IUVENTAS Rivista Nr. 2 (parte 1)

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Impaginazione grafica di Massimo Piutti

Hendi ilma: merkúr

rUdOlF STeiner

SiGillO PlaneTariO di merCUriO

Astra inclinant, non necessitant.

Johannes Kepler

Ideák csillagakrobatája

Diplomaták, orvosok

Nemzetközi űrállomása

Ész, szellemesség planétája, Juttass fényeddel megértést

Sárrá vált, fekete

Földanyánkra!

dalla raccolta di poesie Rózsa óra (L’ora della rosa) di Ilma Hendi (1947-2022), Idahegyi Editore, Genf-Budapest, 2003.

ilma Hendi, merCUriO

Astra inclinant, non necessitant.

Johannes Kepler

Acrobata stellare di idee Stazione spaziale internazionale di diplomatici e medici, Pianeta della mente, dell’arguzia, Fa’ che arrivi, con la tua luce, comprensione Sulla nostra Madre Terra

Divenuta paludosa e nera!

Traduzione della poesia a cura di Kata Szabados

Come un dono di Natale, per i lettori ma anche per noi stessi, eccoci con il secondo numero della nostra cara Iuventas! Questa volta la rivista contiene degli scritti di ampio respiro che forse sono venuti così, anche se non ne eravamo coscienti, per offrirvi delle letture in cui immergersi completamente, più adatte così al periodo invernale che richiede un’attenzione particolarmente rivolta all’interiorità. Che un profondo silenzio interiore risuoni in noi, che ci potrà guidare bene durante i giorni di Natale e le notti santi, fino ad arrivare all’Epifania. Un silenzio in cui potremo sentire in realtà molto di più, se ci rivolgiamo con la presenza d’animo adatta al tempo natalizio. Un periodo iniziato con l’Avvento, con un blu immenso ed illuminato dalle stelle d’oro, le luci degli Spirali d’Avvento dei bambini delle realtà steineriane. Il profumo dei rami di abete, delle candele in cera d’api, l’intrinseca penombra illuminata e riscaldata dalle piccole fiamme e dai canti d’Avvento. Vi auguriamo che le letture possano accompagnarvi in una simile atmosfera e verso una calma dell’anima, alimentandone il calore interiore e il carattere contemplativo, suscitando in voi riflessioni e idee anche per l’anno nuovo.

Questo numero, giusto per rievocare, almeno gli echi, dei canti di giubileo degli angeli sopra Betlemme, uscirà con tanta musicalità: numerose sono le riflessioni sul tema della musica, e in generale, sull’arte. Le poesie e meravigliose immagini non mancheranno neanche questa volta, per nutrire non solo l’occhio ma anche lo spirito, perché oggi abbiamo così tanto bisogno della bellezza e della spensierata e placida contemplazione di essa.

Ma troverete anche dei temi più impegnativi e meno allegri, che però devono essere trattati, soprattutto considerando il particolare momento dell’anno, cioè l’avvicinarsi dell’centenario dell’incendio del primo Goetheanum. Potrete leggere sull’architettura dell’edificio e certamente anche su quella ultima notte dell’anno 1922. Un evento che potrà essere ricordato anche durante la grande Veglia organizzata sulla collina di Dornach la prossima notte di San Silvestro. E commemorato in tutti i cuori, ovunque si trovino al mondo, che accolgono qualcosa di quell’essenza che è stata incarnata da quell’edificio.

Un’altro anniversario significativo, anch’esso centenario, è

quello dell’impulso dato per la fondazione della Comunità dei Cristiani: potrete approfondire un po’ anche questo tema.

Ci sono vari incontri particolari che siamo riusciti a far realizzare sulle seguenti pagine di Iuventas, un intreccio cuirioso di grandi biografie e delle anime che possono stare un po’ di nuovo insieme. George Sand, Chopin e Liszt (quest’ultimo è stato appunto la persona che ha fatto incontrare Sand e Chopin), qualche apparizione di Wagner e Parsifal, poi i scrittori Romain Rolland e la svedese Selma Lagerlöf, entrambi premiati Nobel per la letteratura nonché legati da un legame d’amicizia.

Le osservazioni di Rolland ci conducono in una realtà di fatti meno pacifica, in un’atmosfera di guerra che purtroppo sembra stia per ritornare nella nostra Europa, il che non possiamo non considerare e su cui non possiamo tacere. Anche la mia scelta, a lungo meditata, del racconto finale, rispecchia un po’ il periodo che stiamo vivendo, pieno di violenza, anche se al momento non tutti dobbiami assisterla da vicino. Questa leggenda di Cristo, come tutte le altre, raccolte durante i suoi viaggi in Palestina e raccontate meravigliosamente da Selma Lagerlöf, riesce a creare un’atmosfera così calorosa e autentica che l’antica città di Betlemme e i suoi dintorni sorgono chiaramente davanti a noi, e come se fossimo trasportati da una forza miracolosa, li potremo girare da vicino. Guardare così noi stessi negli occhi del Bambino, Principe della Pace.

Vorrei ringraziare i tanti messaggi incoraggianti che abbiamo ricevuto dopo la prima uscita, ringraziare di cuore tutte le persone che hanno contribuito - in certi casi, per la seconda volta! - , donandoci i vari contributi per questo numero: scritti, traduzioni, immagini, idee e materiali, lavori di revisione e da ultimo ma non per ultimo, un immenso grazie al mio collega Massimo: senza il suo aiuto tempestivo e lavoro preciso le nostre idee non potrebbero incarnarsi materialmente in forme così estetiche e ben curate.

Non mi resta altro che salutarvi per le Feste con uno dei versi della meditazione della Pietra di Fondazione, data da Rudolf Steiner durante il Convegno di Natale del 1923:

4 IUVENTAS - Nr. 2 - 25 dicembre 2022 INTRODUZIONE

Alla svolta dei tempi

La luce dello spirito universale entrò

Nella corrente dell’essere terreno;

L’oscurità della notte

Aveva terminato il suo dominio;

La chiara luce del giorno

Irraggiò nelle anime umane;

Luce, Che riscalda

I poveri cuori dei pastori;

Luce, Che illumina

I capi sapienti dei re.

