Osteopatia Magazine n°8

8 GENNAIO APRILE 2020

Osteopatia professione sicura Una disciplina degna di fiducia

Lombalgia ed ernia del disco I miti da sfatare L’osteopatia per tutti Un progetto innovativo tutto da scoprire

MAL DI SCHIENA

R DOSSIE

Scoliosi, colpo di frusta e postura I consigli dell’osteopata

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eduta HÅG Capisco

in questo numero 2 OSTEOPATIA PROFESSIONE SICURA

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GENNAIO APRILE 2020

Una disciplina degna di fiducia

Comodità e funzionalità della posizione migliorano l’attenzione e l’efficienza

Il movimento allevia le tensioni e riduce lo stress indotto, favorisce la circolazione ed aumenta l’energia

Osteopatia professione sicura Una disciplina degna di fiducia

Lombalgia ed ernia del disco I miti da sfatare L’osteopatia per tutti Un progetto innovativo tutto da scoprire

gico della colonna vertebrale e

MAL DI SCHIENA

DOSSIER

Scoliosi, colpo di frusta e postura I consigli dell’osteopata

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06/03/20 19:04

Osteopatia Magazine Numero 8 Edizione quadrimestrale gennaio - aprile 2020 Euro 3,30 Stampato nel mese di marzo 2020 Testata registrata presso il Tribunale di Ancona con n° 10/2017 Editore Marco Traferri & C. sas Via Scrima, 59 - 60126 Ancona Partita IVA 02407030424 info@marcotraferrieditore.com Direttore responsabile Federica Serfilippi Progetto grafico bnc > Barbara Bonci www.barbarabonci.it Stampa Grafiche Ricciarelli S.r.l.

Via Sant’Ubaldo n. 41 60030 - Monsano (AN)

Fotografie e illustrazioni Adobe Stock: pag. 1, 2 e 5 © sewcream; pag. 10 © LIGHTFIELD STUDIOS, © mitarart, © Kurhan, © Kwest, © StockPhotoPro; pag. 12© ag visuell; pag. 15 © CLIPAREA.com; pag. 20 © RFBSIP; pag. 21 © mraoraor; pag. 23 © nd3000; pag. 25 © vectorfusionart; pag. 26 © DimaBerlin; pag. 28 © Andrey Popov; pag. 29 © Atstock Productions; pag. 31 © karelnoppe; pag. 32 © Syda Productions Illustrazioni pag. 13 Valentina Ottaviani

DOSSIER MAL DI SCHIENA

Prevenzione dei disturbi all’arto superiore (tendini, brachialgie, mouse syndrome)

Insieme ad un tavolo ad altezza regolabile permette una postazione di lavoro dinamica.

6 CHE BIOTIPO SEI?

9 MAL DI SCHIENA, LOMBALGIA, ERNIA AL DISCO:

I MITI DA SFATARE 12 LE PATOLOGIE DELLE VERTEBRE 15 ERNIA DEL DISCO

L’ALLEANZA POSITIVA TRA OSTEOPATA E PAZIENTE

18 LA SCOLIOSI

Agire nell’età evolutiva per correre ai ripari

21 OSTEOPATIA

E DOLORE CERVICALE

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Osteopatia e geriatria

L’OSTEOPATIA AIUTA

A INVECCHIARE BENE

26 POSTURA E POSTUROLOGIA 29 COLPO DI FRUSTA

Cosa fare? Quando andare dall’osteopata?

32 A GENOVA, L’OSTEOPATA PER I BAMBINI È GRATIS.

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Osteopatia Professione Sicura

Saverio Colonna Dottore in Medicina Ortopedia e Medicina dello Sport.

Osteopata e Direttore Generale OSCE

Dottor Colonna, esistono rischi nel trattamento osteopatico?

“La terapia manuale osteopatica è considerata una delle forme più sicure e non invasive di gestione medica alternativa. I pazienti raramente presentano effetti collaterali. Tuttavia, da scienziato, mi sento di ribadire che in linea generale, nessun sistema di terapia medica è privo di effetti collaterali”.

Quali sono le tecniche utilizzate dagli osteopati? Si tratta di tecniche invasive?

“Le tecniche manipolative osteopatiche si concentrano sull’uso di tre diverse tipologie di intervento:

• tecniche di mobilizzazione • tecniche di energia muscolare (MET) • tecniche riferite ai tessuti molli.

Tutte e tre mirano ad alleviare la disfunzione del sistema muscoloscheletrico e quindi della colonna vertebrale, delle articolazioni, dei muscoli,

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Una disciplina degna di fiducia L’osteopatia è sicura? Se è vero che ogni giorno, negli studi degli osteopati, aumenta la richiesta di trattamenti per disturbi che interessano l’apparato muscoloscheletrico, è altrettanto vero che chi si affida alle mani di un osteopata spesso lo fa con un senso di rassegnazione, dopo aver sperimentato cure farmacologiche che non hanno dato il benessere sperato.

Per rispondere ai dubbi più diffusi sulla sicurezza del trattamento osteopatico, Osteopatia Magazine ha intervistato il Dott. Saverio Colonna, medico chirurgo, specialista in ortopedia e medicina dello sport, nonché esperto in terapia manuale osteopatica.

dei tendini, dei legamenti e delle fasce.

Anche se queste tecniche sono poco invasive, non è insolito, che i pazienti, dopo la terapia, possano stare peggio e avvertire più dolore, prima di iniziare a sentirsi meglio. Il corpo, infatti, richiede tempo per elaborare gli input terapeutici e adattarsi a uno stato di omeostasi. Man mano che il corpo guarisce, i sintomi possono addirittura accentuarsi e i metabolismi fisiologici possono fluttuare.

Molti fattori di vita inoltre, influenzano le esperienze post-trattamento dei pazienti e di conseguenza, determinare la casualità di eventi avversi, è una vera sfida”.

Esistono dei rilevamenti statistici sulla possibilità di eventi avversi?

“Per valutare i risultati associati alla medicina manipolativa osteopatica, è stata istituita nel 2010 una rete di ricerca basata sulla pratica: la DO-Touch.NET. Gli studi condotti dalla rete hanno raccolto i dati da osteopati e pazienti e hanno valutato i risultati associati al trattamento

OSTEOPATIA E SICUREZZA IL PARERE DEGLI ESPERTI

molto meglio (n=801) meglio (n=794) circa uguale (n=207) peggio (n=39)

stordimento

mal di testa

stanchezza

dolore generale/disagio

peggioramento del dolore

rigidità locale

molto peggio (n=6)

dolore locale

manipolativo.

Nel lavoro più recente (Degenhardt et al. 2018), che tiene conto di 1915 trattamenti di 43 osteopati, il 2,1% dei pazienti ha riferito di sentirsi peggio immediatamente dopo il trattamento, mentro lo 0,3% ha riferito di sentirsi molto peggio”.

Un confronto tra l’osteopatia e altri tipi di terapia medica e farmacologica?

“Il trattamento medico convenzionale non è privo di rischi. Ad esempio, in uno studio recente sulla lombalgia cronica, che confronta il trattamento chirurgico con quello non chirurgico, è stato riscontrato che il 24% del gruppo trattato attraverso la chirurgia presentava complicanze, quasi la metà delle quali era considerata grave. Le reazioni avverse ai farmaci, sintetizzabili nell’acronimo RAF, sono definite come qualsiasi reazione dannosa o involontaria a un farmaco che si verifica alle dosi utilizzate per la prevenzione, la diagnosi o il trattamento. Le RAF sono molto comuni nella pratica clinica quotidiana e interessano tra il 15-25% dei pazienti; reazioni gravi si verificano nel 7-13% dei pazienti”.

In un mondo sempre più connesso, permeato da un flusso di informazioni continuo e incontenibile, orientarsi tra false notizie e notizie degne di fiducia è un compito che si fa giorno dopo giorno più difficile. Se poi le notizie riguardano il mondo della salute, ecco che il nostro districarsi tra fake news e notizie rispondenti ai fatti diventa ancora più faticoso. Non è insolito infatti, sul tema della salute, trovarsi di fronte a notizie spesso infondate.

Succede anche nel merito dell’osteopatia. Non è la prima volta, per esempio, che si sollevano dubbi attorno alla sicurezza dell’osteopatia stessa. E’ dunque il caso di fare chiarezza.

L’osteopatia è professione sicura? Se sì, quanto lo è? Cosa dicono le statistiche? Osteopatia Magazine lo ha chiesto ad alcuni dei più noti esponenti del mondo osteopatico italiano.

“L’osteopatia è una pratica sicura”, dichiara Carmine Castagna, direttore di ISO Istituto Superiore di Osteopatia di Milano. “Nazioni come gli USA, la Gran Bretagna, l’Australia, la Norvegia, la Danimarca, la Svizzera, non avrebbero mai riconosciuto una professione sanitaria non sicura”. Gli fa eco Franco Guolo, fisioterapista, osteopata, direttore didattico di CIO

Collegio Italiano di Osteopatia di Parma e vicepresidente dell’Associazione Italiana Scuole di Osteopatia, che definisce la professione osteopatica “estremamente sicura, nel momento in cui viene praticata da operatori la cui formazione sia in armonia con i canoni CEN indicati e accettati a livello europeo”. Pareri che trovano ampia conferma nelle statistiche. Recenti

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OSTEOPATIA MAGAZINE studi stimano infatti che in Italia siano ben 10 milioni i pazienti che si rivolgono all’osteopata. “Uno studio condotto negli Stati Uniti su 1915 persone - specifica Castagna - ha evidenziato che l’85% di coloro che si rivolgono all’osteopata si dichiarano soddisfatti. Tra questi, solo il 2,9% riferisce eventi avversi, di natura non grave”. Sullo stesso tenore il parere di Maurizio Zanardi, fisioterapista, osteopata, direttore di EIOM European Institute of Osteopathic Medicine, secondo cui l’osteopatia “se praticata da professionisti con adeguata formazione e con la dovuta preparazione tecnico-pratica si rivela del tutto sicura”.

A pensarla nello stesso modo è Stefano Polistina, medico chirurgo specializzato in Anestesiologia, Rianimazione, Fisiopatologia e Fisiokinesiterapia respiratoria. Osteopata dal 2009, Polistina è direttore di AIFROMM

Accademia Internazionale di Formazione e Ricerca in Osteopatia e Medicina Manuale.”Come tutte le professioni - dichiara - l’osteopatia è il risultato di conoscenze accreditate e di competenze sviluppate con passione e serietà. Le possibilità di nuocere sono a pari a quelle di qualsiasi pratica manuale svolta da professionisti sanitari”.

“Come per tutte le pratiche sanitarie occorre però affidarsi a professionisti formati e competenti, perché - sottolinea Castagna - alcune condizioni di salute o malattia possono essere controindicazioni ad alcune tecniche”.

Un quadro, dunque, da cui emergono da un lato gli altissimi standard di sicurezza garantiti dall’osteopatia e, dall’altro, l’assoluta necessità di una formazione adeguata, elemento centrale nell’individuazione di professionisti affidabili.

Ma quale tipo di formazione deve avere un osteopata per offrire al paziente le migliore garanzie?

Interessanti le risposte dei nostri quattro interlocutori.

Le riportiamo integralmente.

