschi come Milano Rovente di Umberto Lenzi e film di animazione come Cars 2. Protagonista indiscussa è la Chiesa della Santissima Annunziata, entrata nella storia del cinema grazie alla trilogia diretta da Francis Ford Coppola, che comunque non è l’unica porzione del paese a possedere questa vocazione cinematografica. Proprio nell’ultima parte della trilogia emerge anche la location di Piazza SS. Trinità. La scheda critica integrale (a cura di Sebastiano Gesù) e le location si trovano sull’app di MovieinSicily scaricabile gratuitamente da tutti gli store e/o sul sito movieinsicily.org A cura di Giorgia Butera e Daniela Fleres ph Eliana Seminara


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