

Bellezza
Volume 5, Numero 3 Estate 2025
CONTENUTO
EDITORIALE
Lucinda M. Vardey
COGLIERE LA BELLEZZA
Mary Jo McDonald
UNA VITA RICAMATA: LA BELLEZZA DEL CHIOSTRO
Chiara Marisa Melodia O.S.C.
LA BELLEZZA DI GESÙ
Lucinda M. Vardey
SALVE REGINA
Un video delle Suore Dominicane di Santa Cecilia
SUSSURRI DI ETERNITÀ: LA PROFONDITÀ DELLA BELLEZZA E L’IMPULSO AD ABBANDONARSI
Leanna Rose Parekh
Editoriale
Introdurre il tema della Bellezza presenta delle sfide, perché la magnificenza può solo essere evocate e mai pienamente catturata. Uno dei motivi è che la bellezza è anzitutto un’esperienza: coinvolge i sensi ed è propria di ciascuno. Eppure, il paradosso è che la bellezza ci muove, insieme, al di là di noi stessi e ci unisce nei momenti in cui si manifesta. Questi momenti includono il condividere con qualcun altro lo stupore di una luce spettacolare al tramonto, la forza impetuosa delle onde che si infrangono contro una costa rocciosa, o la delicatezza di una rosa rossa sbocciata, mentre si respira la sua fragranza dolce e ultraterrena. Il mondo creato, dunque, offre una via per incontrare la bellezza, e le meraviglie della natura sono espressione dell’opera di Dio.

In questo numero, Mary Jo McDonald esplora come ciò che è esteticamente piacevole possa trasformarci e invitarci a partecipare all’espressione della bellezza. La nostra partecipazione non si limita alla creazione artistica, ma si estende anche all’arte di vivere con bellezza. Suor Chiara Marisa Melodia, OSC, condivide il suo cammino da una carriera nella scienza alla vita claustrale come clarissa. Racconta la bellezza dell’eredità, dell’abbracciare una Regola di vita antica di secoli, nella quale lo Spirito continua a guidare la preghiera e la missione di amare e servire Dio e gli altri in modo totale. La chiamata a seguire Gesù con tutto il cuore è intrisa di bellezza. Riflettiamo sulla bellezza di Gesù, in particolare su come essa abbia toccato e trasformato coloro che lo hanno seguito.
Il breve video delle Suore Domenicane di Santa Cecilia che cantano il Salve Regina durante la Compieta incarna l’estetica dell’ordine e dell’armonia come esempio orante e amorevole di trascendenza, così centrale nelle espressioni della bellezza. Come scrisse Evelyn Underhill nella sua opera Misticismo, divenuta un classic: “La Bellezza è semplicemente la Realtà vista con gli occhi dell’amore.”
Eppure anche la bellezza ci tocca in modi e forme che non sono sempre piacevoli o rassicuranti. Leanna Rose Parekh scorge solo barlumi di bellezza nella sua vita quotidiana e affronta la necessità di prestare attenzione a ciò che si trova tra “il dolore tangibile della vita e la misteriosa promessa di un rinnovamento eterno.” Scrive dell’urgenza spirituale di ascoltare “la delicata sfumatura tra il trattenere e il lasciare andare” nel “mistero sacro e in continuo dispiegarsi” della nostra esistenza.
Lucinda M. Vardey Caporedattrice
“Non vi è nulla di così bello e così gioioso quanto le scene interiori e i misteri nascosti della vita dello spirito.”
Un certosino (Dove Il Silenzio È Lode).

Mary Jo McDonald è teologa, guida spirituale, cappellana ospedaliera in pensione e responsabile di liturgie ecumeniche. È inoltre membro fondatore della comunità laica Le Donne contemplative di Sant’Anna a Toronto, in Canada. Presta servizio come volontaria nel Consiglio Pastorale della sua parrocchia e nel Consiglio Pastorale Diocesano dei Laici; anima momenti di riflessione comunitaria nei gruppi ecclesiali e conduce ritiri e conferenze. Ha pubblicato meditazioni nei volumi “Called to Pray: Advent, Lent and Easter with the Revised Roman Missal” (Novalis, 2011, 2012) e ha offerto l’intervista intitolata “Conversion and the Body” in With One Accord: Learning and Living the Feminine Dimension as Church (Vol. 1, n. 4, 2021). Ha inoltre contribuito con alcuni capitoli nei volumi Perspectives on Psychic Conversion (a cura di Joseph Ogbonnaya, Marquette University Press, 2023) e The Call of the Heart (a cura di Bertha Yetman, Novalis, 2025).
