il miSTerO PaSqUale
Considerazioni di Rudolf Steiner, 1923
Dal ciclo di conferenze tenute a Dornach dal 31 marzo all’8 aprile 1923
(“Il corso dell’anno come respiro della Terra e le quattro grandi festività”)
“Nel periodo pasquale il Cristo inizia a collaborare con l’elemento solare, e quel periodo coincide dunque con l’espirazione della Terra. [...] Nel periodo pasquale dovremmo sentire tutto ciò e dirci: se mi sono unito con la forza del Cristo, anche la mia anima fluisce con l’esperienza dell’anima della Terra nelle ampiezze cosmiche, e riceve la forza del Sole che il Cristo porta ora dalla Terra alle anime umane, così come prima del mistero del Golgota la portava loro dal cosmo. [...] [...] con l’espirazione il Cristo prende con sé Michele, affinché questi possa dal cosmo acquisire di nuovo le forze che ha consumato nella lotta contro l’elemento arimanico-terrestre. A Pasqua anche Michele inizia di nuovo a immergersi nel cosmo, e a San Giovanni vi si intesse al massimo. Chi oggi comprende correttamente ciò che in quanto uomo lo unisce alla Terra, può dirsi: comincia per noi il periodo in cui vediamo in modo giusto l’impulso del Cristo, se sappiamo che nel corso dell’anno è stato accompagnato dalla forza di Michele, se per così dire vediamo il Cristo fluire giù nelle sfere terrestre e su in quella cosmica, accompagnato in modo corrispondente da Michele che nelle lontananze cosmiche conquista forze d lotta. [...]
Così nel nostro tempo anche il pensiero della Pasqua può venir inteso nel suo giusto senso, se si afferra che alla più grandiosa immagine posta a chiarimento dell’esistenza terrena, all’immagine del Cristo che risorge dal sepolcro vittorioso sulla morte, va aggiunta, alla destra del Cristo Gesù, l’entità di Michele, mentre la forza del Cristo compenetra la forza del respiro della Terra nel corso di un anno. [...] L’impegno ad essere compenetrati dall’impulso del Cristo nel senso del pensiero di Michele deve oggi svegliarsi in noi in modo speciale. ce ne compenetreremo nel modo giusto, collegando il pensiero della resurrezione con l’attivo pensiero di Michele, quale è posto nell’evoluzione dell’umanità nel modo che ho spesso esposto.” (Dornach, sabato santo, 31 marzo 1923)
“Sarà necessario che l’umanità riacquisti una conoscenza del mondo spirituale, per comprendere eventi che non rientrano nel novero della realtà senisbile. Fra questi fatti vi è anche ciò che si collega con il pensiero della resurrezione. Allora potrà di nuovo davvero vivere il pensiero della Pasqua. [...] Oggi è giunto il tempo in cui il pensiero della Pasqua deve risvegliarsi alla vita; per farlo, deve appunto passare dallo stato della morte a quello della vita. Caratteristico della vita à produrre da sé altra vita. Qando nei primi secoli della cristianità si diffuse il pensiero pasquale, le anime erano ancora abbastanza ricettive per sperimentare interiormente la grandiosità della sepoltura del Cristo e dell’entità che risorge dal sepolcro, da allora in poi
legata all’umanità. [...] Gli uomini sentivano di esser diventati diversi, dopo aver sperimentato la morte e la resurrezione di Cristo. Da quell’immagine si sentivano trasformati nell’anima, come di solito ci si sente trasformati a seguito di accadimenti fisici nel corso della propria vita terrena. [...]
Nel corso del tempo il pensiero della Pasqua perse questa sua forza, questa sua potenza. La può riacquistare se la resurrezione, che non può esser compresa secondo le leggi della natura, riacquisterà una realtà nell’ambito di una scienza dello spirito che appunto comprenda lo spirito. Si potrà comunque acquisire una realtà per ciò che va compreso spiritualmente, se lo spirito non verrà afferrato solo in pensieri astratti, ma in relazioni vitali con il mondo che si presenta ai sensi. [...]
Che cosa significa, infatti, il pensiero della resurrezione?
L’entità del Cristo discese dalle altezze spirituali, entrò nel corpo di Gesù, per così dire, portò forze extraterrene nella sfera terrestre; avendole qui portate, dal momento del mistero del Golgota quelle forze extraterrene furono legate con le forze dell’evoluzione dell’umanità. [...] Dopo la resurrezione il Cristo si è legato all’umanità; da allora non vive soltanto in altezze sopraterrene, ma entro l’esistenza terrena, vive nell’evoluzione, nella corrente evolutiva dell’umanità. Quest evento non va visto soltanto in una prospettiva terrena, ma anche sopraterrena. Bisogna considerare che il Cristo non soltanto è disceso dai mondi celesti sulla Terra per divenire uomo, come dono agli uomini, ma si deve vedere l’evento del Cristo anche nel senso che Egli per discendere sulla Terra si allontana dal mondo spirituale. [...] Agli uomini il Cristo apparve; per un certo mondo spirituale Egli scomparve. Passando attraverso la resurrezione, Egli apparve a certe entità spirituali extraterrene come una stella luminosa che ora brilla loro dalla Terra verso il mondo spirituale. [...]
Il pensiero pasquale ricorda che Egli fu deposto nel sepolcro e poi risorse; questo propone il pensiero pasquale, nella sua cosmica saggezza: “Guarda te, uomo, tu discendi da mondi sopraterreni, ti minaccia il pericolo di morire rispetto alla tua anima, nella vita terrena. Viene però il Cristo che ti mostra come la sfera sopraterrena-spirituale, da cui anche tu discendi, vinca la morte. ” [...]
Il pensiero pasquale: Egli fu deposto nel sepolcro, ed è risorto.
Il pensiero della festa di Michele è invece: Egli è risorto, dunque può essere deposto nel sepolcro.
Il primo pensiero, quello pasquale, si riferisce al Cristo; il secondo pensiero si riferisce all’uomo, all’uomo che appunto comprende la forza del pensiero della Pasqua: dopo essere
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entrato nella vita terrena del presente, dove il suo elemento animico spirituale si spegne, egli, grazie alla conoscenza spirituale, può riscuscitare la propria anima, e così divenire vivo fra la nascita e morte, interiormente vivo nella vita terrena. Con la scienza dello spirito l’uomo deve comprendere questo interiore risorgere, questo interiore divenir desto; allora potrà essere deposto nel sepolcro. Sarà deposto nel sepolcro perché altrimenti cederebbe alle forze arimaniche che agiscono entro la sfera terrena nel periodo del solstizio invernale.” (Dornach, domenica di Pasqua, 1° aprile 1923)
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Cappella Ita Wegman, affresco di Liane Collot d’Herbois, Ascona
“L’unica cosa che dà vita, è la devozione, devozione al Mistero del Golgota.” Ita Wegman
Rudolf Steiner nell’agosto del 1914 tenne a Dornach quattro conferenaze (in più una a Berlino poco dopo) sul tema del Mistero della Ferita e dell’Impulso del Buon Samaritano, sul tema degli Spiriti di popolo, alla luce di considerazioni sul Mistero del Golgota. Tra le sue conferenze tenne per gli antroposofi presenti anche corsi di bendaggio, in cui oltre alle indicazioni pratiche di come fornire soccorso, si trovano indicazioni spirituali con cui compenetrare le proprie azioni di soccorso. E’ uno degli esempi forniti da Steiner di come trasferire nella sfera pratica della vita quotidiana le cononoscenze antroposofiche. Consideriamo anche le circostanze di quella comunità dei primi antroposofi provenienti da vari paesi del mondo (anche di nazioni che fuori i confini della Svizzera neutrale, erano dichiarati nemici e quindi costretti a combattersi tra di loro), che, sulla collina di Dornach, in pieno clima di conflitti europei ed accompagnati effettivamente dai suoni di spari e luci dei cannoni dei vicini campi di battaglia dell’Alsazia meridionale, stanno lavorando alla costruzione del Primo Goetheanum. “Su questa collina vogliamo edificare qualcosa che stia in un legame armonico con le entità” del mondo spirituale.
Rudolf Steiner, 1914
allo Spirito di popolo con un’anima compenetrata dal Cristo. La giusta relazione di un uomo con lo Spirito di popolo si potrebbe chiamare «un dialogo cristificato con lo Spirito del popolo». [...]
Se l’uomo è in dialogo cristificato col proprio Spirito di popolo, egli è nel mondo spirituale dove tutto si compenetra. dove lo spazio è illimitato, e l’uomo non sente alcun confine, tutti i dialoghi dei diversi popoli si compenetrano nello spirito...Se così fosse, sarebbe giusto. Ma sul piano fisico le cose non stanno così. Qui ogni spazio ha confini, qui niente si compenetra. Quando un popolo tende ad espandersi nello spazio fisico (in seguito all’interferenza di una forza naturale nel rapporto con lo Spirito del popolo, forza naturale che proviene da entità rimaste indietro) si scontra con un altro, ed ecco che scoppia una guerra.” (Dornach, 16 agosto 1914)
“Così è veramente importante anche il modo in cui, con il nostro stato d’animo, con tutta la nostra anima, assumiamo il ruolo di soccorritori; e forse nulla può darci la possibilità di soccorrere più del compenetrare la nostra intera disposizione animica con una fede e fiducia reali nella forza e nella potenza dello spirito, restando saldi nella massima: «Non io, ma il Cristo in me» . Qui vorrei indicare un ideale lontanissimo. Nella sfera spirituale portano già ora soccorso cose che esteriormente avranno un effetto solo nel futuro. Oggi è certo difficile crederlo e capirlo con tutto il cuore; dobbiamo tuttavia ritrovarci nell’alto e grande ideale che dice: l’umanità sarà appieno realizzata solo quando il dolore del singolo potrà venire percepito da un altro come dal singolo stesso.” (Dornach, 14 agosto 1914)
“Ora però avviene che nonstante nel mondo spirituale regnino armonia e pace tra gli Spiriti di popolo, qui sulla Terra di tanto in tanto scoppi una guerra. Perché è così? Se solo gli uomini riuscissero ad avere un giusto rapporto spirituale con gli Spiriti di popolo non ci sarebbero mai guerre. Ma non è così. Nel nostro tempo avviene che gli uomini non siano nella condizione di innalzarsi spiritualmente fino ai loro Spiriti di popolo. Ma come è la relazione spirituale con gli Spiriti di popolo?
Vogliamo considerare che cosa è avvenuto nell’evoluzione terrestre con il mistero del Golgota. Prima del mistero del Golgota, il rapporto degli uomini con i loro Spiriti di popolo era diverso da adesso. Prima l’uomo stava di fronte al suo Spirito di popolo, il Cristo non c’era ancora. Ora però, dopo il mistero del Golgota, gli uomini hanno la possibilità di rivolgersi
“ Nel prossimo futuro avremo molte opportunità di provare se siamo compenetrati nel modo giusto dal Cristo, il quale tramite il nostro cuore agisce sul cuore dell’altro uomo, unendoci a colui che soffre, che prova dolore, come fossimo una cosa sola con lui. [...] per lo sviluppo delle anime umane verso i mondi spirituali, è necessario sentire in se stessi il dolore che vive nell’altro. [...]
Perché possa avvenire questo, perché quindi l’umanità possa progressivamente pervenire al punto che il dolore dell’altro non ci eviti, ma continui ad agire in noi: proprio per questo è scorso il sangue di Cristo sul Golgota. Per questo cerchiamo anche noi proprio in questi tempi di fortificare nelle nostre anime l’atteggiamento che abbiamo indicato. Possiamo farlo con le parole seguenti, che pronunceremo come a noi stessi il più spesso possibile nei pensieri che ci collegano con la serietà della nostra epoca, rivolgendoci con il primo verso al nostro fratello. Queste parole sono:
Finché tu senti il dolore che evita me non è riconosciuto il Cristo operante nella sostanza del mondo. Infatti lo spirito resta debole, se può sentire il dolore solamente nel proprio corpo.
So lang du den Schmerz erfühlest Der mich meidet, Ist Christus unerkannt Im Weltenwesen wirkend. Denn schwach nur bleibt der Geist, Wenn er allein im eignen Leibe, Des Leidesfühlens mächtig ist.
(Berlino, 1° settembre 1914)
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«nOn iO, ma il CriSTO in me» Considerazioni di
di Maria Stella Cantini, marzo 2023
Con questo Numero di Pasqua inauguriamo la rubrica “ Antroposofia pratica”: un ciclo di interviste fatte a persone legate all’Antroposofia e che la vivono nel quotidiano. Il fine è quello di supportare il lettore nella vita di tutti i giorni, di non scoraggiarlo e di ricordargli la massima di Rudolf Steiner “Un passo nella conoscenza, tre passi nella moralità “, poiché i nuovi misteri di Michele “ non necessitano di grandi saperi intellettuali” ma vanno vissuti. Iniziamo con Christine Untersulzner, nata a Bolzano nel 1950, traduttrice dei libri di Sergej O. Prokofieff dal tedesco all’italiano e fondatrice assieme al marito Giorgio Gandolfo della Casa Editrice Widar Edizioni, con la quale ad oggi sono pubblicate 33 Opere dell’autore.
Signora Untersulzner, vorrei dare inizio a questa intervista con una domanda essenziale: come e quando ha incontrato l’Antroposofia?
