Osteopatia Magazine n° 10

10 GENNAIO APRILE 2021

Recuperare Recuperare dal COVID COVID

Con Con l’aiuto l’aiutodell’osteopata dell’osteopata FIBROMIALGIA FIBROMIALGIA

Mani il dolore Maniesperte espertecontro contro il dolore OSTEOPATIAERECUPEROSPORTIVO Uno studio sul rugby OSTEOPATIA E RECUPERO SPORTIVO TRAUMI PREGRESSI Uno studio sul rugby

Il nostro corpo ricorda

TRAUMI PREGRESSI OSTEOPATIA PEDIATRICA Il nostro corpo ricorda

Il ciuccio La plagiocefalia OSTEOPATIA PEDIATRICA Il ciuccio La plagiocefalia

RESPIRARE RESPIRARE Unesercizio esercizio quotidiano Un quotidiano

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GENNAIO APRILE 2021

in questo numero 2 RINASCERE AFFRONTANDO

IL ‘LONG COVID’

Con l’aiuto dell’osteopata

Recuperare dal COVID

Con l’aiuto dell’osteopata

TICO

7 RESPIRARE?

Un esercizio quotidiano

FIBROMIALGIA

Mani esperte contro il dolore OSTEOPATIA E RECUPERO SPORTIVO

Uno studio sul rugby TRAUMI PREGRESSI

Il nostro corpo ricorda OSTEOPATIA PEDIATRICA

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Osteopatia Magazine Numero 10 Edizione quadrimestrale gennaio - aprile 2021 Euro 3,30 Stampato nel mese di marzo 2021 Testata registrata presso il Tribunale di Ancona con n° 10/2017 Editore Marco Traferri & C. sas Via Scrima, 59 - 60126 Ancona Partita IVA 02407030424 info@marcotraferrieditore.com Direttore responsabile Federica Serfilippi

15 LE BARRIERE DEL THRUST

Dalla fisiologia ai limiti anatomici

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OSTEOPATIA E RECUPERO SPORTIVO

Uno studio sul Rugby

20 TRAUMI PREGRESSI

Il nostro corpo ricorda

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IL DOLORE SOTTO AI PIEDI

La fascite plantare

Progetto grafico bnc > Barbara Bonci www.barbarabonci.it

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28 L’ASIMMETRIA CRANICA

Fotografie Adobe Stock: pag. 1 e 27 elista, pag. 2 ultramansk, pag. 7 BillionPhotos.com, pag. 9 RFBSIP e Tierney, pag. 11 llhedgehogll, pag. 12 master1305, pag. 16 e 17 Jane Lane, pag. 21 kwanchaichaiudom, pag. 24 Destina, pag. 25 Africa Studio, pag. 31 pololia, pag. 32 Axel Bueckert

NEONATI

Istruzioni per il ciuccio

NEL NEONATO

L’approccio multidisciplinare è vincente

31 IL PIERCING PUÒ INFLUENZARE LA POSTURA?

www.osteopatiamagazine.com

OSTEOPATIA MAGAZINE OSTEOPATIA MAGAZINE

Rinascere affrontando il

long Covid,

con l’aiuto dell’osteopata.

Dopo la fase più critica della malattia i pazienti continuano a soffrire dei cosiddetti “strascichi” da Covid: stanchezza cronica, debolezza muscolare, problemi respiratori, dolori articolari, calo della funzionalità renale. Questi sono solo alcuni dei disturbi di lunga durata, ma a preoccupare ci sono anche gli stati di ansia e i disturbi del sonno.

L’esperienza diretta degli osteopati che stanno curando alcuni degli effetti collaterali della grave infezione, fa luce sul ruolo dell’osteopatia lungo il percorso di riabilitazione.

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Superata la fase acuta, permangono a lungo gli effetti negativi. Sebbene l’infezione abbia rappresentato in molti casi clinici un quadro potenzialmente molto grave, per fortuna non sempre l’incontro tra ospite e virus ha determinato lo stesso esito. A distanza di un anno dall’inizio della pandemia viene in aiuto l’esperienza diretta, che si presenta con un bagaglio fatto di conoscenze acquisite sul campo rispetto alle conseguenze di lungo termine del percorso della malattia.

Minimo comun denominatore per chi ha affrontato l’ospedalizzazione, o, nei casi più seri, l’intubazione, sono le condizioni di malessere generalizzato, dolori articolari e difficoltà oggettive che rendono la riabilitazione un percorso a ostacoli.

Osteopatia Magazine ha intervistato due osteopati impegnati su questo fronte: Nicola Barsotti e Davide Mendicino, entrambi osteopati del Centro di Medicina Osteopatica e Terapie Integrate Di Firenze.

Nicola Barsotti Osteopata e Fisioterapista, è socio Fondatore del Centro di Medicina Osteopatica e Terapie Integrate Di Firenze. Docente all’Università dell’Aquila e al Collegio Italiano di Osteopatia, è membro del Direttivo Nazionale SIPNEI nonché coordinatore della Commissione Nazionale di Ricerca Discipline Corporee SIPNEI.

Davide Mendicino Osteopata presso il CMO di Firenze.

Barsotti, a distanza di un anno dall’inizio della pandemia, si può parlare di un paziente Covid?

“Nella fase post-infezione l’osteopatia si è rivelata di grande aiuto, soprattutto in coloro che sono stati ospedalizzati. Lo stiamo verificando tutti i giorni nei nostri studi. L’aspetto peculiare che possiamo osservare è che questi pazienti si rivolgono all’osteopata evitando di raccontare della loro esperienza diretta con il Covid. Magari si presentano, più genericamente, lamentando dolori articolari. Poi, di fronte all’analisi diretta, li incoraggiamo ad aprirsi. È a questo punto che emerge tutta la loro sofferenza, la loro paura e la gioia nell’essere riusciti a tornare a casa. Abbiamo constatato che questi pazienti provano quasi un senso di vergogna nel raccontare quanto hanno vissuto”.

Quali sono i sintomi persistenti più frequenti nei pazienti che hanno dapprima sperimentato e in seguito superato il virus?

“I sintomi che i pazienti lamentano variano a seconda del grado della severità dell’infezione, ma possiamo parlare di una vera e propria sindrome comune che potremmo definire “Long Covid”, ovvero una serie di sintomi che durano nel tempo, anche a distanza dalla fine dell’infezione. Stanchezza cronica, debolezza muscolare con difficoltà a camminare, problemi respiratori, disturbi cardiaci, dolori articolari, calo della funzionalità renale, ansia, depressione, difficoltà dell’attenzione, disturbi del sonno. Tutti questi sono campanelli d’allarme della condizione di forte disagio che la persona continua a vivere tutti i giorni, nonostante abbia ormai superato la fase più critica della malattia”.

Qual è l’approccio dell’osteopata nel percorso di riabilitazione di chi è stato colpito dal virus?

“In questi casi è necessario che l’osteopata sappia accogliere il proprio paziente dedicando grande attenzione alla complessità dei sintomi postumi post-infezione da Covid-19. Sarà fondamentale comunicare come l’osteopatia possa essere un valido strumento per riprendere in mano la propria salute e non solo rispetto ai dolori articolari per i quali ha deciso di consultarci”.

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Cosa può fare l’osteopatia in questi casi?

“Gli osteopati sono già abituati alla visione integrale della salute della persona. Mai come in questo momento è fondamentale lavorare su tutti i fattori essenziali al riequilibrio del sistema immunitario. È necessario rieducare il paziente a uno stile di vita ottimale: ripristinare il ritmo sonno/veglia (nelle prime ore del sonno il nostro organismo produce ormoni importantissimi nella regolazione metabolica e del sistema immunitario); riposarsi; fare esercizio fisico moderato; seguire un’alimentazione di tipo antinfiammatorio; eseguire esercizi respiratori e prendersi cura delle proprie emozioni. Sono fattori fondamentali. Se necessario, inoltre, il paziente deve essere indirizzato verso altri specialisti che siano in grado di aiutarlo a seguire un percorso di recupero ancor più efficace. Per capire quanto sia importante l’approccio dell’osteopata verso le persone che sono state colpite da Covid-19, segnalo un recente studio scientifico realizzato dallo Shangai Institute of Digestive Disease che documenta come la microflora intestinale influenzi il tessuto polmonare proprio nei pazienti con Covid-19”.

Davide Mendicino, osteopata presso il CMO, quali sono le differenze nell’approccio osteopatico tra pazienti che hanno sperimentato l’ospedalizzazione o addirittura la terapia intensiva?

