Quaderno della ricerca #74

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I Quaderni della Ricerca

Nel dialogo imparo: attività e strategie per la comunicazione a scuola Marialuisa Damini, Alessio Surian



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I Quaderni della Ricerca

Nel dialogo imparo: attività e strategie per la comunicazione a scuola Marialuisa Damini, Alessio Surian


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Indice Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1. Partire dai vissuti: c’è una rete che aiuta a risollevarsi? . . . . . . 11 1.1. Raccontare il sentire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1.2. Le relazioni a scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 1.3. Motivazione e interesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.4. Le relazioni fra insegnanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.5. Monitoraggio e valutazione: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 2. Come si sta trasformando la comunicazione a scuola . . . . . . . 21 3. Ascoltare e ascoltarsi: facilitare la comunicazione a scuola . . . 29 3.1. Educazione e approccio dialogico . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 3.2. Contesti e prospettiva dialogica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 3.3. Silenzio e ascolto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 3.4. Verso una maieutica reciproca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 3.5. Il ruolo di chi educa e il nodo del giudizio . . . . . . . . . . . . . 34 3.6. Gli strumenti dell’educazione dialogica . . . . . . . . . . . . . . 36 4. Il pensiero narrativo alla luce della comunicazione nonviolenta . 49 4.1. Narrare per ascoltare, ascoltare per narrare: il pensiero narrativo a scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 4.2. Un tempo per narrarsi e un tempo per narrare: il circle time . . . . 52 4.3. “Insegnanti efficaci”: la comunicazione che arriva al cuore . . . . 53 4.4. Comunicare in modo non violento si può: i principi chiave della comunicazione nonviolenta . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 5. Laboratori di ascolto e narrazione: creare spazi dialogici . . . . . 61 5.1. Emozioni, violenza, riflessività . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 5.2. I tempi della relazione e della cooperazione . . . . . . . . . . . . 65 5.3. Corpi e poesie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 5.4. Diversità culturale e plurilinguismo . . . . . . . . . . . . . . . . 68 5.5. Le pedagogie e la cittadinanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 5.6. Gruppo di riflessione (reflecting team) . . . . . . . . . . . . . . . 75 5.7. Open Space . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 5.8. Norme utili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 5.9. Linea del tempo e futuri desiderabili . . . . . . . . . . . . . . . 84 Epilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

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A Marcus, che ha fatto dell’ascolto un ponte e ci ha lasciato l’arte di comunicare oltre le parole



Introduzione

Questo libro nasce dall’ascolto di un profondo desiderio di trovare sentieri per facilitare il dialogo e la comunicazione significativa a scuola tra insegnanti e studenti e fra “pari”. Una prima cornice musicale può aiutarci ad acuire il nostro sentire rispetto alle forme di comunicazione cui aspiriamo. Nell’Africa meridionale, l’espressione shona «mwana wevhu» vuol dire “figlia della terra”. Essere una mwana wevhu significa conoscere la terra su cui ci si trova così come una bambina sviluppa l’intima conoscenza con la madre, la sua voce, i suoi modi di fare, il fruscio dei suoi vestiti... Significa conoscere intimamente il territorio che abitiamo quale dimensione fondamentale del conoscere noi stesse. Uno strumento musicale, in quel contesto, nella sua materialità e sonorità riflette e veicola la terra che abitiamo e il dialogo che stabiliamo con lei, perché prendere distanza dalla terra è anche essere tagliati fuori dalla propria comunità. In che misura e con quali declinazioni quest’idea di strumento musicale può riguardare la nostra didattica? Il desiderio di dialogo e comunicazione significativa a scuola si confronta oggi col crescente clima di militarizzazione e di colonizzazione violenta dei linguaggi e con difficoltà relazionali che sono state acuite da quanto vissuto con il COVID-19. Le difficoltà di comunicazione, le fragilità diffuse non sono un prodotto della sindemia (termine che preferiamo a “pandemia” perché ne evidenzia, come proponeva Richard Horton su «Lancet»1, gli aspetti di ingiustizia sociale). Tuttavia, i confinamenti hanno provocato profondi sensi di solitudine. Il rapporto finale del Censis “Generazione Post Pandemia Bisogni e aspettative dei giovani italiani nel post Covid 19”2 pubblicato nel giugno del 2022 sottolinea che il 45,5% dei giovani dopo la pandemia desidera trascorrere a casa più tempo possibile, il 47,9% ha sviluppato una sorta di agorafobia e ha paura a fre-

1. 2.

