Un Unico Accordo: madre Chiesa

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madre Chiesa

CONTENUTOEDITORIALE

Lucinda M. Vardey

CHE COS’È IL MATERNO?

La tavola rotonda a Roma

MADRE SANTA E SANTA MADRE CHIESA Francesca Baldini

SANTA TERESA DI KOLKATA: una breve biografia L’intervista di Magdala (solo in inglese)

IL SERVIZIO, CUORE DEL MESSAGGIO CRISTIANO Giulia Galeotti

MODELLI FEMMINILI PER L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA Lucinda M. Vardey

INCONTRARE LA MATERNITÀ COME UOMO

John Dalla Costa

IL DOLCE ABBRACCIO DELL’ANIMA Roberta Vannini www.magdalacolloquy.org

Un Unico Accordo
Volume 2, numero 4 Autunno 2022
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Editoriale

Durante la preparazione di questo numero ho contattato la mia collega di Roma, la storica della Chiesa suor Caterina Ciriello, e le ho chiesto come e quando il termine “Chiesa madre” venne usato per la prima volta. La risposta è stata fin dai primi Padri fondatori, in particolare da Sant’Agostino che affermò che “la Chiesa è realmente madre dei cristiani” (De moribus Ecclesiae, 30.62-3:PL32,1336) . La Lumen Gentium del Concilio Vaticano II fa riferimento alla Chiesa come Madre, ma concentrandosi su di essa come Sposa di Cristo, “alla quale Cristo si è associato con un patto indissolubile” e “che Egli incessantemente nutre e cura” (LG, 6) . Il concetto di sposalizio era già presente nella cultura del cristianesimo del XII secolo, come illustra il testo O Vergine Chiesa (O Virgo Ecclesia) di Ildegarda di Bingen, e potrebbe aver influenzato l’appellativo di Maria come Madre della Chiesa stabilito da Papa Paolo VI nel 1964. Tuttavia, la parola Ecclesia in greco significa assemblea o congregazione, come quella di Antiochia e Gerusalemme nei primi tempi.

In questo numero ci concentreremo maggiormente sugli aspetti del materno che sono collegati alla Chiesa, e su come questi possano essere applicati in risposta all’enfasi posta da Papa Francesco sul fatto che l’identità della Chiesa deve avere il volto di una madre.Lapiù

nota tra le madri della Chiesa del nostro tempo è senza dubbio Madre Teresa. A settembre ricorre il 25° anniversario della sua scomparsa e per questo abbiamo inserito in questo numero una sua breve biografia. Inoltre, l’intervista di Magdala (disponibile solo in inglese) esplora il lungo rapporto di Jan Petrie con Madre Teresa e la registrazione su pellicola della sua vita e del suo servizio ai poveri del mondo.

Francesca Baldini e Giulia Galeotti offrono il loro contributo sui temi della fondazione della pace e del servizio. John Dalla Costa condivide le sfide del rapporto con la maternità come uomo, e Roberta Vannini ricorda la propria madre. Vengono inoltre proposti modelli organizzativi alternativi per una Chiesa che sia in accordo con il materno.

Lucinda M. Vardey Caporedattrice
“La Chiesa come madre ha la vocazione di ricercare il buono delle persone in modo materno.”
Catherine Ruth Pakaluk (Promise and Challenge)
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Che cos’è il materno?

Contributo dei membri della Tavola rotonda di Roma sulla dimensione femminile.

Il cristianesimo è una religione che esemplifica il materno. Gran parte degli insegnamenti di Gesù riflettono le azioni e l’atteggiamento di una madre: curare, nutrire, accogliere e perdonare, invitare i figli della famiglia di Dio intorno a una tavola e impartire saggezza ai presenti. “Il santo è sempre materno,” ha detto Marta Rodriguez, “il materno si protende per curare e dare vita. La saggezza materna è la strada del cuore.”

Il materno, quindi, può essere identificato tramite due elementi, quello di dare la vita in tutti i suoi aspetti e quello dell’essere saggio. Il dono della vita non è solo un’esperienza fisica dell’essere donna, anche se le donne ricevono questo dono attraverso il concepimento dei figli, ma possiede anche una componente spirituale. In molti casi, le madri sono sia donatrici di vita per i figli, sia donatrici di vita per l’anima. Le madri spirituali esistono immancabilmente tra i single e i religiosi che, spogliati dei propri desideri, praticano una “spiritualità della rinuncia,” aperta a Dio, per camminare con i vulnerabili e proteggerli, ed essere costanti nella generosità e nell’affidabilità dell’amore e dell’accettazione di una madre.1 “Proprio come Maria,” sostiene suor Caterina Ciriello, “che volge il suo sguardo alla sofferenza degli altri.”

Nei suoi scritti sulle donne, Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce) ha descritto la vocazione soprannaturale di una donna come “l’incarnazione dell’essenza della Chiesa nel suo sviluppo più alto e puro, esserne il simbolo”. 2 Quindi come possiamo riconoscere qual è l’essenza della Chiesa, non tanto come struttura quanto come un invito a farne parte?

