ScriverEsistere Magazine n4 - 2022

Page 1

www.scriveresistere.it

Aprile 2022 ANNO 3 - N° 4

La Meridiana Società Cooperativa Sociale Viale Cesare Battisti 86 20900, Monza (MB)

"il magazine di chi scrive con gli occhi"

Iscrizione Num. R.G. 24/2021 Tribunale Ordinario di Monza (MB)

Da piccoli dicevamo

FACCIAMO PACE?

D

ovremmo tirar fuori un po’ delle nostre parti bambine per ricordarci quanto era insostenibile, dopo un litigio in famiglia, non fare la pace. Andare a dormire col pensiero del disaccordo era terribile, non si pensava ad altro e tutto diventava brutto intorno, nessun gioco era più bello ormai e la casa si viveva con grande disagio per via degli sguardi a terra, i movimenti controllati, il senso di colpa di aver causato qualcosa di irreparabile: “Non ci vogliamo più bene!”. Insopportabile! Come se ne usciva? Per prima cosa ci si liberava dell’orgoglio, si rinunciava ad aver ragione a tutti i costi, disposti a perdere qualcosa pur di guadagnare la cosa più importante, la serenità, il futuro! Quindi per fare pace è necessario mettere pro e contro sui due piatti della bilancia e stabilire dentro di noi cosa ci con-viene, cioè, cosa viene con noi, è dalla nostra parte, fa il nostro reale bene. Sì, bisogna proprio cercare il bene per uscire dai conflitti, bisogna persino perdonare l’aggressore… La SLA è come un nemico che scatena un conflitto feroce, ti invade e butta bombe per distruggere la casa dove si vive, il proprio corpo. Fare pace con la SLA sembra impossibile perché appare davvero imperdonabile e soprattutto sembra un nemico imbattibile, il vincitore. Eppure …. Eppure, si arriva a vederne la debolezza quando la si accetta, quando si smette di combattere per prevalere uno sull’altra… Facile a dirsi… ma c’è un momento in cui fare pace segna la vittoria di entrambi: si può convivere e costruire qualcosa di nuovo, persino di mai visto!

A cura della Redazione

Signore Dio di pace, ascolta la nostra supplica! Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi; tanti momenti di ostilità e di oscurità; tanto sangue versato; tante vite spezzate; tante speranze seppellite… Ma i nostri sforzi sono stati vani. Ora, Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “mai più la guerra!”; “con la guerra tutto è distrutto!”. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace. Signore, Dio di Abramo e dei Profeti, Dio Amore che ci hai creati e ci chiami a vivere da fratelli, donaci la forza per essere ogni giorno artigiani della pace; donaci la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino. Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono. Tieni accesa in noi la fiamma della speranza per compiere con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione, perché vinca finalmente la pace. E che dal cuore di ogni uomo siano bandite queste parole: divisione, odio, guerra! Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, perché la parola che ci fa incontrare sia sempre “fratello”, e lo stile della nostra vita diventi: shalom, pace, salam! Amen.

Il coraggio di amare

Papa Francesco


2

Aprile 2022

ESISTERE... per costruire

LA GUERRA È COME UN TERREMOTO

V

di Luigi Picheca

ivere in pace è proprio impossibile. Ci sono tante persone in cui è insita la rabbia e la violenza e basta uscire di casa per ritrovarsi nella giungla e finire nei guai. Che dire degli automobilisti che si prendono a pugni per una precedenza o un parcheggio? Eppure, capita spesso a chi usa le macchine abitualmente...

Poi ci sono le liti condominiali, quelle familiari, quelle tra tifosi, ecc.... È dei nostri giorni la guerra scatenata da Putin verso l’Ucraina per dei territori contesi, un ritorno al nazionalismo che ci riporta pericolosamente ad inizio secolo scorso con la nascita del fascismo e del nazismo. Le tragiche immagini dei bombardamenti mi ricordano i drammatici racconti di mamma e degli zii che queste cose le hanno vissute durante la seconda guerra mondiale, a poca distanza da casa, perché inglesi e americani, allora nemici, bombardavano le industrie intorno a Milano e a Sesto. Non ci sono limiti alle bestialità che si commettono durante le guerre: violenze, stupri e torture si consumano ai danni di soldati fatti prigionieri e soprattutto sui civili indifesi. La pagina delle torture è assai raccapricciante. Oggi, dopo tanti anni di relativa pace, sembra che ci sia voglia di guerra perché in tanti film e in tanti giochi costruiti per la playstation si fanno guerre sanguinose o si ammazza. Una cosa a cui ci si abitua fin da bambini e che resta nella mente come un gioco. Il fatto è che la realtà della guerra non è un gioco, è distruzione, devastazione, fame e morte. Questa è la realtà che vediamo ogni giorno in tv, mentre siamo seduti comodamente a tavola e non si comprende pienamente cosa significhi perdere improvvisamente la casa, i propri cari, tutto! Ci si mette in cammino verso l’ignoto con le proprie povere cose dentro un sacco e le si porta come il bene più prezioso, sperando di difenderlo dai ladri sempre pronti ad approfittare di un momento di instabilità dovuta alla stanchezza: il lungo viaggio verso la speranza è una difficoltà per tutti. Ho visto un esempio di questo scempio durante il terremoto del Friuli del `76: gente nelle tende e al freddo che aveva perso tutto. Ma c'erano gli aiuti e i soccorritori, non si doveva stare attenti alle bombe che piovevano dal cielo o alle mine sotto i piedi. Ho dormito anch'io al freddo e battevo i denti nel sacco a pelo e la grappa non riscaldava per niente… Non dimenticate la realtà, la pace è un bene prezioso e non è un segno di debolezza, ma di grande forza intellettuale e di umanità.