In un articolo apparso il 26 settembre 2020 dal titolo COVID-19 is not a pandemic. Consultabile all’indirizzo https://consiglionazionalegiovani.it/wp-content/uploads/2022/10/Giovani-COVID-report_04.09.22.pdf.

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Nel dialogo imparo: attività e strategie per la comunicazione a scuola

quentare locali e luoghi affollati, il 46,9% dichiara di sentirsi fragile e il 31,8% si sente solo, quota che sale al 39,4% tra i giovanissimi. In questa situazione la maggior parte dei giovani e dei giovanissimi continua ad andare a scuola, che per alcuni è l’unico luogo dove permangono relazioni sociali significative con i pari, anche se non possiamo non tener conto dell’aumento della dispersione scolastica3. Anche questo non è un fenomeno nuovo, e ciò che la pandemia ha fatto è stato di sottolineare una fragilità e un bisogno, talvolta non esplicitato, dei giovani, che già era presente e che è ancora più urgente guardare con attenzione e affrontare seriamente.

Allo stesso tempo, nella tradizione di educatori come Maria Montessori e Mario Lodi, vorremmo coltivare uno sguardo, un ascolto interessati alla diversità, alle risorse specifiche di ciascuna studentessa e ciascun studente. Soprattutto a quelle che richiedono immaginazione e tempi lunghi. Una seconda cornice musicale, a questo proposito, è offerta dai concerti per corno e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart. Non un’interpretazione qualsiasi, bensì quelle in cui il solista è Felix Klieser. Perché Klieser, da virtuoso, suona il corno col piede sinistro. Nella sua famiglia non c’erano particolari attitudini musicali, né si andava mai a un concerto. Quando lo nominò ai suoi genitori, non sapevano nemmeno come fosse fatto un corno. A Gottinga, la città tedesca dove è cresciuto, c’è una sola scuola di musica: quando lo accompagnarono lì, il primo insegnante gli suggerì altri strumenti: il pianoforte o le percussioni. Ma il suono che Felix Klieser aveva in mente era quello del corno. Anche se era nato senza braccia, e quindi doveva posizionare lo strumento su un piedistallo e suonarlo usando le dita del piede. Il suo segreto? «Sono una persona che ama i problemi», dice. «Ho imparato fin da piccolo che i problemi possono essere interessanti» (Jonze, 2023, trad. it. A. Surian). In che misura e con quali declinazioni quest’idea di interesse per i problemi può riguardare la nostra didattica? Poiché l’educazione, come la comunicazione, ha sempre un implicito di circolarità, prendersi cura dell’altro comporta il prendersi cura di noi, come adulte e adulti, come educatrici e come educatori. Per questo siamo partiti dall’ascolto degli e delle insegnanti che hanno scelto di interagire con noi e abbiamo cercato di mettere in luce, percorrendo strade già battute, quanto di generativo sia a disposizione delle scuole, provando a fornire delle risposte “operative” in termini di attività e suggerimenti pratici per costruire spazi significativi di dialogo e comunicazione a scuola. Inoltre, poiché, come ricor-

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In un’indagine condotta da IPSOS per Save the Children pubblicata all’inizio del 2021, il 28% degli intervistati ha affermato che dal lockdown della primavera 2020 almeno un compagno di classe ha smesso completamente di frequentare le lezioni. Il 7% ha affermato che i compagni di scuola “dispersi” a partire dal lockdown sono tre o più di tre.


