I Quaderni della Ricerca
Filosofi dentro
Un’esperienza di filosofia tra le mura di Lucia Ziglioli
Un’esperienza di filosofia tra le mura di Lucia Ziglioli
Un’esperienza di filosofia tra le mura di Lucia Ziglioli
© Loescher Editore - 2023
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ISBN 9788820139100
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Per L., e per A. e L., con la speranza che crescano con la stessa urgenza di comprendere che ho trovato tra i “filosofi dentro”.
Filosofi dentro racconta l’esperienza di un percorso di filosofia tra scuola e carcere, svoltasi durante l’anno scolastico 2021/2022 presso la casa circondariale di Cremona. Non un percorso comune quello qui riportato, tradizionalmente inteso come corso di lezioni di Storia della filosofia, ma un vero e proprio laboratorio di pensiero e dialogo. A parteciparvi sono stati una quindicina di studenti della casa circondariale e altrettanti studenti di un liceo della città, il liceo Vida. Dopo un percorso di formazione parallelo, studenti “di fuori” e studenti “di dentro” si sono incontrati per fare, insieme, filosofia. Com’è andata, cosa si sono detti, cosa hanno scoperto nei loro scambi è ciò che troverete in queste pagine.
Nato da una proposta dei docenti e della dirigenza del liceo Vida di Cremona, il progetto ha visto nella sua ideazione e realizzazione la collaborazione di diverse parti: i docenti e i membri dell’équipe educativa del liceo, e naturalmente i loro studenti, la casa circondariale di Cremona, il cpia, Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti, che ha, tra i propri compiti, quello dell’istruzione in carcere, la sottoscritta, in veste di curatrice scientifica, e, infine, alcuni volontari, con il loro aiuto preziosissimo alla realizzazione dell’esperienza. Un sentito ringraziamento è in particolare dovuto a Roberta Balzarini, dirigente scolastica del liceo Vida, Samuele Lanzi, Vicepreside del liceo Vida e docente di Storia e Filosofia, Carlo Palazzoli, membro dell’équipe educativa del liceo e filosofo, Rossella Padula, Direttrice della Casa Circondariale di Cremona, Rossella Scatizzi, Funzionario Giuridico Pedagogico e Capo Area Trattamentale, Stefano Bello e gli altri agenti del corpo della polizia penitenziaria, Annamaria Fiorentini, dirigente scolastica cpia, Elena Blasi, coordinatrice referente della casa circondariale di Cremona, Federica Camozzi, laureata in filosofia e insegnante di scuola primaria in pensione, docente volontaria presso la casa circondariale, Elena Zanibelli, dottoressa in Giurisprudenza e docente volontaria presso la casa circondariale.
L’esperienza non sarebbe stata la stessa, soprattutto, senza l’attivo coinvolgimento e l’entusiasta partecipazione degli studenti della casa e del liceo: a loro va il nostro sentito grazie, perché da loro abbiamo imparato molto più di quanto potevamo ambire a insegnare.
Queste pagine ripercorrono le principali tappe del percorso fatto. Occorre partire dai principi e dai valori, metafilosofici, certamente, ma anche, se non anzitutto, etico-politici, che questo progetto ha originato e orientato (cap. 1). Viene poi spiegata la natura dell’intervento didattico proposto, presentato alla luce degli obiettivi formativi posti e delle metodologie impiegate per raggiungerli (cap. 2). Si arriva, quindi, al vero e proprio racconto di quelle giornate: un racconto che si è scelto di narrare due volte, attraverso le parole di chi l’esperienza l’ha progettata e guidata (cap. 3), e quelle di chi l’ha vissuta in prima persona, i ragazzi del liceo e della casa circondariale (cap. 4). Chiudono il lavoro alcune considerazioni sull’esperienza fatta (cap. 5) e i saluti dei ragazzi ai detenuti (Appendice).