La PACE è fragile e va protetta Negli anni cinquanta Lester Pearson, uno degli uomini più influenti del XX° secolo ( Primo Ministro del Canada negli anni 60 e Premio Nobel per la Pace, per aver organizzato la forza ONU che risolse la crisi del canale di Suez) ammonì che l’uomo stava avviandosi a “un’età nella quale le diverse civiltà dovranno imparare a convivere in un pacifico interscambio, imparando le une dalle altre, studiando la storia, gli ideali, l’arte e la cultura delle altre civiltà, arricchendosi reciprocamente. L’alternativa, in questo piccolo e sovraffollato mondo, è incomprensione, tensione, conflittualità e catastrofe”. Il futuro della Pace, così come quello della Civiltà, dipende dalla comprensione e cooperazione tra leader politici, spirituali e intellettuali delle maggiori civiltà del mondo. Nell’epoca che stiamo vivendo, gli scontri di civiltà rappresentano la più grave minaccia alla pace mondiale e un ordine internazionale basato sulle civiltà è la migliore protezione dal pericolo di un’altra guerra. Testo tratto da un’interessante ricerca della giornalista Adriana Pavin dal titolo “Il futuro delle civiltà” (fonte: “Lo scontro delle civiltà” di Samuel P. Huntington)

Il passato ha tanto da insegnare

NON DIMENTICARE DI RICORDARE

V

di Laura Tangorra

edere un cane reduce da un incontro ravvicinato con un porcospino è davvero impressionante, tant’è che non ne metto la drammatica foto. Ha aculei conficcati ovunque: muso, lingua, palato, gengive. Se è fortunato, qualcuno provvederà a sfilarli uno a uno, provocandogli ulteriore dolore, ma salvandogli la vita. Sarebbe logico pensare che dopo la terribile esperienza, quel cane non farà mai più un gesto così sconsiderato, e che d'ora in poi starà alla larga dai porcospini. Alla prossima occasione invece, guidato dall'istinto e incapace di far tesoro della memoria, ricadrà nella stessa situazione. Non è l’unico però ad agire ciecamente e a non imparare dalle esperienze negative. C'è un altro animale che come lui dimostra scarsa memoria: siamo noi. L'uomo, il capolavoro evolutivo, la specie dotata di intelligenza superiore, sembra incapace di ricordare i momenti drammatici della storia, e anche del passato più recente. Sarà forse la tensione positiva verso il futuro che porta a trascurare il passato, e a guardare sempre avanti. Ogni tanto si dovrebbe invece dare un'occhiata indietro: la storia, il passato ha tanto da insegnare. Per rendere forti le proprie radici e dare buoni frutti, a volte basterebbe ascoltare gli anziani, in particolare quando raccontano la guerra, la paura dei bombardamenti, la fame. Chi ha vissuto la prevaricazione e la violenza sa bene che il male del passato va costantemente ricordato, perché la memoria è l’unico antidoto capace di evitare che il male si ripeta. Troppe volte invece si dimentica, per questo la storia è un susseguirsi di errori già commessi, che si ripetono all'infinito. La memoria dei nostri vecchi ci accompagna, ci aiuta a leggere situazioni e persone alla luce di quello che è stato, e ci consente di cambiare strada in tempo, quando è necessario. Solo qualche settimana fa, qualcuno inneggiava a Putin citando sui social, come perle di saggezza, alcune sue frasi, manifestando cieca ammirazione nei suoi confronti. Sarebbe bastato ascoltare il parere di chi ha conosciuto la dittatura per mitigare quell'entusiasmo. Sarebbe bastato studiarne la biografia per sapere che non c'era da fidarsi. Forse, non tutti i suoi ammiratori sanno che il 9 novembre 1989, mentre il mondo festeggiava per il crollo del muro di Berlino, il tenente-colonnello del KGB (servizi segreti dell’Urss) Vladimir Putin, furioso e spaventato, era tutto intento a distruggere dossier, a cancellare le tracce di tutte le comunicazioni, a bruciare documenti nella sede del KGB a Dresda. Ma ciò che sembra aver influenzato e forgiato la sua personalità, oggi così evidente e inquietante, risale a prima, al modo in cui ha vissuto durante l'infanzia e l'adolescenza. Nato e cresciuto a Leningrado, attuale San Pietroburgo, viveva in una kommunalka, un edificio fatiscente e squallido gestito da più famiglie in coabitazione, e a ogni nucleo familiare spettava una sola stanza, con bagno e cucina in comune. I bambini e i ragazzi vivevano per strada, tra giochi e litigi, scherzi e risse. Vladimir imparò a diffidare di chiunque, e ad attaccare prima di essere attaccato, a spiare le mosse degli altri e a controllare le proprie, finché a 16 anni si arruolò nel KGB. Non è difficile ritrovare questi tratti nella sua politica, ed è piuttosto evidente che si stia costruendo una fine comune a tanti altri dittatori, rimasti soli, a un certo punto, a raccogliere il male che avevano provocato. Vorrei tanto guardarlo in faccia da vicino, in quegli occhi piccoli e glaciali, per dirgli che i bambini non si toccano! I bambini sono sacri e non devono piangere di paura. Devono dormire tranquilli nei loro letti caldi, con i pupazzi sul cuscino. Non devono morire sotto le bombe lanciate da ragazzini poco più grandi di loro, che vorrebbero solo tornare a casa propria, finire gli studi, uscire con gli amici, costruirsi un futuro. Vorrei dirgli che quando si sbaglia, si deve saper tornare indietro, e chi non lo fa è come quel cane trafitto di aculei, che seguendo l'istinto più che la logica sbaglierà, e soffrirà ancora. Solo che lui, il grande zar, continua a sbagliare, ma a soffrire sono sempre gli altri.


