Medi@terraneo News marzo 2017

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Premio Giornalisti del Mediterraneo 2016 - Premio “Tommaso Francavilla” 2016 e 2017

Anno 9 - N. 64 Marzo 2017 Distribuzione gratuita

Destinazione Bruxelles

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MEDI@TERRANEO news - Periodico del Master di Giornalismo di Bari Ordine Giornalisti di Puglia - Università degli Studi ‘Aldo Moro’ di Bari Editore: Apfg - Bari Direttore Responsabile: Lino Patruno Registrazione Tribunale di Bari numero 20/07 del 12/04/2007

ome comunicano le Istituzioni europee? Quanto i giornalisti sono capaci di cogliere ciò che fa l'Europa? Quanto i cronisti sono in grado di riconoscere l'elemento europeo in quello che accade “in casa” e tramutarlo in notizia? Queste e tante altre sono state le domande che ci siamo posti durante la spedizione a Bruxelles, che si è concretizzata in una meravigliosa lezione nel campo all'interno delle istituzioni europee con i colleghi giornalisti praticanti del Master di giornalismo dell'Università di Bari e dell'Ordine dei Giornalisti della Puglia. Per chi scrive, essere con loro è stato un momento di crescita umana e professionale. Il loro entusiasmo e desiderio di apprendere ancora una volta ha dimostrato quanto sia indispensabile per la formazione di un giornalista conoscere i meccanismi della comunicazione da Bruxelles e per Bruxelles. Del resto purtroppo gran parte degli errori che conti-

nuiamo a compiere sono appunto dettati da una scarsa conoscenza della macchina europea. E allora non ho dubbi che questi valenti e curiosi colleghi sapranno essere degli attenti comunicatori della galassia europea. Condizione indispensabile per rendere più europeo il vento che soffia sulle prime 60 candeline dei Trattati di Roma. Un momento, quello attuale, ben diverso da quello che accadde il 25 marzo del lontanissimo 1957. Nell'ultimo Libro bianco sul futuro dell'Europa, il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker , ha tracciato una ricetta lungo cinque scenari: “Avanti così” (proseguire sul percorso già tracciato e concentrandosi sull'attuazione del suo programma positivo di riforme); “Solo il mercato unico” (rifocalizza progressivamente sul mercato unico); “Chi vuole di più fa di più” (l'UE a 27 continua secondo la linea attuale, ma consente agli Stati membri che lo desiderano di fare di più assieme in 1

Redazione: Palazzo Chiaia-Napolitano via Crisanzio, 42 - Bari email: master@apfg.it

ambiti specifici come la difesa, la sicurezza interna o le questioni sociali); “Fare meno in modo più efficiente” ( L'Ue a 27 si concentra su risultati maggiori in tempi più rapidi in determinate aree politiche, intervenendo meno nei settori per i quali non si percepisce un valore aggiunto); “Fare molto di più insieme” (gli Stati membri decidono di condividere in misura maggiore poteri, risorse e processi decisionali in tutti gli ambiti). A noi giornalisti il compito di essere i “cani da guardia” del futuro dell'Europa, essendo capaci di raccontarlo con la freschezza e la vitalità della generazione Erasmus e con la stessa convinzione che vide la fiorettista italiana Elisa Di Francisca sventolare la bandiera europea dal podio delle Olimpiadi brasiliane. Così non faremo fallire il sogno europeo che, tra le tante cose, ci assicura la pace. E non è poco.

Giuseppe Dimiccoli marzo 2017


Il Master in visita al Comitato delle Regioni Per Nardi (resp. comunicazione CoR): «Dannoso il futuro senza Ue»

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i sarà un futuro anche senza l’Europa, ma sarà un peccato”. Così Serafino Nardi, capo ufficio stampa del Comitato delle Regioni, ha concluso il confronto con i praticanti del Master in Giornalismo di Bari, a Bruxelles per conoscere – attraverso incontri con esperti di comunicazione europea – le Istituzioni dell’Europa unita. Serafino Nardi è originario di Acquaviva delle Fonti, piccolo centro del Barese famoso per la sua cipolla rossa. Vive a Bruxelles da più di 20 anni: qui ha incontrato sua moglie (di origine svizzera) e ha avuto due bambini. Non è giornalista, ma è a capo dell’ufficio comunicazione e stampa del Comitato delle Regioni da 6 anni. Dopo le presentazioni, Nardi ha spiegato cos’è e come funziona il CoR: “Qui siamo nella sede principale del Comitato, in Rue Belliard 101. È una delle Istituzioni di creazione più recente, nonché una delle meno conosciute”. Il CoR ha solo potere consultivo, cioè esprime pareri a monte del processo legislativo se questo riguarda Regioni e Comuni, ancor prima che il Parlamento e il Consiglio decidano. Il parere può es-

marzo 2017

L’esperienza

sere facoltativo, ma spesso è obbligatorio, anche non vincolante: “La rappresentanza e la visibilità in patria – ha spiegato Nardi – sono molto maggiori rispetto a quelle di molti parlamentari Ue. Il seguito mediatico è ampio, anche se il nostro è un Comitato piccolo, nuovo e

senza potere decisionale”. I membri del Comitato delle Regioni sono rappresentanti politici (alcuni eletti e quindi membri di diritto, altri nominati dai Governi) che durano in carica 5 anni 2

e si possono riunire in seduta plenaria o in commissioni. Importante è sapere che se un membro decade nel suo Paese, in automatico decade anche come membro del CoR. Il comitato è composto da 350 componenti provenienti dai 28 aesi dell’Unione: “L’Italia – ha continuato l’acquavivese - ha 24 membri e annovera rappresentanti politici di regioni, province e città. Poi ci sono anche 24 supplenti, iscritti in una lista apposita, i quali sostituiscono i primi in caso di assenza. Si cerca sempre di dare rappresentanza politica e geografica”. All’elenco italiano mancano i grillini, ma solo perché le nomine vengono fatte ogni 5 anni. Tra un’informazione e l’altra, c’è spazio anche per un velo di polemica. Nel CoR partecipa di diritto anche il presidente della regione Puglia: “Nichi Vendola veniva spessissimo, mentre il nuovo governatore – ci confida Nardi - non lo vediamo quasi mai”. I membri del Comitato ricevono un gettone di presenza e, di solito, si riuniscono 6 volte all’anno in seduta plenaria e 5 nelle commissioni a cui appartengono. I pareri e gli emendamenti dell’As-


