Mediaterraneo News 16-30 novembre 2019

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Anno 11 - N. 78 16-30 novembre 2019 Distribuzione gratuita

Premio Giornalisti del Mediterraneo 2016

MEDI@TERRANEO news - Periodico del Master di Giornalismo di Bari Ordine Giornalisti di Puglia - Università degli Studi ‘Aldo Moro’ di Bari Editore: Apfg - Bari Direttore Responsabile: Lino Patruno Registrazione Tribunale di Bari numero 20/07 del 12/04/2007

Redazione: Palazzo Chiaia-Napolitano via Crisanzio, 42 - Bari email: master@apfg.it

Baby gang a scuola di Gomorra 1

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Contro le baby gang telecamere, luci e tante piccole cose Il sindaco di Bari Decaro punta su collaborazioni con le scuole e riqualificazione del territorio per combattere le cosche che reclutano i minori per le rapine

2 AMBIENTALISTA Appassionato di bici Antonio Decaro ha ricevuto il premio di ambientalista dell’anno 2008 da Legambiente.

Incontriamo il sindaco di Bari, Antonio Decaro, nel suo studio al Palazzo di città. Nella sala d’attesa ci sono cittadini con consigli e lamentele. Molti di loro hanno appuntamento: dobbiamo aspettare. Fervono i preparativi per la riapertura del teatro Piccinni, il sindaco è impegnato ma riceve tutti e, anche se in ritardo, ci accoglie. Dopo qualche minuto di ulteriore attesa (si scusa perché deve rispondere a un messaggio di Zingaretti) l’intervista può iniziare. Sindaco Decaro, le cronache raccontano di ragazzini autori di rapine a mano armata e

di veri e propri babyboss. C’è un problema di criminalità minorile a Bari? C’è un problema di criminalità in generale nella nostra città. Ci sono ancora 14 clan, anche se grazie all’azione dello Stato, delle forze dell’ordine e della magistratura sono stati decapitati. All’interno di questi clan criminali ci sono dei minori che delinquono. Questi si fanno avvicinare dalle famiglie malavitose. Dicono loro che se si legano a quel nome, di quella famiglia, sono più forti e protetti e, arrivati a una certa età, gli mettono una pistola in mano.

Il patto urbano

Più occhi elettronici significa più sicurezza?

Big Brother is watching you. Il 25 novembre è stato sottoscritto alla Prefettura di Bari il patto per la sicurezza urbana e per la promozione e attuazione di un sistema di sicurezza partecipata. All’articolo 1 prevede un rafforzamento della videosorveglianza, per assicurare un "territorio sotto controllo". Secondo il quotidiano la Repubblica a Bari sarebbero 500 le telecamere previste, di cui 200 già attive e altre 300 in via di collocazione e attivazione. Il controllo elettronico dovrà coprire un raggio di 300 metri da scuole, biblioteche, chiese, monumenti, litorale cittadino, ospedali e fiere. Il patto è stato firmato in presenza del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, dal prefetto di Bari, Marilisa Magno, dal sindaco Antonio Decaro e dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Oltre alla videosorveglianza, il patto prevede una stretta sui controlli contro i parcheggiatori abusivi e la prostituzione (articolo 4). Nell’articolo 6, invece, per contrastare il consumo di droga tra i giovani e in generale la devianza minorile, si propone, tra le altre cose, di migliorare la coordinazione tra le associazioni che si occupano di contrastare il fenomeno. Tuttavia, quello che impressiona di più resta l’aumento delle telecamere. Un incremento che forse è esagerato paragonare al controllo del personaggio del romanzo distopico 1984 di George Orwell, lo sconosciuto dittatore il cui occhio vigila su tutto. Eppure, la videosorveglianza, resta la risposta più facile all’esigenza di sicurezza dei cittadini, disposti a cedere qualcosa sul fronte della privacy.

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Il personaggio

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Il barese Decaro il sindaco d’Italia

Ecco, come si può evitare che i più giovani vengano avvicinati dalle cosche e reclutati per le rapine? Abbiamo sottoscritto un patto sulla sicurezza con la prefettura e la Regione Puglia. È un patto che comprende azioni di contrasto, di repressione, della criminalità organizzata, abbinate alle aree territoriali, le zone più complicate dove poter intervenire con queste azioni. L’idea di base è il prendersi cura dei luoghi e della gente, attraverso iniziative in supporto delle persone più fragili, come i minori, e attraverso una riqualificazione delle zone periferiche. L’illuminazione, le telecamere, il ripulire un muro imbrattato, il sistemare una giostra rotta, sono azioni che creano un humus positivo dove far crescere il rispetto delle regole e della legalità. Se invece queste cose non le facciamo, rischiamo di dare una percezione di insicurezza ai cittadini anche sulle piccole cose. Proprio nelle periferie i ragazzi sembrano avere poche alternative alla criminalità. Come fare in modo che i progetti, come il recente bando pubblico per attività di contrasto alla devianza minorile al Municipio III, abbiano effetti duraturi e non limitati al loro svolgimento? Nei progetti bisogna tenere insieme le istituzioni, le associazioni, le parrocchie e le scuole. Queste, insieme, sono una sorta di rete di protezione e le sentinelle sul territorio. Non credo che le periferie siano zone dove il destino dei ragazzi sia ineluttabilmente quello di essere assoldati dalla criminalità organizzata. È vero, c’è questo rischio,

