
7 minute read
L’intervista di Magdala
Greg Rupik e Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz
Greg Rupik collabora come redattore a Un unico accordo. Per maggiori informazioni su di lui, visitate il nostro sito web.

Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz è una filosofa e teologa le cui pubblicazioni spaziano nei campi dell’antropologia culturale, del femminismo e del gender, della filosofia della religione (nonché della filosofia del XIX e XX secolo) e in una branca della filosofia nota come fenomenologia. I suoi studi includono una particolare attenzione al teologo Romano Guardini e ad Edith Stein (Santa Teresia Benedetta della Croce). Negli ultimi 12 anni è stata direttrice dell’Istituto per la filosofia e la religione europea presso la Hochschule Benedikt XVI di Heiligenkreuz di Vienna, in Austria. Recentemente è stata insignita del Premio Ratzinger 2021 per la Teologia, consegnatole da Papa Francesco a Roma.
Greg Rupik: Edith Stein (Santa Teresia Benedetta della Croce) ha studiato i molteplici concetti dell’ “essere” nelle sue ricerche, nei suoi scritti e nella sua esperienza personale. Ce ne può parlare?
Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz: è stata una delle donne filosofe di primo piano del secolo scorso. Allieva di Edmund Husserl, fu una delle sue prime studentesse a completare una tesi di dottorato sul tema dell’empatia nel 1916, per la quale ricevette il riconoscimento summa cum laude. Successivamente assunta da Husserl, fu di fatto la prima donna assistente di filosofia in Germania.
Studiò la fenomenologia (filosofia della manifestazione degli esseri), che era il campo di specializzazione di Husserl. Possedeva un’abilità eccezionale nell’interpretare le idee del suo maestro e, come sua allieva principale, completò tre libri che Husserl non sarebbe altrimenti stato in grado di portare a compimento da solo. Il fatto che il filosofo le avesse affidato questo lavoro dimostrava il livello delle sue capacità filosofiche. Questa fiducia cambiò, tuttavia, quando si convertì al cattolicesimo. Fu collega di Martin Heidegger che, come lei, passò dalla scuola della fenologia all’ontologia (natura dell’essere).
GR: Poiché passò dall’essere una “radicale non credente” (di famiglia ebraica) al diventare una suora cattolica e poi martire, in che modo questa sua esperienza vissuta informò il suo lavoro e la sua filosofia?
HBG: Dopo le catastrofi della Prima Guerra Mondiale, centinaia di intellettuali si convertirono alla fede cattolica. Questo avrebbe avuto l’effetto di cambiare il carattere prevalentemente protestante della Germania. Gli intellettuali russi portarono in Germania anche la Chiesa ortodossa e quasi da un giorno all’altro queste due antiche Chiese divennero un’alternativa alla prevalente roccaforte protestante. Molti studenti di Husserl si convertirono—e tra loro c’erano anche degli ebrei. La conversione di Edith Stein non avvenne tutta in una volta: la sua fu una parte del flusso che stava cambiando la cultura.
GR: Quindi la sua conversione al cattolicesimo e la sua esperienza di donna nella filosofia in generale hanno cambiato il suo modo di intendere la filosofia e l’essere?
HBG: Sì, è così. Essere cattolici significava entrare in un mondo universale; la filosofia era vista in modo simile, ma in modo diverso e meno personale. Quando non era credente, non era a conoscenza del mondo universale della fede e della religione. Naturalmente sapeva quanto la filosofia fosse strettamente legata alla teologia, per esempio attraverso le opere di Platone, ma nella sua conversione si trovò a muoversi in un ambito in cui non voleva entrare. Il campo della verità era il principale campo di studio della filosofia. Scoprì che la verità conduceva alla trascendenza. Tommaso d’Aquino e Sant’Agostino, così come i Padri della Chiesa, le aprirono gli occhi sul fatto che la verità non era solo oggettiva, ma portava alla comprensione personale. La verità non era solo il termine per descrivere lo sviluppo delle relazioni con le cose o con la logica, ma una conoscenza personale di Dio. La verità non si trovava solo nei libri o nel pensiero oggettivo, ma in una persona viva. La verità era una sorta di via aperta a qualcosa che non si aspettava di trovare.
