MasterX – ottobre 2019

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Il personaggio Davide Dattoli, quanto è importante essere innovatori? _ p.8

L’Italia ha voglia di figli Mamme e papà sono sempre più anziani? _ p.12

Come Greta in difesa della Terra I giovani insegnano ai grandi del mondo? _ p.10

Anno XVI | Numero 1II | Ottobre 2019 | www.masterx.iulm.it

University Ranking Dov’è l’Europa nella classifica dei migliori atenei? _ p.20

MasterX Periodico del Master in Giornalismo dell’Università IULM Facoltà di comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità

NON SIAMO NON S I A BRAVI M ( O B RAGAZZI R RAVI ) AGA ZZI Tanti i luoghi comuni su Millennials e Cover daGenerazione fare cover da Z, fare cover da fare dal sesso all’alcol

cover da fare cover da fare

False convinzioni su lavoro e scarsa voglia di impegnarsi

O sul fatto che non amano condividere e non rispettano le tradizioni


MasterX

SOMMARIO

OTTOBRE 2019 - N° III - ANNO XVI

Diretto da: DANIELE MANCA (responsabile) Progetto grafico: ADRIANO ATTUS

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Nuovi giovani

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Davide Dattoli

Redazione: Beatrice Barbato, Chiara Colangelo,

Corinne Corci, Alessandro Di Stefano, Giulia Diamanti, Alessandro Follis, Giulia Galliano Sacchetto, Enrica Iacono, Antonio Lopopolo, Luca Palladino, Federico Rivi, Nausica Samela, Alice Scaglioni, Caterina Spinelli, Alessandro Vinci, Niccolò Bellugi, Andrea Bonafede, Daniela Brucalossi, Ivan Casati, Alessia Conzonato, Sofia Francioni, Eleonora Fraschini, Francesco Li Volti, Mauro Manca, Gabriella Mazzeo, Virginia Nesi, Benny Mirko Procopio, Ilaria Quattrone, Martina Soligo, Lucio Valentini. Registrazione: Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002 Stampa: RS Print Time (Milano) Master in Giornalismo Università IULM Direttore: Daniele Manca Coordinatore organizzativo: Marta Zanichelli Coordinatore didattico: Ugo Savoia Direttore laboratorio digitale: Paolo Liguori Tutor: Sara Foglieni Docenti:

Roberto Andreotti (Giornalismo culturale) Paolo Attivissimo (Fact Checking & Fake News) Adriano Attus (Art Direction e Grafica Digitale) Federico Badaloni (Architettura dell’informazione) Luca Barnabé (Giornalismo, cinema e spettacolo) Ivan Berni (Storia del giornalismo) Marco Brindasso (Tecniche di ripresa) Federico Calamante (Racconto live evento sportivo) Marco Capovilla (Fotogiornalismo) Marco Castelnuovo (Social Media Curation I) Piera Ceci (Giornalismo radiofonico I) Massimo Corcione (Giornalismo sportivo) Cipriana Dall’Orto (Giornalismo periodico) Nanni Delbecchi (Critica del giornalismo TV) Andrea Delogu (Impresa editoriale) Luca De Vito (Videoediting) Gabriele Dossena (Deontologia) Stefano Draghi (Statistica) Lavinia Farnese (Social Media Curation II) Guido Formigoni (Storia contemporanea) Marco Fraquelli (Media Relations) Alessandro Galimberti (Diritto d’autore) Paolo Giovannetti (Critica del linguaggio giornalistico II) Nino Luca (Videogiornalismo) Caterina Malavenda (Diritto e procedura penale) Anna Meldolesi (Giornalismo scientifico) Alberto Mingardi (Giornalismo e politica) Micaela Nasca (Laboratorio di pratica televisiva) Pino Pirovano (Dizione) Luca Pitoni (Forma grafica delle notizie) Aldo Preda (Giornalismo radiofonico II) Davide Preti (Tecniche di montaggio) Fabrizio Ravelli (Critica del linguaggio giornalistico I) Roberto Rho (Giornalismo economico) Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza) Claudio Schirinzi (Giornalismo quotidiano) Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia) Angelo Turco (Geopolitica e informazione) Marta Zanichelli (Publishing digitale)

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Bamboccioni a chi? Su politica, sesso, religione e lavoro, i ragazzi di oggi hanno le idee molto chiare. E niente è come sembra

Il segreto per avere successo? Essere diversi dagli altri Il co-fondatore e ceo di Talent Garden ci ha raccontato quanto è importante essere preparati e aver fatto esperienze personali che possano rendere competitivi sul mercato

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Salviamo il mondo L’onda green dei Fridays4Future non conosce argini Da Greta a Lisa, i ragazzi di diversi Paesi sposano la causa del clima e coinvolgono la società

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Un figlio? Non adesso In Italia diminusce il numero di neonati In assenza di autonomia e di basi solide per creare una famiglia, sono tanti i giovani che vi rinunciano o la posticipano. Un ritorno agli anni Ottanta?

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Studiare al top La classifica degli atenei più prestigiosi del globo Aumenta l’offerta di corsi di laurea in tutto il mondo

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Mi vesto come Kaepernick

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Io leggo come voglio

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La gig economy della cultura

Il messaggio dello sportswear Quando il brand conquista il mercato

Tra carta e libri online Nuove comunità di giovani lettori

Dallo yoga agli scacchi, le lezioni si vendono online Il Docente Andrea Miconi spiega come funzionano le piattaforme di e-learning. Facile entrarci, più difficile emergere. Ma chi ci guadagna davvero?

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IULM news Eventi e novità dall’Università L’ateneo presenta il primo Rapporto 2019 sulla comunicazione d’impresa


EDITORIALI

Nausica Samela Giornalista praticante del Master in Giornalismo IULM

SMETTETELA DI CHIAMARCI “CHOOSY” _ Mammoni, bamboccioni, nullafacenti. Insomma, choosy: schizzinosi, incontentabili e difficili. Così ci aveva apostrofati nel 2012 l’allora ministro del Lavoro Elsa Fornero durante una conferenza a tema giovani e occupazione. Sono passati sette anni, ma ancora oggi nell’immaginario comune Millennials e Generazione Z non sono proprio quello che si dice dei “bravi ragazzi”. Lo diceva anche Freud nelle sue annotazioni: “Non esistono i bravi bambini, quindi figuriamoci i bravi ragazzi”. Ne “Il buono, il brutto e il cattivo” di Sergio Leone, non è buono nemmeno il buono. Detto questo, a chi verrebbe mai in testa di dire una cosa del genere? Forse a nessuno, ma fermiamoci un attimo a riflettere. In Italia convivono due categorie di giovani: i bamboccioni, come li definì l’ex ministro Tommaso Padoa-Schioppa, e i ragazzi che vogliono crescere intellettualmente e professionalmente.

tra politica, ambiente e lavoro

Ci sono anche tanti ragazzi che si affacciano a esperienze all’estero esportando l’energia italiana. Non solo, molti giovani, come ci racconta Corinne Corci a pagina 7, si interessano e partecipano attivamente alla vita politica delle comunità locali, tenendosi anche informati sui meccanismi di governo nazionale. Spesso attivi su tematiche specifiche quali l’economia, l’immigrazione e l’ambiente. L’onda verde dei Fridays For Future nasce sulla spinta della sedicenne svedese Greta Thunberg e pian piano ha coinvolto oltre un milione e mezzo di persone. I principali attori sono i più giovani, scesi in piazza nelle metropoli per manifestare contro il cambiamento climatico, come scrive Chiara Colangelo a pagina 10. E che dire del lavoro? Per sfuggire alla crisi i ragazzi si stanno adattando al cambiamento che sta vivendo la società. E lo fanno inventando nuove attività e diventando, oggi più che mai, imprenditori di sé stessi.

vite reali

È vero che al giorno d’oggi molti giovani abitano con i genitori fino a 30 anni, una scelta spesso dettata da esigenze economiche. Ma abbiamo tenuto conto della disoccupazione giovanile? In Italia, a settembre 2018, l’indicatore ha fatto registrare un preoccupante 30,8%. Un leggero miglioramento, in uno scenario difficile dove aumentano i contratti a tempo determinato, e questa condizione di insicurezza costringe molti giovani ad allungare il periodo di permanenza in famiglia. Bamboccioni anche loro?

contro i luoghi comuni

E allora ci stiamo sbagliando? A forza di sentirlo dire, ci siamo convinti che i giovani italiani siano sfaticati, demotivati e indisciplinati. I dati, però, parlano: non solo si preoccupano per il loro futuro, ma sono attenti alla propria salute ed evitano l’abuso di alcol e droghe. Quindi, alla faccia dei luoghi comuni che ci etichettano ora possiamo dircelo?: «Siamo dei bravi ragazzi».

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INCHIESTA

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VITA QUOTIDIANA

GIOVENTÙ BRUCIATA? Impegnati su troppi fronti, non hanno neanche tempo per il sesso. Tra politica, religione, relazioni e lavoro, viaggio tra i giovani di oggi, lontano dai luoghi comuni

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Di Corinne Corci _ O lo si ama, o lo si odia, ma Brett Easton Ellis non è certo uno scrittore per cui è possibile rimanere indifferenti. Eppure, colui che fu vessillo della Generazione X, tratteggiata nel suo Meno di zero, fatta di ragazzi viziati e speranze tradite in un’America degna di Raymond Carver, si è scagliato contro i Millennials: definendoli, con quel tono caustico che ha fatto proprio, generation wuss; di pappamolle, inetti. Narcisi dipendenti dall’approvazione. È un mantra cui ci siamo abituati, sull’esempio di chi, prima di noi (sedotto dalla figura dell’anarchico provocatore), ha provato ad al-

lontanare la vergogna tipica dei propri anni. Come Pasolini in Ragazzi di vita, una denuncia contro le ipocrisie radicate nei confronti di una gioventù bruciata dal fuoco delle due guerre; o lo scrittore polacco Marek Hlasko, dai cui racconti degli anni ’50 emergono giovani amanti della libertà e della giustizia. Ce ne siamo abituati grazie a loro, o forse ci piace solo pensarla così. Ma la verità è che verremo sempre odiati da quanti ci hanno preceduto. Chi non avrebbe da ridere dei nuovi adepti di Musically? Insopportabili, per noi cresciuti con il Tamagotchi e, a nostra volta, bistrattati dai dotti esperti di Dungeons & Dragons.


ARGOMENTO

SEZIONE

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A? NON PIÙ Perché ci siamo passati tutti, e continueremo a passarci. E, come ogni volta, proveremo a cambiare tali percezioni. Noi che, in assenza di un futuro certo, abbiamo imparato ad adattarci e fare dell’intraprendenza uno stile di vita. Figli della lotta per la libertà dei nostri genitori, ci interessiamo di politica e continuiamo a credere nel domani (almeno in Italia). Noi che, come ha scritto Annah Feinberg sul New Yorker, avremo anche distrutto «i tacchi a spillo, i tovaglioli, l’ammorbidente, e pure il sesso», ma non smettiamo di tentare. Noi, che non siamo una gioventù bruciata; ma piuttosto, una generazione che brucia.

SESSO 3.0

Famolo con lo smartphone Di Alice Scaglioni _ Negli anni ’90 Candace Bushnell raccontava le avventure di letto della giovane Carrie in Sex and the City. Nel 2019 è uscito il suo nuovo libro: C’è ancora sesso in città?. Secondo recenti studi la risposta è no. Viviamo in un mondo che offre molte più chance di incontrare possibili partner rispetto al passato, eppure si fa meno sesso. Nella giungla di Tinder e Grindr pare che il nuovo trend sia “guardare ma non toccare”. O meglio, non fare. Perché se è vero che siamo entrati nella “sex recession”, come titolava The Atlantic, lo è altrettanto che i ragazzi amano il sesso tramite smartphone. Una ricerca di Eurispes evidenzia che quasi sei giovani italiani su dieci hanno praticato il sexting almeno una volta. Tradotto: hanno inviato o ricevuto materiale sessualmente esplicito tramite messaggi, foto o video. Un fenomeno che interessa soprattutto la Generazione Z, cresciuta a pane e Instagram: solo il 37,1% ha dichiarato di non averlo mai fatto, contro il 45,2% dei Millennials. Sarà che inviare una foto è molto più veloce (e meno faticoso) di un rapporto reale? Esami, lavoro, vita iper-connessa: i giovani non hanno tempo. Isabella, 25 anni: «Ci sono periodi in cui vuoi gli impegni, vuoi i pensieri, ho meno rapporti con il mio ragazzo. Entrambi ce ne rendiamo conto e ci capiamo: abbiamo gli stessi problemi». E i single? Per Ambra, 27 anni, in una grande città è ancora più difficile. «Tutti andiamo di fretta: c’è una sorta di inconciliabilità degli impegni». IL GRAFICO

Sexting mania? Se più del 41% dei giovani tra i 18 e i 30 anni afferma di non averlo mai praticato, quasi il 60% di loro lo ha provato almeno una volta nella vita. Fonte: Eurispes

Una sola volta Spesso

10,4% 12%

41,4%

Mai

36,2% Qualche volta

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COVERSTORY

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TECNONEWS

LAVORO FAI DA TE

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Giovani, carini e imprenditori Di Corinne Corci _