“Il trattamento manipolativo osteopatico, in questi casi, può essere un valido aiuto per il recupero dello stato di salute dei pazienti. È chiaro che l’approccio manipolativo si differenzia in base alla situazione clinica della persona. Nei pazienti ospedalizzati, o che addirittura sono stati intubati, vi sono importanti ripercussioni a livello muscolo-scheletrico a causa della prolungata permanenza a letto. Nello specifico, i pazienti lamentano dolori a livello della schiena, delle gambe e, soprattutto, del collo, visto che l’intubazione endotracheale mantiene il tratto cervicale in una posizione di forzata iperestensione. In questi casi le mobilitazioni articolari sono estremamente utili ed efficaci, per esempio, mobilizzando le coste e il tratto dorsale, e migliorando il funzionamento del diaframma.

A questo proposito alcuni ricercatori olandesi hanno riscontrato nei pazienti affetti da Covid-19, in condizioni severe, una miopatia grave di questo muscolo. Insomma, è possibile riacquistare la mobilità persa durante i giorni di infezione acuta. Inoltre, i sintomi come la difficoltà a respirare e il senso di oppressione al torace si alleviano e le persone riprendono una ossigenazione ottimale, in grado di dare benefici a tutto l’organismo, componente psicologica inclusa. Tornare ad avere un’ossigenazione ideale, infine, ha come effetto secondario la diminuzione di quei sintomi direttamente collegati a una bassa saturazione, come cefalea e affanno. Il trattamento manipolativo osteopatico, favorendo il riequilibrio del funzionamento del sistema nervoso autonomo, riduce i livelli di infiammazione generalizzata, porta benefici a sintomi come stanchezza, affanno, debolezza muscolare con effetti benefici su ansia, deficit di attenzione e disturbi del sonno”.

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È necessario rieducare il paziente a uno stile di vita ottimale: ripristinare il ritmo sonno/veglia; riposarsi; fare esercizio fisico moderato; seguire un’alimentazione di tipo antinfiammatorio; eseguire esercizi respiratori e prendersi cura delle proprie emozioni.

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RESPIRARE? Un esercizio quotidiano.

di Fiammetta Bonazzi

Tra sintomatologie complesse, stile di vita ed esercizi utili, la giusta respirazione mantiene lo stato di benessere psico fisico. L’osteopata è un valido trainer del respiro.

Dolori diffusi, mal di schiena, cervicalgie, ma anche problemi digestivi, insonnia e stanchezza cronica: sono tante e diverse le problematiche che possono avere origine da una respirazione non corretta, forzata o incompleta. In effetti, se è vero che respirare dovrebbe essere l’attività più naturale in assoluto, sono ancora troppe le persone che nel compiere quest’atto di importanza vitale commettono degli errori.

E di tutti il più comune è il cattivo utilizzo del diaframma: il muscolo che rappresenta il cuore della dinamica respiratoria e che, se non viene correttamente attivato, determina degli squilibri che si riverberano su tutto l’assetto corporeo.

Caterina Fasoli Osteopata D.O. Torino | fasoliosteopata.it

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“Il diaframma assomiglia a una piccola cupola che separa la cavità toracica da quella addominale”, spiega Caterina Fasoli, osteopata esperta in disturbi respiratori che esercita a Torino. Diplomata all’ISO Istituto Superiore di Osteopatia di Milano, ha conseguito il Master of Science in Osteopaty presso l’International Accademia of Osteopathy in Belgio, poi certificato in Austria dall’University of Applied Science Tyrol. “La superficie superiore di questo muscolo è a contatto con i polmoni e con il cuore, quella inferiore con fegato, reni, stomaco, intestino, pancreas, milza e surreni.

Questa dislocazione anatomica ci fa capire come, quando si respira, il diaframma produca

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una sorta di massaggio sulla gabbia toracica, sulla zona addominale e anche sulla spina dorsale. Ecco perché un suo malfunzionamento può avere ricadute su molti altri organi”.

La valutazione della dinamica respiratoria del paziente è essenziale per aiutare l’osteopata a leggere situazioni di sofferenza che, in maniera del tutto insospettabile, sono invece correlate a un utilizzo scorretto del diaframma. “In genere le persone respirano male, usando troppo la zona alta del torace.

Di conseguenza, inspirano aria ma poi non la espirano mai completamente”, fa notare Fasoli.

“Così facendo, si finisce col compiere un atto respiratorio incompleto, che non permette

di svuotare del tutto i polmoni. Il respiro toracico e quindi più superficiale crea più che altro un iper stimolazione della muscolatura accessoria intercostale e cervicale che può portare a adattamenti posturali scorretti e, di conseguenza, a dolori di vario genere”.

I problemi aumentano ulteriormente nelle situazioni in cui la gabbia toracica viene iper sollecitata da malattie che già di per sé interferiscono con le normali funzioni respiratorie, come le allergie, le classiche influenze e, da un anno a questa parte, le infezioni da Covid-19. “Anche senza pensare a situazioni gravi, di persone finite in terapia intensiva, negli ultimi mesi ho visto parecchi pazienti, fra i quali anche alcuni contagiati in forma lieve, che dopo diversi mesi dalla fine della malattia non riuscivano ancora a guarire da tosse e broncospasmo e che lamentavano un senso di costrizione al petto, spesso associata a dolori intercostali, lombari, cervicali e spossatezza permanente.

In situazioni come queste, il lavoro di rieducazione all’utilizzo del diaframma - da svolgere in studio insieme all’osteopata ma anche con l’aiuto di esercizi da ripetere in autonomia - è molto utile per il recupero delle normali funzioni respiratorie e per abbreviare i tempi della convalescenza”.

TOSSE, CATARRO E REFLUSSO SONO ULTERIORI CAMPANELLI D’ALLARME Dall’inizio della pandemia a oggi, sono aumentati i casi di tosse nervosa persistente, soprattutto notturna, e catarro in gola, che compare in genere al risveglio, quando da supini ci si alza in posizione eretta, e che non si risolve neppure utilizzando farmaci espettoranti e fluidificanti. “Molte persone dichiarano anche di soffrire di reflusso gastroesofageo e acidità, sintomi ricorrenti proprio quando si respira male”, conferma Caterina Fasoli. “Questo accade perché il diaframma, troppo sollecitato e affaticato dalla tosse continua, non riesce più a contenere il cardias, l’anello muscolare che separa l’esofago dallo stomaco e che si apre per far passare il bolo alimentare. In situazioni normali, il cardias impedisce che il cibo, una volta passato nello stomaco, risalga verso l’alto, e sono le strutture circostanti - tra cui in primis il diaframma - che aiutano a mantenere il tono di questa parte anatomica. Qualsiasi tensione o spasmo a livello diaframmatico

può compromettere il normale e fisiologico funzionamento del cardias e portare al reflusso gastroesofageo”. Nelle disfunzioni diaframmatiche, ci sono poi da considerare anche le componenti psicologiche dello stress e della paura, fattori che hanno caratterizzato la vita di tutti noi negli ultimi mesi: “In una situazione di tensione continua, è fatale che si respiri a metà perché gli stati d’ansia si riflettono sul sistema nervoso autonomo che governa l’attività di bronchi e polmoni, alterandone le funzioni. Ne deriva che l’organismo non riceve la giusta dose di ossigeno e, di conseguenza, entra in affanno”, puntualizza l’osteopata torinese.

LO SMART WORKING NON AIUTA Un ulteriore danno per la salute respiratoria è legato allo smart working. “Stare seduti per ore alla scrivania con la schiena curva di

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RESPIRARE? UN ESERCIZIO QUOTIDIANO fatto contribuisce ad affaticare il diaframma che, trovandosi compresso fra coste e bacino, tenderà a ridurre la sua mobilità”, dice Caterina Fasoli. “Ancora peggio se si lavora con il portatile o il tablet appoggiati sulle ginocchia e seduti sul divano, con la spina dorsale flessa e mal allineata. Anche lo smartphone è pericoloso: per ogni 2,5 cm in più di inclinazione della testa in avanti per guardare lo schermo del cellulare si raddoppia il peso della testa sul collo, e sono tutti chili che gravano su spalle, cervicale e torace, comprimendo gli organi del respiro e favorendo il peggioramento delle contratture muscolari”. Uno studio condotto da un team di

ricercatori della Stanford University School of Medicine, negli Stati Uniti, pubblicato sulla rivista Science, ha rivelato che i neuroni del tronco cerebrale, se stimolati con appositi esercizi respiratori, contribuiscono ad allentare lo stress che influisce anche sul benessere osteorticolare.

“Da tempo si sa che la respirazione addominale sollecita la sintesi di endorfine, le molecole del relax che aiutano ad alleviare le tensioni e a ridurre la percezione del dolore. Questa è un’ulteriore conferma dell’importanza del diaframma: imparare a utilizzarlo in modo completo e corretto è davvero un segreto per vivere meglio”.