Ho conosciuto l’Antroposofia nel 1973, quando un giorno un amico di mio marito gli chiese: « Tu che hai sempre parlato e vissuto l’aspetto del cosmo, della creazione, del mondo spirituale, hai mai sentito parlare di Rudolf Steiner? Perché sai, questa sera un piccolo gruppo di persone di Mestre ha invitato un pedagogo di Dornach, che terrà una conferenza che potrebbe interessarti ». Mio marito su due piedi rispose che non ne aveva mai sentito parlare - in seguito in realtà si ricordò di aver già incontrato quel nome nel libro “I grandi Iniziati” di Édouard Schuré - e quella sera andammo alla conferenza. Da quel momento mio marito cominciò a prendere e a studiare a fondo i libri di Rudolf Steiner, me ne parlava ed io ascoltavo e andò avanti così per ben 19 anni senza che io toccassi in prima persona un libro e senza avere alcun tipo di contatto con quel gruppo di Mestre. Per ben 19 anni. Poi, il 29 settembre 1992, scoprimmo che a 5 km da dove abitavamo c’era il centro antroposofico di Oriago, con una scuola, vari gruppi di studio, una casa editrice e con un’attività antroposofica molto intensa. Andammo a una conferenza e da lì ci mettemmo a completa disposizione: mio marito prese su di sé la responsabilità della casa editrice ed io, essendo bilingue perché nata in Alto Adige, diventai responsabile delle corrispondenze e in generale di tutto ciò in cui era necessaria la lingua tedesca. Infine, nel 1994
diventammo soci della Società Antroposofica Universale.
Come e quando ha incontrato Sergej O. Prokofieff? Ho incontrato Sergej O. Prokofieff il 5 settembre 1995 quando venne al centro antroposofico di Oriago per parlare con il responsabile della casa editrice, al tempo mio marito, e chiedergli se la casa editrice, che fino a quel momento aveva pubblicato solo due libri - “Rudolf Steiner e la fondazione dei nuovi misteri” e “Le dodici Notti Sante e le Gerarchie Spirituali” - fosse ancora interessata a pubblicarne altri. In quell’occasione lui tenne una conferenza intitolata “Lo studio della Scienza dello Spirito quale incontro con l’essere vivente Antroposofia”. Questa conferenza era la prima parte dell’opera appena uscita in tedesco “La Celeste Sofia e l’Essere Antroposofia” che io avevo letto poco tempo prima e che mi aveva colpita profondamente, tanto che avevo pure provato a tradurla. Quando lui arrivò, facendo io da traduttrice nel dialogo, gli chiesi se potevo tradurre questa conferenza così che poi la casa editrice Arcobaleno l’avrebbe pubblicata. Lui, alla mia domanda, con un sorriso che non dimenticherò mai e prendendo in mano il libro rispose: « Sì, Le do l’autorizzazione. Ma vede, questo è un organismo completo; io non ho fretta, però sarebbe bene che un giorno questa prima parte venisse pubblicata anche con il resto ». In un primo momento pensai che non ce l’avrei mai fatta a tradurre un libro di una profondità tale e che contiene tutta la Scienza Occulta di Rudolf Steiner. Per questo pensai anzi che mi sarei impegnata a trovare qualcuno che avesse la capacità di portare a termine tale compito. Poi iniziai a tradurlo e continuai fino alla fine. Fu un’esperienza intensissima. Da lì è scaturito tutto quello che ha portato nel 2001 alla fondazione della casa editrice Widar Edizioni per la pubblicazione delle opere di Sergej O. Prokofieff in italiano.
Come mai ha deciso di continuare a tradurre le opere di questo autore?
Tramite le sue opere ho sperimentato una luce grandissima per la comprensione delle intenzioni di Rudolf Steiner per il
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“...Un CUOre vivO Per aCCOGliere l’anTrOPOSOFia...” inTerviSTa a CHriSTine UnTerSUlzner
futuro. Ho compreso che questo autore mi avrebbe permesso di comprendere quello che Rudolf Steiner intendeva con il Convegno di Natale per il futuro. Per questa importantissima ragione sentivo che dovevo continuare a tradurre le Sue opere, con le quali è iniziato così un intenso e continuo rapporto spirituale.
Cosa intende con rapporto spirituale? Quando Lei traduce sente un legame con l’autore e/o con i contenuti tradotti?
Il contenuto vive in Sergej Prokofieff, dunque non si può avere un rapporto solo con il contenuto: se c’è un rapporto con il contenuto c’è anche un rapporto con l’essere di Sergej Prokofieff, perché il suo essere stesso è unito al contenuto, sperimenta il contenuto. Il contenuto diventa vivente in lui. Se Sergej Prokofieff non facesse vivere il contenuto in lui non potrebbe scrivere quello che scrive. In quasi tutti i libri appare l’espressione “Congiunzione di essere con essere” che non è altro che la comunione spirituale. Mano a mano che sono andata avanti con le traduzioni si intensificava sempre di più la comprensione di questa realtà, della comunione spirituale.
Quale è il rapporto tra questi contenuti e la loro espressione nella lingua? Dove si pone la lingua nel riportare questi contenuti e nel farli rivivere come vengono vissuti come esperienza vivente nell’autore?
Sergej O. Prokofieff viveva nello spirito di popolo russo e nello spirito di linguaggio russo. Lui viveva nell’essenza spirituale, negli esseri spirituali e metteva in parola quello che viveva. In tal senso era meravigliosa la Signora Preuss1 che riusciva a mantenere e a formulare nella lingua tedesca quelle più profonde sfumature del linguaggio russo. Quando lei venne a mancare, venne a mancare nella traduzione in tedesco l’autenticità dello spirito del linguaggio, l’essenza più profonda, nascosta, quella spirituale, cosicché il sig. Prokofieff si mise a scrivere i testi direttamente in tedesco.
Perché Rudolf Steiner ha inventato migliaia di nuove parole tedesche, tanto che veniva accusato di non sapere parlare il tedesco? Perché doveva rendere in parola la realtà spirituale. Quando si scrive o si traduce c’è il pericolo che l’essenza spirituale vada persa.
Io sono stata criticata diverse volte per la forma, ma la forma non può portare via la sostanza spirituale. Preferisco che non ci sia una bella forma ma che rimanga la sostanza. In italiano cerco di mantenere l’attenzione dell’espressione del tedesco, che Rudolf Steiner ha definito come la lingua più adatta ad esprimere lo spirituale. Ti faccio alcuni esempi: io non posso mettere “Michele intende” al posto di “Michele vuole”, solo perché come forma può piacere di più. Allo stesso modo non posso tradurre “Bewusstsein” e “Gewissen” entrambi con “coscienza” perché la seconda ha una qualifica superiore, essa non è solo “coscienza” bensì “coscienza morale”!
Bisogna cercare di mantenere il significato più profondo e per fare ciò la prerogativa essenziale è esprimere in noi stessi l’antroposofia con il cuore, avvicinarci al pensare del cuore. Solo così i contenuti antroposofici possono essere tradotti in maniera profonda e tale da farli comprendere.
Come appare attraverso i suoi testi il rapporto tra Sergej O. Prokofieff e Rudolf Steiner?
Vedi, quando si parla di queste cose bisogna stare attenti e bisogna fare una distinzione tra il dire e lo sperimentare. Ciò che Rudolf Steiner ha portato va sperimentato. Fatta questa importante premessa, il rapporto tra Rudolf Steiner e Sergej O. Prokofieff si sperimenta nelle sue opere. Nei contenuti che traduco si può sperimentare una vera comunione spirituale tra Rudolf Steiner e Sergej O. Prokofieff: proprio per questo Sergej Prokofieff scriveva quello che ha scritto, perché vive in comunione con Rudolf Steiner. E aggiungo: non ci si deve fermare alle parole, bensì è importante arrivare all’esperienza di questa comunione. In che modo? Nella maniera in cui con selbstlose Hingabe, con dedizione disinteressata, ci si dedica a questi contenuti.
Talvolta mi capitava di dire a Sergej O. Prokofieff che trovavo differenze di espressione nelle varie traduzioni dei testi di Rudolf Steiner e lui mi diceva che spesso succedeva che il correttore di bozze, non sopportando lo stile dell’autore, modificava il testo ed in nome di un piacere personale egli non si metteva più al servizio della traduzione. A questo punto capisci bene che tanto valeva che il correttore di bozze scrivesse direttamente il proprio libro! Se io mi pongo veramente al servizio, devo tradurre quello che dice l’autore. Sai, quando qualcuno proviene da un certo tipo di percorso di studi universitari diventa convinto di un certo tipo di idee. Tale convinzione diventa come impressa nel corpo eterico e da questa traccia diventa praticamente impossibile liberarsi. È proprio questa impronta che fa si che si voglia mantenere quel carattere personale, che tuttavia si distanzia da quello che esprime l’autore. Per rimanere fedeli all’autore, bisogna attenersi a quello che dice, mettendosi al completo servizio, senza che rimanga alcunché di personale.
Come sperimenta Lei il rapporto tra Sergej O. Prokofieff e i giovani? Quale è secondo Lei il messaggio di Sergej Prokofieff per i giovani? E il Suo?
Il compito di Sergej O. Prokofieff è stato quello di portare una luce sulle vere intenzioni dell’ultimo sacrificio di Rudolf Steiner, che egli ha compiuto con il Convegno di Natale del 1923/1924 per l’evoluzione futura dell’umanità e della terra: « Allora voi formerete una vera unione di uomini per Antroposofia » dice Steiner in conclusione del convegno. Attraverso la luce di Prokofieff noi possiamo comprendere quale è questa nuova comunità di uomini. Rudolf Steiner ha portato tutto, ha dato tutto alla fine della sua vita, questo è stato il suo principale destino e compito: “Possano udirlo gli uomini”. A Natale 2002 Sergej Prokofieff, dopo 21 anni dalla stesura2 del suo primo libro “Rudolf Steiner e la fondazione dei nuovi misteri” e la pubblicazione del suo libro “Possano udirlo gli uomini” tiene un convegno dal medesimo titolo del libro, durante il quale attraverso 7 conferenze vuole nuovamente ridare al Goetheanum l’impulso dei Nuovi Misteri fondati da Rudolf Steiner nel 1923/1924.
Oggi siamo nel 2023, 21 anni dopo il Convegno di Natale del 2002 di Sergej Prokofieff e 100 anni dopo la fondazione dei Nuovi Misteri: è una legge spirituale, sono passati 21 anni e l’impulso deve essere riportato. Un impulso spirituale può continuare solo se viene mantenuto vivo con il cuore, altrimenti non vive. Se non mi avvicino all’antroposofia in modo vivente, allontano i nuovi misteri cristiani, anzi non esistono proprio, perché i nuovi misteri cristiani esistono solo se li faccio vivere.
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La comprensione di questo aspetto è il contributo principale della vita di Sergej Prokofieff: mantenere vivo nel cuore questo impulso. E così arrivo a rispondere alla tua domanda: Mi viene da dire che ora ci sono giovani che hanno un cuore vivo per accogliere l’antroposofia in modo vivente ed è in loro che vedo la speranza, perché solo così l’impulso può essere coltivato e mantenuto vivo. Bastano poche persone e non sono necessari grandi saperi intellettuali: i Misteri di Michele sono i nuovi misteri della volontà, non sono più gli antichi misteri della saggezza, c’è stato un rovesciamento totale. La nuova chiaroveggenza è quella di Widar non quella atavica in cui Sein und schein mengen sich, i cui cioè parvenza e realtà si confondono. Il cammino di Rudolf Steiner è conoscenza e coscienza desta. Questo è stato il messaggio di Sergej O. Prokofieff ed è anche il mio per il futuro.
NOTE
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Sergej Olegovich Prokofieff (1954-2014)
1 - Ursula Preuss, traduttrice di S. O. Prokofieff dal russo al tedesco dal 1980 al 2005. 2 - Del 1981
Questo incontro estivo per noi idealmente è un luogo di ascolto e di condivisione, di scambio delle idee, di studio ed approfondimento dell’Antroposofia. Ma prima di tutto, nonché come presupposto di un lavoro serio, desideriamo che sia un luogo di incontro e che ne diventiamo sempre più consapevoli: per questo abbiamo chiamato il settimo convegno Agape: per un’arte dell’Incontro.
Quali incontri vari possono avvenire? Quanta libertà e responsabilità abbiamo, nell’incontrare e nel non-incontrare, nel corso delle nostre vite terrene? Quali sono le condizioni oggi, affinché un vero incontro possa avvenire tra gli uomini?
Tra individui molto diversi tra di loro, legati forse dalla sete di conoscenza e da un qualche loro legame con l’Antroposofia. Individui che racchiudono in sè individualità uniche ed eterne: vogliamo creare e curare questa realtà - fisica e spiritualedegli (ri-)incontri tra queste anime.
Il quadro “Sieh, das ist unsre Liebe” di Jürgen Kadow che è scelto scelto sfondo della locandina per 2023, fa da illustrazione all’omonima poesia di Christian Morgenstern (1871-1914), stretto discepolo di Rudolf Steiner (1861-1925):
Diese Rose von heimlichen Küssen schwer: Sieh, das ist unsre Liebe.
Unsre Hände reichen sie hin und her, unsre Lippen bedecken sie mehr und mehr mit Worten und Küssen sehnsuchtsschwer, unsre Seelen grüßen sich hin und her –wie über ein Meer - - wie über ein Meer -Diese Rose vom Duft unsrer Seelen schwer: Sieh, das ist unsre Liebe
Questa rosa colma di baci occulti: Vedi, questo è il nostro amore. Le nostre mani la sfiorano qua e là, le nostre labbra la ricoprono sempre più di parole e baci colmi di nostalgia, le nostre anime si salutano in un viavai –come attraverso un mare - - come attraverso un mare -Questa rosa, del profumo delle nostre anime colma: Vedi, questo è il nostro amore.1
Vogliamo quindi far incontrare anime di giovani affinché possano salutarsi, conoscersi. Giovani che come compito sentono loro la costruzione di un mondo futuro in cui si tenga conto anche dello spirituale oltre all’aspetto materiale delle cose, e al cui centro è messo l’uomo nella sua realtà tripartita. L’uomo capace di autoeducarsi e che dalla sua libera volontà potrebbe intraprendere la via della conoscenza antroposofica, “una via che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo”, citando la prima massima data da Rudolf Steiner. Cercando di portare gli impulsi di questa scienza nella propria quotidianità, anche dopo il nostro incontro estivo. Impulsi che, speriamo con tutto il cuore, a lungo termine possano contribuire, a partire dal lavoro su di sé e sul proprio ambiente, allo sviluppo armonioso dell’umanità e della nostra Terra.
