Donne in Carcere. Ricerche e progetti per Rebibbia

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Indice

6 8 Introduzione

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Ricerche

Carcere e approccio di genere Anna Maria Giovenale

Per un'intima socialità dell'architettura detentiva Orazio Carpenzano

Donne e carcere. Ricercare per abilitare gli spazi Francesca Giofrè, Pisana Posocco

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Rebibbia. Guida per architetti

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Abitare in carcere. La cella e lo spazio tra le celle

Progetti

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Letizia Gorgo

Donne detenute. Istituzioni, processi e spazi alla ricerca del benessere Francesca Giofrè

Pisana Posocco

Sezione Orchidea. Abitare lo spazio Francesca Giofrè, Letizia Gorgo, Pisana Posocco


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Modulo M.A.MA. Spazio per l'affettività

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Ripensare gli spazi della detenzione femminile.

Pisana Posocco

Sperimentazioni dal laboratorio di tesi di laurea Francesca Giofrè, Letizia Gorgo, Pisana Posocco

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User experience design nei contesti carcerari Loredana Di Lucchio

Architettura della redenzione. Ripensare il carcere. Ripensare Rebibbia Ettore Barletta

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Appendice normativa. Carcere e architettura

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Bibliografia ragionata

a cura di Alvise Porcù e Silvia Talini

a cura di Letizia Gorgo


Per un'intima socialità dell'architettura detentiva Orazio Carpenzano

P

unire non può in alcun modo significare andare contro al senso di umanità e ogni pena inflitta dalla giustizia deve tendere alla rieducazione del condannato. La nostra Costituzione lo dice forte e chiaro. I progetti di accompagnamento alla rieducazione necessitano di idee, visioni e buone pratiche, ma anche di procedure che facilitino questo tipo di azioni, che andrebbero concepite in accoppiamento strutturale con gli spazi di cui le carceri dispongono, spesso obsoleti e privi di ogni equa o accettabile misura sia in senso ideale che in senso dimensionale. Prima di ogni cosa occorre pensare allo spazio vitale, quello che ritma la prossimità e garantisce ai corpi di modulare il movimento, le relazioni, le forme dei riti individuali e collettivi, soprattutto quando l'unità di azione e di luogo conforma un tempo ripetuto dove alcune condivisioni forzate hanno effetti nocivi, non solo sulla qualità della socializzazione ma anche per l'individuo. Le persone, non scordiamolo mai, hanno bisogno di socialità ma anche di una dimensione intima, per ripensare e ritrovare un nuovo senso della comunità, del lavoro, dei rapporti familiari, dello studio, dei sentimenti. Insomma, porre in condizioni umane i detenuti giova alla salute psicofisica degli stessi e ostacola tutto ciò che contribuisce a deprimere lo spirito. 8

Quanti castelli, monasteri, palazzi nobiliari hanno funzionato come prigioni; e quanti architetti si sono cimentati nella progettazione delle carceri non appena (dal Rinascimento in poi) questa tipologia assunse un posto di rilievo nell'architettura civile della città, da Vitruvio a Scamozzi a Leon Battista Alberti a Carlo Fontana e Ferdinando Fuga, fino ai nostri giorni con Ridolfi, Michelucci e Lenci che, per questo, fu attaccato barbaramente da un gruppo terroristico di Prima Linea. Il cinema ha narrato poi molte storie di ambientazione carceraria che, con obiettivi anche molto differenti tra loro, hanno cercato di raccontare uno spaccato di verità sulla vita detentiva, sulle difficili condizioni della realtà quotidiana di centinaia di persone in spazi che possono condurre alla depressione e alla follia, per denunciare una situazione che di fatto costituisce, da molto tempo ormai, una grave emergenza. Le carceri sono l'emblema di una società, delle sue paure; sono il riflesso dello spessore delle sue crisi e del suo senso di giustizia. Ma quello che inquieta maggiormente è che lo spettro delle categorie colpite dal grado di densità della repressione (che ricordiamolo sempre, è una variabile culturale) è in continua espansione così come le leggi volte a limitare la libertà delle persone, spesso in nome di una astratta idea di ordine e di sicurezza. Ripensare il Per un'intima socialità dell'architettura detentiva