Tonificare il diaframma: ecco un esercizio.

Durante la giornata, ogni volta che si può, o almeno alla sera, prima di dormire, bisognerebbe trovare il tempo per sdraiarsi, rilassarsi e cercare di utilizzare il diaframma in maniera consapevole.

Fasoli consiglia questa tecnica, che propone anche ai suoi pazienti e che aiuta a “massaggiare” e a riattivare il principale muscolo del respiro.

“L’esercizio si esegue da sdraiati, a letto o su un divano, e l’obiettivo è quello di concentrarsi sulla respirazione usando il diaframma e non solo il torace”, precisa l’osteopata. “Piano piano diventerà una pratica sempre più naturale, fino a risultare una sorta di automatismo, di cui beneficerà l’attività respiratoria nel suo complesso”.

Per cominciare, ci si mette supini, con le gambe distese o piegate a seconda ci come ci si trova più comodi, si appoggiano una mano sul torace e l’altra all’altezza dell’ombelico.

Da questa posizione, si cerca di gonfiare la pancia mentre si inspira (col naso) in modo tale che si muova solo la mano posta sull’addome (non quella collocata sul torace), e poi si espira lentamente dalla bocca, sgonfiando la pancia. Tenere le mani appoggiate in questo modo aiuta a prendere consapevolezza del movimento diaframmatico e del respiro: più i respiri sono profondi e maggiore sarà il lavoro sul diaframma, ma se all’inizio il movimento risulta un po’ faticoso, basterà eseguire respiri meno profondi, concentrandosi sempre sul movimento della pancia.

Si ripete la sequenza per almeno 20-30 volte di seguito.

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FIBROMIALGIA Mani esperte contro il dolore

La fibromialgia o sindrome fibromialgica è una patologia di difficile interpretazione e per questo poco conosciuta e diagnosticata. Nonostante se ne parli poco, essa viene indicata da recenti statistiche al secondo o terzo posto fra le malattie reumatiche e colpisce per lo più donne adulte. È caratterizzata da dolore cronico diffuso a tutto il corpo, stanchezza, disturbi del sonno e diversi altri sintomi che compromettono pesantemente la qualità della vita.

CHI COLPISCE? L’incidenza della malattia varia dallo 0,5 al 12% a seconda della popolazione campionata e del metodo di accertamento utilizzato. Le donne superano i maschi in un rapporto di circa 3 a 1.

Un’indagine in 5 Paesi europei (Germania, Italia, Portogallo, Francia e Spagna) è andata a sondare la presenza della fibromialgia nella popolazione generale e in 8 cliniche reumatologiche partecipanti; la presenza complessiva nei 5 Paesi variava dal 2,9 al 14% nei pazienti ambulatoriali trattati negli studi reumatologici.

La prevalenza della sindrome aumenta con l’età, soprattutto nella mezza età (50-59 anni) e poi diminuisce nei gruppi di età più avanzata (più di 80 anni). L’età media di diagnosi, comunque, è tra i 30 e i 50 anni. La fibromialgia nei bambini è ormai ben riconosciuta e colpisce dall’1% al 6,2% dei più piccoli; negli adolescenti è associata a una significativa compromissione della funzione fisica e a uno stato di salute non buono rispetto ai coetanei, con conseguente isolamento e assenteismo scolastico.

QUALI SONO LE CAUSE? Le cause della sindrome sono ancora poco chiare.

“I fattori psicosociali possono giocare un ruolo importante – spiega Stefano Matassoni, osteopata che ha recentemente tenuto un corso per osteopati su questo tema al CIO, Collegio Italiano di Osteopatia - tanto che alcuni studiosi hanno suggerito il concetto di resilienza, quel fattore protettivo che rende le persone meno vulnerabili agli eventi avversi della vita, e può essere applicato ai pazienti con qualsiasi condizione di dolore cronico. È stato ipotizzato che l’immunità sia fondamentale nella patogenesi della malattia, poiché i fattori scatenanti l’auto-immunità, come traumi e infezioni, sono tra gli eventi più frequenti che precedono la sua comparsa”.

In alcuni casi, spiega Matassoni, essa può anche essere temporalmente collegata a vaccinazioni, protesi mammarie al silicone o a iniezioni di olio minerale, che generano una reazione neuroinfiammatoria. Un altro aspetto sotto esame è l’asse intestino-cervello, che collega il microbioma intestinale con il cervello attraverso il sistema nervoso enterico: i pazienti con fibromialgia hanno batteri intestinali meno diversificati e presentano cambiamenti nel metabolismo dei neurotrasmettitori. Inoltre, uno studio recente ha stabilito che la densità delle fibre nervose intraepidermiche era ridotta in due terzi dei pazienti, e che questi sentivano un dolore

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più intenso e lancinante, un maggior peso della malattia e più ansia.

Numerosi studi, inoltre, sono concordi nell’individuare, tra i fattori predisponenti e aggravanti, lo stress. Durante lo stress acuto, le modifiche della struttura corporea hanno lo scopo di far fronte al fattore di stress esistente e di provocare l’adattamento. Ma sotto stress cronico, questo adattamento potrebbe diventare molto costoso per il sistema fasciale, a causa di una concomitante infiammazione cronica.

Sebbene non esista una terapia specifica, sono disponibili diverse terapie farmacologiche e non farmacologiche.

COSA PUÒ FARE L’OSTEOPATIA? L’osteopatia può giocare un ruolo importante nel trattamento della fibromialgia. Il CIO – Collegio Italiano di Osteopatia ha condotto negli anni passati uno studio su 85 pazienti, della durata di due anni e mezzo, volto a verificare l’efficacia dell’approccio manuale, ottenendo buoni risultati nel miglioramento della qualità di vita e nella diminuzione dell’assunzione di farmaci dei soggetti coinvolti. I gruppi di pazienti trattati hanno riportato sui questionari a loro forniti miglioramenti sul piano neurovegetativo, sul piano algico dell’apparato locomotore e una maggiore resistenza allo stress familiare e alla Mauro Fornari Osteopata D.O. è fondatore e presidente del CIO – Collegio Italiano di Osteopatia di Parma. È autore di Manuale di Osteopatia Fasciale (2015, ed. Piccin), co-autore di Osteopatia come Medicina di Terreno (2014, ed. Piccin) e di Osteopatia e sistema linfatico (2016, ed. Piccin). Autore di diverse pubblicazioni in ambito osteopatico, co-promotore della rivista OsteopatiaNews, organizzatore di convegni nazionali e internazionali.

Nel 1992 ha avviato il primo centro in Italia di medicine non convenzionali.

Nel 2001 ha ottenuto un titolo in Medicina Tradizionale Cinese all’università di Jinan in Cina.

vita lavorativa.

“Il trattamento osteopatico lavora sullo stress del paziente cercando di regolare il sistema nervoso autonomo attraverso un approccio manipolativo ben preciso su aree sia dell’apparato muscolo-scheletrico sia su aree nervose - spiega Mauro Fornari, osteopata presidente del CIO – Collegio Italiano di Osteopatia - . Si effettuano manipolazioni dolci, che non sono dolorose ma non signifca che non vadano in profondità, Queste sono volte a riequilibrare il sistema nervoso autonomo e a rilassare la muscolatura”.

Grazie alle sedute osteopatiche si riesce a ridurre l’infiammazione e il dolore; le persone sopportano molto meglio l’affaticamento e quindi anche il peso lavorativo. L’osteopatia, spiega Fornari, rappresenta dunque un valido aiuto, ma deve essere accompagnata da un corretto stile di vita perché nei pazienti che soffrono di fibromialgia è molto importante il fattore motorio, respiratorio e alimentare. Sono dunque utili quelle strategie che limitano gli effetti deleteri dello stress cronico e dell’infiammazione - una dieta antiinfiammatoria, una corretta attività fisica, una buona igiene del sonno, il sostegno sociale e la riduzione dello stress - sono fondamentali per regolare in meglio l’interazione tra i sistemi corporei. Nei casi più gravi occorre invece prendere farmaci.

Stefano Matassoni Osteopata D.O. e fisioterapista, è insegnante del CIO – Collegio Italiano Osteopatia dal 2002, dove insegna Osteopatia in ambito craniale e fasciale. Relatore di numerose tesi di diploma, ha inoltre partecipato come codocente a vari corsi postgraduate organizzati al CIO sulle relazioni tra Osteopatia e Medicina Tradizionale Cinese e su altri temi osteopatici; co-autore del testo Osteopatia come Medicina di Terreno – ed. Piccin e co-docente dei percorsi formativi nello stesso ambito. Libero professionista presso il proprio studio professionale.