Stefano Polistina, Medico Chirurgo, Osteopata, Direttore AIFROMM “La formazione in Osteopatia segue linee guida che sono condivise a livello mondiale: Benchmark in Osteopathy WHO 2010 e norme europee CEN 16686. Per professarsi osteopata il soggetto deve aver seguito una formazione completa di almeno cinque anni, come previsto dai suddetti piani formativi. Gli istituti di formazione dovrebbero essere in possesso delle certificazioni di qualità previste. L’adesione della Scuola di provenienza a organizzazioni di categoria sarebbe un’ulteriore garanzia, in quanto le modalità operative e dei curricula formativi sono in questi casi condivise e reciprocamente verificate”.

Maurizio Zanardi, Fisioterapista, Osteopata, Direttore EIOM “Fino al gennaio 2018, data della pubblicazione della Legge 3-2018, art.7, sulle Professioni Sanitarie, la formazione in osteopatia è stata fatta da differenti Istituti privati, alcuni hanno acquisito certificazioni di Qualità Tipo ISO-9001, CEN 16686 con 5 anni di formazione a Tempo Pieno e Parziale. Altri istituti più lungimiranti hanno ottenuto riconoscimenti accademici, partnership da Istituti universitari esteri dove l’osteopatia era già riconosciuta e accreditata, sempre con 5 anni di formazione. Altri ancora erogando una formazione senza avere nessun genere di controllo (2 o 3 anni di formazione Part Time). Tutto questo può creare sicuramente confusione. Ora, con la Legge 3-2018 art.7, di cui siamo in attesa dei decreti attuativi, questa situazione dovrebbe definitivamente chiarirsi. In pratica per poter esercitare questa professione sanitaria bisognerà iscriversi all’ordine professionale dei “TSRM e delle Professioni Sanitarie Tecniche, della Riabilitazione e della Prevenzione” ed essere in possesso di un titolo di studio abilitante (Laurea in Osteopatia) o equipollente secondo le normative di legge italiane ed europee (legge 2005-36)”.

Franco Guolo, fisioterapista, osteopata, direttore didattico CIO, vicepresidente AISO “Per offrire al paziente le migliori garanzie, un osteopata deve aver completato un percorso all’interno di un ente formativo che soddisfi i criteri certificativi ISO 9001, 29990 e CEN 16686. Quest’ultimo rispetta gli standard europei in cui sono incluse le norme specifiche per la formazione osteopatica secondo 2 moduli.

Questa comprende materie scientifiche di base, materie cliniche e materie caratterizzanti la professione. Inoltre prevede un tirocinio clinico di 1000 ore”.

Carmine Castagna, Osteopata, Direttore ISO “Un’adeguata formazione dovrebbe rispettare le caratteristiche sancite dalla norma europea per la formazione e la pratica osteopatica pubblicata nel 2015: almeno 4 anni di formazione, almeno 1000 ore di tirocinio, titolo di livello Magistrale”.

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OSTEOPATIA PROFESSIONE SICURA

E i pazienti? Come possono essere certi di trovarsi in mani sicure? Quali strumenti hanno per accertarsi di avere a che fare con un professionista qualificato?

Franco Guolo e Carmine Castagna suggeriscono di consultare gli elenchi delle associazioni professionali: “Chi cerca un professionista competente può consultare gli elenchi degli iscritti alle associazioni professionali APO Associazione Professionale degli Osteopati, FESIOS Federazione Sindacale Italiana Osteopati e ROI Registro degli Osteopati d’Italia”.

Inoltre, prosegue Guolo, “sul sito web di AISO Associazione Italiana Scuole di Osteopatia si può scorrere l’elenco degli enti formativi che rispettano i canoni CEN”. E’ fondamentale anche chiedere, porre domande, raccomanda Zanardi, per “verificare che il professionista si attenga alle norme legali di base di gestione e trattamento del paziente.

Non accontentatevi di quel che leggete sui social. Chiedete più informazioni possibili”, esorta Zanardi. Per Stefano

Polistina è importante, oltre all’iter formativo specifico e completo, il modus operandi del professionista.

“Il paziente deve accertarsi che l’osteopata sia in possesso dei requisiti fondamentali per poter esercitare la professione. In un primo incontro può valutare il modus operandi del professionista, che segue le modalità proprie di tutte le professioni sanitarie.

L’osteopata esperto deve far sentire a proprio agio la persona, fare una valutazione dei disturbi percepiti inseriti in un contesto unitario, fare una valutazione delle possibili patologie concomitanti di competenza medica. Il trattamento dipende dalla disfunzione rilevata e termina con una spiegazione di quanto riscontrato e dell’eventuale piano di lavoro da eseguire al fine di ridare e mantenere la mobilità/salute offerta dalla Osteopatia”.

Ma, per concludere, esistono indagini epidemiologiche su effetti avversi in osteopatia?

Se sì, cosa indicano?

“Esistono case report e revisioni - specifica Stefano Polistina, che indicano la possibilità, in alcuni casi, di eventi avversi di lieve e moderata entità. I rari casi riportati di effetti gravi sono stati imputati alla presenza di patologie preesistenti misconosciute o alla malpratica dell’osteopata stesso e non della Osteopatia in sé”. Franco Guolo è sulla stessa lunghezza d’onda: “Non esiste una pratica sanitaria senza eventi avversi e quindi anche per l’osteopatia, come in tutte le terapie manuali, sono stati segnalati casi di evento avverso. Gli eventi sono rari e di scarsa importanza, generalmente con un lieve e temporaneo aumento del dolore e disagio (Degenhardt et al.

JAOA, 2018); in letteratura si trova un solo articolo con evento avverso grave in riferimento all’osteopatia, in relazione a un danno vascolare all’arto superiore (Boulon e Al. 2018).

In ogni caso sono documentati eventi avversi minori rispetto a tutte le altre discipline manuali (Degenhardt et al. JAOA, 2018). Questo ultimo aspetto va legato all’alto livello di preparazione dei professionisti nel valutare il rischio clinico ma anche alla ricca varietà di tecniche che sono

bagaglio dell’osteopata preparato e che consentono di scegliere la metodica più idonea e meno rischiosa in relazione alle necessità del paziente.” Un’indagine epidemiologica particolarmente importante è quella svolta nel 2013 in Gran Bretagna presso il Clinical Risk Osteopathy and Management Scientific Report “Si tratta di uno studio - spiega Carmine Castagna - che ha valutato il rischio di provocare eventi avversi, in particolare modo il rischio di ictus correlato alla manipolazione vertebrale. Il documento comprende una sentenza dello stato del Connecticut (USA), la quale sentenza sancisce che non ci sono elementi sufficienti per concludere che l’ictus o la dissezione dell’arteria cervicale rappresentino un rischio o un effetto collaterale della mobilizzazione o manipolazione articolare della colonna cervicale e, pertanto, non sia necessario inserire questo rischio nell’ambito del consenso informato di pazienti (Rubinstein SM 2008). Ciò naturalmente non vuol dire che vada sottovalutato o addirittura non considerato il rischio, ma che la pratica fornisce elementi di sicurezza solidi.

Dire il contrario sarebbe come dire che i vaccini provocano l’autismo.

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OSTEOPATIA MAGAZINE

La costituzione fisica di ogni individuo è specifica e diversa da quella di qualsiasi altro.

Per questo motivo, l’osteopata agisce su ogni paziente usando le tecniche e le strategie più adatte al fisico di ognuno.

CHE SEI?

Grasso, magro, robusto, esile, muscoloso.

Quando, parlando, ci riferiamo a qualcuno - a un nostro amico o a uno sconosciuto - molto spesso tendiamo a definirlo in base alle sue caratteristiche corporee. Ci viene spontaneo, non solo perché pensiamo all’aspetto esteriore, ma anche perché, attraverso aggettivi volti a descrivere la corporatura, ci sembra di fornire indicazioni importanti di altra natura al nostro interlocutore.

Secondo le medicine costituzionali è proprio così: ogni costituzione esprime non solo caratteristiche fisiche, ma anche modelli differenti sul piano clinico e addirittura, per alcuni approcci, su quello psicologico.

La Medicina tradizionale cinese, la Medicina ayurvedica, ma anche la Medicina mediterranea e ippocratica, attraverso paradigmi diversi, hanno tutte cercato di raggruppare le variabili fisiologiche in classi misurabili, per suddividere gli uomini e le donne in gruppi simili da un punto di vista funzionale, disfunzionale, reattivo o sintomatologico.

Lo ha fatto anche l’Osteopatia. Come? Affiancando alle conoscenze delle medicine tradizionali, lo studio dell’embriologia, dell’epigenetica e della medicina di regolazione fisiologica dei sistemi, con lo scopo di valutare i pazienti in base al loro “terreno biologico” e per rendere i trattamenti sempre più efficaci e idonei.

A ideare e applicare tale approccio è stato, dal 2009, l’osteopata Mauro Fornari, presidente del CIO (Collegio Italiano di Osteopatia di Parma), che insieme a un gruppo di studio, ha iniziato a raccogliere dati e informazioni sui pazienti. Oggi, a 11 anni di distanza, il CIO ha organizzato un corso rivolto ad osteopati, per condividere le nuove conoscenze sul tema.

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Mauro Fornari, perché 11 anni fa, al CIO, avete pensato di definire una “classificazione osteopatica” delle costituzioni corporee?

Studiando le medicine antiche che si rifacevano alle costituzioni, mi sono chiesto come questi saperi potessero integrarsi con le conoscenze moderne soprattutto in ambito embriologico, nell’ottica di fornire al paziente un trattamento quanto più personalizzato possibile.

Siamo stati i primi a fare questi studi in ambito osteopatico e oggi, dopo tanti anni, abbiamo accumulato un’esperienza importante.

• dal foglietto endodermico, il “linfatico” e il “flemmatico”.

Come si è sviluppata la conoscenza in questo ambito?

Studiando gli aspetti embriologici e clinici, ci siamo soffermati su come la condizione infiammatoria si manifesti in modo diverso nei pazienti, a seconda della biotipologia di appartenenza. Se i processi biochimici sono gli stessi infatti, la durata e l’intensità delle infiammazioni sono diverse.

Un esempio?

L’alimentazione: non esiste un’alimentazione perfetta per tutti. Ogni modello alimentare deve essere adeguato alla biotipologia.

Nel vostro approccio, dunque, il trattamento osteopatico si modifica a seconda della biotipologia del paziente?

Certo, ogni costituzione ha bisogno di un tocco, di tecniche e di una strategia di seduta specifiche.

Quante sono le biotipologie?

Il nostro gruppo di studio ne ha individuate 6, considerando l’individuo fin dalla sua origine embriologica. Alla base di ogni futuro sviluppo fisico, tre foglietti embrionali contraddistinguono tre tipologie di base: • una ectodermica • una mesodermica • una endodermica.

In una seconda fase, ognuna di queste tipologie dà luogo ad altre 2 tipologie con matrice comune, ma polarità opposte: • dal foglietto ectodermico, il“melanconico” e il “nervoso” • dal foglietto mesodermico, il “bilioso” e quello “sanguigno”

È importante individuare a quale biotipologia appartiene il paziente?