GR: L’idea dunque che la verità in relazione alla filosofia e alla realtà ultima e trascendente abbia questo elemento personale, è ciò che le permette di collegare l’ambito filosofico con quello teologico?
HBG: In un suo primo lavoro scrisse dei problemi sociologici del pensiero e in uno strano passaggio introduceva un’esperienza attribuita a nessuno in particolare, ma che possiamo certamente identificare con lei stessa. Questa persona aveva perso la fiducia nella realtà e si stava metaforicamente tuffando in acqua, senza riuscire a respirare e quasi annegando. A quel punto la persona sperimentava una mano o un braccio che la tirava fuori e si ritrovava in una stanza calda con altre persone che si prendevano cura di lei. Si rese allora conto che il pensiero astratto non era sufficiente, che il pensiero non avrebbe aiutato una persona quando stava annegando. Essendo afferrata e tirata fuori da questo braccio, capì il segreto: che al centro delle cose c’è la persona. La nostra non è un’esistenza anonima in un mondo composto unicamente da oggetti. Al centro del nostro essere c’è una Volontà, una persona, un’iniziativa creativa, e il contatto con questa iniziativa ci attira lontano, fuori dal nostro piccolo mondo.
Nel suo libro Essere finito e Essere eterno scritto nel Carmelo di Colonia nel 1936 e 1937, affronta la questione del significato e dello scopo della vita. Viviamo una vita mortale solo www.magdalacolloquy.org per morire o esploriamo le diverse sfumature e i diversi punti di vista che ci portano a dare un senso alla vita? Queste sono le idee principali affrontate dall’autrice in questo libro.
GR: Se, dunque, secondo Edith Stein, l’”essere” sembra avere questa attrattiva e questa capacità di raggiungere l’interrogante, qual è secondo lei la postura o il modo ottimale di rapportarsi all’essere? Come dovremmo relazionarci con l’essere se esso è questo tipo di realtà nella nostra vita?
HBG: L’essere è una nozione astratta e l’ontologia è un concetto astratto. La posizione che l’autrice assume in Essere finito e Essere eterno è che l’ontologia, pur coprendo molti aspetti diversi della natura dell’essere, non include necessariamente questa attrazione. L’autrice affronta questo problema attraverso il concetto di “io”: percepiamo noi stessi come essere in un modo specifico e, essendo riflessivi, possiamo rapportare e dirigere noi stessi nella relazione. Le piante e gli animali non sono in grado di sentirsi parte di tutto ciò che ci circonda. Noi esseri umani siamo il centro di questo mondo creato, ma la vera profondità di questa idea è che il motivo per cui siamo in grado di condividere e comunicare è perché innanzitutto siamo stati condivisi e comunicati, prima ancora di esserne consapevoli. Qualcuno ha avuto un’immagine di me e mi ha dato a me stesso. Se mi riferisco a “io,” deve essere l’io che mi ha contemplato inizialmente. Stein cita Esodo 3,14: “Io sono colui che sono,” cioè Dio è il centro di tutto ciò che diciamo della realtà. Dire “Io sono” è più che ontologia. Significa che “Io sono” è già parte di una vita piena, radiosa e condivisa.
Quando partecipiamo a questo “Io sono colui che sono,” lasciamo il nostro mondo relativamente piccolo e ci apriamo alla condivisione e alla relazione non solo con Dio, che è il datore della vita intera, ma anche in modo diretto e indiretto con tutte le altre cose attraverso Dio che le ha create. È una dualità dell’essere: mentre veniamo a conoscere noi stessi, impariamo come siamo conosciuti dal nostro Creatore.