Agire per un futuro che possa conservare sempre l’aspetto dell’umano e dello spirituale, in un mondo in cui l’intelligenza artificiale e il transumanesimo non sono più realtà surreali neppure lontane, sembra diventare una responsabilità morale. E allora forse vale la pena porre qualche domanda: quali sono quegli aspetti propri della natura umana, che non potranno mai essere appresi e riproposti dal mondo della tecnologia? I ragazzi come riusciranno a distinguere tra un’opera d’arte vera, una poesa scritta da un poeta e una generata dagli algoritmi di un chatrobot? Avranno l’esigenza, qualcuno come esempio vivente di come far nutrire lo spirito di vera arte? Brilleranno mai i satelliti come sanno brillare le stelle? E gli occhi dei robot umanoide come quelli di un vero uomo? I bambini di qualche generazione futura, come potranno capire, se la figura che hanno davanti è veramente umana?
Una delle caratteristiche umane più importanti, certamente oltre al fatto che l’uomo possiede nella sua tripartizione l’anima e anche lo spirito, è la nostra possibilità e capacità di amare. L’amore in questo senso ci rende esseri umani, elevando la nostra parte di origine celeste alla sua patria spirituale; e l’uomo che si riflette e pensa, di questo legame può divenire cosciente. Possiamo sentirci ed essere di fatto collegati con il legame più forte che possa esistere tra esseri: collegati anche animicamente, anche nello spirito. L’arte e l’amore hanno questo potere: entrambi si appellano alle regioni spirituali
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aGaPe, Per Un’arTe dell’inCOnTrO Una riFleSSiOne PerSOnale SUi Temi del COnveGnO GiOvani 2023
di Kata Szabados, febbraio 2023
presenti in noi.
L’antroposofo Sergej O. Prokofieff (1954-2014) nel suo libro E la Terra diviene Sole (trad. di Christine Untersulzner, Widar Ed., 2018) trattando I cinque organi d’Agape del corpo di resurrezione (pp. 60-67) ci fa notare “quanto propfondamente negli antichi Greci viveva la conoscenza della tricotomia dell’uomo”: in greco esistono infatti tre parole per indicare tre tipi di amore.
L’Eros (ἔρως, érōs), l’amore fisico - corporeo, la Philia (φιλία, philía), l’amore fraterno, animico e l’Agape (ἀγάπη, agápē), il grado più alto e puro dell’amore: quello spirituale. Parlavano quindi di amore che unisce gli uomni nel corpo, nell’ anima e nello spirito.
Presso i cristiani del III-IV sec. il banchetto sacro caritatevole offerto in case private ai bisognosi della comunità, prese il nome di cena d’agape, una festa di ospitalità amorevole e di condivisione. La festa d’agape venne ripresa nelle antiche
chiese come “cena del Signore” le domeniche sera, in ricordo all’ultima cena.
Nella successiva tradizione latina l’agape è conosciuto anche come caritas. Un amore incondizionato e disinteressato verso il prossimo, nella visione cristiana, messa spesso in relazione alle vite ed opere di uomini e donne santi.
Agape, è anche l’amore cosmico del Cristo, che dalla Croce rispose alle ferite inflitte con “il più puro Agape che perdona tutto”, con “il Suo infinito amore d’Agape che Egli provava nei confronti del Suo divino Padre”, aggiunge Prokofieff. La sua osservazione è molto interessante e ci viene d’aiuto: nelle “frasi d’Agape che compaiono nei discorsi di commiato” del Vangelo di Giovanni, riconosce tre categorie: “La più alta contiene il reciproco rapporto tra Padre e Figlio; nella seconda categoria in tale unione vengono inclusi anche gli uomini (dapprima solo i discepoli); e la terza categoria tratta dei rapporti d’Agape
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Ultima cena, mosaico bizantino, VI secolo, Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna
unicamente tra i discepoli”. E a noi in questo luogo interessa quest’ultima.
Nella frase «Che vi amiate gli uni gli altri come io vi amo» (15,12), lo scienziato dello spirito vede descritta la possibilità dell’amore degli uomini tra di loro. “Se ciò avviene veramente e gli uomini imparano realmente ad amare anche tutti gli altri con quest’Agape del Cristo, allora tra di loro, nella formazione sociale agirà lo Spirito Santo in forma di consolatore (nominato anche il Paraclito), promesso dal Cristo ai Suoi discepoli nei discorsi di commiato.” Inoltre, è strettamente collegato con le sofferenze del Cristo concentrate nell’evento del Mistero del Golgota, dai dolori del quale, come riporta Prokofieff le parole di Rudolf Steiner (O.O. 148, conferenza del 3.10.1913), «nacque l’amore cosmico onnioperante che al battesimo nel Giordano discese dalle sfere celesti ultraterrene nella sfera terrena, che si fece simile all’uomo, simile a un corpo umano, che percorse l’infinita sofferenza, quale nessun pensare umano può immaginare, che sperimentò il momento della massima impotenza divina, per generare l’impulso che riconosciamo nella successiva evoluzione dell’umanità come l’impulso del Cristo».
Da queste descrizioni possiamo intuire la vastità e la rilevanza dei nostri temi, anche se comprendere queste realtà solo con la testa è difficile. Vi invito di lasciare agire su di voi quelle parole come delle grandiosi immagini viventi, assumendole senza pregiudizi nell’anima; sentirete la complessità del tema, i tanti nessi tra idee centrali dell’Antroposofia quali il Mistero del Golgota, la centralità dell’Essere del Cristo, la natura del sacrificio da cui potrà nascere quell’amore universale capace di ricollegare gli uomini in comunità. Forse in piccole comunità, ma fondamentali nel prossimo futuro.
L’Agape divino agisce tra gli uomini, preparando il terreno per dei futuri incontri. La manifestazione dell’atto d’Agape allora diviene il primo passo dell’ Incontro stesso. Ma sarà anche l’immensa potenza del legame d’amore che lega le individualità anche oltre alla morta fisica, fungendo da ponte tra mondo visibile e mondo invisibile.
E dove avvengono veri incontri, agisce la legge del karma. Per far luce su quanto sia profondo il nesso tra amore e karma (anche parlando degli intrecci tra le varie forme di karma: individuale, karma dell’umanità, della Terra, del mondo), karma e redenzione, riporto estratti da due conferenze di Rudolf Steiner tratte da La saggezza dei Rosacroce (O.O. 99).
“Dobbiamo renderci conto che gli uomini non conducono una vita in comune soltanto sulla Terra fisica, ma anche nei mondi superiori. Come il lavoro degli uomini nelle regioni spirituali fa sentire la sua influenza nel mondo fisico, allo stesso modo tutti i rapporti fra uomo e uomo, le diverse reciproche relazioni, i nessi intessuti nel mondo fisico, continuano sino nelle regioni spirituali.
[…] Amicizie o legami derivanti da affinità animiche continuano nel devacian e fanno sviluppare delle relazioni sociali per la prossima vita. In questo modo, stabilendo qui dei rapporti animici, lavoriamo alla configurazione del devacian. Tutti abbiamo lavorato, tessendo legami d’amore fra gli uomini, per ottenere dei risultati non solo sulla Terra, ma per formare anche dei nessi nel devacian. Quel che avviene sulla Terra mediante l’amore, l’amicizia e l’intima comprensione è un
contributo alla costruzione del tempio nelle regioni spirituali; così si elevano anche i sentimenti di chi ha la certezza che i legami stretti già qui, fra anima e anima, sono la base di un eterno divenire.
Immaginiamo che in un altro pianeta fisico vi siano degli esseri, reciprocamente insofferenti, che stringono fra di loro solo rari legami d’amore. Essi avrebbero un devacian molto misero, perché un devacian articolato e ricco di contenuto può esistere soltanto per un pianeta sul quale si stabiliscano legami d’amore fra gli uomini. Chi è già nel devacian e non può essere normalmente percepito da chi è incarnato, a seconda della sua evoluzione ha coscienza più o meno chiara dei legami che lo uniscono agli essere rimasti sulla Terra. Si possono persino aumentare tali legami. Mandiamo quindi pensieri d’amore ai nostri morti, non amore egoistico, e rafforzeremo in tal modo i vincoli d’unione con loro.” (5° conferenza, 29.05.1907)
“ Si crede spesso che l’uomo sia sottoposto all’immutabile legge del karma, e che questa sia invariabile. […] Si è liberi in ogni momento di registrare nel libro karmico della vita nuove scritturazioni. Non si deve quindi mai credere che la vita sia dominata da un destino immutabile; la libertà non risulta limitata dalla legge del karma. In relazione a quest’ultima bisogna pensare tanto all’avvenire quanto al passato. Noi subiamo le conseguenze delle azioni passate, siamo gli schiavi del passato, ma i signori dell’avvenire. Per prepararcene uno buono, dobbiamo annotare le migliori registrazioni nel libro della vita.
E’ un grande e potente pensiero il sapere che qualsiasi cosa si faccia non è inutile, che ogni nostra azione influenzerà l’avvenire. Così intesa la legge non ci opprime, ma ci riempie della più bella speranza, diventa il più bel dono della scienza dello spirito; dobbiamo rallegrarci della legge del karma, perché grazie ad essa possiamo guardare all’avvenire. Abbiamo il comipito di lavorare per la legge del karma, essa nulla contiene che possa rattristare l’uomo, nulla che dia una colorazione pessimistica al mondo; essa dà ali alle nostre azioni che tendono a collaborare per l’evoluzione della Terra. […] La conoscenza che nei nessi karmici nulla è senza effetto ci deve spingre ad aiutare i nostri simili, ci deve essere di sprone per le nostre azioni concrete. […] Proprio per l’affidamento che dà la legge del karma, sappiamo che aiuti del genere influenzano realmente il destino dell’uomo.
Si sa che in effetti l’umanità aveva bisogno proprio di quell’aiuto, quando il Cristo fu inviato e scese fino al piano fisico. La morte in croce del Redentore, di quell’Essere unico, rappresenta l’aiuto che ha influenzato il karma di un numero infinito di persone. Non esiste contrasto fra la scienza dello spirito e l’esoterismo cristiano, entrambi rettamente intesi; si riscontra anzi una profonda concordanza fra le norme di ambedue, e non si è per nulla obbligati ad abbandonare il principio della redenzione.” (7° conferenza, 31.05.1907)
Avendo una maggiore consapevolezza e conoscenza della legge del karma ci potrà guidare anche nella vita pratica quotidiana; potrà orientarci nel labirinto degli incontri, tra destini d’incontro e destini di non-incontro, fra i ca. 8 miliardi di uomini incarnati sulla Terra in questo momento storico.
Approfondire questi temi ci potrà aiutare a cogliere le connessioni più profonde e le esigenze del nostro tempo, portandoci forse a riconoscere anche il proprio compito da
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svolgere in questa vita. Se ci possiamo incontrare, non sarà casuale. Ma questo bisogna prima riconoscere e poi agire con responsabilità, portarlo avanti anche con dedizione e intuizione: è una vera arte. E noi dobbiamo diventarne gli artisti, che sulla via del cuore si ritrovano.
«In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». (Mt 18, 18-20)
Ricollegandoci a queste parole del Cristo, ecco come finale un meraviglioso invito di Novalis dal suo primo Canto spirituale:
La vita diventa un’ora d’amore, d’amore e gioia tutto il mondo parla. Cresce un’erba che sana ogni ferita, palpita colmo e libero ogni cuore. Io rimango, per tutti i suoi mille regali, pieno d’umiltà, suo figlio; so che sarà presente in mezzo a noi anche se solo due fossimo insieme.
Oh, andate per tutte le strade e riportate dentro chi è smarrito, stendete a ognuno la mano, invitatelo lietamente a venire in mezzo a noi. Il cielo è qui con noi sulla terra, lo contempliamo uniti nella fede; e a quelli che con noi sono congiunti in un’unica fede, si apre il cielo.
Dando vita allo stesso convegno con l’augurio che il suo secondo settennio possa ispirare similmente i suoi giovani partecipanti, prepariamoci insieme agli Incontri dell’estate 2023, cercando di venirgli incontro
NOTE
1 - Traduzione mia
18 IUVENTAS - Nr. 3 - 9 aprile 2023
“С Востока свет, с Востока силы!”
И, к вседержительству готов, Ирана царь под Фермопилы Нагнал стада своих рабов.
Но не напрасно Прометея Небесный дар Элладе дан.
Толпы рабов бегут, бледнея, Пред горстью доблестных граждан.
И кто ж до Инда и до Ганга Стезею славною прошел?
То македонская фаланга, То Рима царственный орел.
И силой разума и права –Всечеловеческих начал –Воздвиглась Запада держава, И миру Рим единство дал.
Чего ж еще недоставало?
Зачем весь мир опять в крови?
– Душа вселенной тосковала О духе веры и любви!
И слово вещее не ложно, И свет с Востока засиял, И то, что было невозможно, Он возвестил и обещал.
