Mediaterraneo News 1-15 maggio 2020

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Premio Giornalisti del Mediterraneo 2016

Maggio avanti adagio Anno 12 - N. 86 1-15 maggio 2020 Distribuzione gratuita www.mediterraneonews.com

MEDI@TERRANEO news - Periodico del Master di Giornalismo di Bari Ordine Giornalisti di Puglia - Università degli Studi ‘Aldo Moro’ di Bari Editore: Apfg - Bari Direttore Responsabile: Lino Patruno Registrazione Tribunale di Bari numero 20/07 del 12/04/2007

Redazione: Palazzo Chiaia-Napolitano via Crisanzio, 42 - Bari email: master@apfg.it

All’interno servizi di Bussu, Carbone, Carlucci, Latorrata, Lopez, Mastrangelo, Mitarotondo, Pastore, Piscopo, Sarcinelli 1

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Dolce o amara è il “doppio gusto” della quarantena

Rimanere chiusi per tanti giorni ha creato una sorta di comfort zone soprattutto tra i giovanissimi. Ora molti temono il ritorno alla “vita normale”

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LO PSICOLOGO Dai più guardato con qualche sospetto, può essere la persona giusta per superare i traumi della quarantena

La società ci impone di essere i migliori, ci impone delle aspettative tutte impostate sulla prestazione. È per questi motivi che molte persone hanno trovato nella quarantena e tra le mura di casa propria una sorta di comfort zone dalla quale ora risulta difficoltoso uscire. È un fenomeno che, secondo la dottoressa Eleonora Soro, si sta verificando soprattutto nella fascia di età under 35. Poter rallentare, respirare, non sentire addosso la pressione sono state sensazioni

La novità

Una nuova routine fatta...in casa

Questo periodo di quarantena potrebbe già essere diventato per molti di noi una nuova routine di vita, per cui le persone fuori dalle nostre abitazioni vengono viste come qualcosa di pericolo, quasi da evitare. Infatti, essendo stati obbligati a vivere questa cosa h24, anche per sopravvivenza, il nostro cervello potrebbe già aver creato un nuovo standard. Stare dentro casa non è più una situazione di emergenza, ma una nuova normalità. «L’abitudine si crea quanto più la alleniamo» secondo la dottoressa Soro ed essendo noi esseri umani degli animali abitudinari, il pensiero di dover creare ora una nuova abitudine ci provoca un senso di soffocamento. Semplicemente perché non siamo abituati a ricevere richieste di cambiare troppe volte, in così poco tempo, comportamenti che ormai abbiamo acquisito come “normali”. 1-15 maggio 2020

che più di qualcuno ha potuto piacevolmente provare, ma ora che ci stiamo avviando lentamente verso una nuova, ulteriore fase di questa situazione inedita per tutti, questo potrebbe rivelarsi un boomerang. Perché nella fase di reinserimento nella società le persone potrebbero sentirsi spaventate e farsi la fatidica domanda: “E ora? Si ricomincia tutto da capo?”. «Bisognerebbe fare un po’ un lavoro di tolleranza – afferma la dottoressa Soro - e capire che sicuramente è bene avere degli obiettivi, ma perché si ha così tanto bisogno di stare appesi a pressioni e obiettivi, piuttosto che ai propri bisogni?». Ma come è stato invece il lockdown per chi ha dovuto fare i conti con la solitudine? Ripercorrendo la nostra vita, fin da quando nasciamo sono davvero rari i momenti che trascorriamo isolati dalle persone. Anche quando andiamo a fare la spesa da soli, per esempio, non lo siamo mai davvero perché anche distrattamente ascoltiamo sempre le voci del cassiere, o del salumiere, o di chi è in fila in cassa davanti a noi. In questa quarantena molta gente si è ritrovata non solo lontana dai propri cari, ma anche dalle persone che per un motivo o per un altro fanno parte della loro vita (colleghi di lavoro, compagni di sport…). A rendere ancora più traumatica la situazione non è stata la solitudine in senso stretto, ma quello che la solitudine ci porta a guardare


La pandemia

Se lo sono chiesto tantissimi genitori, ma anche molti insegnanti. Come far comprendere a un bambino quello che si sta affrontando in questi mesi? Come spiegargli che non potrà più andare a scuola per i prossimi mesi o non potrà giocare in cortile con i propri amichetti? Perfino tra gli adulti si fa fatica a parlarne chiaramente perché, inutile dirlo, la situazione è ignota per più o meno tutti. La modalità migliore per comunicare ai bambini una situazione difficile e comunque inedita come è quella della pandemia da coronavirus è porre la questione sotto forma di una storia. Umanizzare il virus, per esempio, e soprattutto raccontare tutto in maniera molto naturale possono essere delle soluzioni. Far capire ai bambini che è una cosa che non durerà per sempre è importante. Inoltre, rispondere serenamente a tutte le loro domande (anche le più scomode) li aiuterà sicuramente. «Io lavoro molto con i bambini e i genitori sono rimasti molto stupiti perché si aspettavano che i loro figli facessero molti più capricci, invece dopo la prima settimana hanno smesso di chiedere di uscire. I bambini sono piccoli, ma non stupidi. Arrivano a capire che la situazione è particolare». È ancora la dottoressa Eleonora Soro a spiegare come i bambini in realtà abbiano vissuto il dover stare chiusi in casa per tanto tempo in maniera molto più serena rispetto agli adulti. I bambini infatti sono particolarmente flessibili, più in grado di adattarsi ai cambiamenti perché non ancora irrigiditi da alcune costruzioni mentali tipiche invece degli adulti. Inoltre, soprattutto nella fascia di età tra i 5 e gli 11 anni, i ragazzi sono molto legati al contesto che li circonda: se un genitore adotta un atteggiamento negativo nei confronti dell’evento, il bambino assorbirà le sue emozioni e si setterà su quella modalità. Dunque, affrontare la situazione con positività lo aiuta a essere più sereno e tranquillo adattandosi al contesto che gli si crea intorno.

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Come spiegarla ai bambini

obbligatoriamente. «Molto spesso fuggiamo da noi stessi perché stare soli significa ragionare su noi stessi e sulle nostre sofferenze» dice ancora la psicologa Soro. E con “stare soli” ci si riferisce anche, e soprattutto, a chi è stato costretto a rimanere in casa con gente con cui non è a proprio agio (coinquilini, partner con cui si è in crisi). La sofferenza dietro a questi quasi 70 giorni di “clausura”, quindi, è grande ed è molto più normale di quanto si pensi. Ma se già la quarantena è stata difficile da affrontare, altrettanto traumatico sarà ritornare a uscire di casa e avere contatti con le persone (nei limiti consentiti dalle norme anti contagio). Essere spaventati ora è normale, perché ormai si era trovato un equilibrio ed è arrivato il momento di rimettere tutto in gioco. I sentimenti della paura o, addirittura per alcuni, del panico non devono essere giudicati, ma accolti con gentilezza. È consigliabile quindi fare un passo alla volta, cominciando da una piccola passeggiata per poi arrivare alle uscite più “stressanti”. Se il peso della ripartenza si fa troppo grande, rivolgersi a uno psicologo può essere la soluzione migliore. Tanta gente in questo periodo lo ha fatto perché si è ritrovata di fronte a situazioni particolari che non è riuscita a gestire, rivalutando così la figura dello psicologo. Maria Cristina Mastrangelo

I SOCIAL Le app di svago e messaggistica sono state l’unico contatto con l’esterno durante il lockdown

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Tra strade vuote e silenzio: la vita ancora assonnata Contro ogni previsione, dal 4 maggio le vie sono rimaste semi deserte: poca ancora la gente pronta ad uscire di casa e violare il silenzio

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SILENZIO Complice ancora le serrande abbassate, anche le piazze centrali dei paesi restano silenziose anche in pieno giorno

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“Come ripartiamo?” È questa la domanda principe che senti rincorre tra le strade ancora quasi deserte di questa fase. Perché diciamocelo chiaro: tutti aspettavamo l’inizio della fase 2 come a una nuova ripartenza, ma dal 4 maggio ben poche sono le cose tornate alla normalità. O almeno quello che abbiamo visto diventare reale delle nostre speranze. È ancora troppo presente lo spettro del Covid-19 che aleggia nelle nostre vite: certo, adesso possiamo recarci in visita ai nostri affetti stabili o rincontrare i fantomatici “congiunti”, ma effettivamente siamo ben pochi quelli che si arrischiano a lasciare la propria casa. Le signore continuano a parlare dai bal-

coni mentre la maggior parte dei locali che frequento e che conosco restano con le serrande abbassate. Nessun avviso o cartello su una possibile data di riapertura. Solo quello lasciato appeso l’8 marzo: “Torneremo in tempo migliori”. Secondo quanto riportato da un sondaggio apparso su Vanity Fair, tante sono ancora le persone spaventate dal mettere “il naso fuori casa”: il 41% della popolazione è spaventato dall’idea di prendere i mezzi pubblici; il 39% ha paura di avere contatti ravvicinati (a meno di un metro) con altre persone, mentre solo l’8% è totalmente privo di timori riguardo le prime uscite post quarantena. E poi ci sono coloro i quali non escono per paura di incontrare i vicini. O che escono proprio per incontrarli e magari saldare il conto. Perché in tempo di convivenza forzata con i nostri dirimpettai, non è detto che tutto sia andato per il meglio. Lo dimostrano gli episodi avvenuti a Olbia e Moltesilvano: la moglie ha acconsentito alla richiesta del marito di nascondersi nel portabagagli per recarsi nella loro villa al mare e trascorrere in maniera diversa Pasquetta. Peccato che a vederli dal balcone ci fosse tutto il vicinato che lesto ha alzato la cornetta e denunciato lo spostamento. A Montesilvano, invece, la disputa è finita con una macchina presa letteralmente a martellate da un runner denunciato più volte proprio da chi condivideva lo stesso pianerottolo.