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Primo cittadino d’Italia: Antonio Decaro è stato riconfermato per acclamazione (era l’unico candidato) presidente dell'Anci, l’Associazione italiana dei Comuni, al congresso di Arezzo.È una carica che ricopre dall’ottobre 2016. Decaro è sindaco di Bari dal 23 giugno 2014, al suo secondo mandato dopo aver vinto le elezioni del 26 maggio di quest’anno con il 66 per cento dei voti. Sempre con il Partito Democratico, prima di diventare sindaco nel 2013 era stato eletto deputato, carica da cui si è dimesso dopo essere diventato primo cittadino. Sempre tra le fila del centrosinistra è stato consigliere regionale della seconda giunta Emiliano e ancor prima assessore alla mobilità e al traffico, quando il sindaco era l’attuale presidente della Regione. È laureato in ingegneria civile, sezione trasporti, al Politecnico di Bari.

ma la stragrande maggioranza delle persone che abitano nelle periferie sono persone perbene. Ha citato il Municipio III, il suo presidente (Nicola Schingaro) ha scritto un libro proprio sui motivi per i quali non è diventato un criminale, anzi oggi fa il ricercatore ed è diventato anche il rappresentante di quel territorio. Prima di Halloween, a chi chiedeva l’impiego di più polizia per la festa, ha detto che la prevenzione parte anche dalle famiglie. Come si possono, però, aiutare le famiglie che hanno difficoltà a tenere sotto controllo i propri ragazzi? Attraverso quella che è la rete di protezione della nostra città. Quindi innanzitutto le scuole: devono essere i docenti a parlare ai genitori quando ci sono dei problemi. Poi interviene il Comune attraverso la rete dei servizi sociali. Ci dobbiamo impegnare per creare un sistema per il quale andiamo tutti a protezione dei ragazzi più fragili, partendo dal territorio, dagli amici, dalla famiglia. È un tema che ci dobbiamo porre tutti, non possiamo subappaltare alle forze dell’ordine anche l’educazione dei nostri figli. Serie Tv come Gomorra, secondo lei, causano

3 LO SCORCIO Il Teatro Margherita sul lungomare di Bari è uno dei simboli della città. Tra pochi giorni riapre anche il Teatro Piccinni

nei più giovani un effetto di imitazione? Purtroppo sì. Ragazzi che magari in altre epoche sarebbero stati suggestionati da supereroi e calciatori ora sono influenzati da serie televisive in cui l’elemento criminale, anche se condannato, mostra uno stile di vita al quale alcuni ragazzini aspirano. Luigi Bussu 16-30 novembre 2019


Gomorra anche a Bari Baby gang tra droga e serie Tv

PIAZZA DIAZ Dal teatro Petruzzelli fino a qui si concentra una grossa fetta dell’attività di spaccio di droga.

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Il nuovo genere televisivo “crime” ha dato alla criminalità un linguaggio chiaro e riconoscibile che rischia di far diventare simpatici gli assassini

Mentre i ragazzi del quartiere Enziteto si “aggomorrano” e quelli di Japigia diventano “meglio di Gomorra”, il cielo di Bari quasi ogni sera si colora con lo scoppio di fuochi d’artificio. Risuonano tra San Paolo, Libertà e Bari vecchia. Segni che sembrano dire: noi ci siamo, facciamo più rumore. Storici clan cercano giovani leve, alcune famiglie cercano di uscire dall’ombra e nuovi nomi tentano di imporsi. “La coperta per la criminalità barese è sempre più corta. I clan non possono lasciare nulla in giro”, ha spiegato Domenico Mortellaro, criminologo e autore del romanzo “Bari Calibro 9”. Tutto ruota intorno al controllo dello spaccio di droga. Un business che a Bari frutta circa 3 miliardi di euro l’anno e che comincia a reclutare intere famiglie cosiddette normali, incensurate. I luoghi da contendersi e da proteggere sono quelli della movida. Quelli della “Bari-bene”. In particolare la zona che si estende dal teatro Petruzzelli a piazza Diaz. “In quella zona alle attività commerciali non viene chiesto il pizzo perché devono essere in grado di attirare clienti. Per loro e indirettamente per gli spacciatori”, spiega ancora Mortellaro. E così arriviamo alla violenza di cui tutti hanno bisogno per potersi affermare. Soprattutto i più giovani. Si ritorna a parlare di baby gang, gruppi più o meno strutturati di minorenni che spacciano, rubano auto, scippano e aggrediscono. L’ultimo rapporto del Sole 24 ore ha

collocato Bari tra le 30 città più pericolose d’Italia. Catene d’oro al collo, capelli corti, musica trap nelle cuffiette. È una generazione che prima di uscire di casa guarda Gomorra. La serie Tv prodotta e trasmessa da Sky è stata tratta dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano ed è stata un successo. La prima serie italiana ad aver registrato ascolti altissimi anche negli Stati uniti. A Gomorra è seguito “La paranza dei bambini”, prima il romanzo (best seller), poi il film diretto da Claudio Giovannesi. In qualche modo i due prodotti hanno dato alla criminalità un linguaggio grazie al quale potersi esprimere e dei valori immediatamente riconoscibili. Almeno all’apparenza. Gomorra, così come altre serie Tv da Romanzo criminale a Suburra, ha avuto la pretesa di raccontare qualcosa che già stava accadendo. Non s’è inventata niente insomma e il fenomeno emulativo è roba vecchia. Quarant’anni fa la criminalità barese, strutturatasi da poco, utilizzava come riti di iniziazione quelli descritti da Tornatore nel film “Il camorrista”, come si legge nei rapporti della Direzione investigativa antimafia. La pericolosità, se di pericolosità si può parlare, sta nel media: la televisione, compresi Netflix e affini. Ancora oggi la Tv è considerata il media che per eccellenza è capace di legittimare un messaggio. A questo si aggiunga che Gomorra è un prodotto cinematografico di altissimo valore, che è stato capace di estetizzare perso-