Introduzione

dava Kurt Lewin (1952, p.69), nulla è più pratico di una buona teoria, esploreremo anche alcuni presupposti teorici che mettono in relazione pensiero narrativo e educazione non violenta. Crediamo che questo continuo interrelarsi di pratica e teoria sia, in particolare, la specificità quanto andiamo a condividere, così come noi viviamo come punto di forza il continuo scambio di punti di vista di professionalità diverse (quello del ricercatore e quello dell’insegnante) di chi ha scritto il testo che avete tra le mani. Tre ci sembrano poter essere gli assi portanti di questo testo: la prospettiva dialogica, le attività in classe, le attività fra insegnanti. Tutti e tre questi assi ci appaiono strettamente interrelati, in quanto lavorare per costruire una comunicazione efficace e inclusiva non può prescindere da un fare (con le parole, con le immagini, anche con il corpo) che “spezzi” la logica mono-logica della lezione frontale e apra al confronto e al dialogo intergenerazionale ma anche tra pari, dove “pari” saranno gli studenti e le studentesse tra loro ma anche gli/le insegnanti. Ecco, quindi, sinteticamente come si articolerà questo testo: a partire dalla ricerca di alcuni nuclei tematici nelle parole degli/delle insegnanti che hanno partecipato alla discussione (capitolo primo) cercheremo di comprendere prima quali piste operative mettere in atto (capitolo terzo), soffermandoci prima su quali cambiamenti ha subito la comunicazione a scuola, in particolare dopo la pandemia (capitolo secondo). Subito dopo vedremo come queste attività possano essere inserite in una prospettiva più ampia di educazione all’ascolto attivo e alla comunicazione efficace e non violenta (capitolo quarto). Infine, ci occuperemo di come creare spazi di dialogo anche tra insegnanti (capitolo quinto): probabilmente anche questo capitolo potrà essere letto in chiave educativa e didattica, e quindi come attività per gli studenti e le studentesse, ma è nostra convinzione che ogni processo educativo sia anche auto-educativo e quindi costruire un dialogo proficuo tra adulti possa essere di riflesso significativo anche per i/le giovani. Ci auguriamo che tanto la condivisione delle “buone pratiche” di chi ogni giorno tenta di costruire spazi di reciprocità, quanto l’indicazione di nuove attività pensate per mettere in circolo saperi ma anche emozioni e vissuti possano essere utili per moltiplicare le possibilità di “fare comunità” insieme, studenti e insegnanti.

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1. Partire dai vissuti: c’è una rete che aiuta a risollevarsi?

1.1. Raccontare il sentire Io penso che potrebbe migliorare la comunicazione in classe aiutare gli alunni ad avere una visione della scuola non come un obbligo ma come un luogo di apprendimento e creazione di persone che un giorno entreranno come parte integrante della società. (A., 18 anni, liceo scientifico a indirizzo sportivo) Non basta essere bravi a insegnare la propria disciplina. Anche con contesti famigliari diversificati tutti apprezzano se il docente riesce a entrare in empatia con loro. (E., insegnante di lettere)

Quando è nata l’idea di questo testo, il progetto che condividevamo era trovare piste operative di pensiero per co-costruire la comunicazione. In una prospettiva dialogica, infatti, la comunicazione parte dalla necessità e insieme dal desiderio di mettere, appunto, in comune qualcosa che è importante per i soggetti che partecipano al processo, e non può, almeno a nostro avviso, essere limitata a stilare una sorta di “manuale di istruzioni per l’uso”. Questo non solo perché i manuali di comunicazione efficace, nonviolenta, e gli approfondimenti sul metodo Gordon4 e sul circle time sono tantissimi, ma perché il testo è nato, come già esplicitato all’inizio, da un problema che molti insegnanti ci hanno riferito come forte e importante: come comunicare in un contesto comunicativo cambiato. Come “adattare” allora le indicazioni teoriche che, seppur brevemente, tratteggeremo, alle problematiche quotidiane di chi vive la scuola ogni giorno? L’idea di partire dai vissuti non è peraltro nuova. A partire dalla nostra esperienza, abbiamo già pubblicato nei Quaderni della Ricerca un testo (Damini, Surian 2017) che, in qualche modo, “anticipava” alcuni dei contenuti di questo e in cui, in una prospettiva di ricerca-azione, proponevamo tec-

4.

Cfr., solo a titolo esemplificativo, il sito “Il metodo Gordon - Psicologia e dintorni”, in cui si illustrano gli aspetti chiave di questo metodo basato in sintesi sull’ascolto attivo, in particolare da parte degli insegnanti verso gli studenti.

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Nel dialogo imparo: attività e strategie per la comunicazione a scuola