“Siamo chiamati a racchiudere Dio in noi stessi,” ha condiviso Maria Rita Cerimele, “per avere la capacità di riflettere Dio in qualche modo a coloro che ci circondano”. Torniamo ancora una volta alla fonte, a come Gesù era e a cosa ha insegnato, essendo il primo, come ha scritto suor Margaret Gonsalves, Gesù si sentiva a casa nella pace.3 Per riassumere questo aspetto fondamentale del Figlio dell’uomo, che non aveva un posto dove posare il capo, è che egli, contenendo Dio, si sentiva a casa ovunque. Si sentiva particolarmente a casa non solo con i suoi genitori terreni, ma anche con il suo Padre celeste. Si sentiva a casa con le donne, i bambini e gli emarginati, si sentiva a casa in comunione con i suoi discepoli; si sentiva a casa con la natura, usando tante parti del mondo naturale per esporre i suoi punti di vista e le sue parabole; si sentiva a casa con la sofferenza e la non violenza; si sentiva a casa nella pace4, quella che ha dato dopo la risurrezione, “non come la dà il mondo, io ve la do” (Gv 14,27).

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Marta Rodriguez ha suggerito che abbiamo bisogno della “mente di una madre per superare le difficoltà,” una mente che non è separata dal cuore. Gli ostacoli che la Chiesa si trova ad affrontare nell’essere madre sono numerosi, soprattutto perché la sua leadership è per lo più composta da uomini. Marta Rodriquez ritiene che uno dei cambiamenti indispensabili per aiutare la conversione della Chiesa ad avere una mente di madre sia quello di cambiare i ruoli, assegnando l’autorità alle donne e il ministero della cura agli uomini. È chiaro che non è tutto bianco o tutto nero, ma è una questione di modi di pensare l’essere Chiesa che vengono rimessi a fuoco e riformati.

Possiamo considerare l’essenza del materno come composta da tre caratteristiche: abbracciare, incontrare e coinvolgere? Se iniziamo con l’abbracciare coloro che entrano dalla porta, come farebbe una buona madre, allora conterremmo ciò che Gesù ha esemplificato e ciò che Papa Francesco chiama “accompagnamento.” Tramite l’incontro, siamo in relazione; ascoltiamo, parliamo, preghiamo, agiamo, aiutiamo a guarire chiunque troviamo sul nostro cammino, proprio come faceva Gesù camminando per le città e le campagne. E coinvolgendo, nutriamo, perdoniamo e accogliamo tutti nella comunità.

Bibliografia

1 Arcivescovo di Assisi, Domenico Sorrentino, Lettera Pastorale, 25 Dicembre 2016.

2 The Collected Works of Edith Stein, Vol. 2, ed. L. Gelber & Romaeus Leaven (Washington, ICS Publications 1987) p. 9.

3 Margaret Gonsalves CCV “Practicing Shalom: Homecoming of the Feminine” pubblicato in “Practicing Peace: Feminist Theology of Liberation, Asian Perspectives ed. Gallares/Lobo-Gajiwala (Quezon City Philippines, Claretian Publications 2011) pp. 214-218.

4 ibid.

5 Metti Amirtham SC “Retrieving Motherhood as an Agent of Peace” in “Practicing Peace” come sopra p. 223.

www.magdalacolloquy.orgLA4 MATERNITÀ È UN PREDISPOSIZIONE MENTALE5
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Madre santa e Santa madre Chiesa

Gli incontri nella Bibbia, che vedono come protagoniste le donne, sono tanti. Volti e non solo nomi, di donne di diverse provenienze ed estrazioni sociali. Figure spesso carismatiche ne troviamo nell’Antico Testamento, ma anche nel Nuovo Testamento, dove erano tante le discepole di Gesù, prima tra tutte Maria Maddalena. Ma il Cristo, soprattutto nei suoi anni di predicazione, incontra tante donne e tra gli incontri più potenti c’è quello con la Samaritana. Al capitolo quattro del Vangelo di Giovanni quella richiesta di sete, ci affascina ancora oggi: “Signore—gli disse la donna—dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua” (Gv. 4, 15).

Richieste che cambiano la vita, volti che seguono con lo sguardo, orecchie che ascoltano attentamente e bocche protese all’annuncio. Le donne sono coloro che sono rimaste fino all’ultimo ai piedi della croce, che hanno raccolto il corpo di Cristo sanguinante e hanno aiutato a deporlo nel sepolcro, ma soprattutto sono coloro che per prime hanno annunciato l’inaspettato. Il sepolcro spalancato, quelle vesti piene di luce, ma quella prima vista non fu creduta.“Risuscitato

al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demoni. Questa andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere” (Marco 16, 9-11).

La Chiesa fin dai suoi albori è stata impregnata di presenza femminile. Questo desiderio di annunciare la bellezza della Resurrezione ha attraversato nei secoli, come un filo rosso, tutta la storia della Chiesa. Una storia costellata da tante figure femminili, forti e coraggiose, le Francesca Baldini è nata a Cesena, classe 1980. Dopo aver conseguito la laurea in Lettere, con indirizzo in critica teatrale presso l’Università di Bologna, inizia la sua attività giornalistica a Rimini presso l’emittente privata Rete8Vga. Ha vissuto per un breve periodo in Australia, dove ha realizzato una work experience presso il network australiano S.B.S. (Special Broadcasting Service) e ha seguito la GMG del 2008 per l’agenzia di stampa della Conferenza Episcopale Italiana Agensir e Radio Vaticana. Rientrata in Italia, ha lavorato come ufficio stampa per campagne di comunicazione nell’ambito del no profit, ha seguito l’organizzazione di eventi nazionali promossi dalla CEI e produzioni televisive per TV2000. Continua a lavorare come giornalista freelance, web editor, e ufficio stampa soprattutto nell’ambito del sociale. Tra le sue più grandi passioni c’è la radio, che l’ha portata ad essere tra le socie fondatrici della web radio romana Radiopiu (www.radiopiu.eu). Ha gestito per quattro anni l’organizzazione della sede romana del Centro Culturale San Paolo onlus e dal 2019 è coordinatrice nazionale del gruppo “Donne di Fede in Dialogo” di Religions for Peace Italia, promuovendo progetti di formazione e conoscenza delle religioni in un’ottica al femminile. Appassionata di Dottrina Sociale della Chiesa, da sempre è sensibile ai temi del dialogo tra le religioni, la pace e il ruolo della donna nella Chiesa Cattolica. È giornalista pubblicista dal 2007 e dal 2010 risiede a Roma.