«Pena e controllo sono due categorie inerenti non solo ai suoi aspetti etici e di costume, ma alla stessa forma della città. Da qui dobbiamo ripartire, se vogliamo indagare il rapporto profondo che lega il carcere alla città. Ogni rapporto esiste in quanto ognuno degli elementi ha bisogno dell'altro per esistere o per confrontare la propria identità. Forse per questo ritengo che l'attuale tendenza della città ad allontanare da sé i luoghi della pena non rappresenti una evoluzione in positivo della sua capacità di convivere con la devianza, quanto un tentativo di rimuovere dal proprio corpo tutti i problemi che ritiene deturpanti la sua immagine convenzionale. Una tendenza che per altro è confermata dal modo in cui cerchiamo di allontanare da noi gli ospedali, perché non ci ricordino la malattia e la morte». Giovanni Michelucci, 1985

sistema carcerario, anche rispetto al mondo femminile, diventa allora un dovere civile ripartendo proprio dall'architettura, dalle sue prerogative qualitative, dagli ambienti interni ed esterni disegnati per favorire il processo di recupero dei detenuti e per promuoverne la ri-socializzazione, attraverso quel risveglio di fiducia della persona nei confronti della comunità secondo forme di mutuo rispetto. Lavorare sul tema del carcere, soprattutto nella sua dimensione spaziale, coinvolge la politica, la società, l'economia, la psicologia, perché il disegno dello spazio della vita, lo sa bene l'architettura, non è solo una questione di metri quadri, soprattutto quando il compito è quello di assegnare un senso e una forma alla privazione della libertà personale. Da questo significato dipende l'idea di carcere e la sua eventuale inclusione nel corpo urbano che invece lo vuole espellere sia dalla civitas che dall'urbs. Appare evidente che l'architettura penitenziaria, intesa come sistema strutturale e modello funzionale/distributivo della comunità segregata, non può prescindere dall'acquisire una serie di informazioni sull'evoluzione dell'architettura giudiziaria soprattutto quando questa è stata tradizionalmente improntata sul modello maschile. Esattamente quello che tenta di fare questo libro di Francesca Giofrè e Pisana Posocco, che presenta una ricerca sulla Orazio Carpenzano

Casa Circondariale femminile di Rebibbia Germana Stefanini dove ci sono circa 300 (fine agosto 2020) donne detenute. Una ricerca per capire il carcere e soprattutto tentare di mettere in campo strumenti d'intervento progettuale, considerando anche la specificità di genere. La separazione fisica della prigione dal tribunale ha storicamente segnato lo sviluppo di un'architettura penitenziaria (altrimenti definita improvvidamente edilizia penitenziaria), con conseguenze utili sul piano funzionale e tipologico. Ma questo fatto ha generato una progressiva alienazione del carcere dal contesto civile, tanto che ancora in recentissime elaborazioni di programmi urbanistici viene teorizzata la famigerata delocalizzazione degli istituti dal centro cittadino, incoraggiando la dismissione di strutture situate nelle zone centrali. Ecco, questo contraddice fortemente la spinta riabilitativa di cui parlavo prima e tutte le regole più avanzate in materia penitenziaria ispirate dall'idea di forti legami tra il carcere e lo spazio collettivo della città; un legame attraverso cui provare ad aprire la cella verso luoghi intermedi di libertà per rischiare con fiducia a intraprendere livelli più attenuati di sorveglianza; per indurre le persone e le donne, in particolare, a portare fuori le proprie potenzialità e riorientare la propria esistenza. Roma, 25 settembre 2020

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Introduzione

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Donne e carcere. Ricercare per riabilitare gli spazi Francesca Giofrè Pisana Posocco