EUROPA E RELIGIONE

Quelle radici molto ramificate Di Alice Scaglioni _ Friedrich Nietzsche proclamava ne La Gaia Scienza e in Così Parlò Zarathustra che Dio è morto. Per il filosofo tedesco quell’espressione indicava la decadenza dei valori occidentali. Per i giovani europei potrebbe essere oggi la descrizione più realistica del loro pensiero in merito alla religione. Discorso che non vale per tutti gli Stati: il Bel Paese e la Polonia sono due delle nazioni dell’Eurozona in cui la maggior parte dei ragazzi è credente. Quasi il 50% dei Millennials italiani si dichiara cattolico, secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Giovani in collaborazione con l’Istituto Toniolo. La percentuale di quanti non credono in Dio si aggira intorno al 20%. Numeri che tratteggiano una realtà completamente diversa rispetto agli altri Paesi dell’Ue. Secondo un rapporto curato da Stephen Bullivant, professore di teologia e sociologia della religione alla St Mary’s University di Londra, il cristianesimo in Europa sta attraversando una profonda fase di crisi, rendendo il Vecchio Continente una terra senza Dio. Nella Repubblica Ceca il 91% dei giovani di età compresa tra i 16 e i 29 anni non si professa appartenente a nessun credo religioso, in Estonia è l’80%, in Svezia il 75%. Curioso il caso del Regno Unito, in cui il 70% dei giovani afferma di non avere Dio, mentre il 7% si definisce anglicano e il 6% musulmano: dati che confermano ancora una volta il forte carattere cosmopolita che per anni ha interessato la Gran Bretagna. IL GRAFICO

Sei credente? E di che religione? Quasi la metà dei ragazzi dello Stivale afferma di essere cristiano, e solo il 23% si professa ateo. Fonte: Rapporto Giovani Istituto Toniolo

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Sì, alla religione cristiana cattolica Sì, a una religione cristiana non cattolica Sì, mi sento cristiano ma senza nessuna specificazione Sì, a religioni non cristiane monoteiste (religione musulmana, ebraismo) Sì, a religioni orientali (buddismo, induismo…) Sì, credo a un’entità superiore ma riferimento a nessuna religione No, non credo a nessuna religione Credo sulla religione non ci si possa esprimere

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48.98% 2.49% 5.39% 1.13% 1.38% 7.72% 23.64% 9.26%

Era il 18 febbraio 1994. Winona Ryder aveva ancora tra le mani il suo caffè fumante. «Cosa faremo ora? Come possiamo riparare i danni che abbiamo ereditato? La risposta è semplice: non lo so». Giovani, carini e disoccupati è una polaroid degli anni ’90. Eppure, immortalando la crisi post laurea di un gruppo di ventenni e il passaggio incerto al mondo del lavoro fatto di «troppe qualifiche» e «poca esperienza», la sua trama potrebbe sovrapporsi a qualsiasi generazione successiva. Insomma, svolgere uno stage non retribuito o non lavorare affatto, questo è il dilemma. Ma in un momento in cui, stando ai dati Istat 2019, la disoccupazione giovanile aumenta di 0,3 punti percentuali rispetto al 2018, nei neo laureati italiani vince l’audacia. Perché “arrangiarsi” non è una parola che spaventa e, tra startup e nuove idee, hanno scelto di disegnare la soluzione ai gangli della vita, invece che aspettarla. Dalla ricerca Viacom Italia 2019, emerge che il 48% dei giovani crede che una simile condizione migliorerà solo in virtù delle proprie capacità; l’11% pensa che sarà l’aiuto della famiglia a essere determinante, mentre soltanto il 7% si avvale delle istituzioni. E contro di loro, con il suo rancore verso quella controcultura «tutta BMW», Winona avrebbe motivo di avventarsi. Ma quelli erano gli anni ’90 e, da noi, i ragazzi sono più avveduti. Così capaci di metabolizzare il cambiamento del mercato, hanno fatto dell’imprenditorialità un mantra. Umanizzandolo, per cucirsi un futuro che sia, finalmente, su misura. IL GRAFICO

Perché fondare una startup? La volontà di innovare è la spinta principale per chi vuole fare startup in Italia. Fonte: Startup Survey 2016

Realizzare prodotti innovativi Creare impresa successo a elevata redditività Desiderio di lavorare in maniera autonoma Mettere in pratica ricerche universitarie Utilizzare agevolazioni (fiscali o monetarie) Trovare occupazione Altro

77.6 62.9 28.8 24.7 7.7 9.1 4.8


VITA QUOTIDIANA

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IMPEGNO POLITICO

Liberi di partecipare Di Corinne Corci _ Li abbiamo immaginati anarchici, a cantare I fought the law dei The Clash in testa all’ultimo corteo. Rivoluzionari tanto radicali da dichiararsi «disposti a morire, ma non per la noia», come il protagonista di Zabriskie point di Michelangelo Antonioni durante un’assemblea studentesca. Li abbiamo immaginati perché così, un tempo, lo sono stati davvero. Eppure, intrappolati in un confuso stato di attesa, i giovani italiani sembrano essersi ormai allontanati dalla politica. È solo apparenza. A dispetto di tutto infatti, in un’epoca di paure e profonde incertezze, emerge che i ragazzi non solo partecipano attivamente alla vita politica della comunità locale, ma si mantengono informati circa i nodi del sistema di governo; con un’attenzione particolare a quelle tematiche che dovrebbero essere, per loro, sull’agenda dell’Unione: l’ambiente, la situazione economica e l’immigrazione. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Giovani Politica e Futuro di Viacom Italia in vista delle scorse Europee, il 60% dei giovani intervistati ha ben chiara l’idea di strategia politica cui vorrebbe affidarsi: quella in cui l’Europa è soggetto attivo fondamentale per mantenere la pace. All’interno di un rapporto complesso con la politica italiana, a lei si rivolgono i giovani, chiedendole di ripensarsi in una veste più pragmatica e in sintonia con i loro bisogni. Interesse politico? Certo, al fine di cambiare lo stato attuale delle cose. Perché «la libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione». IL GRAFICO

Credere nelle istituzioni I più fiduciosi nelle istituzioni sono gli elettori dell’area di sinistra, quelli più diffidenti sono gli elettori 5 Stelle. Fonte: Rapporto Giovani

Elettori di sinistra/centro-sinistra Elettori di destra/centro-destra Movimento 5 stelle Disaffezionati totale Disaffezionati di sinistra Disaffezionati di destra Disaffezionati senza collocazione Totale

49,0 34,3 26,9 28,5 31,4 34,6 24,8 33,1

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IL PERSONAGGIO

Di Corinne Corci e Alice Scaglioni _ Davide Dattoli è tra i 30 under 30 più influenti nel mondo della tecnologia in Europa secondo Forbes. Per arrivare a quel traguardo non si è mai fermato. Nei suoi 28 anni di vita ha imparato dai migliori e ha fondato Talent Garden, la più grande rete di spazi di co-working europea. Con 3500 iscritti nelle sue 28 sedi, sparse in 8 paesi diversi, forma ogni anno migliaia di ragazzi nei settori più richiesti, dai big data al digital marketing. Emblema di quella platea di giovani che non aspetta l’occasione giusta, ma se la crea. Perché ci chiamano fannulloni, anche se sempre più sovente dimostriamo il contrario? Credo che sia nostra responsabilità dimostrare il contrario. Perché, come in ogni generazione, ci sono tanti esempi di fannulloni e al contempo esempi virtuosi, di gente che all’opposto fa cose incredibili. Sta a noi dare prova di non essere come veniamo immaginati e soprattutto a loro, ai ragazzi di cui si parla meno: quelli che rompono gli schemi per migliorare lo stato delle cose. Dovremmo fare sistema, raccontare la nostra storia, così da insegnare che non è l’età che ci porta a essere bravi o meno bravi; che non scappiamo soltanto all’estero ma che, invece, spesso rimaniamo proprio per modificare ciò che, creato dalle generazioni precedenti, non va più bene per il tempo in cui siamo adesso. Pensi che i giovani debbano imparare a lavorare insieme, superando le barriere geografiche? Uno dei problemi principali è che l’Europa è in mano a persone che hanno una media di più di 60 anni e che, per questo, prendono decisioni a breve termine, orientate ai propri bisogni e non ai nostri. Ma in questo pianeta siamo noi a doverci stare, spostarci, e vivere nei prossimi decenni, e dobbiamo costruire il mondo che vogliamo. Per farlo occorre eliminare ogni tipo di barriera geografica, pensando che non siamo bresciani, milanesi, italiani o altro. Ma che esiste un’unica popolazione, fatta da gente brava e che ha voglia di fare.

Davide Dattoli Ceo e co-founder di Talent Garden

VIAGGIATE E SIATE DIVERSI. IL SUCCESSO SI NASCONDE NEL PARTICOLARE 8

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Quanto è importante, per chi vuole innovare qua in Europa, imparare da quello che viene fatto fuori? È fondamentale. Il fatto è che su tantissimi settori, tecnologico in primis, fuori dal Vecchio Continente sono molto più avanti di noi. Se i social network sono gestiti in larga parte dagli States, la grande e prossima sfida dell’intelligenza artificiale sarà invece nelle mani dei cinesi. Proprio per questo noi europei dobbiamo imparare a guardare altrove, a confrontarci, viaggiare e scambiarci, evitando di chiuderci in noi stessi. In questo mondo la vita, la carriera professionale, non può stare tra le quattro mura di un ufficio o di una città, ma deve volgersi là, nel luogo che ci appare più distante. Più distante? Non solo a livello di coordinate. Basti pensare alla Lituania, uno di quei paesi che per molti non esiste nemmeno sulle cartine e in cui abbiamo aperto un’altra sede di Talent Garden. Si tratta del Paese al mondo con più wi-fi per capillarità e in cui si parla l’inglese in modo più diffuso che altrove. Proprio perché di piccole dimensioni, ha imparato a pensare a livello globale come dovrebbero fare tutti gli altri. Eppure a nessuno sarà mai capitato di sentire “vado in Lituania a cercare lavoro”. Perché continueranno tutti ad andare a Londra, dove fuori dai ristoranti i cartelli dicono “Cercasi cameriere, ma non italiano”. Coraggio per buttarsi o solida preparazione: cosa conta di più, sulla base della tua esperienza finora? C’è


IL PERSONAGGIO

una ricetta perfetta per creare qualcosa che sia davvero tuo? Il tema vero è provare a mettere insieme un’esperienza di studio e formazione che ci permetta di avere la giusta visione delle cose, insieme a tanta intraprendenza, senza fermarsi a percorsi comuni. La generazione prima di noi è cresciuta con l’idea che la carriera sarebbe passata attraverso banking o consulting, per esempio. Eppure, se noi seguissimo queste “vecchie” linee guida non avremmo mai il successo che hanno ottenuto quanti sono venuti prima di noi. La verità è che dobbiamo essere in grado di imparare dal passato, così da costruire il nostro futuro consapevoli che quello che era giusto cinque anni fa non va più bene oggi. Una formula tra insegnamenti passati e passioni presenti, per costruire quello che verrà domani.

mette di capire che tutte le nottate passate in ufficio insieme ai tuoi colleghi hanno fatto la differenza, e che stiamo costruendo qualcosa che ha lasciato un segno. Parlando un po’ di te, cosa hai imparato dai primi colloqui di lavoro? Io nella mia vita ho fatto soltanto due colloqui di lavoro, con due aziende diverse e per due posizioni differenti. In entrambe sono stato rifiutato alla prima selezione, ma tutte e due, per caso della vita, mi hanno richiamato qualche anno dopo, offrendomi anche ruoli di spessore. Quello che ho capito, e che cerco di applicare oggi nel mio lavoro in Talent Garden, è quanto sia difficile essere valutati da un curriculum o da una breve interview. Per questo penso sia fondamentale fare la differenza, perché seguire le regole del gioco non funziona più. I nostri genitori sono partiti in un momento in cui il tasso di disoccupazione era prossimo allo zero. Avevano tutte le possibilità che desideravano. Oggi le opportunità di lavoro sono di molto inferiori rispetto al numero dei ragazzi, spesso con curricula di tutto rispetto, che cercano un posto. E quindi la cosa importante è emergere, essere il particolare nel generale. Bastano cose piccole: per esempio, passioni ed esperienze che ti hanno reso un unico.