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cui voci spesso sono state represse dai vertici ecclesiastici, ma che sono state anche una fonte di stimolo e rinnovamento.

Ancora oggi c’è un cuore di donna che batte in seno alla Chiesa Cattolica. Un cuore desideroso, in ascolto e aperto all’accoglienza, ma anche al rinnovamento e all’annuncio, qualità che ricorrono spesso nel genere femminile.Dunque accogliere e ascoltare, proprio come farebbe una madre con i propri figli, sono tra le missioni della Chiesa stessa. Ma l’ascolto presuppone il silenzio, il fermarsi ed entrare in un tempo diverso da quello del quotidiano, scandito purtroppo dal ritmo della frenesia. Solo con un passo lento possiamo confrontarci e comprendere, ricucire le sbavature di un mondo globalizzato e distratto, solo tracciando solchi e gettando ponti. Proprio l’immagine del ponte è quella che mi appartiene di più, costruire connessioni tra generazioni, generi e religioni, semplicemente tra uomini e donne del nostro tempo, assetati di spiritualità. In questo il mio desiderio prende forma seguendo un esempio tra tutti, quello di Maria, il ‘primo’ ponte tra l’umano e il divino, che proprio sotto la Croce del Cristo, ricevette da lui il mandato di una “maternità universale.”

A tal proposito ci ricorda Papa Francesco al n.278 dell’Enciclica Fratelli Tutti come: “Con la potenza del Risorto, vuole partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato delle nostre società, dove risplendano la giustizia e la pace.” Sempre in questo documento, il pontefice, auspica come la Chiesa, che è ‘La’ chiesa e quindi donna, debba ripercorrere l’esempio di Maria. Come Maria, che si lasciò travolgere dall’inatteso e che sostenne fino all’ultimo quel figlio così particolare, la Chiesa deve essere: “una casa con le porte aperte,

perché è madre”[269]. E come Maria, la Madre di Gesù, “vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità […] per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione”[270].

Questo monito di Papa Francesco conforta il mio cammino di donna, di madre, di credente, che cerca di mettersi in ascolto e in opera, nella e per la Chiesa Cattolica, ma che da tempo si mette in ascolto anche nei confronti delle proprie radici. Da questa ricerca è nato il mio desiderio di incontro con credenti di fedi diverse, specialmente quella ebraica. In maniera naturale ho seguito quello che sentivo nel cuore e ho avuto la fortuna di incontrare persone con cui ho approfondito quel percorso. Persone, donne nello specifico, che sono diventate amiche, perché i ponti si costruiscono quando c’è il desiderio comune di stare insieme per migliorare il mondo.

ACCOMPAGNAMENTO

Oggi vorrei solo lavorare con questo obiettivo attraverso quel femminile che collega tutte le religioni, per stimolare la pace e il dialogo reciproco con persone di credi diversi. Cerco di farlo nel mio piccolo, ma anche guardando le generazioni future. Un cammino per e con le donne di tradizioni religiose diverse, ma non solo. Le donne, ricordiamolo, sono sempre state importanti

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per la diffusione del messaggio evangelico. Le donne sono state le prime che hanno raccolto la sfida dell’annuncio, ma che, anche quando era in vita Cristo, lo sostenevano materialmente e lo seguivano in maniera costante, senza nessun dubbio.

Dunque donne che sanno ascoltare, accogliere, a volte protestare, ma che hanno la capacità di mettersi in discussione cercando tutte le vie possibili per ‘generare’ un futuro migliore, accompagnando e ricucendo le fragilità del mondo di oggi.

Non dimentichiamo che, come sottolinea il Santo Padre nell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia, “dalla nostra consapevolezza del peso delle circostanze attenuanti—psicologiche, storiche e anche biologiche—ne segue che “senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno,” lasciando spazio alla “misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile”[308].

Uno spazio che cerco di colmare ricamando le fragilità dell’umano, con quell’attenzione che ripongo verso ogni essere vivente, in maniera paziente. La santità, in fondo, non è altro che sapersi mettere in cammino rispondendo a un volere più grande, misurando le proprie forze con le sfide quotidiane. Seguire l’esempio di donne, come Maria, non è altro che diventare cooperanti di Dio in un disegno di bene che sa accogliere gioie e dolori di un intero mondo. Il mio augurio dunque è proprio questo: sapersi mettere in ascolto di sé stesse e delle nostre comunità per essere donne feconde in questa Chiesa Cattolica di oggi, così umana, così fragile, ma anche così resiliente e santa.