И, разливаяся широко, Исполнен знамений и сил, Тот свет, исшедший из Востока, С Востоком Запад примирил.
О, Русь! в предвиденье высоком Ты мыслью гордой занята; Каким же хочешь быть Востоком: Востоком Ксеркса иль Христа?
«Dall’Oriente la luce, vigore dall’Oriente!». Apprestatosi a dominare l’intero mondo, il signore dell’Iran ha spinto sotto le Termopili le mandre dei suoi schiavi.
Ma non invano all’Ellade fu concesso il dono di Prometeo: pallide fuggono le turbe degli schiavi dinanzi a un pugno di cittadini eroici.
E chi giunse invece all’Indo e al Gange attraverso sentieri di gloria? Le falangi macedoni ora, or l’aquila imperiale di Roma.
E con la forza delle leggi e della ragione –di universali princìpi –fu eretto l’impero di Occidente, e Roma unificò il mondo.
Cosa dunque ancora mancava?
Perché il mondo di nuovo fu intriso nel sangue? – L’anima dell’universo anelava allo spirito della fede e dell’amore.
E il verbo profetico non fu menzognero: e risplendé la luce dell’Oriente, e ciò ch’era stato impossibile essa lo annunciò e lo promise.
E propagandosi per gli spazi, gravida di celesti presagi e podestà, quella luce scaturita dall’Oriente, l’Oriente pacificò con l’Occidente.
O Russia! rapita in una sublime preveggenza, tu sei preda di un superbo pensiero; ma quale Oriente vuoi dunque tu essere: l’Oriente di Serse o di Cristo?
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Владимир
1890, Pietroburgo (Trad. dal russo di Leone Pacini Savoj)
Сергеевич Соловьё EX ORIENTE LUX Vladimir Sergeevič
Solov’ëv, EX ORIENTE LUX
20 IUVENTAS - Nr. 3 - 9 aprile 2023
Matthias Grünewald, La Resurrezione, Altare di Isenheim, cm. 269 x 143, Musée d’Unterlinden a Colmar, ca. 1512-1516
qUal è l’aziOne deGli OSTaCOlaTOri nel nOSTrO TemPO? il dOnO della redenziOne di
Yarince Vicenzo, pasqua 2023
Non avendo ricevuto domande o considerazioni da trattare, cerchiamo di tornare alle questioni che avevamo lasciato in sospeso la volta scorsa per approfondirle, cominciando innanzitutto citando alcuni passi di Steiner e altri autori che ci diano un nuovo punto di vista sulla realtà in cui viviamo:
“Gli esseri umani non possono continuare a evolvere nella stessa maniera in un’atmosfera percorsa da ogni parte da correnti elettriche e da radiazioni elettriche. Queste cose hanno un’influenza sull’evoluzione umana intera.” (Rudolf Steiner, Impulsi scientifico spirituali per il progresso dell’Agricoltura O.O. 327, domande e risposte del 16 Giugno 1924)
“Per quanto riguarda la razza umana, siamo in una situazione delicata. Possediamo la tecnologia, abbiamo capacità, io credo di poter creare delle macchine che saranno, non soltanto intelligenti quanto gli umani, ma che lo diventeranno ancora di più. Sarà in effetti, la fine della razza umana come la conosciamo.” (Kevin Warwick, In the Mind of the Machine, 1998, capitolo 13)
“Grandi e terribili forze scaturiranno da scoperte che trasformeranno tutto il globo terrestre in una specie di apparecchio elettrico funzionante in maniera autonoma.” (Rudolf Steiner, Simboli e Misteri O.O. 93, Berlino, sesta conferenza del 23 Dicembre 1904)
“La tecnologia ha completamente sbagliato strada. Per mezzo dell’elettronica numerica, l’intelligenza artificiale è stata messa al servizio del doppio arimanico. Tutta l’atmosfera del pianeta è satura di onde radio, trasmissione digitali, onde
Se in futuro l’uomo non facesse nulla per acquisire una nuova saggezza, allora a sua insaputa, tutta la cultura diventerebbe arimanica e [...] Arimane ostenterebbe prodigi per offrire agli uomini tutte le conoscenze chiaroveggenti [...] che fino ad allora potevano essere acquisite solo con intenso lavoro e con fatica. [...] Gli uomini non avrebbero bisogno di fare alcuno sforzo. Potrebbero continuare a vivere come materialisti, potrebbero bere e mangiare [...] e non dovrebbero assoggettarsi a nessuna ricerca spirituale.”
(Rudolf Steiner, Conoscenza scientifico-spirituale e comprensione sociale, i retroscena spirituali della questione sociale, vol. III, O.O. 191, quindicesima conferenza del 15 Novembre 1919)
radar, TV e wi-fi. Imprimono la loro forma di vibrazione per induzione magnetica nel sistema nervoso umano e cancellano la percezione del Cristo. Le operazioni elettroniche binarie dei PC, di Internet e del World Wide Web attirano le anime umane viventi verso il basso, nella sfera sub-naturale di Sorat, il potente demone solare.” (Paul Emberson, Tra 50 anni, 2010, pp. 30-31)
Quest’ultima considerazione ci riporta alle domande che avevamo accennato la volta scorsa: ci eravamo chiesti cosa significa “essere insieme al Cristo” e sviluppare un reale rapporto con Esso? Ma, ancora prima di queste domande, dovremmo chiederci perché essere in rapporto con il Cristo sia così importante e come potrebbe questo aiutarci nella situazione attuale? Come può esserci d’aiuto un evento di duemila anni fa?
L’incarnazione del Cristo è un evento unico nel divenire della storia umana, ma la sua azione è un elemento centrale che continua a rinnovarsi e che è con noi “tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Per questa ragione Steiner ha ripetuto innumerevoli volte che il Cristo è il Grande Terapeuta, ma abbiamo veramente compreso che cosa intendeva? Troviamo diverse considerazioni in proposito nella sua opera, ma qualcosa di essenziale può emergere già dall’osservazione del gruppo scultoreo de “Il Rappresentante dell’Umanità” intagliato in legno da Steiner stesso con l’aiuto di Edith Maryon. Infatti, in questa opera d’arte il Cristo, rappresentante di ciascun essere umano, è posto come figura centrale e armonizzante dell’azione opposta degli Ostacolatori. Come anche descritto nella immaginazione cosmica di Pasqua, il Cristo e l’Arcangelo Raffaele portano incontro all’essere umano la terapia, intesa
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come risanamento delle tendenze unilaterali degli Ostacolatori. Con le parole di Archiati: “l’egoismo, la pigrizia, l’inerzia interiore ci traggono in inganno e ci fanno pensare che sarebbe meglio che nel mondo non ci fosse nessun tipo di sofferenza: ma questo atteggiamento dimostra solo che abbiamo paura della libertà. Essere già in partenza costantemente sani significherebbe vivere di rendita, significherebbe perpetuare uno stato già conquistato: invece la realtà, che ci viene incontro dal futuro, è sempre diversa e se noi la affrontiamo con la stessa compagine interiore ed esteriore che avevamo due ore prima siamo ammalati, perché entreremo in conflitto con questa realtà.
La malattia è dunque la ribellione della natura spirituale umana contro la tendenza all’inerzia dell’io inferiore, mutuata dall’inserimento nella gravità della materia: la vera salute è allora la capacità di trasformazione continua; interiore, per rendersi sempre innovativamente consoni alla situazione karmica cosmica che di giorno in giorno ci interpella in modi sempre inconsueti.
La vera salute non è mai statica, è dinamica: la salute è versatilità interiore, è creatività, è la capacità artistica di orientarci secondo un pensare, un sentire e un volere sempre rinnovati, che sono poi il segno più bello di un autentico interesse alla vita.” (Pietro Archiati, Lettura Esoterica dei Vangeli, p. 45)
La malattia consiste dunque nella caduta dai mondi spirituali nella materia. La malattia è l’egoismo e la cura che il Cristo ci insegna è l’Amore disinteressato, la Libertà nell’Amore. Il dono della redenzione dalla Caduta è allora l’aiuto cristico entrato nella terra duemila anni fa con il sangue del Cristo sul Golgota, che da allora agisce e che oggi ha cominciato a manifestarsi anche sul piano delle forze vitali. Anche per questo gli ostacoli e le forze contrarie all’Evoluzione appaiono così potenti: “Dove c’è molta Luce, c’è anche molta Ombra.”
(Johann Wolfgang von Goethe, Götz von Berlichingen, Atto I)
Questa necessità di bilanciare lo sviluppo materialistico della cultura contemporanea attraverso un adeguato sviluppo di altrettante conoscenze e capacità operative nel mondo spirituale, puó essere trovato anche nelle ultime massime di Steiner: “L’attività culturale umana scivola gradualmente non solo nei regni più bassi della natura, ma sotto la natura. La tecnologia diventa sub-natura. Ciò richiede che l’uomo, mediante l’esperienza [e non esclusivamente nello studio], trovi una comprensione spirituale in cui si elevi nella sovranatura tanto quanto affonda al di sotto della natura con l’attività tecnica sub-naturale. In questo modo crea nel suo essere interiore la forza di non sprofondare in basso.” (Rudolf Steiner, Massima 183 e 184 in O.O. 26)
Questa osservazione ci porta alle seguenti gravi domande: quanto è sceso l’uomo nella sub-natura? E dunque quanto è necessario che risalga nella natura superiore dello Spirito? Molti degli strumenti meditativi che Steiner ci ha lasciato cento anni fa non sono più attuali nella nostra epoca. Infatti in questo secolo molte cose sono cambiate e l’umanità è scesa molto più in profondità nella sub-natura: basti pensare all’utilizzo dell’energia atomica, che Steiner aveva previsto. Con essa siamo sprofondati almeno fino alla sfera degli Asuras, perciò l’essere umano dovrebbe innalzarsi almeno al di sopra del Devachan Superiore sviluppando le facoltà di percezione spirituale conosciute nell’Antroposofia come Immaginazione, Ispirazione e Intuizione. Purtroppo il lavoro esoterico oggi
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compiuto all’interno della Società Antroposofica non è piú adatto a questo compito: “Coloro che conoscono bene le questioni esoteriche capiranno subito che queste esigenze vanno molto al di là di quello che avrebbe potuto essere realizzato nella sola Prima Classe della Libera Università di Scienza dello Spirito, anche se tutte le lezioni e tutti i mantra fossero stati dati e se questi ultimi non avessero perso alcuna delle loro forze originarie. Tutt’al più, le lezioni avrebbero potuto portare gli studenti alla conoscenza immaginativa: è a questo scopo che i mantra erano destinati. La seconda e la terza Classe, se fossero state create, avrebbero portato gli alunni più avanti nella conoscenza.” (Paul Emberson, Tra 50 Anni)
A questo punto si apre la questione di quali sono gli strumenti meditativi adatti per la nostra epoca: cosa può essere veramente d’aiuto oggi per proteggere dall’influenza unilaterale degli Ostacolatori? È attraverso queste domande che torniamo alla figura del Cristo, poiché, come abbiamo visto, esso è l’altissimo Essere spirituale che può aiutarci nell’armonizzare e persino redimere gli Ostacolatori.
È necessario chiarire ancora una volta che non si tratta di scappare dagli Ostacolatori, di rifuggire la loro influenza o di rifiutare la tecnologia e la vita moderna, bensì di risalire alla propria origine spirituale, come afferma anche Steiner il 28 Dicembre del 1914 dicendo: “Chi ha già superato i primi passi dell’iniziazione si rende conto che tutto ciò che pervade la vita moderna sotto forma di macchine penetra a tal punto nell’umanità animico-spirituale da uccidere e distruggere gran parte di essa. [...] Si può dire che si tratta di una lotta interiore, estenuante e schiacciante, da vivere nel corpo eterico. Naturalmente, questa lotta è vissuta anche da altri che non hanno superato i primi passi dell’iniziazione [...] Sarebbe davvero sbagliato dire [...] che dobbiamo guardarci da Arimane, che dobbiamo ritirarci da questa vita moderna. [...] Il vero rimedio consiste nel [...] rinvigorire le forze dell’anima in modo da poter sopportare la vita moderna.”
(Rudolf Steiner, L’arte alla luce della saggezza dei misteri, O.O. 275 prima conferenza)
Il nostro tema è dunque come entrare in relazione con il Cristo. Come possiamo conciliare la natura sovratemporale della Sua azione sulla Terra con i cambiamenti così veloci della civiltà contemporanea? Quale tipologia di lavoro esoterico è ancora veramente al passo con i tempi moderni e può esserci effettivamente d’aiuto nel presente rinvigorendo le forze dell’anima e permettendoci di incontrare il Cristo nell’eterico?
Innanzitutto si tratta di sviluppare fiducia verso gli aiuti che ci vengono direttamente dai mondi dello Spirito e di abbandonare ogni illusione in “formule magiche” e aiuti esclusivi concessi per la sola appartenenza a istituzioni pseudo-spirituali, sette o altri gruppi specifici (come anche l’odierna Società Antroposofica Universale e la Libera Università della Scienza dello Spirito). Infatti il principio del Cristo è l’Universalità ed Esso si rivolge a tutti gli esseri umani indiscriminatamente: “Saranno tutti istruiti direttamente dallo Spirito” (Gv 6,45), dunque anche quelli che non sono iscritti alla Società Antroposofica. Perciò si tratta di realizzare un rapporto individuale, diretto e reale con lo Spirito, che renda indipendenti da qualsiasi maestro, scuola, tempio o istituzione che possa essere trovata nel mondo fisico. Le modalità per la realizzazione di questa relazione vivente con il Cristo sono aperte a tutti gli esseri umani in ricerca che abbiano una volontà seria e un pensare spregiudicato.