Il “dopo”

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Tornare a vivere nelle nostre città

Ad essere certa per ora, è solo una cosa: la nostra convivenza con il virus per tanti altri mesi ancora. E quindi, in un paesaggio dove la distanza di un metro sembra essere l’unico discrimine per poter continuare a vivere, anche gli assetti urbani (e condominiali) si stanno adattando. È Hashim Sarjis, architetto e urbanista, ad aver avuto l’onere o onore di essere designato direttore della prossima Biennale di Architettura a Venezia, con l’ingrato compito di fare il punto della situazione urbanistica alla luce del Covid. Tra le proposte quelle dei vicoli pedonali a senso unico, ascensori a uso singolo e automobili che non vanno oltre i 30 km orari. Tutte proposte che rientrano in quella definita dagli psicologi la distanza del porcospino: abbastanza vicini da riscaldarsi ma ugualmente lontani per non ferirsi con gli aculei dei vicini.

Fortunatamente, alcuni dei nostri vicini hanno deciso di trascorrere la quarantena nelle villa di campagna, mettendo di fatto così al sicuro le nostre e le loro macchine. Ma nel giro ormai quasi quotidiano, almeno per far riabituare le gambe al significato di camminare, sono determinate tipologie le persone che si incontrano. Sprezzante del pericolo e rigorosamente con la mascherina sotto il mento o sulla fronte, stile occhiali da sole, l’anziano è la tipologia di persona che incontro più spesso. Una categoria sulla quale l’isolamento ha gravato maggiormente e per la quale il rientrare in contatto con il mondo esterno è sinonimo di ritorno alla vita. Chiuse ormai le scuole e archiviato lo studio per i possibili debiti formativi di quest’anno, orde di adolescenti affollano soprattutto le piste ciclabili e le strade di campagna. A preoccuparli maggiormente la prospettiva dell’estate: sarà possibile festeggiare la fine della scuola? O almeno festeggiare in generale, anche con guanti, mascherine e due metri di distanza? E l’orientamento universitario? In attesa di poter capire quando ma soprattutto come si potrà tornare a mangiare seduti comodamente al tavolo, ci si porta avanti mettendo in ordine quel locale che da due mesi non ha visto la luce del sole. “Non so se riaprirò. Di certo non prima di giugno” è la frase che più circola tra gli addetti ai lavori. Non è voglia di non ripartire, ma necessità di

farlo senza dover investire – e forse rischiare di perdere – ulteriori entrate che si andrebbero ad accumulare alle non entrate di marzo, aprile e maggio. E poi infine c’è la gente come noi. Il lavoro che ci permetteva di soddisfare le necessità e qualche piccolo desiderio è congelato; gli esami, i colloqui di lavoro e gli spostamenti che progettavamo di fare a inizio primavera sono stati rimandati a una data nel futuro. Una vita messa in stand-by dove a consolarci c’è solo la possibilità di poter rivedere gli amici. Almeno una spalla con la quale confrontarci e magari alleggerire il peso di questa attesa. Simona Latorrata

LA CAMPAGNA Le passeggiate nella natura sono un ottimo compromesso per sgranchire le gambe e stare in compagnia

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Fuori il colpevole se la cig in deroga tarda ad arrivare Il Governo ha stanziato 25,6 miliardi di aiuti economici a sostegno delle famiglie in difficoltà. Ma dove sono?

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RILANCIO Il nuovo decreto legge entrato in Gazzetta Ufficiale che prevede aiuti per molti settori per 55 miliardi di euro

“Voler puntare il dito verso qualcuno sarebbe troppo facile e scontato. Non è così. È una situazione estremamente complessa. Una mole di lavoro immane.” Così il segretario regionale Uil Puglia, Francesco Busto, a proposito dei ritardi della cassa integrazione prevista per sostenere i lavoratori in difficoltà, in seguito all’emergenza Covid-19. Già con il decreto Cura Italia, entrato in Gazzetta Ufficiale il 17 marzo 2020, il Governo aveva messo in campo oltre 11 miliardi di euro di ammortizzatori sociali, estendendo la

cassa integrazione in deroga a tutto il Paese. Addirittura con l’ultimo decreto prima chiamato Aprile, poi Maggio e ribattezzato infine “Rilancio” (forse perché prevede misure anche per casinò e sale da gioco), gli aiuti per gli aventi diritto, verranno prorogati per altre nove settimane. Il vero problema è che molti italiani la stanno ancora aspettando. Ma allora, da cosa è dipeso il ritardo? “Il sistema è abbastanza farraginoso e complicato, soprattutto per quanto riguarda le procedure di verifica della cassa integrazione

L’intoppo

Un cammino procedurale tutt’altro che semplice

L'ammortizzatore sociale, istituito in occasione della grave e recente crisi economica, a sostegno dei datori di lavoro e lavoratori che generalmente non possono usufruire dei classici strumenti di sostegno, quali Cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria (Cigo e Cigs), Fondi di solidarietà e Fondo di integrazione salariale (FIS), garantisce (o almeno dovrebbe) tutele economiche a chi ha sospeso o ridotto l'attività lavorativa a causa della pandemia del Covid-19. L'iter procedurale per ottenere la cassa integrazione in deroga appare, ad oggi, tutt’altro che semplice: consiste nell’istruire una pratica, che viene verificata dalla Regione e che in seguito provvede a notificare, in base a determinati criteri, alle varie sedi locali dell’Inps, se la domanda è stata accettata o meno. L’azienda a questo punto deve inviare all’Inps l’sr41, l’sr43, che sono due modelli che le imprese mandano con gli IBAN dei lavoratori e le ore effettive di cassa con le eventuali riduzioni fatte. Poi l’Inps calcola l’importo rispetto a quello che i lavoratori avrebbero dovuto percepire e li rinvia all’azienda. Se la richiesta ha esito positivo l’Inps provvede, tramite la sede centrale di Roma, ai vari pagamenti. Rispetto a quello previsto per la cig ordinaria, infatti, l’iter della domanda per la cig in deroga è più lungo perché passa dalle Regioni. L’ipotesi, per accelerare i tempi burocratici, è quella di prevedere il pagamento da parte dell’azienda, che anticipa il trattamento, ricevendo poi il rimborso dall’INPS.

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Le misure

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Il decreto dei bonus

Il testo del decreto Rilancio, con 256 articoli per 464 pagine, racconta di una maxi-svolta di 55 miliardi per la ripartenza economica del nostro Paese. Dopo odissee e ritardi, anche per quest’ultimo decreto si attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Alcune misure previste, non sono che un aggiornamento del decreto Cura Italia, come il bonus 600 euro per le Partite IVA, cassa integrazione e congedo parentale Covid. Altr sono delle vere e proprie novità: abolizione dell’Irap, il reddito di emergenza, il bonus bici e monopattino, bonus vacanze, ecobonus per le ristrutturazioni, bonus babysitter, bonus lavoratori stagionali, bonus colf e badanti, bonus partite Iva, bonus sanificazione luoghi di lavoro, bonus bollette. Tutti, con più di un nodo da sciogliere