3

Aprile 2022

SCRIVERE... per non dimenticare

Il racconto secondo classificato al concorso letterario Premio SLANCIO

N

LA LUCE DELL’ORIZZONTE di Silvia Favaretto

on dirò più una parola. In questo paese non si può più parlare, non si può più pensare, non si può nemmeno appoggiare lo sguardo su quello che si vuole. Sono venuti di notte a portare via mio marito, hanno preso quello che volevano dalla nostra casa e mi hanno violentato davanti agli occhi di mio figlio. Quando se ne sono andati non riuscivamo più nemmeno a parlare. Non ci sono parole, la grande gioia e il grande dolore non sanno toccare le corde vocali. Quando conobbi il papà di Zaher, ammutolivo dall’emozione ogni volta che si avvicinava. Lui mi ha sempre detto che si è innamorato dei discorsi che gli facevano i miei occhi. Anche lui era un uomo di poche parole. In questo paese è sempre stato così: le parole vanno dosate, perché scappano attraverso i muri, dagli interstizi delle finestre chiuse male, in qualche lettera, e raggiungono chi non devono, anche quando non le hai mai pronunciate. Quando nacque Zaher la levatrice era stupita, perché nonostante i colpetti che gli dava, il bimbo non piangeva. Si tranquillizzò vedendo che respirava serenamente e sembrava quasi sorridere con la sua piccola bocca arcuata. È sempre stato così il mio bambino, un piccolo sorriso e tanto da dire, ma non con la voce. Per lui fu una svolta imparare a scrivere. I miei unici tesori sono le sue letterine, i suoi disegni. Alcune mamme vanno fiere dei risultati agonistici dei loro figli, o se sono valorosi quando vanno soldati. Io sono orgogliosa dei ghirigori di mio figlio. Non sapevo leggere, ma lui mi ha insegnato. Per tutta la vita ha avuto solo due giochi: quattro statuine di legno che gli ha intagliato suo padre e la poesia. Gli animaletti erano un modo di suo padre per dirgli cosa davvero era importante. Quando gli diede la giraffa avrà avuto 6 anni e gli disse: “Figliolo, devi essere come la giraffa, giraffa saperti alzare dalla mediocrità degli altri per scrutare dall’alto l’orizzonte. È da lì che viene la luce, non dal buio della moltitudine ammassata”. La giraffa era diventata la compagna costante dei suoi giorni, la teneva con sé anche nella tinozza. L’asciugavo subito per timore che il legno marcisse, ma resistette. L’anno seguente, credo, gli regalò, dopo averlo cesellato pazientemente per giorni, l’alce. “Eccoti un animale che vive nel grande freddo: lui ti insegna che è nella testa dove risiede la tua più grande arma di difesa. Le vedi queste grosse corna? Anche tu se hai idee solide e resistenti saprai difenderti da chi vorrà piegarti”. La giraffa e l’alce cominciarono una serie infinita di avventure tra le manine del mio bimbo e, di fronte ai pericoli, l’alce difendeva la giraffa con le sue corna e lei scrutava dall’alto un orizzonte migliore verso dove dirigersi. A 8 anni Zaher ricevette la statuina del leone, che divenne immediatamente la sua preferita. “Sai perché il leone è il re? No, non perché è il più forte. È per la sua dignità. La sua è un’energia interiore che lo guida, lui sa quello che è giusto e avanza a testa alta per questo”. Ero riuscita a far stare il branco dei tre animaletti al bordo vasca, anche Zaher si era persuaso che così avrebbero resistito meglio al passare del tempo. Poi la guerra si era inasprita e nessuno più aveva avuto voglia né di intagliare, né di giocare. Ma a 12 anni, età in cui qui da noi sei considerato quasi un uomo, Zaher ricevette una rondine di legno. “Questo è un animale speciale. Rappresenta la libertà. Non è ancorato ad un luogo. Quando le condizioni non sono favorevoli, si alza in volo e se ne va, a cercare habitat e temperature più ospitali”. Non lo sapeva Zaher che quello sarebbe stato l’ultimo animaletto che gli avrebbe costruito il papà. Lo capì definitivamente quando, dopo quella sera terribile, mio marito non tornò più. Sapevamo entrambi che di lì a poco sarebbero tornati e avrebbero preso anche lui. Non mi stupii e, anzi, sentii un profondo sollievo, quando mi disse “Mamma, devo andarmene da qui. Cercherò di raggiungere l’Europa, come ha fatto Ali mio cugino. Odio l’idea di lasciarti da sola, ma stando qui non posso fare nulla per migliorare la nostra situazione. Vado via e poi ti faccio venire lì dove sarò e saremo tranquilli. E saremo felici”. Io quasi riuscivo ad immaginarmi lì con lui. Nessuna madre desidererebbe mai separarsi dal proprio figlio, ma quando la partenza garantisce a lui una maggior possibilità di sopravvivenza, l’addio deve essere più lieve, deve essere la promessa di un rincontro: non piansi davanti a lui, solo lo abbracciai dicendogli “ricordati gli insegnamenti di tuo padre”. Lui sorrise stringendomi ancora di più, era già alto quanto me: “Li porto con me, mamma: ho già messo nello zaino la giraffa per guardare lontano, l’alce per difendermi usando la testa, il leone per usare la dignità e l’energia interiore, e la rondine per cercare un luogo migliore per noi due”. due” I primi giorni dalla sua partenza furono strazianti. La speranza non era sufficiente a tranquillizzarmi. L’inquietudine si trasformò in dolore fisico, come se lo stessi partorendo di nuovo, tredici anni dopo. Mi trasferii a casa di mio fratello, dove giorno dopo giorno la mia anima sopravviveva attendendo notizie. Dopo un paio di mesi arrivarono notizie di qualche conoscente che sosteneva che suo figlio l’aveva incrociato in Iran o in Turchia. Poche parole sussurrate che avevano su di me un effetto di gioia improvvisa, una felicità che mi lasciava senza parole, saperlo vivo e in viaggio, col suo zainetto. Oltre alle statuine degli animali aveva portato con sé una borraccia e il suo quaderno di poesie: “Scriverò molto piccolo, mamma, così mi durerà per più tempo”. Lo immaginavo sorridente in un paese lontano dove finalmente era al sicuro, vedevo me stessa raggiungerlo e vederlo in un appartamento piccolo ma curato, con sopra al tavolo una pila di bei quaderni nuovi, pronti a ricevere i suoi versi. Oggi la mia vita è finita. Respiro ancora, perché il corpo è una macchina imperfetta. Quando muore il cuore dovrebbe fermarsi tutto, così dicono. Invece no, so di per certo che il mio cuore è morto, eppure i polmoni funzionano, anche se la bocca non è in grado di dire parole. Mi hanno fatto arrivare il quaderno di Zaher, assieme alla notizia che una notte, nascosto sotto ad un camion per raggiungere la frontiera, in Italia, non è riuscito a restare aggrappato, è caduto e le ruote lo hanno schiacciato. Accanto a lui hanno trovato lo zainetto con le statuine, che non sono bastate a proteggerlo, e questi fogli scritti fitti fitti, a cui mi aggrappo per sentirlo ancora vivo, per un’ultima volta. È successo tanti mesi fa, ci hanno messo parecchio a trovarmi per darmi la notizia e consegnarmi queste