Quindi, tanti auguri di una festa natalizia che porti sempre più cuori ad accogliere la Nascita dell’impulso del Cristo: un buon vero Natale!

E Buona lettura!

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2022

1 - Avvento, Incontro di Luana Rossin, dicembre 2022

2 - M. Weihe-Nacht-Stimmung/Atmosfera di Natale di Rudolf Steiner, 1924 tratto dal Calendario dell’anima

3 - “Malata è ogni anima che ha perso il respiro del mondo” di Cristina Donata Ferraris, 2022

4 - Auch das ist Kunst/Anche questa è arte di Joahnn Wolfgang von Goethe

5- George Sand, una biografia fuori dal suo tempo e l’incontro di destino con Frédéric Chopin di Valerio Falcone, 2022

6 - «La musica è essenza spirituale incarnata» di Kata Szabados, dicembre 2022

7 - Musica, un sostegno per la vita dell’uomo. I bambini musicanti di Tommaso Masini, 2015

8 - Geistliche Lieder, II/ Canti Spirituali, II di Novalis

9 - Io, Goetheanum di Nicolás Jaime Gemelli, dicembre 2022

10 - A short christmas prayer/ Breve preghiera natalizia di Adam Bittleston/Traduzione Elio Biagini, 1993/2019

pg. 8

pg. 10

pg. 13

pg. 18

pg. 20

pg. 26

pg. 30

pg. 36

pg. 38

pg. 42

IUVENTAS - Nr. 2 - 25 dicembre 2022 INDICE_parte 1
Acquerello di Kaspar Hauser
8 IUVENTAS - Nr. 2 - 25 dicembre 2022
Natività, III secolo d.C., Catacombe di Priscilla, Roma

avvenTO, inCOnTrO

di Luana Rossin, dicembre 2022

“Ci siamo già spesso trasportati con lo spirito nelle catacombe romane.”1 Recentemente attraverso un libro mi è venuto incontro un fatto universale, questo è il motivo che mi spinge a condividerlo. Mi trovavo in Veneto e lì è giunto nelle mie mani il libro all’interno del quale ho potuto leggere di un certo fatto, di una certa origine, che è ciò che voglio dire e che ora dirò... ma la premessa di cui tenere conto è un mio avvicinamento fisico dal 2021 alla città di Roma, che non è il mio luogo di nascita, solo recentemente e prima ancora nel 2012, 10 anni fa, sono passata da queste parti (dove mi trovo anche ora mentre scrivo). Quindi: avvicinandomi io a Roma (e credo solo in virtù di ciò) ho potuto venire a conoscenza (dopo più di un anno) di questo: “[...] Quello che viene citato come Natale cristiano, non era presente da subito, quando il cristianesimo è stato introdotto nel mondo. I primi cristiani non avevano ancora una tale festa di Natale. Non festeggiavano la nascita di Gesù Cristo. E trascorsero circa tre secoli prima che in seno alla comunità cristiana venisse festeggiata la festa della nascita di Gesù Cristo. [...] Così la festa di Natale è un’istituzione del quarto secolo. Potremmo dire che il primo Natale venne festeggiato a Roma nel 354. [...]” 2

Indescrivibile il mio stupore nell’atto di venire a sapere di ciò!

Un mese dopo, grazie ad un dono da me ricevuto sempre nella regione del Veneto! (ma in un’altra città) trovo in un altro libro questo ricordo di Rudolf Steiner che infine e di nuovo mi colpisce: “L’avvicinamento a Palermo con la nave fa emergere in Rudolf Steiner una esperienza di cui parla in una conferenza: « Quando viaggiavo sulla nave verso Palermo, di colpo mi divenne chiara una cosa: un certo enigma ti si scioglerà, enigma che si può sciogliere soltanto dalla diretta impressione del luogo [... ] »” 3

Questa notizia può essere un piccolo avvenimento senza importanza, ma lo stupore e la gioia da me vissuti nel venirne a conoscenza sono tali da indurmi a comunicarla, perché la festa del Natale è un evento comune dell’umanità che la tiene insieme e che la porta insieme. Che la riguarda, che la guarda.

NOTE

1 - Rudolf Steiner, L’albero di Natale. Un simbolo, conferenza tenuta a Berlino il 21 dicembre 1909, Fiori di Pesco Edizioni, 2007;

2 - Ibidem;

3 - Rudolf Steiner a Bologna, il suo discorso all’università in occasione del IV convegno internazionale di filosofia del 1911, a cura di Sandro Curti, Il Capitello del Sole, 1998, Prefazione di Stefano Pederiva, Rudolf Steiner e l’Italia, apparsa anche in « Rivista Antroposofia » gennaio - febbraio 1996

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M. Weihe-Nacht-Stimmung

Atmosfera di Natale

Ich fühle wie entzaubert

Das Geisteskind im Seelenschoß, Es hat in Herzenshelligkeit

Gezeugt das heil’ge Weltenwort

Der Hoffnung Himmelsfrucht, Die jubelnd wächst in Weltenfernen Aus meines Wesens Gottesgrund.

Io sento come disincantato

Il figlio dello spirito nel grembo dell’anima;

Ha in chiarezza di cuore

Generato la sacra parola del mondo

Il frutto celeste della speranza, Che cresce giubilando nelle lontananze dei mondi

Dal fondamento divino della mia essenza.

Dall’ Antroposofischer Seelenkalender – Calendario dell’anima di Rudolf Steiner (traduzione in italiano di Kaspar Appenzeller)

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A destro acquerello di Margarethe Hauschka, Rosen
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12 IUVENTAS - Nr. 2 - 25 dicembre 2022
Fotografia di Cristina Donata Ferraris

“malaTa è OGni anima CHe Ha PerSO il reSPirO del mOndO”

di Cristina Donata Ferraris, 2022

Nella nostra vita moderna, che è quasi interamente guidata dall’intelletto, non siamo più consapevoli del peso di certi fatti. Bisogna ricordare che le cause della maggior parte delle malattie si trovano nello spirito e nell’anima dell’uomo e che la via della guarigione consiste nel ristabilire l’armonia disturbata: una via delicata, che richiede una certa consapevolezza.