in deroga”, nuovo strumento ammortizzatore sociale, introdotto per far fronte all’emergenza economica dovuta alla diffusione del virus del nostro paese. La differenza sostanziale con la cassa integrazione ordinaria è che quella in deroga, prevede una modalità di pagamento di tipo diretto dall’Inps, l’Istituto di previdenza sociale, al conto Iban del lavoratore, senza prima passare dall’azienda. Potrebbe capitare, quindi, che “se il conto corrente non presenta solo il nome del lavoratore, come nei casi di co-intestazione con i coniugi e se uno dei due utilizza i soldi inviati dall’Inps, all’insaputa dell’altro, l’Istituto dovrebbe fare azione di rivalsa nei confronti della persona che li ha utilizzati”. Per questo la Uil, l’Unione italiana del lavoro, come organizzazione sindacale, aveva richiesto che quest’operazione dall’inizio fosse snellita. Sapevamo perfettamente che questa procedura avrebbe prodotto un disastro, quello che effettivamente è accaduto. Bisogna considerare anche che l’Inps non si occupa solamente di cassa integrazione in deroga, di cassa integrazione ordinaria o di fondo integrazione salariale (Fis), ma si occupa di tutte le altre operazioni, quali pensioni, assegni familiari etc. Quindi caricare l’Istituto di tutto ciò è come caricare un camion di una tara di 100 quintali con un carico di 500 quintali". Quindi questa “seconda pandemia” con le varie richieste dei bonus e delle cig, ha sca-

tenato una reazione a catena sulle casse dell’Inps? “Più che sulle casse, sull’organizzazione. Perché i soldi ci sono e sono stati messi a disposizione del Governo (25,6 miliardi di euro per rifinanziare cassa integrazione e bonus autonomi ndr). Il problema è che non ha retto la struttura organizzativa dell’Inps, che era in qualche maniera deficitaria già in precedenza: perché per lavorare una pratica, in tempi normali, l’Inps impiega dai 60 ai 90 giorni. Noi, come organizzazione sindacale, crediamo che i soldi sarebbero dovuti arrivare direttamente in azienda, e poi l’azienda avrebbe dovuto provvedere al pagamento per il lavoratore”. Ma questa proposta è stata fatta? “È stata fatta ma non ne è stato tenuto conto. Perché in questi casi c’è bisogno di fare anche un intervento legislativo, ma con tutti i dpcm che sono stati fatti... A questo punto la Regione ha fatto tutto il suo lavoro. Adesso l’Inps le deve solo espletare. Il problema è: quanto tempo ci metterà? Nonostante l’Istituto, a livello regionale, abbia raddoppiato il numero degli addetti per la lavorazione delle pratiche di cassa integrazione, che è passato da 72 a 106, non bastano. I tempi si sono allungati. Se tutto va bene, secondo le nostre previsioni, passerà anche il mese di maggio e ci sarà ancora gente che dovrà prendere la prima cassa integrazione”. Maricla Pastore

IL LEADER Francesco Busto, 60 anni, è segretario generale della Uil in Puglia dal 29 marzo 2018

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Matteo Colamussi: “Il virus ci ha lasciati a terra” L’intervista al presidente Asstra: “L’emergenza è stata devastante. I trasporti in Puglia e Basilicata sono in crisi”

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ASSTRA PUGLIA Matteo Colamussi è il presidente dell’associazione delle aziende di trasporto pubblico

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Il virus ci ha costretti a casa, paralizzando di fatto la nostra economia e infliggendo un colpo durissimo in particolare al settore trasporti. Con la graduale riapertura di tutte le attività, la situazione non ha registrato cambiamenti significativi. Ne abbiamo parlato con il presidente di Asstra (Associazione Trasporti Puglia e Basilicata), Matteo Colamussi. Qual è stato l’impatto del coronavirus sul settore trasporti di Puglia e Basilicata? “L’impatto è stato devastante, perché la problematica del coronavirus ha due aspetti importanti: quello sanitario e quello sociale. Riguardo a quest’ultimo aspetto, il diritto alla mobilità non solo è previsto dalla Costituzione ma è riconosciuto anche come un diritto acquisito da tutti i cittadini pugliesi e lucani, che ne usufruiscono quotidianamente. È chiaro che la pandemia ha avuto e avrà in futuro ripercussioni su come ripensare la mobilità. Negli ultimi anni le nostre aziende avevano aumentato i ricavi da traffico, attraverso politiche di attenzione qualitativa nei confronti degli utenti. Ogni azienda aveva registrato più presenze e quindi un maggiore utilizzo dei mezzi pubblici. È evidente che oggi abbiamo problemi rilevanti nel recuperare quella stessa efficienza”. Quali le perdite in termini economici? “I dati che abbiamo raccolto dall’inizio dell’emergenza sanitaria fino ad oggi sono elo-

quenti: a marzo il settore trasporti pubblici di Puglia e Basilicata ha registrato una perdita complessiva di 10-12 milioni di euro, ad aprile di oltre 10 milioni. In base alle indicazioni date dai dpcm (decreto Presidenza del Consiglio dei Ministri) sul distanziamento sociale e messa in sicurezza dei trasporti, i nostri treni e autobus (extraurbani e suburbani) hanno perso in media una capacità di posti a sedere del 60%. Un autobus urbano può arrivare a perdere anche fino all’80% di capacità di trasporto (una percentuale maggiore rispetto ai primi, perché è vietato trasportare coloro che restano in piedi sul mezzo). Sempre a marzo la diminuzione delle presenze sui nostri mezzi è stata del 95% e con l’inizio della fase due del 90%. In pratica, ci troviamo a dover affrontare un riflesso economico negativo dell’emergenza davvero impressionante”. Quali le conseguenze di questa crisi? “Nel nostro settore non è prevista cassa integrazione: molte aziende hanno fatto ricorso ai fondi di solidarietà. Se diminuisce la capacità avremo bisogno di più personale per poter rispondere parzialmente alla domanda che avevamo nella fase pre-Covid. Crescono i costi e diminuiscono i ricavi: è un dramma. Per questo motivo, ritengo che lo stanziamento di 500 mln per aiutare il settore trasporti in Italia potrà ristorare solo in parte i mancati ricavi”. Michele Mitarotondo


E adesso si pensa a ripartire tra regole ferree e speranze di ripresa

Dal 18 maggio è prevista la ripartenza del Paese. Scuole e università a parte, l’attività sarà di nuovo garantita in tutti i settori, nel rispetto delle regole di sicurezza sul distanziamento sociale e sull’utilizzo di guanti e mascherine. In questa nuova fase, i trasporti pubblici di Puglia e Basilicata saranno riadattati per garantire il servizio di mobilità degli utenti in base a quelle che sono le esigenze sanitarie: “Oggi sia sui treni, sia sugli autobus, sia nelle stazioni, c’è una diversificazione di accesso – ha dichiarato il presidente Asstra Matteo Colamussi -: sugli autobus, ad esempio, si accederà solo dalla porta anteriore, mentre si scenderà solo da quella centrale. Sui treni, con le dovute differenze relative alla diversità del mezzo, è previsto lo stesso tipo di accorgimento che, di fatto, garantisce la separazione dei flussi. All’interno dei nostri mezzi verranno predisposti dei makers e cioè degli adesivi che guidano l’utente fino al posto a sedere e che vietano di sedersi nella postazione accanto, a garanzia del distanziamento sociale. Resta l’obbligo, per accedere ad un mezzo pubblico, di indossare la mascherina. Ogni azienda ha poi implementato le pulizie e le sanificazioni sui mezzi”. Per garantire un sistema di trasporto pubblico che concili il servizio alla mobilità degli utenti con la loro piena ed effettiva sicurezza, ogni treno ed ogni autobus trasporterà meno persone e, di conseguenza, aumenteranno le corse dei mezzi: “In questa fase - ha aggiunto Colamussi - la Regione ci ha fatto sapere che i servizi saranno implementati rispetto a quella che sarà la domanda. Bisogna tener presente che ci troviamo alla fine degli anni scolastici, per cui già dalla metà di giugno fisiologicamente fino al 30 agosto, i servizi venivano comunque ridotti. Il vero problema è pensare oggi a quello che potrebbe essere lo scenario a settembre. Come associazione abbiamo proposto delle soluzioni: la principale riguarda la diversificazione degli orari (per evitare gli affollamenti) per venire incontro in particolare alle esigenze degli utenti del terziario, del mondo della scuola e dell’università. Tuttavia, non possiamo imporre una riorganizzazione dei servizi senza confrontarci con altri soggetti. Per questa ragione abbiamo proposto la nomina di un mobility manager, per offrire un servizio mirato rispetto alle esigenze degli utenti”.

