Juggling Magazine #71 - june 2016

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CLAUDIO STELLATO foto di Geert Roels Non preparo spettacoli scrivendo dossier sul progetto e programmando le tappe di lavoro. Sono lento nel montare degli spettacoli, e in genere impiego almeno 3 anni per una nuova creazione. Non ho un regista, ma ho artisti a me vicini che mi vengono a trovare durante le presentazioni e dai quali accetto consigli e suggerimenti. Ci tengo che sia un’opera artigianale, come un mobile fatto a mano, con il legno che deve seccare. Noto che invece il mercato impone modalità completamente differenti. Sempre più spesso vedo ragazzi al loro primo spettacolo lavorare sodo, pieni di idee, realizzare lo spettacolo dell’anno, che tutti ingaggiano. L’anno dopo tutti vogliono un loro nuovo spettacolo, e lì si uccidono da soli, quasi sempre. Producono uno spettacolo piatto, più o meno uguale al primo, ma senza la stessa forza. Per me è importante nel lavoro apprendere sempre qualcosa, andare avanti, non fermarsi a quello che hai realizzato. Ad esempio la scenografia de L’Autre l’ho segata, l’ho distrutta, l’ho bruciata. Non lo voglio più fare, il passato non mi interessa, e nemmeno avevo voglia di passarlo a qualche altro interprete. L’esperienza L’Autre è durata 7 anni, ho vissuto tutto ciò che potevo imparare, tutti gli incidenti, il mobile che si scassa, le ho fatte tutte, perfino gestire una crisi epilettica nel pubblico. Il mio nuovo spettacolo “La Cosa” viene da lontano. Già nel 2012 avevo iniziato una ricerca su un progetto dal titolo “Rituals”, una ricerca con materiali naturali, tutta giocata sugli spazi esterni, perche i muri della sala non mi ispiravano più. In quel periodo lavoravo su alcuni temi, facevo tutti i giorni degli esercizi sulla trance, per esempio ripetendo gli stessi movimenti per un’ora. Inoltre lavoravo con elementi naturali, grandi ciottoli di fiume, e poi pelli di animali, armi da taglio come l’ascia o la spada dei samurai, tronchi d’albero, la terra. In ogni luogo che aveva accettato di prendermi in residenza - con l’accordo che avrei fatto solo ricerca, senza montare alcun spettacolo - lavoravo su due o tre cose che avevo in testa. La mia ricerca comincia sempre con lunghe introspezioni e due/tre idee. Questa volta avevo un’immagine in testa. prendo un’ascia, la impianto in un ciocco di legno, non riesco più a tirarla fuori e mi ammazzo dal ridere. Questo è stato l’inizio, un’immagiwww.jugglingmagazine.it

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ne che volevo realizzare da anni, senza riuscirci. In residenza in Danimarca ho finalmente preso l’ascia, un ciocco, l’ho impalata, e più non riuscivo a tirarla fuori, più mi ammazzavo dal ridere. Da lì finisco in Ungheria, altra residenza, su una collina, dove faccio l’esperienza di farmi interrare completamente. Il pubblico arriva e non mi trova, a quel punto io sbuco da sottoterra …bum! Avevo una spada da samurai allora, delle pellicce; più le residenze avanzavano e più capivo che mi piaceva assemblare delle istallazioni in scena. Incastrando una cosa nell’altra cominciavo a costruire delle cose, degli animali, un ciocco di legno, un’ascia, poi metti un altro ciocco in equilibrio lo rivesti con una pelle, crei una mucca; aggiungo anche delle corde di canapa, ce ne avevo tante, e la terra…la scultura cresceva, trovo i tronchi, capisco che le pietre non funzionano con me e le tiro fuori dal progetto, continuo a lavorare, lavorare…c’è la danza…facevo anche degli assoli di danza in questa mia ricerca. Finisco a Bordeaux un giorno, per un festival di piccole forme. Sono in residenza e mi prestano un ragazzo, Julien, amministratore e diffusore della compagnia residente, per aiutarmi tecnicamente alla presentazione finale. Ci divertivamo a lavorare insieme e gli ho detto di venire su alla residenza successiva, e poi ancora a quella dopo. Insomma Julien è entrato nel progetto, lui che non ha fatto mai niente di corporale nella sua vita. Mi faceva delle foto, facciamo delle cose insieme, ma ero sempre io al centro. Sulle colline belga lavoriamo in esterno con la neve. Lì i boscaioli quando tagliano il legno da ardere lo accatastano in montagnette prima di portarle giù. Scorgo le cataste, mi apro un buco e ci entro dentro, con la legna fino al collo, e Julien filma un’uscita improvvisata dal legno. Da quel giorno, dopo più di un anno di ricerca, ho deciso che avremmo usato metri cubi di legna e l’avremmo portata in scena. Avevo ancora le asce, le spade, e un giorno finisco a Cherbourg. Dove lavoravo c’era un ragazzo che stava affilando i coltelli della cucina. Era lo scenografo di Jeanne Mordoj. Viene nello studio, vede i miei disegni - disegnavo tanto in quel periodo - e si offre per costruire delle cose insieme. Così entra anche lui con Julien nel progetto. All’inizio mi raggiungevano negli ultimi giorni delle residenze e insieme preparavamo le presentazioni. Costruiamo, sperimentiamo, faccia-


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