pagine. Mi hanno detto anche che in quel luogo hanno fatto una scultura e dedicato un bosco al mio bambino. Allora anche se da oggi io sono morta e non avrò mai più parole da pronunciare, quelle di Zaher saranno ricordate in quel posto per sempre e spero che la gente sappia di mio figlio e di tutti quegli altri ragazzini che muoiono cercando di raggiungere, con lungimiranza, dignità e voglia di libertà, un orizzonte più luminoso di questa oscurità in cui stiamo. Perché germoglino le tue parole, figlio, anche nella terra secca della mia gola.

Giardiniere, apri la porta del giardino; io non sono un ladro di fiori, io stesso mi sono fatto rosa, non vado in cerca di un fiore qualsiasi

(Zaher Rezai, 2008)

Questi i versi di Zaher nel quaderno trovato accanto al suo corpo schiacciato.

Zaher Rezai era un ragazzino dell’età dei miei alunni, quando nel tentativo di scappare dall’Afghanistan in guerra, è arrivato a Venezia. Aggrappato al fondo di un camion, come sono arrivati anche alcuni miei ex alunni definiti dalla polizia “minori non accompagnati”. Zaher peró non è riuscito a restare aggrappato e, all’altezza di via Orlanda a Campalto, è caduto sull’asfalto e le ruote lo hanno travolto e ucciso. Era il 2008 e lui aveva 13 anni. Nel suo zainetto, un quaderno con delle poesie che ha scritto durante il viaggio e delle statuine di animali con cui da piccolo giocava. Nel bosco di Mestre, Luigi Gardenal ha dedicato a Zaher una bellissima statua girevole, dove trovano posto anche i versi del bambino. Ho letto a mio figlio Manuel una delle mie storie in questo luogo di ricordo, e mentre leggevo a voce alta a lui, speravo che anche Zaher ascoltasse. Un ragazzino deve stare accanto alla voce di sua mamma, non puó essere spinto a cercare la libertà aggrappato ad un camion.


4

Aprile 2022

ACCOGLIERE... il mistero TRA ME E RICCARDO-MICHELE

La cura diventa straordinaria emozione

R

di Pippo Musso

iccardo “Michele” è una persona umile, saggia e sincera che non si vanta mai del suo bellissimo e amorevole lavoro, sapendo che la professione che esercita con tanto garbo e impegno è proprio amore verso il prossimo, un dono venuto dal cielo, una grazia… Certo che se il cielo ha scelto lui e non me, vuol dire che Riccardo - per me Riccardo “Michele” è proprio una persona speciale. Dunque, Riccardo lavora presso la struttura di Monza e tratta i suoi pazienti con l’energia che emana dalle mani offrendo un beneficio sia fisico che mentale, un senso di pace e piacevole serenità. Sono anni che lui si prende cura di me e ogni settimana, puntuale come un orologio svizzero, si presenta al nostro appuntamento terapeutico. A proposito, dimenticavo di dirvi che sia io che Riccardo abbiamo il dono di percepire la presenza degli Angeli, però in maniera diversa. Come? Io avverto la loro presenza in tante maniere diverse, ad esempio, sentendomi toccare i capelli, oppure soffiare in faccia, oppure ancora, scendendo su di me sotto forma di fascio di luce, che si poggia sulla mia spalla destra come fosse una stella di Natale, come un augurio di buon auspicio; almeno così mi è stato suggerito da un’operatrice della struttura, intenta a sistemarmi il computer. Insomma, questi nostri fratelli Angeli fanno di tutto per attirare la nostra attenzione, per farsi sentire; una bella prova d’amore! Riccardo riesce invece a sentirli “parlare”! Dunque, io li avverto sulla mia pelle e lui li sente: in questo modo durante il trattamento si raggiunge un accordo di comunicazione perfetto tra noi e con gli Angeli. Molte volte sono entrati fra di noi. Mi ricordo quando una volta dissero che era giunto il momento di mettere le ali anch’io e di fare qualcosa per gli altri, che mi affidavano una missione: non stare a guardare ma muovermi, darmi da fare senza perdere più tempo. Così, ringraziando Dio, da anni io e Riccardo riceviamo la compagnia di queste presenze divine durante i trattamenti, insieme a suggerimenti preziosi. Qualche settimana fa, come sempre prima di iniziare il trattamento abbiamo fatto il segno della croce e detto una preghiera di ringraziamento alla Madonna e poco dopo dalle mani di Riccardo ho avvertito una sorta di formicolio che mi procurava energia positiva in tutto il corpo, capace di trasmettermi una grande serenità e un rilassamento per cui mi sembrava di sognare… Nel penultimo trattamento e anche nell’ultimo, con grande sbalordimento, abbiamo avuto la netta percezione della camera interamente invasa dagli Angeli. Io li ho invocati e davvero ci hanno fatto sentire la loro presenza: come in un gioco ci giravano intorno. Le nostre sedute di trattamento sono sempre cariche di sorrisi. Come sempre, dunque, durante la preghiera invoco i miei Angeli di venire in massa, cosicché Riccardo, sorpreso, li possa sentire e stupirsi. Ci provo, ovviamente, e spesso mi succede di essere esaudito. Questa volta ho pregato Maria di aiutarmi a mettermi gioco, chiedendo - per una volta - di poter essere io a trattare Riccardo “Michele” e non lui me! Credetemi, cari lettori, l’ho chiesto con tutto me stesso così insistentemente finché ho sentito la presenza della Madonna, Maria venire proprio da me, che non sono nessuno!