G

alera, carcere, istituto penitenziario tutti termini che individuano spazi che configurano istituzioni totali nelle quali le persone che hanno contravvenuto alle leggi dello Stato devono scontare una pena. Questo deve avvenire nel rispetto dei principi di umanità. Pena che, secondo il dettato Costituzionale, deve garantire non solo la ‘punizione’, ma la riabilitazione e il successivo re-inserimento sociale della persona rea. Il termine carcere, nella lingua italiana, ha le sue radici etimologiche nella lingua latina con il significato di recinto e la stessa radice del verbo latino coercere, dunque cingere, circondare, restringere, reprimere; nella sua accezione corrente il carcere indica il ‘luogo in cui vengono rinchiuse le persone private della libertà personale per ordine della autorità competente’ (Devoto G., Oli G.C.). Il carcere come luogo di limitazione delle libertà individuali e dunque del controllo, in cui le persone ree devono scontare la pena che in quanto tale è descritta dalle seguenti caratteristiche: afflittività, intesa come privazione o diminuzione di un bene individuale; personalità, in quanto colpisce la persona rea; legalità, la sua applicazione è disciplinata dalla legge e proporzionalità in quanto proporzionata al reato commesso.

In Italia, al mese di luglio 20201, l'intera popolazione carceraria è pari a 53.619 persone, ospitate in 189 istituti di varia natura che hanno una capienza regolamentare di 50.558. Questi dati fanno riflettere sull'importanza di riportare all'attenzione della società tutta il tema del carcere nelle sue diverse articolazioni e declinazioni. Il libro, risultato della ricerca finanziata dall'Ateneo Sapienza Università di Roma nell'anno 2018, vuole fornire un contributo nel riaprire il dibattito sull'importanza del tema ‘architettura e carcere’ da tempo dimenticato, e su come il progetto degli spazi ristretti possa svolgere anch'esso un ruolo chiave nel processo di riabilitazione e risocializzazione cui è chiamato il carcere nelle sua principale finalità. La ricerca, sostenuta da fondi pubblici, si è messa a servizio della ‘cosa pubblica’ nel tentativo di generare un circolo virtuoso di carattere politico, sociale e culturale, per cambiare un paradigma consolidato che vede la materializzazione dell'istituzione carceraria nella sua unica dimensione di ‘edilizia’ e non di ‘architettura’. Il tema delle carceri infatti, nella sua accezione più ampia, non è stato oggetto di studi architettonici se non da parte di pochi ricercatori, a differenza di quello è avvenuto nel tempo per

1. Fonte: “Detenuti presenti e capienza regolamentare degli istituti penitenziari” al 31 luglio 2020 rilevazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria , ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato.

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Donne e carcere. Ricercare per riabilitare gli spazi


altri tipi di edilizia come quella sanitaria, anch'essa istituzione totale. La ricerca si è concentrata sui luoghi di detenzione di quella che è definita una minoranza carceraria, ovvero le donne. Esse, in linea con i dati europei, sono circa il 4,0% – 4,5% dell'intera popolazione carceraria. A conferma di quanto scritto e per avere un parametro di riferimento, a luglio 2020 in Italia, le donne detenute erano 2.248, ovvero il 4,2% dell'universo carcerario. Il perché le donne delinquano meno è stato oggetto di diversi studi e interpretazioni, inoltre è stata riconosciuta da diverse ricerche una differenza di genere nel modo di vivere ed avere cura dello spazio ristretto. Quale minoranza carceraria le donne detenute hanno avuto ed hanno meno possibilità in termini di spazi – pensati solo per gli uomini – attività di reinserimento etc., come descritto nel libro. Merita qui ricordare a tale proposito che da diversi anni è in atto un dibattito, nato negli Stati Uniti e nel Regno Unito, che affonda le sue ragioni su quanto prima scritto – numero esiguo di donne detenute e condizioni svantaggiose rispetto agli uomini – per sostenere l'abolizione del carcere femminile2.

