MasterX - giugno 2018

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Portrait Fedele Confalonieri “Come è cambiato il giornalismo in Italia” _ p.20

Quando il reporter è un ‘provocatore’ Fanpage.it e l’inchiesta Bloody Money _ p.8

Fondazione Obama L’ex presidente Usa cerca i leader di domani _ p.12

Anno XV | Numero 1I | Giugno 2018 | masterx.iulm.it

Nba, reportage da Cleveland LeBron James e il destino di una città _ p.14

MasterX Periodico del master in giornalismo dell’Università IULM Facoltà di comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità

L’ERA DELL’ALGORITMO L’intelligenza artificiale è arrivata anche nel giornalismo, che si trova di fronte a un bivio: imparare a fare i conti con il cambiamento per dominarlo o rischiare di subirlo


MasterX

GIUGNO 2018 - N° I1 - ANNO 15

Diretto da: STEFANO BARTEZZAGHI (responsabile) e IVAN BERNI Progetto grafico: ADRIANO ATTUS

SOMMARIO

In questo numero

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Redazione: Marcello Astorri, Sara Bernacchia,

Gianluca Brigatti, Emanuele De Maggio, Federico Graziani, Matteo Macuglia, Andrea Madera, Alberta Montella, Francesco Nasato, Matteo Novarini, Giulio Pinco, Carolina Sardelli, Federico Spagna, Matia Venini Leto, Michele Zaccardi, Beatrice Barbato, Chiara Colangelo, Corinne Corci, Alessandro Di Stefano, Giulia Diamanti, Alessandro Follis, Giulia Galliano Sacchetto, Enrica Iacono, Antonio Lopopolo, Luca Palladino, Federico Rivi, Nausica Samela, Alice Scaglioni, Caterina Spinelli, Alessandro Vinci. Registrazione: Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002 Stampa: RS Print Time (Milano) Master in Giornalismo Università IULM Direttore: Stefano Bartezzaghi Coordinatore didattico: Ivan Berni Direttore laboratorio digitale: Paolo Liguori Tutor: Sara Foglieni Comitato scientifico del master: Mario Negri (Presidente), Paolo Liguori (Vicepresidente), Stefano Bartezzaghi, Gianni Canova, Mauro Crippa, Andrea Delogu, Simona Fossati, Daniele Manca, Marzio Quaglino Docenti: Roberto Andreotti (Giornalismo culturale) Marianna Aprile (Giornalismo e politica) Adriano Attus (Art Direction e Grafica Digitale) Federico Badaloni (Architettura dell’informazione) Stefano Bartezzaghi (Critica del linguaggio giornalistico) Ivan Berni (Storia del giornalismo e Deontologia) Marco Boscolo (Data Journalism) Silvia Brasca (Fact Checking & Fake News) Marco Brindasso (Tecniche di ripresa e luci) Marco Capovilla (Fotogiornalismo) Piera Ceci (Giornalismo radiofonico) Francesco Costa (Critica del linguaggio giornalistico) Andrea Delogu (Impresa editoriale-TV) Cipriana Dall’Orto (Giornalismo periodico) Luca De Vito (Tutoring, Video per il web) Lavinia Farnese (Tutoring, Social Media) Guido Formigoni (Storia contemporanea) Marco Fraquelli - Sec (Media Relations) Giulio Frigieri (Infodesign e mapping) Bruno Luverà (Giornalismo e società) Caterina Malavenda (Diritto penale e Deontologia) Matteo Marani (Giornalismo sportivo) Pino Pirovano (Dizione) Roberto Rho (Giornalismo economico) Giuseppe Rossi (Diritto dei media, Deontologia) Alessandra Scaglioni (Giornalismo radiofonico) Gea Scancarello (Storytelling digitale) Stefano Scarpa (Montaggio Video) Claudio Schirinzi (Giornalismo quotidiano) Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia) Vito Tartamella (Giornalismo scientifico) Angelo Turco (Geopolitica) Marta Zanichelli (Publishing digitale)

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Innovazione Come l’automazione può cambiare il giornalismo Analisi dati, distribuzione contenuti, predittività e assemblaggio: gli algoritmi possono aiutarci a patto di comprenderli e negoziarli

Deontologia Il dilemma dell’agente provocatore dopo l’inchiesta di Fanpage.it Parlano il direttore Francesco Piccinini, il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna e la cronista del Foglio Annalisa Chirico

Fondazioni Obama a caccia di nuovi leader L’ex presidente Usa lancia un progetto per offrire aiuto a chi vuole migliorare le nostre società

Reportage da Cleveland E se il re dice addio? Il racconto del nostro inviato Il futuro di LeBron James, la scelta che può cambiare l’economia e le sorti di una città intera

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Global News in pillole dalle università di tutto il mondo Bocconi, corso di machine learning GB a difesa della libertà di parola

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Portrait Intervista a Fedele Confalonieri Il Presidente di Mediaset parla della sua storia e di quella dell’azienda che guida dal 1994. Una panoramica sui cambiamenti nel giornalismo con l’avvento di Internet e delle piattaforme Over The Top

Connessioni social Novità da Facebook e dintorni Supermarket social, basta pagare per diventare famosi online Like & Unlike di Guido di Fraia

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Sharing World

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IULM News

Il mondo della condivisione A Monza nasce Vic, la start up che rende l’armadio ecologico e condiviso Pane & Sharing di Gea Scancarello

Eventi e novità dal mondo IULM


EDITORIALE

Prima pagina. Walter Matthau e Jack Lemmon: la massima celebrazione dei trucchi del mestiere, senza intelligenza artificiale.

Stefano Bartezzaghi Direttore del Master in Giornalismo IULM

LE NOIOSE PREMURE DEL GIORNALISMO PREDITTIVO _ In un master come il nostro ci sono giornalisti che formano giornalisti. Da qualche tempo il giornalismo contempla anche «algoritmi che creano algoritmi»: lo racconta il servizio centrale di questo numero di Master X. Questi algoritmi speciali si chiamano «learner» e chissà se il giornalista Gad Lerner avrebbe mai sospettato di poter avere come concorrente un quasi-omonimo di tale natura. L’algoritmo «learner» è parte di quella vasta aspettativa tecnologica che è stata l’Intelligenza Artificiale. Percepita come imminente da almeno mezzo secolo, l’Intelligenza Artificiale ha, Gli algoritmi negli anni, variamente illuso, deluso, potrebbero preoccupato, esaltato, ispirato fantanon capire scienza catastrofica e no. A un certo le preferenze punto sembrò che la chiave fosse indei lettori segnare al computer come battere il maggiore campione umano di scacchi ma, quando pure ciò è avvenuto, poco è cambiato. Lo scacco al re non ha condotto ad alcuna usurpazione. Per il giornalismo è notevole un dato di fatto: l’algoritmo permette una focalizzazione sugli utenti a partire da dati anagrafici, storie individuali di navigazione, preferenze che esprimono consciamente, competenze. Sono tutte indicazioni che riguardano il passato dell’utente e del resto non si capisce come diversamente potrebbe essere. Anche l’algoritmo sperimentale del giornalismo cosiddetto «predittivo» dà alla «casalinga» (totem e stereotipo sociologico che non viene innovato mai) informazioni lavorate

diversamente da quelle fornite a un manager. Ciò che il giornalismo predittivo non predice è la possibilità che una casalinga voglia e magari sappia cimentarsi nella lettura delle informazioni per manager. Fascinazioni e timori dovrebbero essere entrambi messi da parte, almeno per il tempo di porsi una domanda: quanto della perdita di carisma, autorevolezza e attrazione da parte del giornalismo è dovuto all’anelito alla «chiarezza», intesa come preoccupazione di dare «contenuti» adeguati, in modo che il lettore non manchi di sentirsi alla loro «altezza»? L’algoritmo «learning» del giornalismo tradizionale prevedeva che a imparare fosse il giornalista, in modo da poter spiegare al lettore. Ignorante (di base) il giornalista; ignorante (di base) il lettore: il primo si «metteva all’altezza» (delle cose da raccontare) grazie alle proprie doti professionali: capacità di ricerca e documentazione, cultura di base, prontezza e intuito; il secondo si «metteva all’altezza» tramite la lettura stessa del giornale e lo sforzo per capire anche cose lontane dalle proprie competenze di base. Il motore di questa macchina girava sulla spinta della curiosità che entrambi provavano nei confronti del mondo. È chiaro che questo modello non funziona più. Ma le premure con cui il giornalismo predittivo prevede di prevenire le nostre preferenze, in modo da non annoiarci mai e darci tutto quello che vogliamo, sono in sé noiose e non sembrano neppure corrispondere effettivamente ai desideri dei lettori.

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REPORTAGE

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L’ALGORITMO

GIORNALISTA Nel 2014 un bot del Los Angeles Times ha dato la notizia di un terremoto tre minuti dopo la scossa. L’automatizzazione sarà un aiuto o una minaccia per la professione?

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Di Federico Graziani _ Terra, acqua, aria e fuoco. Se Empedocle elencasse oggi gli elementi di cui è composto il nostro mondo, ne aggiungerebbe un quinto: l’algoritmo. Nei supermercati, la merce viene esposta sugli scaffali seguendo le indicazioni di algoritmi comportamentali. Le poste usano algoritmi di riconoscimento visivo per catalogare le lettere in base agli indirizzi dei destinatari. Anche per scrivere questo pezzo ho usato alcuni algoritmi, tra cui il motore di ricerca di Google e lo strumento revisione di Word. Siamo in mezzo a un cambiamento di paradigma, come dal calamaio ai caratteri mobili. Stiamo entrando nell’èra dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi. Internet non serve più solo a scambiarsi contenuti, ma sta entrando in tutti gli aspetti della realtà. Il giornalismo può scegliere se accogliere il cambiamento o rimanere alla macchina da scrivere. Tra le luci e le ombre di cui discuteremo nelle prossime pagine, sono quattro le funzioni degli algoritmi che potranno aiutare i giornalisti: analisi dati, distribuzione contenuti, assemblaggio e predittività. analisi dati

Già nel 1970 Alvin Toffler parlava di information overload. Oggi la situazione è ancora più estrema: la rivoluzione informatica prima e quella dell’iperconnettività poi hanno prodotto un mondo in cui i data sono diventati tanto big da tramutarsi in potenziali fonti inesauribili di storie. Il rovescio della medaglia è che la loro grandezza li rende inaccessibili a chiunque voglia immergersi al loro interno. Anche i normali software sarebbero in difficoltà: come dico a un computer quello che deve fare se neanche io so farlo? È qui che interviene il machine learning, un processo attraverso il quale il computer impara quello che deve fare direttamente dai dati. “Gli algoritmi di apprendimento, o learner – ha sintetizzato Pedro Domingos nel suo libro L’Algoritmo Definitivo – sono algoritmi che creano altri algoritmi”. Così prende forma l’intelligenza artificiale, che, educata dai big data, evidenzia gli schemi ricorrenti. Risultato primario: per trovare una storia, al giornalista basta collegare i puntini che il computer ha portato alla luce. È successo con i Panama Papers, il fascicolo digitale riservato composto da 11,5 milioni di documenti confidenziali su 214mila società offshore. Un database enorme, impenetrabile con gli strumenti tradizionali, ma reso disponibile ai giornalisti del Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (di cui fa parte l’Espresso) dagli algoritmi di apprendimento. Risultato secondario: tanto tempo risparmiato da reimpiegare per inchieste e approfondimenti. “Si smentisce l’idea per cui gli algoritmi abbasseranno la qualità del giornalismo”, commenta Valerio Bassan, responsabile dello sviluppo del prodotto digitale di Forbes Italia. Nei Panama Papers, i giornalisti hanno potuto monitorare solo gli spunti più interessanti, senza perdere tempo ed energie per le strade che il computer aveva già considerato prive di sbocchi. > GIUGNO 2018

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cale dentro all’assistente di Google che legge Gli algoritmi non sono tutti uguali: anzi, le notizie. E proprio dall’azienda di Mountain quelli di Amazon e Netflix sono proprio op- View è arrivata la novità più dirompente. È posti. La logistica iperveloce consiglia a Jeff Google Duplex, che conversa simulando perBezos di mostrare sul suo sito gli oggetti più fettamente il tono di voce umano. costosi e di successo. Al contrario, il basso costo dell’abbonamento impone al leader dello giornalismo predittivo streaming di indirizzare la domanda verso i Avere in mente il proprio lettore è essenziale migliaia di titoli sconosciuti e autoprodotti. Il per scrivere un buon pezzo. Internet, però, Washington Post fonde questi due approcci può allargare la platea a dismisura e in modo nella propria piattaforma di distribuzione dei disomogeneo. Il lettore-tipo diventa imcontenuti, divisi in una parte selezionata in possibile da identificare con precisione: sul base agli interessi e una parte composta da ar- web, lo stesso articolo può essere aperto da ticoli inusuali per l’utente, come opinioni po- un manager di Piazza Affari, da una casalinlitiche contrapposte. In questo modo, si evita ga o da un liceale. Come si mantiene la conanche la trappola della Filter Bubble (per cui centrazione dell’uno e degli altri? Offrendo l’imperscrutabile algoritmo di Facebook ci prodotti differenti in base ai dati anagrafici, mostra solo post che confermano la nostra alle competenze e agli interessi, attraverso gli visione del mondo). Una delle prime realtà a algoritmi predittivi. Sono in fase di sperimenusare questo genere di algotazione assoluta, ma camritmi è stata la National Pubieranno l’esperienza degli Gli articoli blic Radio statunitense, perutenti e la scrittura dei consi potranno scrivere tenuti. “Non si potrà più scrisonalizzando i podcast nella sua app. In Italia, li sfrutta vere un articolo che comincia per blocchi di testo Rep: “Usiamo algoritmi di con la prima parola e finisce che l’algoritmo machine learning prodotti da con l’ultima”, spiega Bassan, terze parti per la pagina che “ma blocchi di testo, grafici, ricomporrà si chiama La mia home”, spieelenchi puntati riassuntivi in base al lettore ga Federico Badaloni, responche l’algoritmo comporrà in sabile della progettazione di modo comprensibile per il siti e app di Gedi. Così, ciascun utente vede lettore di turno”. Così, una notizia di econouna home diversa, pensata dall’algoritmo su- mia finanziaria sarà proposta integralmente gli interessi e sulla storia di navigazione. al manager, sotto forma di elenchi puntati allo studente e con i grafici alla casalinga. bot Il 17 marzo 2014 la terra sotto l’Università del- chi paga? la California trema. Il Los Angeles Times dà L’Economist li ha definiti il nuovo petrolio: la notizia meno di tre minuti dopo la scossa. senza i dati nessuna delle funzioni sopra Il giornalista che ha firmato il pezzo (di 700 descritte sarebbe possibile, ma con i dati le battute) si chiama Quakebot, ed è un compu- aziende possono arricchirsi a discapito di chi ter. Programmato da Ken Schwencke, è solo concede (spesso a sua insaputa) le proprie uno dei bot che negli ultimi anni hanno scrit- informazioni personali, come ha palesato lo to breaking news in giro per il mondo. Queste scandalo Cambridge Analytica. C’è chi promacchinette possono essere vocali o assem- pone di retribuire gli utenti in una sorta di “do blatori. Quakebot è del secondo tipo: riceve ut des” informatico. Insomma, insieme agli le informazioni da un database (il sito che onori dello sviluppo, chi lavora sui dati deve monitora i terremoti in California) e li com- prendersi in carico l’onere di rendere il loro pone in un articolo. Così come Heliograph, il sfruttamento più trasparente. Il 25 maggio, bot del Washington Post. L’Associated Press l’Ue ha emanato il Gdpr, un regolamento che trasforma i dati sui ricavi quadrimestrali del- impone alle aziende tech di informare adele aziende in notizie attraverso il bot Word- guatamente gli utenti sullo sfruttamento dei smith, “configurato per scrivere nello stile loro dati. Come in tutte le rivoluzioni, serve dell’AP”, spiegano dall’agenzia statunitense. consapevolezza: se un servizio viene erogato In Italia non ci sono assemblatori celebri, ma gratis, il prezzo sei tu. Basta saperlo, e avere la il Corriere della Sera ha sviluppato un bot vo- possibilità di decidere quando pagarlo. distribuzione contenuti