La casa degli enti locali insieme in Rue Belliard 101 Ha sede a Bruxelles e conta 350 membri, di cui 24 italiani

Creato nel 1994, il Comitato europeo delle regioni (CoR o CdR) è l’assemblea dei rappresentati regionali e locali dell’Ue. Ha sede a Bruxelles e si compone di 350 membri – presidenti di regione, sindaci, oppure rappresentati eletti di regioni e città – provenienti dai 28 Stati membri dell’Unione. I suoi componenti devono essere democraticamente eletti e/o essere titolari di un mandato politico nel loro Paese d’origine. Attraverso il Comitato, gli enti regionali e locali dell’Unione possono avere voce in capitolo sugli sviluppi della legislazione europea che li riguarda da vicino. L’attuale presidente del CoR (e suo rappresentante ufficiale) è il finlandese Markku Markkula (Partito Popolare Europeo, consigliere comunale di Espoo), in carica dal 12 febbraio 2015 per due anni e mezzo. L’Italia – come Francia, Regno Unito e Germania – ha 24 membri. L’obiettivo del CoR è avvicinare i cittadini all’Unione europea, soprattutto se si consideri che il 70% della legislazione comunitaria ha impatto diretto a livello locale e che il 50% dei cittadini Ue ritiene che i propri rappresentati eletti a livello regionale siano i più indicati per rappresentarli a Bruxelles. Il CoR organizza il proprio lavoro in 6 commissioni interne specializzate in materie quali cittadinanza, governance, affari istituzionali ed esterni (Civex), politica di coesione territoriale e bilancio Ue (Coter), politica economica (Econ), ambiente, cambiamenti climatici ed energie (Enve), risorse naturali (Nat), politica sociale, istruzione, occupazione, ricerca e cultura (Sedec). (d.imp.)

semblea sono presentati e tradotti in 24 lingue. Brexit, budget comunitario e trattato CETA sono stati gli argomenti approfonditi dal responsabile della comunicazione del CoR: “Dopo il referendum sull’uscita della Gran Bretagna, l’aria che tirava qui a Bruxelles era da funerale. C’era grandissima negatività, soprattutto tra i lavoratori inglesi, da sempre convinti europeisti”. Non si dimentichi che la Gran Bretagna partecipa al budget comunitario, “composto dall’1% del Pil dei Paesi; pochissimo se pensiamo che negli Usa il prodotto interno lordo è il 35% della ricchezza dei vari Stati”. L’esercizio del bilancio, ricorda Nardi, è “annuale e non si può spendere di più e neppure di meno. La programmazione finanziaria, invece, viene calcolata su 7 anni, anche se la sua preparazione inizia molto tempo prima. La prossima dev’essere pronta per il 2020, ma per quella data – si domanda

l’italiano – la Gran Bretagna sarà già fuori dall’Ue? Sono calcoli complicatissimi”. Infine spazio anche al Trattato CETA, esempio del pesantissimo peso che le Regioni hanno in Europa. Il CETA - un nuovo accordo commerciale tra l’Ue e il Canada – mira a semplificare l’esportazione di beni e servizi tra le due coste dell’Atlantico. Il 15 febbraio il Parlamento Europeo ha votato in favore di quest’accordo, ma tutto è bloccato perché si aspetta la ratifica di tutti i parlamenti nazionali. Quasi tutti hanno già ratificato il CETA, tranne il Belgio. Qui hanno molto potere le regioni: di queste, due su tre non hanno obiettato. Cosa che invece ha fatto la Vallonia, grande meno di 17.000 km quadrati, due volte l’Umbria. Solo quando la Regione Vallone (3 milioni e 600 mila abitanti) ratificherà l’accordo, questo potrà entrare in vigore. Sino ad allora, Ue e Canada devono aspettare.

Davide Impicciatore

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Peppe a Bruxelles

BIRRE BELGHE Bruxelles capitale delle birre crude e artigianali

Peppe ama Bruxelles. Non vedeva l'ora di partire. Peppe non ama giri di parole: E' diretto e va dritto al punto. Peppe non ama fare tardi. Preferisce aspettare, semmai. Anche se è con altre persone. Preferisce farsi carico dei loro malauguri, semmai. Peppe è un uomo tutto d'un pezzo. La parola data viene prima di tutto. Anzi, prima ancora della parola data, Viene l'orario da rispettare. Peppe ama le birre belghe. Ogni momento è buono per una birra. Non esiste il fuori orario. La birra è sempre puntuale. Peppe ama papa Francesco. La sera, quando è ora di dormire, Si corica con una ninna nanna Francescana e d'altri tempi. Peppe è un uomo d'altri tempi. È romantico e compito. Platonico e dorsale. Limpido e corretto. Gli manca solo una cosa: Bruxelles. A Peppe manca Bruxelles. Paolo Cocuroccia marzo 2017


L’Europa fa 60: e Roma la L’anniversario

Nella Capitale le celebrazioni per il compleanno dal Trattato: i 27 capi di Stato senza paure guardano avanti

I MOMENTI In alto, manifestanti con la bandiera dell’Europa a Roma. In basso, i 27 leader degli stati membri in posa il 25 marzo nella Capitale per la foto di rito

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a Capitale d’Italia accoglie l’Europa: lì dove tutto è cominciato, un sogno oggi messo a rischio dalla crisi economica e dalla preoccupante ascesa dei nazionalismi, i 27 stati membri si sono riabbracciati in una giornata di festa per celebrare i 60 anni dal Trattato di Roma. In una città praticamente blindata, i leader nazionali hanno accantonato le preoccupazioni del momento e le polemiche, e hanno ricordato l’importanza di quell’accordo fatto da 6 Paesi pionieri nel lontano 1957. «Cari amici – ha affermato il presidente della commissione europea Juncker- firmo la Dichiarazione di Roma con la stessa penna che è stata utilizzata nel 1957 dal Lussemburgo per firmare il Trattato di Roma: ci sono delle firme che durano. Ci sarà un 100esimo anniversario della Ue. Noi siamo solo gli umili eredi e ci riuniamo nella stessa sala per ribadire gli intenti dei padri fondatori. Non per nostalgia, ma perché solo uniti po-