Con questo volume si vuole proporre molto di più della cronaca di un’esperienza di Scuola – con la “s” maiuscola a significare quel luogo che è ovunque vi sia costruzione di sapere –, si vuole anche dare testimonianza del valore e del potenziale formativo della filosofia come pratica di ricerca e di dialogo insieme. Una formazione che, in modo spesso inaspettato, agisce non solo sugli studenti destinatari dell’intervento, ma anche sugli stessi docenti, su quei filosofi “professionisti” che l’attività di dialogo e ricerca filosofica hanno progettato e proposto. Questo volume vuole essere, infine, anche l’invito a ripetere esperienze simili in altri luoghi di detenzione e, più in generale, ovunque ce ne sia bisogno e con chiunque sia disposto a prendervi parte, perché c’è un potenziale generativo nell’esercizio filosofico che tutti (adulti e bambini, studenti e lavoratori, cittadini liberi e detenuti) dovrebbero avere l’opportunità, se non forse addirittura il diritto, di provare.
Ad ogni uomo è concesso conoscere se stesso ed essere saggio.
EraclitoFilosofi dentro è stata un’esperienza di pratica filosofica tra una scuola e la casa circondariale della stessa città. È accaduto così che alcuni ragazzi del quarto e del quinto anno della scuola secondaria di secondo grado, su adesione volontaria, siano entrati in carcere per fare filosofia con i detenuti. Era importante per noi dare valore e significato a questo “con”: non si voleva creare una semplice compresenza di studenti della casa e studenti del Liceo, quella sarebbe stata una mera condivisione di spazi, ma non ancora di apprendimento. Nostro intento era quello di proporre agli studenti, della scuola e del carcere, una vera occasione di lavoro e crescita insieme.
È ovvio, per chiunque abbia mai fatto esperienza di insegnamento, che non basta far sedere studenti gli uni accanto agli altri in un’aula per creare un’esperienza di apprendimento condivisa, un’esperienza di formazione insieme. Occorre costruire un ambiente all’interno del quale tutti si sentano accolti, e tracciare un percorso di apprendimento che gli studenti possano riconoscere come significativo per loro. Bisogna anzitutto chiarire loro, e chiarire a noi, le ragioni del nostro essere lì a fare scuola insieme.
Quando si parla di scuola, di formazione o di educazione, è sempre dal fine che bisogna partire, dagli obiettivi formativi. Nel momento in cui si progetta un intervento didattico bisognerebbe anzitutto rispondere alla domanda: che tipo di persona voglio formare? O, più modestamente, che potenzialità voglio dischiudere nei miei studenti? Quali capacità voglio promuovere, esercitare, rinnovare? Domande tutt’altro che semplici, eppure non ancora sufficienti. Una volta chiaritesi le idee rispetto agli obiettivi che si vogliono raggiungere, bisognerebbe poi chiedersi il perché: perché quegli obiettivi formativi e non altri? Perché si ritiene di valore quella precisa abilità o competenza o apprendimento? Ecco, allora, che chi si accinge a insegnare, se lo vuole fare in modo consapevole, prima di entrare in classe dovrebbe affrontare non piccole que-
stioni, a partire da quelle di carattere pedagogico-cognitivo, riguardanti la natura dell’apprendimento nelle diverse età e situazioni, per giungere a quelle di carattere etico e politico, a proposito dell’ideale di persona e di società che con il proprio intervento si vorrebbe contribuire a formare. Non è poco da chiedere a un insegnante di qualsivoglia disciplina, eppure è necessario, perché sono questi principi e valori a dare senso all’intervento didattico.
Da queste premesse generali, raramente dichiarate, molto più spesso lasciate implicite o addirittura irriflesse, solo poi si scende a considerazioni di tipo disciplinare, riguardanti lo specifico contenuto o abilità che con il proprio insegnamento si vuole formare negli studenti e il miglior modo per farlo. Il modo in cui un docente insegna filosofia, o latino o matematica, dipende necessariamente anche dall’idea che ha della materia, dal valore pedagogico e strumentale che le riconosce. Ogni didattica della filosofia, ad esempio, deriva da determinati assunti metafilosofici (di filosofia della filosofia), ossia da una certa concezione della disciplina e da una precisa idea di come essa vada insegnata.
Dopo aver affrontato tutte queste questioni, il nostro o la nostra insegnante può finalmente entrare in aula dove dovrà inevitabilmente farsi carico anche di tutti quei fattori di contesto che, pure, incideranno sull’intervento didattico. Mi riferisco a fattori contingenti, e però non meno rilevanti, relativi alla composizione del gruppo classe, all’età e formazione pregressa degli studenti, o a specifiche situazioni di quel preciso luogo e momento: vi sono bisogni di apprendimento speciali? Dinamiche di gruppo particolari da gestire? Esigenze esterne alle quali rispondere? E così via.