Cogliere la bellezza
Mary Jo McDonald
Ricordo di aver letto i densi scritti di Tommaso d’Aquino sulla bellezza, e di essere stata inizialmente colpita dal linguaggio asciutto e intellettuale riguardo a un tema che, certamente, può essere compreso solo attraverso l’esperienza del linguaggio simbolico della poesia, della musica e dell’arte. Tuttavia, con perseveranza posso dire che, senza Tommaso d’Aquino, non avrei mai compreso appieno l’importanza del ruolo che la bellezza gioca nella trasformazione dell’essere umano.
La natura umana è naturalmente predisposta ad apprezzare la bellezza. Tutti i nostri sensi, vista, udito, olfatto, gusto e tatto, sono coinvolti nell’incontro con la bellezza. Tuttavia, la percezione della bellezza richiede più della semplice sensibilità sensoriale. Il nostro intelletto deve lavorare in sinergia con i sensi per discernere le caratteristiche particolari della bellezza.1 Tommaso d’Aquino definisce queste caratteristiche come chiarezza (ciò che risplende attraverso la forma e la luce, catturando immediatamente l’attenzione) e proporzione (ciò che conferisce ordine e armonia a ciò che viene percepito). È facendo esperienza della chiarezza e della proporzione che scopriamo ciò che è esteticamente piacevole. La nostra facoltà intellettiva, quindi, ci permette non
solo di percepire, ma anche di apprezzare l’attributo della bellezza al di là del semplice aspetto fisico delle cose. Naturalmente, non tutti apprezzano le stesse cose come belle. Per esempio, una persona amante della natura potrebbe essere attratta da un arredamento d’interni con carta da parati floreale e toni terrosi, mentre un matematico potrebbe preferire un design che metta in risalto schemi ordinati, come una disposizione lineare dei mobili o note musicali stampate sui cuscini del divano. Tutte queste scelte riflettono le proprietà intrinseche della bellezza quali armonia, proporzione e chiarezza, ma le diverse espressioni rappresentano i differenti interessi di ciascuno.2
Un esempio significativo dell’impatto che la bellezza può avere sull’esperienza umana si trova in una scena del film Le ali della libertà. Il protagonista, un detenuto di nome Andy Dufresne, riesce a trasmettere un brano operistico attraverso il sistema di altoparlanti del carcere. Nel giro di pochi secondi, l’intero cortile del penitenziario si blocca. Mentre la telecamera indugia sui volti dei detenuti, assistiamo a un improvviso cambiamento nelle loro espressioni e nella postura dei loro corpi. L’angoscia tipica del cortile lascia il posto a espressioni di stupore, meraviglia e desiderio. I volti trasformati dei prigionieri suggeriscono anche che, in quell’istante, sia accaduto qualcosa di più profondo. I detenuti sembrano essere stati collettivamente rapiti da una nuova consapevolezza, come se fossero stati chiamati a uscire dalla miseria della loro condizione presente per accedere a un senso più pieno della loro umanità. La bellezza ha catturato la loro attenzione, ha travolto la loro immaginazione ed evocato sentimenti che, forse, erano rimasti sepolti da tempo. Noi spettatori siamo così testimoni del desiderio umano innato di bellezza e del suo potere trasformante, anche su coloro che potremmo considerare “anime perdute.” A cosa, dunque, è chiamato l’essere umano dalla bellezza?
LA NATURA DIVINA
Tommaso d’Aquino afferma che la bellezza è parte della natura stessa di Dio. Poiché l’essere umano è stato creato “a immagine di Dio” (Genesi 1,27), portando in sé una “scintilla del divino,” la bellezza svolge un ruolo profondo: quello di connettere l’umanità con la dimensione del Divino, con Dio stesso.3 Infatti, per Tommaso d’Aquino, quegli aspetti della bellezza come proporzione, colore e chiarezza, visibili nella natura, come le tinte vivaci delle foglie d’autunno o il disegno unico di un fiocco di neve, rimandano a un ordine più profondo che opera in tutta la creazione di Dio. In altre parole, la bellezza non suscita solo un piacere estetico, ma soddisfa anche il desiderio innato dell’anima umana per Dio. La mistica carmelitana francese del XIX secolo, santa Elisabetta della Trinità, vedeva nella bellezza la capacità dell’essere umano di cogliere Dio e uno strumento per rendere presente Dio agli altri. Pregava così: “Che Egli imprima in noi la Sua bellezza divina e, totalmente ricolmi di Lui, possiamo donarlo alle anime…”4
La bellezza indica la via verso Dio, ma manifesta anche la presenza dell’amore di Dio nell’anima della persona. Come cappellana ospedaliera, durante una celebrazione domenicale ecumenica, ricordo di essere stata profondamente toccata dalla bellezza nei volti degli anziani veterani mentre pregavamo insieme. Ogni forma di bellezza, soprattutto quella che riconosciamo gli uni negli altri, non può che irradiare e riflettere la bellezza di Dio.