L’uomo che si trova interamente dedicato, con la sua energia, al mondo dei sensi, ha poco spazio libero per la vita interiore. Al contempo questo mondo delle percezioni richiede un’attività così intensa e veloce, che non facilita un ritmo sano. Durante una malattia, però, questo flusso tra ricevere le impressioni del mondo e dare la propria attività si interrompe e sorge un disagio complesso, causato anche dalla sensazione di essere un inutile spettatore dell’esistenza. Il nostro essere è chiamato, in questi momenti, ad una nuova, libera attività che porti alla guarigione.

Ma cosa ha a che fare la malattia con il respiro del mondo? Sempre nuovamente viene rimarcata l’importanza di un ritmo, fenomeno costante nella vita.

La vita degli organismi terrestri è sostenuta e intrecciata da ritmi esterni o interni del più vario tipo: mentre le piante sono completamente legate al cambiamento periodico del giorno e della stagione, gli esseri viventi più altamente organizzati sviluppano ritmi interni che permettono loro di diventare sempre più indipendenti dall’ambiente e autosufficienti. Anche animicamente possiamo vivere un ritmo che presenta qualità diverse, come lo stare soli o in compagnia, l’attività e il riposo e ancora nascita e morte, costruzione e distruzione.

Anche il ciclo annuale è scandito da un ritmo in cui ricorrono le festività, che già l’uomo nelle epoche più antiche festeggiava in maniera istintiva. “Il corso dell’anno, con le sue manifestazioni, veniva sentito, e anche oggi potrebbe essere sentito, come l’espressione esteriore di un essere vivente che vi sta dietro” 1 .

Rudolf Steiner vede questa trasformazione che si verifica nel corso dell’anno come un respiro cosmico, un respiro che è analogo all’attività di sonno e veglia nell’uomo, nel quale però essa non inspira o espira aria, ma le forze che, ad esempio, operano per la crescita delle piante.

Dunque abbiamo a che fare con forze che sono attive in maniera differente durante l’anno.

Se poi prendiamo in esame i sentimenti che ci accompagnano durante il corso dell’anno, ci rendiamo conto che sono spesso sentimenti che riguardano tutta l’umanità.

Cerchiamo di delineare sommariamente i punti cardinali dell’anno, in corrispondenza alle quattro festività principali: Natale, Pasqua, San Giovanni e San Michele, senza dimenticare la festa cristiana della Pentecoste.

San Michele

Pochi giorni dopo l’inizio ufficiale dell’autunno, è il giorno di San Michele.

Michele vuole essere la guida alla vera conoscenza e alla comunione spirituale. La festa che ci introduce nella stagione sempre più buia è un richiamo a riconoscere le forze inferiori e ci invita a risvegliare il coraggio che è in noi, affinché la sicurezza di sé e la fermezza si avvolgano intorno a noi come uno spesso manto. Le forze vitali esterne si ritirano e la vita si sposta sempre più all’interno, e così anche la luce deve essere richiamata interiormente.

Natale

Il Natale viene accompagnato dalle 12 notti sante che hanno ognuna un suo significato e particolarità, sono giorni in cui possiamo ascoltare, in silenzio, e aprirci al mondo spirituale. In questo periodo la terra ha inspirato tutte le forze elementari, racchiude in sé la sua anima: esteriormente la terra si presenta spoglia. Con la nascita del Bambino Gesù l’oscurità più profonda, che a volte potevamo sentire nell’anima, è terminata e la luce appena nata si fa strada. La nascita della luce è guidata sia dalle forze della natura che da quelle dell’anima; il bambino scende e si unisce all’anima della terra e all’anima degli uomini che lo accolgono.

L’avvento del nuovo anno: il vecchio può essere chiuso con gratitudine e il nuovo accolto con gioia.

Pasqua

Le forze animiche della terra fluiscono nel cosmo e la potenza dell’impulso Cristico che prima era intimamente connessa con la terra ora inizia ad irradiarsi intorno alla terra. Queste forze tendono la mano al Sole. “A Pasqua riceviamo il sacrificio d’amore del Figlio, ma è già qualcosa di più individuale del dono natalizio. Cristo è morto per tutti gli uomini, sì, ma potenzialmente! Questo significa che il suo sacrificio a lungo andare trasformerà solo coloro che sono di buona volontà.” 2

Quando si celebra la Pasqua, la natura si riapre e la dormienza invernale termina. Tutto si spinge verso le forze crescenti della luce e si dispiega gradualmente in una piena fioritura.

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San Giovanni

Procedendo insieme al respiro della terra, vediamo che nel periodo di San Giovanni la terra ha espirato e tutta l’anima si riversa nel cosmo e noi siamo abbandonati al calore e alla luce esterni.

L’usanza popolare del fuoco solstiziale accenna alla purificazione: attraverso la combustione dell’elemento umile in noi, lo spirituale può diventare visibile nel fuoco ardente. Questo spazio può essere nuovamente riempito con forze cristiche, per cui un nuovo richiamo alla coscenza. Con il giorno di San Giovanni, la luce ha dispiegato tutta la sua potenza e il sole ora diminuisce gradualmente la sua luminosità di giorno in giorno, le giornate si accorciano di nuovo.

L’uomo d’oggi dovrebbe essere cosciente dello svolgersi del tempo durante l’anno e vedere le feste nel loro contesto più ampio, e prestando attenzione alla concatenazione degli eventi micro- e marcocosmici, respirare insieme a loro. Il mantenimento di questo ritmo è sempre decisivo per malattia e salute sia nell’uomo che nella terra.

Prendiamo per esempio in esame l’importanza del sonno notturno: da innumerevoli studi emerge chiaramente una relazione tra ritmo sonno-veglia e problemi di esaurimento o del mantenimento delle proprie forze. Nella notte si dovrebbe arrivare ad uno scambio ritmico tra sistema simpatico e parasimpatico, tra tensione ed espansione. In una fase di sonno profondo, vengono nuovamente sincronizzati i nostri ritmi corporei: possiamo anche dire che in questa situazione l’uomo entra in profondità nel mondo stellare e si riconnette alle leggi cosmiche.