La seconda posizione che Stein introduce ci porta oltre la filosofia, nel teologico: partecipiamo alle forze che Dio ha donato a questo mondo ontologico. Questa ontologia è più di sé stessa, ad esempio una pietra non può riflettere sé stessa, ma Dio che l’ha creata le conferisce una sorta di qualità di essere desiderata e apprezzata proprio per sua creazione. Una pietra non è solo una forma o una cosa.
GR: È bellissima questa idea che mi è stato dato il dono di me stesso e che posso riflettere su me stesso e trovare questo dono dalla trascendenza che mi circonda, e relazionarmi con tutto il resto come un dono. C’è qualcosa che si basa sul tema di questa rivista che richiama il modo in cui Edith Stein pensa al Divino e all’essere, in particolare incarnando quello che Papa Francesco chiama “il genio femminile”?
HBG: Sì, la sua femminilità è stata essenziale per lei fin dal principio. All’inizio della sua vita ha preso sul serio e lavorato per i diritti delle donne nell’arena politica. Ma quando è diventata cristiana ha scoperto due cose: primo, che un uomo e una donna sono doni, un dono a sé stessi e l’uno all’altra, e che le differenze tra i due sessi sono qualcosa di divino. La sua seconda scoperta riguarda Cristo, che tiene in considerazione in egual misura i sessi; il che ha permesso che le differenze tra i sessi diventassero meno pronunciate. Appartenere a Gesù Cristo significava diminuire l’importanza individuale dell’essere donna o uomo. Al tempo di Gesù le donne e gli uomini avevano i loro diversi doveri e responsabilità, ma coloro che seguivano Gesù lo amavano allo stesso modo, indipendentemente dai loro ruoli individuali. Quanto più profondo è il nostro amore, tanto più viene meno la differenziazione sessuale. La Regola di San Benedetto affermava che un abate doveva essere come una madre per i suoi monaci. E, dopo aver studiato la “madre” dei Carmelitani Scalzi, Santa Teresa d’Avila, Stein riconobbe in lei “uno spirito maschile.” Il discepolato di Gesù rese allora la differenziazione sessuale, un tempo strumento di divisione delle persone, una via di collegamento. Entrambi i sessi erano uniti in egual misura in Gesù, che è l’essere umano completo. Coloro che gli erano vicini adottarono questo modo di essere umani. www.magdalacolloquy.org
GR: Grazie, Prof.ssa Gerl-Falkovitz, per averci fornito alcuni elementi del genio femminile di Edith Stein.
Paul Evdokimov (La Donna e la Salvezza del Mondo).
Mary Jo Leddy è scrittrice, relatrice, teologa e attivista sociale. È stata la fondatrice del giornale Catholic New Times. Dopo essere stata per alcuni anni membro delle Suore di Nostra Signora di Sion, ha iniziato a lavorare e a vivere con i rifugiati e ha fondato una casa di accoglienza che è poi diventata la Comunità Romero House. Ha insegnato in molte scuole teologiche ricevendo diversi dottorati honoris causa. È Senior Fellow presso il Massey College dell’Università di Toronto e membro del consiglio di amministrazione del PEN Canada e del Massey College. E’ vincitrice del Premio per le Relazioni Umane del Consiglio Canadese dei Cristiani e degli Ebrei (l987), del Premio per la Cittadinanza dell’Ontario (l993) e dell’Ordine del Canada (l996). I suoi numerosi libri includono “Say to the Darkness We Beg to Differ” (Lester & Orpen Dennys, 1990); “Reweaving Religious Life: Beyond the Liberal Model” (Twenty Third Publications, 1990); “At the Border Called Hope: Where Refugees are Neighbours” (HarperCollins, 1997) e “The Other Face of God: When the Stranger Calls us Home” (Orbis 2011). Il seguente articolo è un estratto da “Radical Gratitude” di Mary Jo Leddy (Maryknoll, NY: Orbis Books, 2002), utilizzato per gentile concessione di Orbis Books.