Come mai vi è sempre più spesso l’idea che avere una formazione completa sia un difetto? Purtroppo è uno dei nodi che in questo periodo storico sta emergendo, ed è tra i peggiori. Non esiste alcuna equazione secondo cui: se hai studiato va sempre bene, oppure se non hai studiato sei sicuramente meglio perché hai fatto esperienza. Bisogna, invece, unire ciò che abbiamo appreso con quanto abbiamo fatto nella nostra vita, utilizzando questo criterio anche come metro di giudizio verso gli altri. È necessario acquisire un mindset che sia Cosa ti ispirava quando hai mosso i primi passi nel positivo, diventando una generazione che ponga la merimondo lavorativo? E adesso? tocrazia al centro, e che non guardi solo alle amicizie o ai Mi sono sempre nutrito nel riconoscere i problemi e catitoli di studio, ma alle qualità del singolo. pire come possano essere risolti. Se fosPerché alla fine saremo noi a decidere le simo nati nella Silicon Valley, tante cose sorti del mondo, e il rischio di venire conavrebbero funzionato. Invece siamo nati Abbiamo tra le mani in Italia, e di situazioni da migliorare ce quistati da quel vecchio metodo di lavoro proprio di chi è venuto prima è sempre ne sono tante. La cosa più bella è vedere il destino del Paese dietro l’angolo. qualcosa che non funziona e pensare a e la responsabilità come potresti metterla a posto. Questo è Noi e loro. In cosa siamo diversi dalla che, ancora oggi, mi stimola di più di riconnetterlo con quello generazione precedente? a livello imprenditoriale. Mi piace costruil resto del mondo Prima di tutto abbiamo coscienza del ire valore partendo dalle mancanze. nostro pianeta, e della condizione in cui davide dattoli versa. Per questo teniamo molto di più Un consiglio per le nuove generazioni? all’ecologia, alla sostenibilità, e ci siamo Scegliere un percorso professionale che abituati a pensare in modo diverso, anche nelle piccole dimostri la loro unicità. Il rischio è sempre quello: pencose. Il nostro modello lavorativo, inoltre, differisce totalsare che aver fatto l’università giusta assicuri un percorso mente da quello passato, secondo il quale lavorare era un già tracciato. Oggi non è più così. È fondamentale avere dovere. Per noi, infatti, lavorare è un’opportunità, qualqualcosa di diverso dagli altri. Non ci sono limiti: può escosa che ci costruiamo giorno dopo giorno. Siamo nati, e sere una passione che è stata trasformata in qualcosa di nasceremo, in un momento storico di decadenza, e sarà serio, o un’esperienza internazionale che altri non hanno compito nostro uscire dal passato sul quale i nostri genifatto. tori si sono gongolati. Più di loro, abbiamo tra le mani il destino del Paese e la responsabilità di riconnetterlo con C’è un’innovazione degli ultimi anni di cui avresti voil resto del mondo. luto essere la mente? Qualcosa che mi appassiona tantissimo è il mondo del Nel 2016 Talent Garden ha ricevuto un finanziamento cambiamento delle interfacce. È interessante pensare che notevole per una startup, e per di più in ambito italiasiamo stati abituati a digitare dei tasti e usare un mouse, no. È stato questo il momento in cui ti sei sentito più poi siamo passati alla grande rivoluzione del touch scresoddisfatto? en. Oggi prende sempre più piede l’universo vocale, da Diciamo che i momenti in cui provi più soddisfazione Alexa a Google Home, che ti permette di avere in casa sono quelli in cui vedi che ciò che fai ha un impatto sulla qualcosa con cui interagire solamente con la voce. E se ci vita delle persone. Quando abbiamo fatto il nostro Grapensi, concettualmente è molto diverso da un messaggio. duation Show, lo scorso luglio, abbiamo festeggiato setCredo che questo cambierà davvero come noi umani ci intecento ragazzi che si sono diplomati in Talent Garden terfacciamo con la tecnologia. nell’ultimo anno. Il 90% di loro ha trovato un lavoro prima della fine del corso. Sono questi i momenti che ti fanSe potessi incontrare il Davide di 10 anni fa, cosa vorno capire che tutte le difficoltà e che tutte le fatiche che resti dirgli? hai fatto sono ripagate. La gioia più grande arriva quando Che nella vita ti arriveranno tante opportunità che procomprendi che quello che fai non si riflette solo su di te, veranno a portarti fuori dalle tue passioni. Il mondo è ma sulle persone che hai intorno. abituato a dirti di seguirle, perché le occasioni non riAnche quando sono stato nominato tra i 30 under 30 più capitano. Nella realtà bisogna seguire sempre l’istinto e influenti per Forbes, la mia felicità era dovuta al fatto di circondarsi delle persone con cui si vuole stare. È l’unica aver ottenuto questo prestigioso riconoscimento non per cosa che ti permetterà di sopportare qualsiasi fatica ti trola mia bravura come singolo, ma per il lavoro fatto come verai davanti, e di vivere la tua vita come vuoi tu, e non team. Ricevere una certificazione così importante ti percome qualcun altro ti consiglia di fare.

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Ragazzo di successo. Dattoli ha raggiunto l’apice della sua carriera fondando Talent Garden, la più grande rete di coworking europea

CHI È DAVIDE Liceo scientifico, poi Economia; durante l’università si è dedicato anche a corsi di formazione sul digital marketing. È stato co-founder di Viral Farm, poi consulente per riviste digitali in Condè Nast. Ha co-fondato anche Save the Mom, un family planner per mamme tech, è stato facilitatore di Startup Weekdn e mentor per Virgin Startup. Nel 2011 la svolta con Talent Garden.

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AMBIENTE

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IL FENOMENO

La giovane onda verde dei Fridays4Future Dai social alle piazze migliaia di ragazzi di diversi Paesi hanno sposato la causa del clima. La sfida? Coinvolgere la società civile di Cina, India e Brasile, dove il livello di inquinamento pro capite è uno dei più elevati di tutto il globo Di Chiara Colangelo _ Nato dal basso, il movimento dei Fridays for Future ha inghiottito per giorni le piazze delle principali metropoli. Dall’Europa fino oltreoceano. Lo scorso 15 marzo in diverse parti del mondo ha manifestato oltre un milione e mezzo di persone, per chiedere a gran voce un’azione globale contro il cambiamento climatico. Una mobilitazione ispiratasi all’ostinazione di un’adolescente svedese, Greta Thunberg, che a maggio dello scorso anno ha trascorso venti giorni sotto il Parlamento di Stoccolma con un cartello che recitava “Skolstrejk for Klimatet”, “Sciopero da scuola per il clima”. Dopo di lei, a protestare davanti al Parlamento dell’Aja sono stati cinque studenti danesi, mentre a Berlino la 22enne Luisa guidava il primo movimento per il clima.

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Quello dei Fridays for Future è diventato in merosi gruppi ambientalisti, Ong impegnate poco tempo un’onda che, grazie all’11enne a denunciare lo scempio che i Paesi industriaSofia, ha solcato per la prima volta l’oceano lizzati e quelli emergenti stavano compiendo. arrivando fino in Canada. Il 30 novembre Ad alimentarlo c’era anche la distanza fra le 2018, 15 mila manifestanti sono scesi in strada prime conferme scientifiche sull’aumento in 30 città australiane. Mentre, a inaugurare i della temperatura globale e l’azione politica, Fridays For Future negli Stati uniti è stata la spesso troppo lenta. 13enne Alexandra, che con un sacco a pelo ha Nel 2015 l’Accordo di Parigi, sorto dalle ceneri stazionato per alcuni giorni davanti al palaz- del Protocollo di Kyoto, sembrava avere riaczo di vetro delle Nazioni Unite. ceso le speranze in un cambio rotta dei Paesi Lo scorso dicembre, durante l’ultima Confe- sul cambiamento climatico. Anche grazie alla renza sul Clima tenutasi a Katowice in Polo- partecipazione dei “big” dell’inquinamento nia, Greta non ha esitato a bollare i tecnocrati mondiale, Cina, Stati Uniti e India. Ma, se tra e i politici presenti come inmeno di un anno gli Stati che coscienti e disinteressati del hanno siglato l’Accordo di Pa«Vogliamo essere futuro disastroso che spetta rigi, hanno l’obbligo di metalle prossime generazioni. tere in atto gli impegni presi ascoltati. Un discorso, rimbalzato da per contenere il cambiamenSe questa strada una parte all’altra del monto climatico, il 2018 ha fatto do, che ha sortito un effetto registrare un nuovo drammanon servirà a molto esplosivo. Il 27 gennaio di tico aumento delle emissioni ne proveremo altre» di CO2. quest’anno a Bruxelles 70 mila persone hanno aderito Di fronte al rischio concreto alle proteste contro il cambiache la politica sul clima falmento climatico, grazie a tre ragazze Amura, lisca, l’onda verde dei Fridays for Future racKira e Adelaide. conta di una presa di coscienza da parte della società civile. i fragili tentativi della politica

Nei Paesi dove le democrazie permettono di creare un “ponte” tra i palazzi della politica e le piazze del popolo, i giovani hanno fatto propria la causa per il clima, puntando il dito contro la comunità internazionale che, negli ultimi venti anni, si è dimostrata incapace di agire per il bene comune. Era il 1992 quando si è svolta la prima Conferenza sul Clima a Rio de Janeiro in Brasile. Già allora c’erano nu-

il movimento tra presente e futuro

In Italia, a dare il via al movimento è stata l’ex dirigente di banca di origini americane Sarah Marder, che la prima volta ha protestato da sola sotto palazzo Marino. Un gesto che ha fatto scattare la scintilla dei Fridays for Future a Milano, dove dal 15 marzo ogni venerdì giovani e giovanissimi si danno appuntamento a piazza della Scala per manifestare contro


IL FENOMENO

L’ESPERTO

IL GRAFICO

L’energia in Europa I dati relativi alla produzione di energia per le attività umane nell’anno 2018 e nel mese di aprile 2019 nei paesi OECD (paesi industrializzati dell’Ue) evidenziano ancora il predominio delle fonti non rinnovabili. Fonte: IEA 100%

Fonti non rinnovabili

62,7%

58,9%

80%

60%

40%

Fonti rinnovabili

41,1%

37,3%

20%

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il cambiamento climatico. Dopo ventiquattro giorni di protesta, i «più convinti» continuano a incontrarsi per tentare di avvicinare le persone «meno consapevoli» alla causa del clima. Anche se non ci sono più i numeri dei primi cortei, chi resta sa che «una lotta richiede impegno», soprattutto se è «nel lungo periodo». A Milano oltre ai comuni cittadini, scienziati e politici hanno sfilato per i Fridays for Future, a cui i giovani hanno aderito solo in un secondo momento. Luca (nome di fantasia), 21 anni, con fare spigliato racconta di avere abbracciato la causa del clima solo dopo il Global Strike del 15 marzo. «Come movimento apartitico, i Fridays for Future intendono spingere tutti i Paesi a dichiarare lo stato di emergenza climatica». «A Milano è stato possibile anche grazie all’appoggio di alcuni esponenti politici del Comune. Il prossimo passo è spingere la Regione Lombardia e il Governo a fare lo stesso». Accanto a Luca c’è Giovanna (nome di fantasia), 19 anni, che ama spostarsi in bicicletta. Anche lei confessa di non avere partecipato sin da subito ai Fridays for Future. «All’inizio giovani non se ne vedevano», dice. «Sentivo dire agli adulti presenti ai primissimi cortei, ma dove sono i ragazzi?». «Ora il movimento è misto. Anzi, alle assemblee, dove discutiamo, facciamo proposte e prendiamo delle iniziative, partecipano tanti universitari e liceali». Né Luca né Giovanna sanno con certezza quanto durerà l’impegno della società civile. «Noi però non possiamo prenderci la responsabilità di mollare». «Sicuramente dobbiamo

AMBIENTE

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iniziare a pensare a nuove modalità di partecipazione». «Vogliamo essere ascoltati – dicono – se questa strada non servirà a molto ne cercheremo altre». «È fondamentale che qualcuno rimanga e faccia capire che questo problema non può essere dimenticato da un giorno a un altro», conclude Luca. il rapporto con le istituzioni

Molti del movimento non hanno fiducia nell’azione politica. Nonostante il grande consenso ottenuto dai Verdi alle ultime elezioni europee, «la strada resta tutta in salita». Ne è convinto Riccardo, ingegnere olandese che da due anni risiede in Italia. «A livello politico quello che è stato fatto finora è insufficiente», insiste, criticando apertamente il sistema economico basato sul consumo indiscriminato. I mesi che verranno saranno decisivi per il movimento dei Fridays for Future, in vista delle prossime Conferenze sul Clima. «È necessario intercettare quelle persone che non hanno consapevolezza dei gravi rischi connessi al riscaldamento globale», afferma Riccardo. «Non dobbiamo rimanere chiusi in un circolo a parlarne. No, è necessario risvegliare le coscienze». E per farlo c’è bisogno anche dell’informazione, che avrebbe dovuto approfittare subito del grande coraggio dimostrato da Greta Thunberg. «Senza strumentalizzazioni. Perché non c’è più tempo» ripete. Mentre di questa onda verde restano impressi nella memoria i volti di milioni di giovani. Eredi di un futuro ancora tutto da scrivere.

Luca Mercalli Climatologo

Emergenza clima, tra coscienza e negazionismo _ Luca Mercalli, climatologo, direttore della rivista di meteorologia Nimbus, presiede la Società Meteorologica Italiana. Ha lavorato per la trasmissione in onda su Rai3 Che tempo che fa. Da tempo si occupa del clima e dei cambiamenti in atto. Il suo ultimo libro pubblicato si intitola Non c’è più tempo. Quali sono i rischi connessi al cambiamento climatico? «Il cambiamento climatico ci pone di fronte a fenomeni a noi noti, ma che possono diventare ignoti. Mille volte nella nostra Storia c’è stata una siccità, ma con il riscaldamento globale può diventare più frequente, più intensa o più lunga. Lo stesso vale per un uragano, una tempesta, un tornado, un alluvione. Questi episodi fanno già danni adesso. Se dovessero amplificarsi e intensificarsi i danni sia materiali sia umani potrebbero diventare per alcune regioni del mondo insostenibili». Quanta coscienza c’è oggi? «C’è più consapevolezza, però attenzione non sempre essa corrisponde all’azione. Nel 1992, all’Earth Summit di Rio de Janeiro, eravamo maturi per fare delle scelte radicali sul clima e non le abbiamo fatte. Sono passati 27 anni. Li abbiamo buttati via. Ci ritroviamo a parlare delle stesse cose di cui già si discuteva allora. Nel frattempo, il clima è peggiorato. Oggi prendersi cura di questa “malattia” è più difficile. L’aumento di 1,1° della temperatura globale è avvenuto. I provvedimenti presi finora sono troppo lenti. C’è bisogno di una presa di coscienza da parte della popolazione mondiale, che stimoli la politica e i governi a cambiare completamente passo sul clima». E il negazionismo? «Il negazionismo è solo un’azione di disturbo per rallentare tutti quei processi politici volti a contrastare il cambiamento climatico. Non solo, è un mezzo dei poteri economici per ostacolare la transizione verso le energie rinnovabili». Secondo lei, qual è una ricetta efficace per il futuro? «È difficile trovarne una sola. È chiaro che bisogna riformare l’economia. Non possiamo pensare di continuare con un modello “predatorio” delle risorse. La vera sfida è rifondare il sistema economico, per allontanarci dall’idea di una crescita infinita dei consumi».

