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D) Intervento di Elena Faccio ................................................................pag

Elena Faccio

Vi ringrazio dell’opportunità di riflettere su questo tema.

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Elena Faccio educatrice

In principio, quando mi è stato proposto l’argomento, mi sono chiesta quale avrebbe potuto essere il mio contributo. Però, poi, mi sono resa conto che in realtà da molti anni mi occupo di formazione, sono un’educatrice e ora, in Associazione, lavoro come progettista: dunque la mia esperienza professionale è da sempre legata al futuro. Nella formazione mi sono occupata di promuovere competenze, in particolare trasversali, in persone che poi avrebbero potuto metterle in campo nel loro futuro. Come educatrice ho cercato di promuovere potenzialità di vita positiva, capacità di desiderare per se stessi traguardi futuri acquisendo consapevolezza di sé. Il nesso che lega il mio lavoro alla dimensione del futuro è stato una scoperta, una bella scoperta. Mi sono resa conto che in molte occasioni il mio compito e il mio intento sono connessi all’aiutare le persone a immaginarsi il loro futuro e, di conseguenza, a proiettarsi nel futuro. Questa finalità assume una significatività speciale operando con adolescenti in difficoltà, migranti, persone con vulnerabilità esistenziali. Persone che portano con sé il peso di un passato assai ingombrante, segnato spesso da traumi e violenze, contesti familiari squilibrati o devastati, immersi in un presente faticoso e incerto. In una simile condizione esistenziale è inevitabile che immaginare il futuro divenga un atto presso che impossibile. Nonostante siano individui ancora giovani o giovanissimi, nel pieno della fase aurorale della loro vita, il futuro appare loro come una dimensione assente e vuota. Il mio intervento con loro consiste nel

riprendere in mano, insieme a loro, l’intera struttura personale e la percezione di sé; guidarli a immaginarsi e riconoscersi capaci di realizzare qualche cosa, essere adeguati nei confronti del mondo, ricostruendo risorse, opportunità, attitudini positive su cui ciascuno può contare. Qualcosa di simile lo stiamo portando avanti nei corsi per migranti, finanziati dal Fondo sociale europeo. Ci rifacciamo alla metodologia del “selfempowermet”, elaborato in Italia da Massimo Bruscaglioni, volto a potenziare nelle persone la desiderabilità del futuro. Il lavoro formativo consiste nello spostare l’attenzione dal bisogno al desiderio, per provare in tal modo a immaginare il proprio futuro, lavorativo e personale, in modo positivo e progettuale. Se invece considero il rapporto con il futuro nella mia esperienza di genitrice, mi rendo conto che le modalità sperimentate in ambito professionale divengono assai più difficili e controverse allorché sono vissute nella relazione con i figli. I fattori che entrano in scena, consapevoli e non, sono aggrovigliati e viscerali. Mi pare che un elemento centrale sia lo sforzo di riconoscere dentro di sé le aspettative che, inevitabilmente, ogni genitore vive nei confronti di ciascun figlio. Occorre poi accettare e sopportare la sfumata frustrazione alimentata dal desiderio e dall’attesa di continue e costanti gratificazioni, poiché vorremmo che i figli rispondessero immediatamente ai nostri ammaestramenti e ci fossero sempre riconoscenti. Come genitori si è chiamati a vivere una strutturale contraddizione o

paradosso: da un lato l’impegno a trasmettere quel che valutiamo essenziale e fondamentale, dall’altro l’accettazione della alterità dei figli rispetto ai nostri insegnamenti. Penso in particolare al tema della libertà, uno dei tre valori centrali che vorrei poter passare ai miei figli, insieme al senso di responsabilità e

all’autonomia. Testimoniare l’importanza della libertà implica di lasciare che loro vadano per conto loro, accettando che si trovino in luoghi e situazioni che avremmo preferito evitassero. Mi pare che questa esperienza inviti a coltivare la dimensione dell’attesa: attendere per dare all’altro la possibilità di percorrere altre vie rispetto a quelle che avremmo auspicato, seguire luoghi e tempi diversi da quelli che ci eravamo immaginati, perseguire mete future e traguardi altri dalle nostre aspettative. Questo è un esercizio quotidiano in cui noi genitori siamo chiamati a impegnarci. È un compito difficile, dato che nel nostro mondo la dimensione dell’attesa non è più valore, non è più contemplata. Oggi inseguiamo, in ogni ambito, immediatezza e simultaneità. Non riusciamo a cogliere nel tempo sospeso dell’attesa un’opportunità, un’opportunità di verifica e riflessione. Concludo allora proponendovi un passo tratto da “L’arte dell’attesa”, un testo di una giornalista germanica, Andrea Kohler. “Sia fatta la luce, disse Dio prima della creazione del mondo, e così fu, senza indugi, La realizzazione incondizionata, dunque - la gratificazione immediata è al principio dell’idea del paradiso. Per ogni desiderio esaudito, immediatamente facciamo un passo indietro verso il paradiso. Ma siccome l’essere umano, secondo la definizione di Blumenberg, è l’essere 'che, dotato di un tempo di vita finito, ha desideri infiniti', non avremo mai la meglio sul moltiplicarsi dei desideri. Perché la rinuncia alla simultaneità di desiderio ed esaudimento (se qualcosa del genere esiste) ci appartiene da subito, sin dalla nascita: l'ombelico attraverso cui scorrevano latte e miele è stato per sempre troncato con la nostra comparsa in questo mondo. E ogni volta che l'attesa fra il desiderioe la sua soddisfazione viene limitata al minimo o addirittura cancellata, un dio vendicativo esige quanto gli spetta: chi ha tutto, o lo ottiene subito, viene privato della felicità dell'esaudimento. ‘Kairos’, l'istante felice, presuppone l'attesa: il dono del tempo, a volte straziante, a volte beatamente sprecato, ma sempre un dono."

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