Il sonno ci unisce con il mondo spirituale, con il mondo degli archetipi, dove può avvenire l’incontro con il nostro io superiore, con il nostro angelo, e da lì possiamo ricevere nuovi impulsi, che ci aiutano a cogliere e padroneggiare i nostri compiti qui sulla terra.

Rispetto ai cambi stagionali già Ippocrate, ma ancora prima gli Egizi, sostenevano che i cambiamenti stagionali hanno un’influenza profonda sulla salute e sul comportamento. Questo si mostra spesso negli uomini che reagiscono in maniera sensibile a questi cambiamenti, frequentemente troviamo anche una connessione tra variazioni stagionali e malattie psichiatriche.

Tra le malattie sempre più frequenti non abbiamo solo stati

depressivi ma anche la sindrome di Burnout. Qui a dispetto della depressione abbiamo a che fare con una profonda alterazione dei processi regolatori dell’organismo, in particolare sotto l’aspetto della cronobiologia. Essa è fondamentalmente lo studio del sistema ritmico: il suo compito è regolare come si comportano reciprocamente i ritmi del corpo umano, ma anche, come sono integrati nei ritmi cosmici, che in uno stato di Burnout vengono profondamente disturbati.

Vediamo così che le immagini delle stagioni, sono uno specchio dei nostri processi corporei ed animici. Un cosciente rapporto con la natura, i suoi ritmi e le sue forze, può essere una fonte di forze di guarigione. Questo ci permette un orientamento nel corso dell’anno dandoci una stabilità, inoltre ci dà la possibilità di sentirsi inseriti in un quadro più ampio, dandoci un senso più profondo di relazione con il mondo.

Rudolf Steiner spiega come poter ritrovare questa nuova relazione, una volta così istintiva.

“Questa vita in unione col corso dell’anno si può poi sempre maggiormente approfondire ed arricchire, si può riuscire a vivere, vorrei dire meno acidamente rinchiusi entro la propria pelle, senza prendere parte alle cose che si svolgono intorno a noi; si può riuscire a sperimentare in modo da fiorire nella propria anima con ogni fiore, da partecipare al fiorire del fiore e allo schiudersi delle gemme in modo da sentire nelle gocce di rugiada splendenti nei raggi del Sole, da sentire nella luce risplendente il meraviglioso mistero del giorno che ci si presenta appunto nella goccia che risplende al mattino. In questa maniera si può dunque andare al di là del borghese e prosaico modo di partecipare al mondo esterno che si esprime nel prendere l’ombrello quando piove e nell’indossare il soprabito d’inverno e un vestito più leggero d’estate. Quando si giunge a partecipare alla vera vita e alla vera azione delle cose della natura, allora soltanto il corso dell’anno viene veramente compreso.” 3

A questo proposito il medico antroposofo Margarethe Hauschka dice: “Krank ist jede Seele, die den Welt Atem verloren hat” - “Malata è ogni anima che ha perso il respiro del mondo”.

Margarethe sviluppò una terapia artistica mirata a creare nuove vie per unire l’arte alla guarigione, anche se possiamo dire che già l’arte in sé ha una valenza pedagogica, terapeutica e trasformativa intrinseca.

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Pittoricamente possiamo riconoscerci come un essere composto di intervalli di colore e come in uno specchio, nel foglio, potremo trovare disequilibri animici e problemi fisici, che attraverso l’attività pit-torica condotta potranno essere considerati, rafforzando le capacità di autoguarigione. Se questo viene ripetuto e integrato in modo terapeutico e appropriato, ha un effetto sulle forze dell’anima e a livello organico. “Ci si rivolge alle forze di guarigione che diventano accessibili quando si guida l’anima ver-so le forze formatrici dell’universo.” 4

Tra le varie categorie di arteterapia quella sviluppata da Margarethe Hauschka e dalla dottoressa Ita Wegman si orienta al cerchio cromatico di Goethe. È un metodo pittorico

che utilizza i colori ad acqua-rello e le matite colorate e che allena l’occhio alla natura e alla sua varietà di atmosfere o stati d’ani-mo.”La trasparenza dell’acquarello esalta la qualità animica del colore, per questo è una tecnica favorita per questa stimolazione.” 5

Nel metodo Hauschka si lavora con i colori dell’arcobaleno ma anche sulla riproduzione di certe con-dizioni della natura, come esse nascono dai ritmi del giorno e dell’anno. Un’ immersione nel ciclo delle stagioni che fanno respirare gli esseri.

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Margarethe Hauschka, Sonnenaufgang (Il Sorgere del sole), acquerello

La terapia artistica venne e viene tutt’ora ampliata e consolidata, e sono tanti gli uomini che dovremo ringraziare per i preziosi contributi.

Ma non solo le attività artistiche si rivolgono all’anima dell’uomo, molte altre sono le attività che possono essere di aiuto se vogliamo coscientemente essere partecipi di questo grande ritmo dell’anno, che è anche riflesso della nostra anima. Vivendo con una certa apertura, può nascere uno scambio tra noi e il mondo che ci porta a ritrovare un’armonia e dare così nuovo senso.

La festa di Natale, così vicina, è particolarmente rivolta al nostro sentire, e ci invita a rammentare qualcosa di prezioso. Quando scorgiamo i nuovi boccioli di una rosa, i candidi fiocchi di neve o le stelle luminose, siamo in qualche modo rimandati, attraverso queste manifestazioni della natura, al mistero della nascita. Il mistero del Natale però non si limita al ricordo della nascita fisica, ma è rivolta anche ad una rinascita interiore, nelle profondità della nostra anima. La Divinità si manifesta nei fenomeni dell’universo invitandoci ad accoglierla nella

propria anima, nel proprio cuore, così da sviluppare sentimenti veramente umani e portarli nuovamente nel mondo.