Santa Teresa di Kolkata (1910-1997)

UNA BREVE BIOGRAFIA

Agnes Gonxha Bojaxhiu nacque nel 1910 a Skppje, in Albania. Era la più giovane di tre figli, sua madre era molto devota e suo padre, uomo d’affari, morì giovane lasciando la famiglia nella povertà. Agnes voleva diventare una missionaria in India, così, all’età di diciotto anni, entrò nell’ordine di Loreto e studiò l’inglese in Irlanda. Trascorse il noviziato a Darjeeling, imparò l’hindi e il bengalese e insegnò geografia nella scuola di Loreto a Calcutta, diventandone preside nel 1944. L’India, a quel tempo, era in pieno fermento politico dopo aver ottenuto l’indipendenza dal dominio britannico e stava anche subendo gli effetti dell’assassinio di Gandhi. Inviata a Darjeeling nel settembre del 1946 per guarire dalla tubercolosi, Madre Teresa, durante il viaggio in treno, sentì Gesù che le chiedeva di servirlo fra i “più poveri tra i poveri.” Le ci vollero alcuni anni per ottenere il permesso di lasciare Loreto e, indossando un sari blu e bianco, iniziò a servire coloro che erano soli, malati e moribondi nelle strade. Molti dei suoi studenti la seguirono e le Missionarie della Carità nacque come congregazione riconosciuta nel 1950.

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La loro prima casa (per i moribondi) fu fondata nel 1952 e la Casa Madre della comunità nel 1953. Nel 1960 erano già state aperte venticinque case in tutta l’India. Nel 1965 le Missionarie della Carità divenne una Società di Diritto Pontificio, espandendosi al di fuori dell’India, dapprima in Venezuela, e poi a Roma, in Tanzania, a New York e gradualmente in tutti i continenti, ovunque venissero chiamate a servire i bisognosi. Madre Teresa fondò anche altri gruppi nei due decenni successivi: i collaboratori di Madre Teresa e i collaboratori dei malati e dei sofferenti, le Missionarie laiche della Carità e un ramo contemplativo delle Missionarie della Carità, la cui preghiera veniva offerta per le sorelle attive. I Fratelli Missionari della Carità venne fondata nel 1966 e i Padri Missionari della Carità nel 1984.

Madre Teresa ha ricevuto molti premi per la pace, tra cui il Premio per la Pace di Papa Giovanni XXIII e il Premio Nobel per la Pace. Negli anni ‘80 vennero aperte case per tossicodipendenti, alcolizzati, prostitute e donne maltrattate, oltre a orfanotrofi e scuole per bambini poveri. Le Missionarie della Carità istituirono il primo ospizio per malati di AIDS a New York e successivamente ne vennero aperti altri a Roma e a San Francisco. Pochi anni prima della sua morte Madre Teresa tornò, per la prima volta, nella sua nativa Albania e aprì una casa di accoglienza a Tirana. Morì nella Casa Madre di Calcutta il 5 settembre 1997 all’età di 87 anni, lasciando un’eredità di oltre 600 missioni e scuole aperte in 120 paesi. Beatificata nel 2003, è stata canonizzata da Papa Francesco il 4 settembre 2016.

Madre Teresa

La regista Jeanette (Jan) Petrie, vincitrice di un premio Emmy, insieme alla sorella Ann Petrie, ha prodotto e diretto due importanti documentari su Madre Teresa. Il primo, intitolato “Madre Teresa,” è stato girato in 4 continenti, 10 paesi e 24 località in tutto il mondo nell’arco di 5 anni. Dopo aver vinto il premio del Comitato sovietico per la pace e aver assistito Madre Teresa nell’apertura di una casa di accoglienza a Mosca, per volere di Madre Teresa in persona, Jan ha continuato a lavorare al suo fianco nei 10 anni successivi aprendo case di accoglienza in molti degli ex paesi comunisti. Dopo la morte di Madre Teresa, Jan e sua sorella Ann si sono unite nuovamente per produrre e dirigere il film “Madre Teresa: l’eredità.”Attualmente Jan sta supervisionando il restauro e la riedizione del film “Madre Teresa.” Il sito web della Petrie Productions verrà aggiornato a settembre 2022 con ulteriori informazioni e con la possibilità di acquistare i suddetti film: www.petrieproductions.com.

Emily VanBerkum è redattrice associata di Un Unico Accordo. Per informazionimaggiorisu di lei visitare il sito
EMILY VANBERKUM INTERVISTA JEANETTE PETRIE (disponibile solo in inglese)
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Storica e giornalista, dal 2014 Giulia Galeotti è responsabile delle pagine culturali dell’Osservatore Romano. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo “Siamo una rivoluzione! Vita di Dorothy Day” (Jaca Book 2022); “A Church of Women” in “Visions and Vocations” (Paulist Press 2018); “Il velo. Significati di un copricapo femminile” (Edb 2016, tradotto in spagnolo); “Papa Francesco e le donne”, scritto con Lucetta Scaraffia (Il Sole 24 Ore 2014); “Da un corpo all’altro. Storia dei trapianti da vivente” (Vita e Pensiero 2012); “In cerca del padre” (Laterza 2009); “Storia del voto alle donne in Italia. Alle radici del difficile rapporto tra donne e politica” (Biblink 2006); “Storia dell’aborto” (Il Mulino 2003, tradotto in spagnolo e portoghese). Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Amelia Rosselli, il Premio Minturnae, il Premio Capalbio e il Premio Eduardo Nicolardi.