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NASCITE

Non è un paese per genito Scende il numero di neonati in Italia: dal 2008 sono quasi 120 mila le culle vuote. Negli anni ’80 si dava la colpa alla televisione. E allora perché oggi si fanno sempre meno figli? Di Sofia Francioni _ Un paese senza figli e con madri sempre meno giovani. Questa è la fotografia dell’ultimo rapporto Istat, Natalità e fecondità della popolazione residente, scattata all’Italia e ai suoi giovani nel 2017. Stesso anno in cui nascono, toccando un minimo storico, 458.151 bambini. 118 mila in meno rispetto al 2008. Per darne un’immagine, anzi due, è come se in meno di dieci anni la popolazione di un comune come Bergamo o Siracusa fosse emigrata o svanita nel nulla. Come se, in fila una dietro l’altra, 120 mila culle vuote disegnassero un calo nascite di quasi il 20% in 9 anni. Ma se nei fantastici anni ’80 la scarsa voglia di mettere su famiglia veniva imputata alla tv e al nuovo entertainment televisivo, che si diceva distraesse i giovani italiani dal sesso, oggi dovremmo puntare il dito contro gli schermi ancora più piccoli di smartphone e

IL CROLLO RISPETTO AL PASSATO Secondo quanto evidenziato dall’ultimo rapporto Istat sulla fecondità, in meno di dieci anni le nascite sono diminuite di 118 mila unità nel territorio italiano

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pc per spiegare lo stesso, ma più allarmante, fenomeno? A sentire le parole del demografo Massimo Livi, sembrerebbe di no: «Per risolvere il problema della denatalità anzitutto bisogna ridare autonomia ai giovani, che ormai la raggiungono molto tardi e per conseguenza rinviano le decisioni familiari e riproduttive: finiscono gli studi tardi, entrano nel mercato del lavoro tardi, escono dalla famiglia tardi, rimandano la scelta di fare un figlio fino a trovarsi a ridosso di un’età in cui riuscirci è molto faticoso, se non quasi impossibile. Inoltre è indispensabile dare più lavoro alle donne. Quarant’anni fa, nei Paesi nei quali queste erano impegnate prevalentemente in lavori domestici e i tassi di occupazione erano bassi, la natalità era più elevata. Oggi avviene l’inverso: dove c’è un’occupazione femminile alta si fanno più figli e dove c’è un’occupazione bassa se ne fanno meno. Una famiglia ha bisogno di più fonti di reddito, non può più puntare su un solo procacciatore di risorse». la situazione italiana

Veniamo infatti alle mamme italiane, la cui età media nazionale (31,9 anni) è in salita di un anno rispetto al 2008 e i cui comportamenti dimostrano ancora una volta che esistono “due differenti Italie” anche per quanto riguarda la maternità. Da un lato c’è infatti il Centro – Nord in cui è in crescita in numero delle mamme con un unico figlio, dall’altro il Sud, dove aumentano le italiane che rinunciano alla possibilità di essere madri per la mancanza di una stabilità economica.

IL GRAFICO

Età media dei genitori italiani Nel 2017 le mamme italiane hanno avuto il primo figlio a 31,9 anni in media, mentre i papà a 35,5 anni. Fonte: Rapporto Istat sulla fecondità 38

36

35,5

35,6

35,6

35,8 35,2

Padri

34,9

34

32

31,9

32

31,9

32,3 31,7

31,3

Madri 30

28

Italia Nord Nord Centro Sud Isole Ovest Est


NASCITE

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SOCIETÀ

itori Comunque se nelle scelte e nei nudi e crudi numeri i giovani sembrano sempre più riluttanti a mettere al mondo dei figli, c’è da dire che la sfera dei loro desideri racconta un’altra storia. E a svelarla è il Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, secondo cui le coppie partono dall’idea di fare due figli, ma le difficoltà economiche le inducono poi a più miti consigli: oggi infatti la media nazionale è di 1,4 bambini a nucleo. l’esempio degli altri paesi europei

Ma il declino non è un destino ineluttabile, ha scritto Alessandro Rosina, docente di Demografia alla Cattolica di Milano. E a dare ragione al professore è uno studio dell’Institut national études démografiques, che certifica come la Francia sia l’unico Paese al mondo ad avere un tasso di fecondità costante da oltre quattro decenni. Crisi o non crisi, a partire dal 1973 le donne francesi mettono al mondo, in media, due figli. E la spiegazione è semplice: il governo di Parigi investe nel sostegno alla maternità il 5% del prodotto nazionale lordo. È stato infatti calcolato che un nucleo familiare del ceto medio con un neonato e un figlio all’asilo nido può incassare in un anno qualcosa come 7 mila euro di contributi e sovvenzioni. Il nostro paese è invece il fanalino di coda in Europa nella spesa per la protezione sociale: 1,4% del Pil, contro una media Ue del 2,3. Forse in un’Italia dove il futuro stesso sembra diventato inconcepibile, non c’è da stupirsi se di concepire figli non se la sente più nessuno.

GRAVIDANZA PER ALTRI. È uno dei tanti modi usati per definire la pratica dell’utero in affitto

Quando un figlio è un miraggio La pratica dell’utero in affitto divide l’Italia e il mondo. Tra paesi in cui è un business e altri dove è considerato un reato, il dibattito sulla maternità surrogata Di Sofia Francioni _ Utero in affitto, madre surrogata, gravidanza per altri. Cento modi per chiamarla, ma la sostanza è la stessa: la pratica in cui una donna accetta di portare avanti una gravidanza per conto di una persona o di una coppia sterile. A volte può essere lei la madre naturale del bambino, altre portare in grembo il figlio di due diversi genitori naturali. In alcuni casi la donna riceve un compenso economico, in altri, nelle “maternità altruistiche”, si tratta di un vero e proprio gesto di volontariato. Galeotto fu il convegno svoltosi il 19 giugno all’interno dei locali della Cgil di Roma, dal titolo Fecondazione medicalmente assistita e gestazione per altri: la possibilità di un figlio nel 2019, organizzato da Associazione Luca Coscioni in collaborazione con Cgil Nuovi Diritti, Articolo 29, Certi Diritti e Famiglie Arcobaleno. Che il convegno sia stato organizzato con il patrocinio e nella sede della Cgil non è piaciuto al neoministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova, che ha scritto una lettera molto critica al segretario generale del sindacato Maurizio Landini, attaccato anche dalle femministe. Un caso che però, al di là delle polemiche, ha incoraggiato una riflessione sull’utero in affitto, che nel nostro paese è un reato. Così come in Francia, Germania, Spagna, Portogallo e Cina. Mentre in altri (Regno Unito, Irlanda, Danimarca, Belgio) è legale solo la gravidanza “altruistica”, ossia quando una donna presta gratuitamente il suo grembo a una coppia che non può avere figli.

Infine ci sono nazioni dove la maternità surrogata commerciale è legale (alcuni Stati Usa, India, Ucraina, Russia, Georgia). La California è considerata l’hub nazionale per le gravidanze surrogate, mentre India e Ucraina sono considerati i Paesi fautori del boom dell’industria della surrogazione commerciale. Tanto che New Delhi e Kiev si sono addirittura costruite una reputazione presentandosi come mecca del “turismo procreativo”, fornendo assistenza medica di qualità a poco prezzo. i costi

La spesa per ricorrere all’utero in affitto, come racconta un’inchiesta di Francesco Borgonovo su La Verità, varia da paese a paese. Negli Usa una coppia può arrivare a pagare 100-150 mila dollari per avere un figlio con questo sistema, di cui dai 14 mila ai 18 mila vanno alla madre surrogata. In India e Ucraina i prezzi scendono: 30-40 mila dollari (di cui appena 800-2.500 alla donna) a New Delhi; 30-45 mila dollari a Kiev, dove la stessa riceverà 10-15 mila dollari. I dati relativi alle nascite sono invece difficili da ottenere, poiché molti paesi non li diffondono. Nel 2010 in California sono nati circa 1.400 bambini, in India operano oltre 3 mila cliniche, per un business che supera i 400 milioni di dollari l’anno e porta a termine almeno 1.500 casi di surrogazioni l’anno, in Ucraina invece nel 2011 sarebbero state portate a termine con successo 120 gravidanze, ma il numero reale potrebbe essere molto più alto.

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CONDIVISIONI

L’auto non la compro Per utilizzare la macchina non serve più acquistarla. È in continua crescita il numero di iscritti al car sharing, apprezzato soprattutto dai giovani Di Luca Palladino _ Qual è il rapporto tra i giovani e le automobili? Da una recente indagine condotta da mUp Research e Norstat per facile.it, la prima vettura di proprietà arriva intorno ai 22 anni d’età. Nella maggior parte dei casi avere una macchina per i giovani è un traguardo, a partire magari da un regalo dei genitori. E qui si è ancora legati alla tradizione, perché i maschi tecnicamente hanno la macchina prima delle femmine. Le prime auto dei giovani sono veicoli usati per il 65,8% dei casi. Nel 41,7% sono i genitori a regalare la vettura ai propri figli: percentuale maggiore per le donne rispetto agli uomini, 43,7% contro 39,7%. C’è comunque un giovane su tre, 34,4%, che ha acquistato l’auto con i propri risparmi. Se l’età media è di poco inferiore ai 22 anni, bisogna dire che le femmine hanno la loro prima macchina a quasi 23 anni, mentre i maschi al di sotto dei 21. I primi a guidare un mezzo a quattro ruote sono i residenti del Nord Ovest e del Centro Italia, all’età media di 21 anni e sei mesi. Ultimi quelli del Sud e delle Isole a 22 anni e due mesi. più consumo, meno possesso

Ma le auto di proprietà stanno lasciando sem-

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pre più spazio alla mobilità condivisa, come il car sharing. Dai dati dell’ultimo rapporto La mobilità sostenibile e condivisa in Italia, presentato da Aniasa, Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio e Servizi Automobilistici, al 2018 nel nostro Paese, c’è ormai un totale di 1 milione e 790 mila iscritti al car sharing. Un aumento del 27% rispetto all’anno precedente, con 850 mila a Milano e 600 mila a Roma, dato che ci posiziona ai vertici della classifica europea. La flotta complessiva di veicoli è rimasta stabile a 6 mila e 600 veicoli, dei quali 3.100 a Milano e 2.100 a Roma. Poi le più attive sono Torino e Firenze. Invece, il numero di noleggi è salito a 11 milioni e 870 mila, 26,5% in più dell’anno precedente, con 9,5 milioni tra Milano e Roma, che rappresentano l’85% del totale italiano. La dura-

ta media di un viaggio con il car sharing è di circa 28 minuti, mentre la distanza percorsa si aggira mediamente sui 6,8 km. In Italia, dunque, la mobilità condivisa è apprezzata sempre di più. E i giovani prediligono ormai il car sharing, piuttosto dell’auto di proprietà, perché forse hanno in testa un’idea dell’auto diversa rispetto a quella dei loro genitori. Una concezione più incentrata sul consumo che sul possesso. Questo fenomeno poi si registra di più nelle grandi città. Ma chi è il cliente medio del car sharing? Uomo, per il 63% del totale, ma comunque c’è stato un progressivo aumento del pubblico femminile, che si attesta ora al 37%. L’età media è scesa invece a poco più di 35 anni. I giovani tra i 18 e i 25 anni sono aumentati dal 22 al 26%. Mentre, gli adulti tra 26 e 35 anni hanno raggiunto il 30% del totale utenti, confermandosi primo segmento dei clienti di car sharing. Sono diminuiti gli utilizzatori sopra i 36 anni.

IL GRAFICO

Chi condivide di più I dati mostrano la percentuale di utenti che scelgono il car sharing, suddivisi per età. Fonte: Rapporto Aniasa 2018

57%

24%

18-35 anni

19% 36-55 anni

oltre 55 anni

non solo car sharing

Non bisogna però dimenticare che oltre alle automobili vengono utilizzati anche altri mezzi di trasporto condivisi, come motorini, biciclette e monopattini. Negli ultimi mesi, infatti, i clienti sono cresciuti fino raggiungere quota 5,2 milioni di italiani, con ben 363 servizi attivi. Un balzo del 26% solo nell’ultimo anno, come recita l’Osservatorio Nazionale della Sharing Mobility. Forte spinta dai veicoli elettrici, come il +285% di noleggi degli scooter a emissione zero. Cresce anche il numero delle auto che possono essere lasciate in “free floating”, un punto differente da quello di avvio noleggio. In calo del 9% invece il bike sharing. Il futuro dei trasporti nel nostro Paese è questo, sempre più verso la mobilità condivisa. E pare che i giovani l’abbiano capito prima e meglio di tutti.


Binge drinking? No grazie Spesso si parla di quanto i ragazzi siano soliti affogare i loro pensieri nei superalcolici, ma la realtà è davvero questa? Gli ultimi dati sembrerebbero smentire queste voci Di Nausica Samela _

allarmismo o verità?