naggi e messaggi che generalmente vengono ritenuti negativi. Ma Gomorra è un prodotto chiesto dal mercato. E il mercato vuole il cattivo, vuole Joker al posto di Batman. Una delle possibili critiche è che Gomorra non mostra mai la controparte, le forze dell’ordine, e rende addirittura simpatici degli assassini. Tuttavia già lo ha fatto vent’anni fa la serie Tv americana “The Sopranos”. È questione di contesto. La docente di semiologia del cinema nell’Università di Bari, Claudia Attimonelli, ha chiarito che “il fascino degli spettatori “normali” per prodotti come Gomorra rimane infatti confinato al gusto estetico”. L’emulazione dunque interviene nel momento in cui una scelta di campo è stata già fatta. In sostanza Gomorra raccontata la realtà di generazioni e classi sociali per cui la distinzione tra bene e male è differente. Esempio concreto lo fornisce ancora il criminologo Mortellaro: “Ci sono pezzi di città marginalizzati che hanno perso qualsiasi forma di autostima. Famiglie esterne ai circuiti criminali in cui è normale che la mamma insegni alla figlia a fare la sguattera perché così avrà maggiori possibilità di trovare marito. Ci sono baresi che rifiutano di considerare il San Paolo un pezzo di Bari”. Classi sociali periferiche e marginali non raggiunte dallo Stato, ma che esistono e hanno bisogno di essere rappresentate. Dal cinema come dalla musica. La Trap e la neomelodica di nuova generazione, compresa quella nostrana barese, raccontano di malavita, droga, violenza. Raccontano di una realtà che esiste e esisterebbe comunque. I loro testi nascono non per incoraggiare, ma per raccontare e si pongono oltre il concetto di giusto e sbagliato. Saverio Carlucci

San Pio. Durante le indagini sull’omicidio di Michele Ranieri, avvenuto nel quartiere San Pio l’11 settembre scorso, i carabinieri hanno intercettato la conversazione tra due ragazzi del quartiere Enziteto: Saverio Carchedi di 33 anni e Giovanni Sgaramella di 34. “Stiamo aggomorati”, si dicono. Siamo come quelli di Gomorra. Come ricostruito dal quotidiano Repubblica Bari per l’omicidio è indagato anche Saverio Faccilongo, già detenuto nel carcere di Trani e ritenuto il mandante. Stando alla ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia, Ranieri sarebbe stato ucciso per colpire Carlo Alberto Baresi. Il tentativo era quello di smarcarsi dall’ombra dello storico clan. Prima di essere arrestato, si legge ancora su Repubblica, Carchedi è stato mandato da Faccilongo a Bari Vecchia affinché i ragazzi vicini al clan Capriati parlassero con quelli del San Paolo, nell’orbita degli Strisciuglio, e gli spiegassero che l’omicidio di Ranieri è stato dovuto al suo cattivo comportamento verso di loro. “ Mo’ tu chiami due degli amici di vicino (del San Paolo) e gli dite tutto ciò che ha detto e fatto quel cesso contro di noi e contro icompagni del quartiere”. Japigia. “Noi siamo meglio di Gomorra, dovrebbero venire qui con le telecamere”. Appena un mese fa ci sono stati 25 arresti tra le fila dei Palermiti e dell’emergente clan Busco. A Japigia, nel quartiere di Savinuccio Parisi, ritenuto il mamasantissima della criminalità barese, i Palermiti, famiglia proliferata all’ombra dei Parisi, stanno cercando di emergere. Hanno bisogno di essere “meglio di Gomorra”. Intanto poche settimana fa c’è stata una stesa in via Archimede, nel cuore di Japigia. Ragazzini, Arrivati a bordo di motori hanno sparano contro i palazzi. Non ci sono stati feriti, soltanto proiettili conficcati nei muri e qualche vetro rotto. Libertà. La mafia nigeriana, organizzazione criminale dalla violenza efferata, comincia a proliferare anche a Bari sfruttando prostituzione, racket dei mendicanti e ritagliandosi piccole piazze di spaccio. Grazie anche a una probabile connivenza della Famiglia Strisciuglio che permetterebbe loro di operare soprattutto nel quartiere Libertà.

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La coperta troppo corta

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Scenario a Bari

GOMORRA Salvatore Esposito e Fortunato Cerlino nel ruolo di Don Pietro e Genny nella prima stagione della serie Tv Sky

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“Il mondo criminale è drogato e va a puttane”

TRATTA DELLE DONNE Scatto del fotoreporter Marcello Carrozzo, nel 2017, durante l’Operazione EuNavForMed al largo delle coste libiche

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Sfruttamento della tratta e della prostituzione, eroina gialla, racket sui mendicanti: sono i business delle mafie nigeriane presenti anche a Bari

Sono donne. Sono belle. Sono giovani. Vittime sacrificate all’altare dello squallore. Tutto per il dio denaro. Sono prostitute arrivate dalla Nigeria in Italia con l’inganno di una vita migliore. Vittime due volte: dell’immigrazione clandestina e di connazionali senza scrupoli, manovali della criminalità, pronti a metterle sulle strade. E loro “battono”: sui marciapiedi della Bari “bene”, all’ombra dello stadio San Nicola, sulla statale 100, ovunque possano raccattare più o meno dieci euro a prestazione. E più “bat-

Omertà e violenza

Gruppi criminali con la “lode”