Ed ecco che termina il nostro tempo di trattamento e mi sento dire da Riccardo: “Mi è capitata una cosa bella che non sentivo da anni. Poi ti mando una mail e te lo dico” e aggiunge prima di andarsene: “È sempre un piacere venirti a trattare, fratello Pippo!”. Mi saluta e continua il giro con

gli altri suoi pazienti. La sera, pieno d'ansia di voler sapere, aspetto impaziente la mail di Riccardo. Passano le ore e penso che se ne sia dimenticato per colpa dei suoi tanti impegni e mi dico “se domani non chiama lo chiamo io”. Così l'indomani gli scrivo: “Riccardo, questa notte non mi hai fatto dormire pensando a quello che mi dovevi dire!”. E mi risponde così: “Al primo momento che ti ho cominciato a trattare, ho subito avvertito una sensazione dolcissima di pace, di serenità, quasi la sensazione di essere in un luogo sacro, da solo in compagnia soltanto del mio respiro … sentendomi come su una nuvola, leggero, assopito, al punto che sembrava che le mie mani e le mie braccia si muovessero da sole. Ti dico, fratello Pippo, che in quel momento così tenero e dolce, mi sentivo come la mente assente per poter godere l’amore che sentivo venire dal cielo: una sensazione così bella che era tempo che non sentivo….”. Oh, mio Dio! - mi sono detto - vuoi vedere che la Madonna mi ha ascoltato e mi ha concesso questo dono, questa grazia o come caspita la volete chiamare, di essere io a trattare lui! Certo, certo! Non può essere che così, altrimenti perché avrebbe potuto sentirsi così come non era mai stato? Ah come sono felice! Felice e commosso perché, come gli Angeli, la Santa Vergine Maria mi ha voluto fare questo meraviglioso dono: per una volta essere io a trattare lui! Penso alla faccia che farà Riccardo quando glielo dirò e certamente non sarà facile trattenere la commozione! Io penso che il regalo ricevuto da Maria sia un aiuto perché io migliori il mio cammino terreno con le preghiere e le richieste di intercessione. Sono contento, anzi contentissimo per quello che è capitato. Infine, dovete sapere che dopo aver raccontato tutto a Riccardo, sorridendo mi ha detto ironicamente “Non prenderci troppo gusto perché questa volta è andata, ma la prossima sarò ancora io a trattarti!”.


5

Aprile 2022

LIBERARE... l'energia anche della preghiera PIPPO

I

Un fratello incontrato con SLAncio di Riccardo Tagliabue

o e Pippo da sempre abbiamo un rapporto particolare, di quelli che certamente non nascono per caso.

Ci siamo conosciti qui, nei corridoi della Meridiana e da subito c’è stata intesa, la vibrazione era la stessa, la riconoscevo e lui la sentiva, parliamo di energia, questo io faccio: “trattamenti energetici”. Abbiamo fatto un cammino insieme, mano nella mano condividendo momenti di dolore e di gioia, di riflessioni e di amore verso gli altri, verso la vita. Si perché Pippo l’ho coinvolto spesso anche con alcune “pazienti” che ho aiutato/trattato e che avevano bisogno di particolare supporto e allora, come si fa tra amici , “fratelli, io chiedevo a lui qualche preghiera particolare.

So che Pippo ha sempre avuto un rapporto speciale con gli Angeli e che lo “seguono” da sempre, difficile pensare che gli Angeli sono con uno che è finito ad avere la Sla… ma che Angeli sono? Angeli che lasciano un uomo in un letto immobile? Ma come si dice: “le vie del Signore sono infinite e spesso incomprensibili”. Io vedendo Pippo e sentendo l’amore che riesce a dare, anche solo con il suo sguardo, credo proprio che Nostro Signore, con gli Angeli, abbia per tutti noi un disegno incomprensibile, ma un disegno esiste, basta accettarlo senza farsi domande. E così credo che sia io che Pippo, in modi completamente diversi, lo abbiamo accettato. Non sempre facile, cercandolo in una situazione di immobilità come la Sla e credo sia ancora più difficile per chi l’ha addosso, posso solo immaginare quanti dubbi, riflessioni e sconvolgimenti possa creare. L’altro giorno durante uno dei trattamenti con Pippo ho sentito ciò che lui ha chiesto… L’ho sentito come posso sentire chiunque, chiaro come vedere una giornata di sole. Pippo è un uomo speciale e la sua preghiera, come la definisco io, è MATERICA perché non è una cosa a cui si deve credere, una sensazione che è solo nella nostra mente o nel nostro cuore, basta ascoltarla ed accettarla e muove, smuove. Muove sentimenti, emozioni e secondo me muove anche gli eventi. Perché la preghiera per me è anche questo. Pippo me lo insegna sempre. La preghiera alla Vergine Madre che facciamo prima di iniziare le nostre “sedute” è un chiamare la Sua presenza, il Suo Amore incondizionato e poi accada quel che deve accadere. Lui si sente bene? Va bene così, e più rilassato? Ottimo a me basta questo… Lui si sente più sereno tanto da poter pregare per me? Cosa posso dire: grazie! Ringrazio Dio di avermi messo su questa strada, una strada dove ho incontrato questo fratello, questa persona speciale che io aiuto… che mi aiuta. Mi aiuta a comprendere che non devo avere dubbi, che ciò che sento è reale e che ciò che faccio è una piccola goccia nel mare della sofferenza di molte persone, ma forse questa goccia a volte vale più del mare stesso. Grazie Pippo Ti voglio tanto bene e sono grato alla vita per i tanti doni che mi fa: tu sei uno di questi.