PARTECIPAZIONE ALLA TRANSFORMAZIONE
Una persona può anche godere dell’estetica della bellezza, ma rifiutare l’invito alla trasformazione che essa comporta, quella trasformazione che conduce la natura umana a entrare più pienamente nella dimensione del divino. Una tale trasformazione richiede una risposta libera e consapevole alle grazie ricevute nell’esperienza della bellezza.
In un’epoca di continue distrazioni alimentate dai social media e da un’attività frenetica, il detto “prendersi il tempo per fermarsi ad annusare le rose” esprime profondamente il nostro bisogno non solo di apprezzare la bellezza, ma anche di crearla. Le pratiche artistiche presenti negli ordini claustrali, come il ricamo dei paramenti d’altare, inserite nella routine quotidiana insieme alla preghiera, ai canti e ai compiti domestici, rivelano una grande sapienza. Attraverso la creazione e l’apprezzamento della bellezza, ci avviciniamo a Dio e quindi alla nostra continua trasformazione e realizzazione.
Il ruolo della bellezza nella nostra continua trasformazione diventa intenzionale quando anche noi diventiamo consapevoli dell’importanza di trasformare la nostra vita quotidiana in un’opera d’arte. Questo richiede che dedichiamo tempo al nostro bisogno di bellezza, che cerchiamo modi per crearla e, soprattutto, che ci apriamo a ricevere la bellezza amorevole di Dio, affinché trasformi la nostra anima e renda visibile la sua presenza attraverso di noi. ■

Chiara Marisa Melodia O.S.C. è una suora clarissa dell’Ordine delle Sorelle Povere di S. Chiara. Nata ad Alcamo (TP) il 9 gennaio 1967, è entrata in convento a Cortona (AR) dove ha emesso i voti solenni nel 2002. Attualmente è Superiora della comunità di S. Chiara a Sansepolcro (AR). Laureata in Chimica, da sempre appassionata ricercatrice della Parola di Dio e degli studi umanistici classici, tiene regolarmente ritiri spirituali e conferenze al monastero con percorsi biblici specifici per le diverse fasce di età. (www.clarissesansepolcro.it).
Una vita ricamata: la bellezza del chiostro
Chiara Marisa Melodia O.S.C.
L’11 agosto 1253 chiudeva il suo pellegrinaggio terreno Chiara di Assisi, fondatrice del nostro Ordine, nonché prima donna nella storia della Chiesa a scrivere una Regola di vita religiosa, quella dell’Ordine delle Sorelle Povere di Santa Chiara. Chi era dunque la nostra santa Madre? Nata nel 1193, Chiara apparteneva alla nobile, ricca e influente famiglia degli Offreducci di Assisi. Chiara di nome, più chiara per vita, chiarissima per virtù1 di grande bellezza fisica e spirituale, come tramandano le fonti coeve. Mentre i parenti stavano progettando per lei un matrimonio con un personaggio di rilievo, nella notte della domenica delle Palme del 1211, a soli 18 anni, con un gesto audace, ispirato dal profondo desiderio di seguire Cristo Gesù e dall’ammirazione per Francesco, lasciò la casa paterna per raggiungere la piccola chiesa della Porziuncola. Qui Francesco, che non era sacerdote, ma come laico poteva in qualche modo officiare un rito paraliturgico, le recise la bionda e ricca capigliatura. Da quel momento Chiara era diventata la sposa di Cristo, totalmente consacrata a Lui, umile, povero e crocifisso. Di lì a poco sarebbe stata raggiunta dalla sorella Agnese. Dopo una breve permanenza tra le monache benedettine di San Paolo e nel monastero

di Sant’Angelo di Panzo presso Assisi, le due sorelle trovarono stabile dimora in un luogo che Francesco aveva restaurato alcuni anni prima, profetizzando che sarebbe divenuto abitazione di sante donne a Dio consacrate: San Damiano. Chiara e Agnese restarono sole per poco tempo, poiché presto si unirono a loro altre compagne desiderose come Chiara di incarnare il vangelo in una dimensione contemplativa, di vivere la povertà come un Privilegio. Pacifica, Benvenuta, Balvina, Filippa…nel solco della storia un numero crescente di donne si aggiunse a questa lista, e tra queste anche noi: sorelle clarisse di Borgo Sansepolcro.