Riconoscere la biotipologia di appartenenza del paziente è importante per l’osteopata, in quanto gli consente di effettuare un trattamento ancora più personalizzato. È anche utile che il paziente sappia la sua biotipologia di appartenenza, per conoscere meglio le sue caratteristiche fisiche e psichiche e di conseguenza per poter agire dal punto di vista preventivo.

Come possiamo capire a quale biotipologia apparteniamo?

Chiedendo al proprio osteopata di riferimento, che saprà rispondere se ha seguito una formazione in Osteopatia come Medicina di terreno. Studiando la morfologia del paziente, le sue abitudini di vita, i suoi gusti e la sua storia, per l’osteopata è infatti possibile capire anche la sua biotipologia di appartenenza.

Per i non addetti ai lavori, suggerisco la lettura di “Le radici del futuro – Piccola guida all’osteopatia e alla Medicina di Terreno” di Patrizia Luppi, Edizioni Piccin. La raccomandazione necessaria è quella di non considerare il modello estremamente rigido, in quanto le biotipologie “pure” sono molto rare ed è frequente identificarsi in vari aspetti di più tipologie.

Il corso

Il CIO di Parma ha organizzato un corso post-graduate dal titolo “Osteopatia come Medicina di Terreno” per condividere con altri osteopati le novità sull’approccio del gruppo di studio guidato da Mauro Fornari. Il primo modulo si terrà dal 23 al 26 aprile, mentre il secondo dal 4 al 7 giugno. I docenti sono gli osteopati Mauro Fornari e Stefano Matassoni, con un intervento dell’erborista Sandra Garzanti. Info su www.scuolaosteopatia.it Corsi post-graduate su questo tema vengono organizzati dal CIO dal 2009.

Per gli osteopati che volessero approfondire il tema invece, consiglio un testo più tecnico “Osteopatia come Medicina di Terreno” di Fornari, Garoli, Gozzi, Guizzardi, Martini, Matassoni, Edizioni Piccin.

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Piccola guida alle biotipologie MELANCONICO

Il soggetto melanconico ha uno sviluppo fisico scarso, poca massa muscolare e Il soggetto melanconico ha uno sviluppo fisico scarso, poca massa muscolare e tessuto adiposo quasi inesistente. È agile, leggero, con ossa sottili; ha le spalle strette e chiuse verso l’interno per proteggere il collo minuto e lungo. Ha poca forza e poca energia. È un grande pensatore, analizzatore attento e stratega. È esposto a malattie da raffreddamento e tra le predisposizioni patologiche più frequenti ci sono lombalgie, problematiche muscolo-scheletriche di bacino e collo, emicrania, disturbi gastrici cronici, ernie discali.

CHE SEI?

NERVOSO

Il soggetto nervoso è longilineo e con evidente sviluppo muscolare.

Le ossa sono lunghe e grosse. Anche in lui è dominante la funzione cerebrale, ma a differenza del melanconico ha l’esigenza di dedicarsi a un’intensa attività fisica di resistenza per scaricare la tensione nervosa eccessiva. Mentalmente è rigido e cerca disciplina. Può sviluppare emicranie e cefalee, insonnia, irritabilità. Frequenti sono le ernie cervicali e lombari, pubalgie e cistiti per le donne.

BILIOSO

Il soggetto bilioso ha una muscolatura compatta e ben sviluppata, con le spalle larghe. Il torace è teso in avanti e l’addome è spesso tonico con scarsa concentrazione di grasso. Ha una mimica facciale molto vivace e una voce forte. È energico, spesso collerico, iperreattivo ed è portato alla dinamicità; l’inattività e la quiete sono per lui stressanti. Impara facendo. Può sviluppare forme allergiche e le patologie da prevenire sono l’attacco ischemico e l’ictus.

SANGUIGNO

Il soggetto sanguigno ha il torace sollevato e l’addome prominente. Le spalle non sono particolarmente larghe e le gambe e le braccia sono spesso corte rispetto al tronco. Il tono muscolare è buono. La pelle può essere arrossata, così come le gote dopo sbalzi di temperatura o in fase di stress. Il suo umore è alterato e può soffrire di ipertensione e ansia. È estroverso e portato alla socializzazione. Tipico deficit è rappresentato dalle funzioni del metabolismo epatico e digestivo.

FLEMMATICO

Il soggetto flemmatico ha una massa corporea importante, un torace squadrato e molto muscoloso nella parte superiore. È predisposto ai disturbi nel metabolismo dei carboidrati e del glucosio. È spinto a una vita sedentaria e a una continua ricerca di cibo. Introverso e territoriale, ha scarsa propensione al contatto. Può avere problemi al sistema muscolare, all’apparato digerente e al metabolismo degli zuccheri.

LINFATICO

Il soggetto linfatico tende ad essere longilineo in gioventù per poi “allargarsi” dopo i 40 anni. È predisposto al disturbo viscerale e i suoi punti deboli sono il tratto digestivo, le mucose della vescica, dell’uretra e delle ghiandole endocrine. Le donne tendono a sviluppare cellulite e ad avere stasi linfatica. Calmo e poco emotivo, timido e gentile, ha movenze spesso un po’ rallentate con sguardo discreto.

Dotato di forte capacità analitica.

Le immagini sono tratte dal volume “Osteopatia come Medicina di Terreno” - Fornari, Garoli, Gozzi, Guizzardi, Martini, Matassoni – Ed.Piccin"

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MAL DI SC HIENA DOSSIER

A N E I H C S I MAL D A I G L A LOMB O C S I D L A A I ERN

i miti da sfatare

Il dolore muscolo scheletrico legato al mal di schiena è in assoluto la causa di maggior consulto medico.

Questa affermazione è provata da tantissimi studi medico scientifici. Molto spesso, però, il paziente si trova ad essere “rimbalzato” tra diversi specialisti, senza ricevere una diagnosi e una “spiegazione” al dolore. Inoltre, a volte le cure non danno i benefici sperati.

Tutto ciò si può spiegare con il fatto che il “mal di schiena” o meglio, la lombalgia, è un fenomeno complesso che scaturisce dalla concomitanza di diversi fattori. Per quasi tutte le persone con lombalgia, non è possibile identificare una causa specifica. Solo una piccola parte delle persone ha una ben nota causa patologica, ad esempio una frattura vertebrale, una neoplasia o un’infezione. Le patologie appena descritte sono, infatti, le poche che danno un dolore diagnosticabile in modo specifico. Nella stragrande maggioranza dei casi invece, ciò non è possibile.

Se non è facile diagnosticare la causa della lombalgia, è altrettanto vero che è più facile capire quali sono i fattori esterni o le abitudini che possono provocarla.

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IENA MAL DI SCH LGIA A B M O L Di seguito riportimoa alcuni esempi di elementi che influiscono sulla lombalgia.

Stile di vita:

Carmine Castagna Osteopata Direttore ISO Istituto Superiore di Osteopatia

Attività fisica, la scarsa o la mancanza di attività fisica è un fattore predisponente, ovvero aumenta la possibilità di soffrire di Lombalgia.

Il Fumo, essere fumatori non è solo un problema per i nostri polmoni ma anche per la nostra schiena, è stata infatti riscontrata una relazione tra fumo di sigaretta e Lombalgia Indice di Massa Corporea, ovvero la quantità di massa grassa e massa magra che abbiamo nel nostro corpo.

Sovrappeso importante o addirittura obesità, sono spesso condizioni associate a presenza di lombalgia.

Fattori Psicologici

Bibliografia: Foster NE, Anema JR, Cherkin D, et al. Prevention and treatment of low back pain: evidence, challenges, and promising directions. The Lancet 2018;391:2368–83.

Lin I, Wiles L, Waller R, et al.

What does best practice care for musculoskeletal pain look like? Eleven consistent recommendations from high-quality clinical practice guidelines: systematic review Br J Sports Med 2020;54:79–86.

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Depressione: la depressione può essere un fattore che aggrava o mantiene la lombalgia Catastrofizzazione: questo termine che può apparire strano, deriva dall’inglese non è nient’altro che la tendenza a trattare il problema come una catastrofe, come se fosse la fine del mondo. In questi casi bisogna cercare di moderare tale atteggiamento. Ciò non significa sminuire il problema o non dare il giusto valore allo stato del paziente, ma è fondamentale trovare le condizioni per affrontare il problema in modo costruttivo con l’obiettivo di ritornare, per quanto possibile, a vivere una vita piena e serena. In questi casi è fondamentale la volontà e la collaborazione del paziente oltre alla competenza del terapista.

La credenza che il movimento possa danneggiare la schiena se c’è dolore: La credenza che i movimenti possano danneggiare la schiena è molto diffusa, ma sbagliata. La riduzione del movimento e la sedentarietà sono infatti fattori che peggiorano la lombalgia.

CO ERNIA AL DIS

MAL DI SCHIENA DOSSIER

Lombalgia: ecco i miti da sfatare Sento dolore perché si è rotto qualcosa nella mia schiena.

La Lombalgia è raramente associata a danni seri delle strutture muscolo scheletriche Le strutture della schiena sono molto più forti e resistenti di quanto si pensi. È molto difficile che ci siano danni seri alla colonna e ai muscoli della schiena anche se è presente dolore.

Ho male alla schiena devo fare un esame strumentale Risonanza magnetica, TAC o i Raggi X non sono sempre necessari se si ha la lombalgia Gli esami strumentali sono utili in pochissimi casi ovvero quando sono sospettate patologie severe, molto gravi.

Molto spesso anche se i risultati riportano reperti come ernie, queste non sono direttamente correlati al dolore.

Ho male alla schiena, quindi devo stare fermo.

La schiena non si rompe se ci flettiamo o se solleviamo carichi. Non bisogna aver paura di muoversi, di sollevare carichi, di fare attività fisica. Correre, fare palestra, sollevare pesi è un’attività ottima anche se

si soffre di lombalgia, anzi, paradossalmente, soprattutto se si soffre di lombalgia. Al contrario la sedentarietà, l’inattività o il riposo prolungato sono sconsigliabili.

Alla mia età avere male di schiena è normale!

L’avanzamento dell’età non è per forza correlato alla comparsa di lombalgia. Anche se esiste la falsa credenza che con l’avanzare degli anni gli acciacchi siano inevitabili, si può prevenire o curare questo sintomo in diversi modi: con l’esercizio fisico, l’alimentazione e le terapie non invasive. In particolare l’osteopatia dà ottimi risultati.

Ho male alla schiena, mi dovrò operare Iniezioni, antidolorifici o chirurgia sono raramente la soluzione. Solo in casi estremi la chirurgia è indicata per curare la lombalgia, ma devono essere presenti segni molto importanti, perdita significativa della sensibilità, della forza e del tono muscolare. Gli antidolorifici sono invece indicati solo per brevi periodi ed è sempre consigliato l’uso

di altre terapie non cruente ed invasive, tra cui l’osteopatia.

Ho l’ernia al disco, non potrò tornare a fare le cose che facevo un tempo.

Ernie, protrusioni, artrosi, assottigliamento dei dischi intervertebrali non sono per forza causa di dolore.