GLOSSARIO

Le parole per capire la nuova era

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1. ALGORITMI

2. MACHINE LEARNING

3. INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Un algoritmo è una sequenza di istruzioni elementari che spiega a un computer, passo dopo passo, cosa deve fare. Se non si è precisi nei passaggi, il computer, da macchina stupida qual è, si rifiuta di andare avanti. Tutti i programmi funzionano così: i dati entrano nel computer e sono elaborati da un algoritmo che li traduce in un risultato.

Il machine learning capovolge il meccanismo di programmazione. Si inseriscono i dati e il risultato desiderato nel computer e questo genera l’algoritmo che permette di passare dagli uni all’altro. Più i dati sono grandi e numerosi, meglio funziona il machine learning. È lo strumento necessario per raggiungere l’intelligenza artificiale.

L’intelligenza artificiale (AI) è il settore dell’informatica che punta a costruire computer dotati di capacità tipiche del cervello umano: pianificazione, comprensione del linguaggio, riconoscimento di oggetti e suoni, apprendimento e risoluzione dei problemi. L’obiettivo è rendere la macchina indistinguibile dall’intelligenza umana.

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L’OPINIONE /1

L’OPINIONE /2

Michele Mezza

Raffaele Fiengo

Giornalista

Giornalista

“Oggi il cronista è anche il suo bot, deve conoscerlo”

“Il giornalismo corregga i vizi dei software”

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Ogni innovazione tecnologica, dal fuoco alla catena di montaggio, rischia di trasformarsi in strumento autoritario nelle mani di chi la detiene. La strada verso il progresso passa per il conflitto sociale. Secondo Michele Mezza, giornalista e autore di Algoritmi di libertà. La potenza del calcolo tra dominio e conflitto, edito da Donzelli, anche gli algoritmi (“Poteri enormi nelle mani di pochi”) devono essere sottoposti ad azioni negoziali.

Facebook, la Russia, i bot. Dalla Brexit e dalla vittoria di Trump in avanti, gli algoritmi sono stati indicati come responsabili di una parziale distorsione dell’opinione pubblica. Con un motivo ricorrente: è accaduto soprattutto lontano dalle grandi città. “I bot non creano un sentimento, ma moltiplicano la sensibilità su un tema”, sottolinea Raffaele Fiengo, firma storica del Corriere della Sera e autore de Il cuore del potere.

Chi può affrontare organismi così complessi? Individuare i soggetti negoziali è un tema centrale, perché la dialettica con gli algoritmi è meno identificabile rispetto a quella in fabbrica. Un ruolo possono averlo le amministrazioni delle città e le università, comunità in grado di programmarli in maniera alternativa. Ma anche le categorie professionali, come i giornalisti: vedono modificarsi la propria attività e possono trasferire negli algoritmi la propria deontologia. Come possono farlo concretamente? Il punto di partenza è riorganizzare i sistemi editoriali, forme di intelligenza artificiale che, in base ad alcune premesse ideologiche, scelgono le notizie e ne determinano il linguaggio, l’urgenza e la velocità. Stiamo anche andando verso una produzione automatica dei contenuti, in cui il giornalista è anche il suo bot. Qual è oggi il profilo professionale di un giornalista? Pur senza essere un informatico, non può non avere idea di cosa ci sia dentro quei sistemi. Deve anche sapere che oggi il lettore di una volta ha il suo stesso potere produttivo. Perciò, il giornalista è un architetto di community, prima ancora di essere un disvelatore di contenuti. 4. BOT Il bot (abbreviazione di robot) è un programma che automatizza un determinato compito. Le sue capacità di intelligenza artificiale sono limitate a un solo ambito, ma sfruttano il machine learning per migliorarsi. Oltre ai bot giornalistici, esistono chatbot (che rispondono agli utenti sulle pagine social) e automatizzatori della Pa.

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Come si immagina le redazioni tra 10 anni? Direi che molto cambierà già tra cinque anni. Saranno più vuote, più automatizzate, ma anche più distribuite sul territorio. E non saranno solo di giornali, ma saranno redazioni di piani regolatori, di piani di marketing, di sistemi ospedalieri. L’informazione è la materia prima con cui si organizza la vita: non serve solo a distribuire notizie, che è l’ultimo dei problemi che ha l’umanità ora. F.G.

Cosa fanno in concreto? Automatizzano e governano il flusso dell’informazione, perciò possono anche essere usati per la manipolazione. Se questo accade in territori in cui la gente sa che quei problemi possono avere altre soluzioni, perché c’è una comunicazione qualificata, i bot non attecchiscono. Nelle periferie sociali, invece, possono essere pericolosi. Qual è il ruolo del giornalismo? Un tempo il giornalismo correggeva i guasti del sistema, che raggiungevano lentamente le periferie sociali. Ora tutto è veloce: la comunicazione arriva dappertutto in modo immediato. Per contrastare la potenza di calcolo degli algoritmi bisogna sfruttare la presenza umana lungo il territorio. Ma oggi l’informazione a livello locale è lasciata nelle mani di persone che non sono riconosciute dalla comunità. Come si aggiusta questo sistema? Occorre portare nelle periferie lo stesso meccanismo che ha permesso, nelle democrazie, di correggere il peggio. La mia proposta è riconoscere il lavoro giornalistico delle 30-40mila persone che si arrabattano nelle realtà locali, in situazioni non protette e non garantite. Non sono pubblicisti né professionisti, ma popolano le migliaia di giornali online o blog locali con pochi soldi e poca indipendenza. Bisogna responsabilizzarli e farli sentire parte della comunità. Come? Ho proposto all’Ordine dei giornalisti di creare un elenco speciale, separato dagli albi professionali, chiamato “Giornalista per adesione”. Prevedrebbe una sottoscrizione volontaria delle carte deontologiche e permetterebbe di portare i valori sul territorio. Concedendo loro garanzie e tutele, diventerebbero un aiuto prezioso per correggere le bugie a livello locale. F.G.

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GIORNALISMO

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DEONTOLOGIA

Il dilemma dell’agente provocatore Bloody Money, l’inchiesta di Fanpage.it sui traffici illeciti dei rifiuti che ha coinvolto politici e imprenditori, apre il dibattito tra giornalisti e magistrati. Il direttore della testata, Francesco Piccinini, racconta la sua verità

Pagine a cura di Emanuele De Maggio e Carolina Sardelli _ Il 17 febbraio, giorno della pubblicazione del primo episodio di Bloody Money, l’inchiesta su corruzione e smaltimento illecito dei rifiuti realizzata da Fanpage.it, è iniziato un acceso confronto sull’utilizzo dell’agente provocatore in ambito giornalistico. A far discutere è la figura del pentito Nunzio Perrella, ex boss della camorra. “È stato il grimaldello per entrare in un giro d’affari che già conoscevamo”, spiega Francesco Piccinini, direttore di Fanpage.it. Che aggiunge: “Durante la presentazione di un suo libro, ci parlò di alcuni rifiuti interrati nelle campagne del ferrarese. Siamo andati sul posto e dopo aver prelevato del materiale lo abbiamo fatto analizzare: conteneva amianto. Da quel momento è iniziata la nostra collaborazione. Avremmo dovuto ripetere la stessa cosa in altre parti d’Italia, ma abbiamo deciso di seguire con Nunzio solo le piste che già avevamo”. L’inchiesta giornalistica Bloody Money è finita in primo piano nei media nazionali quando è comparso al centro del servizio giornalistico Roberto De Luca, allora assessore al Bilancio del comune di Salerno, e figlio di Vincenzo De Luca, presidente della regione Campania. Nei tredici minuti di video l’ex camorrista Nunzio Perrella, fingendosi un imprenditore interessato allo smaltimento delle ecoballe all’estero, incontra Roberto De Luca. I due parlano di come partecipare agli appalti della regione. Successivamente Perrella ha un confronto con Francesco Igor Colletta, ex candidato alle elezioni comunali di Angri con il centrodestra e vicino a De Luca junior; nel loro dialogo il pentito Perrella cerca insistentemente rassicurazione sulla quota di tangente che spetterebbe a De Luca junior. Scoppia un caso politico e giudiziario.

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Se il figlio sceglie una linea moderata, rimettendo il suo mandato da assessore comunale, il padre attacca duramente Fanpage.it dal suo profilo ufficiale Facebook: “E’ una vergogna nazionale, ma quale giornalismo. Viene ingaggiato un camorrista che va a fare un’intervista a mio figlio e parla solo lui. E’ un’operazione di vero squadrismo. Ringoierete tutto.” Le parole di De Luca arrivano dopo un momento di alta tensione: durante il convegno del Pd a Salerno, nel quale Roberto De Luca annuncia le sue dimissioni, Gaia Bozza, giornalista di Fanpage.it, viene insultata e schiaffeggiata da alcuni dei partecipanti all’incontro. Perché vi siete fidati di Perrella quando il procuratore aggiunto di Brescia, Sandro Raimondi, alla commissione bicamerale sui rifiuti ha parlato di falle nelle sue testimonianze come collaboratore di giustizia? Parla di falle per quanto riguarda le sue conoscenze sul bresciano. E infatti, come avete visto, nella nostra inchiesta non abbiamo mai parlato di questo territorio. Nunzio non ci ha detto dove andare a guardare. Noi avevamo già tutta una parte giornalistica pregressa sul tema. Abbiamo infiltrato l’unica persona che aveva la credibilità per sedersi ai tavoli dove si decidono le partite (tangenti sugli appalti dei rifiuti ndr) che sono il segreto di Pulcinella di questo Paese. Inoltre, Nunzio è un pentito così affidabile che è stato utilizzato anche dall’ex capo della DDA (Direzione Distrettuale Antimafia), Franco Roberti. Secondo lei, quindi, utilizzare un infiltrato non giornalista, anzi un ex boss, in un’inchiesta è deontologicamente corretto? Ripeto: è difficile sedersi a questi tavoli se non si ha fatto parte o si fa parte del sistema. Tant’è che una delle persone presenti in una parte non pubblicata dei video, a un certo punto, chiede a Perrella: ‘Ma come mai


DEONTOLOGIA

GIORNALISMO

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I CASI

Scuole di pensiero a confronto 1. NEGLI STATI UNITI D’AMERICA

Il sì è arrivato alla trentaduesima proposta. Era il 1992 quando un funzionario pubblico della Georgia fu messo alla prova da un agente del Fbi che, fingendosi un immobiliarista, per due anni e mezzo cercò di rifilargli una tangente. Dietro alla promessa di soldi c’era la richiesta di un suo impegno per la riqualificazione di un’area urbanistica. L’amministratore accettò la mazzetta dopo aver rifiutato trentuno offerte e si ritrovò prima un’incriminazione e poi una condanna per corruzione. La vicenda destò scalpore nell’opinione pubblica e arrivò fino alla Corte Suprema statunitense che pronunciò l’ultima parole: la sentenza Evans versus Usa, giudice Stevens. Per i giudici “fu sufficiente la mera accettazione passiva” da parte del funzionario, spiega il professore dell’Università Statale di Milano Gian Luigi Gatta sulla Rivista italiana di diritto e procedura penale.

2. IN EUROPA

A dettare legge è l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’orientamento giurisprudenziale della Corte EDU si fonda su una distinzione tra agente infiltrato e agente provocatore. La prima figura, appartenendo alle forze dell’ordine o collaborando con esse, agisce nell’ambito di un’indagine preliminare. Il suo intervento è giustificato dall’esistenza di sospetti a carico di una o più persone. L’infiltrato, però, non deve spingersi fino a provocare condotte criminose che altrimenti non si sarebbero verificate. In tal caso si parla di agente provocatore, che per la Cedu è illegittimo. Proprio per questo motivo, la Lituania, nel 2008, fu costretta a pagare trentamila euro a un cittadino istigato a più riprese alla corruzione. >

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DEONTOLOGIA

L’OPINIONE /1

riali di disciplina, non lo so e non lo posso sapere. Ma non credo: una cosa del genere sarebbe stata pubblicizzata”.