“Black Axe” (“Ascia Nera”), “Eye”, “Maphite”, “Vikings”: sono i nomi dei gruppi criminali nigeriani, entrati a pieno titolo tra i più potenti e pericolosi della mafia a livello internazionale. La Direzione Investigativa Antimafia ha dedicato loro un intero capitolo nell’ultima relazione semestrale. Questi gruppi hanno origine da una degenerazione delle confraternite (cults) fondate nelle Università negli anni ’50 del secolo scorso, con lo scopo di promuovere lo sviluppo della cultura africana in contrapposizione al colonialismo imperiale. Nel 2011 il Governo Federale della Nigeria ha introdotto il “reato costituzionale” di creazione o partecipazione a qualsiasi attività di “secret cults”. Ma ciò non è bastato a fermare l’avanzata di questi gruppi criminali in cui il vincolo omertoso la fa da padrone. Le principali forme di guadagno delle mafie nigeriane sono: traffico internazionale di sostanze stupefacenti, tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù, truffe e frodi informatiche. 16-30 novembre 2019

tono”, più devono “battere” e offrire il loro corpo per chissà quanto tempo per ripagare il debito contratto per raggiungere il loro sogno infame. Che le ha portate ad attraversare mari e deserti, a piedi o con mezzi di fortuna. Un sogno grande almeno quanto il loro debito (in media 30mila euro). A ridurle in schiavitù sono altre donne, le madame (le signore) dette anche maman, che in francese significa mamma. Ma sono tutto fuorché tenere madri. Con le ragazze stringono legami basati su riti di iniziazione chiamati “juju”: giuramenti di fedeltà all’organizzazione criminale. Pena: la morte, anche dei propri cari. Un patto in cui le parti non giocano ad armi pari. Una diventa schiava dell’altra. Il reclutamento avviene già nel Paese d’origine, nella Capitale, Benin City, l’”hub africano della prostituzione”. Sono loro le caporali che decidono del destino delle sottomesse. “L’assoggettamento è sia fisico che psicologico e avviene già in Libia, nelle connection house” ha affermato Vito Mariella, operatore sociale dell’Unità di strada “Micaela Onlus”, frutto di un progetto della Regione, “La Puglia non tratta”. Attivi dal 2008, gli operatori dell’associazione “Micaela Onlus” di Adelfia (Ba) cercano di intervenire su diversi livelli: primo fra tutti informare le donne che si prostituiscono dei rischi per la propria salute; in secondo luogo cercano di offrire loro un supporto, salvo che nei paraggi non ci


Leonardo Palmisano sociologo e scrittore

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siano sentinelle o protettori: le donne sono lì per lavorare, non per perdere tempo. Dalla Nigeria, la criminalità si è sviluppata fuori dalla madrepatria, sfruttando i flussi migratori con lo scopo di dettare legge anche nel traffico internazionale e nello spaccio di droga: l’eroina gialla, è la nuova droga diffusa soprattutto tra i più giovani. Fa “sballare” e, come per il sesso, costa pochissimo: 7 euro circa, poco più di un pacco di sigarette. E poi è facile da trovare: in via Buccari e in piazza Umberto, a Bari, e nelle scuole. Dove gli studenti vendono, comprano e consumano. A volte sotto gli occhi impotenti dei genitori. La crisi economica ha impoverito la domanda, non l'ha diminuita. E i nigeriani hanno colmato questa carenza proprio perché hanno tariffe più basse. Di fatto la Puglia rappresenta uno dei terreni di conquista delle mafie nigeriane, favorite secondo il sociologo Leonardo Palmisano dalla presenza dei CARA (Centri di accoglienza per i richiedenti asilo): il ghetto di Borgo Mezzanone, nel Foggiano, il CARA di Palese e poi Taranto, dove secondo il questore sarebbero presenti i tre grandi sistemi nigeriani: Maphite, Eye e Ascia Nera. Al sesso e alla droga, si aggiunge un terzo business: il racket sui mendicanti per strada e fuori dai supermercati. Come si può pensare che tutto questo accada senza che si stipulino “accordi” con i sistemi criminali locali? Anna Piscopo

“Il Centrafrica è il luogo dove si produrrà il grosso della domanda di stupefacenti da qui a qualche decennio ma è anche il luogo, adesso, in cui ci sono le risorse più appetibili per i mercati criminali: diamanti, miniere d’oro, armi. Dal punto di vista del narcotraffico, secondo la DEA americana (l'Agenzia federale antidroga), i nigeriani sono secondi soltanto all'’ndrangheta”. A dirlo è Leonardo Palmisano, sociologo e scrittore di libri e inchieste sulla criminalità pugliese e sugli influssi delle mafie africane nella nostra regione. Nel 2019 è autore per Fandango di “Ascia Nera. La brutale intelligenza della mafia nigeriana”, il libro-inchiesta che prende il nome proprio da una delle più grandi organizzazioni criminali della Nigeria. Nel 2018, dopo la pubblicazione sulle pagine del “Corriere del Mezzogiorno” di un articolo nel quale denunciava i rapporti tra la mafia garganica e quella nigeriana, Palmisano è stato bersaglio di minacce di morte provenienti dai profili facebook di cinque ragazze nigeriane. In seguito la Polizia Postale ha accertato che i profili erano falsi. Frutto, secondo Palmisano, di un’intelligenza informatica evoluta. Ma dove finisce tutto il denaro incassato dalle mafie? Una parte viene riciclato e rimandato in Nigeria, non necessariamente attraverso Western Union, e un’altra è reinvestita nell’acquisto di altra droga. Per esempio in Puglia la marijuana viene comprata al mercato dell’ingrosso per poi essere rivenduta nelle piazze del centro Nord, soprattutto a Roma e a Bologna. “Quindi, se pensiamo che tassando Western Union abbiamo intercettato i denari delle mafie, non abbiamo capito niente”, ha sottolineato il sociologo. Parliamo di cifre imponenti. Secondo l’Istat nel 2015, soltanto dal business della prostituzione delle nigeriane in Italia, il sistema ha maturato proventi per mezzo miliardo di euro. Mentre, in Europa, le cifre si sono aggirate tra il miliardo e mezzo/due. Siamo di fronte ad un sistema criminale avanzato, nelle due facce: quella povera, rozza e feroce, e quella più intelligente ed evoluta. In comune con le nostre mafie hanno l’organizzazione che è fatta di cupole e commissioni. Senza dubbio il modello a cui guardano è Cosa Nostra.