Molto spesso la presenza di degenerazioni delle vertebre o dei dischi intervertebrali spaventa e preoccupa, non è stata però rilevata una correlazione diretta tra la presenza di questi segni e il dolore. Se 100 persone dovessero fare un RX, più di 80 avrebbero sicuramente segni di degenerazione. Già a partire dai 30 anni, tali degenerazioni sono presenti, ma solo in pochissimi casi sono realmente correlate al dolore. Nella maggior parte dei casi, dunque, il problema più grande è dato dal fatto che generano preoccupazioni e paura del movimento.

Negli ultimi anni però è stato dimostrato che la paura di muoversi e creare danni aumenta la possibilità che il dolore diventi cronico o persistente.

L’osteopatia gioca un ruolo importante. Attraverso le manipolazioni si può riacquistare fiducia nel proprio corpo e nella mobilità. Molto spesso, più che un blocco meccanico, si vanno a instaurare blocchi difensivi, ovvero atteggiamenti inconsci di protezione che limitano il movimento.

Attraverso tecniche di vario genere da quelle strutturali, passando per quelle fasciali, viscerali e craniche, l’osteopata e il paziente instaurano un percorso terapeutico che porta a una maggiore consapevolezza del proprio corpo, riaccendendo aree sensoriali a livello corticale che permettono un controllo maggiore del proprio corpo e dando la possibilità di riprendere le proprie attività fisiche senza eccessive paure o preoccupazioni.

I miti da sfatare rispetto al trattamento osteopatico: L’osteopata mi sblocca le vertebre. Non è più possibile oggi parlare di trattamento osteopatico che “sblocca le vertebre”. I blocchi biomeccanici non sono ritenuti una spiegazione plausibile.

Molto più plausibile è l’idea che la persona riacquisti

sicurezza nel movimento. Si tratta di uno “sblocco cognitivo comportamentale”, più che di uno “sblocco meccanico”.

L’osteopata mi fa rientrare l’ernia. È possibile che l’ernia sparisca, ma le motivazioni possono essere svariate.

Molto spesso l’ernia si riassorbe autonomamente ed è molto difficile creare un nesso di causalità diretta tra il trattamento e il fatto che l’ernia sia “rientrata”, o meglio sia stata riassorbita dai normali meccanismi autoregolatori del corpo.

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OSTEOPATIA MAGAZINE

vertebre

Le patologie delle

Quando si parla di dolori alla schiena, spesso ci focalizziamo sulle strutture maggiormente soggette a usura, nello specifico, i tessuti molli. E nella nostra schiena, per eccellenza, è il disco intervertebrale, a consumarsi nella sua anatomia fibro-cartilaginea e acquosa.

Per questo parliamo sempre di discopatie, come ernie e protrusioni del disco.

Proprio su Osteopatia magazine ho già dedicato molti articoli e continuerò a farlo con le diverse tipologie di approccio, protocolli di trattamento e innovazioni scientifiche.

Quello che salta invece meno agli occhi, e che normalmente si riassume nel quadro artrosico, sono invece le degenerazioni a carico del tessuto osseo. Ovvero la vertebra.

Vedremo quali sono e come affrontarle con il trattamento osteopatico.

Alla base di ogni patologia degenerativa dell’osso (escludendo il vasto campo dei tumori), troviamo sempre cause meccaniche, intese come sovraccarico gravitazionale e alterazione degli equilibri della fisiologia articolare.

Condizioni che possono accentuarsi con l’aumento del peso, l’avanzare dell’età, scorretto apporto nutrizionale, mancato igiene posturale, traumi e non adeguata attività fisica.

Il rimaneggiamento osseo è il processo naturale della vertebra 14

che segue una continua fase di rigenerazione, per cui l’osso che si consuma, tende a riprodursi, con efficenza direttamente proporzionale all’età anagrafica del soggetto.

Solitamente l’osso richiama più calcio nelle zone dove riceve più carico.

Un meccanismo di difesa fondamentale ad esempio nell’osteoporosi, dove in particolare con la vitamina D avviene la sufficiente mineralizzazione tissutale.

E normalmente il calcio segue delle linee ben precise di forza, vettori che in base al carico che ricevono e alla naturale disposizione delle trabeccole osse (strutture interne), indirizzano l’apporto calcico nei giusti compartimenti.

Quando queste linee, subiscono delle alterazioni, come conseguenza di una dismetria del bacino, una scoliosi, un ginocchio valgo e così via, qualunque sia l’interesse posturale, alterandosi la meccanica, si creano percorsi totalmente errati di trasporto

minerario, arrivando alla condizione di osteofitosi.

Gli osteofiti sono infatti stalattiti di calcio che fuoriescono dal normale confine articolare e determinano pericolosi spuntoni che possono danneggiare tessuti delicati come tendini, muscoli, nervi e vasi. Ma che in primis, rovinano i levigati profili di scorrimento articolare necessari affinché l’ingranaggio si muova senza attrito. In questo caso, il meccanismo inizia a “grattare”le superfici, limitando la funzionalità dell’articolazione, fino a determinarne il blocco.

Nei casi più gravi, si arriva addirittura a creare, veri e propri “becchi a pappagallo” tipici dei corpi vertebrali, che degenerano unendosi uno con l’altro, in vere e proprie fusioni delle vertebre, definite “a ponte”.

Tanto con l’artrosi che con l’osteoporosi, le superfici dei piatti vertebrali accumulano tanto calcio “difensivo” che il tessuto, va incontro a una sorta di “morte”definita sclerosi. È l’esempio per cui in una lastra rx, vedrete la vertebra

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Dr. Gabriele Benedetti European Academy of Osteopathy

osteoporotica molto trasparente, e la superficie invece sarà molto bianca, più marcata, proprio perchè più densa.

Se queste degenerazioni colpiscono prevalentemente le superfici più esterne, non meno gravi sono le condizioni interne al corpo vertebrale. Tanto che si è giunti a una classificazione specifica quale i tre gradi Modic.

• Il Modic 1 prevede l’alterazione della struttura ossea, per infiltrazione edematosa (sangue) all’interno del tessuto spugnoso.

• Il Modic 2 tratta di sostituzione del tessuto osseo con tessuto adiposo (grasso).

• Il Modic 3 invece porta a una sclerotizzazione interna.

L’ultima struttura interessata in questa presentazione degenerativa delle vertebre, riguarda le faccette articolari, le strutture che si occupano di mettere in relazione una vertebra con l’altra, creando i rapporti fondamentali per la meccanica integrata e il funzionamento cordinato della colonna vertebrale.

33 vertebre in rapporto una con

l’altra con il sostegno di capsule e legamenti.

Quando le faccette articolari sono soggette a eccessivo carico, le conseguenze sono di due tipi, la prima, si va incontro a vere e proprie patologie del caso, quali l’ipertrofia delle medesime, con conseguente infiammazione dolorosa acuta e cronica. Tipica della regione lombare.

L’altra si arriva a tali carichi sulle strutture più vulnerabili della vertebra, che incombe in rotture vere e proprie, come nel caso dell’istmo e dell’arco, manifestando la Spondilolisi, classificabile come vera e propria frattura, e nel caso più grave, Spondilolistesi, alla quale si associa lo scivolamento vertebrale. Responsabile del primo motivo di intervento chirurgico se associato e stenosi (restringimento) del canale vertebrale o erniazioni gravi.

Per quanto tutte queste patologie, possano sembrare così diverse l’una dall’altra e più o meno gravi e complesse, il trattamento osteopatico, che varia per forme e tipologie, passando dall’approccio

multidisciplinare del viscerale, cranio-sacrale e strutturale, vede un’unica chiave di lettura.

L’approccio globale mirato a individuare la causa.

Essendo l’aspetto posturale, alla base di ogni scompenso e incongruenza biomeccanica, “la struttura governa la funzione”, è imprescindibile per noi osteopati affidarci a questa visione di approccio terapeutico.

Personalmente, come sapete, la mia scelta predilige protocolli di intervento manipolativo, più vicini all’approccio muscoloscheletrico.

Individuo nel Thrust la migliore forma di sblocco e scarico delle articolazioni vertebrali, siano esse soggette ad Artrosi, Osteoporosi, Modic, Osteofitosi, Ipertrofia delle Faccette, e perfino nella Spondilolistesi.

Un corretto supporto diagnostico per immagini, test ortopedici, neurologici, e ovviamente la sensibilità e la preparazione dell’osteopata, saranno elementi più che sufficienti per manipolare le vertebre in perfetta sicurezza ed efficacia.

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ERNIA DEL DISCO

L’alleanza positiva tra osteopata e paziente.

Trattare le persone afflitte da problemi di ernia del disco, che si presentano in distretti sia lombari sia cervicali, è un lavoro frequente e rientra nelle competenze di molti osteopati, fino a diventare per alcuni professionisti un ambito di specializzazione.

Lorenzo Giomi - Osteopata presso il Posture Lab di Pisa e insegnante di Osteopatia Strutturale e Clinica Osteopatica al CIO di Parma e Bologna.

Il dolore da ernia discale è un’esperienza molto comune, che affligge, con almeno un episodio acuto nella vita, una larghissima percentuale di persone.

Il dolore può manifestarsi in varie modalità: mediano, laterale, irradiato lungo il decorso di una radice nervosa, o ancora, in forma mista, colpendo in maniera estremamente trasversale persone che appartengono a una fascia di età molto estesa, principalmente lavorativa. Il dolore da ernia discale rappresenta quindi un’importante voce di spesa sanitaria, un vero e proprio problema di salute pubblica.

Un'elevata percentuale di pazienti, già all’esordio del problema, dopo l’esecuzione di approfondimenti diagnostici per immagini, evidenzia problematiche strutturali a carico dei dischi intervertebrali, specie degli ultimi livelli lombari e cervicali. Le stesse problematiche vengono anche riscontrate: - occasionalmente, dopo esami sostenuti per sintomatologie di altro tipo - a seguito di semplici controlli, in pazienti ormai privi di sintomi.

Questo riscontro ci consente di pensare che esistano buone possibilità di convivenza con alterazioni strutturali, che permettono comunque di mantenere uno stato di benessere.

Le ricerche scientifiche pubblicate nel corso degli anni, molte delle quali di ricercatori italiani, hanno confermato che i casi di ernia del disco non sono tutti uguali

e che tale problematica colpisce persone molto diverse tra loro: per sesso, fascia d’età, stile di vita, tipologia costituzionale e posturale.

Tramite un processo di analisi dei dati che emergono dal racconto della storia clinica del paziente, dalle diagnosi specialistiche in suo possesso, ma soprattutto dalla valutazione manuale specifica, l’osteopata ha il compito di: - capire quali siano le problematiche a monte dell'evidenziarsi dei sintomi - costruire un percorso di recupero e di mantenimento di uno standard di vita qualitativamente accettabile.

Per quanto la persona sia stata, di norma, già valutata precedentemente da un medico specialista che sia un ortopedico, un neurochirurgo o un fisiatra, esiste sempre la possibilità che la situazione sia variata e abbia subito un eventuale peggioramento nel lasso di tempo intercorso fino al primo incontro con l’osteopata. Per questo motivo è fondamentale eseguire una nuova valutazione clinica, alla ricerca della presenza eventuale di quelle che vengono chiamate “Bandiere Rosse”, cioè sintomi che sconsigliano l’inizio della terapia e indicano invece la necessità di un nuovo parere medico specialistico.