UN’OASI DI PACE
Vita in povertà personale e comunitaria, vivere insieme in fraternità secondo lo stile delle prime comunità cristiane sono le note dominanti del carisma clariano. Cari amici, grande e bella è la nostra vita e missione, considerando i molteplici doni che abbiamo ricevuto e ogni giorno riceviamo dal Padre delle Misericordie, sopratutto quello della nostra vocazione2 come ci ricorda Chiara nel suo Testamento.
Nel cuore della cittadina di Sansepolcro, rinomato borgo della Valtiberina, famoso per aver dato i natali a Piero della Francesca, il nostro monastero è un’oasi di pace e di silenzio, in cui la piccola comunità claustrale ad oggi di 5 sorelle nella semplicità, nell’essenzialità e nello spirito di famiglia condivide stabilmente la vita, il lavoro e la preghiera.
Tante sono le persone che si affacciano in parlatorio bisognose di ascolto, di senso, di aiuto... In un mondo che va veloce e ci chiude spesso nel nostro egoismo, in un mondo segnato sempre più dall’individualismo, il monastero si mostra oggi come icona di sinodalità, garantendo a tutti che un cammino insieme è possibile, una vita fraterna è possibile. Sì perché l’amore autentico per il Signore inevitabilmente si esprime come fraternità, malgrado tutte le sfide che questa comporta.
Le mie sorelle sono anziane, ma per nulla intimidite dall’avanzare degli anni; esposte alle sollecitazioni dello Spirito vivono il presente con passione restando aperte al futuro con speranza, sempre confidenti nella divina provvidenza. La loro è proprio un’autentica lezione di vita cristiana! La clausura, senza dubbio, ci rende più preparate per un incontro più pieno con il Signore, ma il messaggio che la nostra comunità monastica rivolge al mondo esterno non è di chiusura, bensì di contemplazione fraterna: essere disponibili con l’ascolto e la preghiera per tutti coloro che vorranno ritrovare in questo luogo, servendosi anche della nostra foresteria, un momento di riflessione, di stacco dalla routine del quotidiano.
La grande rivoluzione del serafico Padre san Francesco fu proprio quella di vivere la fede, la lode a Dio, non da monaco eremita ma insieme ai suoi fratelli. Perché è nelle relazioni umane che noi tutti compiamo un percorso di maturazione e consapevolezza, a partire dalle nostre famiglie.
UNA CARRIERA DIVERSA
Nella mia famiglia non mancavano di certo le relazioni fraterne, essendo la terza di quattro figli. Sono stata educata ai principi cristiani principalmente dalla mia mamma, che io considero la mia grande teologa. Una fede schietta e granitica la sua, come la madre Eunice di Timoteo,3 e nei miei stessi genitori ho trovato sempre esempi di impegno al dovere, al lavoro, al sacrificio accettato con amore. In famiglia ero molto amata: ricevevo attenzioni speciali, preferenze e delicatezze che mi coinvolgevano profondamente e rafforzavano sempre più il mio legame con loro. Avevo a disposizione tutto ciò che facilitava i miei studi al Liceo Classico Cielo d’Alcamo, e in seguito alla facoltà di Chimica dell’Università di Palermo. Ma la strana e pungente inquietudine,
che Dio mi aveva messo dentro da lungo tempo in forma latente per condurmi a sé, mi assillava e si ingigantì violentemente quando conseguita la laurea avevo visto realizzato il sogno dominante della mia vita: diventare una ricercatrice. Il viaggio di scoperta tra le molecole era molto affascinante, ma non bastava, dovevo cercare Altrove. Che cosa fare? Sentivo che non potevo perdere più tempo, e fu per questo motivo che mi accinsi a cercare un luogo dove poter stare in silenzio e nella solitudine. Un sacerdote amico mi suggerì di recarmi al monastero delle clarisse… uscii dal parlatorio diversa da come ero entrata, tutte le ansie e gli aneliti che mi affliggevano scomparvero misteriosamente, e da quel momento iniziarono i contatti sistematici con il monastero. I miei si opposero decisamente all’ingresso, poiché nutrivano altre aspettative, altre mire e attese.

Lasciai la Sicilia trenta anni fa per l’ingresso tra le clarisse di Cortona a cui devo tutta la formazione del mio cammino, fino alla emissione dei voti definitivi e solenni. Quando mi venne chiesto un servizio alla comunità di Fiesole, povera di numero e di forze, partii con la generosa consapevolezza di sperimentare che cosa significa essere pellegrina e forestiera 4 in questo mondo. Dopo sei anni di permanenza tra quelle sorelle, una volta chiuso il monastero, dieci anni fa sono approdata a Sansepolcro.