È però necessario imparare a porre le domande giuste, senza accontentarsi delle risposte comode e superficiali del materialismo: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova, e sarà aperto a chi bussa.” (Mt 7,7-8)
È necessario vivere con le domande abbastanza a lungo perché portino i propri frutti: è necessario “tentare di aver care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera. Non cercate ora risposte che non possono venirvi date perché non le potreste vivere. E di questo si tratta, di vivere tutto. Vivete ora le domande. Forse vi insinuate così a poco a poco, senza avvertirlo, a vivere un giorno lontano la risposta.” (Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta)
È dunque richiesto lo sviluppo della facoltà di attendere pazientemente, poiché “la pazienza richiama i tesori della conoscenza superiore. L’impazienza li respinge. La fretta e l’inquietudine non permettono di raggiungere i regni superiori dell’esistenza. Soprattutto, il desiderio e la brama devono tacere. Sono qualità dell’anima di fronte alle quali tutte le conoscenze superiori si ritirano timidamente. Per quanto preziosa sia tutta la conoscenza superiore, non la si può pretendere se si vuole che possa raggiungerci.” (Rudolf Steiner, Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori? O.O. 10)
Per questa volta non vogliamo addentrarci ulteriormente in questo argomento, poiché vorremmo lasciare aperte alcune delle nostre domande e rimetterle ai lettori e alle loro considerazioni ed esperienze. Vogliamo soltanto aggiungere alcune indicazioni molto significative di Steiner che restano senz’altro attuali:
“Ciò che verrà, ciò che anche la prossima ora, il prossimo giorno mi potranno portare incontro, sebbene mi sia del tutto sconosciuto, non lo posso cambiare mediante alcuna paura o timore. Io l’attendo con il più profondo silenzio dell’anima, con la più assoluta calma del mare del sentire. Colui che può andare incontro al futuro con tale calma, e tuttavia non lasciar venire meno in alcun modo la sua energia, la sua forza d’azione, in costui le forze dell’anima possono svilupparsi nel modo più intenso e nella forma più libera. È come se davanti all’anima cadessero al contempo impedimenti su impedimenti, quando essa viene compenetrata sempre più da quell’atmosfera di dedizione di fronte agli eventi che fluiscono dal futuro. La nostra evoluzione viene ostacolata dalla paura e dal timore perché noi, attraverso le onde della paura e del timore, respingiamo quello che il futuro vuole far entrare nella nostra anima. La dedizione a ciò che viene chiamata saggezza divina presente negli eventi, la sicurezza che ciò che verrà deve essere e che, in qualche direzione, darà frutti fecondi, l’evocazione di tale atmosfera nelle parole, nei sentimenti e nelle idee: questo è lo stato d’animo della preghiera di devozione. Nella nostra epoca è veramente necessario imparare a saper vivere con vera fiducia senza alcuna preventiva rassicurazione esistenziale, con la fiducia nell’aiuto sempre presente del mondo spirituale. In verità, affinché oggi il coraggio non venga meno, non resta che divenire sovrani nella nostra volontà con la giusta disciplina e cercare il risveglio interiore ogni mattina e ogni sera.” (Rudolf Steiner, L’intima natura della preghiera, Berlino 17 Febbraio 1910 in O.O. 59)
Questo accenno di Steiner al divenire sovrani della propria
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volontà esercitandosi quotidianamente ci riporta alla serie dei sei esercizi complementari dai quali la volta scorsa abbiamo proposto il primo esercizio del pensare. Possiamo adesso continuare aggiungendo il secondo esercizio, quello per rinforzare la volontà, e portare avanti entrambi almeno fino al prossimo articolo, dove potremo proseguire insieme con il successivo: “Si cerchi di immaginare un’azione qualsiasi che di certo non si compirebbe secondo le abitudini fino ad allora consolidate nella vita. Si trasformi questa azione in un dovere quotidiano. Sarà bene scegliere un’azione che possa essere compiuta ogni giorno per il più lungo tempo possibile. Anche qui sarà meglio se per cominciare sceglieremo un’azione insignificante alla quale ci si debba in qualche modo costringere. Per esempio, ci si prefigga di innaffiare ogni giorno, a una determinata ora, un fiore acquistato a quello scopo. Dopo qualche tempo, una seconda azione vada ad aggiungersi alla prima, e poi una terza e così via, finché lo si riesca a fare rispettando gli altri doveri giornalieri. Anche questo esercizio deve durare un mese. Per quanto sia possibile, anche in questo secondo mese occorre praticare il primo esercizio, sebbene non vada più considerato un dovere esclusivo, come nel primo mese. Tuttavia, il primo esercizio non deve essere abbandonato, altrimenti si noterà come i frutti del primo mese vadano ben presto perduti, e come ricominci il vecchio andamento dei pensieri non controllati. Si deve fare molta attenzione che i frutti una volta acquisiti non vadano più perduti. Quando, mediante questo secondo esercizio, si sia realizzata un’azione di propria iniziativa, con sottile attenzione
si diverrà coscienti nell’anima di un sentimento di interiore impulso all’attività; tale sentimento va riversato per così dire nel proprio corpo, facendolo fluire dalla testa fino al cuore.”
(Rudolf Steiner, Indicazioni per una Scuola Esoterica, O.O. 245, pp.16-17)
Perché esercitare la volontà è così importante? Perché durante il giorno quando il nostro pensare dovrebbe essere sveglio, la nostra volontà dorme; perciò, nella maggior parte dei casi, si è coscienti soltanto dei propri desideri e della rappresentazione dei propri impulsi all’azione, e non di come la volontà agisca e possa essere sottilmente influenzabile dall’esterno. In essa si possono infiltrare le azioni degli Ostacolatori e in particolare le azioni arimaniche delle macchine e della tecnologia che utilizziamo continuamente (vedi Rudolf Steiner, L’arte alla luce della saggezza dei misteri, O.O. 275, prima conferenza del 28 Dicembre 1914).
La volontà è inoltre l’ambito nel quale può manifestarsi l’Amore disinteressato come dono cristico di Redenzione, cioè la cura della malattia della Caduta (l’egoismo). L’Amore disinteressato non è infatti un bel sentimento o una forte passione, bensì è la chiave per l’agire veramente libero dell’essere umano.
L’autore invita caldamente i lettori a condividere riflessioni, critiche e considerazioni o porre domande, contattandolo via mail oppure per lettera “per chi sa accontentarsi di una comunicazione più lenta”. Indirizzo elettronico e/o fisico dell’autore possono essere richiesti contattando la Redazione.
24 IUVENTAS - Nr. 3 - 9 aprile 2023
Iconografia ortodossa dell’arcangelo Raffaele
Cieca è l’anima profondamente imprigionata bella carne stanca.
E il volere dello Spirito è strappato via da un buon vivere.
Ma noi possiamo seguire la via che il Cristo seguì allora;
quando tutto l’errare e tutto il dolore furono raccolti
così che Egli, l’Agnello, potesse portare per gli uomini l’amaro carico e incontrare con gli uomini il principe delle tenebre nella notte dell’anima.
Traduzione dall’edizione inglese di Elio Biagini, in Adam Bittleston, Preghiere meditative per il nostro tempo, Editrice Novalis, 2019
25 PaSSiOne
di Liane Collot d’Herbois
Nem volt csatlakozás. Hat óra késést jeleztek és a fullatag sötétben hat órát üldögéltem a kocsárdi váróteremben, nagycsütörtökön.
Testem törött volt és nehéz a lelkem, mint ki sötétben titkos útnak indult, végzetes földön csillagok szavára, sors elől szökve, mégis szembe sorssal s finom ideggel érzi messziről nyomán lopódzó ellenségeit. Az ablakon túl mozdonyok zörögtek, a sűrű füst, mint roppant denevérszárny, legyintett arcul. Tompa borzalom fogott el, mély állati félelem.
Körülnéztem: szerettem volna néhány szót váltani jó, meghitt emberekkel, de nyirkos éj volt és hideg sötét volt, Péter aludt, János aludt, Jakab aludt, Máté aludt és mind aludtak... Kövér csöppek indultak homlokomról s végigcsurogtak gyűrött arcomon.
Non c’era coincidenza. Sei ore di ritardo hanno indicato e nel buio soffocante per sei ore son stato a sedere nella sala d’attesa di Kocsárd, Giovedì Santo. Col corpo affranto e anima pesante, come chi è partito nel buio per sentieri segreti, in terra fatale chiamato dalle stelle, in fuga dal destino eppure venendogli incontro e come chi con raffinato nervo sente già da lontano i suoi nemici venirgli dietro di soppiatto. Al di là della finestra sferragliavano locomotive, il fumo fitto, come ali di pipistrello, frullava il mio viso. Un orrore cupo mi prendeva, profondo spavento bestiale. Mi guardavo attorno: volevo scambiare qualche parola con gente buona, fidata, ma era una notte umida, un’ oscurità fredda, Pietro dormiva, Giovanni dormiva, Giacomo dormiva, Matteo dormiva e tutti dormivano... Grosse gocce partivano dalla mia fronte e scorrevano lungo il mio volto segnato.
26 IUVENTAS - Nr. 3 - 9 aprile 2023
DsiDa Jenő: nagycsütörtök Jenő DsiDa, gioveDì santo trad. italiano di K. SZ.
Raffaello Sanzio, L’agonia nel Giardino, ca. 1504
mUSiCa d’inSieme e l’aSPeTTO SOCiale di Vladimir Bogdanović, aprile 2023
Mi fa tanto piacere poter condividere le mie esperienze, il mio lavoro, le difficoltà che mi si presentano e di poter abbinare anche l’aspetto sociale a ciò che faccio. Il musicista parla con il suono in diverse lingue musicali che condividono le stesse leggi universali. Per poter parlare davvero con il suono, egli, il musicista, deve in primo luogo conoscerlo ed essere in grado di mettersi in ascolto con sé stesso e con il tema del discorso in questione. Già qui si capisce che non si tratta di un ascolto puramente fisico ma di un ascolto che cerca di penetrare dentro l’essere umano. Il musicista è colui che sa ascoltare, accogliere e, quanto ha accolto e ascoltato, trasformarlo in suono. Esso, grazie a tale trasformazione, riesce a penetrare nell’anima e a lasciare un’impronta in vari modi. In un certo senso il vero musicista è un grande osservatore che trasforma quanto ha osservato in suono.
Nella vita quotidiana, come anche nella musica, finché si rimane da soli e ci si mette a lavorare nella direzione ora indicata, dipende tutto da noi: come sentiamo noi stessi e il mondo, come pensiamo e come agiamo. Mettendo in moto la volontà, si può osservare quale rapporto hanno il sentimento e il pensiero e in quale modo questo rapporto si manifesti poi nel suono, nella parola o nell’atto. Osservando le tre facoltà si potrebbe cercare di farle diventare una specchio dell’altra, continuando a indagarle anche singolarmente. È necessario essere sinceri con sé stessi perché questo lavoro prenda spazio e importanza nel corso della vita. In pratica questo processo è un lungo viaggio nel quale si può sempre migliorare e purtroppo anche peggiorare - dipende tutto dal lavoro che facciamo su noi stessi.
Ora, quando si fa la musica d’insieme (ovvero quando si parla con altri o si fa qualcosa insieme ad altri) non si è più da soli e quelle tre facoltà del pensare, sentire e volere possono essere più o meno contrastanti con le stesse dell’altra persona. Qui si aggiunge all’ascolto un’altro aspetto che è legato alla percezione di un’altra individualità, un altro io. Spesso si pensa che stare in ascolto di una persona significhi assumere un portamento passivo e semplicemente lasciare spazio all’altro. Un vero ascolto, invece, è quello in cui siamo tutt’altro che passivi, in cui ascoltiamo a tutt’uomo la persona che abbiamo davanti, rimanendo presenti e coscienti; è un ascolto attraverso il quale non stiamo semplicemente a sentire, ma accogliamo il contenuto per lasciarlo maturare dentro di noi. Nel fare musica d’insieme si pone spesso la domanda: come riuscire ad essere (rimanere) noi stessi e allo stesso tempo accogliere le differenze dell’altro per poi decidere di fare qualcosa insieme? Possiamo senz’altro dire che non bisogna ritirarsi all’indietro, se veramente si vuole che qualcosa venga fatto insieme, e
nemmeno spegnersi (diminuirsi) per poter soddisfare l’altra persona, perché questo porterebbe solo ad una perdita di forze e di tempo. Sarebbe un po’ come se, in una coppia, una parte si aggrappasse all’altra, alla quale toccherebbe farsi carico delle responsabilità sia dell’altro che della coppia (oltre che delle proprie). I tre corpi (le due individualità più la coppia), peserebbero tutti addosso ad una persona sola, ciò che a lungo andare potrebbe diventare insostenibile, quel che potrebbe poi esser fatale per la coppia stessa. È in primo luogo dunque necessaria una sincerità interiore. È altresì importante capire perché si fa qualcosa con l’altro e che affetto si nutre per quel che si sta facendo. Poi, con umiltà, serietà, pazienza e magari sano umorismo, ci si deve dedicare alla cura di quel che si fa insieme (pars costruens), riconoscendo i limiti del presente che, è importante sottolinearlo, possono cambiare da un giorno all’altro. Mi viene da aggiungere che, quando sappiamo perché facciamo una cosa e che amiamo farla, bisogna avere anche la fiducia in quel che si fa e bisogna essere coraggiosi – cioè agire con il cuore.