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Il punto di vista

“NOI TI UCCIDIAMO” Nel 2018 Palmisano è oggetto di minacce online dopo aver denunciato i legami tra mafia garganica e nigeriana

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Quando la vita è a colori...

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I ragazzi di Bari “chiedono aiuto” ma chi li ascolta?

Riccardo Greco, Presidente del Tribunale dei Minori di Bari, spiega che la devianza minorile non deve creare allarme sociale. Come aiutare questi ragazzi?

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BARI VECCHIA Bambini giocano sui gradini della Basilica di San Nicola nel centro storico della città

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Le baby gang. Ogni tanto tornano prepotenti sui nostri giornali locali. Gli ultimi episodi sono successi nel Foggiano a danno di altri ragazzini, ma forse il più violento degli ultimi tempi è stato quello che ad aprile scorso ha portato, a Manduria nel Tarantino, alla morte del 53enne disabile picchiato e insultato per anni da un gruppo di minorenni. È vero, sono episodi che lasciano strascichi tristissimi. Ma quando si parla di adolescenti che commettono reati è necessario non fare una cosa: creare allarme sociale. A spiegare perché è il dottor Riccardo Greco, Presidente del Tribunale dei Minori di Bari. L’espressione “baby gang”, infatti, è una vera e propria esagerazione giornalistica. La parola gang è usata, specialmente nel Nord America, per indicare gruppi criminali, divisi anche per razza, con una struttura gerarchica ben definita e con leggi interne da rispettare. E nel nostro immaginario, anche alimentato da film e serie tv d’oltreoceano, le gang rappresentano forse la fascia più becera e violenta della criminalità. Non è sicuramente il caso della Puglia. Qui, gli adolescenti che si riuniscono in gruppi e si dedicano al crimine non sono in numero tale da evidenziare un fenomeno. Di questa idea è anche il sociologo e scrittore Leonardo Palmisano: «Si tratta di episodi isolati, non devono creare preoccupazioni». In più, i ragazzini (a parte qualche sporadico caso

come quello di Manduria) tendono ad aggredire i loro pari, cosa da ricondurre a un indice di rivalsa sociale. Aggredire un proprio coetaneo significa voler imporre il proprio potere o anche voler sminuire la valenza sociale dell’altro. Segnali, questi invece sono dati preoccupanti, di un certo disagio che esiste nel nostro territorio. Un ragazzino che decide di commettere reati invece che andare a scuola è il campanello d’allarme di disagio sociale, incapacità educativa dei genitori, marginalità economica, esclusione sociale o ancora difficoltà scolastica. Inoltre, i reati maggiormente commessi dagli adolescenti sono quelli predatori: furto, rapina, vendita di sostanze stupefacenti. Reati che, in ambito penale, vengono definiti “minori”. C’è anche una bassissima evidenza di minorenni inseriti nei circuiti mafiosi e questo conferma il fatto che i clan baresi non attingano a questi ragazzi per reclutare nuove leve. La mafia barese, dice il dottor Greco, è di tipo familiare, tende a portare avanti il proprio cognome. Quindi, i pochi minori che sono inseriti in quell’ambiente (ai quali è contestato spesso il reato di detenzione di armi da guerra), fanno parte delle storiche famiglie mafiose locali. Quello che bisogna fare è spezzare il circolo vizioso secondo il quale il figlio del mafioso non può che essere mafioso. Il vantaggio, almeno a Bari, è che le famiglie mafiose sono note come noti sono i loro


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componenti, anche quelli ancora minorenni. Dunque è più facile intervenire preventivamente con i servizi sociali, ma non sempre dall’altra parte c’è volontà di collaborare. In questo senso, la provincia di Bari è molto attiva. Conta più di cento assistenti sociali territoriali, a differenza della provincia di Foggia dove, nonostante la criticità del territorio, ce ne sono solo due. Questi operatori agiscono in maniera preventiva intervenendo dove c’è una nota situazione di disagio senza necessità di una denuncia. Basta anche una segnalazione da parte delle scuole, che rispetto agli anni scorsi sono molto più attive e attente ai singoli individui. Diverso è invece l’USSM (Ufficio Servizio Sociale per i Minorenni) che fa capo al Ministero della Giustizia e che può intervenire soltanto a seguito di segnalazione penale. Bari, rispetto a 30 anni fa, è decisamente migliorata. Si è rischiato di tornare a rivedere adolescenti che fanno le sentinelle della droga nei quartieri più disagiati o addirittura di avere minori che commettono omicidi, ma questo rischio è stato scongiurato. E, probabilmente, un ruolo importante l’ha avuto il protocollo firmato a marzo di quest’anno dal Comune e dagli Uffici giudiziari minorili (Tribunale e Procura per i Minorenni) con lo scopo di far conoscere l’offerta dei servizi per minori e famiglie erogata dal Comune di Bari. Infatti, secondo il dottor Greco, dare speranza e luoghi aggre-

gativi è un modo per tentare di prevenire il crimine minorile. La società ha decisamente innalzato il livello dei bisogni (siano essi reali o no) e non sempre le famiglie sono in grado di soddisfarli, ecco perché la tentazione di avere tutto e subito diventa irresistibile per i ragazzi. Il minore che commette dei reati è figlio del contesto in cui vive, bisogna smettere di trattarlo come qualcosa che ne è avulso. Deve essere un problema della società ed è la società stessa che deve intervenire per cambiare le proprie logiche. Maria Cristina Mastrangelo