Non avevo mai pensato di diventare una claustrale, anzi in verità avevo sempre avuto una repulsione per questo tipo di vita, per quelle grate da carcerate, ma ho compreso la bellezza della preghiera, del canto, della recita dell’ufficio divino…solo con la preghiera potevo e posso arrivare ovunque, raggiungere tutte le categorie di persone ed essere, a tu per tu con il Signore, voce per chi non ha voce.
I monasteri sono ricami di tante piccole storie e ogni storia come ogni vita è singolare, preziosa e irripetibile, ma tutte hanno in comune un incontro, un evento che ha toccato le fibre del cuore, che ha fatto cambiare rotta: Cristo Gesù che si è fatto nostra via.5 La vita monastica, pur essendo un pilastro della Chiesa indivisa, oggi si trova ad affrontare diverse sfide, non ultima la mancanza di vocazioni. Questa crisi, comunque, non mi paralizza, né mi scoraggia: la vita clariana, sin dalle prime ore, ha dimostrato di avere spessore e di essere capace di incantare. E’ in corso l’anno santo giubilare il cui tema è la Speranza, ed è proprio perché la preoccupazione cresce a tutti i livelli, che è permessa la Speranza. Sta a noi continuare ad essere significative, credibili e attrattive, impegnandoci a coltivare e privilegiare la passione per Dio e per l’umanità. Tale è stata l’esperienza mistica di Chiara: totalmente in Dio e totalmente nella storia. Così sia! ■
“Dio
è invito, bellezza e sorpresa continua.”
Iain Matthew O.C.D. (L’Impatto di
Dio).


Lucinda M. Vardey è la caporedattrice di “Un unico accordo.” Per maggiori informazioni su di lei, si rimanda la sito web.
La bellezza di Gesù
Lucinda M. Vardey
“La bellezza di Gesù è il modo in cui Dio ha progettato l’umanità.”
John Navone S.I. (Verso una Teologia Della Bellezza).
Il teologo gesuita John Navone scrisse che la “presenza di Dio è la Bellezza stessa.” Questa presenza si sperimenta in modi diversi: attraverso i sentimenti, un’atmosfera o un ambiente, nelle Scritture, nella liturgia o nella partecipazione ai sacramenti, nella preghiera privata, da soli o con altri. Avvertiamo tale presenza nella creazione, nella natura e nel susseguirsi delle stagioni, quando tutti i nostri sensi si risvegliano nei ricordi, nei moti del cuore, nella magnificenza di una cascata. La filosofa francese Simone Weil spiegava che il “sentimento puro e autentico della bellezza” contiene la presenza di Dio, e che attraverso la bellezza facciamo esperienza di una “incarnazione di Dio nel mondo.” “La bellezza,” scriveva, “è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile.”1
Come, allora, si potrebbe cogliere e descrivere la bellezza della presenza incarnata di Dio nell’umanità? La bellezza di Gesù è al di là di ogni descrizione o misura, poiché la bellezza pervadeva tutto ciò che egli era, faceva e diceva. Il profeta Isaia aveva preannunciato quanto fossero belli i suoi piedi sui monti: “del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza” (Isaia 52,7). Cosa fu, dunque, a spingere Simone Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo
ad abbandonare le reti e seguire Gesù dalle rive del lago di Galilea? Le parole di Simone Weil potrebbero offrirci una risposta: “La bellezza cattura la carne per ottenere il permesso di giungere fino all’anima.”2 Gesù era talmente integro in sé stesso che la bellezza del suo intero essere risplendeva come luce che penetrava l’anima dei primi apostoli e dei suoi seguaci. “Venite a me” era come un’iniziazione alla partecipazione alla sua bellezza; “Venite e vedrete” era un invito a entrare nella relazione con essa. Come scriveva san Luigi Maria Grignion de Montfort: “Non c’è bellezza al di fuori di Te.”
Le interpretazioni artistiche di Gesù contribuiscono a rendere vivo un rapporto personale con la sua bellezza. Santa Teresa d’Avila attribuiva grande valore all’arte sacra come mezzo per approfondire la preghiera e la crescita spirituale, così come fecero molti dopo di lei. “O Volto adorabile di Gesù, unica Bellezza che rapisce il mio cuore,” scriveva santa Teresa di Lisieux nella sua autobiografia. Molti mistici che entrarono in un matrimonio spirituale con Gesù furono condotti a stati di beatitudine più profondi, come immersi e avvolti dalla sua bellezza. Queste esperienze del mistero della presenza di Dio in Gesù e attraverso di lui conducono le anime all’unione con la
Bellezza divina: quella dimora interiore che vive nel profondo dell’anima.