La verità, se di verità si può parlare, sta nei dati più che nei titoli di giornali. Il tema dell’alcol si presta a diverse interpretazioni e, all’interno dei media, prevalgono molto spesso letture allarmistiche dei dati. Lo studio elaborato da La condizione giovanile in Italia – Rapporto giovani 2019 sembra mettere nero su bianco che l’80% dei giovani italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni assume alcol moderatamente. Partendo da una fetta di diverse migliaia di individui la foto rappresentativa dei giovani non è a tinte fosche come i media cosa sono le abbuffate alcoliche vogliono dipingerla. «Non c’è nessun binge Il fenomeno del binge drinking, conosciuto drinking in atto». Ad affermarlo è Giovanni anche come “abbuffata alcolica”, è un tema Aresi, docente di psicologia dell’Università di cui spesso abbiamo letto. Si tratta dell’u- Cattolica di Milano. «I consumi a rischio di so concentrato di alcol in poche ma costanti alcol, continua Aresi, secondo alcune letteoccasioni. Una ricerca elaborature sono in netta diminurata dal Policlinico Gemelli di zione. C’è un trend globale Secondo gli esperti Roma dimostra come su un rispetto a questo fenomeno campione di 2.704 giovani roin tutti i Paesi occidentali e le l’abuso di alcol mani di età compresa tra i 13 ricerche, conclude, indicano è legato e 20 anni, l’1,2% presenta una una diminuzione dell’uso di diagnosi di dipendenza da albevande alcoliche anche nel alla necessità col. Tutti soliti alle abbuffate nostro paese». Più in generadi apparire dei weekend della Roma da le 1 giovane su 5 non adotta bere. La dipendenza da alcomportamenti a rischio nei col, però, non è un problema confronti dell’alcol, ma quello circoscritto: a dare l’allarme è l’Osservatorio che desta più preoccupazione è una converNazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sa- genza femminile verso l’alcol rispetto a quella nità. «I ragazzi non solo bevono, ma bevono maschile. Tendenzialmente sono diffuse nel per ubriacarsi – spiega il direttore Emanuele panorama giovanile, e non, alcune pratiche di Scafato – È un trend nazionale che ha comin- consumo alcolico moderato prevalentemente ciato a risalire, quindi bisogna intervenire legato a momenti di socializzazione che sono presto per scongiurare coma etilici e intossi- compatibili con uno stile di vita funzionale. cazioni». Dobbiamo esorcizzare dal nostro immaginaIn particolare, tra gli 11 ed i 18 anni è a ri- rio collettivo l’idea che la maggior parte dei schio il 22,4% dei ragazzi, mentre il 13% del- giovani escono i weekend solo per ubriacarsi. le ragazze ha uno stile di consumo dannoso Bisognerebbe abbandonare quella visione pae rischioso di alcol, soprattutto in Piemonte, ternalistica per cui i ragazzi italiani al giorno Trentino Alto Adige, Veneto e Trentino. Dai d’oggi sono come i bimbi sperduti che affodati raccolti dall’Iss emerge che in Italia si gano sistematicamente i dispiaceri nell’alcol comincia a bere intorno agli 11 anni e sareb- ogni fine settimana fino a perdere coscienza bero le ragazze, con un consumo medio di sei di sé, perché non è così. Ci sono casi di rabicchieri a sera, contro i quattro dei maschi, gazzi che il sabato sera escono con gli amici a bere di più. L’abuso di queste sostanze al- e finiscono in coma etilico, questo è vero, ma teranti, stimano gli esperti, è collegabile alla ciò non vuol dire che questo sia il mood di necessità di apparire, in quanto l’alcol assu- un’intera società. In tal senso c’è una netta me il ruolo di facilitatore, perché i suoi effetti inversione di marcia. Stando agli ultimi dati possono lenire ansie e paure, sempre più pre- pubblicati dall’Istat i giovani spendono molto senti in una società fatta di poca sostanza e di più per il cinema, gli spettacoli e gli eventi molta apparenza. culturali che per le bevande alcoliche. Bere o non bere? Questo è il dilemma. Stando alle ultime ricerche fatte in materia di giovani e alcol, pare piuttosto chiaro quale sia la posizione degli italiani in merito: non bere. O meglio bere, ma moderatamente. Sembra proprio che la storia del binge drinking sia andata a farsi benedire. Le famose “abbuffate alcoliche” del weekend su cui molti media hanno consumato litri d’inchiostro non è poi così attuale.

TREND IN RAPIDA DIMINUZIONE. Secondo quanto afferma Giovanni Aresi, docente dell’università Cattolica di Milano, il calo del consumo rischioso di alcol è un fenomeno globale

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UN’IMPRESA DA OLTRE 200 SOCI NEL MONDO. Questi i numeri di Mulinm, che nel 2017 ha rivoluzionato la quotidianità degli abitanti di San Floro

Perdere le tradizioni? No, se si innova

Mulinum è la più grande startup agricola finanziata con crowdfunding. Al vertice dell’impresa c’è Stefano Caccavari, giovane imprenditore che vuole difendere il territorio e la tradizione calabrese 16

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Di Virginia Nesi _ «Se le persone non si impegnano a difendere il proprio territorio, questo scomparirà». Lo afferma Stefano Caccavari, giovane imprenditore che nel 2017 ha rivoluzionato San Floro, municipio in provincia di Catanzaro con 690 abitanti. In quell’anno è nato Mulinum, un luogo in cui si produce farina integrale con distinte varietà di grani antichi per fare il pane come una volta. «Studiavo economia mentre aiutavo la mamma al bar di famiglia. Poi, a un tratto, pensai che dovevo fare qualcosa per salvare il mio territorio. Quelle colline dovevano essere col-

tivate», racconta Caccavari. Da quei ricordi però sono passati un po’ di anni. Caccavari oggi è un imprenditore affermato con più di 200 soci sparsi in tutto il mondo. L’azienda Mulinum, dopo il successo in Calabria, è atterrata anche in Toscana, Puglia e Sicilia. Ma per capire la sua storia e la grande evoluzione di questa start up agricola, bisogna fare un passo indietro. Nel 2014, la Regione Calabria, il comune e parte della Provincia approvarono la costruzione di una discarica di rifiuti speciali e pericolosi nell’area della Località Battaglina (comune di San Floro). Indignazione e proteste: così reagirono tutti i cittadini. Dopo la nascita del comitato “No discarica Battaglina”, nac-

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que una nuova coscienza popolare. In quelle circostanze Stefano Caccavari decise di aprire vicino alla futura discarica una nuova startup agricola. Si tratta di ‘orto di famiglia’, un progetto che prevede la coltivazione di verdure di stagione in grandi appezzamenti di terra di sua proprietà. «L’idea era quella di offrire orti in affitto», spiega Caccavari. «Da avere 10 orti affittati sono diventati 50, poi 90 e 155», continua. Un anno più tardi il comune di San Floro riuscì, con l’aiuto di alcuni avvocati di Lega Ambiente, a vietare la costruzione della discarica. Intanto però, intorno all’’orto di famiglia’ si era creata una vera e propria comunità di persone. Mangiare sano e difendere il territo-

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rio erano diventati gli obiettivi di tutte quelle persone che si erano unite intorno al progetto di Caccavari. Nello stesso San Floro, il giovane imprenditore decise poi di avviare il primo ettaro di grano, riprendendo il seme del Senatore Cappelli, l’antica varietà che coltivava suo padre insieme ai suoi zii. «Volevo fare il pane come una volta. È per questo motivo che decisi di macinare il grano in un paesino vicino a Crotone», spiega Caccavari. Di fatto, è l’unico luogo in cui risiedeva un mugnaio che utilizzava mulini a pietra naturale. «Con le macine a pietra, il grano non si riscalda e mantiene le sue proprietà naturali, non si bruciano né vitamine, né minerali», specifica. Con quel grano, l’imprenditore produceva pane per uso domestico e lo regalava ai suoi clienti. Ma, «tutto cambiò quando il mugnaio ci annunciò che avrebbe voluto vendere il mulino. Da lì ebbi una grande intuizione», prosegue. La costante voglia di difendere la tradizione lo spinse a scrivere un appello su Facebook per comprare quelle macini. In 90 giorni, Caccavari riuscì a ottenere 101 soci, 50 mila euro e fondò così la più grande startup agricola finanziata con un crowdfunding ‘innovativo’. Ma non è tutto. Con un secondo crowdfunding l’imprenditore raddoppiò il numero di soci e raccolse un milione di euro per poter aprire un altro Mulinum a Bonconvento, in provincia di Siena. Una sala macine, una pizzeria con punto degustazione e una sala dei forni: è così che al momento si compone lo spazio Mulinum di San Floro. Al solo affacciarsi alla porta dell’edificio si sente l’odore del pane appena sfornato. L’ampio numero di tipologie di pane integrale garantisce una vasta scelta ai clienti. Dal classico pane di segale al filoncino con pomodori secchi e olive, passando al pane con chicchi di cioccolato o con la curcuma. Scegliere diventa difficile anche se tutti i prodotti si eguagliano per la propria qualità. La naturalezza dei grani antichi, l’impasto con lievito madre e la cottura con la legna di olivo permettono al pane di conservarsi per 20 giorni, come spiega Caccavari. Oltre a ciò, Mulinum produce anche grissini e biscotti al gusto di cioccolato e nocciole, miele e cannella. Le pizze, di farina integrale e con ingredienti di stagione, sono uno dei suoi punti forti. Le singole ricette sono pensate da Caterina Caraudo, chef calabrese con una stella Michelin. Oltre a difendere il territorio, Mulinum pensa anche alla salute dei propri consumatori. Ne sono la prova i casi di studio realizzati su venti bambini affetti da diabete mellito di tipo uno, insulinodipendenti. Come dichiara Ansa, una volta mangiati i prodotti Mulinum, i piccoli partecipanti hanno registrato una riduzione dei valori medi della glicemia rispetto a quanto osservato dopo l’assunzione della classica pizza preparata con farina di tipo 00. «In un secondo tutta la mia vita è cambiata. Adesso vorrei aprire delle mini filiere agricole in tutte le province e regioni d’Italia e magari anche all’estero creando in più un Pastanium, un Birranium e un Gelatum», specifica Caccavari. «“Um” è un omaggio al latino, ho fatto lo scientifico», conclude ridendo.

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Viviamo sottot Cinquanta posti di lavoro in dieci anni per i ragazzi del rione Sanità, nella città partenopea. Grazie alla cultura (e a un prete che crede in loro) Di Francesco Li Volti _ C’è sempre una possibilità di riscatto. Miriam, una ragazza di circa 20 anni, guida il gruppetto di visitatori attraverso le Catacombe di San Gaudioso nel rione Sanità di Napoli. E lo fa con una verve da consumata guida turistica condita da quella tipica vivacità napoletana, che riuscirebbe a rendere interessante anche la lettura dell’elenco telefonico. Miriam è nata e cresciuta proprio in quel rione. Uno dei quartieri più problematici della città partenopea. Uno di quei rioni che «se ci nasci hai buone possibilità di andare a infoltire la schiera dei disoccupati» spiega Vincenzo Porzio, portavoce delle Catacombe di Napoli, un’organizzazione che è diretta filiazione della Cooperativa la Paranza. «Paranza sta per quel modo di pescare dove due barche tirano insieme le reti. Ma sta anche per amicizia», continua Porzio. Ed è stata proprio l’amicizia tra un gruppo di ragazzi che frequentavano l’oratorio della Basilica Santa Maria della Sanità a far nascere l’idea di ribellarsi allo status quo, di non arrendersi a un destino che per loro sembrava già scritto: diventare disoccupati o criminali.

inizia l’avventura

Ma come? Sfruttando i siti storici che caratterizzano il rione, a iniziare dalle catacombe, e togliere quel marchio di pericolosità che da anni lo contraddistingueva. E così nel 2006, sostenuti dal loro parroco don Antonio Loffredo – «qui, per fortuna, abbiamo sempre avuto parroci illuminati» sottolinea Porzio – hanno pensato di rimboccarsi le maniche, dando vita alla cooperativa. La decisione giusta al momento giusto, visto che poco dopo la Fondazione “con il Sud” lanciava un bando per il recupero di siti storici attraverso l’impiego di giovani. I ragazzi della Paranza partecipano presentando il progetto di recupero e riapertura al pubblico delle tre catacombe situate nel loro quartiere, quelle di San Gennaro, San Gaudioso e San Severo, e insieme al sostegno delle fondazioni investono un milione di euro nel loro progetto. I ragazzi lavorano tutto il giorno e investono le loro entrate nel progetto. Le Catacombe di San Gennaro sono affidate dal Vaticano all’Arcidiocesi e dall’Arcidiocesi alla Cooperativa La Paranza e dopo ancora tanto lavoro di riqualifica nel 2010 viene inaugurato l’impianto di illuminazione con la visita serale Lux in Tenebris, evento che registra il sold out. Da qui inizia un’avventura che ha visto aumentare di anno in anno il numero di visitatori (dagli iniziali 5160 ingressi si è passati a fine 2018 a 103.860) dando lavoro anche a un gruppo cospicuo di giovani. Inizialmente erano in 8, poi 15 e adesso sono circa 50 i ragazzi che si prendono cura delle Catacombe. Iniziarono col riprendersi quelle di San Gennaro, poi hanno deciso di ridare il giusto smalto a quelle di San Gaudioso, nel cuore del quartiere Sanità. Queste Catacombe hanno un grosso valore simbolico per i ra-


RISCOPERTA

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RADICI

La città che è risorta due volte Distrutta dal terremoto del 1887, Bussana Vecchia è stata ricostruita dai suoi giovani abitanti, oggi a rischio sgombero perché considerati dal Demanio occupanti abusivi

Di Giulia Diamanti _

oterra gazzi del quartiere; erano totalmente chiuse al pubblico e solo grazie alla volontà e alle mani dei giovani che adesso sono le guide turistiche di questa struttura, le Catacombe di San Gaudioso hanno presto riacceso la luce del turismo nel quartiere Sanità. «Tra di noi ci sono laureati in turismo, in economia, ma anche ragazzi che hanno preso il diploma, fatto corsi professionali e ora c’è chi pensa di iscriversi all’università». non solo catacombe

Una storia di successo che non si limita però solo alle catacombe, ma ha contaminato tutto il quartiere. Sono nate le associazioni dei commercianti, è nata l’orchestra Sanitansamble, il Teatro Sanità ha un ricco tabellone di rappresentazioni, i vecchi palazzi, come per esempio il Palazzo dello Spagnolo sono tornati a nuova vita, anche grazie ai turisti che vi pernottano; poi c’è uno studio di registrazione, due bed&breakfast, attività artigianali, una Fondazione che coordina le attività di tutti e reperisce fondi per tutti. Un quartiere che rinasce, si fa bello con bar e negozi di souvenir dove prima c’erano quasi solo spacciatori. Da ultima la casa editrice Edizioni San Gennaro che esordisce col libro dedicato proprio ai ragazzi, “Noi del rione Sanità”. Ma la cosa più bella, ciò che si “vede” davvero al rione Sanità, la vera opera di don Loffredo sono proprio i ragazzi. «Abbiamo fatto tutto noi», ripetono con orgoglio. Ed è vero. Loffredo non ha offerto loro un lavoro ma ha fatto molto di più, li ha messi in grado di costruirselo da soli. Il quartiere Sanità, con l’Associazione La Paranza, ha sviluppato un marketing aggressivo, mutando la logica di quartiere in quella di brand.