niche collaborative come il think-pair-share e il jigsaw per facilitare percorsi che mettessero al centro il tema della diversità (culturale, ma non solo) e la trasformazione dei conflitti in chiave di possibilità di arricchimento all’interno della vita di classe e non solo come “problema” foriero di mancanze da “compensare”. Per questo percorso di ricerca e riflessione ci è sembrato indispensabile cominciare con un focus group5 (ottobre 2021) e poi con interviste brevi individuali nell’anno scolastico successivo. Leggendo le parole degli insegnanti (che abbiamo lasciato “intatte” nel testo, estrapolando alcuni passaggi significativi, pur rispettando la privacy di chi ha parlato) abbiamo cercato di mettere insieme alcuni nuclei ricorrenti astenendoci, per quanto possibile, da qualsiasi interpretazione. Ciò ci ha permesso anche di immaginare una serie di attività che possono, almeno in parte, rispondere – speriamo – a quanto ci è stato sottolineato come nodo critico. La speranza è, tuttavia, quella di immaginare questo Quaderno come un percorso non concluso, aperto a nuove proposte e all’elaborazione di nuovi punti di vista. Al focus group hanno partecipato dodici insegnanti di vario ordine di scuola, mentre l’intervista è stata inviata a un numero più ampio di docenti. Le domande su cui si è concentrata la riflessione sia nel focus group sia nelle successive interviste sono state le seguenti: 1. Come sta cambiando e quali sono le sfide della comunicazione a scuola (tenendo l’attenzione sul rapporto insegnanti-allievi)? 2. Quali strumenti e/o cornici di riferimento ritieni utili, e magari stai già praticando, per promuovere una buona comunicazione? 3. Su quali problematiche senti che non li hai ancora trovati oppure avresti desiderio di qualcosa di più efficace? Nel corso dell’incontro, così come anche nelle interviste successive, non sempre gli insegnanti hanno mantenuto l’ordine delle domande, e ciò ci ha indotto a pensare che siano state effettivamente generative di riflessioni. Dopo aver raccolto le varie risposte, ci è sembrato di cogliere alcuni aspetti fondamentali per generare e supportare comunicazione efficace a scuola. In particolare, vorremmo qui di seguito soffermarci su quattro: - fiducia, relazioni interpersonali e il ruolo di chi insegna;

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Negli ultimi venti anni si è assistito a un interesse crescente per le tecniche di rilevazione dei dati che si avvalgono dell’interazione di gruppo come principale risorsa cognitiva. In questi tipi di tecniche gli attori sociali non sono considerati semplici fonti di informazione, ma protagonisti della ricerca, in grado di elaborare in modo collettivo la visione del fenomeno da indagare. Il focus group può essere quindi definito come un dispositivo per la rilevazione di informazioni che coinvolge un gruppo non troppo ampio (non oltre la dozzina) di persone, in cui chi invita e funge da moderatore invita a condividere esperienze, idee, opinioni. Lo scopo non è quello del discuterle o di cercare di mettersi d’accordo, ma, piuttosto, quello di raccogliere una pluralità di fatti, punti di vista, proposte.


1. Partire dai vissuti: c’è una rete che aiuta a risollevarsi?

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la dimensione della motivazione e dell’interesse; le relazioni fra colleghi; il monitoraggio e la valutazione.

1.2. Le relazioni a scuola Focus group e interviste mettono in evidenza come sia ritenuto importante generare relazioni interpersonali efficaci nello spazio scolastico e come la fiducia sia considerata l’elemento chiave in questo ambito. Da un lato, si osserva che i giovani sembrano averne molto bisogno; dall’altro, che questo aspetto necessita di tempi lunghi e di spendersi in prima persona. Come fa notare A., insegnante di inglese: La cosa più importante è la fiducia, quanto ci si mette in gioco e si è credibili.

Nel contesto di un liceo scientifico, G., insegnante di lettere, guarda alla sua esperienza di insegnamento nel corso del tempo e rileva che: Rispetto ad anni fa in cui non sapevo che pesci pigliare nei confronti di altri colleghi, oggi cerco di lavorare al contempo sulla mia credibilità sia coi ragazzi, sia coi colleghi, cioè saper stare ad ascoltare, nel conflitto, provando a gettare ponti; il cambiamento non avviene perché lo decidiamo.

Il tema dell’ascolto è centrale nelle riflessioni. B., insegnante di lettere, lo mette in evidenza proprio rispetto a un investimento a lungo termine: Mi piace ascoltare e sentire come si confrontano fra loro e con me; il lavoro a lungo termine funziona meglio (lungo i 5 anni) permette di creare rapporto, di stabilire fiducia; dobbiamo essere credibili nel ruolo che abbiamo (mostrando passione per quel che insegniamo); quando ci vedono sicuri in quel che facciamo e c’è tempo per creare relazione si aprono finestre significative per il dialogo (su testi, esperienze, fatti di attualità); con la quinta, lo scorso anno, di fronte alla DaD, li stavo perdendo, erano demotivati: ho aperto una finestra su quel che succedeva nel mondo, un percorso di (educazione civica) con testo argomentativo che gli permetteva di parlare di sé stessi; è importante vederli e ascoltarli.