Carlo Verna

l’agente provocatore

Presidente dell’Ordine dei giornalisti

“In Rifiutopoli ha prevalso il bene comune”

A far discutere sono state le modalità adottate dalla redazione di Fanpage.it nella costruzione dell’inchiesta Bloody Money. Su questo tema, Carlo Verna è molto chiaro: “Si parla tanto di agente provocatore, questa, però, è la tesi di chi pensa che i colleghi abbiano agito in maniera scorretta. Questo lo verificheranno i consigli, se aditi. Per quello che ci hanno detto i cronisti di Fanpage.it, non ci sarebbe l’utilizzo dell’agente provocatore, bensì una conferma sul campo di una testimonianza che loro hanno ritenuto rischiosa”. Secondo la testata, Nunzio Perrella, ex boss della camorra, sarebbe stato ricontattato per rientrare nell’affare dello smaltimento illecito dei rifiuti. “Per quanto mi è stato raccontato, loro hanno solo seguito il testimone, Perella, che ha messo al corrente Fanpage.it dell’invito ricevuto. Se questi sono i fatti, l’agente provocatore non è stato utilizzato”.

l’analisi Non vuol sentir parlare di ‘caso Fanpage’, il presidente Il presidente, inoltre, sottolinea la delicatezza della dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna: “Preferisco situazione in cui si è trovata la redazione di Fanpage.it chiamarlo il caso di Rifiutopoli in Campania”. In meRitengo nel condurre fino in fondo il suo lavoro: “Senza verificare rito all’utilizzo dell’agente provocatore “la posizione l’esistenza di traffici illeciti, come avrebbe potuto la testata dell’Odg è molto semplice. Tutte le vicende non vanno l’inchiesta pubblicare la notizia senza correre il rischio di una denunmai esaminate in astratto, ma vanno sempre sottoposte di grande cia per diffamazione? Se tu mi dai una notizia e io prima a un esame concreto che può essere effettuato solo dai di pubblicarla ho delle legittime perplessità, visto che consigli di disciplina. Questi possono essere chiamati rilevanza potremmo essere imputati entrambi, e tu mi dici ‘seguimi in causa o dai soggetti coinvolti nell’inchiesta o dai sociale e ti faccio vedere’, forse non si può parlare tecnicamente di pubblici ministeri”. Ma la situazione non è così semcarlo verna agente provocatore”. plice, soprattutto per la questione territoriale. Infatti, Una figura che a Carlo Verna, però, non piace e lo dice Verna spiega che “Sasha Biazzo, il videoreporter che ha chiaramente: “Io non sono a favore del suo utilizzo. In Italia ci sono realizzato Bloody Money, è iscritto all’ordine della Lombardia, menleggi che non l’autorizzano, se non in specifiche situazioni. Sono tre il direttore della testata, Francesco Piccinini, appartiene a quello molto preoccupato quando le cose si fanno alla garibaldina, senza della Campania”. che ci sia una vera regolamentazione. Ritengo, però, che ci sia una grandissima rilevanza sociale dell’inchiesta di Fanpage.it. Credo che i meccanismi di controllo il bene comune debba sempre prevalere. Premesso che tutte le norme È evidente che se i consigli di disciplina dovessero affrontare la devono essere applicate per un principio di legalità, se anche con vicenda e giungere a diverse conclusioni, queste dovrebbero essere l’inchiesta Bloody Money fosse stata violata una legge, visto il valore uniformate dall’organo nazionale. “Al momento – precisa il presidensociale di Rifiutopoli in Campania, la terra dei fuochi e le sue consete - non sono a conoscenza di una loro attivazione a livello regionale. guenze, posso anche concepire che loro abbiano ritenuto di tenere O almeno, i pubblici ministeri non lo hanno fatto. Se il De Luca di alto il valore del bene comune e la loro coscienza”. turno, tanto per dire un nome, abbia fatto ricorso ai consigli territo-

> tu vai in giro?’ Nunzio aveva infatti più volte dichiarato di garantire il suo impegno per far trovare i rifiuti interrati. È un pentito, ha scontato la sua pena con lo Stato, quindi è un uomo libero. La procura di Napoli ha avviato un’inchiesta nella quale lei e Sacha Biazzo siete indagati per induzione alla corruzione. Ruota tutto intorno all’agente provocatore. Se per alcuni, come l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, questa figura è ‘indispensabile’ e quindi da regolamentare, per altri, come Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, ‘va punito chi commette reati, non chi potrebbe commetterli’. Direttore Piccinini, chi è caduto nella trappola dell’agente provocatore potrebbe quindi non essere condannato? Questo aspetto mi interessa poco. Si tratta di un errore storico italiano: la convergenza tra la responsabilità sociale e quella giudiziaria, il compito di un giornalista e quello di un magistrato. Ognuno fa il proprio lavoro. Il giornalista si deve occupare di temi di rilevanza sociale che non necessariamente

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hanno rilevanza penale. Mentre la magistratura si occupa di temi che hanno sempre rilevanza penale. Le pratiche spregiudicate di molte persone presenti nei video saranno giudicate in tribunale. Che valuterà se sono legali, se i video possono essere utilizzati e se le pratiche già sussistevano. Voglio dire solo una cosa: c’era già un’inchiesta in atto portata avanti dal pm Henry John Woodcock. Se il filone porterà a delle sentenze o meno non mi interessa, io faccio il giornalista. Tornando all’inchiesta Bloody Money, come è stata decisa la data della pubblicazione? Proprio a ridosso delle elezioni politiche del 4 marzo. In realtà abbiamo dovuto accelerare la pubblicazione, visto l’avvio del procedimento giudiziario da parte della procura di Napoli il 15 febbraio. Non avevamo pronto niente, abbiamo dovuto iniziare a montare tutte le puntate una dopo l’altra. L’unica, più o meno pronta, era la prima. La nostra copertura era saltata. C’era un grande rischio. Persone che in maniera fittizia dovevano smaltire i nostri rifiuti aspettavano i camion. Per tutelare noi e anche Nunzio dovevamo uscire il prima possibile.


DEONTOLOGIA

GIORNALISMO

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L’OPINIONE /2 Annalisa Chirico Giornalista e presidente di ‘Fino a prova contraria’

“Chi, quando e dove provocare?” “Pensare all’agente provocatore mi fa orrore”. Non usa mezze parole Annalisa Chirico, giornalista del Foglio e presidente del movimento Fino a prova contraria: “Sono assolutamente ostile all’introduzione in Italia di questa figura”.

senza peli sulla lingua

A coloro che sostengono che in nome del bene comune si possa fare ricorso anche alla figura dell’agente provocatore, lei risponde senza mezzi termini: “Mi sembra un argomento da Savonarola del giornalismo. Quanta ipocrisia! Vorrei sentire le stesse affermazioni roboanti quando si parla di rispetto del segreto d’ufficio da parte di noi giornalisti. Ci riteniamo, sbagliando, legibus soluti. La legge è vincolante per tutti, anche per noi cronisti quando pubblichiamo notizie coperte da segreto o materiale che non dovrebbe essere divulgato. Insomma, quando sputtaniamo allegramente le persone. Certi discorsi mi ricordano quelli di alcuni magistrati che volevano moralizzare il Paese e poi sono stati moralizzati”. Le dure parole di Annalisa Chirico hanno come obiettivo la stessa categoria che rappresenta ed evidenziano come ci sia bisogno di un ripensamento complessivo del ruolo del giornalista. “Non mi stupisce che ci sia ancora qualcuno che si considera un agente dotato e incaricato di una missione palingenetica verso l’umanità”. i limiti del mestiere

“Credo che, a volte, l’errore che fanno alcuni magistrati lo commettano anche i giornalisti: si prendono troppo sul serio. Non spetta a noi questa funzione taumaturgica dei problemi dell’umanità intera”. Sul ruolo dei cronisti, la presidente di Fino a prova contraria aggiunge: “Noi giori motivi del no nalisti dobbiamo molto modestamente e miseramente, cerIl ragionamento a sostegno di queste affermazioni cando di non sbagliare le doppie e le coniugazioni verbali, è sintetizzabile in tre motivi che Chirico evidenzia: raccontare i fatti attraverso i nostri occhi, che sono sempre “Innanzitutto, la magistratura reprime chi commette annalisa chirico di parte come le nostre interpretazioni”.Secondo Annalisa reati e non chi si mostra propenso a commetterne. Chirico sarebbe utile guardare oltre i confini nazionali: Inoltre, bisogna tenere conto che non è da Stato libera“Dobbiamo imparare dal giornalismo anglosassone: l’informazione le legalizzare una messa in scena che vuole sondare la tenuta morale obiettiva non esiste. E come non esiste questa, non esiste nemmeno il del cittadino. E infine, questa pratica dell’agente provocatore, che valore del bene comune che qualcuno vorrebbe realizzare attraverso è diversa da quella dell’agente infiltrato sotto copertura, si presta a strumenti al limite della liceità”. Infine, Annalisa Chirico torna a partutta una serie di abusi e arbitrarietà. Chi decide chi, quando e dove lare dell’agente provocatore, facendo implicito riferimento all’inchieprovocare? Chi decide che debba essere provocato un politico e non sta Bloody Money. “In Italia non è legale - afferma - quindi, chi fino a un altro? E chi quali sono le modalità e i tempi, se prima, durante o oggi si è avvalso di questi strumenti ha fatto qualcosa che non doveva dopo una campagna elettorale?” fare. L’Ordine dei giornalisti dovrebbe occuparsi proprio di questo, Domande che in molti si sono posti dopo l’inchiesta di Fanpage.it. “Si servirebbe anche a ridare autorevolezza alla nostra professione in un induce un proposito criminoso in chi non lo aveva e questo evidenperiodo particolare come quello che stiamo vivendo, in cui c’è poca temente stride con i pilastri di una giustizia di uno Stato liberale”, fiducia nella nostra categoria”. ribadisce la giornalista del Foglio.

Una messa in scena non degna di uno Stato liberale

È la prima volta che portate avanti un’inchiesta simile? Abbiamo portato avanti progetti giornalistici di lunga durata varie volte. Sul caso Ilaria Alpi, per esempio, siamo stati gli unici a raggiungere con una videocamera Giuseppe Cammisa detto Jupiter (considerato una delle figure chiave nell’omicidio ndr), un personaggio di cui si è tanto discusso anche nelle recenti intercettazioni. L’inchiesta Alpi è durata un anno e mezzo, siamo partiti da una fonte interna a Gladio e abbiamo lavorato tantissimo, mettendo insieme i pezzi. Inoltre, non è la prima volta che utilizziamo telecamere nascoste; come nel caso dell’istituto Provolo, in cui un prete ha confessato abusi su 67 minori sordomuti. È il primo caso di confessione in camera di un prete. Ha creato uno scandalo enorme in tutto il Sud America. Di questa cosa si è parlato pochissimo in Italia, evidentemente il nostro Paese ha ancora i suoi tabù. Stiamo parlando di un video in lingua spagnola che su YouTube ha fatto oltre 4 milioni di visualizzazioni. Alcuni dei preti mandati via dall’Istituto Provolo sono stati spostati in Argentina, lì hanno reiterato i loro comportamenti e sono stati arrestati.

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FONDAZIONI

NEL MONDO

Povertà o animali, una fondazione per tutti A cura di Master Iulm _

1. BILL & MELANIA GATES F.

2. FORD FOUNDATION

3. MOHAMMED AL MAKTOUM F.

La fondazione dei coniugi Gates è la più ricca organizzazione di beneficienza del mondo. Con un patrimonio pari a 44 miliardi di dollari nel 2014, le sue attività variano da continente a continente. In Africa e in Asia si occupa di cure mediche e sviluppo economico mentre negli Stati Uniti si concentra sui problemi dell’istruzione e dell’equità sociale.

Nata grazie a una donazione di 25.000 dollari del figlio di Henry Ford, Edsel, la Ford Foundation si occupa di discriminazione, uso delle risorse pubbliche, svantaggi economici e culturali. Fondata nel 1936 e finanziata negli anni con la vendita delle azioni dell’azienda automobilistica, gestisce oggi un patrimonio di oltre 12 miliardi di dollari che impiega in tutto il mondo.

La fondazione prende il nome dello sceicco, vicepresidente e primo ministro degli Emirati Arabi Uniti. Penultima nella top ten delle più ricche organizzazioni benefiche al mondo, in Medio oriente affronta temi come la povertà, le malattie e lo sviluppo economico. Attiva in oltre 116 Paesi, tra i risultati più notevoli ci sono le cure per occhi e cecità fornite a 23 milioni di persone.

Obama: “Cerco i leader di Con la sua fondazione, l’ex presidente USA vuole aiutare chi si sta già impegnando per cambiare le nostre società, offrendogli contatti e formazione

Di Matteo Macuglia _ “Quando ho lasciato l’incarico di presidente vi ho chiesto le stesse cose del 2008: ho chiesto di credere non nella mia abilità di portare il cambiamento ma nella vostra”. Sono i primissimi secondi di un video caricato su youtube il 30 settembre 2017 in cui si vede Barack Obama parlare con gli occhi fissi verso la telecamera. L’ormai ex presidente degli Stati Uniti d’America ha scelto il mezzo più vicino ai giovani d’oggi per lanciare la sua Obama Foundation (Of ), una piattaforma che intende formare i leader del mondo di domani. Niente comunicati ufficiali, niente annunci pomposi, solo un video di poco più di due minuti per raccontare un progetto ambizioso, la cui riuscita dipende in buona parte dal carisma e dalla leadership messa in campo dal primo presidente di colore della storia Usa. il progetto

La Fondazione vuole tentare un approccio dal basso. Al centro di tutto ci sono le persone, i leader di oggi. Of intende aiutarli a sviluppare competenze per portare avanti i loro progetti anziché imporgli un obiettivo comune ma calato dall’alto. Decentramento, accrescimento personale e fiducia nelle persone sono i mattoni sui quali si fonda questa nuova realtà. Nata ufficialmente nel 2014, la Fondazione Obama ha cominciato a raccogliere i fondi necessari a inizio 2017. Durante l’estate dell’anno scorso ci si è mossi in cerca

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di civic leader in giro per il mondo. Nessuna notizia ufficiale, puro scouting tra le persone che sono state in grado di produrre qualcosa di positivo per la società. In Italia la ricerca è stata condotta principalmente durante “Seeds&Chips” la tre giorni di incontri a tema ambiente tenutasi nel 2017, culminata con la visita di Obama a Milano.

in cui creare legami, scambiare soluzioni e trovare nuove idee per cambiare in meglio le nostre società. Durante il primo summit ci si è concentrati sulla formazione: le due giornate di workshop e incontri hanno permesso ai rappresentanti di ciascun Paese di capire cosa la fondazione voleva da loro. vis-à-vis