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tremo essere all’altezza delle sfide del mondo di oggi, potremo essere un’Europa che non si perde nei dettagli, che non perde la prospettiva. Le sfide di oggi sono più complesse e non paragonabili a quelle dei padri fondatori». «Noi oggi, qui riuniti, celebriamo la

tenacia e l'intelligenza dei nostri padri fondatori europei - ha detto il presidente del consiglio Gentiloni - dobbiamo anzitutto restituire fiducia ai nostri concittadini. Crescita, investimenti, riduzione delle disuguaglianze, lotta alla povertà. Politiche migratorie 4

comuni. Impegno per la sicurezza e la difesa. Ecco gli ingredienti per restituire fiducia. Serve il coraggio di voltare pagina. Il coraggio di procedere con cooperazioni rafforzate, e il coraggio di mettere al centro i nostri valori comuni». Una storia quella europea fatte a volte di grandi conquiste e a volte, come in questo momento, di difficoltà. A partire dalle disuguaglianze economiche che generano attriti tra nord e sud o le politiche sull’immigrazione che contrappongono est a ovest. Più solidarietà meno opportunismo è quello che i dirigenti delle istituzioni europee hanno chiesto nel loro discorso. Grande assente di giornata il 28° Stato membro (ancora per poco, dato che ha già avviato le pratiche per uscire dall’Unione), la Gran Bretagna, di cui nessuno ha voluto parlare e con cui l’Ue sembra sempre più determinata a fissare nel più breve tempo possibile gli accordi per formalizzarne l’uscita.


festeggia

L’Europa si è imposta un momento di riflessione, a fronte delle sfide interne che si appresta ad affrontare, come la minaccia populista che con le elezioni francesi e tedesche all’orizzonte potrebbe trasformare il sogno europeo in un incubo. La crisi di mezz’età sembra colpire anche l’Unione Europea che dovrà reinventarsi, specialmente dopo lo shock della Brexit, se vuole continuare a far sognare i suoi cittadini. Il 2017 può e deve essere l’anno della svolta: in Francia, uno dei Paesi cardine dell’intero continente, a breve si vota con l’antieuropeista Marine Le Pen in prima linea. In caso di vittoria di questa frangia nazionalista, il sogno dell’Unione potrebbe essere messo seriamente a rischio. Tanto per intenderci, la Frexit dopo la Brexit sarebbe un colpo duro, troppo duro. Da Ko. E allora, adesso è il momento di restare uniti e pensare al domani. I cittadini europei vogliono solo un futuro più roseo e tranquillo del presente. Per raggiungere questo fine, però, non basta avere dei conti in ordine: ci sono molte piaghe sociali, dalla disoccupazione giovanile ai migranti, che meriterebbero politiche più attente. Luca Losito

L’Unione Europea culla del futuro le opportunità battono le difficoltà

I MESSAGGI Manifestanti a Roma nel giorno dei 60 anni del Trattato

Un’Unione Europea funzionante e funzionale è la base della modernità. L’euro, le frontiere aperte, la prossimità alle altre nazioni del Vecchio Continente e un oceano di possibilità che le generazioni passate non hanno avuto e a cui ormai sarebbe difficile dover rinunciare. Anche se spesso viene giudicata in modo negativo, soprattutto da chi aderisce alle correnti politiche più populiste e nazionaliste, è innegabile che l’Occidente dopo il Trattato di Roma del 1957 abbia cambiato faccia. Oggi, immaginare dei Paesi scollegati e con monete differenti, è davvero difficoltoso. E anche chi si è ritrovato in questa situazione - pensiamo ai tanti ragazzi inglesi insorti dopo la Brexit di giugno scorso - non riesce ad accettarlo. Perché in fondo l’Europa è di tutti. In particolar modo, dei giovani, che nonostante tutto credono e sperano nel futuro. Basti pensare ai tanti che dall’Italia, un Paese in crisi ormai da diversi anni, hanno mollato tutto e sono partiti in cerca di opportunità in giro per il Vecchio Continente. Quanto sarebbe stata dura fare tutto questo senza le facilitazioni che ci sono oggi per i cittadini comunitari. 5

Anche solo a livello logistico. Un discorso a parte, invece, lo merita la comunicazione, diventata assolutamente imprescindibile nella società attuale. Le difficoltà dell’Ue, infatti, sono principalmente dovute al non riuscire a comunicare al meglio i suoi sogni e le sue prerogative. Molti la vedono come uno spauracchio sempre a caccia dei Paesi che sforano nel bilancio, in pochi sanno dei tanti progetti e investimenti che fa su tutto il territorio continentale. Uno dei siti di riferimento è senz’altro www.europa.eu, quello che diffonde notizie istituzionali e aggiornamenti ufficiali sulle attività dell’Unione. Poi c’è anche Eures, il portale europeo della mobilità professionale: un qualcosa che attira già soltanto dalla sigla . Un’idea molto interessante, come tante altre. Perché per quanto venga bistrattata e spesso non ce ne rendiamo conto, anche per via della crisi economica degli ultimi anni, l’Unione Europea è e resta un’occasione da non perdere. Per un futuro tutto da scrivere. Il Vecchio Continente delle nuove opportunità. L.L. marzo 2017


Fra Storia e integrazione Il futuro

Dal Trattato di Roma alla moneta unica Il ruolo dell’Italia nell’Europa unita

FOTO 1 La sede del Parlamento a Bruxelles (ingresso Altiero Spinelli). Nella sede c’è anche il Parlamentarium ed “EuropaTv” (gli studi televisivi del Parlamento)

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ra il 25 marzo 1957 quando vennero firmati i Trattati di Roma: una data importante che ha dato l’avvio alla formazione della Comunità Europea (diventata poi Unione) Da quella data sono passati 60 anni. Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo decisero in quella circostanza di rilanciare il progetto europeo della Ced (Comunità europea di difesa) che era stata bocciata tre anni prima dall’Assemblea nazionale di Parigi. La Comunità europea è l’embrione di quella che oggi conosciamo tutti come “Unione Europea”. Un sogno d’integrazione (soprattutto dei cittadini che ne fanno parte), nonostante gli ultimi scenari politici del mondo (e dell’America di Donald Trump), oppure la “Brexit” (l’uscita cioè della Gran Bretagna dall’Unione Europea, anche se formalmente non si è mai integrata dal punto di vista economico con la moneta unica, cioè l’Euro), ma anche i nuovi scenari con il nazionalismo di Marine Le Pen e la già pensata “Frexit” (giusto per calcare ancor di più la mano, seguendo la scia degli inglesi). Sono stati proprio questi gli eventi che hanno messo in discussione la natura dei Trattati. Il “Libro Bianco” (presentato marzo 2017