COS’È IL THRUST? È una spinta che l’osteopata effettua con minima ampiezza e alta velocità (acronimo inglese HVLA - High Velocity – Low Amplitude) che identifica alla perfezione il gesto manipolativo della tecnica articolare. È un gesto, il cui “click” è ben conosciuto, che non richiede forza ma soltanto tecnica e che, grazie alla corretta applicazione dei parametri biomeccanici,dàmodo all’osso di scivolare, come si muovesse sui binaridell’articolazione stessa.

Le barriere del Thrust Dalla fisiologia ai limiti anatomici

Dr. Gabriele Benedetti European Academy of Osteopathy

IlGlossaryofOstheopathicTerminologydefinisce la tecnica HVLA come“una tecnica osteopaticaimpieganteunaforzaterapeutica di breve durata che agisce su brevi distanzeentrol’ampiezzadimovimentoanatomico di un’articolazione, e che impegna la barriera restrittiva in uno o più piani di movimento per indurre il rilascio della restrizione”.

Senza soffermarci sulle varietà di Thrust esistenti, ciò che vogliamo approfondire è la qualità del gesto stesso e la possibilità di portare la tecnica manipolativa al massimo del suo potenziale.

Avreste mai pensato che ilThrust, un movimento racchiuso in un millesimo di secondo, possa scomporsi in ulteriori passaggi fondamentalichenedeterminanol’effettiva riuscita?

Vediamone alcuni: Riduzione dello Slack. Lo conosciamo più comunemente come messa in tensione, il contatto con la barriera motrice, la chiusura in chiave.

Tissue pull. Lo scostamento dei tessuti che portaauncontattopiùpulitoconl’ossoedai cui dipende l’accuratezza della tecnica.

Tork. Il primo parametro di correzione, che dàinformazionediriposizionamentoall’articolazione in disfunzione.

E ci sarebbero ulteriori aspetti tecnici, che mostrano come ci sia qualcosa in più di una sempliceriduzionediampiezzaeunaumento della velocità.

Tralasciandounulterioreargomento,quello dell’applicazione delle tecniche strutturali su condizioni che esulano dall’integrità, ad esempiodellacolonnavertebrale,prendendo -solo per citarne qualcuna- la differenza fisiologicadellalordosicervicaleeunarettilinizzazione,ol’utilizzosullapatologia,come l’erniadiscale,cheprevedonocontinuemodifiche del Thrust, secondo più complessi parametri. È solo ed esclusivamente sulla definizione pratica del Thrust che vogliamo proporre un ragionamento. Per anni, prendendo come esempio il rachide cervicale, ci siamo 17

barriera anatomica

barriera elastica

RANGE DI MOBILITÀ ATTIVA

barriera fisiologica barriera pre-anatomica

limitatiathrustarelavertebranelfulcrocherappresentava, chefossealcentrooall’apicediunacurva,pocoimporta.Poi coltempo,espessosu“richiesta”deipazienti,potevasuccedere di ritrovarsi a intervenire sulla stessa vertebra appena manipolata,conunasecondatecnica,colrisultato,all’orecchiodelpaziente,diunulteriore“scrocchio”,elasensazione -pernoiosteopati-diessereentratiinquellochepotremmo definire un secondo livello. Come se andassimo ancora più in profondità nella struttura.

Perspiegarlointerminipiùsemplici,ècomesemanipolando con molta delicatezza, e con la dovuta attenzione, si effettuasse un piccolo sblocco articolare, minimo, quasi a svegliare metaforicamente la faccetta articolare. Bene, non è questalasensazionedicuivogliamoparlare,il“primolivello”; non è a questo timido approccio che ci riferiamo ma a un Thrust vero e proprio. La domanda è quindi: come possiamo eseguire un’ulteriore tecnica su una vertebra appena manipolata?

Lo scatto articolare dovrebbe avvenire, come da manuale, nelmomentoincuilabarrieramotricevienesollecitataoltre il suo primo limite.

Osservandol’immagineinaltoadestrapossiamopercepire come all’interno della stessa barriera vi sia un ulteriore piccolomondo.L’esattomomentoincuieffettuareilThrustèin quel minuscolo spazio di tempo, tra la barriera fisiologica, rappresentatadallimitedimovimentoattivodelcollodelpaziente, fino a dove il paziente stesso riesce a ruotare la testa autonomamente.Labarrieraanatomicaèinveceillimiteoltreilqualeavverrebbelarottura,olalesione,dellestrutture organiche.Traquestiduelivelli,abbiamol’esattomomento che rappresenta la barriera elastica. È qui che effettuiamo la manipolazione.

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Esedicessimocheognigiorno,nelnostrolavoro,arriviamo asbloccarelostessoidenticopunto,nonsoloduevolte,ma addirittura tre? Come potremmo spiegare la possibilità di entrare così in profondità sulla stessa articolazione, come abbiamo detto, della cervicale? Ècomeseraggiungessimogradatamente,livellodopolivello (entrandosemprepiùprofondamenteneitessuti),unalinea che si trova tra la barriera elastica e la barriera anatomica stessa, al limite totale di intervento. Il sottile margine che permette di effettuare un Thrust al massimo della sua potenzialità, sbloccando articolazioni che mostrano una maggiore resistenza al trattamento.

Attenzione: per farlo non è richiesta più forza. Ci si spinge fisicamenteoltreinormaliparametridifisiologiaarticolare.

Unconcetto,questo,chepotrebbespaventareunminimo, poiché è necessaria molta cautela già nelle normali tecniche strutturali; figuriamoci in quelle eseguite al limite. È un concettomoltosimileaquellodell’osteopatiafasciale,coni pianisuperciali,medieprofondi.Conladifferenzachequisi lavora sull’articolazione.

Mi sono domandato spesso il perché di questa piccola scopertadatadallaquotidianità,pazientedopopaziente,el’unica risposta plausibile è che ogni livello corrisponda a una quantitàdienergiaimmagazzinata,chedeveesseresuperato.Unasensazioneche,allapalpazione,forniscequella“densità”che ci fa capire che lì ci sia un primo muro da abbattere, per poi affrontarne un secondo e forse persino un terzo; percependol’ammorbidimentodellastruttura,tecnicadopo tecnica.Comeseviavessimoaccessopergradi.Impossibile ipotizzareun’unicaentrataconununicoThrust,amioparere troppo violento e con il rischio di non essere sufficiente. È la struttura che decide se possiamo manipolarla o meno, all’osteopataspettasoloilcompitodidecodificarla,cosìda inserire la giusta password.

Biomeccanicamente, il livello di energia non è altro che il fulcro sul quale effettuare la tecnica, ed è più facile visualizzarneilmeccanismoa“strati”.Chesianomuscoli,tendini, legamenti,capsulearticolari,insiemedivertebreosingole, nonèunassurdopensarecheunostessopuntonecessitidi due o tre interventi in Thrust. Lasciando invariata la forza, maaumentandonelaprofondità,raggiungendoquellache potremmo definire “barriera pre-anatomica”.

LO STUDIO A cura di CIO Collegio Italiano di Osteopatia

OSTEOPATIA E RECUPERO SPORTIVO Uno studio sul

RUGBY Quanto l’osteopatia può essere utile nel recupero sportivo?

A questa domanda ha provato a rispondere uno studio del CIO Collegio Italiano di Osteopatia di Parma, pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Journal of Manipulative and Physiological Therapeutics nel gennaio 2021 a firma di Luca Carnevali, Francesco Cerritelli, Franco Guolo e Andrea Sgoifo e dal titolo, tradotto dall’inglese, Trattamento manipolativo osteopatico e parametri cardiovascolari in giocatori di rugby. Nello studio è stato fondamentale anche il contributo degli osteopati Giovanni Librici e Gloria Solarino.

Un lavoro di ricerca che ha coinvolto 23 giocatori professionisti di tre squadre di rugby parmigiane e che è stato condotto per circa sei mesi presso lo Stress Control Lab del CIO, un laboratorio in cui lo stress viene “misurato” attraverso parametri oggettivi biologici.

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Lo studio Il primo obiettivo era quello di valutare l’impatto di un incontro agonistico di rugby sul recupero cardiovascolare a distanza di 18-20 ore dal match rispetto a una giornata che non era stata preceduta né da partite né da allenamenti. Il secondo obiettivo era capire se una seduta di trattamento manipolativo osteopatico potesse favorire un rapido recupero dei parametri cardiovascolari alterati a seguito del match.