Anche il nostro “ambasciatore” ha avuto Dalla selezione è emerso il civic leader italia- la possibilità di un incontro a tu per tu con no: si chiama Valentino Magliaro, ha 25 anni Obama. “Era una cosa per nulla scontata che e viene da Busto Arsizio. Non non è stata concessa a tutti; dispone di una laurea ma solo abbiamo avuto questa posdel diploma di ragioniere sibilità grazie alla presenza perché, a suo dire, non è mai di Matteo Renzi (ormai ex riuscito ad adattarsi alle logipremier ndr) - un’emozione che dell’università. Magliaro fortissima, racconta Valenè stato un piccolo innovatino - abbiamo parlato per tore durante i suoi anni alle un quarto d’ora circa. Mi ha scuole superiori, creando un chiesto di raccontargli cosa modello di “doposcuola” poi avevo fatto e abbiamo parlato Il civic leader diventato un bando del Miur. di come migliorare il mondo Obama Foundation ha deciso dell’istruzione, che è l’ambito scelto per l’Italia di puntare su di lui per trovain cui sono più esperto”. ha 25 anni re altre persone che si sono messe in gioco per migliorail futuro della fondazione e viene da re la propria comunità. A lui Che cosa è rimasto dopo l’inBusto Arsizio e agli altri “ambasciatori” il contro di Chicago? I civic lecompito di scovare talenti e ader sono rientrati nei rispetfuturi leader da sottoporre al giudizio della tivi Paesi per dare inizio ai lavori mentre ad Fondazione. Ai migliori, Of offrirà delle bor- aprile 2018 è scaduto il primo bando per le se di studio per accedere al corso di laurea in borse di studio. Nel frattempo, al centro del sviluppo internazionale e politiche pubbliche Jackson Park di Chicago, sono iniziati i lavoalla Chicago University. Un programma che ri per la costruzione del Presidential Center fornirà al candidato tutte le conoscenze ne- che rappresenterà il quartier generale di Of, cessarie per portare a termine con successo il così come il principale lascito alla città che proprio progetto una volta ritornato in patria. guadagnerà una nuova libreria contenente l’archivio di tutti gli atti dell’amministrazione apertura dei lavori Obama. L’edificio diventerà parte del campus A settembre 2017 è arrivato l’annuncio uffi- universitario cittadino, offrendo la possibilità ciale di Of, con il quale si rimandava al mese a sempre più persone di entrare in contatto successivo per il primo summit globale della con la fondazione. In modo da provare a camfondazione. La città scelta come base operati- biare la propria realtà. va è Chicago, luogo in cui Barack e Michelle Per capire se il progetto dell’ex presidente si sono conosciuti. Qui si terrà ogni anno una avrà successo si dovrà dare del tempo alla due giorni di formazione e public relation tra fondazione: una società migliore non si cocivic leader e innovatori di Of, un momento struisce di certo in un giorno. l’ambasciatore


FONDAZIONI

4. DOWNTOWN WOMEN’S CENTRE

5. THE CRITTER CONNECTION

È l’unica fondazione di Los Angeles a concentrarsi unicamente sui problemi delle donne senza fissa dimora. Nata nel ‘78, ha sviluppato un centro diurno che accoglie e sfama ogni giorno oltre 200 persone. Negli ultimi anni ha lanciato l’operazione “Panty Drop” (Consegna Mutande): un kit gratuito con tutto il necessario per vivere per strada, biancheria intima inclusa.

Perché salvare solo balene, panda e delfini? Con lo slogan “Un grande amore può arrivare anche in piccole dosi”, Critter Connection si occupa di salvare tutti i porcellini d’India ingiustamente abbandonati. Nata nel Connecticut grazie alla passione di Cindy Kuester, questa fondazione ha portato al sicuro oltre 1.500 piccoli roditori da strade, parchi e padroni che non se ne prendevano cura.

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IL RITRATTO Valentino Magliaro Civic leader Italia OF

“La prima sera a Chicago snobbai Renzi” _

domani”

È giovane, intraprendente e ha dimostrato che i titoli di studio non sono tutto nella vita. Valentino Magliaro, classe 1993 nato a Busto Arsizio, è l’ambasciatore scelto da Obama per cercare i leader di domani nel nostro Paese. la scelta

L’ex presidente. Ha guidato gli Stati Uniti dal 2009 al 2017. Dopo le dimissioni ha lanciato OF.

La sua candidatura ha avuto la meglio sulle altre grazie alle esperienze pregresse, caratterizzate da un impatto civico no profit privo di connotazione politica ma anche al profilo “business” in quanto manager d’azienda. L’esperienza in Of, infatti, è solo l’ultima tappa di un percorso iniziato durante gli ultimi anni delle superiori. Con due compagni ha chiesto e ottenuto dal preside la disponibilità del suo istituto tecnico al di fuori delle ore di lezione, creando un doposcuola con ripetizioni impartite da ex alunni e attività sportive. Il Miur lo ha notato, creando un bando per chi volesse riprodurre quell’esperienza in altre parti d’Italia. l’impegno per i giovani

Ha anche contribuito a organizzare gli eventi Ted, dedicati al miglioramento e alla promozione delle abilità di public speaking tra gli studenti. Consigliere comunale al comune di Vanzaghello (MI) con delega alle politiche giovanili, è stato membro di Ammazzateci Tutti, un’organizzazione di lotta alla mafia che mira ad avvicinare i giovani ai temi della legalità e del contrasto alle cosche. l’esordio in obama foundation

“Appena arrivato a Chicago per il summit di Of”, racconta Magliaro, “ho deciso di declinare l’invito a cena di Matteo Renzi, (anche lui invitato all’evento come relatore) perché dovevo incontrare i civic leader provenienti dagli altri Paesi”. L’ex premier italiano non se l’è presa a male e, anzi, ha capito che Valentino faceva sul serio. Anche per questo motivo ha deciso di accompagnarlo in un incontro a tu per tu con Barack Obama. Il nostro civic leader è stato colpito dalla capacità dell’ex presidente degli Stati Uniti “di guardare sempre avanti, coinvolgendo le persone nella propria visione del domani”. M.M.

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E se il Re dice addio? Il futuro di LeBron James non preoccupa solo i tifosi ma anche l’economia di una città intera. Già nel 2010 si lasciarono: il danno, allora, superò i 48 milioni di dollari. Il racconto dalle strade di Cleveland, Ohio

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Dal nostro inviato Andrea Madera _ Cleveland (Usa). Immaginate una città di 400.000 abitanti la cui economia viene influenzata dalla partenza di un giocatore della squadra di basket. In Europa sarebbe impensabile, negli Stati Uniti no. A Cleveland, in Ohio, uno dei principali fattori di preoccupazione riguardo il possibile addio di una superstar come LeBron James nella prossima estate è proprio quello economico. Un recente studio della Harvard Kennedy School condotto dal professore Daniel Shoag e dal ricercatore Stan Veuger mostra che se eventi sportivi e stadi non hanno un impatto significativo sulla vita economica di

una città, il giocatore considerato da molti come il più forte della sua epoca e uno tra i migliori di sempre può incidere eccome. Secondo Shoag e Verner la star dei Cleveland Cavaliers è in grado di “generare ricavi sproporzionati” e influenzare diversi indicatori di rendimento come pubblico alle partite, valore della franchigia (termine con cui si definisce oltreoceano una società sportiva professionistica) e profitti dei business locali. Nel loro studio i due esperti hanno evidenziato che la presenza di LeBron ha “statisticamente ed economicamente un effetto positivo significativo sui ristoranti e altri locali simili dove si può bere e mangiare nell’area intorno alla Quicken Loans Arena”. La presenza del Re, il soprannome più celebre di


NBA

REPORTAGE

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IL MERCATO

Quanto vale una franchigia nel basket Usa _ Per la prima volta nella storia della Nba, nel 2018 ogni franchigia vale in media più di un miliardo di dollari, secondo la valutazione annuale delle squadre pubblicata da Forbes. le cifre

I New York Knicks, 3,6 miliardi di dollari, sono al primo posto in questa particolare classifica per il terzo anno consecutivo. Nelle prime cinque posizioni della graduatoria troviamo anche Los Angeles Lakers (3,3 miliardi), Golden State Warriors (3,1), Chicago Bulls (2,6) e Boston Celtics (2,5). Il valore delle squadre è triplicato da cinque anni a questa parte: in media una squadra Nba vale la cifra record di 1.65 miliardi, 22% in più rispetto all’anno precedente. La prospettiva di crescita è la migliore tra gli sport più importanti negli Stati Uniti. la realtà di oggi

33 ANNI E NON SENTIRLI Alla sua quindicesima stagione da professionista, LeBron ha conquistato per l’ottava volta consecutiva le Finals Nba

James, influisce sul numero di locali del 13%, sull’occupazione del 23,5%. la storia del prescelto

Nel 2010 LeBron ha abbandonato Cleveland, la città che lo ha adottato da quando il ragazzino nato ad Akron, una sessantina di chilometri più a sud, ha iniziato a mostrare il suo talento nel liceo di St. Vincent - St. Mary. Mentre i tifosi bruciavano le sue magliette nelle strade dopo aver assistito la diretta televisiva in cui il simbolo dei Cleveland Cavaliers annunciava il suo passaggio ai Miami Heat di Dwyane Wade e dell’altro neo arrivato Chris Bosh, iniziava già il conto delle perdite. Il danno economico dell’epoca è stato stimato intorno ai 48 milioni di dollari: il ti-

Attualmente è possibile immaginare un mondo sportivo in cui le squadre Nba valgono più delle loro omologhe del football americano. Il valore medio di una franchigia Nfl (National Football League) è di 2.5 miliardi, 52% in più rispetto al valore medio di una franchigia Nba, ma il divario si è più che dimezzato negli ultimi cinque anni. Gli investitori pensano che il basket statunitense abbia un potenziale molto maggiore per crescere oltreoceano rispetto alla Nfl, che ha faticato ad affermarsi all’estero anche perché è uno sport che esiste soltanti negli Stati Uniti e in Canada. Le entrate Nba fuori dagli Usa stanno crescendo a un ritmo elevato, più del 17% ogni anno. il basket in oriente

Consideriamo per esempio la Cina, dove circa 300 milioni di persone giocano a pallacanestro. La Nba ha firmato un accordo di cinque anni nel 2015 con Tencent per trasmettere partite e altri contenuti sulle sue piattaforme digitali. L’accordo ha fatto guadagnare alla Nba più di 800 milioni e si sta già lavorando per un’estensione. La lega americana ha 34 partner per media e marketing in Cina e 144 milioni di follower sui social media cinesi, più di qualsiasi altro sport. Yao Ming degli Houston Rockets è stato la prima superstar cinese ad affermarsi oltreoceano, altri si apprestano a seguire il suo esempio. > GIUGNO 2018

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> foso medio spendeva 180 dollari a partita per vedere LeBron alla Quicken Loans Arena, 1,2 milioni a partita moltiplicati per le 41 partite in casa nella stagione regolare. Dopo la stagione regolare, inizia la corsa al titolo Nba, i playoff. L’economista John Skorburg di University of Illinois at Chicago sostiene che si ricavano 15 milioni a partita dalle persone che mangiano nei ristoranti, fanno il giro dei bar, comprano gadget, affittano automobili e così via. Secondo Forbes, l’anno in cui LeBron se ne è andato la franchigia ha perso 355 milioni, gli ascolti televisivi sono diminuiti del 55%. Anche lo Stato dell’Ohio ha perso soldi, il 23 dei Cavs pagava un milione di dollari in tasse locali ogni anno. L’avventura vincente del Re a Miami (due titoli NBA arrivati a seguito di quattro finali raggiunte in quattro stagioni) ha regalato alla città della Florida 1,4 miliardi all’anno e 21.000 posti di lavoro per i residenti del South Florida. Un upgrade economico svanito quando James ha deciso di tornare a Cleveland, per un ritorno del figliol prodigo senza eguali nella storia dello sport. La clamorosa decisione del Re nell’estate 2014 ha esaltato i tifosi che lo insultavano quattro anni prima e regalato un record di valutazione economica per i Cavs, rispetto alla stagione precedente il valore della franchigia si è innalzato fino a 1,325 miliardi di dollari e le vendite di merchandising online sono salite del 700%. una vittoria inaspettata

Insieme alla giovane stella Kyrie Irving e al nuovo acquisto Kevin Love, LeBron James rispetta la promessa fatta tanti anni prima alla sua città e regala un titolo ai Cavaliers grazie all’incredibile rimonta nelle finali Nba del 2016 contro i Golden State Warriors. I Cavs sono la prima squadra a rimontare da un 3-1 in una finale, vincono 4-3 superando in trasferta i Warriors in Gara 7 con una mostruosa prestazione del Re, suggellata dall’incredibile stoppata su Andre Iguodala lanciato a canestro. LeBron ha messo fine al più lungo digiuno di titoli in una città nella storia dello sport professionistico Usa: 52 anni senza vincere nulla dopo il titolo Nfl dei Cleveland Browns nel 1964, la squadra di football della leggenda Jim Brown, oggi attore e totem vivente dello sport in Ohio. La vittoria del titolo Nba nel 2016 ha allo stesso tempo liberato James dal fardello di dover vincere a Cleveland permettendogli di ipotizzare un nuovo addio molto meno tempestoso del primo e completato un processo di identificazione tra il campione e la città che era in atto già da tempo: per capirlo è sufficiente assistere a una partita dei Cavaliers alla Quicken Loans Arena. Il centro della città si svuota, è impossibile trovare un parcheggio se non prenotandolo con largo anticipo, i locali intorno allo stadio aspettano pazientemente la fiumana di fan che si riversano fuori dalla Quicken Loans alla sirena finale, rigorosamente vestiti in “wine and gold”, i colori della squadra. Quando i Cavs arrivano a segnare 100 punti, e capita spesso, fuori dallo stadio li aspettano anche le alette di pollo gratis fornite dal di-

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stributore locale. Può capitare di assistere a una partita in cui il pubblico rumoreggia perché la squadra, a partita vinta, decide di fermarsi a 98 punti e tenere il pallone fino alla fine, negando però ai propri fan il pollo gratis. Surreale per noi, normalità negli States. In Italia sarebbe inusuale incontrare gruppi di anziani che tornano a casa sui mezzi pubblici commentando la prestazione dell’ultimo acquisto: a Cleveland è normale, la squadra “è” la città. Lo si capisce anche solo avvicinandosi allo stadio, dove in una via del centro campeggia un poster di LeBron che copre quasi completamente la parete di un palazzo. L’immagine mostra James che compie il suo rito prepartita, a braccia spalancate soffia verso l’alto la polvere di talco che si spalma sulle mani per aumentare la presa sul pallone. Sulla schiena del Re non compaiono le cinque lettere del suo cognome, ma il nome della città che lo idolatra. Quando si pensa allo sport come religione moderna, basterebbe un’immagine del genere per spiegare il concetto, oppure si potrebbe raccontare la genesi del suo secondo soprannome, il Prescelto. l’errore sul lago

Se consideriamo quanto scritto finora, sem-

brerebbe quasi che la vita di Cleveland dipenda interamente dal suo atleta più rappresentativo, ma non è così. La città sulle sponde del lago Erie deve il suo soprannome meno apprezzato dai residenti, “mistake on the lake”, al cattivo odore generato dai centri siderurgici e all’incredibile incendio nel 1969 dell’allora inquinatissimo fiume Cuyahoga, zuppo di petrolio, che portò a dichiarare morte le nere acque del lago. Oggi la situazione è migliorata e Cleveland è conosciuta anche per differenti tipologie di business, in ambito medico (la Cleveland Clinic, partner ufficiale dei Cavs, è uno dei migliori centri medici del mondo) e biotecnologico, senza dimenticare le industrie manifatturiere in grande crescita. Importante anche la Hall of Fame del rock and roll, che dal 1995 accoglie migliaia di visitatori ogni anno ed è un volano per il turismo. Tra qualche mese, dopo aver trascinato i Cavaliers alle Nba Finals praticamente da solo, James potrebbe abbandonare la città e non ci sono Hall of Fame che tengano, l’economia locale ne risentirà, obbligata per la seconda volta a dire addio a milioni di dollari. Se deciderà di andarsene, James porterà in un’altra città sogni di vittoria e il suo personale carico di potenziali ricavi e posti di lavoro, qualcosa che soltanto un vero Re può garantire.