Sono tutti questi fattori, dai più generali e astratti, a quelli più specifici e contingenti, che il docente deve prendere in considerazione, ponderare e chiarire, anzitutto a se stesso, nel momento in cui progetta e propone un intervento didattico, perché sono questi gli elementi che andranno a determinare la natura della sua proposta e, soprattutto, la buona riuscita o meno dell’intervento didattico. Purtroppo, sono considerazioni che non sempre si ha la volontà, il modo o il tempo di esplicitare e condividere, con la conseguenza che l’intervento formativo perde di senso e significato agli occhi stessi di chi lo propone e, inevitabilmente, anche a quelli di chi alla formazione sta partecipando. Non posso, pertanto, non aprire questa cronaca di scuola se non partendo da quei principi e valori che hanno orientato il progetto.
Era riconosciuta tra noi docenti, educatori, e volontari, che a diverso titolo avevamo scelto di contribuire a Filosofi dentro, l’importanza di affrontare quelle domande (che tipo di persona si vuole formare? Quali obiettivi for-
mativi ci stiamo ponendo? Con che tipo di didattica della filosofia? ecc.), far emergere e discutere le posizioni di ciascuno e concordare una linea comune, affinché ci fosse sempre chiaro il senso e la direzione del nostro intervento didattico. Era condivisa in tutti noi la consapevolezza che il fine ultimo e quello più significativo di questa proposta didattica fosse di tipo etico, o forse, meglio, civico, prima che strettamente filosofico o disciplinare. Si voleva dare agli studenti, sia a quelli di “dentro”, detenuti della casa circondariale, sia a quelli di “fuori”, i ragazzi del liceo, un’occasione di lavoro che contribuisse alla loro formazione di cittadini autonomi, consapevoli e responsabili delle proprie scelte future, ma anche di cittadini aperti al confronto critico e al rapporto solidale con l’altro. Tutti valori ispirati dalla nostra Costituzione. Abbiamo inteso questo progetto come un percorso di educazione alla cittadinanza, educazione che – come andrò ora meglio a spiegare – per noi coincideva, anzitutto, con un’educazione alla ragione.
È stato questo ambiziosissimo fine a orientare l’intero lavoro e a determinare la forma della nostra “didattica della filosofia”: una filosofia da noi praticata come esercizio di pensiero e ricerca comune, di dialogo e argomentazione, di analisi e critica del dato. Le due cose, l’ambizione formativa e la precisa idea di didattica della filosofia da noi adottata, si sono sempre accompagnate e legittimate a vicenda in questo percorso, nella consapevolezza, fra noi condivisa, che la metodologia didattica impiegata dovesse sempre essere al servizio del fine formativo, e non viceversa. È lecito, direi anzi doveroso, per il docente intervenire, rivedere, modificare il proprio metodo di lavoro per adattarlo al contesto incontrato, alle specifiche esigenze dei propri studenti. È alla loro formazione, non alla metodologia didattica, che bisogna essere fedeli.
Ora è questo nesso tra finalità formative che ci eravamo posti e la didattica della filosofia adottata che è importante esplicitare e chiarire. Non si riuscirebbe a cogliere appieno il senso di proporre un laboratorio di filosofia tra una scuola e il carcere se non si fossero colti il fine e la natura dell’azione didattica in questione.
L’idea di filosofia alla base di questo progetto risale agli albori della disciplina stessa, sin dalla tradizione presocratica. È l’idea di filosofia come pratica o esercizio del pensiero. Un esercizio non fine a se stesso o per il solo piacere della
sfida intellettuale, comunque presente, ma finalizzato a uno scopo preciso: quello della conoscenza. La filosofia, potremmo riassumere, è anzitutto intesa come ricerca razionale del vero. La conoscenza del vero è la meta ultima, quella più ambiziosa, alla quale la ricerca filosofica tende. Ma quand’anche, a seconda dell’oggetto in esame, non fosse possibile giungere a un sapere certo o quest’ultimo fosse un obiettivo sempre perfettibile, fare filosofia, per chi scrive, significa impiegare la nostra ragione per giungere a una migliore comprensione del dato, a una migliore comprensione della questione affrontata . Tutto può essere oggetto della ricerca filosofica, qualsiasi aspetto della nostra realtà ed esperienza: non vi è fenomeno o problema che non possa essere fatto oggetto di investigazione ed esame razionale, da soli e con altri.