LA FOTO Bambini nei vicoli di Bari Vecchia. Uno di loro imbraccia un mitra a giocattolo

Approfondimento

Il lavoro degli USMM in Puglia

In tutta la regione sono circa 1643 i minori seguiti dall’Ufficio Servizio Sociale per i Minorenni. Sono giovani ritenuti a rischio verso i quali sono attivate strategie mirate al recupero. Bari, in Italia, è al quarto posto con 935 ragazzi presi in carico posizionandosi dopo Bologna, Roma e Catania. «L’obiettivo è sottrarre questi ragazzi alle logiche malavitose e indirizzarli verso un percorso di legalità - ha detto il Presidente del Tribunale per i Minorenni, Riccardo Greco, che ha proseguito indubbiamente sono tanti i giovani seguiti dagli uffici di servizio sociale su input dell’autorità giudiziaria, ma i dati possono essere interpretati anche in maniera non negativa, nel senso che rivelano come la Puglia sia in effetti particolarmente attiva nella delicata battaglia per la prevenzione e il recupero». 16-30 novembre 2019

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Il rap barese racconta la strada. Il caso “Max il Nano”

MLVT La volante di polizia che appare nel videoclip della canzone era reale: era arrivata sul posto per controllare

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L’intervista al primo grande esponente del rap barese. I boss vanno a tatuarsi e a confessarsi da lui ed è su tutte le prime pagine locali

“Bari è Bari, il veleno in gola, il sangue dei clan, la condanna dei bambini che sono già grandi e non crescono con Peter Pan ma non un’arma in mano”. (“Bari è Bari, u v’len ngann, u sang d l’clan, la condann d’ l pccninn che già so grand, e non cresc’n c’ Peter Pan ma con n’arm ‘n man”). Fa così l’ultima canzone di Max il nano, alias Massimiliano Milano, classe 1988, tatuatore e rapper, ma non uno qualunque. Nelle ultime settimane infatti è balzato agli “onori” della cronaca locale e nazionale, proprio per l’uscita del suo nuovo singolo e videoclip “MLVT” (sigla di “malavit”), tratto dal suo ultimo album “Crudo di mare”. La canzone vede la partecipazione di Onivas (Savino Parisi, nipote del boss Savinuccio) e nel video si vedono auto che sfrecciano, ragazzini sulle bici, armi e anche una volante dei carabinieri (che è arrivata realmente sul posto durante la registrazione). L’accusa, secondo molti, è quella di inneggiare e favorire la malavita, nonché la droga, la violenza e tutto ciò che gira attorno allo stile di vita mafioso. E non è la prima volta. Basta digitare il suo nome su Google per capire che sin dai suoi esordi, molti dei singoli del Nano hanno riempito pagine di giornali, televisioni e social. Negli anni si è guardato con curiosità alla sua popolarità crescente e ai significati celati dietro i testi delle sue canzoni. E in un momento cruciale, in cui si scava sempre di più nei rapporti tra mafia e showbiz, soprattutto con la musica, il suo caso non poteva passare inosservato. Qual è stato il tuo percorso artistico? “Mi ha plagiato il gansta rap, i miei idoli sono The Game, rapper della West Coast,

ma anche Eazy-E, che ho tatuato sul petto e poi naturalmente Tupac, B.I.G e altri meno conosciuti. Mi avvicino a questo mondo all’età di 12 anni, in particolare al mondo della break-dance e dell’hip hop. Ho scritto i miei primi testi a 15 anni e la prima registrazione l’ho fatta a 18 anni. Le tue prime canzoni destarono già grande curiosità. “Si, una delle prime canzoni fu “Iapr l’ecch”, che ebbe un grande riscontro. Fu condivisa persino da Michele Emiliano, allora sindaco di Bari, che mi elogiò. (Le parole di Emiliano su Facebbok furono: «Ho visto questo video su YouTube. Forte. Durissimo. Vero. Questi ragazzi hanno talento e coraggio. Hanno denunciato senza esitazioni la lotta alla mafia»). Subito dopo uscì un’altra hit sociale, il singolo con Tommy Parisi (figlio del boss Savinuccio) “La dì d’ la rapin”. Lo stesso Emiliano che mi elogiava per il primo singolo, mi criticò duramente e iniziò a diffondere l’idea che parlavo di malavita e violenza”. Come nasce il rap barese? Bari non aveva ancora uno stile musicale ben delineato. “Uno dei primi gruppi che ascoltavo e grazie al quale mi sono avvicinato all’hip pop erano i Pooglia Tribe, di cui faceva parte Reverendo. Sto con lui nel gruppo Bari Jungle Brothers, da cui mi sono un po' allontanato. Ho collaborato anche con Marracash, Sfera Ebbasta, Ghali quando erano agli esordi, è come se avessi fatto da talent scout però poi nessuno ha dato una mano a me. Su di loro, essendo di Milano, dove ci sono grandi produttori musicali, si è investito e hanno avuto la spinta per avere risonanza nazionale. Su di me invece non c’è nessuno. Ho sempre fatto tutto da indipendente e fortunatamente riesco a vivere facendo musica. Musica e tatuaggi, esprimo così la mia arte. Se ricevessi una proposta da Milano, sono sincero, accetterei, però è anche giusto che a Bari qualcuno faccia da bandiera, che qualcuno faccia capire che Bari esiste sulla mappa anche dal punto di vista musicale. Questa città cercava qualcuno che la rappresentasse e io sono stato il primo a esportare il dialetto barese fuori dalla città e a fare dei numeri”. Come ti muovi quindi per quanto riguarda