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“LeBron è il Jordan di oggi” Il direttore Michele Ipprio racconta la nascita di NbaReligion.com: “È frutto di un mix tra giornalismo sportivo e passione per il digitale” _ NbaReligion è il sito italiano di riferimento per gli appassionati del basket Usa. È stato fondato dai fratelli Michele e Simone Ipprio. Michele, quando e come è nata l’idea di un sito in italiano riguardante la Nba? È nata nell’agosto di sei anni fa. Ai tempi non c’era un portale di riferimento in Italia per quanto riguarda la Nba. Io e mio fratello, ai tempi studenti di economia all’università, abbiamo quindi pensato di provare a coronare il sogno del giornalismo sportivo unendo anche la passione per il digitale. Le news in italiano erano completamente mancanti, una sera ci siamo messi all’opera e abbiamo creato NbaReligion. Le difficoltà sono state tante, ma ci siamo sempre circondati di tante persone con competenze differenti. La nostra fortuna è stata la passione per il digital marketing che ci ha concesso di raggiungere la notorietà che ha oggi il sito web. Vogliamo rendere questo sito un lavoro fisso per una cerchia di persone e vogliamo avere la nostra sede e diventare il punto di riferimento in Italia per quanto riguarda il basket statunitense, e chissà mai che un giorno la Nba non decida di guardare proprio a noi per affidarci la comunicazione. Le entrate della Nba fuori dagli Stati Uniti stanno crescendo a un ritmo elevato, più del 17% ogni anno. A cosa è dovuto a suo parere il successo della Nba come brand globale? La risposta è molto semplice: non c’è una

lega più innovativa di questa su tutti i livelli. Se parliamo di crescita internazionale il focus va ovviamente al marketing che la Nba ha sfruttato come poche altri. É l’unica lega al mondo che attrae i migliori giocatori del mondo e li porta sui campi di tutta America, cosa che non succede negli altri sport. Basta un giocatore indiano o cinese per conquistare la passione e l’interesse di miliardi di fan. Inoltre la Nba va proprio di sua sponte in quei territori per sviluppare la pallacanestro attraverso programmi dedicati ai più giovani perché sa che se dovessero mai trovare un talento volerà automaticamente in America e diventerà il simbolo della Nba per quel paese.

È vero, così si rischia che si annullino le rivalità come invece in passato non succedeva. Ma non è necessariamente un male.

Quali sono le differenze principali tra la cultura sportiva americana e la nostra? Questa è una domanda che mi è stata fatta molte volte soprattutto da amici e da neofiti dello sport americano. La differenza principale risiede nel fatto che l’evento sportivo, negli Stati Uniti, è visto come uno show da godere a 360 gradi, a cominciare dall’entrata nel palazzetto. È uno show che ti puoi godere anche durante i cosiddetti momenti morti: timeout, pause tra i tempi ecc. La spensieratezza con cui viene Vuole azzardare un pronovissuto il tutto rende perfetstico sul futuro di LeBron to l’esperienza per una inJames? Oggi le superstar tera famiglia, al contrario di della Lega hanno un ruolo quello che succede in EuroL’evento sportivo più importante nelle depa. C’è proprio una diversità cisioni che influenzano le di fruizione dello spettacolo negli Usa loro carriere, lei cosa ne sportivo. Però andrei un atè uno show pensa di questo cambiatimo più in là per capire la mento? differenza dello sport nella da godere Il 23 dei Cleveland Cavaliers società statunitense. Rubea 360° è il Michael Jordan di oggi, rei un pensiero di Federico per dirla in maniera poco Buffa a riguardo: negli Stati michele ipprio soft. Quello che ha compiuto Uniti l’esperienza sportiva quest’anno con Cleveland è il dei tempi della high school e solito mezzo miracolo, anche se non ha vinto del college è un punto di forza di ogni indiviil titolo, e lo dice uno che, ai tempi della fa- duo. Per questo viene inserito e sottolineato mosa scelta sugli schermi dell’intera nazione, nei loro curriculum. Pensiamola al contrario, il Re lo detestava. A prescindere dal risultato, chi si sognerebbe mai in Italia di scrivere sul sono convinto che cambierà casacca quest’e- curriculum di aver fatto parte della squadra state e il fatto che le superstar abbiano mag- di pallacanestro dell’università? Nessuno. E giore potere in sede di discussione del con- forse il problema è proprio questo, la cultura tratto secondo me è un’ottima cosa, al netto sportiva deve cambiare a partire dalle scuodei superteam, proprio perché rendono di- le e per questo servirebbe una attenzione da namiche le situazioni di mercato e ogni anno parte della politica… si tratta quindi di un’alabbiamo team e superteam differenti. tra storia. A.M.

I CASI

Le altre superstar del basket americano KEVIN DURANT

JAMES HARDEN

KD, 29 anni, è diventato campione nella Nba per la prima volta nella stagione 2016-2017 con i Golden State Warriors, superando i Cleveland Cavaliers di LeBron 4-1 nelle Finals di cui è stato eletto MVP. Il suo trasferimento dagli Oklahoma City Thunder ai Warriors di Steph Curry nell’estate del 2016 è stato molto criticato, considerando che l’anno precedente i suoi Thunder erano stati eliminati nei Playoff proprio da Steph e compagni. Con Curry e Klay Thompson, Durant fa parte di un superteam senza precedenti.

The Beard, questo il soprannome del 28enne degli Houston Rockets, è il favorito per vincere il premio MVP della stagione Nba 2017-2018. L’ex compagno di Durant ai Thunder ora gioca con Chris Paul ai Rockets. Nei Playoff 2018 lui e CP3 sono riusciti a portare lo scontro con gli Warriors fino a Gara 7, dove, complice anche l’assenza di Paul per infortunio, i texani hanno sbagliato troppe triple e si sono smarriti nel momento decisivo. I Rockets ci riproveranno l’anno prossimo, il supporting cast di Harden sembra essere all’altezza della sfida.

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UNIVERSITÀ NEL MONDO

GLOBAL UNIVERSITY CHRONICLE Pagine a cura di Federico Spagna 7 1 TURCHIA Manifestazioni contro la divisione degli atenei Centinaia di manifestanti sono scesi in piazza per protestare contro la decisione del governo turco di separare le facoltà per formare quindici nuove università. Per l’esecutivo guidato da Erdogan è un modo per favorire la crescita. Secondo docenti e studenti, invece, si tratta di un piano per ottenere il pieno controllo sulle università. 2 REGNO UNITO I rettori propongono riduzioni per gli europei A causa della Brexit le università della Gran Bretagna hanno stilato elenchi di corsi che potrebbero chiudere e stanno facendo pressioni sul governo per salvarli cambiando politica sulle tasse studentesche. Quando l’anno prossimo il Regno Unito lascerà l’Unione europea il numero di studenti europei potrebbe

crollare del 60%. Gli allievi che provengono da altri Paesi dell’UE pagano le stesse tasse di quelli britannici, dopo la Brexit saranno trattati come extracomunitari.

4 FRANCIA Proteste e barricate degli studenti in tutto il Paese Bloccato l’insegnamento e causati danni per centinaia di migliaia di euro a seguito delle proteste degli studenti nelle università francesi nelle ultime settimane. L’ira degli universitari francesi si rivolge contro le riforme dell’istruzione superiore introdotte dal presidente Emmanuel Macron. In particolare, il piano del governo francese prevede l’istituzione di criteri di ammissione più selettivi.

3 STATI UNITI Limitazioni del governo Trump verso i ricercatori cinesi I rapporti tesi tra il governo statunitense e quello cinese si riflettono anche nel mondo accademico. L’amministrazione Trump, infatti, preoccupata per la crescente capacità tecnologica della Cina, sta prendendo in considerazione misure severe per impedire ai cittadini cinesi di svolgere ricerche sensibili in università e istituti di ricerca americani per timore di acquisire segreti intellettuali.

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5 CINA Aumenta il numero degli studenti stranieri Si avvicina al mezzo milione il numero di studenti stranieri nelle università cinesi. Secondo gli ultimi dati del ministero dell’educazione del governo di Pechino, nel 2017 sono stati 489.200 gli studenti non cinesi. Dato non ancora sufficiente, però, per colmare il divario con gli studenti che invece lasciano la Cina per studiare all’estero: hanno superato quota seicentomila.

6 NUOVA ZELANDA Un ateneo considera un cambio di nome L’Università Victoria di Wellington sta considerando

di cambiare la propria denominazione perché viene ripetutamente scambiata con altri atenei di tutto il mondo che hanno un nome simile. “Il nostro lavoro viene regolarmente attribuito ad altre università con questo nome” ha dichiarato il rettore Grant Guilford. L’istituzione sta valutando l’ipotesi di trasformarsi semplicemente in “Università di Wellington”, cancellando il nome dell’ex Regina d’Inghilterra.

7 CILE Alle prese con i problemi d’identità dei transgender Molte università in Cile, complice l’assenza di una legge sul genere, devono assumere provvedimenti per i transgender. Il problema di ragazzi e ragazze che hanno cambiato sesso è che vogliono essere conosciuti con il loro “nome sociale”, cioè col nome corrispondente al genere scelto. Una legge sull’identità di genere è stata presentata il 7 maggio 2013 ed è ora in discussione in parlamento.

8 INDIA Si lavora per attrarre talenti da Asia e Africa Per attirare più studenti stranieri dall’Africa e dal resto dell’Asia nei maggiori istituti di istruzione superiore dell’India il governo ha avviato un progetto che riserverà loro 150mila posti all’anno nelle


LIBERTÀ

BOCCONI

migliori 160 università del Paese. Il piano, inoltre, introdurrà un nuovo sistema per l’esenzione dalle tasse.

9 DANIMARCA Sussidi di disoccupazione: necessaria la residenza È stato firmato un accordo fiscale dal governo danese per introdurre un requisito di residenza per il diritto a ricevere sussidi di disoccupazione. Scatta l’indignazione tra gli insegnanti, secondo cui la proposta dissuaderà i ricercatori dal recarsi all’estero per conseguire un’esperienza internazionale e danneggerà la scienza danese. 10 KENYA Con un satellite alla scoperta dello spazio Un satellite sviluppato da studenti e ricercatori dell’Università di Nairobi è stato lanciato nello spazio. Costato un milione di dollari, è partito l’11 maggio dal Giappone ed è stato realizzato con la collaborazione dell’Università Sapienza di Roma e di esperti dell’Agenzia di esplorazione aerospaziale giapponese. Il Kenya potrà raccogliere dati sui cambiamenti climatici, la mappatura della fauna selvatica e della Terra, previsioni meteorologiche e monitoraggio di coste e trasporti.

11 SOUTH CAROLINA Al vaglio l’ipotesi di ritirare la laurea a Bill Cosby L’Università del South Carolina sta riflettendo circa la possibilità di ritirare la laurea honoris causa a Bill Cosby. Il comico nel mese di aprile 2018 è stato dichiarato colpevole di tre aggressioni sessuali. Altri venti atenei statunitensi hanno già revocato il riconoscimento. 12 NORVEGIA Riforma delle ammissioni per gli studenti internazionali Un rapporto del governo norvegese dovrebbe portare all’introduzione di un sistema di ammissione nazionale coordinato centralmente per studenti laureati internazionali. Il sistema sostituirà quello attuale in cui a selezionare gli studenti sono le università. L’obiettivo del Paese scandinavo è quello di attrarre nei propri master i migliori studenti di tutto il mondo. Il rapporto “More or Better?” richiede un più strategico reclutamento di studenti laureati stranieri in Norvegia.

A scuola di machine learning

Londra contro la censura

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Il “machine learning”, l’apprendimento automatico dei computer, potrebbe essere fondamentale per prevenire i tumori. Anche per questo all’università Bocconi di Milano è stato attivato un corso sulle macchine intelligenti, la cui cattedra è stata affidata a Riccardo Zecchina, fisico teorico torinese di 54 anni e premiato nel 2016 dall’American Physical Society. Ma in che modo i computer potrebbero diventare indispensabili nella medicina e nella prevenzione del cancro? Perché sarebbero in grado di analizzare milioni di dati (come per esempio quelli sulle mammografie), con un’accuratezza superiore a quella umana. Per questo motivo il nuovo insegnamento è affiancato a un corso di laurea in “data science”, l’organizzazione delle grandi quantità di dati nelle aziende. Occorre una distinzione, però, perché il machine learning non permette alle macchine di pensare da sole, ma di usare algoritmi per estrarre dai dati che analizzano le informazioni che interessano ai ricercatori. La decisione di realizzare la nuova cattedra si inserisce nella direzione che hanno preso gli atenei milanesi negli ultimi anni. Le facoltà scientifiche, infatti, hanno fatto un balzo e sono in ascesa i dottori nelle professioni “Stem” (matematicotecnologico-ingegneristiche). Secondo l’ultimo rapporto Istat, la Lombardia ha una delle percentuali più alte di laureati in Italia (59,2%).