I Paesi uniti a Roma nel 1957

Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo: sei Stati che hanno firmato i Trattati di Roma nel 1957. Un modo per mettere un freno al lungo periodo delle guerre mondiali. Negli anni Cinquanta la Comunità europea del Carbone e dell’acciaio comincia a unire i Paesi europei sia sul piano economico, sia su quello politico. Uno scenario difficile caratterizzato dalla guerra fredda tra Est e Ovest. In Ungheria le proteste contro il regime sono represse dai carri armati sovietici nel 1956. L’anno successivo a Roma i Trattati istituiscono la Comunità economica europea (CEE), o “Mercato comune”. La cerimonia è avvenuta in Campidoglio (nella sala degli Oriazi e Curiazi) e ha riunito sei rappresentanti degli Stati membri (con le riprese della Rai). Per l’Italia hanno partecipato il ministro degli Esteri, Gaetano Martino e il presidente del Consiglio, Antonio Segni.

a marzo dalla Commissione europea) ha l’obiettivo di mettere pressione ai governi dell’Ue perché definiscano la loro visione per il futuro dell’Europa. Ma il tema del futuro è stato discusso anche dal Parlamento che a febbraio ha approvato tre risoluzioni sul tema. Da Strasburgo, infatti, si è pensato di adottare misure che vanno dal potenziamento della zona euro, all’istituzione di un ministro delle finanze, alla nascita di un Fondo monetario europeo. Dal 1957 ci sono stati una serie di allar6

gamenti. Il Regno Unito, per esempio, che ha deciso di volare via indipendente verso altri lidi aveva faticato per entrare nell’Unione (il primo gennaio 1973 con l’adesione della Danimarca e Irlanda). Altra tappa importante è quella dell’1 gennaio 2002, quando l’euro è diventata valuta corrente di dodici Paesi (oltre che di San Marino, Vaticano, Monaco e Andorra). Naturalmente anche l’Italia ha avuto un ruolo importante (con i primi passi dell’integrazione a Roma). Maila Daniela Tritto


CEE e CEEA (o Euratom) 1957

La Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’Energia atomica (Cee o Euratom) sono state istituite lo stesso giorno della firma per i Trattati di Roma (entrati in vigore l’anno successivo, ovvero il 1958). Le due istituzioni nascevano dopo il fallimento della CED (Comunità europea di difesa). L’obiettivo è di affrontare la concorrenza dei grandi Paesi (come l’Unione Sovietica o gli Stati Uniti). La storia dell’Euratom è la stessa dell’Unione Europea: è un’agenzia per lo studio e lo sviluppo dell’energia atomica a scopi pacifici (è tuttora in funzione e i membri sono gli stessi dell’Unione Europea). Inizialmente elaborato per coordinare i programmi di ricerca degli Stati in vista di promuovere un uso pacifico dell’energia nucleare, il trattato Euratom contribuisce oggi alla condivisione delle conoscenze, delle infrastrutture e del finanziamento dell’energia nucleare. Esso garantisce la sicurezza dell’approvvigionamento di energia atomica nell’ambito di un controllo centralizzato. Il trattato mira a contribuire alla formazione e allo sviluppo delle industrie nucleari europee e provvede affinché tutti gli Stati membri possano trarre beneficio dall’energia atomica. Mira alla condivisione delle industrie nucleari e provvede affinché tutti gli Stati membri possano trarre beneficio dallo sviluppo dell’energia atomica. Il trattato si articola in 234 articoli (suddivisi in sei titoli e preceduti da un preambolo). Ma il loro numero è stato ridotto a 177 (dopo la firma del trattato del dicembre 2007). Comprende, inoltre, anche cinque allegati nel campo delle ricerche sull’energia nucleare. Le missioni sono tante e diverse fra cui sviluppare la ricerca e assicurare la diffusione delle conoscenze tecniche, stabilire e garantire l’applicazione delle norme di sicurezza per la protezione sanitaria, agevolare gli investimenti e costruire imprese comuni.

FOTO 2. In quale direzione andiamo? Tante città, un solo continente. Un particolare del Parlamentarium che racconta (con una guida audio e video) le tappe salienti della formazione degli Stati e alcuni loro particolari sul ruolo che hanno nell’integrazione 7

Il Mercato unico e l’euro entrato in vigore l’1 gennaio 2002

L’Euro nasce come una moneta che non rappresenta l’economia nella sua omogeneità. Questo è forse uno dei motivi più evidenti che ha spinto il Regno Unito a uscire dall’Unione Europea (anzi ha dato un motivo in più per non sentirsi in obbligo con gli altri Paesi dell’Unione). Sono, infatti, 19 le realtà che hanno condiviso la moneta (tutte diverse fra loro). Ma per creare un mercato unico erano previste iniziative fra cui la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, un’unione doganale (con la progressiva eleminazione dei dazi fra i Paesi membri e una tariffa unica verso l’esterno), l’istituzione di una Banca europea degli investimenti e la creazione di un Fondo sociale europeo. Nonostante l’euro sia entrato in vigore l’1 gennaio 2002, già nel giugno 1998 il Consiglio europeo confermò l’obiettivo di una progressiva realizzazione dell’Unione economica e monetaria. Fu assegnato a un comitato guidato da Jaques Delors (all’epoca presidente della Commissione europea) il mandato di elaborare un programma concreto per il suo conseguimento. Il comitato era formato dai governatori delle banche centrali nazionali della Comunità europea. marzo 2017


L’Europa è anche un grande luna park

Il Parlamentarium è un centro fra storia e modernità

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ra passato e presente va in scena l’Europa: custodita nel Parlamentarium di Bruxelles, il centro visitatori del Parlamento. La sua inaugurazione è avvenuta il 14 ottobre 2011, ma da allora ha collezionato più di 1,5 milioni di visite. L’entrata è gratuita. Dall’esterno sembra tutto uguale e istituzionale (c’è una grande bandiera dell’Europa a confermarlo), ma una volta entrati la prospettiva cambia. Si ha, infatti, la sensazione di essere in un parco giochi: fra luci e colori che incoraggiano gli spettatori a cogliere gli aspetti fondamentali dell’integrazione europea. Non solo, ma anche le modalità di lavoro del Parlamento europeo e il modo in cui gli eurodeputati stanno affrontando le sfide attuali. Come? Il Parlamentarium è un luogo dinamico e interattivo che può essere fruito in 24 lingue ufficiali dell’Unione europea. Dura quanto una partita di calcio: in media è questo il tempo per visitare tutto il Parlamentarium. Sono, infatti, 90 i minuti in cui si può assistere alle attrazioni (ma sono previste anche delle visite più brevi per le famiglie e le scolaresche). Ma cosa offre? Numerose attività pensate sia per gli adulti sia per i bambini. Un cinema multimediale, in cui si può assistere a tutti i passaggi della fondazione europea (dalla formazione delle leggi alle scelte politiche che sono state fatte in questi anni); le pareti con le fotografie dei 751 deputati del Parlamento europeo. Ma l’attrazione che coinvolge di più è l’Europa virtuale: una mappa interat-

