Giovanni Pascoli
La forma della poesia
Figure di significato, di suono e di costruzione
264
L’assiuolo Il motivo conduttore di questa poesia di Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, Forlì, 1855 – Bologna 1912; p. 304) è il canto lamentoso dell’assiuolo, un uccello notturno che la tradizione popolare considera simbolo di tristezza, di una vita dolorosa che si protende verso la morte. Il testo si presta a un’analisi delle figure retoriche non solo di significato, ma anche di co-
struzione e di suono, per la fitta trama di rimandi sonori che, pur nello scenario di una notte apparentemente serena, suscitano nel cuore del poeta un senso di angoscia e di dolore interiore. Prima ancora di svolgere gli esercizi ti chiediamo di confrontare il testo con la parafrasi e con le note, per avere ben chiari i contenuti letterali della lirica. PARAFRASI
5
10
15
20
Dov’era la luna? ché il cielo notava in un’alba di perla, ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla. Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiù; veniva una voce dai campi: chiù...
Dov’era la luna? poiché il cielo nuotava (era immerso) in una luce perlacea come quella dell’alba, e il melo e il mandorlo sembravano tendersi verso l’alto per vederla meglio. Da un cumulo di nubi nere e lontane venivano bagliori di lampi, dai campi veniva una voce: chiù.
Le stelle lucevano rare tra mezzo alla nebbia di latte: sentivo il cullare del mare, sentivo un fru fru tra le fratte; sentivo nel cuore un sussulto, com’eco d’un grido che fu. Sonava lontano il singulto: chiù...
Le stelle risplendevano qua e là in mezzo al biancore diffuso e lattiginoso della nebbia: sentivo il suono cullante [della risacca] del mare, sentivo un fruscio tra i cespugli; sentivo nel cuore un sussulto, che era come l’eco d’un grido di dolore provato in passato. In lontananza risuonava quel singhiozzo: chiù.
Su tutte le lucide vette tremava un sospiro di vento: squassavano le cavallette finissimi sistri d’argento1 (tintinni a invisibili porte che forse non s’aprono più2?...); e c’era quel pianto di morte... chiù...
Su tutte le cime degli alberi illuminate dalla luna spirava un soffio di vento che le faceva tremolare: le cavallette frinivano, emettendo un suono acuto e sottile simile a quello dei sistri d’argento (erano tintinni di fronte a porte invisibili che forse non si apriranno più?); e c’era quel pianto luttuoso: chiù.
G. Pascoli, Poesie, Milano, Mondadori, 1968
1. sistri d’argento: nell’antico Egitto era praticato il culto della dea Iside, durante il quale i sacerdoti suonavano i sistri, antichi strumenti musicali; attraverso
queste cerimonie la dea prometteva la risurrezione dopo la morte, aprendo di nuovo le porte dell’aldilà. 2. porte… s’aprono più: le invisibili por-
te della morte non si apriranno più per restituire i defunti alla vita. Pascoli non ha fiducia in una possibile risurrezione.