Rivista Santuario della Consolata - ottobre/dicembre 2019

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San Valerico, abate monaco benedettino francese, compatrono di Torino Daniele Bolognini

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▲ «S. Valerico con S. Sebastiano e S. Rocco», 1600, olio su tela di Antonio Parentani, Parrocchia di San Cassiano, Grugliasco - (fotograa di Matteo Selva)

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Il Santuario della Consolata

alerico è compatrono della Città di Torino n dall'epidemia di peste del 1598, le sue reliquie erano venerate in città dai tempi in cui le portarono i monaci della Novalesa nel 906. Le vicende di questo Santo francese ci portano nell'alto medioevo, quando monasteri e abbazie costituivano un riferimento non solo religioso, ma anche sociale, economico e politico. Valerico (Walaricus in latino, Valéry in francese) nacque nel 565 nell'Auvergne, regione montuosa del centro della Francia, in una famiglia di pastori. Adolescente, sentì forte il desiderio di imparare a leggere e scrivere, si fece così incidere le lettere dell'alfabeto su alcune tavolette di legno e, badando al gregge, imparò a memoria il Salterio. Partecipò in seguito in modo più attivo alle funzioni e sbocciò in lui il desiderio di farsi monaco. Non lontano da Issoire sorgeva il monastero benedettino di Autum (Autoingt) dove viveva un prozio e Valerico, pieno di fervore, nonostante la contrarietà del padre, chiese d'esservi accolto. Per sottrarsi alle pressioni dei genitori, si rifugiò in seguito ad Auxerre, nel monastero di Saint-Germain da poco fondato, dove, tra l'altro, divenne padre spirituale di Bolone, un nobile del luogo. Questi, spogliatosi dei propri averi, abbracciò la regola benedettina e divenne suo discepolo. A quel tempo i monaci potevano spostarsi con una certa libertà da un monastero all'altro e i due vollero incontrare un confratello irlandese la cui fama era diffusa in tutta Europa. Conobbero così San Colombano nel 594 a Luxeuil (Borgogna), un'abbazia in cui vivevano circa duecento monaci dove si stabilirono. Valerico ebbe l'incarico di ortolano, ma il suo carisma non tardò a manifestarsi


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