“Nessuna tribuna per la feccia conservatrice”. Con questo grido le associazioni studentesche hanno cacciato dall’università di Bristol il deputato reazionario Jacob Rees-Mogg. Questo è solo uno degli episodi di censura che, ormai di frequente, avvengono negli atenei britannici. Sempre più spesso, infatti, gli studenti e i loro rappresentanti non consentono il dibattito a personaggi portatori di idee opinabili. Allo stesso modo, anche a Germaine Greer scrittrice femminista critica verso i movimenti transessuali – è stato impedito di parlare a Cardiff perché accusata di essere “transfobica”. Così sono stati osteggiati anche attivisti antiaborto, gruppi cristiani e al King’s College di Londra è stata negata la parola a una youtuber antifemminista. L’idea di base usata come pretesto è quella di salvaguardare i giovani da discorsi che potrebbero essere offensivi. Insomma, un’estremizzazione del “politicamente corretto”. Ecco perché il governo britannico si trova costretto a scendere in campo per garantire la libertà di parola negli atenei, così come previsto dalla legge sull’educazione del 1986. Sulla questione è intervenuto il sottosegretario alle università, Sam Gyimah: “Una società nella quale le persone pensano di avere il diritto di negare a qualcuno di esprimere le sue opinioni perché impopolari è raggelante”. Le università, dunque, potrebbero essere multate.

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Di Federico Graziani e Carolina Sardelli Una gigantografia della Divina Commedia domina il muro dietro alla sua scrivania. Appeso accanto alla porta d’ingresso, lo spartito delle Nozze di Figaro di Mozart testimonia la passione di Fedele Confalonieri per la musica classica: “Ma so benissimo che per la maggioranza la musica è Vasco Rossi, se va bene i Beatles”. Diplomato al Conservatorio di Milano in pianoforte, è stato amministratore delegato del Giornale di Indro Montanelli (“Scriveva divinamente… Un giornalista unico”). Braccio destro di Berlusconi, Confalonieri ha vissuto da protagonista la nascita della tv privata in Italia. Dal 1996 è presidente di Mediaset. Quanto è cambiata la tv italiana in questi anni? Il digitale ha cambiato molto. Quando Berlusconi ha avuto l’idea geniale di contrapporsi al monopolio Rai, c’eravamo solo noi, il servizio pubblico e le tv locali. Adesso solo per scorrere con il telecomando i canali gratuiti impieghi mezz’ora e non hai nemmeno guardato metà dell’offerta. La competizione tra reti tv è molto più agguerrita e inoltre sono arrivati gli Over The Top (Ott; le piattaforme che distribuiscono contenuti online ndr) che hanno sottratto alle tv investimenti pubblicitari per un miliardo e mezzo di euro. I nuovi operatori online hanno possibilità infinite grazie a due fenomeni: la globalizzazione e la tecnologia. Oggi la comunicazione classica – pensiamo ai giornali e ai magazine – perde valore ogni giorno. La tv regge, ma con fatica, perché come abbiamo visto la concorrenza è anche squilibrata. Muta anche il modo di fare televisione, per esempio con l’all-news, in onda quasi 24 ore su 24. Tecnologia e globalizzazione sono i due elementi della modernità. Possiamo datarli a inizio anni Duemila, quando è stato lanciato Youtube (nel 2005 ndr). La politica poteva intervenire subito per creare regole uguali per tutti e tutelare la proprietà dei contenuti, ma ha capito poco. Dietro c’è anche un grosso problema politico, perché lo strapotere degli operatori globali è una forma di neocolonialismo americano. Noi televisioni italiane abbiamo mille vincoli (le fasce orarie protette, le quote per il cinema, i limiti alle pubblicità nei film…) mentre gli Ott non hanno alcun limite (puoi trovare online contenuti pornografici pesantissimi, tutorial dell’Isis che insegnano a costruire bombe). Insomma, noi siamo iper-regolamentati, loro zero… Almeno pagassero le tasse! Ma anche questo non succede. O succede in modo risibile, a causa del loro essere sovranazionali.

Fedele Confalonieri Presidente Mediaset

“I PADRONI DI INTERNET SI BATTONO CON LA TV POP” 20

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Come può convivere la televisione con Internet e in relazione anche agli Over The Top. Qual è la strada da seguire? La nostra difesa è puntare sui contenuti esclusivi. Per combattere i vari Netflix, Amazon, Google, dobbiamo fare una televisione nazionale che, nel panorama globale, sia locale e popolare. Le produzioni di Netflix saranno anche bellissime, ma sono fredde, qualcosa che sta in frigorifero e tu tiri fuori quando hai voglia. Al contrario i nostri programmi, dal Grande Fratello o l’Isola dei Famosi – che possono piacere o non piacere – l’intrattenimento di Maria De Filippi ma anche l’informazione e i talk show sono tutti contenuti televisivi che si riferiscono alla nostra realtà giorno per giorno, spesso in diretta. Gomorra e Suburra, pur essendo serie tv italiane, sono prodotti pronti da congelatore che puoi guardare quando vuoi ma non si evolvono. Lo stesso ragionamento vale per i giornali locali: reggono ancora perché hanno un prodotto unico che alla gente interessa poiché riguarda i fatti che li circondano. La nostra è una tv nazionale che racconta i fatti e il costume italiano. È una tv calda, e qui sta il nostro futuro. Come si blocca la fuga dei telespettatori verso le decine di nuovi canali pay e on demand? Essere vicini al pubblico è l’elemento che garantirà un futuro alle emittenti nazionali. I programmi di intrattenimento, come Striscia la notizia, le Iene, ma anche Ballando con le Stelle della Rai, sono prodotti che funzionano, perché il pubblico cerca un divertimento con volti e fatti che conosce. Potrà far ridere anche Woody Allen, ma il grande pubblico ai miei tempi rideva di più


PORTRAIT

con Walter Chiari, come oggi succede con Claudio Bisio, Ficarra e Picone e gli altri. Come è cambiato il modo di fare giornalismo in questi anni? Una volta aspettavamo i quotidiani del giorno dopo per avere e dare le notizie, oggi attraverso lo smartphone siamo subito collegati con quello che è accaduto meno di dieci minuti fa. Il giornale è già diventato un prodotto da amatori, da addicted alla lettura. Io non riesco a passare una giornata senza aver letto un giornale, ma sono un cavernicolo per questo periodo. C’è però da dire che per leggere le 60 pagine di un giornale ci metti una mattinata. E rischi sempre di essere insoddisfatto: se leggi il giornale trovi troppi articoli, solo alcuni davvero necessari, ma se non lo leggi ti chiedi cosa ti sei perso. Questa è la contraddizione dei quotidiani di oggi. C’è chi dice che i giornalisti possano vedere parecchio ridimensionato il loro ruolo. Essendo una scuola di giornalismo, non ci fa molto piacere. Lei cosa ne pensa? Nell’era del web, la parola-chiave è disintermediazione, una parola che va a vostro sfavore. La vostra professione è proprio quella di essere intermediari intelligenti tra i fatti e il pubblico: selezionare, spiegare, creare gerarchie negli eventi. Il futuro del giornalista sarà sempre più quello dell’opinionista, colui che interpreta i fatti. Negli ultimi anni, Mediaset è riuscita a fare un sito importante come il Tgcom24.it, secondo nella classifica Audiweb . Paolo Liguori è il giornalista che lo ha fatto partire. Il Tgcom24 funziona perché è fatto bene e perché punta sulla convergenza tra televisione, web e radio.

Se potesse ripristinare un programma tv del passato senza pensare agli ascolti? Io manderei in onda una partita del Milan. Una partita di Champions (ride). Forse la prima Coppa dei Campioni vinta da Berlusconi, nel 1989: il 4 a 0 a Barcellona contro lo Steaua Bucarest. C’erano allo stadio 70-80 mila rossoneri. Cosa le piace guardare in televisione? Guardo molto il calcio e l’informazione. Ma non i talk show politici, che mi annoiano soprattutto quando si comincia a discutere: dopo un po’ che si parla delle stesse cose non ne puoi più. Anche perché quelli che partecipano a quei programmi sono politici che devono parlare tutti i giorni: io penso – e mi sopravvaluto – che mi scappa una cosa intelligente una volta al mese, possibile che questi possano dire qualcosa di intelligente ogni ora? Impossibile. Che altro? Qualcosa di spiritoso, perché ridere fa sempre bene. Poi guardo anche la concorrenza: c’è un bellissimo canale che si chiama Classica, dove al sabato sera c’è sempre un’opera (dalla Scala, da Salisburgo…) che poi viene replicata durante la settimana. Altre cose che mi piacciono? Denuncio la mia età: mi piace il genere «bar sport». Per esempio, Telelombardia ha una decina di signori di squadre diverse che discutono di calcio come un tempo avveniva al bar sport.

LA CARRIERA Fedele Confalonieri, nato a Milano il 6 agosto 1937, è presidente di Mediaset dal 1994, dopo l’entrata in politica di Silvio Berlusconi. Già nel consiglio di amministrazione della casa editrice Arnoldo Mondadori e de Il Giornale.

C’è un personaggio che ancora non è passato da Mediaset ma che le piacerebbe avere? Forse il personaggio di maggior spicco nel mondo televisivo è Fiorello. Ha un talento enorme. Canta come un cantante, ma di quelli bravi, è spiritoso come pochi. È anche intelligente, perché si gestisce con cautela, fa un po’ di radio, un po’ l’edicola. Fiorello nel suo è un genio.

Dal 18 luglio 2017 è presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano.

Il Mondiale di Russia 2018 sbarcherà su tv privata in chiaro per la prima volta. Cosa significa per Mediaset? Un bel colpo, non solo di immagine, che credo ci darà anche Perché non si riesce a fare un programma di Fiorello su Mequalche soddisfazione economica. È anche diaset? l’occasione per lanciare un nostro nuovo canaCi aveva provato Antonio Ricci a suo tempo, le, il 20, che sta andando molto bene e manderà però non si è combinato. Fiorello è uno verain onda anche alcune partite in esclusiva. CerFiorello è il migliore. mente molto parco, ed è molto intelligente to, non giocano gli Azzurri - se siamo scarsi, in questo. Ricordo che Alberto Sordi andava Si sa gestire siamo scarsi – ma con tutti i calciatori imporpoco in televisione, solo quando doveva far tanti che giocano in Italia sarà comunque un uscire un film. La televisione – e la cosiddetta con cautela. successo di audience. Perché l’interista vuol overexposure – usura: capirlo è una forma di Vorrei averlo vedere Icardi, il milanista… No, il milanista non intelligenza. Di Maio, per esempio, è già in ovevuol vedere niente, poveretto (ride). rexposure. Perché non c’è niente da fare: quana Mediaset do stai troppo in televisione, alla fine stanchi a FEDELE CONFALONIERI Cosa rappresentò Mike Bongiorno all’iniprescindere da quello che dici. I grandi del paszio di Mediaset? sato in tv si vedevano poco. E meno male che si Berlusconi diceva “bisogna trovare quelli che vedevano poco, perché se li avessi visti tanto… sono nella pancia degli spettatori”, Mike lo era. Mike è stato Insomma, c’è il vecchio detto: nessuno è grand’uomo per il suo un colosso della tv ed è stato il primo a venire da Berlusconi. maggiordomo. Mi ricordo che quando il Cavaliere lo ingaggiò ci vedemmo in un ristorante di Milano, il Club44, dietro al cinema Durini. Lui, La Veneranda Fabbrica del Duomo metterà a disposizione americano, aveva avuto esperienze negli Stati Uniti e con Lascia degli immobili agli studenti universitari, anche della Iulm. o Raddoppia, con i suoi quiz, faceva fermare l’Italia. A che punto è l’accordo? Non lo abbiamo ancora chiuso, ma metteremo a disposizione Oggi chi è nella pancia degli spettatori? due immobili in una bellissima zona: sulla Darsena, in viale GoOggi ci sono la Hunziker, la Barbara D’Urso, Gerry Scotti, la De rizia. Sotto uno dei due c’è la scuola di canto della Veneranda Filippi e tanti altri da noi. E qualcuno, forse, anche in tv concorFabbrica del Duomo. Sono stanze che hanno anche la cucina, e renti. Ma sono poche le vere grandi star. Gli spettatori si identisaranno per una o due persone. E vogliamo renderli disponibili a ficano con loro. una cifra abbordabile per studenti universitari.

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NET NEWS

Acquisti Quando per diventare popolari in rete si è disposti a spendere per comprarsi numeri e notorietà

Supermarket social “Paga e sei famoso”

1 UGANDA Arriva la tassa per chi usa i social network L’Uganda ha introdotto una tassa sui social network pari a 200 scellini al giorno (che corrispondono a tre centesimi di euro e mezzo). Il presidente Yoweri Museveni l’ha definita necessaria per “far fronte alle conseguenze del gossip”. La tassa entrerà in vigore da luglio, sarà giornaliera e dovrà essere pagata da tutte quelle persone che utilizzano Whatsapp, Facebook, Skype e altri social media. 2 LICENZIAMENTO SOCIAL Cassazione, ok a un licenziamento per un post

Like e visualizzazioni per crescere e farsi notare coi numeri Tanti siti propongono tariffe per comprarsi la popolarità Ma come si distingue chi ha talento da chi è solo “cifre”?