“Ravvedetevi, cambiate il vostro animo! Contemplate in modo nuovo il corso del mondo!” 6

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Margarethe Hauschka, Sonnenuntergang (Tramonto), acquerello

Margarethe

NOTE

1 - Rudolf Steiner, Il corso dell’anno come respiro della Terra e le quattro grandi festività, O.O. 223, Editrice Antro-posofica Milano, 2011, conferenza dell’ 08.04.1923;

2 - Judith von Halle, Die großen christlichen Feste im Jahreslauf, Verlag für Anthroposophie, 2021;

3 - Rudolf Steiner, L’esperienza del corso dell’anno in quattro immaginazioni cosmiche, O.O.229, Editrice Antroposofi-ca

Milano, 2010, conferenza del 05.10.1923;

4 - Dr. Margarethe Hauschka-Stavenhagen, Zur Künstlerischen Therapie, Klischee und Druck, 1976;

5 - Margrit Juenemann - Fritz Weitmann, Dipingere e Disegnare, Filadefia Editore, 2006

6 - Rudolf Steiner, Il mistero del Natale, Conferenza tenuta a Basilea il 23 dicembre 1920

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Hauschka, Die Heiligen Drei Könige (I Re Magi), acquerello

AUCH DAS IST KUNST

Auch das ist Kunst, ist Gottes Gabe, aus ein paar sonnenhellen Tagen sich so viel Licht ins Herz zu tragen, dass, wenn der Sommer längst verweht, das Leuchten immer noch besteht.

ANCHE QUESTA È ARTE

Anche questa è arte, è un dono di Dio, portare da qualche giorno di sole così tanta luce nel cuore, che quando l’estate è ormai passata da tempo, il suo bagliore è ancora con noi.

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Johann Wolfgang von Goethe traduzione di Cristina D. Ferraris
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Hilma af Klint (1862-1944), Altarpiece Grupp X, No. 1, 1915 © Stiftelsen Hilma af Klints Verk

GeOrGe Sand, Una biOGraFia FUOri del SUO TemPO e l’inCOnTrO

di deSTinO COn FrédériC CHOPin1

di Valerio Falcone, 2022

L’albatro

Sovente, per trastullo, gli uomini d’equipaggio fan prigioniero un albatro, grande uccello dei mari, mentre segue, indolente compagno viaggio, il vascello che scorre sovra i gurgiti amari. Ma l’han deposto appena sulle tavole ingrate, che quel re dell’azzurro, intimidito e stanco, lascia pietosamente l’ali dismisurate arrancar come remi, pendule a ciascun fianco. Oh com’è goffo e imbelle il viatore alato!

Splendido poco innanzi, ora è grottesco e monco. Chi con la pipa mozza provoca il becco alzato; chi, claudicando, imita l’ansia del volo cionco. Il poeta somiglia a quel re degli spazi, che aduso alle tempeste va sfidando il destino. Esule della terra, tra le beffe e gli strazi, le ali di gigante gli inceppano il cammino.

Questa poesia sull’intima essenza dell’essere artista è stata scritta da Charles Baudelaire, forse ispirata alla “Ballata del vecchio marinaio” di Samuel T. Coleridge del 1798, quando le vicende di cui tratteremo di seguito si erano già concluse. E di artisti parleremo, due figure d’artista molto diverse tra loro.

Chopin è nato probabilmente già artista, ha potuto interpretare il suo ruolo già dall’età infantile immedesimandosi nello strumento che gli ha dato l’opportunità di dare voce alla sostanza spirituale di cui la sua sensibilità è stata tramite. Più difficile inquadrare l’artista George Sand, che solo accidentalmente è stata una scrittrice; la scrittura ha avuto un ruolo nella sua biografia, ruolo nel quale, tuttavia, non si è calata investendo la sua identità. Il suo essere artista ha avuto un respiro più ampio che ha dato senso alla sua biografia di individuo e di donna.

La giovinezza

È stato fondamentale come la futura George Sand, sia entrata nella vita come Aurore Dupin il primo luglio del 1804, quasi forzando il corso equilibrato degli eventi con l’incontro speciale dei suoi genitori che amandosi, hanno determinato l’avvicinamento di due mondi, quello aristocratico dell’uomo di mondo, del soldato dell’esercito Napoleonico, Maurice Dupin, e quello della semplice figlia di un venditore di uccelli

che aveva come orizzonte lo sponda povera della Senna, Antoinette-Sophie-Victoire Delaborde.

La giovane donna, futura madre di Aurore, proveniva dal popolo e sarebbe rimasta tanto volentieri nella sua condizione semplice a cui un destino piano avrebbe negato qualsiasi ambizione, ma anche la probabilità di provare l’esperienza di un dolore più grande di quanto fosse capace di sostenere. E invece l’amore l’aveva sottratta al suo mondo naturale rendendola felice.

Quando Aurore aveva solo quattro anni, Antoinette perse il neonato Auguste, che nacque provvidenzialmente cieco perché potesse lasciare questo mondo senza nemmeno vederlo, e poco dopo perse anche Maurice, l’unico amore della sua vita.

La felicità l’aveva resa estranea al suo mondo d’origine, il dolore la rese estranea al mondo: “Non maledico Dio, ma detesto e maledico l’umanità”.

Poiché la madre di lui, l’aristocratica Madame Dupin de Francueil, non l’aveva mai accettata come parte della famiglia e ciò rendeva impossibile una qualsiasi convivenza, Antoinette decise di affidare la bambina alle cure della nonna, cure che non era più certa di poter dispensare, ai suoi sentimenti non avrebbe più affidato nemmeno sé stessa: “Preferisco strapparti dal mio cuore e non aver niente da amare dopo tuo padre, neppure te”

Così Aurore cresce nella villa di Nohant, che sarà il palcoscenico principale della sua vita, sotto la tutela di Madame Dupin che

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l’educherà alla luce dei principi illuministi, all’insegna del pensiero di Rousseau e di Voltaire, senza tuttavia riuscire ad estirpare in lei la radice più popolare, quella dal sentimento più spontaneamente cristiano che le derivava da quella madre che continuava ad amare e che avrebbe cercato di riconquistare in seguito senza riuscirci.

Aurore crebbe in bilico tra questi due mondi, amata in modi diversi dalle due donne che ricambiò, ma che furono due esempi contraddittori i cui insegnamenti, affinché stessero insieme in un equilibrio instabile, richiesero tutta la sua sensibilità e la sua volontà di donna nata in anticipo sui suoi tempi.