I dolori causati dalla presenza di un’ernia discale non sono sempre uguali; possono avere durata, intensità e capacità di risposta ai trattamenti anche molto

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MAL DI SCHIENA DOSSIER diverse tra loro. In Osteopatia non esistono protocolli specifici indirizzati alle specifiche patologie; è la sola valutazione che permette: - prima, di isolare le disfunzioni che sovraccaricano la capacità di compensazione che il nostro corpo possiede, - poi, di andarle a trattare tramite l’utilizzo di tecniche manuali osteopatiche, ottenendo in tal modo il ripristino della funzionalità degli innati meccanismi di autocura che il corpo possiede e che hanno aiutato l’essere umano nel suo lungo e complicato cammino di evoluzione.

La scelta delle tecniche da utilizzare rappresenta un passaggio importante nella costruzione della seduta osteopatica. Le scuole di osteopatia italiane, le cui modalità formative vengono monitorate costantemente dall’AISO (Associazione Italiana Scuole di Osteopatia), forniscono già, a livello degli studi di base, un ventaglio ampio ed efficace di soluzioni, con approcci che variano da quelli “molto dolci” a quelli meccanicamente più profondi.

Anche se per alcuni pazienti la crisi dolorosa rappresenta un’esperienza unica nell’arco della vita, i dati ci raccontano che l'ernia del disco

purtroppo ha come caratteristica peculiare la tendenza alle recidive, motivata dal fatto che l’alterazione a carico del disco intervertebrale non regredisce, ma deve essere compensata. In questo senso risulta fondamentale la sottoscrizione di un patto di collaborazione tra paziente e osteopata, elemento fondamentale per conseguire risultati evidenti e duraturi, allargando la proposta terapeutica all’esecuzione di esercizi fisici, magari da svolgere nell’ambito di una attività strutturata in palestre adeguate, che permettano la maggiore stabilizzazione possibile dei risultati.

Come si svolge una visita e una seduta di osteopatia.

Durante il primo incontro si parte con la raccolta dei dati del paziente e dunque con l’esame degli approfondimenti diagnostici già effettuati e la visione della diagnosi medica specialistica effettuata in precedenza dal medico. Dopo l’esecuzione di semplici test clinici, allo scopo di escludere le già citate “Bandiere Rosse”, inizia la vera e propria valutazione osteopatica. Questa, di norma, si compone di:

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un approfondimento anamnestico, con domande che vanno a indagare più campi: funzioni viscerali, abitudini di vita, qualità del sonno, eccetera.

Si procede poi con un inquadramento dell’assetto posturale globale della persona,

Il quadro emergente da tutti gli elementi rilevati fornisce all’osteopata la possibilità di capire quali siano le zone che hanno perduto la loro mobilità e quali siano gli elementi funzionali che non hanno più un funzionamento corretto.

Dopodiché l’osteopata può tracciare un percorso riabilitativo.

Una terapia si svolge in più sedute; un numero variabile, in considerazione della natura e dell'intensità delle problematiche riscontrate, del tempo intercorso dall’inizio della sintomatologia e della capacità di

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l’esecuzione di test di movimento,

reazione del paziente. Durante ogni seduta vengono eseguite un numero variabile di tecniche, precedute e seguite da manovre valutative, oltre a un breve colloquio atto a valutare lo stato di avanzamento della sintomatologia. È importante sapere che, sia la valutazione, sia le manovre vere e proprie, non vengono indirizzate solo ai distretti interessati dal dolore, ma a tutte quelle strutture che con la sintomatologia presentino una connessione funzionale, meccanica, neurologica, vascolare, muscolare o fasciale.

la valutazione palpatoria.

Il campo dell’intervento si viene di conseguenza ad allargare molto, in quanto, non tratta una patologia, ma una persona specifica, con tutte le sue caratteristiche morfologiche, il suo passato, le sue abitudini di vita, cercando di riportarla a un “punto di equilibrio” che sia il migliore possibile.

L’intervento terapeutico trova un completamento importante in una serie di consigli che riguardano lo stile di vita, l’eventuale attività fisica, le abitudini, ponendo i presupposti per un vero lavoro di squadra tra osteopata e paziente.

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LA SCOLIOSI

Agire nell’età evolutiva per correre ai ripari COS’È LA SCOLIOSI? Volendo semplificare al massimo, potremmo definire la scoliosi come un’anomala curvatura della colonna vertebrale dove un gruppo di vertebre viene deviato lateralmente. Come risposta di auto-compensazione la colonna cerca dunque un adattamento ruotando dal lato opposto. Tra le varie definizioni tecniche di scoliosi, a mio avviso, una delle migliori è quella proposta da R.Pedriolle che arriva a concludere come tale deformazione “non sia reversibile” e ad evidenziare come “non esista causa conosciuta certa di questa affezione”.

Riccardo Capello, osteopata Torino

Chi colpisce e quando si può manifestare La scoliosi interessa ingenerale circa il 3% della popolazione e colpisce il sesso femminile circa cinque volte in più rispetto alle persone di sesso maschile. Può manifestarsi a qualsiasi età, ma le scoliosi di maggior interesse clinico sono quelle che si sviluppano durante l’età pediatrica in quanto in questa fase possono assumere caratteristiche evolutive importanti. Se tenuta sotto controllo, generalmente rimane un “semplice” disagio estetico e raramente arriva ad assumere connotazioni più gravi, Proprio perché ha di per sé natura evolutiva, è molto importante monitorarne il suo andamento, cercando quanto più possibile di arrestarne il decorso.

La sintomatologia Nonostante ci siano casi di mal di schiena dovuti a scoliosi, la natura di questo dimorfismo è asintomatica.

Ha tendenzialmente un’eziologia, cioè una causalità, multifattoriale.

Nel 75/80% circa dei casi non ha una causa evidente. Si stima che circa il 6% dei casi di scoliosi si possano già individuare nella popolazione in età scolastica; insorgendo e progredendo senza apparenti motivi. In questi casi, viene definita scoliosi idiopatica, ovvero da cause non note. Esistono solo della cause ipotizzabili legate ad alcuni fattori tra cui: ossa; muscoli; postura; sesso; alimentazione; razza; ereditarietà; nucleo familiare; situazione sociale; pubertà; sistema nervoso centrale.

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L’approccio tradizionale alla scoliosi.

L’approccio tradizionale alla scoliosi prevede sostanzialmente un intervento di contenimento della stessa.

L’iter terapeutico viene stabilito dall’ortopedico in base al livello di gravità del paziente. Ad esempio, nei casi di scoliosi lievi, l’approccio più utilizzato è la ginnastica correttiva, ovvero un programma di esercizi mirati ed individualizzati, tra cui, fondamentali, anche esercizi respiratori.

Insieme alla ginnastica correttiva possono essere proposte altre metodiche tra cui il metodo Mezieres, il massaggio connettivale, il Rolfing, le trazioni vertebrali, la chiropratica, il training autogeno, il Pilates, la ginnastica posturale, il metodo Feldenkrais.

In alcuni casi sono consigliati anche i corsetti ortopedici, diversi a seconda della tipologia di scoliosi: Milwaukee, Lionese o Lapadula, con lo scopo di rallentare la spinta evolutiva verso l’esterno e favorire la crescita della colonna vertebrale sull’asse longitudinale. Nelle scoliosi più gravi invece, con curvature oltre i 40° Cobb, è possibile ridurre le curve scoliotiche solamente con un intervento chirurgico di fissazione artrodesica, che solitamente viene effettuato alla fine dell’età dello sviluppo, per non ostacolare la crescita.

La visione osteopatica.

L’osteopatia, nei casi di scoliosi, non si pone l’obiettivo di sostituire le metodiche appena citate, ma offre l’opportunità di aggiungere

MAL DI SCHIENA DOSSIER un’ulteriore strategia di approccio.

Attraverso l’osteopatia è possibile offrire un punto di vista differente, cercando di risalire all’origine ed andando ad intervenire sulle cause primarie. Possiamo vedere la scoliosi come una forma di compensazione di una o più disfunzioni intrinseche, che costringono il nostro organismo ad un adattamento continuo.

Questi adattamenti possono essere dapprima funzionali, e, nel tempo, diventare anche anatomici, modificando la struttura. Nel caso della scoliosi questo si traduce con modificazioni evidenti dal punto di vista macroscopico. La maggior parte delle scoliosi, infatti insorge durante l’età dello sviluppo proprio perché le linee di forza di questi adattamenti dinamici vanno ad agire su delle strutture ancora in evoluzione, provocando appunto una deformazione sotto il profilo anatomico.

Il trattamento osteopatico.

Una volta manifestati i primi disagi, è fondamentale rivolgersi rivolgersi ad uno specialista medico, un ortopedico o un fisiatra, e sottoporsi ad esami strumentali al fine di identificare oggettivamente il tipo di scoliosi e quindi la situazione da affrontare.

In seguito, attraverso il trattamento osteopatico si cerca di riportare il corpo alla sua omeostasi, annullando o limitando quelle forze anomale che hanno causato la scoliosi.

Durante la visita osteopatica il paziente deve essere valutato sia in statica che in dinamica al fine di verificare la funzionalità dell’intero

organismo. Generalmente quando si parla di osteopatia e scoliosi si prende in considerazione una visione del corpo umano che tende a vedere questo problema come una compressione della colonna vertebrale tra la regione cervicale quella sacrale, come se si prendesse un tubo e lo si schiacciasse dalla due estremità, fino a deformarlo.

Tuttavia, anche se rende molto l’idea, la realtà è un pò più complessa.

Il punto di partenza di un approccio osteopatico alla scoliosi riguarda sicuramente la valutazione visiva, che prenda in considerazione i 4 recettori posturali principali: - occhio; - piede; - bocca (l’apparato stomatognatico); - derma (la pelle).

Uno scompenso importante di uno o più di questi recettori farà parte delle possibili cause di una scoliosi idiopatica, per cui è necessario approfondire ed eventualmente, attraverso la collaborazione con altri professionisti (odontoiatri, ortottisti, logopedisti, podologi), cercare una strategia di supporto. Uno dei primi sistemi ad essere coinvolto in caso di scoliosi idiopatica è sicuramente il sistema cranio-sacrale.

Le disfunzioni osteopatiche a livello craniale sono in grado di generare delle catene disfunzionali discendenti fino ai piedi. Il veicolo di trasmissione in questo caso è la “dura madre” (la meninge più esterna), che presenta connessioni fino a livello dell’osso sacro. Esistono infatti degli

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COME SI IDENTIFICA UNA SCOLIOSI? ECCO I SEGNALI: Le connotazioni estetiche sono i segni principali per cui può venire individuata anche dai non addetti ai lavori: • evidenziazione del gibbo dorsale durante una flessione del busto in avanti; • asimmetria delle spalle; • asimmetria scapolare (una scapola + alata); • inclinazione del busto da un lato; • diversità dei triangoli della taglia.

Nei casi meno eclatanti la scoliosi emerge casualmente da RX o RMN effettuate con motivazioni differenti.

adattamenti a livello osteopatico delle ossa iliache che seguono le disfunzioni craniche. La colonna vertebrale, soprattutto nell’età dello sviluppo, si adatta a queste disfunzioni, dando origine ad una scoliosi spesso a doppia o a tripla curvatura.