AMAVO LE ARTI MARZIALI Ricordo quando ero più giovane, andavo a lavorare e poi subito in palestra praticavo arti marziali. Qualche anno fa mi sono ammalato e questa malattia ha colpito non solo me ma anche i miei cari, specie mio figlio che aveva solo 15 anni e alla mia bellissima moglie ho tolto non solo il marito, ma anche la possibilità di avere una vita serena. Quanto a me ho avuto una vita piena di soddisfazioni, ho lavorato 16 anni in Breda e gli ultimi due anni ho firmato come trasfertista e ho avuto la possibilità di girare mezzo mondo. Dio mi ha dato questa malattia a 2 anni dalla pensione, ma sono anche fortunato ad essere accettato in una struttura che non mi fa mancare nulla. Riguardo ai miei ricordi mi rendo conto che la SLA è una LADRA, che ti mangia piano piano e nello stesso tempo ti lascia una mente lucidissima.

di Gianni Modesto


6

Aprile 2022

Prima della SLA

Q

LAstoriaCITTÀ OCRA di un viaggio a Marrakesh di Elisabetta Rocca

ualche anno fa insieme alla mia compagna di viaggio Barbara organizzammo un viaggio nella città ocra, Marrakech.

Arrivati in aeroporto ci mettemmo in fila per il taxi. Arrivò il nostro turno e come di consueto ci dirigemmo verso il primo taxi della fila. Con fare arrogante, secondo noi, il terzo tassista in fila ci chiamò. Sempre urlando i tassisti raggiunsero un accordo. Un po' dubbiose andammo. Ci dirigemmo verso la medina che il centro storico delle città islamiche, dove avevamo prenotato un riad - il riad è una forma di architettura spontanea tradizionale del Marocco. È stata per secoli l'abitazione tradizionale urbana del Marocco. Si tratta di un insieme di stanze, o strutture a più piani, divise da giardini interni o cortili, in alcuni casi con fontane decorative. Arrivati davanti una delle porte della medina il tassista ci scaricò, non abbiamo avuto una bella accoglienza, non sapevamo dove andare anche perché la medina è un dedalo di viuzze dove le macchine non passano. Dei bambini giocavano, uno di loro ci venne in aiuto. I suoi occhi vispi e furbi ci dissero ''fidatevi di me''. Lo seguimmo nelle viuzze e ci fece notare sui muri dei segni da memorizzare per non perdere la strada in futuro. Arrivammo davanti la porta del riad. Il bambino fece squillare il campanello, aprì il gestore. Il bambino ci salutò. Il riad era pulito, accogliente, con un suono dell'acqua che ci proiettò nella dimensione magica della città. Sbrigammo le pratiche del check in e scoprimmo che il gestore ci aveva mandato una mail per farci trovare una persona in aeroporto per l'accoglienza. La responsabilità fu tutta mia, non avevo letto la mail. Chiedemmo al gestore una guida per introdurci nella città. Hakim fu la nostra guida all'interno della medina e del suk - Il Suq (anche Suk o Souk) di Marrakech è un labirinto di vie piene di bancarelle, dove i marocchini fanno i propri acquisti e dove i commercianti cercano di fare affari con i turisti. Il Suq si estende nella parte settentrionale della Piazza Jamaa el Fna e occupa decine d'intricate stradine. Senza Hakim ci saremmo perse. Il suk era pieno di gente e di motorini che sfrecciavano e non ci fecero avere un bel impatto ma grazie ad Hakim fummo capaci di entrare nella mentalità del suk e della gente che lo anima. Ci portò a bere il caffè in un posto dove Barbara ed io da sole non saremmo entrate. Ne rimanemmo affascinate, il caffè frequentato da soli uomini ci fu servito in dei bicchieri di vetro un po' panciuti e allungati. Il suk è un insieme di odori di spezie, di suoni e di rumori unici. Hakim è stata una guida affascinante, colta e di grande empatia, ci ha fatto vivere il suk in modo leggero e fuori dai circuiti comuni. Ci ha insegnato con un modo pacato ed elegante come integrarci. Con Hakim arrivammo davanti la porta di un antiquario. Entrammo. Ci sembrò curioso che Hakim si sedette, accavallò le gambe e si mise a leggere il giornale. Hakim aveva capito perfettamente come eravamo io e Barbara. Io acquisto con amore a prima vista, Barbara fa dieci, cento, mille valutazioni. Gli antiquari erano due, fratello e sorella. Lui innamorato dell'Italia, come non essere d'accordo! Barbara ed io fummo rapiti dalla bellezza di alcuni gioielli. Io mi innamorai perdutamente e a prima vista di un anello con una pietra nera che acquistai subito, Barbara spaziò dall'anello con pietra verde alla collana agli orecchini. Io esausta andai vicino Hakim, con il mio anello e il tè alla menta offerto