Il servizio, cuore del messaggio cristiano

“Quando si vuole che una consacrata faccia un lavoro di servitù, si svaluta la vita e la dignità di quella donna. La sua vocazione è il servizio: servizio alla Chiesa, ovunque sia. Ma non servitù!” Queste parole—pronunciate da Papa Francesco il 12 maggio 2016 durante l’udienza all’Unione Internazionale Superiore Generali—sradicano l’atteggiamento millenario della Chiesa cattolica nei confronti del lavoro e dell’impegno femminile al suo interno. Nel corso della sua storia infatti la Chiesa ha inteso il lavoro delle donne in genere, e delle suore in particolare, come lavoro gratuito, ripetitivo, scontato, privo di autonomia, in chiave esclusivamente umana, quindi in termini di schiavitù. Eppure il “servizio” resta il cuore del messaggio cristiano: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Marco 10,45).

Nella Bibbia il nome di “servo di Dio” è un titolo di onore. Jahve lo riserva a colui che chiama a collaborare al suo disegno. Servi di Dio sono definiti gli uomini la cui missione riguarda il popolo eletto (Mosè, mediatore dell’alleanza, David, re messianico, i patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe, poi Giosuè che fa entrare il popolo nella terra promessa). “Servo di Dio” è inoltre la formula per i profeti che hanno la missione di conservare l’alleanza, e per i sacerdoti che celebrano il culto divino in nome del popolo eletto.

Vero servo, mite e umile di cuore, è Gesù che si propone come modello per i suoi seguaci. Come egli ha per madre colei che si definiva la serva del Signore (Luca 1,38), così, scegliendo gli apostoli, costituisce una comunità di servizio verso Dio e verso il prossimo. Ed è questo servizio che crea la Chiesa. “Ecco dunque la vera ‘costituzione’ data alla chiesa: una comunità di fratelli e sorelle—ha scritto Enzo Bianchi—che si servono gli uni gli altri, e tra i quali chi ha autorità è servo di tutti i servi.”

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È la gestualità dell’Ultima Cena a stabilire l’essenza della Chiesa come comunità. Gesù si alza, depone la veste, si cinge con un asciugamano, versa dell’acqua in un catino e inizia a lavare i piedi ai dodici. Attraverso questo gesto simbolico, Gesù insegna ai discepoli una verità che comprenderanno solo alla luce degli avvenimenti successivi. Questo mettersi al servizio fino all’estremo è ispirato dall’amore: è l’amore che ne riscatta l’umiliazione. Lavando i piedi (un compito che nemmeno uno schiavo ebreo assolveva perché non era considerato dignitoso) Gesù rivela, con evidenza assoluta, che egli prende il posto del servo. Perché questo è il posto del cristiano in una logica eversiva che condurrà sì alla croce, ma contemporaneamente condurrà anche alla gloria.

In uno dei suoi primi scritti don Tonino Bello (1935-1993) definisce la Chiesa che annuncia il Vangelo come “la Chiesa del grembiule.” Il Vangelo del giovedì santo “non parla né di casule (…), né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale.”

Lavare i piedi, prendersi cura del prossimo, accogliere i fragili, non vivere gli uni con gli altri ma piuttosto gli uni per gli altri: chi lo fa oggi nella Chiesa? Soprattutto le religiose, incarnando ciò che la Chiesa dovrebbe essere. Riscoprendo la presenza femminile, la Chiesa potrà riscoprire il valore e il senso autentico del servizio. Papa Francesco denuncia continuamente come una Chiesa che ha assorbito la logica del mondo (il potere, la misoginia, l’utilitarismo, la vanità…) è una Chiesa che vuole essere servita, e non una Chiesa che intende servire.

Esistono dei fatti incontrovertibili: il messaggio rivoluzionario di Gesù (grande femminista) in relazione alle donne è stato ampiamente ignorato; anche per questo, molti nella Chiesa considerano la silenziosa e operosa presenza femminile alla stregua di merce, con la persona che sparisce dietro la funzione. In questa sede, però, non ci interessa denunciare tali atteggiamenti, quanto piuttosto sottolineare la necessità di quel servizio che Gesù ci ha insegnato.

Riportiamo dunque il servizio al centro della Chiesa, ricordando che è il servizio degli uni verso gli altri a creare e a sostenere la comunità, e che va fatto indossando il grembiule, l’unico paramento del Vangelo. Riscattiamo quindi il termine “servizio” ricordando, Vangelo alla mano, che anche il servizio più umile dedicato a Dio e al prossimo non significa umiliazione perché scaturisce dall’amore. E che la logica del cristianesimo è, e resta, sovversiva.

LA CHIESA DEL GREMBIULE
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“E’ madre anche la Chiesa. Se è continuatrice di Cristo e Cristo è buono: anche la Chiesa deve essere buona; buona verso tutti; ma se per caso, qualche volta ci fossero nella Chiesa dei cattivi? Noi ce l’abbiamo, la mamma. Se la mamma è malata, se mia madre per caso diventasse zoppa, io le voglio più bene ancora. Lo stesso, nella Chiesa: se ci sono, e ci sono, dei difetti e delle mancanze, non deve mai venire meno il nostro affetto verso la Chiesa.”

Beato Papa Giovanni Paolo I (UDIENZA GENERALE 13 SETTEMBRE 1978)

Modelli femminili per l’organizzazione della Chiesa

Lucinda M. Vardey è la caporedattrice di Un Unico Accordo.