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La curiosità

Tanti i modi per conoscere il mondo

Come si fa a spiegare la storia dell’Unione Europea in modo semplice e di grande impatto? Il Parlamentarium ha accettato questa sfida con le sue attrazioni che descrivono l’Europa a 360 gradi. Attrazioni multimediali accompagnano adulti e bambini in un viaggio alla scoperta non solo delle proprie radici, ma anche delle culture, usi e costumi degli altri Paesi. La sede a Bruxelles è aperta tutti i giorni e le visite sono completamente gratuite (con 24 lingue ufficiali per accogliere le esigenze di tutti i visitatori). Film a 360 gradi (con una parte live dal Parlamento, come se fosse un cinema), conoscere i 751 eurodeputati con una parete interattiva, una mappa dell’Europa raffigurata sul pavimento, il racconto di esperienze diverse sull’integrazione e il gioco di ruolo per i bambini delle scuole e le famiglie.

tiva in cui ogni visitatore può prendere il suo “scanner” e camminare letteralmente sopra. Ogni direzione porta a una spiegazione diversa: tutto dipende dal luogo in cui ci si posiziona. È una descrizione dell'attività europea sul territorio per comprenderne l'incidenza reale. Un ambiente accogliente che coinvolge anche i bambini, grazie a una “caccia al tesoro” (il “Luna Game”). Una struttura dinamica perché consente di togliere e mettere elementi e interattiva, grazie alla guida audio e video che permette di esplorare le tappe dell’Unione seguendo un itinerario personalizzato (in questo modo si possono approfondire anche alcuni argomenti). Non solo un percorso moderno, ma un vero e proprio archivio in cui sono custoditi documenti, quotidiani di tutta l’Europa. Un esempio? Alcune pagine degli anni Cinquanta fra cui spicca il “Corriere della Sera”. Fra 8

orologi digitali, fotografie che ripercorrono gli eventi storici salienti (come i due magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino uccisi dalla mafia, oppure le femministe), c’è anche un documentario su schermo gigante che spiega le attività del Parlamento. Ma il Parlamentarium offre di più: non solo questioni legate all’Unione Europea e alle decisioni che vengono prese ogni giorno dagli eurodeputati. Lo spazio ha dato la possibilità a fotografi e artisti in generale di allestire mostre, retrospettive e tutto ciò che riguarda gli aspetti più importanti della società. Un esempio? “Undici donne di fronte alla guerra”, una mostra fotografica patrocinata dalla Croce Rossa (tuttora in corso, fino al 14 maggio) che spiega l’universo femminile e le zone più a rischio del mondo (dall’Afghanistan alla Colombia o il Sierra Leone).

Maila Daniela Tritto


Europa sì o Europa no? La domanda

Sulla scia della Brexit, anche in Italia i sentimenti antieuropeisti crescono, complici crisi e populismo

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gni paese per sé. Questo è stato il motto, per decenni, di quelli che sono poi diventati gli stati membri dell’Unione Europea. Quella “grande Europa” che dal 2012 a oggi ha perso i consensi dell’opinione pubblica del nostro paese. Secondo un’analisi di 200mila testi pubblicati su Twitter negli ultimi otto anni, il gradimento nei confronti dell’Ue è diminuito: dal 50% del 2012, oggi siamo al 15,5%. L’Italexit, il divorzio della penisola dall’Europa, non è, quindi, così impensabile come poteva esserlo anni fa. Sicuramente una delle motivazioni più forti, dato il periodo di crisi, è quella economica: tra i sostenitori dell’antieuropeismo in Italia c’è infatti chi critica le politiche di eccessiva austerità di “mamma Europa”. Al secondo posto delle ragioni del malcontento c’è la gestione delle emergenze migratorie: per i sostenitori di questa tesi, l’Unione non è in grado di affrontarla adeguatamente. Infine l’Europa viene accusata anche di avere un deficit strutturale di democrazia. Insomma, quelli che pensano ancora che l’Unione abbia reso migliore la vita dei cittadini esistono ancora, ma sono molto pochi.

In tutto questo non hanno aiutato le recenti dichiarazioni di Angela Merkel riguardo l’esistenza di un’Europa a più velocità, perché non si capisce se l’Italia appartenga al “gruppo di testa” o a quello di coda. Secondo gli antieuropeisti più accaniti, l’Europa è già a più velocità e il frazionamento in gruppi “formalizzato” gioverebbe solo alla Germania, leader del “gruppo di testa”. Sicuramente il sentimento dei favorevoli all’Italexit non è così forte come la corrente antieuropeista: per il momento, quindi, il rischio di seguire la Gran Bretagna e uscire dall’Unione c’è, ma è molto basso. Chi non è antieuropeista, ma ritiene comunque che l’Unione andrebbe profondamente cambiata, è invece Manuela Conte, portavoce del PPE (Partito Popolare Europeo): <<Quando i padri fondatori hanno creato la Comunità europea non pensavano alle tornate elettorali, volevano solo portare pace e prosperità in un continente devastato dalle guerre. A distanza di decenni dalla nascita di quel progetto, l’Europa sembra ridotta a un’arena dove disputare battaglie politiche. Un po’ tutti i leader europei utilizzano Bruxelles come cassa di risonanza per lanciare proclami più o meno populi9