«Ci deve essere una soluzione per non buttarci fuori tutti». Daniela Mercante abita a Bussana Vecchia, un piccolo paese del comune di Sanremo che avrebbe tutte le carte in regola per essere un borgo fantasma, ma ha deciso di non esserlo. Il 23 febbraio 1887 un terremoto ha raso al suolo l’intera cittadina durante la messa della Domenica delle Palme, distruggendo le abitazioni e la chiesa di S. Egidio di cui è rimasto in piedi, come per miracolo, solo il campanile. Chi è sopravvissuto al sisma che ha spazzato via vite, case e futuro si è trasferito nel paese accanto, che ha preso il nome di Bussana Nuova: «Gli abitanti hanno vissuto in tende e baracche di fortuna per poi spostarsi nel paese messo in piedi da loro stessi con dei mutui agevolati», ricorda Daniela.

bero e cartelle di indennizzo risarcitorio per occupazione abusiva: «Non potevamo fare usucapione perché nel 2004 il paese è diventato patrimonio storico indisponibile, perciò avremmo dovuto ricomprare le case passate in concessione gratuita al comune di Sanremo». Con l’aumentare di ricorsi, avvocati e udienze rinviate è cresciuta anche la resilienza dei cittadini: «Il demanio ci definisce occupanti abusivi, ma noi ci vediamo come coloro che il borgo l’hanno resuscitato», spiega Andrea Zammataro, organizzatore di eventi culturali ed educatore in una cooperativa sociale a Bussana vecchia. «Questo è l’unico posto che mi sento di chiamare casa, anche se vado e vengo da quando ho otto anni e adesso ne ho 35». è un paese per giovani

Gli abitanti di Bussana, che non superano le 60 unità e che raggiungono il picco d’estate arrivando fino a 150, sono per la maggior parte artisti. Chi un borgo fantasma non conosce il passato di BusBussana Vecchia è rimasta sana Vecchia potrebbe essere abbandonata fino agli anni sviato dal nome, sebbene la ’50 quando chi arrivava dal sua cittadinanza sia piuttosto Sud per lavorare nelle serre giovane. Si contano una detornò ad abitare nelle case più cina di bambini sotto i dieci Abbiamo resuscitato anni e una dozzina tra i 10 e integre: «Ai danni del terremoto si aggiunsero quelli del il borgo con le nostre i 20. Qualche sessantenne fa Genio Civile mandato dal cocompagnia a diversi ragazzi sole forze, ma mune di Sanremo che rispose tra i 25 e i 35 anni, mentre la all’occupazione demolendo restante fascia di popolazioper il Demanio tutte le scale d’accesso e le ne comprende persone tra i siamo abusivi volte rimaste integre in modo 30 e i 60 anni. Tutti accomuche le case non potessero esnati da un destino incerto e andrea zammataro sere più abitate». da una situazione borderline che li rende “abitanti a metà”: l’arte che salva e risana «La soluzione ideale sarebbe che il consiglio A riportare vita ci ha pensato una comunità dei Ministri levasse il vincolo di patrimonio di artisti e artigiani che con fatica ha comin- storico indisponibile, oppure che l’indennizciato la ricostruzione del villaggio ripartendo zo risarcitorio che va da un minimo di 20 mila dalle macerie. «Dopo le prime botteghe e la- euro fino a un massimo di 140 mila venisse boratori la comunità si è ingrandita grazie al estinto, dal momento che abbiamo già speso tacito assenso del comune che ha rilasciato quelle cifre quando abbiamo proceduto con residenze e licenze per locali commerciali». la ricostruzione delle case distrutte», sottoliMa nel 1983 il Demanio decide che quel fiore nea Daniela. A ciò si aggiungono le incertezall’occhiello, che ogni anno richiama migliaia ze delle gare di assegnazione (a cui per legge di turisti da tutto il mondo per la sua parti- sono sottoposte le case del Demanio), che ricolare identità culturale, non appartiene più spondendo alla logica dell’offerta più alta, poagli abitanti di Bussana, bensì allo Stato. Arri- trebbero sottrarre definitivamente Bussana a va un nuovo terremoto fatto di avvisi di sgom- chi di fatto l’ha costruita.

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CLASSIFICHE

I MIGLIORI ATENEI PER CONTINENTE Pagine a cura di Alessandro Follis

2 UNIVERSITÀ DI STANFORD Alta percentuale di miliardari tra gli ex studenti Fondata nel 1891 dai benefattori Jane e Leland Stanford, è situata nel mezzo della Silicon Valley. Viene soprannominata “la fabbrica dei miliardari”: si dice addirittura che se tutti i laureati di Stanford si accordassero per formare uno stato indipendente, questo avrebbe una delle prime dieci economie mondiali. Il suo campus, uno dei più grandi degli Stati Uniti, è frequentato da più di 16 mila studenti. 3 UNIVERSITÀ DI HARVARD La culla dei presidenti Usa: ben otto si sono laureati qui È la più antica università americana, fondata nel 1636 dal consiglio della colonia inglese di Boston. Racchiude anche la più grande raccolta di volumi accademici del mondo, con oltre 18 milioni di volumi. Attualmente accoglie più di 23

mila studenti. Dalle sue aule sono passati, tra gli altri, otto presidenti americani, svariati vincitori di Oscar, Pulitzer e Nobel e atleti olimpionici per un totale di 108 medaglie vinte. 4 UNIVERSITÀ DI OXFORD Non ha un campus, ma i collegi sono disseminati per la città È l’università più antica del mondo anglosassone, la quarta nella classifica mondiale. Attestazioni della sua esistenza sono note fin dall’Undicesimo secolo, ma la sua data precisa di fondazione è ignota. Priva di una cittadella universitaria, vanta però un’estesa area verde e 38 collegi sparsi nel centro storico. Accoglie quasi 21 mila studenti e annovera tra i suoi laureati più

1 MASSACHUSETTS INSTITUTE OF TECHNOLOGY Innovazione scientifica e culturale Fondato nel 1861 dal geologo William Barton Rogers, il Mit è da anni al vertice tra le università di tutto il mondo in quanto a qualità dell’insegnamento. Pur mantenendo ancora oggi la sua vocazione originaria all’innovazione e al progresso in tutti i campi della scienza, è anche permeata dalla cultura: al disegno del campus hanno contribuito architetti di fama mondiale e a disposizione degli 11 mila studenti ci sono 12 musei e oltre 60 attività artistiche.

di 30 leader mondiali, tra cui 26 premier inglesi. 5 CALIFORNIA INSTITUTE OF TECHNOLOGY L’università di Sheldon Cooper e dei suoi compagni nerd Fondata nel 1891 dall’imprenditore Amos Throop, la Caltech è specializzata nella ricerca e nei settori dell’ingegneria e delle scienze naturali. Nota anche per essere il luogo di lavoro dei protagonisti della famosa sitcom The Big Bang Theory, ospita appena 2200 studenti a tempo pieno nel suo campus, posto a pochi chilometri dal centro di Pasadena, in California. Il motivo? Criteri di ammissione estremamente restrittivi.

6 POLITECNICO FEDERALE DI ZURIGO Non solo libri: ogni anno è sede di un ballo tradizionale È la prima università non anglosassone nel ranking QS. Fondata nel 1855, vanta tra i suoi laureati Albert Einstein. Il suo campus ospita 18 mila studenti, è situato su una collina nella periferia della città. Oltre alla sua ampia offerta di corsi e attività ricreative, il Politecnico di Zurigo organizza il Polyball, un evento in cui i partecipanti danzano nella cornice rinascimentale dell’edificio principale.

7 UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Vanta legami con quasi cento premi Nobel Fondata nel 1209, è la seconda università inglese più antica. Ospita 19 mila studenti da tutto il mondo nelle sue strutture sparse per la città, molte delle quali affacciate sul fiume Cam. È divisa in 31 college autonomi, cui si fa domanda di ammissione individualmente. Ospita oltre cento biblioteche per un totale di 15 milioni di volumi. Da qui sono usciti 98 premi Nobel e 15 primi ministri britannici. 8 UNIVERSITY COLLEGE LONDON Rispecchia l’animo cosmopolita della capitale Uno degli istituti universitari

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CLASSIFICHE

CHI SONO

I CORSI

Identikit dello Laurearsi in studente surf o pompe Erasmus funebri

multidisciplinari più importanti del mondo, è stata fondata del 1826 come alternativa a Oxford e Cambridge. Situata nel centro di Londra, presenta un’offerta variegata di discipline, dalle lingue alla medicina, passando per matematica, astrofisica e legge. Quasi metà dei suoi 33mila studenti sono internazionali, provenienti da 150 paesi differenti.

9 UNIVERSITÀ DI SINGAPORE Le eccellenze del continente racchiuse nella città-stato Sono due istituzioni del paese, pari merito all’undicesimo posto globale, le migliori università dell’Asia. Una è la Nanyang Technological University, che ospita 33 mila studenti ed è una delle più importanti al mondo nel settore dell’innovazione tecnologica. L’altra è l’Università Nazionale di Singapore, che offre ai suoi 35 mila studenti 17 diverse facoltà e un curriculm di studio interdisciplinare e integrato.

!0 UNIVERSITÀ NAZIONALE AUSTRALIANA Nata per volere del Parlamento nazionale Situata in 29esima posizione nel ranking mondiale QS, è la migliore università del continente oceanico. Fondata nel 1946 dal Parlamento federale, si trova nella capitale australiana Canberra e ospita oltre 18mila studenti.

Può vantare un elevato livello di soddisfazione degli studenti e di assunzioni dei neolaureati. Qui si sono laureati sei premi Nobel e due premier.

!1 UNIVERSITÀ DI BUENOS AIRES La casa di Che Guevara per cinque anni È il miglior ateneo latinoamericano secondo il QS University Ranking, che per il 2020 lo colloca al 74esimo posto. Fondata nel 1821, ospita più di 120 mila studenti. Le sue 13 facoltà sono sparse nella città: solo due si trovano nella “città universitaria” inaugurata recentemente. Da qui provengono 17 presidenti del paese, cinque premi Nobel e anche il protagonista della rivoluzione cubana Ernesto “Che” Guevara, che qui si laureò in medicina nel 1953.

!2 UNIVERSITÀ DI CITTÀ DEL CAPO Uno dei simboli della lotta all’Apartheid Con la posizione 198 nel QS Ranking, è la prima università del continente africano. Fondato nel 1829, è il più antico istituto di istruzione superiore del paese e ospita più di 25 mila studenti. È l’unico membro africano del Gulf, che racchiude i presidi delle migliori 28 università del mondo. Tra i suoi laureati può vantare il premio Nobel per la Letteratura J. M. Coetzee.

A cura di A. F. _

A cura di A. F. _

Il progetto Erasmus è nato nel 1987 per permettere lo scambio tra studenti universitari europei. Con il tempo si è allargato per includere anche altri paesi associati, come la Norvegia e la Turchia. Le ultime statistiche raccolte dall’Unione europea e relative all’anno 2017, dicono che hanno partecipato al progetto 325.800 studenti. La maggioranza di loro erano ragazze, il 61%, con un’età media era di 22,5 anni. Per quanto riguarda la meta più gettonata, a vincere è stata la Spagna, con un’affluenza di quasi 50.000 studenti, seguita da Germania e Regno Unito, molto più staccate. L’Italia è “solo” quinta in questa classifica, con poco più di 25.000 arrivi. Il paese da cui provengono più ragazzi che partecipano al progetto Erasmus è invece la Francia, con circa 44.000 adesioni, seguita da Germania e Spagna. L’Italia è quarta con 35.000 studenti in partenza. Una domanda che molti si sono posti riguardo al progetto Erasmus è: cosa succederà con l’avvento della Brexit? L’Ue si è cautelata garantendo che tutti i soggiorni iniziati prima dell’effettiva data di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, qualsiasi essa sia, possano essere terminati senza problemi. Per quanto riguarda quelli che avranno inizio in periodi successivi, ancora non c’è una decisione definitiva. Ci si aspetta comunque che agli studenti comunitari siano garantite agevolazioni per l’ottenimento dei permessi.

L’offerta di corsi di laurea in tutto il mondo è così estesa da riservare delle sorprese molto curiose. Soprattutto nei college americani, dove si possono intraprendere percorsi di studio fuori dal comune. Per gli sportivi, l’Università di Plymouth offre un corso di laurea in Surf Science and Technology, dove gli studenti imparano, oltre alla tecnica del surf, anche i suoi aspetti sociologici e psicologici, nonché la costruzione delle tavole, fondamenti di biologia marina, ma anche cenni di educazione alimentare. Sempre in materia ricreativa, l’Università di Vincennes, nello Stato americano dell’Indiana, permette di laurearsi in Bowling Management. E quali sono le prospettive lavorative? Si concentrano principalmente nella gestione di un impianto, un negozio specializzato oppure nella costruzione dell’attrezzatura. Si ha inoltre la possibilità di allenarsi con la squadra professionistica del college. Si possono infine trovare diversi corsi di Scienze Mortuarie: tra le altre, il Lincoln College of New England, l’Università dell’Oklahoma e il Cincinnati College offrono una formazione specializzata per diventare impresari di pompe funebri. Dalla preparazione e conservazione delle salme fino alla realizzazione delle bare, passando per le tecniche di imbalsamazione. Questa laurea apre le porte a un lavoro che non sparirà mai.