Per G., insegnante di lettere e formatrice, investire a lungo termine va di pari passo con la condivisione di esperienze e interessi personali, aspetti che permettono di stabilire e rendere visibili nuove connessioni: Quando si lavora più di un anno si crea maggiore facilità nel parlare delle espe-

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Nel dialogo imparo: attività e strategie per la comunicazione a scuola

rienze, nel socializzare parti di sé stessi e questo permette di vedere elementi lontani come pertinenti… anche la letteratura del Trecento.

Al contempo, si tratta di ascoltare e, come mette in evidenza G., di interrogarsi sulla propria capacità di osservazione in rapporto al sentire di chi sta in classe: A volte davvero questi ragazzi non sono visti; avrebbero bisogno di sentire che qualcuno pensi che le prossime verifiche possano essere sufficienti. C’è un modo per potenziare requisiti sulla relazione utili all’apprendimento? Cosa si può fare per migliorare? Va sfatata l’idea che un background culturale medioalto sia facilitante rispetto allo sviluppo: ci sono grandi richieste familiari, ma non necessariamente una base affettiva di supporto.

I modi per praticare osservazione e ascolto riguardano gli atteggiamenti personali e non sono estranei ad alcuna disciplina. M., insegnante di scienze motorie, porta l’attenzione anche sulle relazioni con i singoli studenti e sull’importanza di intuire e cercare tempi e spazi in proposito: Uno strumento utile è l’ascolto delle loro problematiche, soprattutto se fatto individualmente. A volte è sufficiente qualche minuto per comprendere, chiarirsi, confrontarsi. In palestra questa pratica risulta più facile che in classe poiché la lezione non viene interrotta ed è molto efficace anche a scopo preventivo. È importante a volte appuntarsi qualche problematica emersa, così che, anche a distanza di tempo, ci si ricorda di come agire di conseguenza. La difficoltà maggiore è riuscire a trovare un mezzo efficace nei confronti dei ragazzi più problematici a livello relazionale, in particolare verso coloro che tendono ad avere un atteggiamento da leader negativi in classe.

Due dati che vengono rilevati, e con cui confrontarsi, sono i momenti di crisi che affrontano di volta in volta gli studenti, e le risorse che è possibile mettere loro a disposizione. A, insegnante di inglese, riassume con una domanda questo nodo: C’è una rete che aiuta i ragazzi a potersi risollevare quando cadono? Vanno rotti i veli per creare relazioni interpersonali.

Di fronte a questa sfida, chi insegna non sempre sente di disporre di risorse adeguate, per lo meno a livello individuale. M. racconta di sé:

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Insegno inglese; è difficile interagire con le dinamiche adolescenziali; c’è forza emotiva e sensibilità, ma c’è anche bisogno di mettere dei limiti e strutturare capacità di concentrazione.


1. Partire dai vissuti: c’è una rete che aiuta a risollevarsi?

Per N., insegnante di storia e filosofia in un istituto professionale, si tratta, innanzitutto, di sfatare miti e contrapposizioni generazionali per generare dialogo anche oltre il momento della lezione: Mi piace soffermarmi sull’approccio critico: nei giovani c’è ancora la convinzione che il docente sia una generazione “altra”: la dicotomia “nativo digitale vs no” amplia il divario. Colmarlo li rende più partecipi. Nei professionali, nei percorsi di potenziamento, quando mi chiedono cosa insegno, dico sempre che non è importante: è importante il ragionamento che si fa insieme, la credibilità e utilità della narrazione (sia come sapere pratico, sia teorico), qualcosa che possa far parte di sé; trasmettere in modo pratico che la scuola è il più grande investimento che si possa fare su sé stessi, rimanendo aperti a dialoghi anche fuori dall’aula. L’apprendimento significativo genera curiosità.

Questo richiama un continuo reinventarsi del ruolo del docente, nella consapevolezza anche di come evolve l’idea di “adulto” e delle differenze fra adolescenti e adulti, così come delle responsabilità educative di quest’ultimi, a cominciare proprio da ciò che sollecita la capacità di coltivare uno sguardo informato e critico sul mondo, come evidenzia, in sintonia con N. anche B., insegnante di lettere: È molto cambiata la visione dell’adulto: gioca un ruolo importante la tecnologia. Il ruolo dell’adulto rimane fondamentale rispetto all’imparare a usare le fonti e rispetto al pensiero critico.