ITALEXIT L’Unione non ha più i consensi di un tempo e si comincia a pensare al divorzio. Tra le motivazioni degli antieuropeisti la crisi economica, l’inadeguatezza a gestire la situazione migranti, e le disuguaglianze

sti>>. La cosa più divertente, secondo la Conte, è che ciascuno di essi accusa il rivale politico di essere populista, e comunque nessuno di loro ha tempo realmente per occuparsi dell’Europa: <<Il 23 giugno scorso, nel Regno Unito, i cittadini hanno votato per scegliere se uscire o restare in Europa, e molti di loro hanno votato senza sapere nulla, né in termini di costi, né di benefici. L’uccisione della deputata inglese Cox ha dimostrato che la demonizzazione dell’Europa porta anche esasperazione e follia. L’Europa ripartirà soltanto quando non verrà più utilizzata come spauracchio o come scusa nelle campagne elettorali nazionali>>. Ogni anno si vota in uno o più paesi membri e l’Europa viene trascinata nel dibattito politico nazionale. “Ce lo chiede l’Europa”, “a livello europeo è stato deciso”, “dobbiamo fare sacrifici per restare in Europa”, e tutti i cittadini che sentono queste frasi in TV iniziano a odiare l’Europa. Probabilmente è questo che alimenta l’antieuropeismo. Ma come andrà a finire questa storia, lo scopriremo solo nel 2019, termine ultimo che i Parlamentari europei si sono posti per iniziare a valutare un’eventuale disgregazione. (Bianca Chiriatti)

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Luoghi e persone

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Tra foto e interviste il nostro reportage sull’UE

3 IL FATTO Dal Parlamentarium (1), il museo dedicato alla storia d’Europa (2), alle aule e ai corridoi del Parlamento Europeo. Il nostro viaggio a Bruxelles (3) inizia così: con incontri dedicati a capire come comunica l’Unione Europea, sia all’interno che all’esterno.Abbiamo raccolto le testimonianze di esperti della comunicazione, social media manager, uffici stampa, politici e deputati tutti pronti a trasmetterci la loro idea di “Europa”.Gli incontri si sono tenuti in un’aula del PE (4). marzo 2017

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5 LE FOTO L’interno e l’esterno delle istituzioni europee: abbiamo girovagato in lungo e in largo nell’emiciclo (5) e nelle aule dedicate alle riunioni delle commissioni parlamentari con sede nella capitale belga (6). Il via vai di gente è continuo: dalla porta principale dedicata ad Altiero Spinelli (in basso a destra) (7) passano ogni giorno oltre 500mila persone tra addetti ai lavori, studenti e visitatori (8)

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Bruxelles un anno dopo Terrorismo

La città non ha dimenticato e commemora le sue 32 vittime

Morte e soldi

Ricordiamo i feriti. Sono 1.300 quelli che portano ancora addosso i segni dell’attentato, di cui 226 gravi, per un totale di 1.361 richieste di indennizzo. Tra queste sono incluse anche le famiglie delle vittime, però in molti non hanno ancora visto un euro. Secondo i dati ufficiali, le assicurazioni hanno già sborsato 136 milioni, di cui però solo 16 alle vittime degli attentati.

IL RICORDO Messaggi, candele e fiori: la capitale belga si stringe in un unico abbraccio attorno ai familiari delle vittime dell’attentato

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a vita ha ripreso a scorrere a ritmo naturale, ma a un anno dagli attentati del 22 marzo, Bruxelles non dimentica. Sono 32 le vittime di quel giorno e oltre 1300 i feriti. Due esplosioni. La prima alle 7.58 a Zaventem, provocata dai kamikaze Najim Laachraoui e Ibrahim El Bakhraoui. La seconda alle 9.11 nella stazione della metropolitana di Maelbeek con il fratello Khalid El Bakrhaoui, così hanno cambiato radicalmente la storia del cuore dell’Europa. In occasione del primo anniversario dell’attacco terroristico, ovunque, in Belgio e nel mondo, si è osservato un minuto di silenzio. Fiori, candele e messaggi per non dimenticare che l’amore è più forte dell’odio. E noi eravamo lì, a guardare con i nostri occhi quanto possa bruciare una ferita ancora aperta. La lunga giornata di commemorazioni è iniziata all'aeroporto, dove sono arrivati il re del Belgio, Filippo, la regina Matilde e il premier Charles Michel, pronti a stringersi attorno ai superstiti e alle famiglie delle vittime. Uno alla volta, sono stati letti i nomi di chi ha perso la vita in quel tragico giorno e al termine della commemorazione il re ha poi deposto una corona di fiori. Un minuto di silenzio è stato osservato marzo 2017

sia alle 7.58 all'aeroporto di Zaventem, sia alle 9.11 alla stazione della metropolitana di Maelbeek, dove tutti i mezzi pubblici si sono fermati. Grande partecipazione anche da parte dell’Europarlamento, delle commissioni e del Comitato delle Regioni, che hanno reso omaggio alla memoria delle vittime tributando un lungo applauso in ogni aula della cittadella eu12

ropea. Forse è vero, il tempo cura tutte le ferite e nonostante la paura, Bruxelles ha faticato a tornare ad essere se stessa, basti pensare alle schiere di militari che ancora oggi presidiano strade e piazze, metro e centri commerciali. Eppure loro, i sottovalutati belgi, hanno fatto del loro meglio per tirarsi su, per tornare alla loro routine e per liberarsi dalle critiche di incompetenza che si sono abbattute sulle loro teste. Questa celebrazione vuole rappresentare proprio quell’urlo silenzioso, soffocato in questi 365 giorni ma che riesce a colpire il mondo scuotendolo a suon di “noi non abbiamo paura”. Graziana Capurso


Il controllo del territorio come garanzia di sicurezza La sicurezza

Circa 47mila uomini sono arruolati nell’Armata belga. Il Groupe Police Militaire ha 188 agenti divisi in cinque distaccamenti

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li attentati del 22 marzo dello scorso anno, hanno aperto il dibattito sul tema della sicurezza a Bruxelles. È dunque importante capire come funziona l’organizzazione dei servizi di sicurezza belgi. Tutte le divisioni che si occupano della sicurezza in Belgio fanno capo all’Armata belga (Armée belge in francese, Belgisch lager in neerlandese, belgische Armee in tedesco). In maniera simile a quanto avviene in Italia, dove il comando delle forze armate spetta al presidente della Repubblica, in Belgio questo ruolo appartiene al re, mentre il responsabile è il ministro della Difesa, ruolo attualmente ricoperto dal cristiano-democratico Pieter De Crem, insieme al capo di stato maggiore della difesa, il generale Charles-Henri Delcour. L’Armata belga, fondata nel 1830, conta circa 47mila componenti effettivi. L’età di abilità alle armi va dai 18 ai 49 anni. Nel 2002 sono stati istituiti i quattro re-

parti che attualmente la compongono: l’esercito, che si occupa della componente terrestre, l’aeronautica militare, la marina e la sanità militare. I comandi operativi di ciascuna componente (COMOPSLAND per l’esercito, COMOPSAIR per l’aeronautica, COMOPSNAV per la marina e COMOPSMED per la sanità) rispondono al Dipartimento personale per le operazioni e la formazione del ministero della Difesa e al capo della Difesa (CHOD). Il dipartimento è presieduto dal sottocapo di stato maggiore operazioni e addestramento (ACOS Ops&Trg). I compiti di polizia militare sono invece affidati al Groupe Police Militaire dell’esercito. Il Gruppo dispone di 188 elementi divisi tra lo stato maggiore, che risiede nella caserma Regina Elisabetta nel sobborgo dell’Evere, vicino Bruxelles, e altri cinque distaccamenti. Il Distaccamento Alfa, quello principale con sede sempre all’Evere, copre tutto il territorio di Bruxelles e la provincia del 13