Fare filosofia implica per prima cosa il “vedere” il problema, la situazione che richiede di essere compresa, e di essere fatta oggetto della nostra ricerca. Quindi, l’indagine filosofica lavora per elaborare e definire gli strumenti concettuali necessari alla comprensione di quella questione.
Se questo è ciò che la filosofia fa, insegnare filosofia significa allora, anzitutto, instillare nel giovane (o meno giovane) il desiderio per la conoscenza del vero, per la ricerca di una comprensione delle cose. Significa, in secondo luogo, esercitare gli studenti a scorgere nella loro esperienza e realtà quegli aspetti che sfuggono alla comprensione, a riconoscere il proprio non-sapere qualcosa, esercitarli a individuare problemi, nodi, tensioni nelle proprie opinioni o in quelle altrui laddove prima non li vedevano. Senza questa urgenza a comprendere, a conoscere, senza il riconoscimento di un problema, di una domanda che chiede risposta, non vi può essere spinta al sapere, alla ricerca, alla riflessione. Attraverso l’insegnamento della filosofia e la sua pratica, si dovrebbero, infine, fornire anche gli strumenti necessari a una tale ricerca. Comprendere qualcosa richiede, fra l’altro, di saperne delineare i confini, riuscire a scorgerne le varie sfumature, farne emergere assunti impliciti, e individuarne le possibili implicazioni. Qualche filosofo direbbe che si comprende veramente qualcosa quando se ne possiede la definizione, il concetto.
Per fare tutto ciò, il pensiero filosofico impiega una serie di strategie cognitive: dalla problematizzazione del dato alla sua analisi, l’esame concettuale, la critica, la capacità di astrazione e di connessione del particolare all’universale. Si avvale naturalmente anche di strategie argomentative. La parola, infatti, è strumento imprescindibile di pensiero, è pensiero che prende forma nel linguaggio e si rende riconoscibile e condivisibile ad altri attraverso di esso. La ricerca, filosofica come scientifica, richiede non solo esercizio cognitivo individuale, ma anche capacità di espressione e argomentazione del
proprio pensiero, e capacità di ascolto, comprensione e valutazione dell’argomentazione altrui. Insegnare filosofia dovrebbe significare insegnare tutto questo: dalla problematizzazione del dato, al fare ricerca insieme, per giungere a un sapere razionale e giustificato. Ecco perché l’insegnamento della filosofia può essere inteso come una forma di educazione alla ragione.
Per chi si accinge al mestiere di insegnare filosofia si aprono a questo punto alcune questioni fondamentali: come si educa alla comprensione? Come stimolare la ricerca, la problematizzazione, l’analisi e il giudizio? O, ancora: come favorire un confronto costruttivo con l’altro, utile ad accrescere il nostro sapere?
Ci si chiede quali strumenti e metodologie impiegare per insegnare una certa abilità e, non da ultimo, come misurare l’impatto di un tale intervento formativo. Sono tutte domande che cercano risposta nella progettazione e sperimentazione delle diverse impostazioni didattiche e strategie operative.
Prima di affrontare tali questioni, però, vi è un’altra domanda alla quale rispondere: chi vogliamo introdurre alla pratica filosofica? Chi vogliamo (possiamo?) educare alla ragione? È una domanda che interpella non solo i filosofi, o gli insegnanti di filosofia, ma la comunità tutta, perché è una domanda che chiama in causa il nostro ideale di persona e di società. Stabilire a chi insegnare a filosofare significa, infatti, decidere a chi – e se solo ad alcuni – fornire strumenti che l’aiuteranno nella comprensione del reale e di se stesso.
Bisogna riconoscere che la tradizione filosofica, nel corso della sua storia, non è sempre stata aperta e inclusiva su questo specifico tema, al contrario: l’insegnamento della filosofia a lungo è stato prerogativa di pochi, pochissimi. Per molto tempo le classi popolari sono state escluse dal privilegio di essere educate alla filosofia, per non parlare di donne o bambini. È solo negli ultimi decenni che la situazione ha iniziato lentamente a cambiare.