La “Bellezza redentrice di Cristo” ci chiama a “conoscerlo, non solo con le parole, ma se siamo colpiti dalla freccia della sua bellezza paradossale,” affermava Papa Benedetto XVI (al tempo cardinale Joseph Ratzinger), “allora lo conosceremo davvero, e lo conosceremo non solo perché altri ce ne hanno parlato. Allora avremo trovato la bellezza della Verità, della Verità che redime. Nulla può metterci in contatto più profondo con la bellezza stessa di Cristo se non il mondo della bellezza creato dalla fede e dalla luce che risplende dai volti dei santi, attraverso i quali la sua stessa luce diventa visibile.”3 ■

“Te veramente felice! Ti è concesso di godere di questo sacro convito per poter aderire con tutte le fibre del tuo cuore a Colui, la cui bellezza è l’ammirazione instancabile delle beate schiere del cielo.”
Santa Chiara d’Assisi (Nella Quarta Lettera ad Agnese di Praga).

https://vimeo.com/78790623
Leanna Rose Parekh è una scrittrice, editrice, esperta di strategie e teologa appassionata, il cui lavoro spazia dal poetico al pratico. Dalle vivaci comunità locali come la parrocchia di St. Basil, alle rinomate organizzazioni benefiche canadesi come la Heart & Stroke Foundation, fino ad arrivare a organizzazioni umanitarie globali come World Vision International, la storia e il lavoro editoriale di Leanna si muovono con profondità e ampiezza. Con oltre un decennio di esperienza nella creazione di contenuti, nel lavoro sul tono e sulla voce e nella comunicazione del marchio, Leanna apporta un approccio profondamente umano alla narrazione. La sua filosofia di leadership è radicalmente incentrata sulle persone e promuove ambienti in cui possono attecchire team altamente performanti e fiorire la creatività. Artigiana delle parole con il cuore rivolto all’umanità, è profondamente impegnata per la giustizia climatica, l’aiuto umanitario, la protezione dell’infanzia, la salute materna e l’emancipazione di donne e ragazze. Il suo lavoro è una silenziosa rivoluzione, un invito a vivere la fede non solo come dottrina, ma come un incontro vivo e palpitante con il Divino.

Sussurri di eternità: la profondità della bellezza e l’impulso ad abbandonarsi
Leanna Rose Parekh
La bellezza squisita della vita nasce dal sacro impulso femminile ad abbandonarsi, a lasciar andare, a meravigliarsi del mistero della vita anche mentre ne tocchiamo il lato più crudo e spietato. Sotto ogni fiore affascinante si cela un’ombra di durezza, che ci ricorda che la bellezza è tanto profonda quanto delicata. In ogni stagione della natura, in ogni momento che scivola via, ho incontrato la bellezza come maestra; un invito per il mio cuore a fermarsi e a struggersi per la promessa del Cielo.
Ho imparato che la vera bellezza non è mai a una sola dimensione. È intrisa di
contrasti: il dolce e il brutale, il fugace e l’eterno. Come donna, sento che questo Divino Amante mi invita ad ammirare non solo i doni luminosi della vita, ma anche le sue parti ferite e imperfette. In quell’intricato arazzo in movimento, il potenziale trasformativo della bellezza si dispiega quando osiamo avvicinarci al suo opposto.
Crescendo come una bambina figlia della natura, vagavo per spazi selvaggi che sembravano sussurrare i segreti dell’eternità. In quei giorni, il tempo era infinito. Ora, come moglie e madre, sto risvegliando quelle meditazioni d’infanzia, ricordando a me stessa che sia la terra sotto i nostri piedi che le ore delle nostre vite sono doni finiti. Ogni momento porta con sé l’invito dolceamaro a desiderare un paradiso eterno, anche mentre cerchiamo goffamente di trattenere ogni dettaglio fuggevole. Per vivere davvero la bellezza della natura, dobbiamo imparare a onorarne sia la ferocia amara che la sua grazia delicata.