1.3. Motivazione e interesse Il divario generazionale si fa sentire nei tempi di attenzione (o meno) riguardo a quanto viene proposto durante le lezioni e questo sembra essere una dimensione nodale che riguarda tutte le discipline, anche scienze motori, come conferma C., insegnante di scienze motorie. Io privilegio comunicazione (psico)motoria. Avrò cambiato modo di insegnare venti volte per restare sincronizzata sul loro modo di pensare con cambiamenti di ritmo della lezione! Ora siamo costretti alla didattica breve; lavoro in modo laboratoriale con momenti pratici e di riflessione, e questa è la parte più faticosa, che riguarda anche autostima e motivazione.

A., insegnante di lingua inglese da 30 anni ritiene che proprio ciò che insegna sia efficace per la relazione con i ragazzi. Sono affascinati da quel che richiama

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Nel dialogo imparo: attività e strategie per la comunicazione a scuola

l’internazionalizzazione, la casa comune globale. È diversa la modalità di relazione nei tecnici (dove l’inglese è funzionale al lavoro); vedo cambiamenti rispetto a vent’anni fa: oggi entrano in contatto con tante fonti di informazione e hanno difficoltà a comprenderle, con nuove forme di relazione con insegnante. Durante il lockdown ho applicato la flipped classroom.

Chi insegna, spesso, rileva difficoltà nel suscitare interesse da parte degli studenti, i quali sembrano sempre più in difficoltà nel decodificare linguaggi letterari, ma anche matematici. La stessa A. osserva: Vedo cambiamenti rispetto a vent’anni fa: oggi entrano in contatto con tante fonti di informazione e hanno difficoltà a comprenderle.

La sua collega M., insegnante di lingua inglese, è preoccupata soprattutto in merito allo sviluppo delle strutture logiche e di pensiero: L’inglese è interessante, ma hanno povertà di linguaggio e di sguardi rispetto a loro stessi e quindi pensano in modo semplificato e ricorrono a stereotipi che generano violenza, sminuendo l’idea che hanno di sé e degli altri; è importante ricondurre quel che si insegna alle loro esperienze; è importante imparare che la lingua è anche “logica”, struttura di pensiero che può essere utilizzata per analizzare fatti.

È d’accordo con lei C., insegnante di matematica e fisica in un istituto professionale, che nota come crescano: passività, povertà di linguaggio e difficoltà a instaurare rapporti; manca interesse e curiosità per gli argomenti scolastici, la scoperta. Qui mi sento un po’ un pesce fuor d’acqua: non posso non star dietro a un giudizio e a un programma rispetto ad allievi che arrivano sempre meno scolarizzati: non sanno usare il metro, concetti e strumenti basilari. Dovremmo dare più stimoli che contenuti, lavorare sulla curiosità almeno nella fase di avvio, almeno un paio di mesi.

Anche chi insegna lettere, come G., fa osservazioni analoghe riguardo alla quantità e varietà delle sollecitazioni didattiche in classe: C’è bisogno di varietà di stimoli; ad esempio, video e immagini: cominciare con lettura di immagini da abbinare a letture riflessive e momenti di condivisione; c’è maggiore complicità con elementi audio (senza la distrazione dell’immagine); ci vogliono tempi più distesi per la lettura (la lettura richiede oggi preparazione); è importante collaborare e delegare rispetto al web. Quel che conta è la condivisione con i ragazzi e che quel che si fa si colleghi con loro. 16


1. Partire dai vissuti: c’è una rete che aiuta a risollevarsi?

Un nodo critico rimanda alla comunicazione con i genitori e ai casi in cui si rileva scarsità di sollecitazioni in casa: lo sottolineano le parole di C., insegnante di matematica e fisica in un istituto professionale: A volte in famiglia mancano gli stimoli.

1.4. Le relazioni fra insegnanti Dove trovo maggiori difficoltà: forse proprio nella condivisione con i colleghi. (A., insegnante di inglese)

Il desiderio e la fatica nel costruire spazi di relazione con colleghi e colleghe a volte appare un’impresa tutt’altro che semplice, anche perché, come dice G.: I colleghi sono “ambivalenti”, offrono sguardi diversi: provo a cavare fuori il buono in ogni situazione possibile.

Purtroppo, come nota G., insegnante di educazione fisica, alcuni colleghi credono che il lavoro di relazione non riguardi i compiti dell’insegnante.

