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Ryan Browning
No Exit Maybe Shadows
a cura di Chiara Moro
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Giocare con forme e colori, segni e oggetti reali, dialoghi esuberanti dall’anima cupa. Qui con Ryan Browning abbiamo la riprova che determinati colori aiutano nell’evocare gesti semplici, espressioni quotidiane, pensieri che sono ricordo e ricostruzione, racchiudono concetti e momenti storici, idee e classi sociali o addirittura interi sistemi di pensiero. Influenze pop e profusioni di contemporaneità si intersecano per invitarci in un mondo scintillante pieno di energia, un mondo dal quale è difficile uscire illesi, accolti a braccia aperte in un paesaggio definito non da segni bensì da sensazioni.

2020-45

Ebit

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Qual è la tua storia? Cosa diresti di te per presentarti a chi non ti conosce?
Sono un artista americano che vive in Qatar da quando il mio lavoro come professore d’arte alla Virginia Commonwealth University mi ha portato qui. Essenzialmente mi descriverei come un pittore, ma materiali scultorei e strumenti digitali mi hanno spesso incuriosito; negli ultimi anni questo mi ha portato a progettare un’amplia varietà di oggetti d’arte tra cui piccole sculture, oggetti stampati in 3D e alcuni tappeti realizzati a mano. Spesso le mie opere d’arte raffigurano stravaganti spazi simili a palcoscenici contenenti oggetti insoliti e allusioni ai loro assenti occupanti.
Come è nato il tuo percorso espressivo? È stato difficile incanalare in un mezzo l’istanza di espressione che hai sentito?
Tutto è iniziato dal disegno in giovane età, un media semplice e concreto. Tutti disegnano. All’università, mentre studiavo storia dell’arte, sono stato incuriosito dalla pittura ad olio e ho così iniziato a sperimentare. All’inizio trovare la strada è stato complicato, arrancavo, ma la sperimentazione mi ha portato ad affermare il tratto e le forme. La mia pittura, avendo mantenuto il disegno come caposaldo, è principalmente improvvisativa, mentre il lavorare in tre dimensioni mi porta ad una attenta attività di pianificazione. Penso sia proprio questa attenzione a spingermi a provare sempre nuovi materiali e tecniche di fabbricazione: lavorare lontano dalla pittura mi permette di avere un approccio diverso senza dubitare troppo di me stesso.
Come definiresti il tuo lavoro e come racconteresti il tuo approccio progettuale?
Vorrei che le mie opere d’arte fossero percepite come se venissero da un altro luogo, per avere una sensazione fantasma di familiarità unita a qualità sorprendenti ed inaspettate. Il mio processo lavorativo è relativamente lento e la mia visione per il risultato finale cambia inevitabilmente durante tutto il processo. In un certo senso, devo ingannare me stesso facendomi credere di essere lì in quel luogo immaginario prima di essere soddisfatto del risultato.
È possibile arredare con l’arte? L’arte e il design possono convivere, unirsi, trasformarsi a vicenda?
È la mia speranza. Dare vita a forme opportunamente complementari tra arte e design è una sfida, ma il coesistere è possibile e, nel migliore dei casi, vi è un vicendevole accrescimento. A casa mia non ci penso troppo: tutto è eclettico e alcune parti del mio spazio vitale sembrano un accumulo disparato di cose che ho raccolto nel corso degli anni. L’ordine e la cura dell’esposizione sono importanti per me, non voglio che gli oggetti a terra e appesi al muro siano
disposti in modo confuso: mi piacciono lo spazio, l’armonia dei colori e la luce. In questo ambiente gli oggetti giocano tra loro rivestendo, di volta in volta, il ruolo principale a seconda di situazioni e diversi punti di vista. Questa è anche la mia modalità di pensare allo spazio quando dipingo e, in realtà, molte delle mie idee creative provengono da oggetti artigianali e di design con cui vivo nella mia casa.
In questo periodo sono cambiate molte cose; secondo te è cambiata anche la nostra immaginazione?
Forse, tuttavia penso che tendenzialmente siamo solo stanchi. Personalmente mi sono preso molto tempo per esplorare nuove possibilità creative negli ultimi due anni, ma mi sono percepito più lento nel lavorare e con un senso dell’orientamento meno determinato. Il lato positivo è l’opportunità di riflessione circa la lentezza. Ma il forte stress mi ha reso difficile concentrarmi e pensare al futuro.
C’è il rischio di perdere la vera essenza dell’arte davanti ad uno schermo?
Davanti ad uno schermo possiamo sia perdere che guadagnare. Personalmente apprezzo maggiormente l’evidenza del tatto nell’artigianato fatto a mano e questo è qualcosa che sperimentiamo meno quando le nostre vite sono focalizzate sullo schermo. Quando riflettiamo su un’opera d’arte fisica o su un oggetto realizzato, dimostriamo il suo valore e possiamo rivivere la sua creazione attraverso un’attenta osservazione. Mi piace profondamente questo processo. Trovo che la riflessione sulle cose viste su uno schermo rimuova questa parte dell’esperienza dell’arte, anche se vi sono media più adatti allo schermo e per i quali l’esperienza tecnologica alimenta diversamente memoria e immaginazione. Dipinti e sculture, però, non sono mai “great” su uno smartphone, sono semplicemente “ok”.
Cosa non ha più senso, nel mondo dell’arte?
Non credo di aver mai compreso appieno il mondo dell’arte! Questa è una di quelle domande per le quali un artista potrebbe parlare all’infinito, se glielo permetti…