Sono stati presi in esame parametri come la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa media e la variabilità della frequenza cardiaca stessa. Quest’ultimo parametro rappresenta un importante indicatore della capacità del sistema cardiovascolare di “adattarsi” ai vari contesti: più il battito è irregolare (e quindi maggiore è la variabilità della frequenza cardiaca), migliore è l’adattabilità dell’organismo agli stimoli esterni. I giocatori sono stati reclutati nell’ottobre 2017 con queste caratteristiche: essere in salute e non avere subìto infortuni, essere maggiorenni e partecipare regolarmente a partite competitive di rugby con un allenamento regolare per una media di 6 ore a settimana nelle ultime quattro settimane. Sono stati esclusi coloro a cui erano state diagnosticate malattie cardiovascolari o lesioni cerebrali traumatiche, e coloro

che utilizzavano farmaci in modo cronico o che ne avevano fatto uso durante l’ultima settimana. Ai partecipanti è stato chiesto di non svolgere attività fisica il giorno della sessione di registrazione e di astenersi dal consumo di caffeina, alcol e fumo per almeno 12 ore prima della sessione di registrazione, poiché queste variabili possono avere effetti transitori sulle misurazioni cardiovascolari. Ogni giocatore, all’oscuro degli obiettivi dello studio, è stato testato in due diverse condizioni: 18/20 ore dopo un match agonistico e, alla stessa ora del giorno, in una condizione di riposo.

“Valutando i parametri cardiovascolari, abbiamo notato che anche a distanza di tempo dalla partita, i giocatori continuavano a mostrare alterazioni indicative di affaticamento e recupero non completo dal punto di vista fisiologico, spiega Luca Carnevali, neurofisiologo dello Stress Control Lab e docente CIO. La frequenza cardiaca, anche dopo 20 ore dal match, era elevata così come la pressione cardiaca, mentre la variabilità della frequenza cardiaca era ridotta rispetto ai normali valori in una condizione di riposo”. Subito dopo il monitoraggio, i rugbisti sono stati sottoposti a una seduta osteopatica per poi essere nuovamenti sottoposti a indagini cardiovascolari.

OSTEOPATIA E RECUPERO SPORTIVO. UNO STUDIO SUL RUGBY

Il trattamento osteopatico

“I giocatori sono stati sottoposti a un trattamento manipolativo globale della durata di 30 minuti volto a liberare il più possibile la struttura muscoloscheletrica con lo scopo di ridare libertà soprattutto alle aree spinali per l’equilibrio neurovegetativo”, ha detto il co-firmatario dello studio Franco Guolo, direttore didattico e docente del CIO. Le manovre osteopatiche, non dolorose, hanno interessato tutto il corpo, sia il rachide, sia le parti periferiche.

“Il trattamento - continua Guolo - ha consentito inoltre di recuperare eventuali strascichi lasciati da traumi pregressi”.

Per poter valutare l’efficacia del trattamento osteopatico sul recupero sportivo, un gruppo di rugbisti è stato sottoposto a un trattamento osteopatico fittizio della stessa durata. L’osteopatia, in base al risultato dello studio, è stata funzionale al recupero sportivo attraverso una sola seduta. Nei casi invece di trattamento fittizio non è stato riscontrato alcun miglioramento.

Luca Carnevali Neurofisiologo e Ricercatore.

Collaboratore scientifico del Laboratorio di Fisiologia dello Stress diretto dal prof. Andrea Sgoifo nel Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università di Parma.

Membro del team di ricerca dello Stress Control Lab del CIO. Dottore di ricerca in Fisiopatologia Sistemica con una laurea magistrale in Biologica e Applicazioni Biomediche, nel 2018 ha vinto l’American Psychosomatic Society Young Investigator Colloquium (Lousville, Kentucky, USA).

I risultati

“Dopo il trattamento osteopatico, abbiamo riscontrato un immediato recupero dei parametri cardiovascolari verso la normale condizione di riposo - continua Carnevali, risultato che non abbiamo ottenuto laddove è stata effettuata una manipolazione fittizia di controllo”. In particolare, è stato osservato un aumento significativo della variabilità della frequenza cardiaca e una riduzione della pressione arteriosa media.

E gli altri sport?

Lo studio effettuato allo Stress Control Lab del CIO si è concentrato, come abbiamo visto, sul rugby. Ma i risultati suggeriscono che gli stessi effetti si potrebbero ottenere in altri ambiti sportivi. “Tutti gli sport portano a stress importanti sia sul sistema muscolo-scheletrico sia sul sistema neurovegetativo spiega Guolo - con effetti su performance, affaticamento muscolare e recupero, che l’osteopatia potrebbe riuscire a contrastare”. Quello condotto dal CIO è un lavoro unico nel suo genere. In passato sono stati realizzati lavori sul monitoraggio del recupero fisiologico dei giocatori di calcio; non è però mai stato valutato l’effetto del trattamento manipolativo osteopatico sullo stesso.

In altri studi, sempre condotti al CIO, è stato invece dimostrato come il trattamento manipolativo osteopatico sia efficace contro lo stress e porti a un aumento della variabilità della frequenza cardiaca a riposo e contrasti la riduzione della stessa indotta dallo stress.

Franco Guolo D.O. Osteopata D.O e Fisioterapista.

Direttore Didattico del CIO – Collegio Italiano Osteopatia, dove insegna Sintesi ed integrazione osteopatica, Osteopatia muscolo scheletrica e mio-fasciale e Clinica Osteopatica. Docente presso SOMA di Milano.

Vicepresidente di AISO – Associazione Italiana Scuole di Osteopatia. È co-autore di Linee di forza di J.M. Littlejohn e applicazioni cliniche (Piccin, 2019).

Nel 2014 ha pubblicato Atlante di Tecniche di Energia Muscolare, Ed. Piccin, e nel 2013 è stato co-autore del testo Preparazione Atletica e riabilitazione Ed. Medico Scientifica Torino.

OSTEOPATIA MAGAZINE

OSTEOPATIA E TRAUMI PREGRESSI:

il corpo ricorda.

Esiste una memoria più vasta e misteriosa rispetto a quella che si utilizza per tenere a mente dati, notizie, impegni e scadenze. È la memoria arcaica del corpo, che registra in maniera indelebile e in ogni singola cellula il ricordo di operazioni chirurgiche, sforzi eccessivi, incidenti e traumi di varia natura, sia fisici che emotivi.

Secondo Andrew Taylor Still, il padre dell’osteopatia, “è sempre la struttura che governa la funzione”: significa che qualunque lesione organica si trasforma prima o poi in un disequilibrio cui il corpo cerca di porre rimedio. di Fiammetta Bonazzi “L’organismo sa come reagire ai traumi perché è un sistema sofisticato, intelligente ed efficiente, e trova di volta in volta degli adattamenti, che tuttavia non sempre giovano al benessere generale”, osserva Luisella Ibba, medico chirurgo e osteopata a Varese, diplomata all’ISO Istituto Superiore di Osteopatia a Milano. Del resto, il sistema fasciale è dotato di una memoria infallibile, che immagazzina tutto. Il corpo, insomma, non dimentica: semmai ripara. In ogni caso, non si può non tener conto del fatto che “gli adattamenti messi in attivo in giovane età sono molto diversi dalle compensazioni che il corpo utilizza dopo i 50 o 60 anni.

Nel corso della vita, e soprattutto in situazioni di particolare fragilità, è frequente il manifestarsi di problemi che l’osteopata può contribuire a risolvere intervenendo sulla struttura e non sul sintomo. Un caso semplificativo è quello di un’automobile con un difetto di convergenza: è inutile continuare a sostituire gli pneumatici se non si va dal meccanico per riparare il semiasse”.

UN’ANAMNESI APPROFONDITA È GIÀ UNA CURA Muscoli, articolazioni ed emozioni sono fra loro strettamente collegati. Per tale motivo, al momento dell’anamnesi, è fondamentale che lo specialista aiuti il paziente a ricordare infortuni o stress intensi e prolungati del passato che sono stati rimossi ma possono aver contribuito a generare o sostenere gli squilibri presenti e riscontrati

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dall’operatore. “Nella maggioranza dei casi ci si rivolge all’osteopata riferendo un sintomo o un disagio specifico, ma ci si dimentica di citare i disturbi relativi ad altri organi, soprattutto a stomaco, fegato e intestino e, nella donna, utero e ovaie. Il colloquio con il paziente, e l’invito ad acquisire consapevolezza della sua storia personale, diventano quindi fattori imprescindibili per personalizzare il percorso di cura e sono, già da soli, degli atti terapeutici”, conferma la dottoressa Ibba. “Le persone di solito tendono a omettere certi fatti ritenendoli irrilevanti. Questo ascolto attento, che poi nel corso della visita e del successivo trattamento si trasformerà in un contatto, è necessario per valutare in modo più preciso le disfunzioni articolari, le contratture, gli edemi e le modificazioni di consistenza dei tessuti, così da eseguire procedure più appropriate e mirate a recuperare l’equilibrio dell’intero organismo. Solo così, nel corso delle sedute, sarà possibile ripristinare le condizioni strutturali fisiologiche e arginare l’inutile dispendio energetico provocato dalla reazione del corpo al trauma”.