Il matrimonio

A diciotto anni Aurore era in procinto di sposarsi senza un’intima convinzione, senza aver conosciuto la passione dei sentimenti e dopo aver superato il necessario bisogno di contestazione nei confronti della nonna e una pericolosa crisi mistica da cui la stessa nonna la mise al riparo per non vedere vanificati i suoi sforzi educativi illuministici. Il matrimonio la condusse a Casimir Dudevant, che lei considerava il migliore e il più sicuro dei suoi amici, il quale le disse: “Non vi ho trovato né bella né graziosa, non sapevo chi eravate, non avevo mai sentito parlare di voi, e tuttavia quando ho detto che vi avrei voluta come moglie ho pensato improvvisamente che se fosse davvero successo, ne sarei stato felicissimo”.

Diventare madre

Con Casimir ebbe inizio il suo viaggio alla ricerca della donna che ancora non sapeva di essere e il primo passo sicuro in quella direzione, l’iniziazione più profonda che le consentì di conoscersi, fu l’esperienza della sua prima gravidanza. Fu infatti sorpresa della trasformazione che in quel periodo avvenne nella sua vita, nei suoi pensieri, una trasformazione totale e improvvisa in cui i bisogni dell’intelligenza, l’inquietudine dei pensieri, si dissolsero in favore del predominio della vita fisica e della vita dei sentimenti.

In quello stato inatteso si trovò a vivere lunghi momenti di ozio che riempiva cucendo, presa da una sconosciuta smania di cucire, e si stupì di come quella condizione rese tanto facile e tanto necessaria quell’attività proprio a lei che era stata educata e istruita all’insegna della vita contemplativa e intellettuale.

Questa esperienza le consentì di riflettere sul valore del lavoro e del far bene e diceva: “La fatica è una legge naturale a cui nessuno può sottrarsi senza tema di cadere nel male”

Dovette riflettere sull’equilibrio tra la vita intellettuale e la fatica del lavoro fisico, considerando che una parte dell’umanità ha la mente troppo libera e un’altra ce l’ha troppo incatenata. Ciò la portò ad interessarsi alle nuove idee socialiste che si promettevano di promuovere nuove forme politiche e sociali vicine alle donne e agli uomini appartenenti alle classi sociali più disagiate, ma lontane dal proposito più elevato di accrescere l’uomo universale che potenzialmente vuole emergere in ogni essere davvero umano. Si diceva che per un reale cambiamento sociale “ci vogliono uomini nuovi e che non è sufficiente rendere i cittadini uguali di fronte alla legge ma sarebbe stato necessario renderli uguali di fronte al senso di verità”

“L’uomo non è fatto per pensare sempre, quando pensa troppo diventa matto così come diventa stupido quando non pensa abbastanza ... Non siamo né Angeli né bestie” diceva Pascal.

“La neve era così alta e persistente in quel periodo che gli uccelli morivano di fame e si lasciavano prendere in mano. Me ne portarono di ogni specie, ricoprirono il mio letto con un panno verde, fissarono agli angoli grandi rami d’abete e vissi così in questo boschetto, circondata da fringuelli, pettirossi, verdoni e passerotti che subito addomesticati dal calore e dal cibo venivano a mangiarmi in mano e a scaldarsi sulle mie ginocchia. Quando si riprendevano, volavano nella stanza dapprima con allegria, poi con inquietudine: allora facevo aprire loro la finestra. Soltanto un pettirosso si ostinò a rimanere con me. La finestra venne aperta venti volte, venti volte andò fino al davanzale, guardò la neve, provò le ali all’aria libera, fece una piroetta e rientrò con l’espressione di una persona ragionevole che resta dove si trova bene. Rimase fino a metà primavera, benché lasciassi le finestre aperte per intere giornate”

Il bambino si chiamò Maurice, come il padre di Aurore. “L’avevo tanto sognato prima, ero così debole che non ero sicura di non sognare ancora. Temevo di muovermi e di vedere svanire la visione come gli altri giorni”

Era il 30 giugno del 1823.

Bisogno di indipendenza

A Nohant, intanto, il marito intervenne nella casa apportando migliorie, togliendo ciò che riteneva superfluo e poco funzionale. Era tutto sicuramente migliorato, ma la nuova sistemazione escludeva i ricordi di Aurore legati a quel luogo ed ella si sentì schiacciata da uno strano disgusto per la vita. Cercava di assecondare la volontà del marito avendo in orrore le discussioni che avrebbero potuto offendere lo spirito di qualcun altro, “Ma non appena mi ero messa d’accordo con lui, non mi sentivo più d’accordo con me stessa e cadevo in una spaventosa tristezza”. Aurore aveva bisogno di “un’allegria sana e vera”, e per questo, aveva istintivamente sempre cercato la compagnia di persone di cui avrebbe potuto essere madre, mentre soffriva la vita mondana in cui le lunghe conversazioni finivano per esprimere sempre sentimenti cinici e critici, le donne conversando di vestiti, gli uomini di politica. Estranea a quel mondo, diceva di sé: “Non sono né uomo né donna, sono bambino”

Sulla poesia, quale condizione naturale del tempo dell’infanzia, è stata modulata la sua esistenza che la portava a sottrarsi a tutto ciò che “crudelmente uccide il sogno della bontà, della semplicità e della verità”.

Nel 1828, con la nascita della seconda figlia Solange, emerse forte la necessità di un cambiamento, il bisogno di prendere una decisione. Furono anni in cui dovette provare l’esperienza del silenzio, riconoscere il vuoto dell’esperienza matrimoniale e quindi considerare urgentemente un nuovo modo di vivere. Quella solitudine era solidamente ancorata a una forte esigenza morale che le derivava dall’istintivo senso religioso ereditato da sua madre: “Le forme religiose del passato erano svanite per me come per i miei contemporanei alla luce dello studio e della riflessione, ma la dottrina eterna, la bontà di Dio, l’immortalità dell’anima e le speranze della vita futura, tutto ciò è resistito in me a ogni esame, a ogni discussione e anche a momenti di dubbio disperato”

L’indipendenza a cui aspirava Aurore era totale: sentimentale,

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morale, ma anche materiale. Sentì il bisogno di avere risorse personali, anche modeste, per poterne disporre senza rimorsi e senza controlli, per uno svago o per un’elemosina, per quelle cose di cui si può fare a meno, senza le quali tuttavia non si è né uomini, né donne.