LA TENSIONE Militari dell’Armata belga (in alto) e agenti del Groupe Police Militaire (in basso)

Brabante. Il Distaccamento Bravo, con sede a Nivelles, copre il Brabante-Vallonia e le aree di Hainaut e Namur. Il Distaccamento Charlie, con sede a Marche-en-Famenne, copre la provincia di Liegi e l’area del Lussemburgo. Il Dipartimento Delta, con sede a Leopolsburg, riguarda l’area di Limburgo e Anversa. Infine il Distaccamento Echo, con sede a Lombardsijde, ricopre le Fiandre orientali e occidentali. Il Groupe Police Militaire svolge tre compiti fondamentali. Innanzitutto il mantenimento dell’ordine e della disciplina, con particolare attenzione al controllo di profughi e rifugiati e alla scorta di prigionieri di guerra. Poi il controllo del traffico e l’investigazione in caso di incidenti stradali. Infine la sorveglianza nei confronti di possibili obiettivi sensibili come le sedi delle principali istituzioni nazionali e comunitarie. Uomini divisi per compiti e gradi, ma uniti da un solo obiettivo: la sicurezza. Vincenzo Murgolo marzo 2017


L’incubo dell’Heysel: viaggio all’inferno e ritorno Dino e Raffaele, entrambi bitontini, erano allo stadio di Bruxelles il 29 maggio 1985

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ono nati e vivono a Bitonto. Tifano per la Juventus sin da bambini. Ad unire le vite di Dino e Raffaele c’è soprattutto una data: 29 maggio 1985. Entrambi erano allo stadio Heysel di Bruxelles per assistere alla finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Un evento macchiato dagli incidenti avvenuti nella curva Z e costati la vita a 39 persone (32 italiani, 4 belgi, due francesi e un britannico), tra cui un bimbo di 10 anni e una ragazza di 17. <<Sono partito con sei amici da Brindisi>>, racconta Dino, titolare di una lavanderia e all’epoca 29enne. <<Io e mia moglie Tina - ricorda invece Raffaele, insegnante in pensione che quel giorno di anni ne aveva 34 - ci siamo sposati il 18 maggio e abbiamo prenotato i biglietti quando la Juventus si è qualificata per la semifinale. Siamo partiti il 19 per il viaggio di nozze, poi il 27 siamo arrivati a Bergamo. Insieme ad amici conosciuti quando ho insegnato lì, siamo partiti in pullman e siamo arrivati a Bruxelles il 28 sera>>. L’avvicinamento allo stadio, situato in un quartiere periferico di Bruxelles, è tranquillo. Gli hooligans, la parte più estrema del tifo inglese, in quegli anni sono un pericolo. Ma né Dino né

marzo 2017

La testimonianza

Raffaele, né tantomeno le persone che sono con loro, notano nulla che faccia presagire problemi di ordine pubblico. <<Siamo partiti dall’albergo la mattina - racconta Raffaele - e abbiamo girato per Bruxelles in un clima allegro. Abbiamo incontrato un gruppo di inglesi con i quali ci siamo fatti una foto. A uno di loro ho regalato la mia sciarpa e il mio cappello della Juventus e lui ha fatto lo stesso>>. Nel frattempo Dino e i suoi amici sono atterrati a Bruxelles e si dirigono verso lo stadio. <<Nel parco circostante l’Heysel non c’erano soltanto gli hooligans, ma anche tanti tifosi desiderosi di sostenere il Liverpool. Uno di loro mi ha regalato una maglietta della squadra, mentre io gli ho dato una sciarpa e un gagliardetto della Juventus>>. Poi arriva il momento di prendere posto nello stadio. Dino e i suoi amici si dirigono nella curva Z, adiacente al settore riservato al tifo organizzato inglese, mentre Raffaele e Tina hanno il posto riservato nella curva opposta, riservata alla tifoseria organizzata juventina. Restano però colpiti dall’inadeguatezza dell’impianto belga ad ospitare un evento della portata di una finale di Coppa dei Campioni. <<Per arrivare al nostro posto - spiega Dino - abbiamo percorso una scala e 14

siamo entrati nella curva attraverso una porta in legno marcio>>. <<Siamo saliti - racconta Raffaele - lungo un terrapieno in sabbia e poi si è creata una coda disordinata che è durata oltre due ore>>. Alle 17 scendono in campo dei ragazzini per giocare una partitella di circa mezz’ora. Poi i primi tafferugli. <<Alcuni inglesi - ricorda Dino - hanno portato via degli strscioni presenti nel nostro settore. Poi hanno iniziato a lanciare bottiglie di vetro e mattoni, così tanti hanno iniziato a spostarsi verso la parte più esterna della curva. Ad un certo punto un signore seduto vicino a me è stato colpito alla testa da un mattone e insieme ad un ragazzo di Brindisi, morto nei successivi incidenti, lo abbiamo trasportato sul campo. Io poi sono tornato al mio posto, ma non ho trovato nessuno. A quel punto sono tornato giù e sono corso verso la tribuna. Questa è stata, a conti fatti, la mia salvezza>>. Dalla tribuna Dino non riesce a vedere la tragedia che si consuma poco dopo, quando il muro sul quale si sono accalcati i tifosi seduti nella curva Z per scappare dalle cariche degli inglesi crolla per l’eccessiva pressione provocando numerose morti per schiacciamento e asfissia. <<Vedevo da lontano