E, quindi, si e ci domanda: come avviene la vostra comunicazione, intendo fra pari, pensando al successo formativo dei ragazzi?

Di fronte a queste difficoltà, c’è chi resta dell’avviso che la ricerca del dialogo collegiale fra insegnanti sia una strada in salita, ma indispensabile per il presente e il futuro della scuola. M., insegnante di inglese in un istituto alberghiero, ha legato più esplicitamente questa dimensione con quella dell’educazione alla cittadinanza, che richiamiamo nel quinto capitolo: Mi sembra importante condividere con i colleghi, anche quelli “più lontani”, soprattutto quel che mette gli studenti in ottica partecipativa. L’educazione civica invita ad affrontare la globalizzazione: va intrecciata con la grammatica, incoraggiando a produrre pensieri e a strutturarli. Ho fatto fare ricerche su XR e le manifestazioni che organizza, su quel che si produce nel territorio (in relazione al cibo, essendo in un alberghiero); c’era una resistenza da parte di colleghe ad aggiungere argomenti, ma offrendo materiali utili (che rimandino ad 17


Nel dialogo imparo: attività e strategie per la comunicazione a scuola

elaborazione attiva da parte degli studenti) può funzionare, specie collegandosi con le pratiche di stage. […] È importante anche saperci staccare dal “libro” e riportare quel che si fa alla vita degli studenti, renderlo significativo.

1.5. Monitoraggio e valutazione: Il recente testo di Cristiano Corsini, La valutazione che educa (2023), smonta una volta per tutte la convinzione che non si possa valutare in itinere senza voti, ed esplora un terreno che sembra ben intersecare le riflessioni di chi ha partecipato al focus group, in particolare quando (a p. 12) definisce la valutazione (soprattutto in chiave di monitoraggio) come «faccenda politica» che distingue pratiche finalizzate ad asservire da quelle che mirano a liberare. In tal senso, si valuta per riprodurre conoscenze e rapporti di potere o per trasformarli (p. 28) e quindi il dialogo viene sempre prima dell’eventuale voto. Come afferma B., insegnante di lettere: Sull’aspetto giudicante e la comunicazione con gli studenti: i ragazzi hanno bisogno di essere valutati, devono uscire pronti alla vita; talvolta manca (sia come condivisione fra docenti, sia nei confronti dei ragazzi) la spiegazione della valutazione: va fatto capire dove e come sbagliano /mancano un traguardo. Non ho teorie, ma ho una pratica: una valutazione condivisa è importante e deve indicare dove e come migliorare: non giudizio, ma indicazione (Io non giudico le idee, giudico la forma; poi delle idee possiamo discutere). Prima del voto, nei compiti di italiano, offro un commento.

Rispetto a relazioni che non vogliono essere giudicanti, il nodo diviene come far diventare monitoraggio e valutazione un mezzo, uno degli strumenti che danno forma a un processo didattico diversificato e complesso. Sullo sfondo ci sono le prove standardizzate e le condizioni che rendono possibile un monitoraggio funzionale al processo educativo: cosa e come valutare? In questo ambito è inevitabile il confronto anche con gli altri gradi del percorso di istruzione. G., insegnante di educazione fisica, lega queste riflessioni a un episodio emblematico: Nella primaria è arrivata la valutazione basata su rubriche. Nelle secondarie di secondo grado il voto è, in genere, ancora ancorato al “programma” (un lutto ancora da elaborare). Cosa significa un voto positivo? Ad esempio, un ragazzo è stato mandato dalla preside per aver reagito in modo 18


1. Partire dai vissuti: c’è una rete che aiuta a risollevarsi?

esagerato (a una professoressa, su un compito di geometria). Gli ho chiesto il suo punto di vista e lui ha risposto: - Mi sono ribellato verso il voto. Ovviamente era insufficiente e io non so cosa devo fare per migliorare. Allora mi chiedo: fra docenti e ragazzi, come avviene la comunicazione?

L’ambito della valutazione sembra, dunque, definire una cornice a monte della comunicazione interpersonale in ambito scolastico e suscita interrogativi complessi, come nel caso di G., insegnante in un liceo linguistico: Non stiamo tutti correndo troppo? L’unico fatto certo scolastico è il “numero congruo di valutazioni”. I ragazzi chiedono, quando c’è relazione, «Dammi un feedback», ma questa dimensione rimanda alla valutazione e al boicottaggio del linguaggio delle competenze. Credo sia importante lavorare sul linguaggio e la giustificazione delle valutazioni sommative, il che implica un lavoro sul linguaggio giudicante nella comunicazione quotidiana.