Per maggiori informazioni su di lei, visitare il sito

La Chiesa istituzionale, così come la maggior parte delle parrocchie, degli ordini religiosi e delle comunità laiche, è gestita secondo un modello imperialistico che, nel corso dei secoli, ha utilizzato concetti militari. C’è un superiore che comanda, dei generali che eseguono gli ordini e gli altri (comunemente citati negli inni tradizionali) che sono i “soldati di Cristo.” Anche se questo tipo di modello organizzativo è ancora usato nella maggior parte delle parrocchie, oggi è più popolare l’adozione di una struttura di tipo aziendale con il sacerdote come capo, i consigli parrocchiali come consigli di amministrazione e il personale che lavora in “team.”

Partecipando all’organizzazione di una conferenza internazionale nel 2001 intitolata Anima: l’anima del femminile (con 60 relatori e oltre 200 partecipanti), il comitato decise di adottare un albero come modello metaforico di come realizzare le cose. Questo, naturalmente, includeva anche la raccolta fondi. La solita linea verticale che descrive l’obiettivo da raggiungere utilizzata da ospedali e altre istituzioni—compresa la parola “target” che richiama molto lo sport e il mondo militare—ci sembrava inadatta al

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tema della conferenza e al modo in cui volevamo organizzarla. Abbiamo invece utilizzato una piattaforma non statica, più simile a un sistema vivente in movimento con un dialogo continuo tra pari, con compiti e responsabilità condivisi, espressi e registrati intorno agli anelli del tronco degli alberi. Questo fu particolarmente efficace nel monitoraggio dei fondi, che erano ingenti. Un modo di pensare circolare venne utilizzato nei due anni di preparazione fino alla realizzazione finale. Introdusse una ricettività spirituale, di preghiera, alla grazia in azione ed ebbe molto successo, così come il modo in cui abbiamo imparato a relazionarci affidandoci ai doni, ai punti di forza e alla saggezza intuitiva di ciascuno dei 15 organizzatori.

Un fiore è un altro eccellente esempio di forma organizzativa. È stata adottata da una comunità laica di donne cattoliche, formatasi più di dieci anni fa. Il terreno su cui poggia il fiore è composto dalle qualità condivise del comportamento di base di ciascun individuo e dell’insieme collettivo stesso. Il gambo del fiore costituisce lo scopo, o l’intento, della comunità.

Prendendo come modello la margherita, il cui giallo simboleggia Gesù al centro, i guardiani della comunità (di solito 3 o 4) sono definiti come sepali che compongono il calice che tiene insieme il fiore dal basso, come mani che sostengono una coppa.

Il calice guida e sostiene la salute, la forza e la fioritura dei membri rappresentati dai petali. I petali sono anche usati per definire le diverse attività e specialità della comunità, e ogni petalo viene supervisionato da una persona indicata come “tutore.”

Il modello organizzativo del fiore è stato recentemente utilizzato in Vaticano dopo la fusione di due dicasteri. Il Cardinale si è reso conto che non esisteva un altro modello in grado di combinare e abbracciare con uguaglianza il personale dell’uno e dell’altro dicastero.

Per l’avvio di progetti e ministeri nuovi e innovativi, le parole di Margaret Brennan IHM contengono una preziosa direttiva: “Ci vogliono nove mesi per formare una nuova vita.” Pertanto, si può dire che un processo femminile sperimentato nel lavoro, nella creatività, nella preghiera e nel cambiamento si realizzi nel seguente modo:-

Concepimento, gestazione, travaglio, parto, cura e accudimento.

Qualunque cosa si stia facendo, intraprendere un cambiamento, o accogliere nuovi stimoli, richiede un senso collettivo del ritmo della maternalità del tempo di Dio. L’inizio, l’attesa, la protezione, la trasformazione, la crescita, la sofferenza, le gioie e la

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cura in quest’impresa, non richiedono solo idee, piani, obiettivi, scopi o strategie, ma una fiducia nelle vie dello Spirito Santo. Richiedono anche una ricettività verso come il processo si sta svolgendo e quando sia meglio agire.

Questi modelli alternativi funzionano bene tanto quanto quelli tradizionali, anzi oserei dire meglio, perché permettono a tutti di sentirsi parte di un insieme, collegati come un solo corpo tangibile in Cristo. L’utilizzo di modelli tratti dalla vita naturale permette a ciascuno di partecipare in egual misura, di essere essenziale nell’espressione della creatività e di lasciare, nella libertà dello Spirito, più spazio alla grazia. In questo modo nasce sempre qualcosa di bello, i cui frutti sono i più duraturi.

Incontrare la maternità come uomo

John Dalla Costa è un eticista, teologo e autore di cinque libri. Per maggiori informazioni su di lui potete visitare il nostro sito.