dalla signora e mi sedetti. Hakim mi disse ''era tutto previsto'' Dopo quasi un'ora la scelta, orecchini. Salutammo il fascinoso Hakim e ci dirigemmo verso la piazza jamaa el fna. La piazza la mattina e il pomeriggio è popolata da mercanti, cavatori di denti, domatori di serpenti e scimmie, cantastorie che la sera lasciano spazio ai tavoli su cui vengono serviti cibi preparati al momento. Jamaa el fna è stata dichiarata dall'UNESCO patrimonio orale e immateriale dell'umanità. «Lo spettacolo di Jamaa el Fna viene ripetuto quotidianamente e ogni giorno è differente. Tutto cambia - le voci, i suoni, i gesti, il pubblico che vede, ascolta, odora, assaggia, tocca. La piazza, come spazio fisico, protegge una ricca tradizione orale e intangibile.» Jamaa el fna sicuramente interessante ma a me ha divertito un'altra piazza di cui non ricordo il nome e che chiamerò piazza dei mestieri. A zonzo per la città arrivammo in piazza dei mestieri. La piazza era piena di biciclette parcheggiate in modo ordinato e distanziate. Di biciclette parcheggiate ne avevo viste a milioni anche ad Amsterdam ma quelle di piazza dei mestieri decisamente originali. Ogni bicicletta aveva appeso un oggetto che identificava un mestiere, una cazzuola, un tubo, un mestolo, un ago e filo, ecc. Chi aveva bisogno di un muratore o di qualsiasi altro professionista bastava contattare il numero appeso vicino all'attrezzo. Intanto il Muezzin, persona addetta alla moschea, dall'alto del minareto modulava con voce alta e possente, rivolgendosi ai quattro punti cardinali, la formula convenuta per richiamare i fedeli alle cinque preghiere stabilite dal Corano in cinque ore diverse del giorno. Forse da ignoranti ci stupì non vedere le persone pregare, ma non facemmo troppe domande. Marakech come tutte le città è descritta bene nelle guide turistiche, io non ho queste pretese. A me piace raccontare i miei ricordi e se possibile divertire. Il viaggio di ritorno verso Milano fu a suo modo molto divertente. Completato l'imbarco ero seduta tra barbara e un signore marocchino. Guardai nella borsa del mio vicino e contai sei lattine di birra, mi sembrò strano ma non mi preoccupai. Dopo qualche minuto, mentre l'areo rullava preparandosi al decollo, il mio vicino inizio ''sei molto bella, come ti chiami '' ed io ''è molto gentile, mi chiamo Elisabetta'' ''vuoi una birra? '' ''no grazie, sono molto stanca e vorrei riposare'' ''nella borsa ho dei datteri per mia moglie te ne offro uno? '' pensai, uno? Che spilorcio. Poi allungò la mano sulla mia gamba, era visibilmente ubriaco. Chiamai l'hostess e le raccontai quello che era successo e delle lattine di birra. L'Hostess gli sequestrò l'intera borsa. Il mio compagno di viaggio che minuti prima voleva offrirmi un dattero cominciò ad inveire contro di me considerandomi la responsabile del sequestro della borsa. Il comandante annunciò che se la situazione non fosse rientrata entro dieci minuti avremmo fatto un atterraggio a fez per consegnare il mio vicino e i suoi datteri alle autorità locali. Tre connazionali del mio vicino lo presero di peso lo portarono in fondo all'aereo chiusero le tende per qualche minuto e poi lo riportarono al suo posto scortandolo fino a malpensa. Ci rimanne una curiosità, che cosa gli avevano detto per farlo tornare al posto calmo e tranquillo? Questo non lo sapremo mai. Arrivati a malpensa, prima dello sbarco, la polizia lo prelevò. Alcuni ragazzi ridendo mi dissero ''signora per un dattero stava scoppiando un caso internazionale tra Italia e marocco'' Arrivati al controllo passaporti il mio compagno di viaggio era ancora con la polizia e mi guardava in cagnesco. Fu un viaggio divertente. Ah! Dimenticavo, città ocra perché la Medina è costruita con pietre e sabbia di colore ocra.


Aprile 2022

La foglia CHE NON POTEVO ANCORA APRIRE Ad ogni tempo il suo tempo

Le storie non sono fatte di banali colpi di scena, ma di infiniti stati d’animo, di percorsi interiori, piccoli gesti che accompagnano per mano nella semplicità della vita quotidiana, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Paolo con questo racconto ci dona se stesso, facendoci entrare nelle sue profonde emozioni, gli interrogativi, le ansie e i misteri che lo turbano. In un bosco incontra una giovane e accade qualcosa di molto intenso che resta come nell’aria perché poco dopo si perdono per prendere strade diverse. C’è un dono che lei lascia a lui: lui una foglia arrotolata, come il contenitore di uno strano, luminoso messaggio da leggere a suo tempo… Paolo ci coinvolge nella sua straordinaria normalità, normalità mentre è ospite da amici ma pensa a ciò che lei, Inik, gli ha lasciato.

A

(Prima parte su Scriveresistere n°02/2022)