Quali possono essere le strade percorribili? Per G., insegnante in un liceo linguistico: Insegno dal 2004 e presto molta attenzione alla diversa percezione che i ragazzi hanno della vergogna e del giudizio altrui; con Rosenberg, Rogers, Gordon ho provato a lavorare in questa direzione: da comunicazione valutativa a descrittiva; l’ascolto non può essere formula retorica, richiede tempo, sopportare il silenzio; c’è una predominanza di linguaggi giudicanti.

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QUESTO VOLUME, SPROVVISTO DI TALLONCINO A FRONTE (O OPPORTUNAMENTE PUNZONATO O ALTRIMENTI CONTRASSEGNATO), È DA CONSIDERARSI COPIA DI SAGGIO - CAMPIONE GRATUITO, FUORI COMMERCIO (VENDITA E ALTRI ATTI DI DISPOSIZIONE VIETATI: ART. 21, L.D.A.). ESCLUSO DA I.V.A. (DPR 26-10-1972, N.633, ART. 2, 3° COMMA, LETT. D.). ESENTE DA DOCUMENTO DI TRASPORTO.

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Nel dialogo imparo: attività e strategie per la comunicazione a scuola Questo libro nasce dall’ascolto di un profondo desiderio di trovare sentieri per facilitare il dialogo e la comunicazione significativa a scuola tra insegnanti e studenti e fra “pari”. Raccogliendo l’eredità di educatori come Maria Montessori, Danilo Dolci, Mario Lodi, offre possibilità, a partire dal vissuto di chi abita quotidianamente la scuola, per coltivare uno sguardo, un ascolto interessati a diversità e affinità, alle risorse specifiche di ciascuna studentessa e ciascun studente. Senza pretese di esaustività né di prescrittività, cerca di mettere in luce, percorrendo strade già battute, quanto di generativo sia a disposizione delle scuole, provando a fornire delle risposte “operative” in termini di attività e suggerimenti pratici per costruire spazi significativi di dialogo e comunicazione a scuola. Per fare questo esplora alcuni presupposti teorici che mettono in relazione pensiero narrativo e educazione nonviolenta. La specificità di questo testo sta quindi nel continuo inter-relarsi di pratica e teoria, mettendo a disposizione descrizioni e commenti ad attività operative accanto a una cornice concettuale in cui inserirle, e favorendo uno “sguardo lungo” che, partendo dall’urgenza quotidiana, possa trascenderla e metterla a tema. Questo andare oltre il qui e ora cogliendone insieme problematicità e risorse ci sembra possa essere considerato un aspetto centrale in ogni percorso realmente educativo. Marialuisa Damini è insegnante di lettere di scuola secondaria e insegnante a contratto presso l’Università di Verona. Laureata in Lettere Classiche, ha conseguito il dottorato in Scienze Pedagogiche, dell’Educazione e della Formazione con una ricerca sullo sviluppo di sensibilità interculturale attraverso il cooperative learning. A livello di ricerca e formazione si occupa di tematiche legate all’educazione interculturale, alle competenze e alla didattica in ambito interculturale, al cooperative learning, all’accoglienza degli alunni stranieri in classe. Counselor professionista ed esperta in processi educativi e formativi, lavora da anni con educatrici ed educatori, bambini, adolescenti e genitori con consulenze su tematiche pedagogiche ed educative. Ha all’attivo varie pubblicazioni in riviste specialistiche italiane e straniere. Alessio Surian è professore associato all’Università di Padova dove dirige il CIRSIM, Centro Interdipartimentale di Ricerca per gli Studi Interculturali e sulle Migrazioni e dove insegna dinamiche di gruppo, metodologie partecipative, tecnologie educative. Collabora con i gruppi di lavoro sulle interazioni sociali (SIG 10) e sull’insegnare e apprendere in contesti di diversità culturale (SIG 21) dell’European Association for Research on learning and Instruction (EARLI) e con il gruppo di lavoro su Pedagogie critiche ed educazione popolare del Consiglio Latinoamericano delle Scienze Sociali (CLACSO).

€ 6,80 3890 NEL DIALOGO IMPARO: ATTIVITÀ E STRATEGIE PER LA COMUNICAZIONE A SCUOLA


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