Di Francesco Nasato _ Tutto ha un prezzo. Anche la popolarità social. Dipende da quanto si spende. Ci sono soluzioni per tutte le tasche: da pochi euro (9,90 per 500 like internazionali su Facebook) fino a centinaia (259 euro per 2.550 like italiani sempre su Facebook). Il mercato da questo punto di vista è variegato e democratico, esistono possibilità per tutti, come dimostra marketing-seo.it, uno dei tanti siti che offre questi servizi: Facebook, Twitter, Instagram, You Tube, Spotify, dimmi su quale social sei e ti dirò quanto pagare per diventare famoso. Come in un supermercato della visibilità, ogni piattaforma ha una sezione dedicata per ogni social. Per Facebook si possono comprare like, commenti, mi piace, seguaci o condivisioni, follower su Twitter e Instagram, con l’aggiunta per le foto di commenti e condivisioni. Su You Tube si passa alle visualizzazioni e ai like per i video, fino alle riproduzioni per un brano da ascoltare su Spotify. Questo significa che chiunque sia popolare o diventi famoso in rete abbia comprato il successo senza avere talento? Ovviamente no, ma è inevitabile porsi il problema di quanto i numeri in rete facciano sempre di più la differenza. Numeri che più sono alti e più, in molti casi, presuppongono una reputazione positiva sui social. Il ragionamento vale per i singoli utenti, ma anche per le attività com-

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merciali. Prendete i ristoranti su TripAdvisor. Una volta era la Guida Michelin a portare i palati nei luoghi più autentici del gusto. Oggi per prenotare si guardano le recensioni e in base alle stelline si decide. Ma chi assicura che quei commenti siano imparziali e non manipolati? Serve un atto di fiducia, ma anche in questo caso non mancano zone d’ombra. Negli scorsi anni diversi ristoratori hanno raccontato di essere stati contattati da agenzie specializzate in recensioni positive su commissione. Il meccanismo era semplice: l’agenzia mandava nel ristorante un numero di persone selezionate che avrebbe poi postato, dietro compenso, una recensione entusiasta del locale in questione. Reputazione alle stelle, più clienti e un giro d’affari che cresce a discapito della concorrenza. TripAdvisor è stata accusata di non fare abbastanza per evitare questo fenomeno, ma dal sito si sono sempre difesi sostenendo di aver già messo in campo tutte le possibili strategie per smascherare commenti tendenziosi. Dal punto di vista del business il meccanismo funziona e permette a tutti di essere soddisfatti (l’agenzia incassa denaro, il soggetto presente sul web si vede corrisposto un servizio che funziona). I numeri sul web fanno un altro effetto se letti considerando questi fattori. E diventa ancora più complicato distinguere chi si costruisce il successo e chi invece sceglie la via dell’acquisto facile, rapido e meno faticoso.

La Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento di una donna di 43 anni dal posto di lavoro a Forlì per un messaggio postato su Facebook il 9 maggio 2012. La donna si sfogava lamentando le mancanze dell’azienda e criticando il continuo cambio di incarichi a cui era sottoposta. Dopo tutti i gradi di giudizio, la sentenza definitiva è andata a favore dell’azienda che aveva deciso di chiudere il rapporto con la sua dipendente.

3 CULTURA IN RETE Crescono i musei italiani connessi a internet Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio del Politecnico di Milano sono sempre di più le istituzioni culturali che in Italia utilizzano Facebook, Twitter e Instagram. Sempre secondo la ricerca, però, solo 4 su 10 hanno una vera strategia digitale alle loro spalle. In calo, infine, la percentuale di musei che non sono


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presenti su nessun social network: si è passati dal 46% al 43% del totale.

4 GB 21 figli, l’annuncio sul canale Youtube di famiglia “Volevamo fermarci al 20esimo, ma... sorpresa: è in arrivo il 21esimo, una bimba”, così la famiglia britannica dei Radford ha annunciato attraverso il proprio canale Youtube l’incredibile record. Su Instagram, poi, i due coniugi, Sue di 42 anni e Noel di 46, hanno scritto: “Non vediamo l’ora di darti il benvenuto in famiglia, piccola”. La donna ha avuto il primo figlio all’età di 14 anni.

5 MINACCE SOCIAL Palermo, tre indagati per insulti a Mattarella La Procura di Palermo ha iscritto tre persone nel registro degli indagati per le accuse e gli insulti social rivolti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante le trattative per la formazione del Governo italiano. Le accuse sono quelle di istigazione a delinquere, attentato alla libertà e offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubblica. La condanna per questi reati varia da cinque a quindici anni.

6 NBA Bryan Colangelo non è più il presidente dei 76ers

Bryan Colangelo, non è più presidente dei Philadelphia 76ers, squadra NBA, il campionato di basket più famoso del mondo. La separazione consensuale è avvenuta perchè Colangelo avrebbe creato cinque account Twitter anonimi per criticare i propri giocatori, difendere le scelte della dirigenza della squadra, attaccare l’operato dei colleghi e diffondere dettagli medici riservati di alcuni atleti. Si attende ora il suo sostituto.

7 INDAGINI SOCIAL Sequestro di specie protette grazie a una foto La Capitaneria di Porto di Civitavecchia ha sequestrato alcuni chili di datteri di mare all’interno di un ristorante sul lungomare dopo una foto postata dai gestori del locale sui social network. La pesca, detenzione e commercializzazione di questi datteri è assolutamente vietata da una normativa nazionale e internazionale. Per i titolari è scattata una denuncia penale per detenzione e somministrazione di specie ittiche protette.

8 RISCHI I social hanno un impatto negativo sulla nostra mente Un’indagine della Royal Society for Public Health su un gruppo di 1479 giovani fra i 14 e i 24 anni sostiene che Instagram sia il social più pericoloso per la salute mentale di chi lo utilizza. All’ultimo posto della classifica si colloca YouTube. Instagram è percepito negativamente per quanto riguarda ansia, depressione e per la sindrome da esclusione che getta le persone nel panico quando sono disconnesse.

9 VATICANO Social, anche le suore di clausura potranno usarli Il Vaticano dice sì all’uso dei social network e dei media anche per le suore di clausura, a patto che questi strumenti siano usati con moderazione all’interno dei conventi. È quanto ha stabilito la Congregazione per gli istituti di vita consacrata del Vaticano che ha presentato un documento, su indicazione di Papa Francesco, in cui illustra le regole di vita per le suore di clausura.

10 SOCIAL(E) In Mali la prima piattaforma per analfabeti L’ingegnere maliano Mamadou Sidibè ha lanciato il primo social network pensato per gli analfabeti. Il suo nome è Lenali e si tratta di un social completamente audio, per la cui realizzazione sono stati investiti 160mila euro. Presente su Google Play, Lenali è stato scaricato da 30mila persone nell’ultimo anno e per ora è disponibile in francese, lingua ufficiale del Mali e nei dialetti parlati nel paese.

CONNESSIONI

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LIKE & UNLIKE A cura di Guido di Fraia*

DALLO SPOT AI POST COSÌ SI EVOLVE LA COMUNICAZIONE _ Se chiudiamo gli occhi e torniamo a trent’anni fa, ci accorgiamo che nella vita quotidiana è cambiato tutto. All’epoca Internet non c’era e chi parlava di crisi economica si riferiva a quella del ’29… Ma la comunicazione sociale, che parla di temi grandi e trasversali, è riuscita a stare al passo con l’evoluzione degli strumenti e delle pratiche comunicative? È diventata anche comunicazione social? Una domanda complessa, alla base di un lavoro di ricerca promosso da Mediafriends e realizzato dall’università IULM. Due i mondi di indagine: la TV, con l’analisi di 800 spot negli spazi Mediafriends tra il 1992 e il 2017; e il digitale, con lo studio dell’attività su Facebook e Youtube di 800 enti del terzo settore, tra novembre e dicembre 2017. E’ emerso che la comunicazione sociale si è evoluta, tanto da poter segnare alcune linee di demarcazione temporali, ma in merito al “come” vi sono diversi aspetti su cui riflettere. Dagli anni Novanta, in cui gli spot mettevano in guardia lo spettatore dai rischi delle dipendenze (fumo, alcol, droga…), si è giunti al 2000, in cui prevalgono l’altruismo (ambiente e territorio, adozioni a distanza, prevenzione…) e un tono espressivo responsabilizzante. Dopo la crisi economica del 2007 si entra invece nel periodo odierno, in cui gli spot della comunicazione sociale si concentrano sulla salute, i diritti dell’infanzia, i maltrattamenti e gli abusi. Tipicamente al destinatario viene rivolta una sola richiesta: l’SMS solidale. Non tanto un impegno a lungo termine, ma un’azione tanto efficace quanto impulsiva, che lo fa sentire in pace con la coscienza. In questo senso sì che la comunicazione sociale è stata contagiata dal contesto: come le aziende, le associazioni vanno alla ricerca di uno storytelling in L’utente deve cui immedesimarsi col protagonista, essere reso mostrando gli effetti concreti del departecipe, naro donato (“hai aiutato Mario ha non solo guarire per raggiungere il suo sogno, emozionato un viaggio in barca a vela”). Anche i social vanno nella stessa direzione, privilegiando il volto dei testimoni (l’esperto o il volontario) rispetto al testimonial. Nell’era della post-verità, la comunicazione social(e) diventa il modo per rassicurare l’utente e riconquistare la sua fiducia. Tutto questo, però, a patto che i canali siano usati con cognizione di causa. E qui diverse associazioni ancora traballano. L’esempio più tangibile è YouTube: mentre gli Youtubers diventano celebrities e le aziende si danno battaglia con video spettacolari, i canali di molte (piccole) associazioni sono meri repository di interminabili filmati istituzionali. Con risultati prevedibilmente scarsi, in termini di visualizzazioni e coinvolgimento. Sul fronte dell’engagement ci si aspetterebbe di più Facebook degli enti più grandi, che riescono a riunire migliaia di persone, ma non ad instaurare un vero dialogo con loro: gli sforzi sembrano più focalizzati sulla call to action del “dona ora”. Così, coi pochi euro offerti sull’onda dell’emozione, l’associazione si sostenta e l’utente si sente meglio. Ma al tempo stesso – mi permetto di dirlo – si perde l’occasione di trasformare questa relazione in vera e propria partecipazione. *docente di metodologia della ricerca sociale Università Iulm

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SHARING WORLD

L’ecoarmadio condiviso A Monza nasce Vic, la start up che permette di rinnovare il guardaroba ogni mese attraverso la sharing economy e combatte l’inquinamento con brand sostenibili

Di Alberta Montella _ Passione per la moda e stile di vita sostenibile si incontrano e danno vita a Vic: Very important choice. Una piattaforma digitale che permette ai suoi utenti, uomini e donne, di condividere e prendere in prestito per un mese capi di abbigliamento fashion, ma realizzati in modo eticamente corretto e sostenibile. L’idea alla base della start up made in Monza, ideata da Francesca Lisot, life coach, e Francesca Romani Rinaldi, docente di fashion economy alla Bocconi, si ispira alla green economy, l’economia ecologica, molto sviluppata nei paesi nord europei. É proprio Copenaghen, spiega Lisot, con i suoi eco store e market place di abbigliamento sostenibile, che ha ispirato la nascita di Vic. “Noi però - ci tiene a precisare Francesca Lisot, ceo di Vic - non siamo niente di tutto ciò, siamo una forma ibrida che mette insieme la sharing economy per la parte di utilizzo condiviso e la green fashion economy per quanto riguarda la tipologia di capi selezionati per essere offerti alla clientela”.

come funziona

riciclo creativo

La piattaforma online, attivata il mese di aprile e che sarà nella sua fase pilota fino alla fine di luglio, permette agli utenti iscritti, ogni 24 del mese, di richiedere in prestito per i trenta giorni successivi tre capi. Il costo del servizio è di poco meno di 50 euro nei quali sono compresi la spedizione a casa, ma anche il ritiro e il lavaggio al termine del prestito. “É tutto green, non solo i capi che proponiamo ma tutto il percorso - continua Lisot - Tra un utilizzo e l’altro adoperiamo un lavaggio ecologico, successivamente facciamo una sanificazione all’ozono. In questo modo garantiamo che più persone condividano abiti assolutamente puliti”.

Sharing e green economy, ma anche upcycling, ovvero un riciclo creativo che migliora il valore dell’oggetto originario. “A fine ciclo quando il capo non potrà più essere indossato, faremo una vendita di beneficenza con i nostri utenti. Ma - dice Lisot - quello che resta sarà destinato a un take back. Significa che questi capi saranno riciclati per nuove collezioni in partnership con dei brand selezionati. Così da rimettere tutto in circolo”.

green e sharing economy

Vic si propone come un concept nuovo anche per l’Europa dove, per esempio, sono molto diffuse le clothing library, le librerie di vestiti dove si condividono capi, ma di seconda mano e senza garanzia che siano sempre realizzati in modo sostenibile. Per questo la piattaforma di abbigliamento si ritiene qualcosa di nuovo senza nessun competitor specifico al momento. “Vorremmo costruire uno storico - spiega l’ideatrice di Vic - non rinnovando l’armadio digitale, necessariamente, ogni stagione”. “Così, se un cliente vorrà riprendere in prestito un capo che ha già affittato in precedenza - aggiunge ancora Francesca Lisot - potrà farlo. In questa fase di prova collaboriamo con nove brand che, secondo i nostri pronostici, diventeranno 50 entro la fine dell’anno. Ragionando sul lungo periodo, ci auguriamo che possano diventare 500 entro i prossimi cinque anni”.

solidarietà

La sede della start up è negli uffici di Silva 26 a Monza, negli spazi del centro civico San Carlo San Giuseppe, nucleo innovativo del territorio monzese. Il magazzino, invece, è a Novara e per il momento può contare su 150 capi a disposizione. Il progetto però punta a svolgere anche una funzione sociale. Vic mira ad aprire dieci punti logistici in altrettante città d’Europa. Questi serviranno come magazzino, lavaggio e stiraggio per i capi. L’idea, fa sapere la fondatrice, è quella di “coinvolgere delle cooperative locali per far svolgere questi compiti a persone che versano in condizione di fragilità e facilitare il loro accesso nel mondo del lavoro”. Non solo fashion, sostenibilità e solidarietà. “La moda è la seconda industria più inquinante della Terra. Partendo da questa considerazione e da una nuova idea di shopping l’obiettivo di Vic rimane soprattutto uno: creare una reale alternativa al fast fashion racconta Francesca Lisot - Con una quota mensile, accessibile a tutti, i membri della nostra community possono usufruire in continuazione di nuovi capi, invece di acquistare e accumulare abiti delle grandi catene d’abbigliamento”.

I CASI

Sharing quotidiano A cura di Sara Bernacchia _ La sharing economy è parte integrante della nostra quotidianità. Così, con l’arrivo dell’estate, risulta automatico approfittare di situazioni “in condivisione” anche per l’organizzazione delle proprie vacanze. E le soluzioni, a ben vedere, non mancano.

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1. COWORKING PER GIORNALISTI

2. YESCAPA

3. CROQQER

Un coworking per giornalisti freelance nel quale, h24 e per sette giorni a settimana, possono lavorare in un ambiente dinamico e di condivisione. Lo spazio, aperto a Torino all’inizio di maggio, nasce per iniziativa dell’Associazione stampa subalpina e dispone di 16 postazioni da “riservare” per cento euro al mese.