Gli arti inferiori rappresentano un altro caso dal quale può originare una scoliosi. Una disfunzione nell’arto inferiore può dare origine a delle catene disfunzionali ascendenti che possono perturbare il bacino e la colonna vertebrale, fino al rachide cervicale. In questo caso, tali disfunzioni danno generalmente origine a cave primarie basse e secondarie alte. A livello statistico, nella maggior parte dei casi di catene disfunzionali il principale responsabile è proprio il piede, mentre anca e ginocchio sono generalmente soltanto “delle vittime”.

In posturologia il piede è preso in considerazione insieme all’occhio, in quanto viene detto che il piede spesso“si adatta” mentre la causa principale è una disfunzione a livello dell’apparato visivo, che quindi è sempre da tenere in grande considerazione.

Anche il sistema viscerale può creare degli scompensi e quindi degli adattamenti posturali.

In questo caso prendiamo sempre in considerazione il tessuto connettivo, poiché le tensioni che si possono creare a livello viscerale, proprio a causa dell’intima correlazione con il tessuto connettivo e quindi con tutto l’organismo, possono creare degli adattamenti anche a livello scheletrico.

Un ulteriore spunto che può aiutare in questo caso è l’ontogenesi del nostro organismo.

Da valutare sempre, a mio avviso, la radice del mesentere, un vero e proprio organo, come scoperto di recente, che a causa delle sue correlazioni anatomiche con il tratto lombare, può causare tensioni e adattamenti importanti.

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Più rare, ma comunque sempre importanti, sono le disfunzioni vertebrali, che però raramente rappresentano la causa primaria di una scoliosi. Solitamente sono adattamenti secondari a catene disfunzionali più importanti.

Un trattamento di manipolazioni vertebrali, se estrapolato dal contesto globale, solitamente sortisce pochi effetti, se non il sollievo momentaneo del paziente, mentre se inserito nel contesto di un trattamento globale, le tecniche HVLA possono risultare molto utili.

Quando l’osteopatia ottiene i maggiori benefici nel trattamento della scoliosi?

L’osteopatia ha il suo maggior grado di efficacia contro la scoliosi durante l’età evolutiva. In seguito l’osteopatia può comunque dare un grosso beneficio nei casi di scoliosi, ma prima si interviene e più risultati si possono ottenere. Se è vero che non si possono fare miracoli con una patologia che va ad inficiare gravemente la struttura scheletrica e che si è “cementata” nel tempo, intervenire in anticipo ed applicare un approccio multidisciplinare porta sicuramente degli ottimi risultati.

Il grande vantaggio dell’approccio osteopatico è la possibilità di essere complementare e quindi integrato ad altri approcci, siano essi cruenti come la chirurgia o conservativi come la ginnastica correttiva e la fisioterapia.

Il trattamento osteopatico nella scoliosi ha ovviamente anche i suoi limiti, ovvero non riesce a restituire ad una struttura distrofica la morfologia originaria. Se la colonna vertebrale è deformata, l’osteopatia non può di certo riportarla alla forma originaria, sia nella scoliosi che in altro caso.

L’obiettivo intervento osteopatico è quello di eliminare le tensioni interne che hanno portato o stanno portando all’instaurarsi di una scoliosi, sia essa più o meno grave, così da arrestarne o rallentarne l’evolutività. In alcuni casi i risultati potranno essere più evidenti di altri, ma migliorando la funzionalità dell’organismo si riuscirà sempre a donare alla persona una sensazione di maggior benessere.

D’altronde il fine ultimo di ogni trattamento, in ogni caso, deve sempre essere quello di migliorare la qualità di vita della persona.

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Evert De Witte - Osteopata D.O. - Direttore pedagogico Belso

Stéphane Sabbioni - Osteopata D.O. - Direttore pedagogico Formed-Belso

Osteopatia E dolore

CERVICALE

Vi sarà capitato di svegliarvi al mattino con la sensazione che la testa non riesca a girare immediatamente.

Una percezione di rigidità o addirittura di vero e proprio blocco. Eppure siete anche sportivi e dinamici.

Come è possibile? La prassi vuole che in casi simili si chiami il proprio medico, il quale diagnostica un «torcicollo» accompagnato da «emicrania» e talvolta raccomanda farmaci e riposo.

Ma pochi giorni dopo, capita di ritornare alla stessa situazione. Cosa è successo davvero al nostro collo e alla testa? E qual è il modo giusto per evitare questo doloroso fastidio?

Cause del mal di collo In osteopatia, patologie come torcicollo e emicrania si incontrano spesso. Analizzando e osservando il paziente nella sua globalità, a volte, si arriva a deduzioni che vanno ben oltre la riduzione della mobilità locale delle vertebre cervicali. Il dolore al collo infatti, può avere diverse origini a causa dei numerosi elementi anatomici presenti nella zona cervicale.

Le cause più comuni possono essere: il cosiddetto torcicollo, cioè una contrattura muscolare del collo;

l’artrosi cervicale, cioè l’usura della cartilagine delle vertebre cervicali; oppure una distorsione cervicale correlata a movimenti improvvisi, a sforzi eccessivi o movimenti insoliti: un trauma dei legamenti cervicali.

In molti casi, fattori come lo stress, che causa un’eccessiva carenza di magnesio, oppure l’eccesso di cibo (acidosi metabolica) o persino sforzi intensi, possono causare dolore. Il dolore può anche essere dovuto a tensioni in altre parti del corpo, come l’articolazione temporo-mandibolare,

la colonna vertebrale toracica e lombare oppure dovuto a un cattivo appoggio dei piedi.

Perché consultare l’osteopata Il ripristino delle condizioni di normalità, nel rispetto dei principi biomeccanici della mobilità fisiologica, risolve rapidamente, in molti casi, la mobilità del collo, rilassando la contrattura dei muscoli della colonna cervicale.

La vera causa del dolore e del disagio tuttavia, spesso, è molto complessa.

Si potrebbe immaginare il dolore come

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Trattamento

Trattamento

la punta di un iceberg, al di sotto del quale, tutta una serie di disfunzioni si sono evolute nel tempo per consentire al corpo di continuare a funzionare, adattandosi intorno a tre leggi di base: - la legge dell’economia; - la legge del conforto; - la legge dell’equilibrio.

Queste tre leggi «osteopatiche» sono alla base della vita di tutti i giorni e sono sintetizzabili nel seguente modo: il corpo umano è sempre alla ricerca di un equilibrio ideale, al fine di utilizzare la minima energia possibile e ottenere un funzionamento ottimale nelle varie attività della vita quotidiana.

Si parla di «compensazioni», riferendosi a tutti quegli adattamenti che il nostro corpo apporta ai diversi sistemi che lo compongono (l’apparato muscolo scheletrico, viscerale e craniale) per essere sempre in grado di eseguire movimenti ottimali, nonostante traumi o squilibri derivanti dal quotidiano.

Quando le capacità adattative si esauriscono, quando sono stati utilizzati tutti i crediti di

Chiarimenti sul Trattamento

compensazione, la più piccola stimolazione o micro-squilibrio è sufficiente per causare un disturbo in uno dei sistemi del corpo.

L’osteopata tiene conto di tutti i parametri che possono sbilanciare il corpo a livello articolare, posturale ed emotivo. Ed ecco perché non ci si deve sorprendere quando l’osteopata esamina un paziente a livello lombo pelvico, anche in caso di problemi cervicali. La colonna cervicale e l’osso sacro infatti, sono direttamente collegati tra loro a livello neurologico tramite la dura madre, una parte non estensibile delle meningi. È normale dunque, che l’osteopata controlli la tensione e la mobilità dei visceri dell’addome in caso di mal di testa, perché esiste una relazione tra i visceri e la base posteriore del cranio, attraverso una struttura chiamata «foramen jugulare», formata da osso temporale e occipitale. Queste parti di osso cranico hanno un ruolo sia nervoso (nervo Accesorius, nervo Vagus e nervo Glosso-pharengeus), sia allo stesso tempo vascolare (vena Jugularis).

Se sono presenti disfunzioni in queste diverse strutture vasculo-nervose, si possono osservare sintomi quali mal di testa, torcicollo o rigidità cronica nel collo, oltre a disturbi digestivi.

In seguito alla realizzazione di tecniche muscolari molli, tecniche miotensive, o tecniche articolari dette «Thrust», queste strutture possono essere corrette e normalizzate, migliorando la mobilità e la vascolarizzazione a livello locale e a livello di tutto il corpo. Ciò consentirà di ottenere nuovamente crediti di compensazione e adattamento, quando il corpo è gravato da stimoli o squilibri traumatici. L’osteopata sceglierà le tecniche migliori da utilizzare in base a molti parametri: - le circostanze dell’inizio del dolore, - la natura del dolore, che sia di origine traumatica o meno, - la sua cronicità, - ma anche l’età e la storia medica del paziente.

Inoltre, l’osteopata si baserà anche sui risultati dei test di mobilità eseguiti sulla cervicale.

Consigli dell’osteopata per il mal di collo

Gruppo di Osteopatia del V Anno della Scuola Formed-Belso Napoli, Italia

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Per evitare il dolore al collo e per una corretta prevenzione, è consigliabile consultare un oculista ogni due anni e controllare annualmente l’igiene orale.

Una postura corretta ed ergonomica sono sempre necessarie, soprattutto se si lavora molto al computer. È anche utile evitare situazioni potenzialmente stressanti e praticare sport regolarmente.

Altri comportamenti corretti sono: • assumere magnesio • bere molta acqua naturale • utilizzare un materasso e un cuscino adattati al tipo di corporatura.

In caso di dolore al collo può anche far bene applicare calore sulla parte dolorante, specie quando si sente tensione muscolare.

OSTEOPATIA E GERIATRIA

L’osteopatia aiuta a invecchiare bene.

Con l’avanzare dell’età, si va incontro a una serie di problematiche che possono condizionare in maniera importante la qualità della vita.

Ciò dipende, sia dalla fisiologica degenerazione cui il nostro corpo va incontro, sia da fattori che incorrono nella vita stessa, come il lavoro, i traumi, le patologie.

Ecco come l’osteopatia può aiutare il paziente ad invecchiare bene.

Paolo Zoppas Fisioterapista, Osteopata Docente EIOM

L’invecchiamento è una realtà biologica e comporta cambiamenti sociali, culturali ed economici. Nel corpo, con l’avanzare dell’età, si verificano varie alterazioni: - la pelle è più vulnerabile e disidratata - si creano modificazioni neuromuscolari, urogenitali, respiratorie - aumenta il rischio di cadute.

Patologie come artrosi, artriti e dolori articolari sono da considerarsi fisiologiche, normali ad una certa età; è importante fare in modo che non compromettano in modo debilitante la persona. I dolori causati da queste patologie portano, infatti, ad adottare posture scorrette che, a lungo termine, moltiplicano le tensioni delle differenti zone del corpo, aumentando il dolore.

In Italia, oggi, gli anziani rappresentano il 20% della popolazione; stando

alle proiezioni, nel 2050, nel mondo, ci saranno 2,4 miliardi di anziani.

L’Istat, che tiene traccia del grado di invecchiamento della popolazione, illustra il rapporto percentuale tra il numero degli ultra 65enni e il numero dei giovani fino ai 14 anni: nel 2019, in Italia, ci sono 173,1 anziani ogni 100 giovani e la speranza di vita alla nascita è di 80,6 anni per gli uomini mentre è 84,9 anni per le donne.