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Il futuro è oggi

LA RIPARTENZA Dal 18 maggio si riapre ad una vita molto vicina a quella che facevamo prima del virus

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Lo sport alle corde “Palestre chiuse danno per lo Stato” Dopo il virus l’attività fisica non sarà più la stessa. Le arti marziali tra le più a rischio. Parla il campione e maestro di kickboxing

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BIAGIO TRALLI 44 anni di Matera campione mondiale di Kickboxing. E’ anche allenatore della Nazionale

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La voce del maestro di Kickboxing materano, Biagio Tralli, sbatte sulle pareti della palestra vuota e rimbalza sui sacchi immobili. Nessuno può più colpirli. Il pluricampione del mondo e tecnico della nazionale italiana, dall’inizio dell’emergenza ha adeguato giorno dopo giorno il modo di lavorare e vivere con i suoi allievi. Finché l’aggravarsi della situazione ha costretto tutte le palestre a chiudere i battenti. La kick boxing, arte marziale che prevede l’utilizzo di calci, pugni e ginocchiate, è stata classificata dal Coni e dal Comitato paralimpico ad “alto rischio” di contagio da Covid19. Per questo motivo, la ripartenza sarà più complessa. Ma, si sa, i veri campioni trovano sempre il modo di non arrendersi. Come è nata l’idea delle lezioni on line? “Per mantenere attivi i gruppi. Faccio i programmi per gli atleti agonisti, ma anche per tutti gli altri… cerco di seguirli al meglio. Il mio unico rimpianto è non aver potuto fare qualcosa per i più piccoli. Anche se molti bambini si allenano comunque on line con i genitori che come loro frequentano la palestra. I bambini sono stati i più penalizzati. Un ragazzino di 14 anni riesce a capire il problema, ma uno di 5 anni ti chiede ‘si, il coronavirus, ma che cos’è?’. Spesso i bambini mi hanno fatto videochiamate perché volevano che riaprissi la palestra”. La palestra è chiusa per tutti? “Ho una quindicina di ragazzi che fanno

agonismo a livello internazionale però non mi è sembrato giusto permettere solo a loro di allenarsi e fare atleti di serie A e di serie B. Anche perché quelli di serie A diventano bravi grazie agli atleti di serie B, senza di loro non sarebbero diventati nessuno. Non ho voluto fare discriminazioni”. Come cambierà il modo di vivere le palestre? “Dipenderà dalla bravura del tecnico e da come saprà preparare al meglio gli atleti non potendo fare l’allenamento “classico”. Già prima che chiudessero le palestre noi avevamo stravolto il nostro modo di lavorare. Anche perché la nostra federazione aveva già impartito le linee guida a riguardo: esercizi solo con i sacchi, niente contatto tra gli atleti. Poi a fine allenamento armati di guanti, mascherina e disinfettante io e il mio collega, il maestro Gino Clemente, pulivamo ogni singolo sacco. Ad oggi non ci sono ancora nuove linee guida. Però sappiamo che non si potranno fare le docce, ogni atleta dovrà avere la sua area predefinita di 7/8 metri quadrati. Ci hanno detto che bisognerà misurare la temperatura di ogni atleta che entra, che chi tossisce e si vede che è raffreddato deve essere allontanato…cose bruttissime. Ma ci dobbiamo attenere ai provvedimenti”. Per quanto tempo sono sostenibili queste misure? “Lo sport è stravolto, non è più quello origi-


La realtà

“Vola come una farfalla, colpisci come un’ape”. Lo diceva Muhammad Alì per spiegare che il colpo più forte è quello che non ti aspetti e non vedi arrivare. E il mondo dello sport difficilmente avrebbe potuto aspettarsi il colpo allo stomaco, di quelli che lasciano senza fiato, portato dall’avversario invisibile: il virus. Il Coni (comitato olimpico nazionale) e il Comitato paralimpico hanno stilato, con la collaborazione del politecnico di Torino, una classifica degli sport attraverso cui il Covid-19 potrebbe propagarsi più facilmente. La scala di valori del dossier “lo sport riparte in sicurezza” va da zero, rischio nullo, a quattro, rischio elevato. Tra gli sport più sicuri ci sono ad esempio il tennis, la vela e il nuoto in mare aperto. Tutte quelle attività che non prevedono prossimità con altri atleti. I più pericolosi, va da sé, sono quelli “da contatto”: judo, lotta, rugby, alcune specialità della danza sportiva. Il calcio è considerato di rischio 3. Tuttavia, per non uscir fuor di metafora pugilistica, “non è importante come colpisci, bensì come incassi”. Ma stavolta in molti potrebbero non riprendersi dal Ko. Il documento ha introdotto una serie di prescrizioni che dovranno essere adottate in tutte le palestre al momento della riapertura e prima di ogni competizione sportive. Tamponi per ogni atleta agonista, mascherine per gli istruttori, spazio personale minimo da rispettare durante gli allenamenti, niente docce negli spogliatoi e così via. Molte di queste misure esigono dei cambiamenti strutturali in molte attività. Costi che potrebbero non essere sostenibili. Il Codacons (ente di tutela dei diritti di utenti e consumatori) ha stimato che oltre 100 mila associazioni sportive in Italia sono già in crisi. Circa 12 milioni di tesserati non rinnoveranno iscrizioni e abbonamenti nei prossimi mesi. A rimanere senza guadagni nel prossimo anno potrebbero essere dunque più di un milione di persone. Di conseguenza, con una possibilità di accesso al credito molto bassa, sarà complesso se non impossibile trovare risorse per adeguare i locali. S. C.

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Attività sportive “colpisci e incassa”

nale e molta gente dopo la riapertura non tornerà in palestra. Il mondo sportivo, non solo la kickboxing, è in estrema crisi. Tantissime strutture chiuderanno, non ce la faranno a sostenere i costi. Si possono fare entrare meno persone in palestre, fare più corsi… ma così aumentano i costi di gestione. Di inverno, per esempio, se mantieni la struttura aperta dieci ore anziché cinque i costi del riscaldamento schizzano, per dirne uno. Chi è già in difficoltà economia a mio avviso potrebbe chiudere l’attività. Questo è un rischio non solo per le comunità locali, ma anche per lo Stato. Perché sappiamo benissimo che il 90% delle palestre che lavorano bene, lavora sul sociale: tolgono i ragazzi dalla strada, cercano di recuperare i ragazzini che si fumano le canne e non hanno progetti”. Ha avuto la sensazione che il mondo delle arti marziali sia stato messo in secondo piano? “No, no. Basti pensare che il mondo del calcio, quello che muove milioni di euro e che mette nel fortino dello stato italiano un bel po’ di soldini in tasse, è ancora fermo. Quindi nessuna discriminazione, siamo tutti sulla stessa barca. Sicuramente la situazione è grave e nelle palestre di arti marziali è più facile che questo virus possa propagarsi”.

SANIFICAZIONE Mettere in sicurezza i luoghi di allenamento sarà troppo costoso. 100 mila palestre già a rischio chiusura

Saverio Carlucci 1-15 maggio 2020

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“Quelli della notte” chiedono risposte ottengono silenzio Il settore della musica dal vivo è fermo per il virus. Ne abbiamo parlato con Dario Boriglione, titolare del ritrovo barese “Demodè”

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MUSICA DAL VIVO Potrebbe essere necessario aspettare l’uscita di un vaccino anti-Covid prima di poter tornare ai concerti

Il ritorno

La febbre da Coronavirus ha sostituito quella del sabato sera del famoso film musicale del 1977 con John Travolta. Tutta la movida è, infatti, ferma a causa dell’epidemia di Covid19, così come è stata interrotta l’attività dei cinema e dei teatri. Ma se per la riapertura di sale e politeami filtrano, dal Governo, indiscrezioni su una possibile ripresa a giugno, tutto tace sul fronte dei luoghi di ritrovo notturni. La musica dal vivo, con il ballo, è un settore che in Italia impegna milioni di persone, ha milioni di clienti e genera un fatturato annuo

E ora si ripensa al drive in

Un ritorno al passato per superare l’emergenza del presente. Una delle possibili soluzioni per tornare al cinema è, infatti, quella dei drive-in, in cui gli spettatori vedono il film su un megaschermo stando in auto. Non ci sarebbe modo migliore per rispettare le regole sul distanziamento sociale, magari con l’obbligo dei finestrini chiusi e l’audio che arriva in macchina con il Bluetooth. Popolari nelle zone rurali degli Stati Uniti negli anni 50 e 60 i drive-in, in realtà, non hanno mai preso piede in Europa e anche in America, a causa delle VHS negli anni 80, sono quasi scomparsi. In ogni caso in Puglia, dal Barese fino al Salento, molte sale si stanno attrezzando. Il Multiplex di Fasano (Lecce) ha concordato con il Comune un’area che ospiterebbe 70 auto e a Brindisi il cinema Andromeda userà il suo parcheggio. Ma solo se il Governo darà il via. 1-15 maggio 2020

nell’ordine dei miliardi. Eppure, nei decretilegge che si sono succeduti non è stata mai fatta menzione a questo mondo. “Noi come strutture da ballo, ricettive o culturali, abbiamo chiuso prima del decreto dell’otto marzo, perché avevamo intuito che la cosa stava diventando abbastanza seria e temevamo per la salute della gente. Ma saremo l’ultima categoria a tornare al lavoro. Non abbiamo chiaro quello che sarà”, ci ha raccontato Dario Boriglione, titolare del Demodè Club, locale che da 21 anni fa ballare i baresi. Alcune associazioni di categoria assicurano di poter garantire la sicurezza dei clienti e dei lavoratori e chiedono di poter riaprire a luglio. Lo stesso ha ribadito il presidente di Silb Fipe (Associazione italiana imprese da ballo e spettacoli) Maurizio Pasca. Ma il compito non è facile. Com’ è possibile evitare gli assembramenti durante un concerto o in discoteca? “Io sono realista, vedo difficile rispettare la distanza di sicurezza – ci ha detto Dario – Una delle cose che abbiamo proposto è fare delle cene-spettacolo, quindi un mix tra concerti e cene”. Ma anche così non è facile, ha continuato Dario: “Se riducessimo la nostra capienza all’osso dovremmo licenziare. Dobbiamo tutelare la salute, ma la vedo dura”. D’altronde, prima o poi si dovrà riaprire, anche se le ipotesi più pessimistiche parlano di marzo 2021. “Cerchiamo di essere più