Obiettivo generale della ricerca è la messa a punto di strumenti di indirizzo per la rifunzionalizzazione di alcuni spazi prioritari per la vita delle donne detenute. L'assunto di fondo della ricerca è che anche il carcere merita progettazione e che l'adeguatezza degli spazi incide sul comportamento e la vita dei diversi utenti, prima tra tutti le persone detenute. Il valore culturale e sociale dunque che viene dato al carcere ha delle dirette ricadute sulla sua configurazione spaziale, usabilità e funzionalità. Il patrimonio carcerario è spesso considerato edilizia e non architettura. La ricerca, nel suo assunto di fondo, ribalta un concetto fortemente radicato: il carcere non deve essere visto solo come luogo di segregazione, ma come luogo di vita, seppure in uno spazio confinato. La prigione è un luogo dell'abitare, della riabilitazione e della socializzazione. La ricerca si è posta l'obiettivo non tanto di produrre nuove proposte teoriche per nuovi modelli di carceri, quanto piuttosto di ragionare sull'esistente e formulare strategie compatibili con le possibilità di spesa e con gli investimenti che in questo momento in Italia

2. O'Briel, P., “Chiudere le carceri femminili, parliamone”, in «Il Post 2014», disponibile in https://www.ilpost. it/2014/11/09/chiusura-carceri-femminili/; Kushne, R., “Perché è giusto abolire il carcere”, in «Internazionale 2019», disponibile in http://www.ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=79771:perche-e-giusto-abolire-il-carcere&catid=220:le-notizie-di-ristretti&Itemid=1.

Francesca Giofrè, Pisana Posocco

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2140.0

Casa Circondariale femminile di Rebibbia, planimetria della così detta ‘casetta delle suore’ con evidenziata la sezione Nido

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Abitare in carcere. La cella e lo spazio tra le celle


potrebbe rappresentare per i bambini. Gli spazi cucina non sono di libero accesso a tutte le donne del reparto: per i bambini il pranzo è preparato da alcune di esse23 e servito ai piccoli dalle madri in locali appositi. Questa separazione è stata prevista per poter fornire ai bambini un menù specifico, studiato sulle esigenze legate all'età. Le madri mangiano poi separatamente, il loro cibo arriva dalla cucina che serve tutta la casa circondariale. Le donne detenute hanno a disposizione, negli spazi comuni, una piastra da utilizzare per prepararsi il the o il caffè. Inoltre se qualcuna di loro ha ottenuto una certificazione specifica può utilizzare la cucinetta interna alla sezione24. Una delle cose che più pesa alle donne detenute è la mancanza di un angolo cottura e l'impossibilità di provvedere al figlio dandogli da mangiare cibi cucinati da loro e legati alle tradizioni di origine. Per valutare lo spazio che abitano è stato chiesto alle donne detenute di valutare la luminosità delle celle. Nelle loro parole l'illuminazione diurna passa da molto buona a media, non poche però ne danno un giudizio negativo o molto negativo. Questo è un dato che va osservato con attenzione, infatti tutte le celle hanno le finestre rivolte a Sud e godono di una bella luce, forse addirittura di un'illuminazione eccessiva, quindi un commento negativo va letto come un riflesso della percezione generale che le detenute hanno del luogo in cui si trovano. C'è oggettivamente da rilevare che, se le stanze sono luminose, le parti comuni, per lo più esposte a Nord o affaccianti verso un piccolo chiostro, godono di una diversa

Assonometria dell'istituto e individuazione del blocco contenente la sezione Nido

illuminazione che è prevalentemente caratterizzata da luce indiretta. Una parte delle domande poste erano volte ad indagare cosa si veda fuori dalla finestra e quanto questo piaccia. Tutte le stanze della sezione affacciano sul giardino aperto destinato ai bambini che è uno spazio molto ben tenuto ed attrezzato in modo tale da essere in tutto simile ad un normale parco giochi. Dagli spazi del corridoio si traguardano i due maggiori blocchi detentivi. Nonostante ciò, il giudizio non è mai positivo: in parte è spiegabile con il fatto che è più apprezzata la possibilità di vedere all'esterno del carcere, in parte perché c'è il desiderio di vedere la città, la gente. Una detenuta dice che secondo lei vedere la vita fuori sarebbe particolarmente importante per il figlio. Le domande che mirano a comprendere le dotazioni delle celle in quanto