Alla domanda “Quando si invecchia?”, è possibile rispondere in diversi modi.

Esistono infatti più tipi di età: • l ’età cronologica si basa esclusivamente sul passaggio del tempo. È l’età di una persona in anni.

Ha un significato limitato in termini di salute, anche se la probabilità di ammalarsi aumenta con l’avanzare dell’età e sono proprio i problemi di

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salute, e non l’invecchiamento fisiologico, a rappresentare le cause primarie di perdita di funzionalità in età avanzata; • l ’età biologica si riferisce ai cambiamenti dell’organismo che comunemente si verificano quando un soggetto invecchia.

Poiché tali cambiamenti influenzano certe persone prima di altre, alcune sono biologicamente vecchie a 40 anni, mentre altre lo diventano in età successiva.

Tuttavia, le differenze più evidenti nell’età

apparente tra persone di età cronologica simile sono riconducibili allo stile di vita, alle abitudini e agli impercettibili effetti della malattia, anziché alle differenze dovute all’invecchiamento reale; • l ’età psicologica infine, è basata su come le persone agiscono e si sentono. Ad esempio, un ottantenne che lavora, fa progetti, si concentra sul futuro e partecipa a molte attività è considerato psicologicamente giovane.

QUAL È IL RUOLO L’osteopatia geriatrica si occupa della DELL’ OSTEOPATIA valutazione complessiva di anziani malati IN QUESTO e disabili. Ciò comporta una stretta CONTESTO? collaborazione interdisciplinare con altri professionisti, quali il medico geriatra, il fisiatra, il fisioterapista, l’infermiere, il dietista, l’assistente sociale e molti altri operatori sanitari. L’osteopata esperto in geriatria lavora a stretto contatto con i medici di famiglia, gli psichiatri e altri specialisti clinici, affinché gli anziani possano ricevere il massimo livello di cure e possano mantenersi indipendenti e in salute.

L’osteopatia rappresenta un aiuto molto

prezioso in questa fase della vita, in quanto i trattamenti dolci e indolori permettono di affrontare le varie problematiche che condizionano la persona anziana nella vita di tutti i giorni.

Gli obiettivi osteopatici in geriatria sono: • potenziare o riorganizzare l’autonomia dei pazienti • prevenire disordini funzionali secondari, disordini multisistemici • migliorare o recuperare la respirazione, • l a funzione muscolo scheletrica, il flusso dei fluidi • alleviare il dolore.

PREVENZIONE In ambito geriatrico i trattamenti osteopatici E CURA. QUANDO sono indicati in caso di: RIVOLGERSI • d olori muscolari ALL’OSTEOPATA? •d iminuzione o perdita della mobilità articolare •p roblemi funzionali a livello viscerale •p roblemi del sonno •a bbassamento momentaneo delle capacità intellettive

• c aduta senza perdita di conoscenza o senza fratture •p roblemi di tipo otorinolaringoiatrico (ORL) • c efalee.

Altrettanto importante è l’approccio preventivo: • per fare un bilancio della propria salute • quando si interrompe l’attività lavorativa • prima di iniziare una nuova attività sportiva.

Oltre ai problemi riguardanti l’apparato muscolo-scheletrico, il trattamento osteopatico risulta efficace per patologie molto comuni come l’ipertensione e l’ipotensione, le difficoltà intestinali, l’incontinenza urinaria, ma anche per problemi vascolari, in quanto determina benefici sul metabolismo e funzionalità dei vari organi, favorendo la circolazione sanguigna e il drenaggio.

Il trattamento osteopatico può anche

migliorare l’insufficienza respiratoria senile, causata da: anchilosi e rigidità delle articolazioni costo-vertebrali e cartilagini costali; irrigidimento della colonna cervicale e dorsale; perdita di tono dei muscoli erettori del rachide e del comparto muscolare addominale.

Il trattamento osteopatico allevia notevolmente la sintomatologia, ristabilendo mobilità e funzionalità del corpo, aiutando il paziente a ritrovare il benessere e quindi, a vivere più serenamente.

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LO STUDIO A cura di EIOM Scuola di Osteopatia

POSTURA e POSTUROLOGIA Per parlare di postura occorre innanzitutto approfondirne il concetto. Per farlo, avvaliamoci alcune definizioni.

Partiamo da quella di Kendall: “Una buona postura è uno stato di equilibrio muscolare e scheletrico che protegge le strutture portanti del nostro corpo da una lesione o da una deformità̀ progressiva, malgrado la posizione in cui queste strutture lavorano. La cattiva postura si ha quando la relazione tra le varie parti del corpo è scorretta, producendo così un aumento di tensione sulle strutture portanti, e quando l’equilibrio del corpo sulla sua base d’appoggio è meno efficiente.”

Tribastone sostiene invece che la postura sia: “L’insieme di meccanismi psicologici che regolano con

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la massima economia ed in ogni momento sia la struttura neurofisiologica del movimento, che il tono muscolare, necessari per il mantenimento di una posizione equilibrata e coordinata.”

Altra definizione di postura è quella di Massari: “Posizione reattiva all’ambiente gravitazionale, ergonomica e a controllo cibernetico, idonea allo svolgimento di attività funzionali finalizzate mediante un’azione psico-corporea integrata.”

Dalle definizioni riportate, si deduce che il termine “postura” venga utilizzato per indicare l’atteggiamento generale della persona, inteso non solo come posizione statica o dinamica del proprio corpo, ma anche come risposta allo stimolo ambientale che lo circonda.

Alessandro Bettin, Fisioterapista, Osteopata, Posturologo, Docente EIOM

Molto spesso al concetto di postura viene associato quello di funzionalità, poiché se il nostro corpo “funziona bene” è capace di rispondere alle perturbazioni, interne o esterne, trovando velocemente l’omeostasi e quindi una postura corretta.

In sintesi, il termine postura si riferisce alla posizione del corpo nello spazio e alla relazione spaziale tra i segmenti scheletrici, il cui fine è il mantenimento della funzione antigravitaria, sia in condizioni statiche, sia dinamiche.

Il concetto di antigravitarietà è essenziale.

Questa forza, cui tutti gli esseri viventi del pianeta sono soggetti, è fondamentale ai fini della regolazione della postura.

L’equilibrio posturale è infatti la somma degli atteggiamenti posturali che l’organismo mette in atto per contrastare la forza di gravità, in assenza della quale è possibile osservare atteggiamenti individuali molto differenti con modificazioni radicali del tono posturale.

EQUILIBRIO E POSTURA L’equilibrio è inteso come il rapporto ottimale tra la postura adottata dal soggetto e l’ambiente circostante, sia in condizioni statiche sia in condizioni dinamiche, rispetto alla richiesta ambientale e agli obiettivi motori prefissati. Se da un lato risulta indispensabile una postura adeguata al fine di ottenere un buon equilibrio, non è affatto vero il contrario. Non è necessariamente correlata infatti, la possibilità che un’alterazione della postura comporti un disturbo dell’equilibrio. Per questo motivo possiamo identificare la postura come un atteggiamento di tipo “statico”, soggetta ad oscillazioni di piccola entità, mentre l’equilibrio è un atteggiamento “dinamico”, mantenuto attraverso oscillazioni di maggiore entità che richiedono una serie di posture in serie, al fine di mantenere una corretta posizione del baricentro corporeo.

MODELLI DI POSTURA I fattori che caratterizzano la postura sono biomeccanici, neurofisiologici e psicoemotivi.

Il modello biomeccanico è basato

sull’analisi dei rapporti tra atteggiamenti corporei e forza di gravità, attraverso lo studio dell’organizzazione delle catene cinetiche e della catena statica, in rapporto ai complessi meccanismi antigravitari e ai riflessi spinali. La postura, secondo tale modello, è il risultato di un complesso sistema organizzato di catene articolari funzionalmente collegate con le catene muscolari, grazie a strutture capsulolegamentose e fasce aponeurotiche.

Il modello neurofisiologico è basato sullo studio del tono posturale e delle funzioni di equilibrio. Nella concezione neurofisiologica la postura è una modulazione del tono, risultante da una complessa serie di processi psiconeurofisiologici gestiti dal sistema tonico posturale. Questo sistema possiede recettori specifici per la raccolta di informazioni, input, che vengono elaborati da un sistema centrale per la produzione di risposte specifiche: output. In tale modello, l’output del sistema posturale, ovvero il tono muscolare, è condizionato dagli input.

Il modello psico-emotivo è basato sulla stretta correlazione tra postura e vita emotiva del soggetto; la postura ne risulta cioè, l’espressione stessa, non solo attraverso la mimica e la gestualità, ma anche attraverso la disposizione corporea nel suo insieme. Essa rappresenta l’espressione degli aspetti psico-emotivi che condizionano nel loro insieme il sistema tonico posturale, una forma di linguaggio che porta a manifestare la natura delle persone.

RECETTORI POSTURALI E ALTERAZIONI Il non corretto funzionamento dei recettori posturali può determinare un’alterazione della postura e della meccanica corporea.

Questa situazione, se protratta nel tempo, porta alla comparsa di dolori muscolo-scheletrici che, qualora vengano trascurati, possono portare all’insorgere di una vera e propria patologia.

I recettori posturali possono essere suddivisi in esterocettori e propriocettori; entrambi hanno il compito di informare il Sistema Nervoso Centrale e indurre una risposta posturale specifica, modificando

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OSTEOPATIA MAGAZINE

le catene cinematiche muscolari e osteo-articolari.

Gli esocettori hanno la funzione di percepire le informazioni dall’ambiente che ci circonda e sono universalmente riconosciuti come: l’orecchio interno, l’occhio e la superficie cutanea plantare.

Gli endocettori hanno la funzione di percepire ed informare il Sistema Tonico Posturale di quello che succede all’interno dell’individuo, rendendo possibile il riconoscimento della posizione nello spazio e dello stato di ogni osso, muscolo, legamento, organo, in rapporto con l’equilibrio. Permettono quindi, di porre in comunicazione gli esocettori cefalici (orecchio interno e retina) con quello podalico attraverso tutte le componenti del corpo umano.

Possono essere suddivisi in due grandi categorie: • recettori propriocettivi • r ecettori enterocettivi o viscerocettori.

OCCLUSIONE, ARCATE DENTARIE E POSTURA Un numero significativo di ricerche analizza il ruolo dell’apparato stomatognatico nei disordini del rachide e della postura.

La correlazione tra postura e occlusione è giustificata dai rapporti anatomo-funzionali tra il sistema stomatognatico e le strutture deputate al controllo della postura. Nei disordini cranio-mandibolari, l’occlusione, definita come il rapporto sia statico che dinamico tra gli elementi delle due arcate dentarie antagoniste, viene considerata uno dei principali fattori eziologici.

Il sistema tonico posturale permette di confrontare, integrare e rielaborare tutte le informazioni derivanti da questi recettori, al fine di garantire la migliore risposta posturale possibile in termini economici ed ergonomici.