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propositivi, perché il 2021 significherebbe la chiusura dell’80% delle attività. È impensabile riuscire a resistere per un anno, senza aiuti concreti. Anche perché le nostre strutture hanno degli alti costi fissi”, ha dichiarato Boriglione. In più la categoria, al momento, non ha ricevuto sostegno dall’Esecutivo. “Nei tavoli a cui come associazioni stiamo partecipando con il Governo e con la Regione – ha continuato Dario – noi non chiediamo il mancato guadagno, ma di essere tutelati almeno per le spese, come possono essere le utenze e la locazione.” In ogni caso, poi ci saranno da pagare l'iva al 22%, il 16% di imposta di intrattenimento e i costi della Siae. Senza contare gli investimenti pregressi, il cui mancato ritorno si somma alla perdita dei guadagni per un danno da centinaia di migliaia di euro. E questo il caso di Boriglione: “Noi al Demodè dal dicembre 2018, dopo l’incidente al concerto di Sfera Ebbasta ad Ancona – quando 6 persone morirono in una calca che sarebbe stata causata dall’uso improprio di spray urticante al peperoncino – abbiamo fatto dei lavori per migliorare ancora di più la sicurezza. Quindi abbiamo investito dei soldi pensando di recuperarli nei prossimi due o tre anni ma siamo fermi. È una tragedia”. Infine, d’estate potrebbero nascere dei locali abusivi: un ulteriore problema per chi, in regola, spera di ripartire presto. “Questo ci terrorizza. I ragazzi vorranno comunque

divertirsi e si ritroveranno in locali abusivi e ville private – ci ha raccontato Dario –Rischiamo di sprecare quanto fatto, perché senza controlli i contagi potrebbero ripartire e da un anno di chiusura si potrebbe arrivare a due e sarebbe la fine”. Tuttavia, la speranza è l’ultima a morire, conclude Dario: “A livello economico il danno è incalcolabile, ma la passione ci dà forza. Io pur di continuare a fare musica mi indebiterei a vita. Poi dopo 21 anni di Demodè non saprei che fare”. Luigi Bussu

NIENTE FESTE Come tutti gli operatori, anche i dj sono fermi. Nel riquadro, il titolare del Demodè Club Dario Boriglione

Il problema

Lo streaming è bello ma non paga

La diffusione di Covid-19 ha messo in crisi tutti gli operatori del teatro e della musica, dagli artisti più quotati agli umili tecnici della luce e del suono. Una delle possibili soluzioni, proposta fin da subito, è quella dell’opera e dei concerti in streaming. Tuttavia, per la musica ormai i guadagni che alimentano la filiera vengono soprattutto dai tour e non dalle vendite dei dischi. Gli artisti potranno anche esibirsi e rimanere in contatto con i fan ma, al momento, non ci sono modi per guadagnare con lo streaming. Lo stesso vale per i teatri: non basta trasformarli in studi di registrazione. Il ministro per le Attività Culturali Dario Franceschini, tempo fa, ha annunciato una piattaforma a pagamento definita “il Netflix della cultura”. Ancora non se ne sa nulla, e in ogni caso potrà solo limitare le perdite. 1-15 maggio 2020

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Corsa per aprire ma vedremo gli effetti a fine mese

Si stabiliscono nuovi “via libera” ma non siamo ancora in grado di valutare gli effetti sull’epidemia delle prime due settimane di fase 2 14

LA FASE 2 I tempi di incubazione, conferma e comuncazione dei dati, non consentono di valutare l’impatto prima del 18

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Da lunedì 18 maggio prenderà il via una nuova ondata di riaperture, ma nessuno riesce ancora a determinare quali sono stati gli effetti della prima riduzione del “lockdown” sull’andamento dei contagi. Il 4 maggio, come tutti sanno, è partita la fase 2 con i primi “allentamenti” delle misure restrittive in vigore ormai da quasi due mesi. Sulla riapertura il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, in occasione della Festa del lavoro, aveva sottolineato in un intervento al Tg Norba che sarebbe stato necessario prestare attenzione alla curva dei contagi. “Siamo anche pronti a interventi nuovamente restrittivi – aveva aggiunto - se

i dati epidemiologici dovessero creare dei problemi”. Sta di fatto che nei giorni scorsi più voci hanno sottolineato come, in realtà, non sia possibile determinare quale effetto abbiano avuto queste prime misure sulla diffusione dell’epidemia prima che entrino in vigore le prossime riaperture. L’epidemiologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano, ha affermato che per gli effetti della fase 2 dovremo aspettare la prossima settimana, individuando intorno al 21-22 maggio la data in cui potremo valutare con certezza i dati epidemiologici. Secondo Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze (GIMBE) “la vertiginosa rincorsa alle riaperture ha preso il sopravvento rispetto ad una scrupolosa programmazione sanitaria della fase 2 su cui non mancano criticità”. In un comunicato stampa diffuso il 14 maggio, infatti, il Gimbe sottolinea che sulla base delle tempistiche di incubazione, conferma della diagnosi e comunicazione dei nuovi casi dalle Regioni alla Protezione civile, l’impatto dell’allentamento del lockdown avvenuto lo scorso 4 maggio potrà essere valutato solo tra il 18 maggio e la fine del mese. E così, mentre si discute sulle distanze da mantenere in spiaggia o al ristorante e si anticipa, rispetto alla prima previsione, l’apertura di parrucchieri, centri estetici e bar e si riaprono in Puglia anche i mercati per tutti i settori merceologici, ancora non sappiamo se le prime riaperture hanno inciso sul temuto rialzo dei contagi. Da non dimenticare che da lunedì, oltre le riaperture di molte attività com-


La matematica non è un’opinione

A incrementare la polemica sui tamponi in Puglia è stata, probabilmente, la nota del Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze (GIMBE) del 7 maggio. Nel documento veniva riportata la media giornaliera di tamponi effettuati ogni 100mila abitanti per ciascuna regione. La Puglia (tra il 22 aprile il 6 maggio) è risultata l’ultima della lista con appena 37 tamponi. La questione non è fine a se stessa, visto che nel documento del Gimbe si sottolinea che una recente analisi della Fondazione Hume ha dimostrato che questo dato è inversamente correlato alla mortalità. Più è alto il numero di tamponi più è bassa la mortalità. Immediato il confronto tra i dati pugliesi e quelli del Veneto che è al quarto posto con una media di 166 tamponi/100mila abitanti ed è l’unica regione del Nord con una mortalità inferiore al 10%. La Puglia, invece, ha una mortalità superiore al 10% e, secondo un recente dossier dell’Istat e dell’Istituto superiore di Sanità, a marzo ha registrato un incremento di mortalità superiore più di 4 volte di quello del Mezzogiorno (+8,7% contro il +2%). Da qui l’attacco dell’europarlamentare Raffaele Fitto che ha accusato Emiliano e la sua task force “di aver sbagliato strategia anche sui tamponi”. Pier Luigi Lopalco, responsabile del Coordinamento per l’emergenza in Puglia ha risposto spiegando che il numero di tamponi effettuati “sembra” più basso perché ci sono stati meno casi (4.300 contro i 18.700 del Veneto). A dimostrazione di questa tesi Lopalco ha sottolineato come in Puglia sia stato individuato un caso positivo ogni 12,7 tamponi mentre in Veneto uno ogni 13,2. Non è però del tutto chiaro perché non possa essere vero il contrario e cioè che abbiamo meno contagiati perché sono stati effettuati meno test (meno di un quarto rispetto al Veneto). Per spegnere ogni polemica è intervenuto il presidente Michele Emiliano: “In proporzione al numero dei contagiati abbiamo fatto gli stessi tamponi del Veneto, perché – ha detto - la matematica non è un'opinione”.