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TENDENZE/I

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VESTIRSI COME KAEPERNICK

Nuova moda sport power I brand sportivi stanno conquistando una fetta di mercato sempre più grande: i giovani. Intercettare i loro gusti significa avere un futuro vincente

football americano, atleta simbolo della protesta dei giocatori della NFL contro gli abusi della polizia nei confronti degli afroamericani. Lo sportivo infatti incarnava (e incarna tuttora) una serie di valori che hanno fatto breccia nel cuore di Millennials e Generazione Z. Questo, nonostante la protesta esplosa su Twitter sintetizzata dall’hashtag #BoycottNike, lanciato dai sostenitori di Trump. riconoscersi nei testimonial

Di Antonio Lopopolo _ È un brand sportivo il marchio più amato dai giovani nel mondo. Nell’annuale classifica delle 100 migliori marche del millennio The Top 100 brand stilata dalla agenzia pubblicitaria americana Moosylvania al primo posto svetta infatti Nike, che sbaraglia concorrenti di tutto rispetto come Apple e Facebook. Che sia un caso? Le posizioni nove e dieci della classifica smentiscono questa ipotesi. Troviamo rispettivamente Jordan e Adidas, che superano marchi storici come Gucci e Coca Cola. Si potrebbe pensare che i giovani amino lo sport a tal punto da farsi influenzare anche nella scelta del vestiario, ma la vera ragione è molto più complessa di così. l’importanza di chiamarsi colin

Il gigante americano dello sportswear è balzato al primo posto della lista dei marchi più fidati, dal terzo dove si trovava l’anno precedente, quando il brand ha comunicato la scelta di fare una campagna pubblicitaria dal titolo “Dream Crazy” con Colin Kaepernick come proprio testimonial. Per celebrare i 30 anni del motto “Just do it”, il colosso di Beaverton ha scelto proprio il giocatore di

Adidas invece è rimasta costantemente in piedi grazie alle sue iconiche collaborazioni culturali, tra cui Stan Smith, Kanye West o da ultimo James Harden la cui campagna pubblicitaria, all’apparenza una come tante, si è trasformata in un dibattito social tra razzisti e non. Discorso differente per il marchio Jordan, sempre protagonista in sé per sé che ha puntato tutto sullo sportivo da cui prende il nome, diventato una vera e propria leggenda per tutti i giovani di oggi, cresciuti con il mito di SpaceJam. Sempre Nike ha voluto celebrare in concomitanza con i Campionati mondiali la definitiva affermazione del calcio femminile attraverso uno slogan eloquente: “Dream Further”. Uno spot efficace riassunto nel «non cambiare i tuoi sogni ma cambia il mondo», un appello a tutte le giovani sportive. È proprio questo che vogliono: trovare qualcuno che creda in quello in cui credono loro. E i brand sportivi, complici strategie di marketing sempre più mirate, hanno centrato il punto. Chi rappresenta un marchio non può ignorarli, nonostante uno studio recente ha rivelato come uno sbalorditivo 67% di loro ritenga che la maggior parte delle aziende non abbia ambizioni oltre a voler fare soldi. Ma ciò non significa che non possano essere fedeli al marchio nel quale si riconoscono.

IL GRAFICO

Mens sana in corpore sano A quanto ammonta il numero dei giovani italiani, maschi e femmine, che scelgono di dedicarsi a uno sport? Questi i numeri. Fonte: Rapporto Istat I cittadini e il tempo libero 2016

3000

totale femmine maschi

3.046 1.167

2500 2000

1.722

1500

751

1000

1.441 1.129 475

971

653

500

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Tutt’altro. Per i professionisti del marketing i Millennials sono un obiettivo allettante, e raggiungerli diventa una sfida quotidiana. il valore dei giovani

Sui Millennials è stato versato molto inchiostro. In America, infatti, c’è una convinzione a cui i numeri stanno oramai dando ragione: il loro potere di spesa supera gli oltre 600 miliardi di dollari ogni anno e si prevede che comanderanno più di 1,4 trilioni di dollari di poteri d’acquisto annuo entro il 2020, rimanendo quindi uno dei dati demografici più importanti per i marchi e per i rivenditori un grande business sul quale puntare. Sono i giovani che stanno attraversando in prima persona un cambio epocale della società, che stanno vivendo il boom della tecnologia e la conseguente rivoluzione di molti aspetti della vita quotidiana. Insomma, sono coloro che suonano la carica del futuro nel presente.


SOCIAL NETWORK

TENDENZE/II

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I CASI

Le piattaforme per chi ama il lusso e la moda 1. DIVENTARE INFLUENCER La piattaforma californiana Fashion Nova invita i clienti a postare foto dei vestiti appena acquistati rendendoli testimonial delle varie collezioni. Grazie a questa opzione Fashion Nova è diventato il quarto brand di moda più cercato sul web negli Stati Uniti dopo Gucci, Louis Vuitton e Supreme. Posto quindi sono. Gli utenti più giovani condividono per dare una determinata immagine di loro stessi 2. LUSSO A NOLEGGIO Il sito Rent the Runway permette di noleggiare capi di alta moda ogni mese, a seconda del tipo di abbonamento, per poi restituirli una volta terminato l’utilizzo. Con 89 dollari al mese si possono noleggiare quattro abiti per 30 giorni, mentre pagando 159 dollari non si hanno limiti di tempo.

3. OUTFIT OF THE DAY

Ma come ti vesti? Te lo dicono i social Si comprano pochi abiti nei negozi reali perché gli e-commerce stanno cambiando il modo di acquistare. Molti, però, lo fanno solo per mostrarlo agli “amici” virtuali

Di Enrica Iacono _ Su Instagram l’hashtag #ootd (outfit of the day) raccoglie oltre 260 milioni di post in cui ogni giorno ragazzi e ragazze condividono con i loro amici l’abbigliamento della giornata. Questa, grazie alle foto degli influencer, è una delle pratiche più in voga sui social network.

4. PERCHÉ SI FA Molti inglesi (il 15% degli uomini contro l’11% delle donne) hanno ammesso nell’intervista condotta da Barclaycard di acquistare abiti online e restituirli dopo averli indossati perché provano imbarazzo davanti ai propri amici nel dover indossare più volte gli stessi vestiti.

5. IL CASO ITALIANO Cerimonie, addii al nubilato e compleanni. Revest è riuscito in pochi mesi, grazie alle influencer, ad affermarsi come punto di riferimento femminile per ogni grande occasione. Uno showroom che propone oltre 100 brand tra i migliori dell’Haute Couture, in cui gli abiti e gli accessori non si comprano, ma si affittano, per quattro o otto giorni.

Compra, scatta, posta, rendi. È questa la nuova tendenza che sta caratterizzando il panorama mondiale della moda. Giovani sempre più assuefatti dai social e dagli influencer, tanto da imitare queste icone di stile in tutto, anche se non se lo si può permettere. Immortalare l’outfit del giorno è infatti diventata una delle azioni più svolte su Instagram, nonostante sia spesso fatto da perfetti sconosciuti con pochi follower sul proprio profilo. Eppure qualcuno, pur di sfoggiare abiti sempre diversi e costosi, è disposto ad acquistare online una grande quantità di capi per poi restituirli al mittente subito dopo averli condivisi tramite un semplice post o una storia. L’aumento dei resi sta così diventando inarrestabile. Un fenomeno che secondo Mauro Ferraresi, direttore del Master in Management e Comunicazione del Made in Italy all’università IULM, è da ricondurre al cosiddetto “effetto Veblen”. «In questo caso – spiega il professore – io consumo e produco tendenze a causa di sentimenti poco nobili come l’emulazione e l’invidia. Oggi gran parte dell’identità è virtuale, basata sul teorema della post-verità, in cui tutto quello che viene postato sui social è vero. Se mi scatto una foto con un cappotto molto costoso e lo condivido su Instagram, elevo il mio status sociale». Tutto questo è stato permesso dall’evoluzione

delle boutique online che funzionano grazie a questa estrema facilità di rendere il prodotto acquistato. Si sono ormai adeguate le più grande case di moda perché «ne vale della reputazione dell’azienda», sottolinea Ferraresi. Proprio la reputazione permetterebbe di perdere nell’immediato e guadagnare nel medio lungo termine. i dati

L’azienda inglese Barclaycard ha svolto in Gran Bretagna delle interviste su questo fenomeno ed è stato scoperto che gli uomini sono degli habitué della tendenza. Il 12% degli intervistati ha ammesso di restituire vestiti dopo averli condivisi online, contro il 7% del dato femminile. Non importa, infatti, se quel vestito indossato nella foto non è veramente tuo perché nessuno può saperlo, tranne il rivenditore. Le nuove piattaforme di e-commerce hanno quindi deciso di puntare tutto sul cliente, inteso come individuo fornito di idee, pensieri, desideri e passioni. Ne è una dimostrazione l’opzione “Try before you pay”, lanciata da siti come Asos, Topman e Schuh, che permette all’utente di pagare solo ciò che decide di tenere, al di là di quanti prodotti ha ordinato. Sembra quindi che i rivenditori, comprese le grandi case di moda, dovranno pensare delle nuove soluzioni per arginare questo ping pong di prodotti spediti e rispediti in continuazione.

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TENDENZE/III

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SCAMBIO

I PASSI

Le norme italiane sul baratto 1. L’ARTICOLO 1552 In Italia le operazioni di bartering vengono qualificate fiscalmente come contratti di permuta. La disciplina in materia è regolata dall’articolo 1552 del Codice Civile, secondo cui «la permuta è il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose, o di altri diritti, da un contraente all’altro». Il caso. Kyle MacDonald ritratto insieme alla graffetta rossa da cui ha avuto inizio il suo business

L’eterno ritorno del baratto L’antico scambio di beni o servizi sembrava appartenere a epoche storiche ormai superate. Oggi le nuove tecnologie lo hanno riportato in auge: è un business model vincente pubblicità – trae origine da un vero e proprio baratto virtuale con l’utente: gratuita cessione di dati in cambio di un’altrettanto gratuita Canada, 12 luglio 2005. Il 26enne Kyle Mac- facoltà di utilizzare i rispettivi servizi. Tra Donald pubblica un annuncio online per questi, la possibilità di dare vita a comunità scambiare una graffetta rossa con un oggetto pensate proprio per favorire scambi di beni dal valore analogo. La prima offerta non tar- tra iscritti. D’altronde, la rete è un grafo: gli da ad arrivare: una penna a forma di pesce di archi che genera sono tanto importanti quanproprietà di due ragazze di Vancouver. Il gio- to i nodi che la compongono. vane accetta, poi la rivende in cambio di una Parallelamente, anche e soprattutto nei setmaniglia a forma di faccia. Affascinato dal tori maggiormente colpiti dalla crisi, la ricerbizzarro pomello, un america di soluzioni alternative al cano gli propone di barattarlo modello economico correnL’antico baratto con un fornelletto da camte è andata intensificandosi. peggio. Un anno dopo, a forza Così, sono sempre più numepuò ritagliarsi di cedere beni sempre più corose le aziende che utilizzano uno spazio stosi, Kyle entra in possesso il baratto come fonte di rinientemeno che di una casa cavo primaria. Si tratta delle anche nel a due piani. La sua storia fa barter companies, imprese orXXI secolo il giro del mondo: è la dimoganizzate per scambiare beni strazione che l’antico baratto e servizi in compensazione. può ritagliarsi uno spazio di Tipicamente, questo avvierilievo anche nel ventunesimo secolo. Tanto ne in ambito pubblicitario: le società offrono più grazie a un uso ragionato delle tecnologie spazi di visibilità, vengono ricompensate con digitali. la merce promossa, poi la vendono a prezzi fortemente ribassati. Il sistema offre due vanun nuovo modello economico taggi principali: da una parte gli inserzionisti A ormai quindici anni di distanza, la tenden- reclamizzano i prodotti senza spendere deza a ridurre le transazioni in denaro sembra naro e movimentando il magazzino, dall’altra aver preso il sopravvento. Si pensi ad esem- le società di bartering monetizzano la merce pio ai giganti del web, Google e Facebook in ricevuta commercializzandola al solo costo di primis. A ben vedere, il loro core business – la produzione. Di Alessandro Vinci _

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2. IL REGIME FISCALE Nel caso di scambio occasionale tra privati il contribuente non è tenuto a compilare alcuna dichiarazione. Il baratto tra aziende richiede invece regolare emissione di documenti fiscali e, anche ai fini Iva, è assoggettato alle stesse regole della compravendita.

3. IL BARATTO AMMINISTRATIVO Introdotto dal decreto “Sblocca Italia” del 2014, consente ai cittadini bisognosi di pagare tasse o debiti con il fisco attraverso lavori socialmente utili. Di norma gli interventi “compensativi” riguardano la pulizia e la manutenzione di piazze, strade o aree verdi.

un caso di studio

C’è chi è andato oltre. È il caso di Portobello, azienda attiva dal 2016 che oltre a rivendere spazi pubblicitari svolge anche la funzione di editore di magazine di proprietà. Un binomio che, complice la recente quotazione sul listino Aim di Piazza Affari, nel 2018 ha generato un vertiginoso incremento del fatturato: da 10 a 21,5 milioni di euro (+115%). «Rispetto alle altre agenzie di bartering – spiega il cofondatore e direttore generale Roberto Panfili – il nostro modello di business presenta due differenze sostanziali. “A monte” siamo veri e propri editori, “a valle” vendiamo i prodotti direttamente al consumatore tramite una catena retail, senza affidarci agli stocchisti. Tutto questo ci permette di avere maggiori opportunità di profitto. Le riviste che editiamo hanno infatti costi di produzione molto bassi. Perciò riusciamo a coprirli interamente con i proventi delle vendite in edicola. Di fatto il nostro margine di guadagno è quindi dato dal prezzo dei prodotti nei nostri negozi, che è estremamente competitivo». Molti, di conseguenza, gli spunti utili per un mondo del giornalismo ancora alle prese con la crisi: «Più la pubblicità tradizionale peggiora – conclude Panfili –, più noi acquisiamo nuovo slancio. In questo siamo del tutto anticiclici. E nulla vieta che la nostra esperienza possa essere d’ispirazione anche per editori più strutturati».


EDITORIA

CULTURA/I

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Instagram, la mia libreria Secondo l’Istat il 41% degli italiani riesce a leggere un solo libro all’anno. Ma nessuna statistica tiene conto delle letture online. O degli influencer Di Alessandro Di Stefano _ Non compaiono mai la parole “Amazon” e “utenti unici”. Come se il re dell’e-commerce e l’universo online fossero inutili per capire quanto leggono i giovani. Secondo l’ultimo rapporto su Produzione e lettura libri in Italia dell’Istat, pubblicato lo scorso anno, il segreto di Pulcinella è che lungo lo Stivale si legge poco. Nel 2017 solo il 41% delle persone è arrivato fino all’ultima pagina di un libro per motivi non professionali. Ma perché mai non tenere conto anche dei titoli letti e sfogliati a metà? E quelli consultati per lavoro o studio non contano? Insomma, il metro di lettura a cui ci siamo abituati non basta più per capire quanto tutti, giovani in testa, leggano. Soprattutto online. Chi l’ha detto che vale più un libro cartaceo di dieci approfondimenti letti sull’app del New York Times?