POSTUROLOGIA E “EFFETTO FARFALLA” La disciplina che si occupa della postura si chiama posturologia, che

può essere intesa come lo studio di un sistema dinamico non lineare effettuato in modo transdisciplinare. Il sistema tonico posturale è un sistema di tipo cibernetico, autoregolato e autoadattativo, capace di compensi e adattamenti anche a distanza, seguendo i principi dell’equilibrio, dell’economia e del comfort. In un sistema di tipo non lineare gli effetti non sono mai proporzionali alle cause, perché il sistema stesso contiene interazioni che modificano i rapporti delle proporzioni. In un sistema dinamico di questo tipo si assiste infatti, al fenomeno chiamato “dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali”, che si verifica quando piccole differenze in ingresso possono provocare rapidamente grandi differenze in uscita. Questo fenomeno è noto in meteorologia come “effetto farfalla”, universalmente riconosciuto.

Può un battito di ali d’una farfalla in Brasile determinare un tornado nel Texas?

(Lorenz, 1979)

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Colpo

di frusta!

Cosa fare? Quando andare dall’osteopata?

Il colpo di frusta è un forte dolore al collo con sensazione di rigidità, che di solito avviene dopo un tamponamento.

Si tratta di un evento molto frequente che accade in maniera così repentina che la persona non riesce ad opporsi al movimento, attivando la muscolatura del collo.

Marco Livi, Osteoopata Pesaro

COSA ACCADE DURANTE IL COLPO DI FRUSTA? LA MECCANICA DI UN TRAUMA. Durante un tamponamento, scomponendo il movimento della testa e del tronco, si ha una fase di impatto iniziale: il veicolo accelera in avanti, ma solamente 60 millisecondi (ms) dopo, la forza accelerante viene trasmessa al sedile e al corpo del guidatore, provocando l’estensione del tratto toracico, l’estensione del tratto cervicale inferiore e la flessione del tratto cervicale superiore.

Il tratto cervicale assume dunque una forma ad “S”. Intorno ai 120 ms tutti i segmenti cervicali sono in estensione, fino a 200 ms, quando il tronco inizia a spingere in avanti la base del collo ed il capo, ovvero la testa, raggiunge il massimo dell’estensione. Il rimbalzo, intorno i 300 ms, è caratterizzato da una iperflessione del capo e della cervicale. Il ritorno nella posizione originaria avviene da 400 ms a 600 ms.

All’aumentare della velocità di impatto non cambia la sequenza temporale degli eventi, ma aumenta l’ampiezza cinematica.

COSA SUCCEDE AI MUSCOLI E ALLE VERTEBRE. Durante il movimento del colpo di frusta, i muscoli sono reclutati in netto ritardo: la loro azione si manifesta dopo 100125 ms, ma, per evitare fenomeni di compressione della colonna e movimenti anomali tra i vari segmenti, sono richiesti 60 ms. Proprio intorno ai 60 ms, cioè quando la colonna assume la forma ad S, si possono osservare fenomeni lesivi; le articolazioni del tratto cervicale inferiore sono in iperestensione oltrepassando i normali limiti fisiologici. È proprio sulle vertebre cervicali C5-C6 che il colpo di frusta sviluppa la massima concentrazione delle forze che agiscono sulla colonna cervicale.

Nella fase flessoria del colpo di frusta, con l’ausilio delle cinture di sicurezza,

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COLPO DI FRUSTA

sono aumentate le lesioni in iperflessione della fase di rimbalzo. Le cinture, infatti, stabilizzando il tronco e le spalle, aumentando l’accelerazione anteriore del collo e della testa (Foreman 1995), intensificando l’energia in flessione del collo. In pratica, non è raro trovare disfunzioni importanti, in chi ha subito il colpo di frusta, a livello del rachide dorsale.

GLI EFFETTI DEL COLPO DI FRUSTA. Il colpo di frusta, nel breve periodo, determina forte rigidità del rachide cervicale e dolore cervicale che si manifesta dopo 24-48 ore dall’incidente in auto. I muscoli maggiormente interessati sono i muscoli sub-occipitali, i muscoli pre-vertebrali ed i muscoli paravertebrali posteriori. Il trauma, inoltre, si estende anche ai legamenti anteriori e posteriori del rachide.

LE ALTERAZIONI TEMPOROMANDIBOLARI Lo spasmo dei muscoli cervicali anteriori, causato dall’iperestensione del collo, comporta una disfunzione della muscolatura masticatoria, con conseguente danno articolare locale (Streigervald1992). Durante il colpo di frusta, nel momento dell’iperestensione del capo, la mandibola è portata in avanti rispetto al cranio; ciò potrebbe pregiudicare il complesso condilo-discale, creando danno articolare e sinoviale. Lo spasmo dei muscoli della masticazione, specie dello pterigoideo esterno, potrebbe accentuare o mantenere la disfunzione articolare.

CEFALEA La cefalea di origine cervicale, nella maggior parte dei casi, è dovuta ad un colpo di frusta (si riscontra nel 70-90% dei casi). Le zone occipitali e frontali sono le più colpite.

L’APPROCCIO OSTEOPATICO CONTRO IL COLPO DI FRUSTA Il trattamento osteopatico non si limita alla zona cervicale, ma è globale. Il colpo di frusta interessa infatti, oltre il tratto cervicale, anche quello dorsale, le meningi, i connettivi a livello dello stretto toracico superiore (domo pleurico), il pericardio e il diaframma.

Gli obiettivi del trattamento osteopatico sono: • ridurre le tensioni muscolari (anche le più profonde) • correggere le disfunzioni articolari a livello della cervicale e del rachide dorsale • migliorare la libertà di movimento di tutte le membrane durameriche, dal cranio alla sacro iliaca. È importante sapere che i muscoli profondi suboccipitali hanno inserzioni anche a livello durale, quindi la tensione di questi muscoli può provocare cefalee di tipo cervicogenico.

Attraverso l’Osteopatia è possibile effettuare un riequilibrio tra i diaframmi del corpo, quali lo stretto toracico superiore (compresi i muscoli scaleni ed il domo pleurico), il pericardio e il diaframma, che sono strutture essenziali nella distribuzione delle pressioni all’interno della cavità corporea.

COSA FARE SUBITO DOPO IL COLPO DI FRUSTA Dopo aver subìto il colpo di frusta, è bene recarsi al pronto soccorso dove solitamente vengono prescritti alcuni giorni di riposo totale. Trascorso questo periodo, sono indicate una visita ortopedica e una radiografia (RX) per valutare lo stato del rachide cervicale. Non è insolito che il tratto cervicale tenda a rettilineizzarsi o addirittura ad invertire la fisiologica curva. Dopo circa 20-30 giorni dall’episodio, la fase acuta del dolore diminuisce ed è proprio in questo momento che è bene contattare l’osteopata. Chi ha subito il colpo di frusta da pochi mesi, può sentire benefici in poco tempo e in poche sedute. L’osteopatia è indicata anche a distanza di vari anni dall’evento, per contribuire al benessere cervicale.

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A GENOVA

L’OSTEOPATA PER I BAMBINI È GRATIS Si chiama “Osteontheroad” ed è un progetto pilota nato dall’idea di un gruppo di osteopati sensibili alle problematiche delle fasce sociali più deboli. L’obiettivo è quello di promuovere la terapia osteopatica, a titolo totalmente gratuito per la popolazione genovese, di età compresa tra 0 e 12 anni.

Un progetto ambizioso che punta a diffondere la conoscenza dell’osteopatia in ambito pediatrico e a renderla accessibile anche alle famiglie meno abbienti, secondo una concezione universalistica di accesso alle cure sanitarie.

Come è nata l’idea del progetto?

“Il progetto OsteOntheroad è nato da un’idea di Fabio Pischedda, che ha contattato singolarmente ognuno degli osteopati che formano il gruppo di lavoro e che sono: Paolo Cappanera, Sandro Pederzolli, Patrizia Vitiello, Marco Pinna e io.

Ognuno di noi ha seguito percorsi di studio in ambito osteopatico presso le scuole riconosciute dal Registro Osteopati Italiani. Abbiamo iniziato a vederci a febbraio 2019 per condividere e confrontare le nostre esperienze; dal primo incontro è nato il progetto OsteOntheroad, un servizio di osteopatia pediatrica gratuita rivolto alle famiglie in difficoltà economiche”.

Come funziona Osteontheroad?

E come viene promosso?

“I trattamenti, di fatto, sono iniziati a ottobre 2019 e sono stati preceduti da giornate informative, dove, oltre alla pubblicità con volantini e locandine, abbiamo anche organizzato giornate divulgative in piazza, parlando di persona con i genitori interessati.

Il servizio si svolge 1 sabato ogni 3, dalle 9 alle 13, anche se è nostra intenzione protrarlo fino alle 16. I bambini in trattamento vengono seguiti per tutto il tempo necessario.

Chi sono i partners dell’iniziativa? Chi vi sostiene?

“La cooperativa “Il Ce.Sto”, che si occupa da oltre 30 anni di bambini e famiglie disagiati dal punto di vista economico e non solo, ci ha sostenuto dall’inizio. Da loro, oltre la copertura dei costi di struttura, abbiamo avuto e abbiamo ancora il supporto nella promozione, nella divulgazione, nell’espletamento delle pratiche burocratiche, nell’acquisto di materiale sanitario e nel reperimento della sede. I locali dove si effettuano i trattamenti ci sono stati offerti gratuitamente dallo SPI (Sindacato Pensionati) CGIL e si trovano nella sede del sindacato in Vico Biscotti, nel centro storico di Genova, all’interno dei Giardini Luzzati, un’area che è stata recuperata dal degrado e è diventata un punto di riferimento per integrazione, solidarietà e multiculturalità.

Insomma, uno spazio ideale per un’iniziativa del genere”.

Qual è il vostro bacino di utenza? E quali sono le tipologie di intervento più comuni?

“Il nostro bacino di utenza è composto da famiglie con difficoltà economiche, che abbiamo contattato attraverso varie associazioni e centri d’ascolto, ma anche scuole materne

e elementari. Abbiamo intenzione di organizzare altre giornate informative, in quanto la conoscenza dell’osteopatia, soprattutto in ambito pediatrico, non ci sembra abbastanza diffusa. I bambini che hanno già usufruito del servizio sono circa una quindicina e abbiamo rilevato un alto grado di soddisfazione da parte delle famiglie. Le disfunzioni trattate finora riguardano il rigurgito, le coliche intestinali, le problematiche viscerali in generale, il ritardo motorio e le problematiche posturali”.

Che cosa significa per voi praticare l’osteopatia?

Collaborate anche con strutture ospedaliere del Servizio Sanitario nazionale?

“Ritengo che l’approccio “dolce” dell’osteopatia, in ambito pediatrico, permetta di stabilire con il bambino un contatto immediato e più facile rispetto ad altre modalità. Visto il poco tempo intercorso dall’inizio del progetto, non possiamo ancora stilare statistiche e fare previsioni, ma siamo ottimisti riguardo l’aumento del numero di bambini interessati al servizio.

Per ora, non ci sono contatti con strutture del SSN, ma non escludiamo che i dati da noi raccolti possano risultare interessanti in una eventuale proposta di collaborazione”.

Barbara Milighetti, una delle promotrici di Osteontheroad, è Terapista della Riabilitazione dal 1996 e Osteopata dal 2006.

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Riduzione dei disturbi cervicali e della cefalea muscolotensiva

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