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La polemica

NUMERO DI MORTI PER 1 MILIONE DI ABITANTI

merciali, verranno allentate anche le disposizioni in materia di spostamenti. A partire dal 18 maggio, infatti, la mobilità delle persone all’interno del territorio della stessa regione non sarà soggetta ad alcuna limitazione e non sarà richiesta alcuna autocertificazione. Dopo due mesi di “clausura” è facile prevedere un affollamento nelle strade e piazze cittadine, situazione che metterà a dura prova la consapevolezza e la responsabilità individuale di ciascuno di noi. È evidente che il comparto economico e in particolare i settori del commercio, della ristorazione, del turismo e dello spettacolo abbiano subito un enorme danno ed è certamente fondamentale che ripartano al più presto. Ciò che è meno evidente è come potrà ciascuna Regione (come richiesto e ottenuto dal governo) “consentire la riapertura delle attività economiche in funzione dell’effettivo pericolo epidemiologico” se questo pericolo viene conosciuto con un ritardo stimato di non meno di 20 giorni? Proprio questo è il segnale d’allarme lanciato dal Gimbe: “Il “contagioso” entusiasmo per la fase 2 sta generando un pericoloso effetto domino sulle riaperture con il rischio di vanificare i sacrifici degli italiani. Decidere la ripresa di attività e servizi sulla base di dati che riflettono ancora il periodo del lockdown, aumenta il rischio di una seconda ondata all’inizio dell’estate”. Claudio Carbone

HUME Un report della fondazione mostra che la mortalità cresce al diminuire del numero di tamponi effettuati

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In “alto mare” estate 2020 sei ancora lontana

Le linee guida nazionali stanno strette alla Puglia Dubbi e contraddizioni sulle spiagge. Balneari in crisi e utenti confusi

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SANTORSOLA Il presidente di Fiba Confesercenti Puglia è anche proprietario di un noto lido “Santos” a Torre Canne

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Siamo ancora “in alto mare”, è il caso di dirlo. La situazione spiagge per l’estate 2020 in Puglia presenta ancora molti problemi e dubbi. Potremo frequentare i nostri amati lidi? E se sì, come? Da quando? La Giunta regionale pugliese ha approvato le linee guida per la manutenzione stagionale delle strutture balneari, rielaborate per l’emergenza coronavirus. Riguardano principalmente la pulizia, livellamento e sistemazione delle spiagge (oltre alla posidonia spiaggiata). Tuttavia sul distanziamento degli ombrelloni e le altre misure di sicurezza, la Regione non ha ancora idee precise. A livello nazionale intanto è stato firmato da Inail, Ministero della Salute e Iss il documento per le misure di contenimento del contagio da Sars-Cov-2 per tutte le spiagge italiane. Nel documento si specifica che in Puglia il 38,6% dell’intera costa sabbiosa è occupato da stabilimenti balneari e strutture turistiche. Secondo le linee guida nazionali, la distanza minima tra le file di ombrelloni deve essere di 5 metri. La distanza tra ombrelloni della stessa fila deve essere di 4,5 metri. 1 metro di distanza in acqua. In ogni regione però, la situazione è diversa e queste misure da noi vengono contestate. Il presidente della Fiba (Federazione Italiana Imprese Balneari) Confesercenti Puglia, Fabrizio Santorsola, ha spiegato: “Queste linee

guida per noi sono un po’ castranti. La norma usuale prevedeva 2,5 metri tra un ombrello e l’altro e 3 metri tra le file. Ciò significa che in spiaggia quest’anno si può mettere solo un terzo degli ombrelloni. Sono misure calcolate per spiagge come quelle della riviera romagnola che hanno 400 metri di estensione. Da noi la fascia di arenile è 20 metri, un ventesimo. Loro possono mettere fino a 100 file di ombrelloni. Noi massimo 40-50 ombrelloni. Se dimezziamo anche quelli, è inutile. Chi ha strutture piccole mi ha già detto che non aprirà”. Per quanto si voglia aiutare il turismo, sembra impossibile per molti gestori affrontare la stagione: “Con il sindacato al quale appartengo – ha proseguito Santorsola - abbiamo stilato una lista dei costi aggiuntivi che ogni spiaggia quest’anno dovrebbe affrontare: si parla di 100 mila euro in più tra sanificazione, stewards ecc. Inoltre mancano gli aiuti economici: nessuno ha pensato di farci sconti o di azzerare il canone demaniale. Non c’è neanche la cassa integrazione per i dipendenti. Io li sto pagando di tasca mia in questi mesi”. Anche sul quando la questione non è stata chiarita: i proprietari non hanno una data di riferimento. L’unica cosa certa è che non potranno allungare la stagione. Il 30 settembre dovranno chiudere obbligatoriamente. Poi c’è la questione spiagge libere. Anche lì ci sarà una riduzione dello spazio, con pa-


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letti o corde a delimitare le aree. Ma rispetteranno tutti queste distanze? E le forze dell’ordine riusciranno a gestire tutte le zone? “Ci sono troppe contraddizioni – ha detto Santorsola – è vietato stendersi sulla sabbia con il telo nelle spiagge private, ma è consentito nelle spiagge libere. Perché? E perché nei musei e in altri luoghi chiusi si deve rispettare la distanza di 1 metro e sulla spiaggia di 5 metri?” Pierluigi Lopalco, responsabile del coordinamento emergenze epidemiologiche Puglia,

vista la preoccupazione nel settore ha dichiarato: “Il documento Inail-Iss non è un protocollo obbligatorio, ma sono indicazioni generali” delle quali valutare la fattibilità. Non si può far altro che attendere e sperare di trovare un compromesso. E poi, come per tutto nel post Covid-19, oltre a fare affidamento alle istituzioni, dobbiamo sperare nel buon senso comune. Cercare di rispettare le regole, sia sulla terraferma, che in acqua. Michela Lopez

IL FUTURO Per mesi anche sulle spiagge pugliesi sono state fatte prove generali per farsi trovare preparati

Come fare

Spiagge 4.0, la tecnologia contro il Covid

Tra le proposte presentate alle istituzioni locali pugliesi, una delle più curiose è il progetto “SPIAGGIA 4.0”. Si tratto di un vero e proprio piano d’azione diretto a stabilimenti balneari e a tutte le imprese del turismo, realizzato da aziende del Sud e del Nord specializzate in tecnologie digitali: METAWELLNESS, WEDIGITAL e RIVEMO. Questo modello di spiaggia contemporanea porterà il turista a vivere una nuova esperienza digitale, grazie a tecnologie in grado di garantire il distanziamento sociale, la salute pubblica e migliorare il servizio della località balneare. Ad esempio ci sarà la possibilità di prenotare l’ombrellone dal sito web o dall’app, ricevendo conferma di prenotazione con codice a barre. Con lo stesso metodo si potranno prenotare le attività da fare in spiaggia, evitando code in cassa. Per il cibo, si potrà consultare il menù dal proprio smartphone e fare l’ordine dall’ombrellone, senza doversi recare al chiosco, evitando assembramenti. L’ingresso sarà attrezzato con fotocellule che effettuano il conteggio delle persone che accedono/escono dalla spiaggia. Un tabellone numerico indicherà il numero di persone che possono ancora entrare e la disponibilità sarà sincronizzata in real-time con l’app. Infine l’azienda Metawellness ha brevettato il braccialetto Labby Light anti-Covid, che sarà fornito a dipendenti e clienti di spiagge private. L’utente sarà allertato con luce a led e vibrazione quando non sarà rispettata la distanza imposta dalla legge con altre persone (diverse da nucleo familiare) e permetterà di ricostruire i contatti stretti avuti tra clienti. 1-15 maggio 2020

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La moda italiana risponde alla crisi cambiando pelle Sfilate in streaming produzione di mascherine il made in Italy non si piega al virus ma sono tante le difficoltà

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LOW COST H&M ha deciso di chiudere il suo store in via Sparano, a Bari. Sono 50 i dipendenti che rischiano il licenziamento

Resilienza è il termine con il quale si indica la capacità di superare un momento di difficoltà, un banco di prova a cui è chiamata anche l’industria della moda per fronteggiare l’epidemia di Coronavirus che sta minacciando la tenuta del secondo settore più importante del Paese per fatturato. Riecheggia ogni giorno il messaggio che niente sarà più come prima, neanche le strade dello shopping affollate di turisti che spendono a dismisura negli store delle grandi griffe. Nonostante il momento difficile che

sta mettendo a dura prova molti imprenditori, il settore del fashion italiano sta reagendo: rinnovandosi. Sono tanti i brand, da quelli di lusso a quelli del fast fashion che hanno riconvertito una parte dei loro stabilimenti per realizzare mascherine e camici per medici e infermieri. Come Antonio De Gennaro, proprietario di un'azienda di Canosa di Puglia che produce biancheria intima: "Vista l'emergenza abbiamo convertito parte della nostra produzione in mascherine e igienizzanti mani.