Spesso ci si pone davanti agli occhi un’idea specifica di come realizzare qualcosa (è spesso il caso nel lavoro musicale), che purtroppo spesso potrebbe non essere realizzabile con i mezzi a disposizione, mezzi che nel lavoro d’insieme non dipendono solo da sé stessi, ma molto anche dalla collaborazione con gli altri. Potrebbe anche accadere che si dia la colpa ad un’altra persona nel gruppo per il fatto di non riuscire a raggiungere quell’ideale. Questo però è una forma di egoismo che non accoglie ed ascolta l’altro ma lo respinge e lo svaluta oscurando il suo potenziale e le sue qualità.
Lavorando come musicista da camera – nel mio caso in un quartetto con pianoforte – si studia la partitura che riporta un dato pezzo musicale, il quale, finché rimane scritto sulla partitura, non è certo musica. La musica accade quando facciamo vivere dentro di noi il senso di quella notazione e le permettiamo di manifestarsi suonando, collegandosi a noi stessi e tra di noi. Ognuno di noi quattro dovrebbe conoscere quel pezzo nella sua totalità, ciò vuol dire che si dovrebbe conoscere per così dire la storia musicale scritta tra i quattro strumenti di quel pezzo. Se si conosce solo la propria parte sarebbe come se una persona che ha delle corde da chitarra in mano credesse di avere una chitarra. Per fare un lavoro serio e profondo bisogna che tutti e quattro i musicisti conoscano il pezzo musicale come lo conoscerebbe un direttore d’orchestra, ognuno dovrebbe avere (o cercare per quanto possibile di avere) una visione chiara della forma, dell’espressività, del dramma e del significato di quel che legge – una visione artistica. Questo è un lavoro di studio e di osservazione che è in una
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continua evoluzione, motivo per cui subisce dei cambiamenti a volte delicati e a volte anche radicali. Quando ci si incontra per provare, ci si incontra con delle idee che possono essere contrastanti. Se questo è il caso, si sentirà anche mentre si suona. Quando questo succede si dovrebbe ritornare sulla partitura per osservarla insieme. Da questo lavoro di gruppo potrebbe nascere una domanda, la quale non troverà subito una risposta precisa – e in questo caso la fantasia ci aiuta molto. Aiuta in modo che da essa possiamo prendere l’ispirazione per trattare il dato punto (momento) musicale in un pezzo nelle maniere più diverse. Potrebbe essere il caso che il compositore abbia scritto per tale punto in questione ff (fortissimo), e una delle idee per cercare di comprendere questo ff potrebbe essere quella di fare proprio l’opposto cioè pp (pianissimo). Questo è un esempio anche banale, ma potrebbe esserci scritto dal compositore ‘dolce’ oppure ‘furioso’ e penso che aiuti molto allontanarsi coscientemente da questo significato (se è lì che si pone il problema, o anche solo per sperimentare) per poi tornare e osservare perché è stato scritta l’una o l’altra indicazione. È come se un uomo uscisse dal paese d’origine per andare nel mondo e poi, dopo anni, tornasse nella sua patria. Percepirebbe il suo paese come un luogo nel mondo in relazione con altri luoghi, e che è diverso da altri luoghi, e certe cose che prima non poteva considerare, ora gli si paleserebbero davanti.
Così anche quando nella vita quotidiana parliamo, discutiamo, affrontiamo un problema o semplicemente ascoltiamo la persona che abbiamo davanti, possiamo lasciare lo spazio dentro di noi in modo da non creare preconcetti o pregiudizi sulla persona (o sul problema), e possiamo cercare di comprendere l’anima che ci sta davanti con amore, umiltà e pazienza. Questo tipo di portamento interiore ci permette di uscire dalla bolla soggettiva nella quale potremmo rimanere intrappolati quando qualcosa ci accade o quando qualcuno ci parla – intendo dire che tutto ciò che qualcuno potrebbe dire, diciamo, a me, riesco a prenderlo come se fosse stato detto a qualcun’altro, senza il mio elemento personale, un po’ come se mi guardassi da fuori. Finchè rimango attaccato al livello personale di quanto mi viene detto, in realtà rimango chiuso nel mio mondo interiore e continuo a muovermi di conseguenza. Se invece riesco a staccarmi, mi apro al mondo, specialmente al mondo dell’uomo, perché così facendo riesco a percepire parole o fatti accaduti universalmente - che questi fatti siano successi, o che queste parole siano state dette a Stefano, Jelena, John, Klaus o a me - non cambia il modo in cui le osservo.
Penso che dall’altra parte potremmo anche capire quella parte personale del fatto accaduto – come ci parla, come lo sentiamo, dove sta puntando nel nostro essere (testa, cuore, gambe, braccia), che cosa si infiamma o scema dentro di noi. Questa osservazione personale ci aiuta a conoscere la nostra parte più debole, la parte oscura e i nostri errori e ci aiuta a trovare una via verso il superamento di questi errori e debolezze. Quando si fa un progetto d’insieme come nella musica da camera, si cerca di unire l’oggettività con la soggettività e quanto più si riesce ad amare onestamente la musica (la vita), quanto più si riesce ad essere umili, fiduciosi, pazienti e
devoti con se stessi e con le persone con le quali si condivide il progetto, tanto più il lavoro fatto avrà poi la sua risonanza nei cuori delle persone che hanno assistito alla manifestazione, infine, di tutto questo lavorio interiore degli individui e del gruppo, tradotto in suoni musicali.
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Melozzo di Giuliano degli Ambrosi, Angelo musicante con viola, ca. XV sec.
Gli Spiriti delle altezze
hanno inviato i loro messaggeri: pietre sotto i nostri piedi. Sopra la sostanza della Terra possiamo noi stare eretti.
Gli Spiriti delle altezze
hanno inviato i loro messaggeri: fiori e alberi intorno a noi. Sopra la Terra vivente possiamo noi risvegliare i cuori.
Gli Spiriti delle altezze
hanno inviato i loro messaggeri: uccelli e animali da una parte all’altra. Di tutta la progenie della Terra possiamo noi essere custodi.
Gli Spiriti delle altezze
hanno inviato i loro messaggeri: luce e tenebra, vita e morte. In tutto ciò che cambia sulla Terra possiamo noi trovare il Cristo.
Traduzione dall’edizione inglese di Elio Biagini, in Adam Bittleston, Preghiere meditative per il nostro tempo, Editrice Novalis, 2019
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Cicely Mary Barker, The Willow-Catkin Fairy
Владимир Сергеевич Соловьё VIS EJUS INTEGRA SI VERSA FUERIT IN TERRAM
Vladimir Sergeevič Solov’ëv, VIS EJUS INTEGRA SI VERSA FUERIT IN TERRAM
Истинно тот есть любимец богов, кто жизни весною Миртом главы не венчал, кого только в грезах манила Нежной рукой золотая царица Китеры. Дарами
Муз и харит небогатый, пусть древнего Кроноса семя В сердце глубоко таит он и думой угрюмой питает.
Рано иль поздно пробьется наружу сокрытое пламя, Молнией вспыхнет и землю широким охватит пожаром.
Все, что в груди хоронилось, что образа тщетно искало: Гордого духа порывы и нежность любви беспредельной,–Все то в одну непреклонную силу сольется, волшебным Мощным потоком все думы людские обнимет, Цепь золотую сомкнет и небо с землей сочетает.
16 мая 1876
In verità beniamino degli dèi è colui che nella primavera della vita non recinse la testa di mirto, cui solo nei sogni fe’ cenno con la morbida mano l’aurea regina di Citera. Dei doni delle Muse e delle Cariti non ricco, egli pur celi nel più profondo del cuore il seme dell’antico Cronos; di tetro pensiero lo nutra. Presto o tardi eromperà la fiamma, ch’egli tenne segreta, alla luce; avvamperà con bagliore di lampo, avvolgerà la terra di vasto incendio. Tutto quel che rimase racchiuso nel petto, che invano protese a una forma – gli impulsi di un animo fiero, la dolcezza di un amore infinito – tutto confluirà in un solo irresistibile flusso; fiumana magica, travolgente, tutti convolgerà in sé gli umani pensieri; richiuderà l’aurea catena, il cielo congiungerà con la terra.
16 maggio 1876, Parigi
(Trad. dal russo di Leone Pacini Savoj)
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Iconografia ortodossa Pasquale
STUdiO delle reliGiOni e COnCeziOne SPiriTUale della STOria
CHé le reliGiOni HannO TraTTi COmUni O Simili in ePOCHe e lUOGHi diverSi)
di Elio Biagini, 2005
La chiave di lettura materialistica pervade tutta l’indagine accademica. Non solo quella scientifica, nella quale il materialismo può essere relativamente adatto (almeno per la conoscenza del mondo minerale), ma anche quella umanistica in ogni campo, persino nella storia, nella storia delle religioni o nella psicologia.
In particolare nella storia delle religioni, questa impostazione filosofica di fondo induce a ritenere che la religione abbia fondamentalmente una base culturale. Questa convinzione trova particolare giustificazione nell’osservazione che spesso le religioni hanno una base mitologica comune da cui deriva lo scambio di alcuni elementi dottrinali e anche alcuni elementi del culto.
Esse dunque non avrebbero una loro origine oggettiva nei mondi superiori, ma sarebbero semplicemente una spiegazione di manifestazioni psicologiche umane. Non sarebbero altro, cioè, che il rapporto psicologico-descrittivo dell’uomo con manifestazioni della natura all’esterno o della psiche umana all’interno. Nato in questo modo, nell’esperienza dei popoli, il quadro religioso, da esso deriva ovviamente una dimensione culturale che, quindi, consente influenze tra religioni diverse, seppur contigue nello spazio e nel tempo.
Si deduce quindi che nelle manifestazioni cultiche non c’è un vero contenuto sacrale perché altrimenti esso avrebbe una sua oggettività, indipendente nelle varie religioni, e non si farebbe influenzare dall’esterno.
Il cristianesimo stesso, che nel nostro mondo culturale rappresenta l’elemento religioso fondamentale, ossia la “vera” religione, perderebbe questa sua caratteristica di centralità e di verità per divenire una delle varie e numerose manifestazioni di questi fenomeni nella storia.
Alla luce di queste brevi premesse si aprono due diverse prospettive di analisi e di giudizio.
La prima afferma che il cristianesimo è la religione che esprime la verità sia per i suoi contenuti spirituali, ma anche perché rappresenta la religione della civiltà moderna (il mondo europeo-nord americano), l’”ultima”, e quindi quella dell’uomo evoluto dalla ignoranza (della natura e della storia) e dalla visione infantile implicita in molte concezioni religiose del mondo antico. Insomma gli dei, le divinità o le entità naturalidivine dei popoli antichi, o di quelli moderni meno evoluti, sarebbero false, mentre una religione più trascendente, e quindi più omogenea con il pensiero speculativo moderno, sarebbe vera. Questa è la posizione che definirei euro-occidentale o cristiano-stereotipa, ed è quella che del cristianesimo codificato e istituzionalizzato nel quadro sociale.
L’altra invece, più scettica verso una visione della vita dell’uomo e della natura legata ai mondi superiori, tende a vedere le religioni, tutte le religioni, nel senso detto all’inizio, cioè in senso antropologico-culturale. Anche il cristianesimo perderebbe così la sua “aura” di religione definitiva della storia, per divenire una realtà influenzata, come tutte le altre, da elementi esterni. Dunque un sistema religioso che ha assorbito elementi vari da religioni vicine ed anche, per passaggi intermedi, da altre neppure vicine nello spazio o nel tempo.
Queste posizioni, espresse in estrema sintesi, sono riduttive entrambe perché viziate da elementi aprioristici che ne limitano la libertà di giudizio.
Nella prima l’elemento aprioristico è una visione della storia che mette al centro la cultura europea e occidentale in genere e l’epoca moderna in particolare. L’uomo bianco contemporaneo sarebbe un po’ l’esito della storia (pensiamo alle recenti teorie sulla “fine della storia” ). Quindi ha avuto in dono, seppur con un processo bimillenario, la religione che esprime l’età adulta dell’umanità. Questa è la verità; quello che è venuto prima, e che in altre parti del mondo rappresenta tuttora l’orizzonte religioso di interi popoli, era il frutto di una visione semplice ed infantile. Questa è rivelata e donata dall’esterno (da qui la sua verità), quelle erano nate dall’immaginazione (da qui la loro soggettività ed il loro relativismo). Tralasciamo qui tutto il vasto ambito di considerazioni sulla funzionalità di questa visione ad una logica di dominio economico e di supremazia politica così cara alle classi dominanti occidentali, per rimanere invece nel solo ambito filosofico-teologico-religioso.
Questo apriorismo è responsabile non solo di risultati limitati e parziali, ma anche di una certa loro rozzezza alla luce dei contenuti stessi della religione cristiana (perché un Dio d’amore, dovrebbe aver discriminato interi popoli e milioni di individui lasciandoli nel buio e nell’ignoranza della Sua esistenza? Perché li avrebbe abbandonati a baloccarsi con divinità immaginarie privandoli della Sua manifestazione, donandola invece ad un solo popolo? O a una sola “isola” culturale).