LE TRACCE INDELEBILI DELLA CHIRURGIA In genere si sottovalutano le conseguenze che gli interventi chirurgici possono produrre su colonna e articolazioni. “Non di rado capita che le donne che hanno subito un parto con taglio cesareo con incisione eseguita in senso trasversale, anche a distanza

di parecchi anni, soffrano di lombalgie e di dolori inguinali o in regione sacro coccigea”, ricorda la specialista. “In effetti, è stato ampiamente dimostrato che tutte le cicatrici addominali e in particolare quelle orizzontali, che interrompono il flusso energetico che scorre verticalmente lungo la spina dorsale, tendono a generare tensioni croniche in sede viscerale e possono provocare tensioni profonde e contratture reattive. In situazioni come queste, è importante intervenire per migliorare l’elasticità dei tessuti”.

Secondo una visione olistica della terapia, che considera la salute come il prodotto dell’armonia fra psiche e soma, si utilizzano diverse tecniche - come manovre di rilasciamento delle articolazioni e dei muscoli che stimolano il corretto scambio di fluidi all’interno delle strutture trattate, manipolazioni articolari che hanno una forte influenza neurologica, manipolazioni viscerali che ristabiliscono la mobilità e la motilità di un organo, tecniche craniali che agiscono sul movimento di congruenza delle ossa del cranio, andando ad agire a livello osseo, nervoso, meningeo e del liquido cefalorachidiano - che hanno come obiettivo il riequilibrio psico-fisico ed emotivo del paziente.

In Osteopatia il terapeuta non guarisce, ma elimina gli ostacoli che impediscono all’organismo, attraverso i propri fenomeni di autoregolazione, di raggiungere la guarigione. Ecco perché è fondamentale l’osservazione accurata del corpo fermo e in movimento e, fin dalla prima visita, spetta allo specialista valutare la presenza di disallineamenti, asimmetrie, deviazioni e curve innaturali della spina dorsale, dismetrie fra le scapole. Se si fa sdraiare la persona sul lettino e si nota che assume una postura leggermente curva, “a banana”, è facile che abbia subito un trauma laterale. È infine molto frequente - per non dire normale - riscontrare che un arto è più corto dell’altro: “può essere un difetto provocato da un eccesso di tensione che determina un accorciamento di una gamba rispetto

all’altra, oppure dalla cattiva abitudine di sedersi o di lavorare al computer con le gambe accavallate. In certi casi è colpa di un viscere infiammato che provoca delle trazioni muscolari sugli arti”, precisa Luisella Ibba.

SE LA CAUSA DEL DOLORE VA CERCATA NELL’INTESTINO Più spesso rispetto a un passato non troppo lontano, si riscontra nei pazienti uno stato di disordine intestinale direttamente collegato a una situazione di infiammazione cronica di basso grado, che causa disagi generalizzati tra i quali la comparsa di dolori muscolo-scheletrici. Tali disturbi che, solo a una lettura superficiale, non sembrerebbero riconducibili a problemi digestivi, sono invece dovuti a un’alimentazione scorretta, povera di cibi semplici e naturali (frutta e verdura fresche, ricche di fibre, vitamine e sali minerali) e sempre più ricca di cibi lavorati e arricchiti di additivi e conservanti che, in ultima analisi, danneggiano la popolazione microbica intestinale e l’apparato gastroenterico, innescando le problematiche articolari.

Qualora si verificasse questa evidenza, difficilmente si otterrebbero risultati significativi e duraturi senza correggere, contestualmente alla pratica osteopatica, questi stili di vita sicuramente pericolosi e che, in una percentuale non trascurabile di casi, comprometterebbero i risultati sperati.

Non ultimo, anche lo stress influisce -e non poco- sull’intestino, che di fatto lavora come un secondo cervello: ospita infatti sulle sue pareti e sulla flora batterica un sistema nervoso enterico formato da una rete di neuroni con diverse funzioni che governa l’apparato digerente, ne controlla la funzionalità e i movimenti e “dialoga” col sistema nervoso centrale. Si spiega così come mai, quando l’intestino è irritato, invia al cervello dei segnali di sofferenza. E, allo stesso modo, se si è stanchi, nervosi o impauriti, è probabile che si alterino di riflesso le funzioni digestive. E che la soglia di tolleranza al dolore tenda ad abbassarsi.

Dr. Luisella Ibba Medico Chirurgo e Osteopata Varese

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OSTEOPATIAMAGAZINE

IL DOLORE SOTTO AI PIEDI:

la fascite plantare.

Ne soffre una persona su dieci: sportivi, ma non solo.

L’osteopata ha un ruolo fondamentale nella terapia, ma attenzione a scegliere le scarpe giuste e a non sovraccaricare il piede.

Il dolore localizzato sotto il tallone o sotto l’arcata plantare è il sintomo principale della fascite. Ma cos’è la fascia plantare? È una banda di tessuto connettivo che origina dal tallone e si inserisce alla base delle falangi prossimali delle dita del piede. Anatomicamente è suddivisa in tre porzioni del piede (interna, centrale e laterale) e svolge un ruolo fondamentale nella biomeccanica dello stesso, perché ha il compito di sostenere l’arco plantare e di ammortizzare gli urti.

Quando la fascia si infiamma si parla, appunto, di fascite plantare.

Manon Mottini Osteopata D.O. Tutor clinico presso ICOM International College of Osteopathic Medicine di Firenze.

Laurea inglese in Master of Science in Osteopathy presso la Nescot (Kingston University).

“Si tratta di un disturbo molto comune e colpisce circa una persona su dieci - spiega Manon Mottini, osteopata e tutor clinico presso Icom International College of Osteopathic Medicine di Firenze. È più frequente negli atleti (corridori, calciatori, saltatori, ballerini, rugbisti) e si manifesta soprattutto nelle persone che praticano sport nei quali il piede viene sottoposto a impatti sistematici. La sintomatologia colpisce frequentemente anche tutti coloro che professionalmente sono costretti a un tempo prolungato in piedi”.

Il dolore è maggiore alla mattina, nei primi passi dopo il risveglio, per poi accentuarsi ancora in condizioni di carico sul piede. Può comparire anche dopo lunghi periodi trascorsi in piedi; quando ci si alza dopo essere stati a riposo per molto tempo, o ancora, dopo un’attività sportiva. I sintomi della fascite plantare si possono aggravare anche semplicemente salendo le scale o alzandosi sulla punta dei piedi, e può essere associata a uno sperone calcaneare, una neoformazione ossea dovuta a micro-traumatismi ripetuti o continue trazioni e che contribuisce alla sintomatologia dolorosa a livello del tallone.

I fattori di rischio che predispongono l’infiammazione della fascia plantare sono molteplici e possono essere classificati in due categorie: funzionali e anatomici. Tra i primi, ci sono le microlesioni, il sovraccarico, lo stress meccanico e le alterazioni posturali, che possono portare a uno scorretto equilibrio e appoggio del piede aggravando la sintomatologia. Esistono poi fattori di rischio di tipo anatomico: il cosiddetto piede piatto, il piede prono e il calcagno valgo,

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condizioni che possono incrementare la tensione a livello della fascia plantare.

Camminare o correre in maniera errata, indossare per lunghi periodi scarpe non adatte: piatte o infradito, che non sostengono adeguatamente l’arco plantare, predispongono allo stesso modo lo sviluppo della fascite plantare.

L’osteopata ha il rimedio giusto per la fascite plantare.

L’osteopata indaga la tipologia del dolore, la presenza di eventuali traumi e le abitudini di vita tra cui le attività lavorative e sportive del paziente. Dopo un esame posturale e l’osservazione del modo di camminare, l’osteopata procede a una palpazione del piede per cercare i punti doloranti ed effettua dei test di mobilità della caviglia e del piede in cerca delle zone di rigidità e di limitazione dei movimenti.

La diagnostica per immagini, in questo caso avrà un ruolo limitato perché l’esame radiografico non mostra alterazioni se non in presenza di una “spina calcaneare”. L’ecografia, al contrario, può mostrare un ispessimento della fascia plantare e la presenza di un eventuale edema associato all’infiammazione.

“L’osteopatia svolge un ruolo fondamentale nella cura della fascite plantare - continua Manon Mottini - La storia anamnestica e l’esame obiettivo sono alla base del trattamento osteopatico perché aiutano a identificare la causa e lo sviluppo della fascite. Problemi biomeccanici a livello del piede, dell’arto inferiore, del bacino o della colonna vertebrale, possono favorire la sintomatologia. L’osteopatia quindi ha il compito di ridurre i sovraccarichi, correggere la postura, migliorare la mobilità articolare e le tensioni muscolari.