23. Il cibo dei bambini viene preparato da una mamma detenuta della sezione Nido che in qualità di lavorante cucina per i bimbi. Le lavoranti vengono scelte in base ad una graduatoria stilata su competenze, data di ingresso in carcere e possesso di titoli o certificazioni (ad es. quella Haccp, idoneità data dal medico del lavoro, ecc.). 24. Le certificazioni per lavorare in cucina sono quelle mediche e quelle previste dalla ASL per le ristorazioni. Pisana Posocco

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entusiasmo dell'uso di questo spazio all'aperto di pertinenza della cella, e di quanto i terrazzini siano importanti nella vita di tutti i giorni in cella. «Il terrazzino è la libertà; d'estate dormi sul terrazzino, stai sul terrazzino, panneggi sul terrazzino, vivi sul terrazzino. Sul terrazzino fai la ceretta, sul terrazzino metti i panni, sul terrazzino balli, sul terrazzino canti, sul terrazzino urli. Il terrazzino è la vita, a Sollicciano il terrazzino è la vita. Con lo specchio leggi il panno degli altri, vedi le chiacchiere degli altri, hai una vita sociale»35.

Poi ci sono piccole cose che le detenute raccontano di aver prodotto per migliorare la loro cella: con la stoffa si possono fare «dei porta carta igienica e delle sacche di stoffa per mettere il phon, il dentifricio, ecc». In alcuni casi nelle celle le borse di stoffa, le shopper, sono utilizzate come armadi tematici: il posto dei libri, il posto delle scarpe, il posto dei vestiti da lavoro. Un racconto particolarmente importante per comprendere come il rapporto con la cella si modifica nel momento in cui la detenuta decide di farlo suo è venuto da una donna che ha voluto parlare della sua invenzione: «io ho inventato i piatti, ho inventato i piatti uno rosso e uno a fiori e li ho attaccati con acqua e farina». Non si era compreso subito quello che ci voleva dire, così le è stato chiesto di spiegarsi meglio. Lei aveva ‘inventato’ la decorazione della cella: i piatti di carta plastificata, uno rosso ed uno decorato, erano stati incollati al muro come si appendono le ceramiche nei tinelli borghesi per abbellire l'ambiente. Parlando dell'arte preistorica Argan,

dopo aver introdotto i disegni rupestri e osservato l'uso di segni analoghi sui vasi o altri oggetti decorati, scrive: «dalla ripetizione e dalla pluralità dei segni nasce la ornamentazione, i segni sono simboli di valore, dunque danno valore alle cose a cui si associano»36. Nel gesto della detenuta non c'era la risposta ad una necessità, il suo era un gesto gratuito che le ha permesso di modificare la sua stanza per renderla più ‘bella’ e maggiormente conforme alle sue esigenze. Nel decorarla le ha dato valore. Per indagare il rapporto con lo spazio comune e le modalità di utilizzo è stato chiesto alle donne un commento sugli arredi presenti, sulle attrezzature che avrebbero desiderio di avere per usare diversamente questi luoghi. Le risposte sono state quasi unanimi: la cosa più gradita sarebbe un divano. Molto apprezzati sarebbero anche dei mobili dove poter riporre giochi e cose comuni. Qualche detenuta vorrebbe una macchina da cucire e anche qui, seppur timidamente, verrebbe richiesta una televisione. Tra i desideri liberamente avanzati – e non suggeriti dal questionario – ci sono: un forno, delle mensole, un piccolo ventilatore o un frigo, l'aria condizionata, attrezzi per fare ginnastica, «un impianto stereo, finestre più basse a portata di persona». Probabilmente uno dei dati più rilevanti, tra quelli emersi dall'indagine svolta, è proprio il giudizio che le detenute del reparto Cellulare hanno dato delle loro celle. Sono per lo più giudizi positivi o molto positivi. Sono dichiarazioni che non ci si aspetterebbe che venissero espresse nei confronti di luoghi entro cui si è recluse, e per molto tempo.