LA TENERA FURIA DI MADRE NATURA
La terra è un essere vivente dinamico, imprevedibile e generosamente selvaggio. Pulsa di vita nella crescita, nella morte e nella sua miracolosa rinascita tutto si dispiega in un ecosistema delicato. Spesso cerchiamo di domare questa forza prendendocene cura con amore, ma il controllo è un’illusione. La natura non si piega al nostro bisogno umano di proteggerla; il suo potere meraviglioso si rivela quando semplicemente osserviamo, ascoltiamo e lasciamo che sia. Nel ciclo implacabile di vita e morte, persino il disagio può diventare una soglia, un invito a lasciarci trasformare dalla grazia selvaggia della creazione.
Lo scorso inverno, durante il disgelo primaverile in Canada, quando i ghiaccioli cominciavano a sciogliersi sulla neve soffice, mio marito ed io portammo i nostri figli a vagare senza meta nel bosco. In quella luce cangiante, mentre i piccoli raccoglievano rami e cercavano tracce di porte fatate, il nostro cammino ci condusse a una visione sorprendente: una vivida striscia di rosso sulla tela innevata. Un altro escursionista ci disse che poco più avanti si trovavano i resti di un cervo. In quel momento, scelsi di accogliere la curiosità senza filtri dei bambini invece di proteggerli dalle verità più dure della vita.
Nella radura silenziosa, i bambini si avvicinarono a quella scena immobile con occhi grandi e curiosi. Non c’erano parole preparate, solo un invito gentile a osservare, a fare spazio sia alla meraviglia che al dolore. A cena, le nostre conversazioni vagavano dal mistero dei cicli della natura allo stupore per ciò che costituisce il corpo e lo spirito. Il “caro cervo morto” divenne per noi una parabola naturale, un ponte tra il dolore tangibile della vita e la misteriosa promessa di un rinnovamento eterno. In quel momento di verità, la semplice pausa per vedere permise allo Spirito di parlare con sussurri che andavano oltre ogni spiegazione da manuale. Ci ricordò che ogni incontro con la perdita approfondisce il nostro desiderio del Cielo.

Eppure, mentre la foresta ci insegnava con i suoi cicli vividi, un altro invito giungeva dal passare inesorabile del tempo. Le ore terrene scivolano via con silenziosa insistenza. Spesso cerchiamo di ingannare il tempo, comprimendo i giorni in minuti, sovraccaricandoci in un disperato tentativo di trattenere ciò che sembra prezioso. Confesso di essere stata una persona sempre in azione: risolutrice di problemi, custode di orari; dalle complesse sfide del lavoro alle incessanti richieste della maternità. In questa rincorsa all’efficienza, anch’io ho rischiato di perdere l’anima stessa del vivere.

Ho scoperto, tuttavia, che la vera arte della vita si apprende negli spazi tra i momenti frenetici. Nell’abbraccio delicato e prolungato con mia figlia, prendendomi qualche secondo in più per notare i riccioli dei suoi capelli, le sue manine, il peso della sua guancia, ho trovato un rifugio tranquillo dove il Divino sussurrava rassicurazioni d’amore e presenza a entrambe. In quei minuti preziosi trascorsi con mio figlio al suo ritorno da scuola, condividendo uno spuntino preparato con calma e ascoltando della sua giornata, il ritmo frenetico della vita rallenta dolcemente. In questi rituali, la profonda bellezza della vita non si misura dalle cose che portiamo a termine, ma dall’amore consapevole che riversiamo in ogni momento.
Rallentare non significa abbandonare lo slancio. Significa scegliere ciò che conta e liberarsi del superfluo, facendo spazio a ciò che è in linea con i nostri valori più alti. Lasciando andare la costante ricerca della perfezione, ho imparato che la vita ci regala abbondanza nella sua quiete: nella consistenza dell’impasto lavorato in una cucina illuminata dal sole (anche in mezzo ai litigi dei bambini), nel curare un giardino (indipendentemente dagli attrezzi e dai giocattoli sparsi ovunque), nel piegare le lenzuola con cura (anche con le macchie che non vogliono andare via). Questi momenti, delicati ma ribelli, ci ricordano che essere presenti è la forma più pura di adorazione.
In definitiva, il segreto della nostra esistenza si svela nella delicata sfumatura tra il trattenere e il lasciar andare. Dobbiamo prima affrontare la cruda bruttezza della decadenza e dell’impermanenza prima di poter apprezzare appieno la promessa della bellezza di un’eternità fiorente. È nell’onesto testimoniare la perdita, il cervo caduto nella neve, il silenzioso svanire del sonno mattutino di un bambino, che i nostri cuori si risvegliano al dolceamaro richiamo del Cielo. Non è un invito a fuggire da questo mondo, ma un invito a viverlo appieno.