Arriva in Italia Yescapa, la piattaforma che mette mette in contatto proprietari di camper e e viaggiatori che vogliono provare tali mezzi. I proprietari inseriscono le caratteristiche del camper e la cifra richiesta e i viaggiatori scelgono dalla lista. Il giorno della partenza i due si incontrano per la consegna delle chiavi e la firma del contratto.

Nel quartiere romano di San Lorenzo è arrivata Croqqer, la piattaforma che crea una community per lo scambio di servizi e lavori. Chi ha bisogno scrive la sua richiesta sulla app, scegliendo se chiede un aiuto volontario o offre un compenso, chi è in grado di aiutarlo risponde all’appello. La piattaforma trattiene il 20% delle transazioni economiche.

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SHARING WORLD

CONNESSIONI

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PANE & SHARING A cura di Gea Scancarello*

L’ECONOMIA DELLA PIGRIZIA CORRE IN BICICLETTA

La start up. Vic mette a disposizione, attraverso lo sharing, tutti brand d’abbigliamento che realizzano capi sostenibili.

4. UBEEQO

5. L’IDEA POST-SISMA

In vacanza con il car sharing. È il servizio offerto da Ubeeqo, società di car sharing a postazioni fisse. L’utente prenota online il veicolo che preferisce (anche a 7 posti) e può prelevarlo nella postazione più vicina (h24, 7 giorni su 7) trovando già a bordo l’equipaggiamento richiesto: dal trasportino per animali al portapacchi.

Ripartire dopo il terremoto puntando sullo sharing delle seconde case. È una delle proposte avanzate da Nomisma, che ha effettuato uno studio sulla fattibilità del progetto “Ripartire dopo il sisma”. L’idea è quella di ripristinare le abitazioni e valorizzarle proponendole come case vacanze attraverso la creazione di servizi di “sharing holiday”.

_ Dare i numeri, inteso quelli del bilancio, non è prassi tra le start up, tanto meno quando diventano unicorni, cioè colossi con valutazioni che superano il miliardo di euro. Si è però saputo a maggio che Deliveroo, uno dei più diffusi servizi di food delivery, ha raccolto dal mercato poco meno di 1 miliardo di capitali, portando la propria valutazione intorno al doppio. Gli investitori insomma puntano forte sulla gig economy (economia dei lavoretti) che, proprio come food delivery, è un altro eccezionale anglismo per dare una patina scintillante alle cose, evitando di parlare di fattorini sottopagati, in sella a bici proprie, che servono la nostra pigrizia. Per tutto questo business, la pigrizia è in effetti una specie di garanzia: il ritorno sull’investimento è assicurato. Non servono raffinati analisti per sapere che più i nostri difetti vengono tollerati, coccolati e incentivati, più cresceranno: e quindi, finché stare stravaccati sul divano e digitare sul telefono aspettando che qualcuno faccia la spesa per noi sarà considerato utile all’economia, è improbabile che le pur rilevanti chiamate alla coscienza individuale sortiscano alcun effetto. Sta qui, probabilmente, la differenza rilevante - e sconfortante - tra la crescita esponenziale di tutto il mondo dell’economia on demand, che include la gig economy, e la sharing economy da cui molte di queste trovate imprenditoriali sono nate. La condivisione (alla base della sharing economy) implica infatti la messa in comune di beni, proprietà e competenze, per ottimizzare processi, ridurre gli sprechi e promuovere modelli di consumo, e di sviluppo, più consapevoli. Offrire un divano a qualcuno - la pratica alla base del couchsurfing - non implica lo scambio di denaro, ma Deliveroo soltanto la volontà di aprirsi all’altro, ha raccolto aumentando le possibilità per tutti quasi 1 miliardo di girare, viaggiare e conoscere. Il di capitali guadagno è un elemento secondario: sul mercato quello primario è la volontà. E quindi, indirettamente, anche lo sforzo: per adeguarsi alla presenza di altri, destinare loro il tempo libero, abbattere i propri pregiudizi. Anche alcune piattaforme che prevedono il passaggio di denaro, come Airbnb, possono prevedere qualche sforzo: per esempio se la casa messa a disposizione è la propria, o se si affitta una sola stanza. In questi casi, l’elemento di business è inferiore al dato umano necessario a realizzarlo, che si nutre di apertura, disponibilità, attenzione all’altro. E cioè, va detto, di cose potenzialmente faticose, che richiedono un coinvolgimento diretto. Con questa prospettiva è molto più facile capire perché la sharing economy langua terribilmente rispetto a tutte le nuove App ‘on demand’, in cui esiste una parte che fa e l’altra che chiede, ordina, consuma. Questo secondo modello non ha nulla di rivoluzionario, ha semmai molto di reazionario nella mancata tutela di chi eroga materialmente i servizi e nel tentativo di distoglierci dal prenderne consapevolezza, in nome della modernità. La sharing economy, al netto degli anglismi, ha una prospettiva tutta diversa: faticosa, attiva, partecipata, che prova a mitigare i nostri difetti, e non a sfuttarli. *docente del Master in Giornalismo Iulm

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IULM NEWS

EVENTI

Summer Harvard School _

Iulm: boom d’iscritti Continua la crescita delle immatricolazioni negli atenei lombardi A guidare la classifica c’è l’università fondata da Carlo Bo Ottimi risultati anche per i master: +27% in quattro anni

di Gianluca Brigatti _ Nel boom delle immatricolazioni che da diverso tempo investe gli atenei lombardi, dove i nuovi iscritti aumentano più che nel resto d’Italia, il primato va all’Università Iulm. Secondo lo studio di Eupolis sul mercato del lavoro e della formazione, nel quale vengono analizzati i dati dell’anno scolastico 2015/2016, il numero delle matricole è aumentato del 38% rispetto al 2007/2008, l’ultimo anno prima della crisi. confermato il trend

E l’andamento è confermato anche per il corrente anno accademico: rispetto al precedente, secondo i dati Iulm, le iscrizioni alle lauree triennali e magistrali sono cresciuti, rispettivamente, del 9,2% e del 15,9%. C’è anche il balzo per le immatricolazioni ai Master, che negli ultimi 4 anni sono aumentate del 26,9%. Tornando al rapporto Eupolis, dietro all’Università Iulm ci sono il San Raffaele (più 22% nel 2015/2016 sul “007/2008), il Politecnico (più 19%), Bocconi e Statale (più 10%). L’Università Cattolica, invece, segna un risultato negativo: meno 6%. “A favore della crescita delle immatricolazioni giocano l’offerta formativa sempre più ampia, la forte spinta internazionale e i fondi (europei e non) assegnati ad aziende legate

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alle università”, ha detto in un’intervista al Corriere Fabrizio Sala, vicepresidente della Regione e assessore a Università, ricerca e innovazione. Proprio sul fronte delle sinergie tra imprese e atenei, si è chiuso da poco un bando da cento milioni, mentre un altro da 50 milioni è già pronto. i dati istat

Secondo l’Istat, inoltre, in Lombardia corrono anche le percentuali dei laureati: 59,2% dei ragazzi tra i 20 e i 29 anni, mentre la media nazionale è di 48,5%. Si piazza così al quarto posto dopo Lazio, Emilia-Romagna e Abruzzo. E la Lombardia è la quinta regione se consideriamo i dottori delle discipline Stem (acronimo di derivazione inglese che indica scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), con il 26% dei laureati. Relativamente alle materie in campo sociale, economico e giuridico, il dato sale al 37,2% (le più gettonate sono Scienze Economiche, Scienze della Comunicazione e professioni sanitarie). il futuro

Nei prossimi dieci anni circa il 70% dei mestieri vivranno delle trasformazioni e si evolveranno verso forme sempre più tecnologiche e digitali. “Incoraggiare chi si iscrive alle facoltà scientifiche – prosegue Sala – vuol dire avere una visione di lungo periodo, ma il nostro è un territorio di opportunità anche per le facoltà umanistiche”.

Harvard University torna in Iulm. Dal 18 giugno al 13 luglio si terranno infatti i corsi della Summer School promossa dal prestigioso ateneo statunitense dedicata al tema “Beauty, Leadership and Innovation”. Cinque studenti Iulm (iscritti al Corso di Laurea Magistrale in Arti, patrimoni e mercati) avranno così la possibilità di frequentare la scuola estiva insieme a un gruppo di colleghi provenienti da Harvard. Il programma prevede 4 settimane di lezioni, eventi, e proiezioni di film (tra cui “Nuovo Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore). E ci saranno anche gite formative, come quella al Vittoriale sul lago di Garda, luogo reso celebre da Gabriele D’Annunzio. O il giro in barca della penisola di Sirmione. La Summer School ha l’obiettivo di studiare il legame tra estetica e innovazione, tra arte e sviluppo economico, per preparare gli studenti al settore in espansione delle industrie creative. Tra le letture obbligatorie ci saranno brevi parti tratte dalla Bibbia (Genesi, 1-3), il Simposio e La Repubblica di Platone, il Manifesto Futurista di Filippo Tommaso Marinetti, la Critica del Giudizio di Immanuel Kant. Chi frequenterà i corsi (non sono ammesse assenze se non per casi straordinari, ad esempio a causa di un esame universitario, e si può saltare al massimo una lezione) e supererà l’esame finale otterrà 6 crediti per attività formativa a scelta. G.B.


IULM NEWS

UNIVERSITÀ

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IULM SPOT SERVIZI

SELEZIONI

Biblioteca open night

Il Collegio di Milano

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Con l’arrivo dell’estate è difficile concentrarsi sullo studio, ma la sessione d’esame non aspetta. L’università Iulm dà ai suoi iscritti una possibilità in più: un luogo in cui concentrarsi e studiare anche di sera. In via sperimentale, infatti, la biblioteca rimane aperta dal lunedì al venerdì anche dalle 19.30 alle 24. Basta citofonare in via Filargo 16, mostrare il tesserino e firmare sia in entrata che in uscita. Di sera la biblioteca funziona solo come aula studio, non per i servizi tradizionali.

C’è tempo fino al 2 luglio (fino al 22 per le matricole dei corsi di laurea triennali) per candidarsi e avere un posto nel Collegio di Milano per l’anno accademico 2018/2019. Il progetto, realizzato dalla Fondazione Collegio delle Università milanesi, offre a 33 studenti (di cui 3 in qualità di non residenti) la possibilità di alloggiare nel campus progettato da Marco Zanuso e, soprattutto, di svolgere attività culturali di altissimo livello. La selezione avviene tramite la valutazione del curriculum e lo svolgimento di prove scritte e orali.

STAGE

GIUDIZI

Qui, Israel Museum

Ateneo sotto esame

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Uno stage di un mese, completamente gratuito, presso l’Israel Museum di Gerusalemme. È la possibilità riservata a uno studente del Corso di laurea magistrale in Arti, patrimoni e mercati. Il vincitore soggiornerà alla Hebrew University e beneficerà di una borsa di studio dell’Associazione Amici italiani di Israele a Gerusalemme, che si farà carico delle spese di viaggio. L’Università Iulm, invece, metterà a disposizione dello stagista 1.500 euro per coprire le spese del soggiorno a Gerusalemme.

Alla vigilia dell’estate l’Università Iulm chiede ai suoi studenti di darle un voto. L’insolita inversione di ruoli si svolge tramite il questionario di valutazione dei servizi d’Ateneo, che gli studenti hanno ricevuto al proprio indirizzo email universitario e che dovranno compilare entro il 30 giugno. Ad essere “sotto esame” sono tutte le prestazioni offerte dall’università: dalla biblioteca alla segreteria studenti, dal servizio mensa e ristorazione a quelli offerti dai vari sportelli che si occupano dell’organizzazione degli stage.

UNIVERSITÀ

Cercasi progetti da finanziare _

1 PHOTO WEEK Post-fotografia protagonista alla Iulm Le ultime novità in campo di uso delle immagini protagoniste alla Iulm: l’ateneo ha ospitato “Post-fotografia - Le frontiere dell’immagine tra videogiochi, cartografie digitali e new media”, evento parte della Milano Photo Week. Tra gli ospiti Matteo Bittanti, che ha parlato di “A new american dream post-mortem”, realizzato con le strategie di mappatura urbana di Google Street View.

2 GIORNALISMO Premio Vergani per il Master Iulm Tre allievi del Master in giornalismo Iulm conquistano il premio Vergani per la Radio e la Televisione. Sono Laura Gioia, Federica Liparoti e Daniele Zinni, autori dell’inchiesta “Nazionalsocialisti della porta accanto” sul gruppo neofascista di Varese “Dora, comunità militante dei dodici raggi”. Il documentario, realizzato durante il Master, è il primo approfondimento giornalistico, con interviste e riprese delle attività, su uno dei più noti gruppi naziskin in Italia. Ripreso da siti di news come Tgcom24 e Repubblica.it, il servizio ha ottenuto circa 40 mila visualizzazioni.

Incontri con personalità di alto livello, ma anche spettacoli teatrali allestiti da studenti, esibizioni corali e la partecipazione ad eventi sportivi. Sono solo alcune delle attività che potrebbero essere finanziate con le risorse messe a disposizione dall’Università Iulm. L’ateneo, infatti, sostiene i progetti presentati da associazioni o da gruppi di studenti che ricadano nell’ambito orientativodivulgativo, ricreativo, internazionale o sportivo. Per concorrere all’assegnazione delle risorse (22.129 euro in totale) è necessario candidarsi entro il 22 giugno consegnando la domanda completata in tutte le sue parti all’Ufficio affari istituzionali. Il bando è rivolto alle associazioni di studenti Iulm con almeno 20 membri o ai gruppi composti da almeno 10 iscritti all’Ateneo. Tutti i ragazzi non possono essere fuori corso da più di un anno, devono essere iscritti al secondo anno e aver conseguito almeno 12 cfu. Ogni gruppo deve designare un suo coordinatore che si rapporterà con l’Ateneo e con terze parti per lo svolgimento delle diverse fasi tecniche. Sarà compito dei proponenti raccogliere tutte le autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto e presentare all’Università i preventivi con le voci di spesa necessarie per ogni intervento. Le attività sovvenzionate dovranno svolgersi entro il mese di febbraio dell’anno accademico successivo a quello di assegnazione, i promotori dovranno rendicontare ogni voce di spesa e si vedranno restituire l’85% delle risorse investite, nei limiti del finanziamento attribuito.

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Periodico del master in giornalismo dell’Università IULM Facoltà di comunicazione , relazioni pubbliche e pubblicità


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