Madre Chiesa è una denominazione onnicomprensiva che i cattolici accettano come parte dell’eredità della tradizione, che, nonostante sia il gergo dell’identità, rimane oscura e vaga. L’associazione ovvia è che la Chiesa porta con sé e incarna Cristo nella storia come Maria, madre naturale di Gesù, ha portato la gravidanza e ha faticato nel darlo alla luce. Attraverso i suoi sacramenti, in particolare l’Eucaristia, la Chiesa imita effettivamente Maria come Theotokos. Ma è solo questa sacramentalità già preziosa che intendiamo (o possiamo intendere) quando chiamiamo la Chiesa “madre”? O ci sono altre dimensioni da identificare, sviluppare e apprezzare?Comeuomo,

il concetto stesso di maternità è contemporaneamente confortante e distante. La mia esperienza come figlio mi porta ad apprezzare l’abbraccio di una madre e tutto l’amore che la nascita e la crescita di un figlio comportano. Nessuna madre è perfetta. Ma ogni essere umano, per il solo

fatto di essere nato, apprezza il dono—e, anche se spesso non lo si realizza pienamente, i doni—dati dalla maternità. Il fattore che ci allontana dalla maternità è biologico, ma non solo. L’essere uomo mi preclude il processo corporeo del concepimento, della gestazione e del travaglio. Nel suo senso più fondamentale, il mio corpo, con le sue ossa, le sue cellule, i suoi nervi e i suoi muscoli, non ha la capacità della maternità. Il mio essere dotato di un cromosoma Y e di un cromosoma X mi pone su una traiettoria fisica che non è materna. Sì, posso immaginare le qualità e le preoccupazioni che le madri hanno. Posso imitare (o cercare di imitare) la generatività di una madre. Tuttavia, il limite rimane. La mia immaginazione può arrivare solo fino a un certo punto, perché sono limitato all’analogia piuttosto che alla realtà.

Ma tutto questo è importante? Dio ci ha creati nella nostra meravigliosa diversità, quindi ognuno di noi porta con sé un’integrità per diventare completo e santo a modo suo. Tuttavia, appartenere a una comunità di fede che si auto-identifica come madre mi sfida a immaginare di incarnare Cristo in dimensioni che non riesco a comprendere facilmente. I mistici spesso usano il linguaggio dell’intimità con Cristo

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che richiama una sensibilità nuziale, una fioritura simbiotica di gravidanza, o situano la sofferenza e il sacrificio all’interno dell’arco di tessuto e sangue come l’estatica-agonia della nascita. Intellettualmente comprendo queste intimità e spiritualmente desidero tale unione, pur essendo lontano dal fervore incarnato che leggo nei santi e nei direttori spirituali.Èpossibile

che la mia incapacità di cogliere la piena maternità della Madre Chiesa derivi dai miei preconcetti. All’università sono stato ispirato da suore domenicane fortemente indipendenti, e sono diventato— per un uomo—un appassionato femminista. Non solo questa è diventata la mia lente ermeneutica per valutare la società, la cultura e la Chiesa; ho portato questo metodo di interpretazione anche nelle mie relazioni, nel lavoro e, più tardi, nei miei studi di teologia. Il mio femminismo è stato smussato, a volte dal tempo e dall’esperienza, ma anche da quell’attrito di resistenza che riconosce i pericoli di quando un qualsiasi “-ismo” viene ridotto a pura ideologia.

Quando nel 2013 Papa Francesco ha invitato la Chiesa a scoprire in profondità la sua dimensione femminile, il mio cuore ha fatto un salto. Qualcosa in cui credevo, e che desideravo disperatamente, era finalmente stato riconosciuto. Qualcosa di cui sentivo di aver bisogno per la mia integrità era stato finalmente visto.

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Quindi resta la domanda (almeno per me): cosa significa la maternità della Chiesa per un uomo? Non è forse questa anche la domanda di Papa Francesco? Nel ricercare la dimensione femminile, non è implicito che forse la maternità della Chiesa sia in qualche modo incompleta, in qualche modo androginizzata?

Un orientamento femminista lavora per cambiare gli atteggiamenti che sminuiscono o stereotipano le donne e sfida le culture a considerare l’uguaglianza delle donne come un dato di fatto. La dimensione femminile opera una liberazione diversa, scatenando le capacità sia degli uomini che delle donne di vivere in quella pienezza che la Chiesa, a partire da San Paolo VI, ha definito “integrale”. Fondere non solo la fede con la ragione, essere integrali significa unire l’affettivo con l’intellettuale; il ricevere con il dare; la croce con la resurrezione. In questo senso, la maternità genera l’integralità: una vita che ne porta un’altra nell’intimità generativa

dell’amore.Iteologi

fanno spesso riferimento a Maria come paradigma della Chiesa. Nelle nostre litanie, la chiamiamo “tabernacolo” perché incarna ciò che racchiude il più Santo dei Santi. Il teologo svizzero Han Urs von Balthasar approfondisce questa analogia. Secondo lui, Maria è il prototipo della preghiera contemplativa, perché solo il silenzio può rendere ragione del mistero di una donna che porta in grembo e partorisce il suo (e nostro) Creatore. La sua maternità è l’impossibilità indispensabile all’incarnazione di Dio. Ottenere la maternità, come uomo, non

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è né possibile né una capacità. La maternità che ci include tutti nasce dall’abbandono delle categorie di distinzione e di capacità, per riposare nel silenzio in cui si possono discernere vocazione e contributo.

Spesso mi sono sentito frustrato, persino un po’ arrabbiato, per il fatto che gli autori delle Scritture hanno quasi sempre omesso le donne. Che cosa provava, faceva, pensava la madre durante le avventure e il ritorno del Figliol Prodigo? Queste sono considerazioni che meritano di essere approfondite nella preghiera e nello studio, ma forse il punto è proprio l’assenza e il silenzio della dimensione femminile. La maternità non si spiega da sola. Le madri creano lo spazio necessario affinché l’amore cresca e la vita fiorisca. In Nuovi semi di contemplazione, Thomas Merton descrive l’amore come l’umiltà che può esorcizzare la paura. Le sue parole possono ben racchiudere la nostra missione condivisa come madre Chiesa. Portare Gesù con sé e incarnare la sua presenza, con la creatività e la generosità dell’amore e con la quiete e la gratitudine dell’umiltà, per aiutare a dissolvere le paure e rivelare nuovi inizi.

