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Simile a una rete gettata nel mare
Giulia Vannin O.S.A.
“Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci” (Matteo 13:47).
Questa frase di Gesù è per me un simbolo per parlare oggi della mia vita con Dio e di cammino monastico. Nell’Antico Testamento il termine rete indica perlopiù una realtà negativa, dove si inciampa e si cade: “I superbi mi tendono lacci e stendono funi come una rete, pongono agguati sul mio cammino;” (Salmo 140:6) o un insieme di cose cattive, pericolose “Le brame dell’empio sono una rete di mali;” (Pr 12:12) è anche una metafora usata da Dio stesso per indicare la sua azione forte e decisa verso il popolo ribelle: “Stenderò su di lui la mia rete e rimarrà preso nel mio laccio” (Ez 17:20). Il Vangelo riprende questo stesso termine non più nell’accezione negativa, ma lo usa sia come metafora del Regno, dandogli un significato positivo, sia come realtà concreta e neutra che proviene dall’ambiente in cui Gesù è vissuto, prevalentemente di pescatori.
Che cosa vuol dire per me essere una giovane monaca agostiniana? Questa domanda, alla quale la vita risponde continuamente più che le parole, oggi mi fa pensare alle reti di cui il Vangelo più volte parla.
“Passando lungo il mare di Galilea, Gesù vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Disse loro: ‘Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di esseri umani.’ E subito lasciarono le reti e lo seguirono” (Mc 1:16-18).
L’inizio della mia vita in monastero è molto vicino a quanto il Vangelo racconta a proposito della chiamata dei primi discepoli. Anche il mio è stato un lasciare le reti per seguire un desiderio più forte di altri, l’intuizione di un amore unico per la mia vita. Andando avanti nel cammino, ho fatto e continuamente faccio esperienza del fatto che anziché lasciare le reti una volta o più volte se la vita lo richiede, devo invece gettarle continuamente in mare, per non tenerle per me come proprietà o come garanzia. Gettare piuttosto che lasciare. Gettare è un lasciare costruttivo, un lasciare che porta frutto. Luca sottolinea questo aspetto nel suo racconto della chiamata dei discepoli: “Gesù disse a Simone: ‘Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca.’ Simone rispose: ‘Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti’” (Lc 5:4-5).
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Come tradurre concretamente nella mia vita questo gettare le reti? E’ un’esperienza che cambia di tempo di tempo, ma che attinge ogni volta dalla stessa sorgente. La Regola di Sant’Agostino (1,3) dice: “Non rivendicate niente come vostro possesso personale; al contrario ogni cosa sia tra voi in comune” e “Si anteponga il bene comune a quello individuale, e non viceversa” (ibid 5:2). Ha a che fare con il provare a rinunciare a tutto ciò che è privato ed esclusivo: nelle cose, nelle relazioni, nei pensieri, nel sentire, nell’amare. Questa via di vita per Agostino è il modo proprio—agostiniano diremmo oggi—di vivere la povertà, l’obbedienza e la castità non solo come rinuncia, ma come condivisione.
Rinunciare a tutto ciò che è esclusivo per vivere e farsi occupare da ciò che è comune non è un’esperienza facile, né immediata, ma contiene in sé la promessa di una vita in abbondanza, che si scopre solamente dopo avere gettato le reti.
“Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare” (Lc 5:6-7).
Sento che la mia vita di giovane monaca ha a che fare con il gettare le reti e con lo scegliere ogni giorno di non ritirarle su. Stare cioè in un atteggiamento di reti gettate, di reti in mare, sulla fiducia che queste non si spezzeranno, né si perderanno, né si romperanno, anche quando mi sembra che la vita chieda troppo o mi sembra di avere troppo poco da dare, o ancora di non farcela a sostenere tutta la vita che mi viene incontro. Perché è Lui che appena scelgo di gettarle, le tiene con me e le sostiene: “Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: ‘Portate un po’ del pesce che avete preso ora.’ Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò” (Gv 21:9-11).
La rete è la mia: è la mia libertà che ogni giorno deve scegliere se fidarsi o no, se donarsi o meno; ma è ancor prima la Sua: la promessa di Dio per me e per tutti. Solo dentro questa promessa di vita—unica per ognuno—anche noi possiamo osare lasciare e gettare la nostra piccola rete.
La promessa di Dio per la mia vita oggi la sento contenuta nel versetto del Vangelo di Matteo: “Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci” (Matt 13:47).
Come tenere insieme in un’unica forma di vita specifica tutto ciò che sono, che sento, che desidero? L’inquietudine di queste domande è preceduta da un Amore che può tenere insieme. È questa la prima rete gettata nel mare della mia vita: la Sua. Una rete, un Amore che tiene insieme ogni genere di pesci, ogni parte di me, che promette di raccogliere tutto perché nulla si perda.