«Queste indagini nazionali non tengono conto che la gente non dichiara i libri letti parzialmente, magari quelli che gli universitari consultano per scrivere la tesi. In più i dati dell’online sfuggono totalmente a questi studi». Secondo Paolo Giovannetti, professore di Letteratura italiana contemporanea all’università IULM, l’approssimazione di queste statistiche è testimoniata anche da un grande assente. «Dei libri comprati su Amazon abbiamo soltanto stime». Come quelle pubblicate dall’AIE, Associazione Italiana Editori: da gennaio ad aprile di quest’anno le vendite sugli store online sono valse il 25,9% del mercato.

#libri «È senz’altro vero che all’estero si legge di più. E non soltanto per colpa di una parte del percorso scolastico – aggiunge Giovannetti – Quello che succede oggi è che si creano comunità forti di lettori giovani». Su cui anche gli influencer giocano il loro ruolo. Termine forse abusato, ma che spiega quanto sia forte la domanda di orientamento nella lettura sul web. Come cerchiamo i ristoranti migliori navigando, così per i libri. Stando sempre ai numeri dell’AIE, il 51% delle persone che li comprano online «si fa ispirare spesso e talvolta da informazioni e suggerimenti presenti in siti o blog dedicati». Su Youtube, Facebohashtag

ok, Instagram, il mondo social ha le sue icone come @tegamini @loris_inthebook, o Canale di Venti, dove volti giovani usano stories, post e video anche per parlare di libri. non solo svago

Dei miti da sfatare su una generazione cresciuta a latte, biscotti e smartphone c’è proprio quello sul perché si utilizzano i social. Un’area sì di distrazione e svago, ma anche prateria di opportunità per case editrici e testate giornalistiche che vogliano intercettare i giovani, magari sperimentando nuovi format che li acchiappino. In un’indagine rappresentativa sulla popolazione italiana condotta da Blogmeter, citata da Prima Comunicazione, è emerso che il 69% di chi usa soltanto le piattaforme social per leggere contenuti scritti sta nella fascia 15-24 anni. Tra tutti, Facebook è il più usato per informarsi. E le serie tv possono dare una mano ai libri? Storie che appassionano a tal punto i giovani da spingerli ad approfondire. Un esempio su tutti i tanti contenuti online sulla tragedia di Chernobyl tornata di attualità grazie alla serie. Secondo i numeri dell’AIE: lo scorso anno il 34,7% di chi ha letto da uno a tre libri era un abbonato a una piattaforma in streaming; chi invece non era appassionato di serie tv, ma ha comunque letto fino a tre titoli, era il 24,8%. Come dire, le vie per la lettura sono infinite. E pare che i giovani le conoscano tutte.

IL GRAFICO

Passione lettura Nella figura è evidenizato il trend della lettura in Italia, per le persone che hanno compiuto almeno sei anni, dal 2010 al 2017. Fonte: Indagine Istat Produzione e lettura libri in Italia

53.1 51.6 51.9

Femmine

49.3

50

46.8

48 48.6 45.3 46 43 41.1

40 40.1

42

39.7 38.5

47.1 47.1

Totale 40.5

41

36.4 34.5 35

33.5

34.5

Maschi

30

2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017

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CULTURA/II

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VITA DIGITAL

Saperi in (s)vendita Non solo drivers, ma anche professori e studenti. L’economia dei lavoretti spopola in rete, dallo yoga agli scacchi, passando per traduzioni e commenti Di Beatrice Barbato _ Diciamo pure addio agli annunci sulle bacheche delle università o ai numeri di cellulare scritti su porte e pareti. Con il web 2.0 a cambiare è stato anche il modo di fare lezione. Sono sempre di più, infatti, le piattaforme che puntano sull’e-learning, che permettono a chi ne usufruisce, di imparare restando seduti comodamente alla propria scrivania, e a chi fornisce il servizio, di fare esperienza guadagnando: da aspiranti docenti in cerca di pratica, a studenti che desiderano muovere i primi passi nel mondo del lavoro. solo in rete

La domanda è sempre più alta tanto che, secondo uno studio condotto dalla Global Industry Analysts, Inc., il mercato globale dell’e-learning raggiungerà ben 406 miliardi di dollari entro il 2024. Per molti, infatti, l’unico modo per poter seguire corsi o inseguire passioni è proprio quello di collegarsi in rete nei pochi momenti di libertà, tra una pausa di lavoro e una corsa in tram. È possibile trovare di tutto: dallo yoga agli scacchi, fino alle traduzioni di autori classici.

Nuove opportunità? Le piattaforme offrono possibilità di lavoro, ma si tratta sempre di precariato

il prof. Andrea Miconi, docente di Sociologia dei media all’università IULM di Milano – così facendo ha modo di far conoscere se stesso e le proprie competenze. Le piattaforme, invece, sono diverse. Si tratta di strutture assolutamente opache in cui non si saprà mai chi sta facendo quel determinato lavoro». L’iscrizione a queste piattaforme è un modo per il prestatore del servizio di lavorare in regola, ma è anche vero che il guadagno, che prima era legato al sistema delle ripetizioni private, non esiste più. Ai 25-30 euro guadagnati in media all’ora, bisogna sottrarre le spese destinate all’acquisto o al mantenimento del proprio spazio di archiviazione virtuale.

zone d’ombra

Se, però, per gli utenti questa nuova forma di apprendimento è una vera e propria conquista, per chi mette a disposizione le proprie conoscenze, non sono poche le difficoltà. «Su social network come Facebook o Linkedin, l’utente ha la possibilità di fare self-branding, ovvero mette in pratica un tentativo di promozione e valorizzazione di sé - ha spiegato

LEZIONI VIRTUALI

Quando il corso è a portata di click A cura di Master Iulm _

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la chiamavano gig economy

«Le piattaforme – spiega Miconi – ricordano molto la cessione dei terreni nella riforma agraria inglese del ‘700. Non si poteva più vivere guadagnando in proprio, ma bisognava lavorare per coloro che avevano recintato quello spazio». È la cosiddetta gig economy, ovvero l’economia dei lavoretti, che si sta svi-

luppando sempre di più in tutta Europa e di riflesso anche in Italia. Basti pensare a catene come Foodora o Deliveroo. Si tratta, infatti, di piccole commissioni parcellizzate fatte, spesso, nell’attesa di trovare una soluzione migliore e più duratura. «Il rischio è che molte persone lavorino in questo modo per un periodo di tempo indeterminato – commenta il professore – E tutta questa economia delle piattaforme tende, a mio parere, a confermare questa condizione di precarietà». Sebbene queste realtà di e-learning certifichino le competenze di chi lavora e offrano feedback e commenti, a venir meno è, spesso, la qualità dei prodotti realizzati, proporzionata a prezzi bassi e tempi ridotti. «Se una piattaforma chiede 20 sterline per un prodotto che ne varrebbe 150, non bisognerà aspettarsi un lavoro estremamente accurato», conclude il docente IULM. Non resta che chiedersi, allora, se questo nuovo metodo di insegnamento a distanza sia davvero produttivo ed efficace. Aristotele, forse, non sarebbe così tanto d’accordo.

1. TI VA DI BALLARE?

2. TUTOR A DISTANZA

3. SCAFFALI SENZA FINE

Chi ha detto che per imparare il tango argentino bisogna andare in una palestra? YouClassMe, piattaforma made in Italy, consente a chiunque lo voglia di dare lezioni di qualunque tipo. Se invece si vuole imparare l’arte del sushi o la pasticceria vegana, Life Learning offre corsi di qualunque tipo e per tutte le tasche, con attestato finale.

Tra i liceali è uno dei siti più cliccati, ma in pochi sanno che skuola.net ha anche un sistema di reclutamento. Una volta iscritti, passeranno alcune settimane prima che il sito controlli tutta la certificazione. Dopodiché sarà possibile fornire aiuto con le traduzioni o supportare didatticamente i ragazzi che lo richiedono.

Fedeli compagni di viaggio, durante gli anni universitari e nel periodo di stesura tesi, sono i database Academia.edu e Jstore. Il primo è un sito web per studenti e ricercatori, dedicato alla condivisione di pubblicazioni scientifiche. Il secondo è una biblioteca digitale che raccoglie ricerche, studi ma anche libri e riviste accademiche.

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IULM NEWS

UNIVERSITÀ

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IULM SPOT 1 CLASSIFICHE Europe Teaching Rankings, Iulm prima in Engagement La IULM si è classificata 1° in Italia e 4° in Europa per l’area Engagement nello studio Europe Teaching Rankings 2019 , ricerca del gruppo Times Higher Education. La statistica misura il gradimento di 125 mila studenti di 18 nazioni che hanno risposto al sondaggio The European Student Survey valutando con voti da 0 a 10 vari aspetti della loro esperienza universitaria. Nel campo Engagement IULM ha totalizzato un punteggio di 85,5 superando l’Università di Oxford e l’Università di Cambridge, i due atenei in testa al ranking generale della ricerca. 1 ARTE Denaro, la mostra dedicata alla parola dell’anno La parola dell’anno, ormai lo sappiamo, è Denaro. Per questo il 30 ottobre in Exhibition Hall, all’interno dell’edificio IULM 6, verrà aperta al pubblico la mostra dedicata proprio al tema denaro. Il curatore, Sergio Pappalettera, è un designer noto per aver curato opere di Jovanotti e Roberto Bolle, nonché per aver collaborato alla realizzazione dell’Albero della Vita a Expo 2015. 1 CONOSCERE Lauree triennali IULM, Open Day sabato 16 novembre Porte aperte per scoprire i corsi di laurea triennale. I docenti che presenteranno contenuti, obiettivi e sbocchi professionali di ogni facoltà. IULM permetterà di visitare le strutture dell’ateneo e di conoscere i servizi e le modalità di iscrizione. Open Day è l’occasione per entrare in contatto con l’università e con l’Info Point a disposizione di tutti i visitatori.

Università IULM. Il campus milanese comprende sei edifici in cui si dividono i dipartimenti dell’ateneo

IMPRESA IULM A 50 anni dalla sua nascita l’università IULM ha realizzato il primo Rapporto 2019 sulla comunicazione d’impresa. Appuntamento l’11 ottobre in IULM 6

Di Federico Rivi _

come le aziende abbiano modellato il modo di costruire la propria immagine.

L’Università IULM presenterà venerdì 11 ottobre il primo Rapporto 2019 sulla comunicazione d’impresa. Lo studio, confluito in un volume di quasi 200 pagine, è stato realizzato nell’ambito delle iniziative organizzate per festeggiare i 50 anni dell’ateneo. Al progetto, curato da Vanni Codeluppi e Maria Angela Polesana e pubblicato dall’editore Franco Angeli, hanno partecipato docenti IULM e professionisti che da anni collaborano con l’attività didattica e di ricerca dell’università.

come si articola

il panorama italiano

La finalità principale del libro è quella di analizzare tutto ciò che è accaduto in Italia nell’ambito della comunicazione d’impresa nel 2018. Già da 25 anni, quando nacque il Corso di laurea in Comunicazione d’impresa e relazioni pubbliche, l’ateneo lavora per monitorare quest’area di competenze. Per realizzare il Rapporto 2019 i docenti IULM hanno utilizzato conoscenze maturate nel corso di numerosi anni di carriera. A queste si aggiungono i dati prodotti da diversi Osservatori di ricerca, da tempo attivati dai professori collaboranti, che interpretano un mondo complesso e in rapida evoluzione. Studi basati su misurazioni ed elaborazioni professionali che permettono una visione di

Il volume è suddiviso in tre parti. Nella prima viene analizzato l’ambito della comunicazione d’impresa così come si presenta in Italia. L’analisi è effettuata tenendo conto dei cambiamenti relativi al contesto sociale, mediatico e tecnologico in cui opera oggi il settore. Le dinamiche di funzionamento della comunicazione d’impresa vengono affrontate nella seconda parte del libro. Questa sezione mette a fuoco, con l’impiego di competenze professionali e accademiche, l’evoluzione della comunicazione in Italia sempre nel 2018. La terza e ultima parte, infine, mostra un’indagine empirica realizzata in collaborazione con IPSOS Italia. La ricerca prova a misurare e a comprendere i risultati ottenuti dai notevoli investimenti compiuti dalle imprese in Italia. Mercati della comunicazione, cambiamenti e digitalizzazione i macro temi affrontati: com’è cambiata la comunicazione d’impresa con i social media? Quali le novità in fatto di comunicazione interna e strategica? E ancora, com’è percepita la comunicazione d’impresa nel nostro Paese? Domande cui si troveranno le risposte nel Rapporto 2019 e alla sua presentazione venerdì 11 ottobre in IULM 6.

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I ritratti che avete davanti agli occhi risalgono a un’epoca in cui le giovani donne e i giovani uomini raffigurati erano

Merkel Seconda riga: Bill Gates, Frida Kahlo, Ernest Hemingway, Angela

nel testo capovolto qui accanto.

Terza riga: Margherita Hack, Claudio Abbado, Rita Levi Montalcini,

obiettivi che si erano prefissi. Le loro identità sono svelate

Jeff Bezos

tenacia e dell’impegno necessari per raggiungere gli

Quarta riga: Giorgio Strehler, Rosa Parks, Woody Allen, Simone de

proprie passioni, del proprio talento e soprattutto della

Beauvoir

vite artistiche. Certamente erano però consapevoli delle

Quinta riga: Elon Musk, Pina Bausch, Dian Fossey, Eugenio Montale

arrivati alcuni anni dopo nelle rispettive professioni o

Sesta riga: John Fitzgerald Kennedy, Indira Gandhi

ancora ignari dei livelli di eccellenza a cui sarebbero

Bob Dylan Da sinistra a destra, dall’alto verso il basso.

fotogiornalista e docente al Master in Giornalismo IULM

Prima riga: Aretha Franklin, Ernesto (Che) Guevara, Anna Magnani,

Marco Capovilla


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