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produzione, case discografiche e distribuzione della tua musica? “Io ho uno studio di registrazione professionale, che ho aperto con il mio gruppo tramite un bando a cui abbiamo partecipato. È al quartiere Libertà. Siamo una squadra: mi producono ragazzi di 21-22 anni. Per quanto riguarda le case discografiche, facciamo senza. Il penultimo disco lo stampammo con distribuzione Universal Music. Ma oggi la distribuzione fisica del disco non conviene nemmeno più farla perché esistono i digital store. Basta caricare tutto sulla piattaforma digitale ed è tutto a guadagno tuo: Itunes, youtube, spotify. Su spotify ci guadagni anche dagli stream. Oggi i dischi d’oro si vincono così, non con la vendita fisica dei cd. Ogni giorno ti svegli e c’è qualcuno che magari nessuno conosce, ma che grazie a qualche migliaia di stream, ha vinto un disco d’oro”. Passiamo ai temi delle tue canzoni, che sono il principale motivo per cui stai ricevendo tante critiche.Di cosa parli? “Mi piace spaziare, però preferisco raccontare la strada. Nasco come rapper e come tutti i rapper a me piace parlare della realtà che vivo e vedo tutti i giorni, dei problemi sociali. Oppure sono pezzi ironici, allegri. Ad esempio in “U 3 rot mì” prendo in giro quelli

che fanno i finti ricchi, che fanno foto con macchine di lusso affittate e io invece preferisco il tradizionale tre ruote. Tra l’altro questi due temi sono quelli che, ho notato, hanno più successo. Se scrivo una canzone d’amore, con temi più dolci e delicati, non ha lo stesso clamore. Ci sono canzoni però, come “Mo’ ti a dà iun”, in cui sembra che tu diffonda il concetto di violenza. “Se parlo di violenza o droga non è per promuoverla. Se offendo qualcuno o sembro violento in certe canzoni, è perché fa parte dello stile hip hop. Nel nostro gergo si chiama dissing: quando si litiga con qualcuno, per non usare davvero la violenza, si preferisce usare il dissing, parole in rima”. (continua a pag. 14)

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CRUDO DI MARE La copertina del nuovo disco del Nano, uscito lo scorso 30 settembre, è l’emblema della baresità

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Non solo musica neomelodica. Dopo Tony Colombo e Daniele De Martino, le indagini sul legame tra musica e malavita coinvolgono anche il rap locale (segue da pag. 13)

U TRE ROT Una delle canzoni di Max il Nano elogia mezzi di trasporto umili come il tre ruote invece di Maserati e Ferrari

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Quindi la tua è una forma di denuncia? “Si, descrivo ciò che vedo. Io sto nel mezzo, sono narratore, faccio musica, ho il diritto e l’obbligo di raccontare quello che vivo. Non parlo male della malavita, perché ho amici che stanno nella malavita e hanno deciso di prendere quella strada e non posso né voglio giudicarli. Così come ho amici nelle forze dell’ordine e hanno deciso di fare quel lavoro. Io sto al di sopra, non giudico nessuno”. Quindi non prendi parti di nessuno? Non ti dà fastidio che ti associno alla malavita? “No, io ho la coscienza pulita, a volte mi sento frustrato se vengo giudicato il rapper della mafia. La parola “mafia” affiancata a me mi rattrista. Soprattutto per mia madre che si avvelena per questo. Spesso mi dice: “non è che fai la fine di Saviano?” Invece no. Cerco di spiegarle che non è la stessa situazione. Spesso ho anche parlato con boss che mi hanno detto: “racconta le cose in maniera più filmesca”, invece io descrivo le cose come sono, nude e crude. Molti boss vengono a tatuarsi da me e si confessano, mi raccontano le loro storie. Ho un rapporto di conoscenza con loro, mi trattano bene”. Conosci sicuramente ciò che sta accadendo in termini di connubio mafia-musica, e di tutta la cultura che ruota da anni attorno questo mondo, a partire da Gomorra fino ai talk show. Cosa ne pensi? “Io posso dire che sono un bravo ragazzo, però non sono nemmeno uno dei ceti alti. Sto nella legalità, non faccio parte di nessun clan, ma mi ritrovo ad avere tanti amici, sia da un lato che dall’altro. Non ho bisogno di entrare in quel giro, ma mi piace frequentarlo. Non faccio attività illegali, però non disprezzo il mondo della strada, è una cosa che mi affascina. Gomorra ha fatto impazzire diverse persone. A me viene fatto questo caos perché si sa che ciò che racconto è tutto vero. Suscitano interesse perché non è fiction”. Molto spesso nelle tue canzoni parli di baby gang. Qual è la situazione in città ora secondo te? “Ne conosco tante. Quando mi ritrovo a par-