Le chiusure

Le difficoltà dei colossi del low cost

La crisi sta mettendo in ginocchio anche i colossi internazionali dell'abbigliamento, come l'azienda svedese H&M che ha deciso di chiudere molti punti vendita in Italia, tra cui quello di via Sparano nel cuore del capoluogo pugliese. Dopo lo stop per l'emergenza Coronavirus il grande negozio multipiano che ha sostituito 13 anni fa la storica Rinascente chiuderà i battenti, lasciando 50 dipendenti senza lavoro. La multinazionale della moda ha annunciato una serie di possibili chiusure in Italia nei prossimi mesi per far fronte alle pesanti conseguenze dell'emergenza sanitaria che hanno determinato un crollo notevole delle vendite. Durante un incontro in videoconferenza fra i sindacati e l'amministratore delegato dell'azienda è emerso che il rischio chiusura è legato ai costi dell'affitto dell'immobile che ospita lo store, ritenuti elevati dalla società svedese. Negli scorsi giorni il sindaco di Bari, Antonio Decaro, ha proposto una mediazione tra il gruppo H&M e i proprietari dell'immobile per una revisione del contratto di locazione. Secondo Federmoda sono 35mila i negozi a rischio chiusura a causa dei canoni di locazione troppo elevati. La battuta di arresto è determinata in gran parte dalle vendite online che hanno cambiato il modo di fare shooping della maggior parte degli italiani i quali preferiscono ricevere la merce ordinata direttamente a casa. M. S. 1-15 maggio 2020


a nz ge er em L’ LE AZIENDE In Puglia rischia il tracollo anche il settore dedicato all'abito da sposa che godeva di fama internazionale

Prima di essere immesse sul mercato le mascherine vengono sanificate con vapore a 130 gradi. Ci siamo adattati alla domanda per fronteggiare la crisi, come hanno fatto molte altre aziende tessili pugliesi". Non solo nuove sfide produttive ma anche una maggior conoscenza del digitale: la Camera nazionale della moda ha annunciato per il 14- 17 luglio la prima Milano digital fashion week della storia per promuovere le collezioni uomo e donna della primavera-estate 2021. Dimentichiamoci le sfilate tradizionali, perché la nuova manifestazione non vedrà defilé ma sarà ricca di contenuti multimediali, fotografici, interviste e workshop fruibili online. Il tutto organizzato in un calendario di appuntamenti suddiviso per brand. Creare una Kermesse in digitale è una sfida interessante per il fashion system italiano ma allo stesso tempo la comodità di seguire le sfilate da casa, coinvolgerà molti più spettatori. Sebbene innovazione e tecnologia possano tappare la gravosa crisi economica restano incalcolabili le perdite di un settore fatto di tante medie e piccole imprese, costrette a fermarsi e che non hanno la possibilità di pagare le tasse e gli affitti. In Puglia rischia il tracollo anche il settore dell'abbigliamento dedicato all'abito da sposa che fino a qualche anno fa si era conquistato una fama internazionale. "Ai negozi non serve la nostra merce perché sono ancora chiusi.

Inoltre i matrimoni sono stati spostati tutti al prossimo anno. Dunque questo settore è al momento fermo, come secondo me è fermo tutto l'abbigliamento- ci racconta Laura Lippolis, imprenditrice e titolare di un'azienda di Putignano che crea abiti da sposa- bisognerà cercare di sopravvivere e di non chiudere prima dell'anno quando riprenderanno le cerimonie ma resta la preoccupazione per le tasse da pagare". Per Laura il mercato dell'abbigliamento italiano è stato messo in discussione dai prezzi concorrenziali del fast fashion i quali non possono competere con quelli di un capo su misura che ha un costo maggiore per i tempi di produzione, qualità ed esclusività. Ne è convinto anche uno dei maggiori stilisti italiani, Giorgio Armani che più volte ha ribadito come il declino della moda sia iniziato con i tempi e i costi del vestiario low cost delle grandi multinazionali.

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Mariamichela Sarcinelli 1-15 maggio 2020


Contro il virus plasma dei guariti ma è polemica

Esperimenti partiti anche in Puglia. Intervista al direttore del centro trasfusionale del Policlinico di Bari 20

ALLARME L’emergenza sangue resta la priorità di molti ospedali: l’appello del dott. Ostuni del Policlinico

Curare i pazienti affetti da Covid-19 con il plasma dei guariti: è la cura sperimentale avviata nella nostra Regione in collaborazione tra l’Università di Padova e l’istituto Zooprofilattico di Puglia e Basilicata. “In poche settimane avremo un laboratorio in cui completare i test”, aveva assicurato il governatore Michele Emiliano. La scorsa settimana, intanto, sono stati inviati a Padova i primi 14 campioni di plasma, prelevati dai guariti dal Coronavirus, che hanno deciso di donare. In cosa consiste questa cura? Lo ab-

Basta dirette

Vogliamo andare “ammare”

Diciamolo: ci siamo stancati dei comunicatori alla Conte, alla Burioni, alla Decaro. Vogliamo uscire, riprendere in mano le nostre vite, lamentarci che non c’è lavoro o, quando c’è, che non è quello giusto. Vogliamo andare “ammare”. Insomma, siamo stanchi di ascoltare qualcuno che ci dice cosa dobbiamo fare. Delle dirette facebook, dei collegamenti con librerie alle spalle, di noi “minotauri” (esseri metà in pigiama e metà in giacca e camicia). Ci hanno scocciato pure le conferenze stampa in cui si sciorinano numeri, tanto lo sappiamo che vige il distanziamento sociale con mascherine annesse. Lo sa anche chi si è ritrovato a Milano, lungo i Navigli, per un “ape”. O chi è andato a “Pane e Pomodoro” nei giorni della festa (mancata) di San Nicola, patrono di Bari. Ma che volete farci? Noi siamo così: da un orecchio ci entra e dall’altro ci esce. 1-15 maggio 2020

biamo chiesto al dottor Angelo Ostuni, direttore dell’unità operativa di medicina trasfusionale del Policlinico di Bari e del centro regionale del sangue. Da dove viene questa sperimentazione? “È una terapia che viene da lontano. È stata utilizzata nell’epidemia Ebola, in Africa, e ancora prima in quella Sars. Nasce dall’idea che i pazienti guariti sviluppano anticorpi definiti “neutralizzanti” e attivi contro il virus”. Se viene da lontano perché si è pensato adesso a questa cura? “Il motivo principale è che questi anticorpi neutralizzanti possono essere individuati solo in pochi laboratori in Italia. In Puglia c’è il laboratorio zooprofilattico di Foggia, in cui si sta approntando la metodica per partire. Ma fino a quando non è provata l’efficacia, parliamo di qualcosa di sperimentale”. Che non sostituisce la necessità di avere un vaccino anti Covid, è così? “Nel modo più assoluto. Non è la “panacea” o il salvavita. La terapia con il plasma iperimmune è utilizzata, infatti, come terapia complementare”. Chi e dove può donare il plasma? “Non possono donare tutti i pazienti guariti. Il donatore deve preferibilmente essere guarito da non molto tempo, per il discorso dell’andamento degli anticorpi. Inoltre, poter donare il plasma sono stati stabiliti dei livelli di anticorpi e il donatore deve avere le


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Altro che pandemia

Due donne e la gogna del web

Che la pandemia non fosse un incantesimo, si sapeva. Ma continuare a vomitare cattiverie a suon di clic non è più accettabile. Le campagne d’odio scatenate contro la giornalista Giovanni Botteri prima, e Silvia Romano dopo, sono a dir poco assurde. La Botteri, inviata Rai in Cina, è stata nell’occhio del ciclone social per il suo look poco femminile e troppo poco eccentrico, a detta degli esperti del “fashion web”. Silvia, la 24enne cooperante rapita in Africa 18 mesi fa e tornata in Italia il 10 maggio scorso, sarebbe “colpevole” di essersi convertita all’Islam durante la prigionia. Inoltre, ricordano sempre gli esperti odiatori, il suo riscatto è costato al Belpaese milioni di euro. Se dopo la quarantena i risultati sono questi, allora voglio avere i capelli della Botteri e il sorriso della Romano. A. P. caratteristiche del donatore sano”. In quale rapporto il plasma di un guarito è utile ai malati? “l protocollo clinico-sperimentale, approvato dal comitato etico dell’azienda Policlinico, prevede per il paziente la somministrazione di una certa quantità di plasma per due o tre giorni consecutivi. Il rapporto è di due donatori per ogni paziente malato”. Che effetto ha sul paziente malato? “Ad oggi gli studi hanno dimostrato un miglioramento sia dei sintomi sia dei problemi respiratori. Ma l’efficacia non è del 100% e

La cura

non si ha su tutti i pazienti. Sembra che funzioni meglio nei pazienti prima che arrivino in una fase avanzata. Diciamo che prima si agisce, meglio è”. Secondo lei sono pochi i tamponi effettuati in Puglia? “Non ho le competenze per risponderle. Se da una parte credo che sarebbero dovuti esserci maggior coordinamento e chiarezza, dall’altra le iniziative intraprese sono servite anche perché i numeri sono stati più bassi di quello che ci si aspettava”. Anna Piscopo

