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Intervista a Erika Waldboth ...................................................................pag

Intervista a Erika Waldboth

di Fabrizio Mattevi

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Nel mese di aprile Erika Waldbothconclude il suo impegno lavorativo in Associazione, dopo dodici anni. L’abbiamo intervistata.

Come sei arrivata all’Associazione “La StradaDer Weg” e con quali attese? Nel 2009 avevo una partita Iva, con cui gestivo l’organizzazione di corsi e soggiornistudio all’estero. Questa mia attività comportava inevitabilmente periodi di maggiore impegno e mesi nei quali ero abbastanza libera. Cercavo un impiego parttime con cui integrare le mie entrate, purché Erika Waldboth fosse compatibile con le esigenze del mio lavoro autonomo. Un’amica d’infanzia, che lavorava a La Strada, mi disse che cercavano qualcuno da assumere part-time per occuparsi della segreteria di donGiancarloe del Consiglio di amministrazione. Il direttore era già Paolo Marcatoe fu lui ad assumermi. La proposta era perfetta: dietro casa, dieci ore, un contratto biennale. Io contavo di riuscire a consolidare in due anni la mia attività di libera professionista, così da potermi poi rendere autonoma rispetto all’Associazione. Ne sono passati più di undici e sono ancora qui. Nel frattempo ho chiuso la partita Iva e ho smesso quel tipo di attività. Conoscevi l’Associazione già da prima? Sì, avevo lavorato qui anni prima, quando avevo insegnato italiano alle ragazze del Progetto Alba. Dunque hai conosciuto don Giancarlo, anzi si può dire che gli hai lavorato a fianco nei suoi ultimi anni. Come lo ricordi?

Sì, lo ho conosciuto abbastanza bene, anche perché per don Giancarlonon vi era separazione tra lavoro e vita; abitando nello stesso vicolo, mi è capitato varie volte di fare qualche lavoro a casa sua, come quando ho rimesso a in ordine le sue diapositive degli anni settanta. Un personaggio particolare, estremamente carismatico ed estremamente cristiano, in senso ampio e profondo. Nonostante fosse un sacerdote e nonostante avesse ottant’anni era molto aperto, guardava il mondo con una prospettiva particolarmente ampia. Come sono evoluti i tuoi compiti in Associazione? Un po’ alla volta le funzioni di segreteria di don Giancarlosi sono ridotte, fino a che, nel 2012, mi proposero di predisporre un progetto di servizio Don Giancarlo civile, non quello provinciale, ma nazionale. L’esito del mio lavoro fu positivo, così l’anno successivo preparai due progetti e poi fu avviato anche il servizio civile provinciale. Già prima mi appoggiavo al Centro studi e facevo riferimento a Dario Volani, anche perché, fisicamente, lavoravo in quei locali. Occupandomi del servizio civile la collaborazione divenne costante e così, alla morte di don Giancarlo, a fine 2014, entrai a far parte di quell’Area. Nel 2019 è stata creata l’Area servizi volontari, di cui ho fatto parte per un anno per poi trasmigrare nuovamente al Centro studi, in particolare all’Ufficio progettazione. Che cosa porti con te di questi dodici anni di lavoro a “La Strada-Der Weg”? Il bilancio di questa esperienza è positivo; ho ricevuto tantissimo da questa Associazione; in ambito professionale ho acquisito moltissime competenze, dal turismo religioso alla gestione dei gruppi; questi anni sono stati ricchi anche dal punto di vista umano. Nel colloquio iniziale con don Giancarlo, mi disse “la famiglia viene prima di tutto”, una frase che dicono tutti ma poi rimane lettera morta. Qui invece è incredibilmente vero, del resto lo si vede dal tasso di natalità tra i dipendenti. L’Associazione mi è sempre venuta incontro nelle mie esigenze familiari, ho trovato sempre grande sensibilità e disponibilità anche per questioni personali.

Mi porto via anche un viaggio in Guatemala, un’occasione straordinaria e molto forte. La partecipazione ai progetti di volontariato internazionale ha permesso di attivare scambi tra operatori e così ho potuto visitare e conoscere il Guatemala accompagnata da persone del posto, che mi hanno mostrato quel che un turista non potrebbe mai scoprire e vedere. Questi anni sono stati Erika in Guatemala anche faticosi, dato che “La Strada” ti dà tanto ma ti chiede anche tanto. Che cosa ti ha portato a decidere di andare via? Il desiderio di cambiare e pure la constatazione che io ho davanti a me ancora venticinque anni circa di lavoro e credo sia importante incontrare e visitare altri mondi e altre esperienze. Al tuo arrivo nel 2009 l’Associazione era già una realtà ampia e consistente, ma in questi dodici anni, è cresciuta e si è ulteriormente articolata. Come hai vissuto e come valuti questa evoluzione? Nel colloquio di assunzione, Paolo Marcato mi disse che si stava pensando una disaggregazione dell’Associazione, dato che stava crescendo troppo. Poi quella intenzione non si realizzò, mentre l’Associazione ha continuato la sua espansione ed oggi, rispetto ad allora, è enorme. Questa crescita è il segno che siamo bravi. Secondo me quello che manca o che è da continuare a curare è cercare l’equilibrio tra lo stile relazionale interno, molto familiare e amicale, e l’esigenza di una struttura portante solida, adeguata alle necessità di un’organizzazione così complessa. Il confronto e la discussione su questo nodo va avanti da anni e non si potrà mai arrivare ad un esito definitivo. Si tratta piuttosto di continuare a perseguire un equilibrio. Negli ultimi anni si è rinforzato l’aspetto che chiamerei “aziendale”, assumendo persone con alte competenze specifiche. Si tratta di favorire un

processo che permetta di coniugare queste professionalità con modalità relazionali e comunicative dirette, informali, familiari. Ho l’impressione che la valorizzazione delle competenze abbia consolidato le distinzioni per settori e per aree, correndo però il rischio di smarrire l’idea che lavoriamo tutti insieme e siamo tutti parte de La Strada. A tuo avviso, ora che don Giancarlo non c’è più, l’identità e l’anima associativa sono comunque ancora vive? Fiera del volontariato 2019 Sì, quello direi proprio sicuramente di sì. Mi pare sia anche frutto del lavoro portato avanti dal Consiglio di Amministrazione e pure del Centro studi. Tu hai conosciuto da vicino anche l’impegno del Consiglio di amministrazione, o meglio dei vari CdA che si sono succeduti. Tutto sommato è una componente dell’Associazione che pochi avvicinano direttamente. La mia percezione è che i CdA, che si sono susseguiti, hanno potuto contare su uno zoccolo duro di persone profondamente legate all’Associazione e alla sua storia, a cui si sono via via aggiunte persone nuove, che però si sono ben adattate e che al contempo conoscono il territorio e mettono a disposizione capacità e competenze preziose per l’Associazione e la sua conduzione. Sono fiduciosa che questo amalgama permetterà di superare quello che è stato denominato il “dopo di noi”, ossia la riduzione di impegni e responsabilità per coloro che ho chiamato lo “zoccolo duro”, tra cui vi sono alcuni dei fondatori de La StradaDer Weg, come il presidente Paolo Spolaoree l’avvocato Giovanni Salghetti.

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