Il trattamento osteopatico include diverse tecniche, tra cui la mobilizzazione dei tessuti molli per rilasciare le tensioni muscolari, ma anche approcci per ripristinare la mobilità dell’articolazione, bilanciare le tensioni legamentose e riequilibrare la zona interessata”.

Quali terapie associare?

Insieme al trattamento effettuato dall’osteopata, la terapia contro la fascite plantare prevede l’utilizzo del ghiaccio per ridurre l’infiammazione, il riposo, o comunque la limitazione degli sforzi; l’utilizzo di plantari ortopedici per correggere disfunzioni podaliche, la scelta della tipologia di scarpa con un arco mediale di supporto e gli esercizi di stretching della fascia plantare, del tendine di Achille e del polpaccio.

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ISTRUZIONI PER

il ciuccio: i pro e i contro

secondol’osteopata.

Eventuali modifiche del cavo orale causate dall’uso prolungato del ciuccio, in genere regrediscono spontaneamente se il ciuccio viene tolto tra il secondo e il terzo anno d’età. Ma è bene conoscere le buone pratiche: la forma del palato influenza quella del cranio e di conseguenza la futura postura.

Francesca Benedetti Osteopata D.O. Roma

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Esistono due tipi di suzioni: quella nutritiva, in cui il lattante si alimenta, tramite seno o biberon, e quella non nutritiva, tramite il ciuccio, le dita o il seno, con cui il lattante tende generalmente a consolarsi. Quella di ciucciare non a scopo nutritivo viene considerata un’abitudine viziata e, quando si parla di vizio, si parla sempre di qualcosa di negativo, specialmente in età evolutiva.

La suzione influenza lo sviluppo del viso e del cranio del neonato perché stimola la mobilità del capo, della colonna e dei muscoli del viso.

Certo, sarebbe troppo facile dire a priori che il ciuccio non andrebbe utilizzato, anche perché spesso è l’unica via di salvezza dei genitori per calmare il piccolo da un pianto inconsolabile. È importante però limitarne l’utilizzo, visto che l’uso del ciuccio non avviene quasi mai per pochi minuti, ma spesso per intere ore.

La bocca del neonato è ancora in formazione, e le ossa del suo palato non sono ben saldate tra di loro, proprio per permetterne la crescita.

La suzione del ciuccio, come anche del biberon, ha l’effetto di inserire in bocca un supporto solido, più duro del capezzolo, che invita il palato del bambino a modificarsi tenendo conto di questo elemento e a ossificarsi più velocemente.

La lingua del piccolo in posizione di riposo e a ogni atto deglutitorio dovrebbe alloggiare sul palato. Il ciuccio, invece, obbliga la lingua a sbattere sullo stesso, facendo venir meno il contatto con il palato

Quella di ciucciare non a scopo nutritivo viene considerata un’abitudine viziata e, quando si parla di vizio, si parla sempre di qualcosa di negativo, specialmente in età evolutiva.

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OSTEOPATIAMAGAZINE e con lo spot linguale: zona in cui emerge il nervo naso-palatino, che attiva meccanismi neuro-fisiologici, tra cui quelli che regolano il controllo posturale. L’utilizzo del ciuccio, del biberon o l’abitudine di succhiarsi il dito, se protratti troppo a lungo nel tempo, possono portare all’insorgere di cattive abitudini di suzione come deglutizioni atipiche o malocclusioni; morso aperto anteriore, morso incrociato posteriore e seconda classe molare. Il restringimento del palato (il cosiddetto palato stretto) in molti casi è un fenomeno congenito e preesistente che può addirittura peggiorare con l’utilizzo di questi accessori. Un palato stretto rappresenta una delle più comuni cause di malocclusioni nei bimbi.

Perché per gli osteopati è così importante il palato di un piccolo paziente?

Perché dalla forma del suo palato dipenderà la forma del cranio, e da questa, la sua postura. Il ciuccio, però, entro il primo anno di vita del piccolo, è importante perché riduce il rischio di SIDS, la cosiddetta morte in culla.

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ISTRUZIONI PER IL CIUCCIO

Tra pro e contro, dunque, cosa consiglia l’osteopata?

Il ciuccio andrebbe proposto al bambino solo dopo il primo o secondo mese di vita, quando l’allattamento è ormai ben avviato e stabilizzato. Dovrebbe essere utilizzato solo di tanto in tanto, nei momenti in cui può essere di consolazione e conforto, evitandone l’utilizzo durante l’intero l’arco della giornata.

L’eterno dilemma è: quando togliere il ciuccio? Dai sei mesi in avanti è bene limitare l’uso del ciuccio solo alla fase dell’addormentamento per poi iniziare a limitarlo ulteriormente al compimento del primo anno di età e a eliminarlo del tutto entro i due anni.

Se il bimbo non viene allattato al seno e prende solo il biberon per alimentarsi, è importante limitare ancora di più l’uso del ciuccio. In questo caso, infatti, avremmo due supporti solidi insieme che spingono sul palato.

Importante la scelta del ciuccio giusto: preferire un ciuccio in caucciù consigliato in presenza di dentini da latte, o in silicone in assenza dei dentini. Riguardo alla forma: a ciliegia, anatomico o a goccia con la punta più allungata? Tutte e tre le forme sono in grado di deformare il comparto dento-scheletrico della bocca. Non cè n’è uno meglire e uno peggiore. Vale la regola che il miglior ciuccio è quello che il bambino accetta più di buon grado.

La prevenzione.

Portare il prima possibile il piccolo “paziente” a fare una visita osteopatica, permetterà al professionista di poter lavorare prontamente sulla forma del palato e sulla mobilità del cranio. Inoltre, nel caso in cui il neonato inizi a ciucciare il dito, è sicuramente preferibile introdurre il ciuccio. Infatti, l’uso di quest’ultimo si può regolare, mentre l’abitudine di succhiare il dito risulterà più difficile da togliere successivamente.

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re i due ciuccio olt l e d to a g rolun L’utilizzo p lingua. e postura della e n o zi si o p lla • Effetti su zionamento re un mal posi ea cr iera a e b eb rr Si ve loggiare in man al ad ce es ri n e no della lingua ch ato. al alato, naturale sul p ne ossea del p io az rm fo n co • Effeti sulla anio. facciale e del cr elle arcate del massiccio ppo ottimale d ilu sv lo el d to dentali.

• Impedimen malocclusioni re tu fu i d re dentarie a favo asticazione, o e abilità di m p p ilu sv o at rr • E e deglutizione. orale. alimentazione la respirazione al e in d u it ab one degli • Può creare guaggio, riduzi lin el d e n o zi la lare di co e tenderà a par • Effetti sull’arti ch , o b im b el d icativi scambi comun ata. la bocca occup rà av é ch er p zo del meno vato che l’utiliz le ri a h io d u st nza di otiti • Un recente cilitare la prese fa e b eb tr o p ciuccio ei bambini. medie acute n

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OSTEOPATIA MAGAZINE LO STUDIO

Contenuto a cura di SSOI, Scuola Superiore di Osteopatia Italiana. Torino.

L’asimmetria cranica nel neonato:

l’approccio multidisciplinare è vincente.

di Donatella Bagagiolo

La Scuola Superiore di Osteopatia Italiana di Torino in collaborazione con il Dipartimento di Neonatologia, Presidio Sant’Anna, Azienda Ospedaliero Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, ha svolto uno studio clinico randomizzatoecontrollatoconl’obiettivodivalutarel’efficacia deltrattamentomanipolativoosteopatico,nelridurreinmodo significativo le asimmetrie craniche.

La plagiocefalia posizionale è un’alterazione morfologica del cranio del neonato che compare nei primi mesi di vita. La diagnosi precoce e la gestione della plagiocefalia posizionale sono importanti non solo per l’aspetto estetico legato alla forma del cranio, ma per la possibile correlazione con ritardi, in alcuni parametri dello sviluppo motorio, tra i quali la capacità di stare seduti diritti, di ruotare su un lato e di gattonare.

Le strategie terapeutiche variano sulla base della gravità della plagiocefalia posizionale, l’età d’intervento e la risposta del neonato nel tempo. L’educazione posturale e gli esercizi di fisioterapia rappresentano l’approccio più utilizzato e la loro efficacia è direttamente proporzionale all’età di inizio dell’intervento,mentresiricorrealtrattamentoconilcaschetto nei casi di plagiocefalia posizionale moderata e severa.

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L’osteopatia come terapia complementare

Donatella Bagagiolo Osteopata D.O. Bachelor of Science (Honour) in Osteopathy, è responsabile del Dipartimento di Ricerca presso la Scuola Superiore di Osteopatia Italiana di Torino e docente presso lo stesso istituto di formazione.