Aurore cercò di lavorare cercando di sorvegliare su quale fosse davvero il suo talento: si provò traduttrice, pittrice, decoratrice. Tutti tentativi che non riuscirono a confermarle il ruolo che cercava, forse perché doveva superare una certa diffidenza sulle sue stesse capacità. Eppure, sentiva di essere artista senza aver mai osato pensare che poteva realmente esserlo. In questa ricerca smodata coinvolse anche il suo modo di vestire. Sentiva strette le consuetudini femminili che irrigidivano il proprio corpo con paramenti troppo impegnativi e optò per un vestiario assolutamente maschile, pratico, comodo, leggero: “Per non essere notata come uomo, bisogna avere l’abitudine a non farsi notare come donna”

Fu un periodo che la vide conquistare la sua indipendenza e sperimentarsi, in cui sentiva di essere spinta dalla forza del suo destino di libertà morale e di isolamento poetico in una società alla quale chiedeva solo di essere ignorata, contro le cui regole urtava apertamente. Un periodo che definiva “la mia vita da monello”.

Furono quelli gli anni in cui si cimentò con la scrittura, scoprendo, inaspettatamente, non solo la sua vocazione artistica, ma anche che seguendo questo suo proprio talento poteva guadagnare dignitosamente.

George Sand

Un primo libro abbozzato da Aurore fu rielaborato dallo scrittore Jules Sandeau e fu pubblicato con lo pseudonimo di Jules Sand. Il successivo, poiché lo scrittore non se la sentì di condividere la paternità di un’opera a lui estranea, uscì con lo pseudonimo di George Sand: Aurore aveva compiuto la sua completa trasformazione fino a mutare anche il nome. “Che cos’è un nome nel nostro mondo rivoluzionato e rivoluzionario? Un numero per coloro che non fanno niente, un’insegna o una divisa per coloro che lavorano o combattono. Io me lo sono fatto da sola, con la mia fatica”.

Aveva dovuto vincere le diffidenze culturali “fate bambini, non libri!” e la sua stessa diffidenza cercando di accogliere l’incoraggiamento del suo editore Delatouche:

“...bisogna vivere per conoscere la vita, un romanzo è la vita raccontata con arte. Fidatevi del tempo e dell’esperienza e state tranquilla: questi due consiglieri verranno abbastanza presto. Lasciate che sia il destino a farvi da maestro e cercate di restare poeta, non avete da fare altro”

È difficile racchiudere il senso di una vita in uno scritto che si propone di sottolineare qualche tratto di questa biografia così particolare e così, necessariamente, non è possibile parlare della relazione di Aurore George Sand con i propri figli, la sua relazione così profonda, così responsabile, guidata da un istinto pedagogico, ma che non si è mai trasformata in una vocazione vera e propria.

Il tempo in cui ha iniziato a sperimentarsi come scrittrice deve essere stato molto intenso.

Con un nuovo nome ha potuto inaugurare una vita nuova, raggiungere un’indipendenza che le ha fatto sciogliere il legame coniugale che non poteva corrispondere al suo ideale

amoroso, ideale che talvolta le ha richiesto di votarsi alla castità o di aprirsi a una relazione che non poteva trascurare i bisogni dell’anima, quelli dell’intelletto, ma nemmeno le gioie del corpo, rivelandosi così una donna capace di muoversi in un tempo che non corrispondeva alla sua maturità spirituale.

“L’amore non è un calcolo della volontà, i matrimoni basati solo sulla ragione sono un errore in cui cadiamo o una menzogna che ci diciamo a noi stessi. Noi non siamo solo corpo o solo spirito; siamo corpo e spirito insieme. Se in un rapporto uno di questi agenti non partecipa non è un rapporto d’amore”

“Il voto della Provvidenza, direi persino la legge divina, è trasgredito ogni volta che un uomo e una donna uniscono le loro labbra senza unire i loro cuori e le loro intelligenze. Se la specie umana è ancora lontana dal fine cui possono farla aspirare le sue facoltà, questa è una delle cause più diffuse più funeste”

“Si dice ridendo che non è poi così difficile procreare: basta mettersi in due. Ebbene, no, bisogna essere in tre: un uomo, una donna e Dio in loro. Se il pensiero di Dio è estraneo alla loro estasi, forse faranno un bambino, ma non faranno un uomo”

Essere ancorata allo spirito di verità le ha procurato non poche difficoltà, ma non si è lasciata deviare dalle tante critiche e cattiverie ricevute.

“Conosco il valore delle sofferenze e credo che la ragione debba apprezzarle non appena riprende il controllo. Vedo nel mio passato e in quello di tutte le persone sensibili che ho conosciuto lacerazioni, terribili delusioni schiaccianti, ore di vera agonia. Ma questo è anche dovuto alla violenza della giovinezza. È tipico della giovinezza voler afferrare e fermare un sogno di felicità. Se vi rinunciasse facilmente, se non lo perseguisse con durezza, se all’indomani di una catastrofe non si rialzasse dalla disperazione con una nuova sicurezza, se non vivesse di chimere, di fede ardente di entusiastica abnegazione, di amaro sdegno, di calda indignazione, in una parola di tutte le depressioni, di tutti gli slanci della volontà, non sarebbe la giovinezza”

Amore per il mondo

La sua condizione le ha fatto provare il bisogno di solitudine, il disprezzo per tutto ciò che non era verità e tuttavia è interessante rilevare come la ricerca di un proprio posto nel mondo non le avesse consentito di perderlo quel mondo. Anche nei momenti peggiori George Sand ha continuato a meditare sul destino dell’umanità che la era intorno, contribuendo in tanti modi allo sviluppo di quei pensieri che sostennero il socialismo umanitario di Pierre Leroux, che seguì con interesse, e fu vicina al politico repubblicano Michel de Bourges, la cui filosofia può riassumersi nel motto: “Non merita tanta sollecitudine una sola creatura, ma tutte insieme la esigono in nome dell’Eterno creatore”. Tali ideali continuò a elaborarli e a immaginarli anche quando le condizioni politiche la relegarono ai margini della storia.