LA SPERANZA Sacche di plasma iperimmune donato da pazienti guariti dal Coronavirus da non molto tempo

In “pista” da 30 anni, già usata per Sars e Mers

Il concetto di plasma convalescente è in pista da 30 anni. La cura, infatti, è stata già adoperata “con successo”, dicono degli esperti, nelle altre due epidemie da Coronavirus, e cioè la Sars del 2002 e la Mers del 2012. Anche l’Organizzazione mondiale della Sanità che ammette l’utilizzo del plasma iperimmune nel caso di “malattie gravi per cui non ci sia un trattamento farmacologico efficace”. Ed è il caso del Covid-19. Anche questa cura, come il virus, viene da lontano e (sarà un caso?) sempre dalla Cina. I ricercatori cinesi, fra cui medici del First People’s Hospital del Distretto di Jiangxia a Wuhan, la città focolaio del virus, hanno infuso 200 ml di plasma di persone guarite in dieci pazienti ricoverati con gravi sintomi. Dopo i primi tre giorni dalla trasfusione, sono arrivati i primi risultati positivi con una riduzione dei sintomi. Mentre dopo una settimana, nel sangue non c’era più traccia del virus e le lesioni polmonari sembravano essersi assorbite. E in Italia? È stato sviluppato un protocollo clinico-sperimentale dalla Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, in collaborazione con altre strutture tra cui quelle di Mantova e Lodi, e dall’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova. In particolare, a Mantova è stato applicato su una ventina di pazienti con risultati che fanno ben sperare. Ad aprile una 28enne incinta è guarita, pare grazie al plasma, proprio a Mantova. Tuttavia, è bene ricordarlo, la cura è in una fase sperimentale, in attesa che si individui il vaccino in grado di sconfiggere il virus. 1-15 maggio 2020

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Ma perché si deve correggere la erre moscia? Difetti di pronuncia veri marchi distintivi dai tempi di Luigi XIV sono simbolo di eleganza e sensualità

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IL SIMBOLO Gianni Agnelli, politico e imprenditore La sua eleganza creò tendenza, anche grazie alla sua erre moscia

Su 10 nipoti, l’unica ad aver ereditato la erre moscia da mia nonno sono io. E questo già basterebbe per rispondere a quella famosa domanda che, in media ogni 3 mesi, qualcuno mi pone: “Ma perché non correggi/aggiusti/modifichi la tua erre?” Il rotacismo è la pronuncia difettosa del suono erre. Si, è definito disturbo di pronuncia. Cosa accade? Solitamente, quando un comune mortale pronuncia la ERRE, la sua lingua vibra nella parte anteriore del

Nomi noti

Senza difetto non c’è gusto

Senza difetto non c’è gusto. Gianni Minà, Maurizio Costanzo, Fabio Caressa sono alcuni tra gli esempi più noti dello stile che accompagna l’imperfezione. Cosa c’è di più caratteristico di una erre “arrotata” all’estremo che esalta ogni gol di Cristiano Ronaldo? O di una “zeppola” tanto sibilata da addolcire le domande rivolte al proprio interlocutore? E come non poter digerire l’appuntamento con la pubblicità quando il suo annuncio viene masticato così bene? Insomma, l’imperfezione diventa tanto più amabile quanto chi la esprime mostra un’umanità che non ha bisogno di nascondersi dietro la professionalità. Anzi, in alcuni casi, l’imperfezione esalta la preparazione di chi la mette in bella mostra, unendo il contenuto ad una forma che nessuno potrà mai pretendere come immutabile e perfetta. (M. Mitar.) 1-15 maggio 2020

cavo orale (sbatte vicino ai denti). Quando invece la magica letterina viene pronunciata da un individuo affetto dalla “terribile malattia”, la lingua vibra nella parte posteriore (velo palatino o zona dell'ugola), producendo una vibrante uvulare o fricativa uvulare sonora; in altri casi può non vibrare affatto, dando luogo a un’approssimante labiodentale (insomma una EVVE). Non è così semplice. Ci sono vari tipi di erre. La mia ad esempio non è totalmente moscia, è leggermente moscia (mai andata dal logopedista, non so di che categoria faccio parte!). Di quelle di cui non ti accorgi i primi giorni…poi, al terzo/quarto giorno di conoscenza, succede. Ti guardano, strabuzzano gli occhi, sorridono e con aria sospetta te lo chiedono: “Ma hai la erre moscia? Oddio, non me ne ero accorto prima!”. E fanno a gara per farti pronunciare “ramarro marrone” o “brr, che freddo”. AH AH AH. Insomma, una erre non proprio francese, forse nemmeno tedesca. Già, perché il rotacismo in fonetica indica anche una caratteristica articolatoria propria di chi presenta una pronuncia del suono di erre diversa “dall'uso comune in italiano”. Come appunto in un’altra lingua: francese, tedesco, ma anche varianti dell’italiano stesso (vedi dialetto parmense). Quindi è un punto in più per chi studia e parla di-


Riflessione

Quelli che qualcuno chiama “difetti” sono soltanto segni di indiscusso fascino e bellezza. Dettagli cioè che ci distinguono dalla massa. Visto? Non ci avete neanche fatto caso. Ben cinque frasi scritte di seguito senza utilizzare la “erre”. Dimostrazione che, come per ogni aspetto della vita, l’importante è non prendersi sul serio e imparare a riderci su. Capacità che chi ha un “mavchio di fabbvica” originale impara subito a mettere in atto. Nel caso della erre, anzi scusate, evve moscia spesso si comincia già dalle elementari quando la maestra di francese, categoria di insegnanti statisticamente molto simpatici, ti prende come esempio di perfetta pronuncia. È in quel momento, quando sei in piedi di fronte alla classe a ripetere “fromage frais”, capisci che o ci ridi su o è meglio cominciare a organizzare la fuga oltralpe. Poi col passare del tempo scopri che quella lingua che non batte come le altre sul palato ha aspetti molto positivi. Per esempio il naturale tono da intelligente, che ti permette di sembrare un intellettuale in qualsiasi situazione. Oppure puoi tranquillamente vantare discendenze nobili senza che nessuno abbia da ridere. Certo ci sono anche piccole rinunce da fare. È molto probabile, ad esempio, che non comprerai mai una Chrysler e che se anche adori la musica dei Killers, dei Pretenders e dei Rolling Stones, dirai che i tuoi gruppi preferiti sono i Beatles e i Queen. E probabilmente al cinema non opterai per i film horror, ma non perché ti fanno paura. Uno da cui bisognerebbe imparare è Lorenzo Cherubini. Si, Jovanotti. La sua imitazione viene facile a molti comici. Quella “S” sibilata inconfondibile si presta a facili ironie dopotutto. E lui per tutta risposta ha scritto decine e decine di canzoni infarcite di quante più “S” possibile. Tanto che nel 2011 su Facebook è nato un gruppo satirico chiamato “l’autolesionismo di Jovanotti nello scrivere canzoni con la S”. Una forma di masochismo o, invece, un utilizzo intelligente di un tratto distintivo una cosa è certa: le sue canzoni non le dimentica nessuno. (S. Car.)

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Non prendiamoci troppo sul serio

verse lingue. (Destino ha voluto che fossi brava in lingue e letterature straniere e mi ci laureassi). E poi, altro punto a favore: la erre moscia è sexy, elegante e nobile. Secondo alcune teorie, Luigi XIV, il re Sole aveva questo difettuccio che venne subito imitato dalle classi nobili e divenne un modo per distinguersi dai comuni plebei. Anche a Parma ci fu un esempio simile: c’è chi fa risalire le origini della R moscia parmense a Maria Luigia d’Austria, duchessa regnante dal 1814 al 1847. Pare che il popolo amasse talmente l’imperatrice da imitarne persino la pronuncia. Io nobili origini non ne ho, però la nobiltà può essere di vari tipi. Comunque, un giorno ho deciso di fare la giornalista e mi sono iscritta a una scuola di giornalismo. E ho scoperto, con grande stupore, che se c’è una cosa che hanno tutti i giornalisti bravi, ma quelli bravi davvero, è la erre moscia (e l’umiltà). Michela Lopez

IL SORRISO Renzo Arbore, 82 anni con la sua erre ha lavorato in tv e in radio: è uno dei più grandi showman italiani

(P.s Qualcuno mi ha detto che per condurre in tv, bisognerebbe eliminarla. Ma dite la verità, non sono proprio i giornalisti con i difetti quelli che vi rimangono più impressi? Banale dirlo, ma utile ricordarlo: i difetti sono il più grande marchio distintivo da sempre).

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