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Il dolce abbraccio dell’anima

Essere abbracciata da mia madre è stata, da quando ne ho ricordo, un’esperienza non solo fisica. Vittoria era il suo nome di battesimo, ma tutti la chiamavano Lola. Donna elegante e di buon gusto in fatto di mobili, fiori, piante e cibo, amava servire gli altri con gentilezza e generosità e sempre senza aspettative.

Per tutte le famiglie, la casa è la prima chiesa. Mia madre si assicurava che le porte della nostra “casa” fossero sempre aperte, e che fosse un luogo dove si era sempre benvenuti nel rispetto e nell’impegno reciproci con devozione per celebrare le benedizioni di ogni giorno. La “casa” era un luogo in cui si veniva sempre perdonati per i propri errori e peccati, dopo aver parlato dell’importanza di essere responsabili dei propri pensieri e delle proprie azioni. Le regole più semplici e importanti di Vittoria si basavano sul rispetto reciproco sotto tutti i punti di vista. In famiglia ci si aspettava un abbigliamento adeguato in ogni occasione. Partecipare a qualsiasi forma di blasfemia o di litigio grave, così come ferire altri membri della famiglia, erano considerati offese gravi, e la pigrizia e l’inattività erano inaccettabili.

Anche se mia madre non è più fisicamente tra noi da 18 mesi, ciò che mi ha insegnato rimane molto vivo nella mia vita. Io e lei parliamo ancora e la sento più vicina che mai. Questo mi fa capire che quando si tiene davvero qualcuno nel cuore, non importa dove ci si trovi o cosa si stia facendo, si può sempre essere in contatto, insieme verso il cammino che Dio ha disegnato per noi.

L’abbraccio di mia madre era costante e quando mi ribellavo o non mi piaceva ciò che questo abbraccio rappresentava, mi rendo conto, col senno di poi, che era ciò di cui avevo più bisogno. A volte, nel suo abbraccio, mi ha riservato uno sguardo o un’occhiata che mi ha fatto sentire, attraverso un legame profondo e intenso, indotta ad affrontare qualche aspetto della mia vita o di me stessa che paradossalmente mi faceva soffrire, a causa delle mie fragilità e delle mie paure. Ma lei era lì, e io non ero sola.

Provo questa stessa sensazione quando ascolto ciò che Dio mi dice o mi chiama a fare. Credo che lo stesso accada a ognuno di noi.

La mia gratitudine verso per mia madre è continua e quotidiana. Mi ha dato la vita, mi ha indirizzato sulla strada giusta e mi ha mostrato, con il suo esempio, come vivere al meglio ogni giorno.

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Preghiera

O Dio, nostro Creatore, Tu, che ci hai fatto a Tua immagine, donaci la grazia di essere accolti nel cuore della Tua Chiesa.

R: In un unico accordo, preghiamo.

Gesù, nostro Salvatore, Tu, che hai ricevuto l’amore delle donne e degli uomini, cura ciò che ci divide, e benedici ciò che ci unisce.

R: In un unico accordo, preghiamo.

Spirito Santo, nostro Consolatore, Tu, che guidi il nostro lavoro, provvedi per noi, come noi ti chiediamo di provvedere per il bene di tutti.

R: In un unico accordo, preghiamo.

Maria, madre di Dio, prega per noi. San Giuseppe, resta accanto a noi. Divina Sapienza, illuminaci.

R: In un unico accordo, preghiamo. Amen.

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With One Accord (Un unico accordo), musica originale composta dal Dr. John Paul Farahat per l’intervista di Magdala ed eseguita da Emily VanBerkum e John Paul Farahat.

Immagini presenti in questo numero:

Copertina: “Madonna che allatta” di Defendente Ferrari (1480-1540).

Pagina 2 “La crocifissione” di Ildegarda di Bingen (Scivias II, 6).

Pagina 3 “Basilica di San Pietro, Roma” foto di John Dalla Costa.

Pagina 5 “Madonna del parto” di Piero della Francesca (1412-1492).

Pagina 7 “La visitazione” di Jacopo Pontorno (1494-1557).

Pagine 8-9 “Madre Teresa” copyright di Petrie Productions. Riprodotta previa autorizzazione..

Pagina 11 “Gesù lava i piedi ai discepoli” di Jacopo Tintoretto (1518-1594).

Pagine 12-13 “Anelli di un albero” vectorstock.com; “Margherita” di Freya Ungava; “Calice di una rosa” di John Dalla Costa.

Pagina 15 Particolare della “Madonna col bambino,” Chiesa Sacra Cuore, Arezzo, Italia, foto di John Dalla Costa.

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In questo numero

Copyright © 2022 Parrocchia di San Basilio, Toronto, Canada

Per contattare la redazione scrivere a editor@magdalacolloquy.org ISSN 2563-7940

EDITORE Morgan V. Rice, CSB CAPOREDATTRICE

Lucinda M. Vardey

REDATTORE ASSOCIATO

Emily VanBerkum

TRADUTTRICE ITALIANA

Diana Isacchi

COORDINATORE DI PRODUZIONE Michael Pirri

RESPONSABILE AMMINISTRATIVO DI PROGETTO

Margaret D’Elia

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