35. Ibidem. p. 92. Con il termine ‘panneggiare’, riportato nel testo, si intende una forma di comunicazione, messa a punto lì, attraverso l'uso di panni. Dai terrazzini si può comunicare anche tra le sezioni maschili e femminili, nascono amori: ci si dà la buonanotte ed il buongiorno, etc. 36. Argan, G., C.; Storia dell'arte italiana, 1968, ed cons. Sansoni Firenze, 1977, vol 1, p. 8. 120

Abitare in carcere. La cella e lo spazio tra le celle


Il ballatoio: lo spazio tra le celle che mette in relazione i vari piani. Foto ©Riccardo Bonanni

Pisana Posocco

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Modulo M.A.MA. Spazio per l'affettività


Le fasi di montaggio. Dal basamento di fondazione, al montaggio della struttura portante, i pannelli, l’inserimento dell’isolante, il ciclo di finitura del volume esterno e la posa in opera degli infissi. Disegni ©G124 Roma

Pisana Posocco

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Lavoro dei detenuti La piccola architettura è stata progettata non solo in funzione di chi la vivrà ma anche di chi ha contribuito alla sua costruzione. Infatti si è pensato il progetto in modo tale che potesse essere, quasi completamente, realizzato nei laboratori esistenti presso le strutture produttive che ci sono negli istituti penitenziari italiani. Questa scelta è stata maturata in relazione al pensiero che questo spazio potesse essere il più utile possibile alle detenute e ai detenuti, sia nell'aiutarli a tessere e conservare le relazioni attraverso incontri, sia attraverso la presenza indiretta all’interno del nucleo familiare durante la detenzione, ovvero essendo capaci di sostenere economicamente i propri congiunti. Questo si può verificare se i detenuti hanno occasioni di lavoro durante il loro periodo di detenzione, infatti tali attività sono retribuite. Per questa ragione si è immaginato un progetto ed un criterio costruttivo che non avessero necessità di lavorazioni specialistiche, né che richiedessero movimentazione di carichi particolarmente pesanti. La costruzione è in legno; si sono usati travi in lamellare, pannelli OSB e pannelli di compensato marino per le finiture, a parete e a pavimento. Si tratta di una forma di prefabbricazione leggera. La struttura portante è realizzata in telai di legno lamellare. Su questa vengono montati dei pannelli, che collaborano con la struttura. Questi sono tagliati, assemblati e lavorati in falegnameria. In opera ci sono state poi due lavorazioni fondamentali: verso l'interno l'inserimento dell'isolante e il fissaggio del compensato marino che poi resterà a vista; verso l'esterno il trattamento

con un materiale che garantisca l'impermeabilizzazione e la definizione del volume. Lo studio della finitura esterna è stato fatto con la collaborazione della Mapei, la quale ha poi supportato la realizzazione del prototipo con una donazione degli dei materiali14. I pannelli hanno tutti un peso contenuto entro i 50 kg in modo tale da poter essere agevolmente movimentati da due persone. Il lavoro di falegnameria, sia quello in officina che quello in situ, è stato realizzato quasi esclusivamente dai detenuti della Casa Circondariale di Viterbo, coordinati dal direttore tecnico convenzionato con l'istituto, Eriberto Berti. Alcune lavorazioni di supporto sono state fatte dalle detenute della Casa Circondariale femminile di Rebibbia. La costruzione del prototipo ha visto coinvolti nella realizzazione i progettisti, oltre ai detenuti e le detenute, e vari agenti della Polizia Penitenziaria che hanno voluto collaborare per le loro specifiche mansioni e tecnici vari convenzionati con i diversi istituti15. Questa occasione di confronto, sia sul piano umano sia su quello tecnico, ha avuto luogo in modo naturale, condividendo la fatica del fare. Tale circostanza ha, via via, permesso rapporti franchi e diretti. All'interno del generale progetto per la realizzazione del modulo M.A.MA. questa congiuntura, che era nata come accessoria, ha poi acquistato un valore speciale. La condivisione del lavoro ha sicuramente dato maggior valore all'opera. I detenuti-falegnami si sono sentiti partecipi del progetto al quale hanno contribuito con soluzioni in corso d'opera ed anche per questo hanno ricevuto un encomio. Il modulo M.A.MA realizzato a Rebibbia è un prototipo: potrebbe, nel