Fondata nel 2015 l’Associazione fra i familiari delle vittime dell’Heysel

Rocco Acerra (28 anni), Bruno Balli (50), Alfons Bos (35), Giancarlo Bruschera (35), Andrea Casula (10), Giovanni Casula (44), Nino Cerullo (24), Willy Chielens (41), Giuseppina Conti (17), Dirk Daeneckx (38), Dionisio Fabbro (51), Jaques François (45), Eugenio Gagliano (35), Francesco Galli (25), Giancarlo Gonnelli (20), Alberto Guarini (21), Giovacchino Landini (50), Roberto Lorentini (31), Barbara Lusci (58), Franco Martelli (22), Loris Messore (28), Gianni Mastroiaco (20), Sergio Bastino Mazzino (38), Luciano Rocco Papaluca (38), Luigi Pidone (31), Benito Pistolato (50), Patrick Radcliffe (38), Domenico Ragazzi (44), Antonio Ragnanese (29), Claude Robert (27), Mario Ronchi (43), Domenico Russo (28), Tarcisio Salvi (49), Gianfranco Sarto (47), Amedeo Giuseppe Spolaore (55), Mario Spanu (41), Tarcisio Venturin (23), Jean Michel Walla (32), Claudio Zavaroni (28). Sono le 39 vittime della strage dello stadio Heysel. Tra loro anche quattro belgi, due francesi e un britannico. Il 17 gennaio 2015 è nata l’Associazione fra i familiari delle vittime dell’Heysel, fondata e presieduta da Andrea Lorentini, figlio di Roberto, 31enne medico nato ad Arezzo e morto nel tentativo di salvare un connazionale rimasto coinvolto negli incidenti verificatisi nella curva Z. Un gesto successivamente premiato con la medaglia d’argento al valore civile. Vicepresidente è Emanuela Casula, figlia di Giovanni e sorella del piccolo Andrea, mentre Riccardo Balli, fratello di Bruno, è il segretario. (v.m.)

gli scontri - aggiunge - ma non ne capivo la portata. Poi è arrivata la gendarmeria belga a cavallo e ho saputo che c’erano stati dei morti. Ma quello che è davvero accaduto l’ho saputo solo dopo il rientro in Italia>>. Intanto dall’altra parte tutti, compresi Raffaele e Tina, attendono l’inizio della partita: <<Vista la struttura dello stadio, per noi era impossibile capire quanto stava accadendo nella curva Z. Noi semplicemente eravamo colpiti dal ritardo e lo attribuivamo ad alcune scaramucce tra i gruppi organizzati e la polizia belga>>. Alla fine la partita si gioca per motivi di ordine pubblico e per evitare che, una volta usciti dallo stadio, inglesi e italiani diano luogo ad altri scontri. Il primo tempo termina 0-0, ma poco dopo il duplice fischio dell’arbitro Deina nella curva juventina accade qualcosa. <<Durante l’intervallo - racconta ancora Raffaele - è arrivato sotto la nostra curva un signore di Pisa. Aveva la giacca strappata. Ci ha detto che si trovava nella curva Z dalla quale era scappato per via dei tafferugli creati dai tifosi inglesi. Durante il suo racconto io e Tina siamo stati presi da un solo pensiero: far sapere ai nostri familiari che stavamo bene. Nel frattempo era iniziato il secondo tempo, ma a quel punto non ci importava più nulla della partita. Siamo usciti dallo stadio e abbiamo raggiunto una cabina telefonica dalla

quale, insieme ad altre persone, abbiamo chiamato casa. Ricordo soprattutto la grande solidarietà tra i presenti. Non solo si facevano telefonate brevi, ma si mettevano in comune i gettoni telefonici per dar modo a tutti di rassicurare amici e familiari>>. Intanto la Juventus vince partita e coppa grazie ad un calcio di rigore realizzato da Platini. Dino, rimasto in tribuna, assiste agli eventi combattuto tra la felicità per la vittoria della squadra del cuore e lo sconcerto per quanto accaduto poche ore prima. <<Non si può morire allo stadio - racconta, con l’emozione che quasi gli spezza la voce - Mi rendo conto che giocare la partita ha consentito di evitare scontri ancora peggiori, ma nel mio cuore di tifoso è una vittoria amara>>. Anche per Raffaele si tratta ancora oggi di una gioia a metà: <<È stato comunque necessario giocare. Questo ha consentito di organizzare un deflusso che poi è stato ordinato e tranquillo. Sulla premiazione c’è poco da dire perché in fin dei conti si è trattato di un rito. Forse avrei evitato la discesa festosa dall’aereo>>. Alla fine le inchieste giudiziarie portano sul banco degli imputati l’Uefa e le autorità belghe, ma per Dino e Raffaele le responsabilità di quanto accaduto sono chiare fin dal primo momento. <<L’Uefa - dice Raffaele - sapeva che lo stadio Heysel era vecchio e inadeguato per un evento simile, ma 15

39 MORTI E OLTRE 600 FERITI Sopralluoghi nella curva Z dopo il crollo del muro (a sinistra) e la lapide commemorativa all’esterno dello stadio (in alto)

ha deciso ugualmente di far giocare lì la partita. La polizia belga, invece, ha avuto la colpa gravissima di non creare un cordone di sicurezza tra la curva Z e il settore che ospitava i tifosi inglesi>>. La strage dell’Heysel provoca la squalifica delle squadre inglesi dalle competizioni internazionali per le successive cinque stagioni. Nel 1989, all’indomani di un’altra strage avvenuta nello stadio inglese di Hillsborough, il governo di Margaret Thatcher vara il Football Spectators Act con cui verrà dato un giro di vite al fenomeno hooligans. In Italia, invece, ancora oggi le cronache parlano di episodi di violenza legati al calcio. Ma anche su questo punto Dino e Raffaele hanno le idee molto chiare. <<In Italia - afferma Raffaele - non si fa prevenzione. C’è un permessivismo di fondo che impedisce che si mettano a punto misure serie>>. Sulla stessa lunghezza d’onda Dino, che aggiunge: <<Nel nostro Paese spesso nelle tifoserie si nascondono veri e propri delinquenti. Servono regole certe e ferree come in Inghilterra>>. Eppure, a 32 anni di distanza, il loro amore per il calcio non si è spento. <<Ho giocato a livello agonistico per tanti anni - dice commosso Dino - Poi ho fatto l’allenatore. Quello per il calcio è un amore che non passerà. Mai>>. <<Il tifo - chiosa Raffaele rientra nella sfera dell’emotività e non ha nulla a che vedere la razionalità>>. Già, la razionalità. La grande assente di quella sciagurata notte. Doveva essere una festa di sport. Si è invece trasformata in una barbarie che si poteva e si doveva evitare. Vincenzo Murgolo marzo 2017



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