Nella seconda l’elemento aprioristico è dato fondamentalmente dal materialismo. Portando avanti la ricerca e lo studio, pur legittimi e necessari anche in questi ambiti, su aspetti profondi dell’anima umana solo alla luce di una concezione materialistica dell’uomo e della natura, si tagliano fuori a priori elementi della ricerca stessa privandola di una parte del campo di indagine. Nessuno può dire sensatamente che l’anima umana è legata alla materia, e nel campo stesso della psicologia questa dicotomia crea non poche approssimazioni concettuali. Ciò
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(Per
anche in studiosi e di enorme spessore e di enorme influenza sia accademica che clinica. Carl Gustav Jung scrive: ”Se fosse possibile personificare l’inconscio, potremmo pensarlo come un essere umano collettivo, che combina in sé le caratteristiche di entrambi i sessi, che trascende gioventù e vecchiaia, nascita e morte e che, avendo a disposizione un’esperienza umana di uno o due milioni di anni, è praticamente immortale. Se un tale essere esistesse, si innalzerebbe al di sopra di ogni mutamento temporale: il presente non significherebbe nulla per lui di più di un qualsiasi anno del centesimo millennio prima di Cristo; sarebbe un sognatore di sogni antichissimi e, grazie alla sua immensa esperienza, un incomparabile profeta. Avendo vissuto innumerevoli volte la vita dell’individuo, della famiglia, della tribù e della nazione, possiederebbe un senso vivente del ritmo della crescita, della fioritura e del disfacimento” 1 . Jung era uno studioso, diversamente da Freud, che è andato al di là di una visione strettamente materialistica, quello che più si è avvicinato a toccare scientificamente un’altra visione del mondo. Ciononostante, come testimoniano le sue parole, non ha saputo portare una definitiva e luminosa chiarezza scientifica. Non è una critica: Jung non possedeva i mezzi per effettuare una profonda ricerca scientifica in ambiti così delicati. Dunque gli va riconosciuto il merito di un grandissimo lavoro accademico e di un enorme coraggio intellettuale. Negli studi religiosi o psicologici questo “a priori” del materialismo crea una cortina, un velo che impedisce una libera e disincantata ricerca persino a coloro, come Jung, che sono stati disposti a rischiare il loro equilibrio intellettuale sfidando l’”ordine” e l’”equilibrio” delle cose.
Ma quale può essere allora la terza via? La chiave di lettura che eviti i rischi sia del materialismo che della religione militante e che porti in queste ricerche una serena oggettività: qualcosa che rispetti il rigore scientifico necessario all’uomo moderno e, al tempo stesso, sappia valutare la specifica caratteristica dell’anima umana, che è il teatro di questi fenomeni?
Jung aveva avuto un’intuizione giusta. Aveva intuito una realtà che ha profondamente a che fare con l’essenza umana e che trascende però l’esperienza immediata e diretta del singolo uomo nella sua limitatezza spaziale e temporale. Lui però è rimasto a livello di ipotesi; una bellissima, grandiosa, affascinante ipotesi intellettuale (…se fosse possibile….se esistesse…sarebbe….), ma pur sempre un’ipotesi. Invece questa realtà non è ipotetica, esiste davvero, ma non è l’inconscio. Questa realtà è il mondo spirituale; inconscio è solo il modo in cui noi lo percepiamo.
D’altra parte com’è possibile che Jung ponga la “personificazione” dell’inconscio solo a livello ipotetico. Se esso fosse solo un’ipotesi concettuale, una realtà priva di essenza, come potrebbe avere quell’enorme influenza che lui stesso e Freud hanno posto alla base della loro opera? Se l’inconscio è in grado di agire, e lo è profondamente ed intensamente, nella vita dei singoli individui, vuol dire che esso è (non “sarebbe”) un soggetto. In realtà però il soggetto non è l’inconscio stesso (esso è solo la definizione concettuale di un fenomeno), bensì il mondo spirituale che agisce attraverso schiere intere di esseri. Noi non siamo in grado di percepire questo lavoro con la nostra coscienza ordinaria diurna e quindi lo “subiamo” a livello appunto inconscio, oppure lo “sogniamo”. Da qui il grande valore dato da tutta la psicanalisi ai sogni, al loro valore simbolico, alla loro interpretazione ed al loro significato nella
vicenda umana del paziente.
Ma cos’è questo mondo spirituale, chi sono questi esseri che, individualmente o in schiera, agiscono sulle vicende dell’umanità? E qual è il nostro ruolo? Siamo solo “burattini” soggetti ad un volere e ad un disegno superiore, o siamo anche noi esseri spirituali, protagonisti di una vicenda cosmica, che possono esercitare le loro libertà?
La risposta ovviamente, esprimendo anche il nostro orgoglio intellettuale e morale di uomini moderni, non può che essere affermativa: sì siamo protagonisti ed attori della nostra vicenda individuale e collettiva, pur all’interno di un grande disegno cosmico il cui esito dipende anche, e fondamentalmente, da ciò che facciamo e del quale portiamo quindi, come individui e come specie, la responsabilità che è il frutto più ovvio della LIBERTA’.
Con una breve premessa antropologica che descrive la costituzione dell’uomo diversamente da quella oggi più comunemente conosciuta e considerata, ed alla luce di questa presenza, seppur inconscia nella nostra esperienza ordinaria, del mondo spirituale, potremo poi arrivare al tema del perché le religioni nella storia abbiano i tratti comuni che si conoscono. L’uomo ha, naturalmente, il suo corpo fisico. Lo condivide con tutti i regni della natura: lo possiedono anche gli animali, le piante e i minerali. Esso è costituito dalla materia con tutti i suoi elementi. In quanto tale è un corpo minerale (carbonio, ossigeno, idrogeno, calcio….). Il corpo vitale, o corpo di calore, è quello che da la vita al corpo fisico. Questa seconda parte costitutiva è condivisa solo con gli animali e le piante. Accanto ad esse il corpo psichico o mentale è la parte che da all’uomo la sua ricca vita emozionale; esso è condiviso solo con gli animali. La psiche umana è la scena sulla quale si svolge la vita di relazione dell’uomo, con se stesso, con gli altri uomini, con la natura e con i principi superiori spirituali. Questa parte costitutiva è conosciuta come “anima” sia nelle religioni che nelle scienze dell’interiorità umana. A buon diritto quindi psicologia (accademica e clinica) e psicanalisi possono definirsi “scienza dell’anima”.
Questa dimensione, seppur con manifestazioni più rozze ed istintive, è propria anche degli animali che, a differenza delle piante, hanno una importante vita emozionale. Infine l’uomo ha qualcosa che lo differenzia da essi, qualcosa che connota la sua superiorità: questa quarta parte della costituzione umana è lo spirito, l’Io. Esso è l’elemento fondante che ci caratterizza all’interno della natura come specie, ma, soprattutto, caratterizza gli individui all’interno della specie. Nessun uomo può dire “Io” ad un altro. In questa piccola, semplice proposizione c’è il segreto della nostra essenza. A differenza degli altri esseri della natura, l’uomo ha una componente spirituale, è un essere spirituale, ed in quanto tale partecipa alla vita di tre mondi strettamente e profondamente interconnessi tra di loro: quello fisico, che è sotto i nostri occhi, ma anche quello animico e quello spirituale. Essi sfuggono alla percezione dei nostri sensi, ma sono in qualche modo visibili a chi abbia il coraggio intellettuale e morale, di mollare i comodi ormeggi del senso comune (che in quanto tale offre facile protezione) per guardare più in profondità all’essenza ed al significato della vita umana ed alla propria in particolare. E questo si può fare oggi non più e non tanto per fede, come avveniva nel passato, ma proprio perché la scienza ci pone continuamente di fronte a confini che abbiamo il dovere di superare per amore della scienza stessa. Possiamo cioè
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dare luogo ad una “scienza dello spirito” che faccia il passo successivo rispetto a quanto donatoci da intellettuali di enorme spessore, come appunto Freud e, soprattutto, Jung, i quali però non potevano, nel quadro culturale della loro epoca, che fermarsi a quel primo passo.
Qui dobbiamo richiamare un altro grande scienziato il quale però, vuoi perché era un naturalista, vuoi perché agiva in un ben determinato contesto storico-culturale, ci ha portato una grande scoperta che è rimasta incompleta. Si tratta di Charles Darwin e della sua teoria dell’evoluzione. L’uomo è un essere in evoluzione, l’evoluzione è la componente fondamentale della vita; ma, per andare oltre, si deve osservare che essa lo è nella natura, nel corpo fisico umano, ma anche nell’anima umana. L’anima subisce metamorfosi continue nel corso delle epoche, così come le subisce il corpo fisico. L’anima dell’uomo contemporaneo non è la stessa dell’uomo antico. Essa è in grado di interagire con lo spirito in modo diverso da come poteva fare in un passato più o meno remoto. Si può dire che oggi viviamo in un’epoca di “anima cosciente”, una sorta di fase adulta dell’anima, la quale non ha più bisogno di una dimensione mitologica per entrare in relazione con lo spirito, ma può farlo appunto “coscientemente” ed in modo scientifico. L’attività dell’Io può uscire dalla dimensione inconscia e, attraverso un lavoro di indagine scientifica (che ha due teatri: quello del mondo fisico con le scienze naturali, e quello interiore con la psicologia analitica e con la scienza spirituale) portare a piena coscienza la realtà del mondo spirituale.
L’uomo è un essere spirituale che attraverso il corpo fisico condivide la vita della natura con le piante e gli animali, e che con il suo Io condivide la vita spirituale con gli altri esseri del mondo spirituale.
Questi esseri, se vogliamo rimanere alla cosmogonia cristiana, sono quelli descritti da colui che è conosciuto come Dionigi Aeropagita, il quale ce li descrive in nove gerarchie, dagli Angeli ai Serafini. Questi esseri, particolarmente quelli più vicini agli uomini, hanno agito nelle vicende umane manifestandosi in tutte le epoche, in tutte le culture, in tutte le zone geografiche. E gli uomini hanno sempre avuto un rapporto con loro anche quando essi si manifestavano nella forme più semplici perché più adatte al livello evolutivo, e quindi alla capacità di accoglienza, dell’anima di quel popolo in quel momento. Questo vale sempre e comunque, dalle religioni animistiche nelle quali il mondo spirituale veniva percepito nelle manifestazioni della natura, a quelle più evolute che raggiungono le vette più alte della mistica, a livello del sentimento, e della speculazione teologica, a livello del pensiero.
Non questa è una visione più coerente, più serena e, in fondo, più giusta della storia spirituale umana? Tutti gli uomini, tutti i popoli, in tutte le epoche hanno avuto conoscenza, seppur nelle forme diverse e più adatte di volta in volta, degli stessi esseri, della stessa realtà superiore, dello stesso mondo al quale gli uomini stessi, con la loro parte spirituale, appartengono. Nessun uomo è stato privato, nella sua esperienza terrestre, della conoscenza, o almeno del rapporto con gli esseri del mondo spirituale e con l’Essere che ha dato luogo alla creazione. Nessuna religione è più vera o superiore alle altre, ognuna di esse è semplicemente l’espressione di quanto era possibile conoscere ed esperire del mondo spirituale per l’anima di quegli uomini. L’unica osservazione semmai è quella
di valutare relativamente il valore delle manifestazioni del mondo spirituale nelle varie epoche, ovvero quelle dell’epoca attuale, dell’anima cosciente, rispetto a quelle dei periodi nei quali l’anima era meno evoluta. Ma questo sarebbe un altro tema di approfondimento diverso da quello che cerchiamo di trattare.
Possiamo entrare nella valutazione di un esempio specifico allo scopo di chiarire quello che è stato fin qui esposto. E possiamo per questo esaminare il culto di Mitra in relazione al cristianesimo.
Scrive Nicola Turchi: “Il mitriacismo è una religione di origine iranica trapiantata sul terreno della cultura ellenistica. Quindi le fonti per la sua storia sono i testi iranici pertinenti alla religione di Zoroastro, anteriore di parecchi secoli. Egli aveva riformato in senso monoteistico la precedente forma pagano-naturistica della religione persiana. Al centro di questo sistema c’era la divinità solare di Ahura Mazda, tutta la creazione buona è uscita ex nihilo da lui mediante la sua parola onnipossente. Egli è circondato da una corte divina di sei santi e immediatamente sotto di essa va n’è un’altra di spiriti inferiori tra i quali Mitra, ”il fedele”, il custode del giuramento, il dio dai mille occhi cui nessuno può sfuggire, che riceverà poi nel mitriacismo un rilievo tutto speciale.(…)
Nel sistema mazdaico Mitra è una divinità inferiore, ma nonostante questo rimpicciolimento teologico la sua figura spicca sempre ed egli appare piuttosto come il compagno di Ahura destinato a vegliare sul mondo. Plutarco dice che Mitra occupa un posto intermedio tra Ahura Mazda e Angra Manyu, cioè che è l’emissario attivo di Ahura, duce delle milizie celesti contro gli spiriti tenebrosi. (…)
Tra le due religioni sorgono taluni elementi di diversità. Nel mitriacismo non compare la figura di Angra Manyu, come divinità del male e contrappositore di Ahura Mazda, inoltre esso ritrova elementi naturistici, che erano vivi presso gli antichi persiani e che erano rimasti velati dallo zoroastrismo il quale era un sistema spiritualista e poneva in prima fila tutte astrazioni morali. Nel mitriacismo si venera il cielo, lo si considera sposo della terra feconda e si associa Mitra al sole, si compiono sacrifici di animali (mentre nel mazdeismo c’era l’adorazione del fuoco), si seppelliscono (come nell’antica Persia ) i cadaveri o, indifferentemente, si bruciano, mentre nel mazdeismo era prevista la cremazione perché si riteneva sacrilego contaminare i quattro elementi con l’impuro contatto del cadavere. (…)
Sebbene Mitra occupi il luogo centrale nel culto e nella devozione dei fedeli, tuttavia egli non è la figura suprema nel sistema teologico proprio del mitriacismo. All’origine delle cose la teologia mitriaca mette il tempo illimitato, Zervan Akarana, al di sotto di questa divinità suprema sta Mitra, che è il dio centrale del mitriacismo(…) .