14. Oltre alla Mapei ci sono stati altri sponsor: la Catalano, per i sanitari, e la Mobilnovo, per gli arredi. 15. Un significativo contributo alla realizzazione è stato data da Letizia Gorgo, dottore di ricerca del DiAP e appassionata studiosa di architettura penitenziaria. 186

Modulo M.A.MA. Spazio per l'affettività


Pisana Posocco

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Area formazione e lavoro e la nuova sezione detentiva Riqualificazione dell’esistente Nuova costruzione Simone Ciriello

Il progetto si concentra in particolare sulle sezioni detentive Camerotti e Cellulare e sullo spazio esterno compreso tra esse. Nel primo edificio sono detenute per lo più le donne in attesa di giudizio, mentre nel secondo c’è chi ha una pena definitiva e generalmente più lunga. Attualmente entrambi gli edifici sono dedicati quasi esclusivamente alla reclusione senza la possibilità di avere spazi sufficienti per attività trattamentali a causa dell’emergenza nazionale determinata dal sovraffollamento delle carceri. Gli obiettivi del progetto sono pertanto la rigenerazione degli spazi esistenti e lo studio di nuovi modelli spaziali per la detenzione che garantiscano una reclusione dignitosa che guardi al futuro del detenuto, al suo reinserimento sociale così da evitare un’eventuale recidiva, puntando sui temi della socialità, dell’istruzione e del lavoro. Con l’inserimento di un nuovo edificio e la riqualificazione degli spazi esistenti il progetto prevede una ridistribuzione delle funzioni, concentrando gli spazi per la formazione, il lavoro ed in generale le attività trattamentali al 214

piano terra, con spazi polifunzionali e flessibili e mantenendo invece le camere di pernottamento ai piani superiori, dotando ogni piano di aree comuni e cucina. Al primo piano inoltre è stata progettata una nuova sezione per le detenute ex Art. 21, ossia per quelle donne che svolgono un’attività lavorativa al di fuori del perimetro detentivo. La nuova sezione è dotata di cucina, lavanderia e patii, mentre l’elemento distributivo, pensato come un grande spazio per la socialità, è intervallato da doppie altezze che scandiscono lo spazio. Il nuovo sistema consente una circolazione tra gli edifici più fluida e sicura. Al piano terra del nuovo blocco si è adottato un sistema distributivo doppio tale da poter consentire percorsi primari e secondari, uno ad uso della polizia penitenziaria ed uno per le detenute. In generale lo spazio è pensato anche per soddisfare le necessità degli operatori della polizia penitenziaria, per questo motivo sono stati riconsiderati tutti gli spazi ad essi destinati e inserita una fascia di uffici all’ingresso in modo tale da funzionare come filtro tra ingresso ed uscita.


Planimetria generale

Vista del prospetto principale della nuova sezione detentiva; per i blocchi esistenti è stata prevista una riqualificazione della facciata.

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Blocchi d'ingresso

Edificio d'ingresso: piante

Sezione prospettica

Edificio d'ingresso: sezione

Edificio d'ingresso del personale: pianta piano terra

Edificio d'ingresso: prospetto dell'edificio

Pianta piano primo

Edificio d'ingresso: sezione longitudinale

Vista dell'ingresso

Edificio d'ingresso: prospetto laterale

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Blocchi polifunzionali + 4.00 M

+ 4.00 M

+ 4.00 M

+ 4.00 M

Blocco polifunzionale: piante

Blocco polifunzionale: sezioni

Vista d'insieme

Funzioni e utenze: esploso assonometrico

Blocco polifunzionale: prospetto

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