Eccezioni all’elitismo che per lo più ha caratterizzato l’insegnamento filosofico ve ne sono state. Una fra tutte fu Epicuro, fra i pochi filosofi antichi che aprì la sua scuola anche a donne e schiavi. E proprio Epicuro sosteneva che mai si è troppo giovani o troppo vecchi per filosofare, perché fare filosofia, per lui, coincide con la ricerca della felicità, ricerca che dovrebbe essere diritto di tutti1. La questione didattica, evidentemente, assume una di-
mensione etica e politica, ne va dei diritti di ogni uomo: il diritto alla ricerca della felicità, direbbe Epicuro, il diritto ad avere tutti gli strumenti per comprendere se stessi e il proprio mondo, a realizzarsi come soggetti autonomi e razionali, diremmo noi. Se la didattica della filosofia si prefigge come obiettivi formativi quelli dell’esercizio di alcune fondamentali abilità cognitive e argomentative, oltre alla promozione della consapevolezza di sé e della motivazione all’apprendimento, non si vede perché queste risorse debbano essere appannaggio di pochi. L’esercizio del pensiero e della parola non sono di pertinenza esclusiva di alcune professioni specifiche, o di alcune categorie di cittadini. Qualsiasi persona, a prescindere dalla scelta professionale e di vita, dovrebbe poter avere la possibilità di esercitare e migliorare la propria capacità di lettura di sé e del mondo, dovrebbe poter fare esperienza di un pensare filosofico, un pensare, come sopra lo abbiamo descritto, che non dà nulla per scontato, che cerca di chiarire i concetti impiegati, gli assunti e le implicazioni di una tesi.
Questo è il presupposto generalmente condiviso ed esplicitato da chi si impegna oggi in iniziative di filosofia pubblica o Public Philosophy: l’insieme di pratiche volte a utilizzare l’esercizio filosofico come strumento di formazione della persona di ogni età e condizione; una filosofia per e con tutti, appunto. Molteplici sono le strategie utilizzate e il tipo di iniziative proposte, a partire dai Cafè Philò, salotti di discussione per piccoli o medi gruppi, sino a grandi eventi, come i festival della filosofia, o i prodotti sempre più popolari di libero accesso a contenuti filosofici, come i podcast, video animati, riviste dedicate. Nei confronti della filosofia pubblica c’è sempre maggior attenzione, anche da parte della filosofia accademica 2 . La questione è sì metafilosofica, riguardante ossia la natura e il compito che si riconoscono alla filosofia, ma è anche e anzitutto etica e politica. Significa prendere posizione rispetto a questioni relative a quelli che definirei “diritti epistemici”: riteniamo che tutti abbiano diritto ad accedere alle stesse risorse epistemiche, cognitive, o solo alcuni? E se solo alcuni, a quali categorie di cittadini daremmo questo diritto e per quali ragioni?
2. La Public Philosophy, filosofia pubblica, è un movimento volto a riportare la pratica del dialogo e della ricerca filosofica nella società. Per un tentativo di definizione della filosofia pubblica rinvio a un mio pezzo: L. Ziglioli, What Public Philosophy is, and why we need it more than ever, in “Psyche.co”, Aeon, 18 January 2022, https://psyche.co/ideas/what-public-philosophy-is-and-why-we-need-it-more-thanever. Per saperne di più di questo fenomeno e delle sue varie forme segnalo il recente compendio: L. McIntyre, N. McHugh, I. Olasov (eds.), A Companion to Public Philosophy, Wiley-Blackwell, New York, 2022.
La nostra personale risposta, chiara e condivisa da tutte le parti che a vario titolo hanno partecipato a questo progetto, è che tutti hanno diritto di accesso all’educazione, compresa quella filosofica. Tutti, indipendentemente dall’età, formazione e storia di vita, dovrebbero poter aver accesso a una migliore comprensione di se stessi e della realtà che abitano. E posto che questo sia il compito della filosofia, ecco allora che apprendere filosofia, intesa come esercizio e pratica della ragione, non dovrebbe essere privilegio di pochi studenti di liceo – com’è ora in Italia –, ma prerogativa di tutti i cittadini, di ogni età e condizione3. Con molte altre iniziative che portano la filosofia al di fuori delle aule scolastiche e universitarie, questo progetto di “filosofia tra le mura” condivide l’assunto che il pensare filosofico non debba essere prerogativa esclusiva di alcuni rispetto ad altri: a ogni uomo, donna, bambino, anziano dovrebbe essere concessa l’opportunità di esercitare la propria capacità di pensiero, di comprensione razionale e di parola. La proposta Filosofi dentro si inserisce quindi all’interno del più ampio orizzonte della filosofia pubblica così intesa.