Cerchiamo quindi di essere presenti: di notare i dettagli delicati – un tocco leggero, una pausa silenziosa, uno sguardo sincero – e di onorare l’impermanenza dei nostri giorni. Accettando sia la ferocia selvaggia della natura che il rapido scorrere del tempo, scopriamo che la vera bellezza, nella sua espressione più piena, è una preghiera di
abbandono. Ed è in quell’abbandono che torniamo a casa, non solo a noi stessi, ma a un mistero sacro, in continua rivelazione, che sussurra di vita eterna. ■
“Ogni giorno nel mondo rinasce la bellezza, che risuscita trasformata attraverso i drammi della storia.”
Papa Francesco (Evangelii Gaudium n. 276).


Un Unico Accordo
O Dio, nostro Creatore, Tu, che ci hai fatto a Tua immagine, donaci la grazia di essere accolti nel cuore della Tua Chiesa.
R: In un unico accordo, preghiamo.
Gesù, nostro Salvatore, Tu, che hai ricevuto l’amore delle donne e degli uomini, cura ciò che ci divide, e benedici ciò che ci unisce.
R: In un unico accordo, preghiamo.
Spirito Santo, nostro Consolatore, Tu, che guidi il nostro lavoro, provvedi per noi, come noi ti chiediamo di provvedere per il bene di tutti.
R: In un unico accordo, preghiamo.
Maria, madre di Dio, prega per noi. San Giuseppe, resta accanto a noi. Divina Sapienza, illuminaci.
R: In un unico accordo, preghiamo. Amen.
NOTE
Mary Jo McDonald—Cogliere la bellezza
1 What does Aquinas say about beauty? “Harmony, clarity, and wholeness in beauty,” Shawn Buckles, https:// wisdomshort.com/philosophers/aquinas/on-beauty , 9 Maggio 2025.
2 Lonergan, Bernard, Insight: A Study of Human Understanding, a cura di Frederick E.Crowe e Robert M.Doran. vol. 3. Collected Works of Bernard Lonergan, University of Toronto Press, Toronto, 1992, pp. 204-212.
3 Ibid.
4 Lines From Her Letters #1, raccolta a cura di Lucinda M. Vardey per Le donne contemplative di sant’Anna, Toronto.
Chiara Marisa Melodia O.S.C.—Una vita ricamata: la bellezza del chiostro
1 Tomasso da Celano Vita Prima di san Francesco d’Assisi p. 216 (Fonti Frescane n.351)..
2 Chiara di Assisi Testamento versettfo 2 (Fonti Frescescane n. 2823)..
3. (2 Tm 1,5).
4. La Regola di Santa Chiara C.8, 1-2; (Fonti Francescane n.2795).
5 Chiara di Assisi Testamento C. 5; ( (Fonti Francescane n. 2824).
Lucinda M. Vardey—La bellezza di Gesù
1 Simone Weil Gravity and Grace (Routledge, 2002) p. 137.
2 Come sopra, p. 135.
3 Card. Joseph Ratzinger, nel suo discorso al Meeting di Comunione e Liberazione (CL) a Rimini, Italia, 24-30 agosto 2002.
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Immagini presenti in questo numero:
Copertina: Foto “Lavanda e farfalla” di John Dalla Costa.
Pagina 2 Foto “Rosa rossa” di John Dalla Costa.
Pagina 5 Scultura “Mano e colomba” foto di John Dalla Costa.
Pagina 6 “Santa Chiara con sua sorella Agnese e le suore” (Anonimo, scuola francese, XVII-XIX secolo).
Pagina 8 “Arazzo” dalla cattedrale di Notre Dame, Parigi. Foto di John Dalla Costa.
Pagina 11 “Cristo del sarcofago” di Pietro Perugino (1805-1881).
Pagina 12 Dettaglio dal Polittico di Gand: “La Vergine Maria” di Jan Van Eyck (1390-1441).
Pagina 13 “Cervo morto” di Franz Marc, 1913.
Pagina 14 “Madre e figlia” di Léon Bazile Perrault, 1894.
Pagina 15 “Scena del Fiume” di Samuel Palmer (1805-1881).
In questo numero
Copyright © 2025 Parrocchia di San Basilio, Toronto, Canada. Per contattare la redazione scrivere a: editor@magdalacolloquy.org ISSN 2563-7940
EDITORE
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CAPOREDATTRICE
Lucinda M. Vardey
REDATTORE ASSOCIATO
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TRADUTTRICE ITALIANA
Elena Buia Rutt
COORDINATORE DI PRODUZIONE
Michael Pirri
RESPONSABILE AMMINISTRATIVO DI PROGETTO
Margaret D’Elia