Ha scritto Renan che se il cristianesimo si fosse estinto il mondo sarebbe diventato mitriasta. Questo è un giudizio fallace poichè al centro della religione mitriaca c’è un sacrificio animale, sia pur sublimato ad un valore cosmico di salvazione universale, mentre al centro del cristianesimo c’è il sacrificio di un Essere teandrico che ha tutte le prerogative della divinità e dell’umanità. Culturalmente il cristianesimo raccoglie l’eredità di tre culture: l’orientale, col suo misticismo religioso, la greca, con la sua speculazione filosofica e scientifica, la romana, con la sua organizzazione giuridica e le sue preoccupazioni etiche.” 2
Il prof. Turchi aderisce ad una delle due chiavi di interpretazione e di giudizio esposte all’inizio; ovvero a quella “materialistica” secondo la quale le varie religioni si influenzano sulla base di elementi culturali ed hanno una maggiore o minore capacità di sviluppo e di presenza nella storia sulla base di aspetti filosofici, giuridici, morali e, ovviamente, mistico-religiosi.
Un altro esempio di un simile atteggiamento culturale
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possiamo trovarlo in quanto ci espone Joseph Campbell. Nel suo Le figure del mito (cap. I par. 3 “Il bambino portentoso” ), si può leggere: “Nel cristianesimo dei primi secoli la ricorrenza di numerosi fra i temi più amati delle antiche mitologie pagane nelle leggende di Cristo era riconosciuta e sottolineata intenzionalmente. Nel quarto secolo dell’era cristiana, per esempio, il significato del bue e dell’asino nella scena della Natività doveva essere perfettamente chiaro a chiunque, perché tali animali erano allora riconosciuti come simboli dei due fratelli rivali Osiride e Seth. La loro inclusione nella nuova ambientazione poteva quindi significare in primo luogo la riconciliazione degli opposti in Cristo: ”In verità vi dico, amate i vostri nemici” (Matteo 5:44); in secondo luogo l’effettivo adempimento, nella realtà storica della nascita, morte e risurrezione del nuovo Salvatore, delle promesse soltanto prefigurate nelle narrazioni fantastiche dei miti pagani. Leggiamo infatti in un testo del secondo secolo, la cosiddetta Seconda lettera di Pietro: “Perché annunciandovi la potenza e la venuta sulla terra di nostro Signore Gesù Cristo non ci siamo rifatti a miti astutamente costruiti, bensì siamo stati testimoni oculari della maestà” (II Pietro 1:16). Analogamente il berretto frigio indossato dai Magi della Natività della figura, come si vede nel dettaglio,
Campbell rintraccia nella simbologia cristiana tutta una serie di elementi mutuati da religioni più antiche. L’asino e il bue, come simboli di Osiride e Seth, il berretto frigio indossato dai magi come segno della sottomissione delle religioni preesistenti al cristianesimo nascente. E ancora la scelta della data della nascita del Cristo il 25 dicembre coincidente con quella di Mitra (il sole invicto che, giunto alla sua massima decadenza in cielo, riprendeva a salire).
a quei tempi associato al salvatore persiano Mitra, doveva significare, agli occhi dei cristiani di allora, che anche i re seguaci di questo massimo rivale di Cristo avevano riconosciuto ed erano venuti ad adorare il Re neonato. Veniva così dimostrato che le promesse e le aspirazioni dei misteri dell’antichità erano adempiute e soddisfatte nel vangelo dell’unica incarnazione storica del vero Dio”.
E ancora: “La notte del 25 dicembre, data che fu in seguito assegnata alla nascita di Cristo, era esattamente la data di nascita del salvatore persiano Mitra. In quanto incarnazione della luce eterna, egli nasce la notte del solstizio d’inverno (che cadeva allora il 25 dicembre) a mezzanotte, esattamente quando il ciclo dell’anno volge dall’oscurità crescente alla luce crescente”. 3
Dunque l’atteggiamento più comune tra gli studiosi è quello di riconoscere la comunità di elementi tra le religioni, attraverso il riaffacciarsi in esse, in modo più o meno cosciente o anche calcolato e strumentale, di tutta una serie di elementi mitici i quali hanno accompagnato da sempre l’umanità. Non viene esclusa una origine più profonda di questi fenomeni, in genere legata ad elementi psicologici comuni, seppur non ben definiti, ma si sottolinea sempre con più forza, il tratto della contaminazione culturale, spesso dovuta ad una scelta (vedi l’esempio del bue dell’asino).
Accanto a questa tendenza di fondo della cultura accademica, vogliamo invece tentare un’altra interpretazione, legata ad una visione spirituale e cosmica, ma non priva di coerenza intellettuale e di base di ricerca, della storia dell’umanità e, quindi, anche della sua evoluzione religiosa. Intanto posiamo accennare al significato del mito. Nella dimensione mitologica dell’anima si trovano contenuti profondamente veri, poiché il mito è “una creazione dello spirito, dell’anima incoscientemente creativa. L’anima soggiace a leggi ben
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determinate; per poter creare al di là di se stessa, deve operare in una data direzione. Al livello mitologico essa lo fa in immagini che però sono costruite conformemente alle leggi dell’anima. Si potrebbe anche dire che quando l’anima supera il gradino della coscienza mitologica per progredire verso le verità più profonde, queste ultime conservano lo stesso carattere che prima presentavano i miti, poiché la medesima identica forza sta all’origine di entrambi”. 4
Il mito dunque non come un elemento ingenuo o semplicistico rispetto alla verità dell’esistenza, ma come manifestazione simbolica di forze profonde e reali all’interno dell’anima umana, forze che si riversano nell’anima dal mondo spirituale e che l’anima dei vari popoli ha espresso nei tratti mitici che conosciamo e che corrispondevano a quel certo suo grado evolutivo del momento. Quando l’anima umana, nel corso dei suoi processi evolutivi, ha potuto esprimere questi contenuti in modo sempre più complesso, non ha fatto altro che esprimere in modo diverso ciò che comunque rappresentava la manifestazione di una realtà oggettiva. Quindi ciò che oggi può apparire “superiore” o teologicamente più articolato, e per questo più vero, non è altro che l’espressione più comprensibile per l’anima cosciente di quanto veniva espresso in altre forme verso i popoli antichi.
Tornando alla figura di Mitra. Questo suo essere, all’interno del mazdaismo, “l’emissario attivo di Ahura, duce delle milizie celesti contro gli spiriti tenebrosi” non fa pensare alla figura dell’arcangelo Michele rispetto a quella del Cristo? Perché non possiamo pensare, anche all’interno degli studi accademici, a questa continuità oggettiva delle religioni, piuttosto che alle loro relative contaminazioni esteriori? Anche se poi Mitra ha avuto una sua storia parallela a quella del Cristo, in un certo contesto geografico e per un determinato periodo storico, come figura centrale di un sistema religioso, ciò può essere avvenuto perché i popoli anatolici, dove il mitriacismo si è particolarmente sviluppato, non potevano ancora accostarsi alla figura del Cristo così come essa stava per manifestarsi all’umanità.
E continuando con questa linea di riflessione, ma spostandola da Mitra proprio al Cristo, possiamo pensare che, il Cristo era l’alto spirito solare al quale tutte le culture umane si sono sempre rivolte nella loro vita religiosa. Vishna Karnan nell’antica civiltà indiana, Auhra Mazdao nell’antica civiltà persiana, Aton nella cultura egizia, Helios in quella greca, ed altri nelle culture tribali e naturalistiche, sono i nomi con i quali l’umanità ha sempre riconosciuto questo Essere. In esso gli antichi popoli veneravano la forza creativa per antonomasia: il dio Sole creatore che abbraccia con i suoi raggi tutto quanto ha creato. In effetti tra la Terra ed il Sole c’è un rapporto fondamentale: senza il Sole non ci sarebbe vita sulla Terra.
Magnifico è il tuo risplendere all’orizzonte del cielo, O creatore Aton che visse ai primordi! Quando nasci all’oriente del cielo, Ogni paese della terra giace sotto di te splendente in bellezza. Tu sei bello e grande e sfavillante e in alto sopra la terra!
I paesi e tutto quanto tu hai creato Abbracci amorosamente con le tue mani irraggianti….
(dall’Inno al Sole del faraone Echnaton)
“Per i Greci questo essere era visto in connessione con il Logos (parola, pensiero) che in Grecia, tramite una filosofia sviluppata nei secoli, era
definito come l’essere creatore attraverso il quale tutto è divenuto. I primi padri della Chiesa vedevano un rapporto così intimo tra il Logos e il Cristo che perfino il Logos veniva identificato con il Cristo: ‘Cristo è la piena manifestazione del Logos’ (Giustino). Così anche Giovanni nel prologo del suo Vangelo parla del Cristo come Logos, arrivando al compimento decisivo della filosofia greca: ‘E il Logos si è fatto carne’ (Gv. 1,14), si è incarnato. L’essere creativo del Sole è divenuto uomo.(…)
Si tratta di una realtà difficile da comprendere in una cristologia che includa di nuovo la dimensione cosmica del cristianesimo. Rappresenta però una realtà ancora più difficile da concepire con una nuova cosmologia che impari ad includere anche il cristianesimo.” 5
Ecco che la storia spirituale dell’umanità acquista una nuova luce la quale è anche più in armonia con il pensiero scientifico moderno. Non è una premessa della scienza che tutto abbia una spiegazione e che, quindi, con il tempo e con gli strumenti scientifici adatti, tutto il sapere acquisti una sua armonia e omogeneità, una sua continua e completa concatenazione?
Ebbene perché nell’ambito della storia delle religioni, ma anche dei loro stessi contenuti e quindi della teologia, questo non dovrebbe accadere?
Quella che è stata accennata come ipotesi può divenire una tesi: la storia spirituale umana è una e continua. In tutte le epoche gli uomini hanno avuto relazione con la stessa realtà dei mondi superiori in forme diverse perché corrispondenti a quanto necessario in quel momento. In passato l’anima umana era meno capace di rapportarsi al mondo spirituale in maniera cosciente, ma era più ricettiva dal punto di vista immaginativo. I rapporti con gli dei descritti ad esempio nei poemi omerici rappresentano questa realtà: gli dei intervenivano nelle vicende umane come guide ispiratrici poiché gli uomini non potevano ancora assumersi fino in fondo la responsabilità del loro destino. Ma le divinità della mitologia greco-romana, o quelle nordiche, non sono altro che gli stessi esseri poi riconosciuti dal cristianesimo nelle varie schiere delle gerarchie angeliche. Dunque i tratti comuni delle varie forme religiose non provengono da contaminazioni o da influenze culturali dovute ai contatti tra i vari popoli, ma non sono altro che le manifestazioni, anche diverse ma con molti tratti simili, dello stesso rapporto e degli stessi elementi di culto che erano necessari di volta in volta ad alimentare questo rapporto. Tutte le religioni e tutte le loro manifestazioni sono dunque oggettive, si tratta solo di usare la chiave di lettura giusta per cogliere questa oggettività.
Questa chiave di lettura, d’altra parte, può apparire bizzarra alla luce del pensiero ordinario (sia quello scientifico-materialista, ma anche quello teologico-ortodosso-dogmatico), ma possiede e mantiene una coerenza intellettuale e di pensiero che nessuna delle due correnti accennate può rivendicare. Gli scienziati materialisti non si occupano di religione per definizione dei loro compiti istituzionali, e quindi la snobbano come residuo dell’infanzia dell’umanità. Ma cosa può esserci di scientifico nell’ignorare una realtà così onnipresente nell’esperienza umana, lo sanno solo loro. Viceversa, chi si occupa di religione, sacerdoti, ma anche teologi laici, abdica al compito doveroso di indicare il legame inevitabile, reale e oggettivo tra la materia e lo spirito? Se Dio ha creato la materia e poi, con il suo respiro, la vita, qual è il legame tra la natura e lo spirito descritto in termini accettabili anche dalla coscienza dell’uomo moderno?
Quella chiave di lettura “bizzarra” invece ricrea questa armonia: non più contrasti tra fede e scienza, tra pensiero e
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sentimento, tra scienza, arte e religione. Tutti questi ambiti, generati nella storia, dall’anima umana, dentro l’anima umana possono ritrovare la loro armonia. Questa ritrovata armonia, tra l’altro, potrebbe anche generare quella salute sia nell’individuo che nella società, oggi purtroppo drammaticamente perduta.
Matthias Grünewald, Dettaglio del volto del Cristo nella Resurrezione, Altare di Isenheim, cm. 269 x 143, Musée d’Unterlinden a Colmar, ca. 1512-1516
NOTE
1 - Carl Gustav Jung, Il significato della psicologia per i tempi moderni, Boringieri, Torino
2 - Nicola Turchi, Le religioni dei misteri nel mondo antico, Fratelli Melita, Genova
3 - Joseph Campbell, Le figure del mito, Edizioni Red, Milano
4 - Rudolf Steiner, Il cristianesimo come fatto mistico, Editrice Antroposofica, Milano
5 - Michael Debus, La nascita del Sole nell’interiorità dell’uomo, in «Antroposofia» anno 2000 gennaio
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Ringraziamenti
La Redazione desidera ringraziare tutti gli autori dei vari contributi per la bella collaborazione; ringrazia tutte le persone che con un solo pensiero, con lavori di revisione o di traduzione, con delle idee o materiale di studio hanno aiutato il lavoro per la terza uscita di Iuventas. Un particolare e sentito ringraziamento a Christine Untersulzner per la sua disponibilità per l’intervista. Un caloroso ringraziamento a Massimo Piutti per il suo lavoro grafico, immancabile e fondamentale per la Rivista. Infine, vorrei ringraziare tanto tutti i nostri lettori per l’attenzione ed interesse, sperando di ritrovarci presto per il prossimo numero!
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