lare con loro, utilizzo il loro linguaggio, ci devi saper fare per dialogare con loro, io so come prenderli. Cerco sempre di dir loro “non serve fare quello che fate”. Anche lo zio di un mio amico è stato vittima di baby gang. E’ stato picchiato e aggredito e stava per perdere l’occhio. Alla base c’è una teoria: l’unione fa la forza. Parte uno e partono tutti: il branco. Ma per loro è la normalità, la loro mentalità è usare la violenza e dare fastidio alle persone, così come per noi è normalità l’opposto. Secondo me la questione delle baby gang è nata proprio da Gomorra, perché da allora stanno crescendo con una mentalità da terroristi. Ti dico solo che ora i grandi hanno paura dei bambini. I bambini non hanno nemmeno più l’onore da difendere, come per le grandi famiglie. I ragazzini agiscono semplicemente perché “devi dimostrare all’amico chi è più forte”. E allora come si può non far deviare questi ragazzini? “La cura è la musica. Noi organizziamo dei laboratori con i ragazzi disagiati proprio per questo. Nel nostro studio, a Spazio 13, raggruppiamo extracomunitari che scappano dalle guerre o ragazzi che non vogliono né studiare, né lavorare. Loro ovviamente non escono un euro, è tutto a carico nostro. Se non con la musica, come vuoi tirarli fuori da sto mondo? Qualcuno lo capisce che non è quella la strada giusta, magari lo capisce dopo il primo reato, ne paga le conseguenze e ci riflette su. Ma è giusto qualcuno. La maggior parte invece ama quella vita e vuole continuare a farla perché come spesso dicono “è nato per fare la malavita!” Insomma, il nano è nel “mondo di mezzo”, il suo alibi è essere artista e la sua vocazione è raccontare la strada, la vita dei bassifondi, delle periferie. Se si vuole descrivere Bari, effettivamente si deve parlare anche di quello, non solo dei teatri che aprono, del centro urbano sempre più in sviluppo. Max alla fine ringrazia i giornalisti perché, nel bene e nel male, parlano di lui e gli danno visibilità. Esattamente come fa lui nelle sue canzoni, parla della faccia oscura di Bari e nel bene e nel male, gli dà visibilità.

Michela Lopez


Il presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Gugliotti, ha chiesto al Governo lo stato di calamità naturale per i danni causati dal maltempo dei giorni scorsi. "Chiediamo ufficialmente – ha dichiarato Gugliotti - l'attivazione dello stato di calamità da parte del Governo con la conseguente messa a disposizione delle somme necessarie per intervenire, con la stessa sensibilità ed attenzione che è stata riservata per Venezia, anch'essa duramente colpita dal maltempo". Per questo motivo, tutti i sindaci della provincia di Taranto hanno ricevuto l’invito a stimare i danni. Gugliotti ha poi ricordato che "giovedì scorso si è tenuto un incontro tra i presidenti delle province di Taranto, Brindisi, Lecce con il presidente della Regione Puglia, per la valutazione dei danni subiti. L’intento è lavorare insieme.”

26/11/2019

La protesta dei custodi fuori davanti all’Ateneo

Ex Ilva, Boccia si a scudo penale

Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha incalzato il governo affinché rimetta lo scudo penale per l’ex Ilva: “In questo momento - ha detto Boccia- ci vuole responsabilità in questo Paese, perché senza quello non c'è commissario né un privato che venga a firmare alcunché". Per Boccia lo scudo è in questo momento una condizione necessaria per salvare l’acciaieria e creare le condizioni necessarie affinché gli investitori non vadano via. Boccia si è detto scettico anche sul possibile piano B che riguarda il possibile intervento pubblico, nell’attesa di trovare un nuovo acquirente per l’industria: “quello che possono fare bene i privati è meglio non farlo fare al pubblico”.In questa settimana il premier Giuseppe Conte dovrebbe incontrare i vertici dell’azienda francoindiana a Palazzo Chigi, ma la data non è stata svelata.

Alcuni dei custodi delle sedi universitarie di Bari, appartenenti a GSA (gruppo servizi associati), stanno manifestando fuori dall’Ateneo barese per tutelare i loro diritti contrattuali, in attesa di scoprire quale sarà la ditta con la quale verrà stipulato un nuovo contratto fiduciario. A protestare, insieme ai dipendenti, ci sono anche i sindacati Cgil, Cisl e Uil.

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Taranto chiede stato di calamità

18/11/2019

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PAGINA A CURA DI: Michele Mitarotondo Maricla Pastore Claudio Carbone Mariamichela Sarcinelli Simona Latorrata

Al centro della contestazione: la clausola sociale secondo cui si garantisce la tenuta occupazionale del personale esistente, ma che allo stesso tempo prevede la possibilità che alcune imprese, che si aggiudicheranno la procedura di gara in corso, possono scegliere se assorbire tutto il personale, secondo la libertà d’impresa.

26/11/2019

Accordo raggiunto per ex Ilva: “Pagheremo arretrati” “Garantiamo il pagamento del 100% dei lavori scaduti al 31 ottobre e ci impegniamo a pagare il restante nei termini consueti, ovvero entro il 15 dicembre". È quanto ha dichiarato la multinazionale AcelorMittal, ieri sera a margine dell’ultimo incontro con le rappresentanze dell’indotto. Una notizia confermata anche dal presidente della Regione Puglia Michele Emiliano che ha rassicurato che tutti gli operai riceveranno gli arretrati. Per Confindustria Taranto sarebbe di 60 milioni di euro il costo degli stipendi e fatture non pagate dall’azienda. Domani mattina è prevista l’udienza a Milano sul ricorso che i commissari dell’Ex Ilva hanno chiesto contro la multinazionale franco-indiana, intenzionata a rescindere il contratto; un’udienza, però, che potrebbe esser rimandata, vista l’apertura del dialogo tra le parti.

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