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Sport ed esclusione
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s “HOLA” CI SIAMO TUTTE QUANTE MESSE AD APPLAUDIRE . Siamo arrivati a Melide in un albergo strafigo, era di lusso per essere ad una stella! Mi ricordo che quella sera la Spagna giocava contro la Germania e chi vinceva andava alle finali. La Spagna ha vinto ed è andata in finale ai mondiali, siamo andati a festeggiare un po’ per la vittoria e abbiamo conosciuto altri ragazzi che come noi festeggiavano, a fine serata siamo r i e n t r a t e in albergo a dormire perchè eravamo stanchissime. Continua ….
S. S. (17 anni)
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Nel prossimo numero di Natale vi racconteremo la nostra avventura sul cammino di Santiago!!
Due termini che non potrebbero convivere! Invece…………
La parola esclusione ha la sua origine nella lingua latina: viene infatti da ex-claudere, dove “ex” sta per fuori e “claudere” significa chiudere; dunque escludere significa chiudere fuori, non ammettere a partecipare (fonte:www. etimo.it). Dunque nella vita può capitare di esser esclusi, messi fuori: esclusi da un lavoro, da un’amicizia, da un concorso, da una qualsiasi graduatoria, ecc… Dove non ci dovrebbe essere esclusione è nello sport, quantomeno in quello amatoriale. Infatti lo sport che è sinonimo di gioco, divertimento, impegno, rispetto e spirito di squadra non dovrebbe mettere alla porta nessuno, semmai includere e accogliere le persone desiderose di confrontarsi con i propri limiti e con quelli degli avversari. Che ciò non avvenga è sotto gli occhi di tutti e questa critica non riguarda solo il calcio ma un po’ tutte le discipline sportive soprattutto se di squadra. Il ragionamento che porta a generare meccanismi di esclusione è il seguente: ho un gruppo di giocatori e seleziono i più dotati affinchè la squadra diventi più competitiva e superi il livello di altre squadre. Ecco che lo sport, il calcio in particolare, se gestito con questa logica può diventare molto selettivo già con atleti in giovane età. In questo modo si creano due gruppi: i migliori, che formano l’ossatura della
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s squadra, in una situazione di privilegio perché “preferiti” dallo staff e le seconde e terze scelte, ragazzi o adulti che devono accettare l’idea di non essere all’altezza degli altri e di ricoprire un ruolo marginale all’interno del gruppo. Questo tipo di gestione ha una sua logica se e quando il bagaglio tecnico individuale diventa l’unico criterio di valutazione della persona. Se però questo criterio inizia a diventarci un po’ stretto, a darci un po’ fastidio ecco che non è difficile , riflettendo un po’, individuare contraddizioni e punti deboli. Ad esempio: si può veramente ridurre la valutazione di un ragazzo o di una ragazza al livello tecnico espresso? E cosa rimane delle qualità caratteriali, dei bisogni (partecipare, essere considerati, stimati, valorizzati, trovare amicizie vere), dei desideri (giocare assieme agli altri, mettersi alla prova, contribuire a raggiungere qualcosa)? Nel sistema selettivo solo ad alcuni privilegiati vengono riconosciuti questi bisogni e concessi altrettanti desideri. Per gli altri il sistema prevede una lenta ma inesorabile presa di coscienza dei propri limiti che porterà prima o poi ad un abbandono volontario di quella data disciplina sportiva. Alcuni sostengono che anche questo sia un aspetto sano dello sport, perchè rinforza la persona in quanto essa impara ad accettare l’esclusione come una lezione, seppur dura, della vita. Personalmente non sono d’accordo perché non ritrovo questi aspetti nel significato profondo di fare sport. Nessun bambino che inizia una qualsiasi attività sportiva firma un contratto in cui si impegna a
soffrire e ad essere escluso, semmai quel bambino sogna solo di divertirsi e poter giocare con gli altri. Ma quanti bambini e ragazzi trovano risposte vere a queste richieste? Solo selezionando si riesce ad aumentare costantemente il livello tecnico degli atleti e a produrre futuri bravi giocatori e magari qualche campione. Certo è difficile trovare valide argomentazioni contro questa logica, anzi, tutto sembra dare ragione a chi la pensa così. Se si lasciano i più dotati nello stesso brodo degli altri, questi non emergeranno mai e avremo un esercito di sportivi mediocri, incapaci di quelle gesta che incantano migliaia di spettatori sugli spalti o davanti alla tv. Il rischio forse c’è, ma quanto varrebbe la pena di correrlo se sull’altro piatto della bilancia avessimo persone più felici, più capaci di rispettare e accettare i propri simili , meno abituate ad emergere mettendo i piedi in testa agli altri?
Massimo Antonino Centro Studi “G.Antonin”