Non di minore importanza, chi ha pensato e proposto questa iniziativa condivide anche la convinzione che il pensiero filosofico, così come lo abbiamo descritto, non sia spontaneo nell’essere umano, ma necessiti di opportuna formazione ed esercizio. Lavorare per portare la filosofia a tutti non vuol dire sostenere che chiunque sia immediatamente in grado di pensare filosoficamente: questo significherebbe disconoscere la specificità del lavoro filosofico e la complessità delle strategie epistemiche e argomentative fatte agire. La pratica della filosofia richiede preparazione ed esercizio, e proprio per questo va proposta e continuamente esercitata a tutte le età. Si ritiene, tuttavia, che sia una pratica alla quale tutti dovrebbero avere la possibilità di accedere. In questo senso la filosofia riscopre la propria dimensione pubblica e si fa proposta formativa che esce dalle aule del liceo e accademiche per arrivare alle scuole di ogni ordine e grado e alla società tutta.
Con Filosofi dentro, la didattica della filosofia è entrata anche nelle aule delle carceri. Vi è entrata in un modo del tutto particolare, che andrò ora a raccontare. Da qui in avanti, la teoria si fa da parte e lascia spazio alla pratica, alla concreta azione didattica, con tutte le sue incrinature, piccole o grandi deformazioni, exploit inaspettati e continue rivelazioni.
In Italia vari appelli sono stati fatti all’estensione dell’insegnamento della filosofia dai licei alle altre scuole di ogni ordine e grado. La filosofia è entrata in varie forme, attraverso sperimentazioni e progetti, negli istituti tecnici e professionali, così come nei gradi inferiori della scuola, a partire sin dalla scuola dell’infanzia, ma al momento in cui scrivo alcuna riforma strutturale è prevedibile in questo senso.
Filosofi dentro racconta di un’esperienza di filosofia svoltasi presso la casa circondariale di Cremona. Per alcune settimane una quindicina di detenuti e altrettanti studenti e studentesse del liceo Vida di Cremona si sono incontrati per fare filosofia. Insieme, studenti “di dentro” e studenti “di fuori”, hanno discusso e ragionato di cosa vuol dire “fiducia”, “bellezza” e “felicità”. Soprattutto, hanno condiviso i loro mondi, i loro modi di essere e di pensare. Nel confronto, sono cresciuti tutti. Il lavoro fatto, le ragioni che lo hanno mosso, e i risultati ottenuti vengono presentati in queste pagine. È un racconto, quello qui proposto, a più voci. Alla narrazione dell’autrice, si intreccia la parola e la testimonianza dei diretti protagonisti, riportata senza abbellimenti ocorrezioni. Si ambisce, così facendo, a portare fuori ciò che è accaduto dentro, e a dare loro nuovamente voce.
Filosofi dentro vuole, anche, offrire una testimonianza dell’enorme potenziale formativo della filosofia, intesa come esercizio di dialogo e pratica di riflessione da condursi insieme. Un potenziale generativo di significati e di comprensione di sé e del mondo, ma anche di nuove domande e di continua ricerca al quale chi scrive ritiene che tutti dovrebbero avere l’opportunità di accedere, a prescindere dall’età, professione e condizione di vita.
Lucia Ziglioli ha conseguito il dottorato di ricerca in filosofia presso l’Università degli Studi di Pavia nel 2012. È stata Visiting Researcher presso l’Università di Oxford, l’Università di Clermont-Ferrand e l’Istituto di Studi Filosofici di Napoli. Negli ultimi anni ha maturato l’interesse per la didattica della filosofia e la pratica filosofica con un pubblico di non specialisti. Oggi cura e gestisce FilosoficamenteLab, iniziative di filosofia pubblica e laboratori filosofici per le scuole e la società. Di queste esperienze, delle ragioni che le motivano e dei risultati prodotti, scrive in diverse sedi.