di Paolo Marchiori

ppena arrivato mi tolsi gli scarponi e mi misi le ciabatte e consegnai i porcini a Carlotta amica e padrona di casa, mi disse fatti una doccia, che ti preparo le tagliatelle con i funghi. Gli altri sono già arrivati. Mentre facevo la doccia continuavo a dirmi, ma io lo vissuto tutto questo, non l'ho sognato, e aumentava la frenesia del pensiero di aprire la foglia che avevo lasciato nel bauletto dell'auto. Mi diedi anche dello scemo, potevo dirle ci vediamo domani? nemmeno quello mi venne da dire. Finita la doccia mi misi in tuta da ginnastica e mi chiamarono a tavola, si sentiva un profumino… avevo proprio fame, parlammo un po' di tutto e della mia giornata, ma rimasi vago. Mentre si mangiava, la tv era accesa. Normalmente odio, quando si mangia, tenere il televisore acceso, ma stavano trasmettendo il tg locale, la notizia di un incidente stradale in cui era coinvolto un autobus in direzione d'Idro, che trasportava dodici passeggeri, tutti maschi e tutti illesi solo alcuni con piccole ferite. Solo il conducente aveva riportato una frattura al piede. Nel sentire la notizia il cuore mi si gelò pensando al sogno e al fatto che avevo visto Inik salire proprio su quell'autobus. Mi alzai di scatto in piedi e tutti mi guardarono, allora dissi "non ricordo se ho lasciato il portafoglio in auto con le chiavi”. Corsi fuori e guardai subito nel bauletto: il portafoglio c'era, anche la foglia, ma c'era ancora troppa luce solare, quindi aspettai ad aprirla, rientrai in casa e tutti mi guardarono, perché era sbiancato come se avessi preso uno spavento, quindi raccontai un’altra bugia, dissi che mi mancava la carta prepagata, ma magari l'avevo lasciata a casa, comunque al massimo c'erano 70 o 80€, per cui tutto ok! La serata continuò normalmente, poi giocammo a tombola e a chi avesse perso di più gli toccava cucinare il pranzo del giorno dopo, per fortuna c'era la lavastoviglie per lavare i piatti, perché io sono uno dei due che hanno perso di più; d'altronde, la mia giornata era stata fortunata in amore, o almeno piena di belle emozioni. Poi andammo tutti a nanna: io scelsi il divano letto al piano terra, perché dovevo in qualche modo aprire quella foglia per cui, per paura di addormentarmi, mi feci prestare una sveglia con suoneria con la scusa di alzarmi presto per andare a funghi, in realtà, era perché volevo aprire quella foglia. La curiosità e l'ansia stavano aumentando ed ero talmente stanco che pensai che in meno di un minuto mi sarei addormentato. Infatti, nello sdraiarmi, caddi in un sonno profondo, che non sentii neppure la sveglia. Mi svegliò Carlotta con il buongiorno scendendo le scale e le diedi una mano per preparare la colazione a tutti; lo feci volentieri per scaricare la rabbia che avevo in corpo per via di quella foglia che non potevo ancora aprire. Scaldai per tutti il pane a fette per renderlo come le fette biscottate su cui stendere la marmellata buonissima fatta da Carlotta (lamponi, mirtilli e una mista con frutti di bosco). Carlotta mi disse "Come mai non sei andato a funghi?" le risposi "non ha suonato la sveglia" “strano”, disse lei. Andò a prenderla e si accorse che faceva le 23.45 semplicemente perché una batteria si era mossa e dissi "che cretino, sono proprio un cretino". Ormai a quel punto, aspettai gli altri. In quella casetta eravamo in sei con i proprietari, due coppie e due single e, mentre aspettavo gli altri, ricordai che feci tanti sogni, ma mi ricordai solo di Inik accostata ad una pianta che

continuava a dirmi la stessa frase che mi disse salendo sull'autobus "Ad ogni tempo il suo tempo”. Carlotta aveva già preparato, quattro cestini con provviste per il pranzo da mettere nello zaino, le donne avevano deciso di rimanere a casa per prendere il sole, perché erano stanche e a loro non andava di camminare. Partimmo alla ricerca di funghi percorrendo la zona dove ero già passato, ma non avevo ancora perlustrato: sentivo che quel giorno non avrei trovato nemmeno un fungo. La mia mente continuava a pensare alla foglia e tenersi dentro tutto non era facile! Marco fu il primo a trovare dei finferli, Gianni due porcini e Roberto qualche chiodini e tre porcini, io niente, tutto questo dopo due ore, quindi mi sedetti e dallo zaino presi qualcosa da bere. In quella zona finiva il bosco e c'era un prato, circa 3000 metri quadrati di campo, poi vennero anche gli altri vicino a me, e fecero uno spuntino ma con della frutta. Mentre osservavo il panorama, vidi in cielo una sola nuvola, e pensavo"è tutto sereno limpido, cosa ci fa una nube così?"; pensai ad alta voce e Marco ridendo disse "è il nostro angelo che ci protegge". In effetti ad osservarla bene, aveva quasi la forma di un angelo, ma non dissi niente perché ero stufo di queste stranezze, così mi alzai in piedi per primo dicendo che dovevo recuperare, visto che il mio cestino era vuoto! E tutti seguirono il mio esempio. Cercai di non pensare, e di concentrarmi per trovare qualche fungo e si decise di darci un appuntamento alle tredici per il pranzo, io mi incamminai a fianco del bosco sull’erba, poi vi entrai e subito vidi un enorme porcino, la cappella di diametro faceva circa 30 cm. e nelle vicinanze era tutto un fungo ma non di solo porcini. Non essendo un vero esperto, per sicurezza, misi nel cestino solo quelli che conoscevo. Erano trascorse più di due ore ma arrivai in orario: erano già tutti seduti, avevo fame e guardai subito cosa avesse preparato Carlotta e rimasi stupito nell'aprire il contenitore: una mega porzione di ... melanzane alla parmigiana! Il mio stomaco era già sazio ma vidi che c'era un altro contenitore con una crostata di marmellata di fichi e sarebbe stato un crimine non mangiarla, e così feci lo sforzo di finirla. Gianni si era attrezzato per il caffè e, mentre lo aspettavamo, tutti mi dissero, “ti sei rifatto eh? Hai il cestino pieno!”. “É vero", risposi, "oggi dovete venire con me, è pieno di funghi” e dopo il caffè, partimmo subito, altrimenti avremmo tutti fatto la pennichella. Arrivati nel luogo raccogliemmo due enormi sacchi pieni di funghi e mentre ci si preparava per il ritorno, mi accorsi che c'era lo stesso albero dove incontrai Inik, e chiesi agli altri “Conoscete il nome di questa pianta?”, Marco disse sorridendo, “lo chiamano, l'albero della vita”. Un'altra cosa che, da un lato, mi incuriosiva e mi ricordava la foglia che avevo nel bauletto, dall'altro, un po' mi infastidiva perché non ci capivo più niente, addirittura cominciavo a dubitare, a pensare che fosse tutto uno scherzo fatto dai miei amici; e il sorriso di Marco mi faceva pensare… (Continua sul prossimo numero)

7


8

Aprile 2022


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.