Svolge attività clinica di osteopata a Torino e nello svolgimento della sua professione collabora con psicologi, pediatri, logopedisti e ortodontisti. Attualmente è co-investigator in due trial clinici in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, presidio Sant’Anna e Ospedale Infantile Regina Margherita.

L’osteopatianegliultimiannihaassuntounruoloimportantecometerapiacomplementare nellagestionedialcunidisturbiricorrentiinambitopediatricoquali:problemirespiratori (asma, allergie, infezioni alle vie respiratorie); problemi posturali e loro conseguenze; disturbi del sonno e disturbi dell’apparato gastro-enterico (stipsi, rigurgiti neonatali, reflusso).Nellaplagiocefaliaposizionalel’obiettivodell’osteopataèquellodiindividuare la presenza di alterazioni tissutali a livello cranico, aree di asimmetria delle ossa craniche edisallineamentodeirepericranici,delcingoloscapoloomerale,deldiaframmatoracico e della colonna vertebrale. Mediante l’utilizzo di tecniche di rilascio mio-fasciale e di rimodellamentomembranosovengonoristabilitelealterazionidimobilitàeleasimmetrie che hanno coinvolto le diverse strutture somatiche.

Lo studio La Scuola Superiore di Osteopatia Italiana diTorino in collaborazione con il Dipartimento diNeonatologia,PresidioSant’Anna,AziendaOspedalieroUniversitariaCittàdellaSalute e della Scienza di Torino, ha svolto uno studio clinico randomizzato e controllato con l’obiettivo di valutare l’efficacia del trattamento manipolativo osteopatico, nel ridurre in modosignificativoleasimmetriecraniche,rispettoaungruppodicontrollocheharicevuto ilplacebomanuale.Inaggiuntaagliinterventi,perentrambiigruppieraprevistal’educazione posturalecheconsisteinstrategiediprevenzioneegestionedellaplagiocefaliaposizionale duranteleattivitàquotidianeeilsonnodeineonati.Questeindicazionisonostatetrasmesse da una fisioterapista dell’età evolutiva nella prima visita.

I 96 neonati, di età compresa tra 1 e 6 mesi, sono stati assegnati mediante processo di randomizzazione al gruppo di studio (48 neonati) che ha ricevuto una sessione di sei trattamenti manipolativi osteopatici, e al gruppo di controllo (48 neonati) che ha ricevuto una sessione di sei trattamenti placebo. Gli interventi sono stati somministrati dal nostro staffspecializzatoinosteopatiapediatrica:ElenaFavre,AntonellaPangalloeAlessiaDidio.

Entrambi i protocolli di trattamento sono durati tre mesi e al termine i risultati hanno evidenziato che i neonati del gruppo di studio hanno riportato una significativa e clinicamenterilevanteriduzionedelleasimmetriecranicherispettoalgruppodicontrollo.

La significatività statistica e la rilevanza clinica si sono mantenute alla valutazione finale, al compimento dell’anno di età dei piccoli pazienti.

L’osteopata al fianco di pediatri, neonatologi e fisioterapisti Talestudiorappresentailprimostepnelprodurredelleevidenzeasupportodelruolodella medicinaosteopaticanellagestionedellaplagiocefaliaposizionale.Emergel’importanza dell’interdisciplinarietà: l’osteopata è parte integrante di un percorso terapeutico multidisciplinare. Attraverso la collaborazione con pediatri, neonatologi e fisioterapisti, findaiprimimesidivitadelneonatosipuòavereuninterventotempestivo,fondamentale per una gestione efficace della plagiocefalia posizionale.

I consigli Lagestionedellaplagiocefaliaposizionalecoinvolgeigenitoridelpiccolopaziente.Molto utilisonoleindicazionispecificherelativeallenormedieducazioneposturalechevengono trasmessedalpediatrae/odalfisioterapistadell’etàevolutiva.Duranteleoredisonnopuò essere utile consigliare di variare la posizione della culla del bambino per differenziare e aumentare il più possibile gli stimoli visivi. Durante le ore di veglia incoraggiare la posizione prona e stimolare il bambino, ricorrendo a giocattoli e altri oggetti, a ruotare il capo dalla parte opposta della zona appiattita, privilegiare l’uso del marsupio o fascia ed evitare l’utilizzo prolungato di seggiolini per auto e/o porta neonati.

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Il

piercing può influenzare la postura?

Il parere dell’osteopata.

Piercing localizzati in diverse parti del corpo o del viso sono diventati modelli estetici da mettere in mostra, ma spesso si tratta di scegliere tra estetica e salute.

Il piercing, ovvero la perforazione a livello superficiale a scopo estetico, produce piccole cicatrici che generano aderenze nei tessuti fasciali superficiali e profondi e che spesso sono in grado di alterare il movimento fisiologico naturale, la circolazione sanguigna o linfatica, perturbando l’equilibrio del corpo.

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OSTEOPATIAMAGAZINE “Tralasciando le infezioni alla pelle e alle strutture sottostanti, molti non sanno che i piercing possono avere delle ripercussioni anche sulla postura” - spiega l’osteopata Gianluca Barca, che negli anni ha approfondito questo aspetto pubblicando numerosi articoli. “La pelle è un recettore importante del sistema posturale, che invia continuamente informazioni al Sistema Nervoso Centrale del suo stato generale, di un eventuale dolore e del suo grado di tensione. Lo squilibrio di questo recettore può causare alterazioni del sistema tonico posturale. Quando si è in presenza di una cicatrice, anche nel caso di quelle causate dai piercing, il Sistema Nervoso Centrale riceve l’informazione di sofferenza mettendo in atto delle posture scorrette di compenso. Per non sentire dolore si ha in sostanza un adattamento dei muscoli del nostro corpo per cercare di distendere gli esterorecettori che si trovano in uno stato di tensione. Per tali motivi le cicatrici possono essere l’origine di diverse sintomatologie come alcune apparenti e inspiegabili algie vertebrali croniche, cefalee muscolo-tensive e affaticamenti visivi”.

PIERCING E POSTURA.

Sintetizzando al massimo, la postura può essere definita come la posizione del nostro corpo in stazione eretta. Il nostro Sistema Nervoso Centrale, gestore dei meccanismi posturali, deve essere sempre in grado di mantenere i vari distretti corporei in sede e collocati nello spazio in maniera tale che non vi sia troppo dispendio energetico nel contrastare la continua forza di schiacciamento a cui siamo soggetti in posizione statica e in movimento. Inoltre, il Sistema Nervoso Centrale deve garantire l’assenza di dolore nella ricerca della postura ideale; avere un’ottima percezione e feedback da parte delle strutture recettoriali; gestire le “forze esterne” in maniera corretta preservando la funzione, infine, garantire l’equilibrio e il controllo motorio. “l piercing su viso, labbra, naso, sopracciglia, lingua, trago, lobo dell’orecchio continua Gianluca Barca - interferiscono sul sistema tonico posturale e potrebbero condizionare le vie somato-sensoriali creando addirittura delle piccole eteroforie, ovvero la tendenza di uno o di entrambi gli occhi a deviare dalla normale direzione dello sguardo. Per mantenere il centro della massa del corpo in equilibrio durante la stazione eretta, il sistema nervoso centrale esegue un lavoro costante di riequilibrio, utilizzando come feedback le coordinate visive, quelle vestibolari e gli input somatosensoriali. Proprio in base a questi dati, il sistema nervoso centrale genera di continuo delle risposte muscolari di tipo correttivo attraverso l’azione di un sistema di controllo in retroazione. Spesso, quindi, le conseguenze delle cicatrici dei piercing provocano squilibri e comprimono le strutture in modo asimmetrico, creando sovraccarichi su precise zone o articolazioni”.

COME LAVORA L’OSTEOPATA.

L’approccio osteopatico al tessuto cicatriziale e alle aderenze associate non riguarderà solo l’area della restrizione di mobilità, ma valuterà anche la funzione generale del corpo analizzando la storia e le cause che contribuiscono alla sintomatologia. L’osteopatia, mediante le tecniche miofasciali, è in grado di migliorare e ripristinare la mobilità dei tessuti e risolvere le eventuali sintomatologie associate.

Dr. Gianluca Barca Laureato in Scienze Motorie all’Università di Torino S.U.I.S.M., Gianluca Barca è osteopata D.O. e Massofisioterapista. Dopo essersi perfezionato in Francia con un Master in Osteopatia presso il R.O.R.I. di Lione si è Diplomato in Osteopatia presso l’E.F.S.O. l’Ecole Française Supérieure d’Osteopathie. Vive e lavora in Sicilia, a Giardini Naxos. www.gianlucabarca.it

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