Il suo essere donna dalla conquistata femminilità l’ha avvicinata più facilmente al mondo maschile, poche sono le figure femminili che hanno conquistato la sua amicizia:

“... la donna, in genere, è un essere nervoso e inquieto che riesce a comunicarmi mio malgrado il suo eterno turbamento per ogni piccola cosa. Comincio ad ascoltarla titubante, poi mi lascio vincere da un naturale

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interesse per accorgermi alla fine che in tutte le sue reali preoccupazioni che mi racconta non c’è niente per cui valga la pena di agitarsi. Tale fragilità è il risultato di un’educazione incompleta, ma anche se questa educazione lo fosse meno, resterebbe sempre alla donna una specie di eccitazione morbosa propria di questo sesso e ne è il tormento quando eccezionalmente non ne diventa il fascino”.

L’incontro con Frédéric Chopin

La donna Aurore, divenuta George, scrittrice, figura al centro del vortice culturale che impose Parigi al centro del dibattito culturale della metà dell’800, nel 1838 incontrò il musicista Frédéric Chopin, lei aveva trentaquattro anni, lui ventotto. Molti hanno scritto su questa relazione, hanno cercato di costringere la bizzarria di questo incontro nel luogo comune dell’attrazione di due polarità inverse, lei ostentatamente maschile, lui fascinosamente femminile, allontanandosi dalla vera comprensione dell’essenza del maschile e del femminile.

I diversi dettagli sui loro primi incontri e le congetture più ardite e fantasiose sui reciproci sentimenti, non riescono a restituirci i complessi sentimenti che li ha animati, si può però sentire che i due devono essere stati attraversati da sentimenti contrastanti, affascinati e insieme diffidenti, forse trascinati da una forza inconoscibile che li ha avvicinati loro malgrado. Teatro dei loro primi incontri sono stati i diversi salotti parigini nei quali la loro presenza evidentemente doveva solleticare l’immaginario annoiato dei non pochi curiosi che li frequentavano. Ma la sostanza del loro incontro si rese evidente nella famosa permanenza nell’isola di Maiorca e di cui George scriverà nel libro “Un hiver a Majorque”, che li trattenne lontani dai salotti parigini per diversi mesi.

Maiorca

Il soggiorno era stato pianificato dalla George Sand per favorire la guarigione del figlio Maurice, sofferente di una particolare forma di reumatismi, ma evidentemente attrasse anche il pianista, chissà, sperando o illudendosi di poter guarire la nostalgia dolente per la sua amata patria, quella nostalgia che lo costringeva a un respiro incerto, forse a una qualche forma di tisi.

La scrittrice accolse il promettente entusiasmo che il musicista sembrava esprimere, ascoltò coloro che in questo viaggio vedevano una guarigione, se non del corpo, almeno di quell’animo sofferente e cercò di allontanare i suoi timori. Infatti, sapeva che Frédéric non amava i cambiamenti, come tutti quelli che ne hanno subiti senza poterne gioire, sapeva che Parigi, il suo medico personale, la gente che gli ruotava intorno affascinata, il suo appartamento e soprattutto il suo pianoforte gli erano indispensabili per alleviare i suoi dolori, ma le sembrò davvero cambiato, disponibile a tutto pur di starle vicino e di sperare di stare meglio e si illuse. Per il musicista polacco, stare con George era un po’ una possibilità di dileguare quella notte che continuamente oscurava il suo animo, diceva infatti, richiamando nel nome di battesimo della scrittrice la luce che prelude al nuovo giorno: “Aurore, con te la notte è sparita”

Maiorca per un poco concesse al piccolo Maurice, all’inquieta Solange, a George e incredibilmente anche a Frédéric, quanto

aveva promesso, un paesaggio incantevole, dolce, il cui clima sembrava influire beneficamente su ognuno di loro, ma nel giro di poche settimane l’inverno, nonostante la latitudine, si fece sentire prepotentemente. Chopin ne soffrì subito, ne patì l’animo e soprattutto il corpo che tremava, sussultava per la tosse, la sua malattia riemerse insospettendo la popolazione locale ignorante, superstiziosa e diffidente che li costrinse a cambiare dimora per non essere contagiata. Da quel momento, nella nuova residenza presso la Certosa di Valldemosa, la Sand dovette tenere in equilibrio il benessere dei figli coinvolgendoli con la sua innata vitalità e allo stesso tempo doveva rassicurare e curare il musicista sofferente, rinunciando al suo stesso benessere.

Cercava insieme ai figli di contagiarlo con la loro allegria e qualche volta ci riusciva, lo trascinavano in lunghe passeggiate che lo rigeneravano, poi l’ispirazione di una melodia lo coglieva improvvisamente ed era costretto a rientrare per fissare quella voce dello spirito, e quel lavoro lo tormentava fino a quando quell’alito di sovrannaturale non riusciva a chiarirsi sulla pagina. Come quando, avendolo lasciato solo, al ritorno da una passeggiata lo ritrovarono sconvolto dalla sua immaginazione che nutrita dal rumore della pioggia incessante, aveva evocato i più spaventosi spettri spingendolo così a tenere a bada il suo cuore suonando e componendo qualcosa che traducendo quell’atmosfera che lo tormentava, la sublimava in una musica inaudita.

“La sua composizione di quella sera era certamente piena delle gocce di pioggia che risuonavano sulle tegole sonore della certosa, ma si erano trasformate nella sua immaginazione e nel suo canto in lacrime che cadevano dal cielo sul suo cuore”.

Chopin aveva iniziato la cara George Sand al segreto della sua ispirazione e lei sapeva di conoscerlo, di capirlo forse più di quanto lui stesso potesse, sapeva anche quanto la sua musica fosse in anticipo sui suoi tempi e si rimproverava per la sua comprensione, perché se fosse stata un giudice meno coinvolto dai sentimenti, lo avrebbe costretto ad essere comprensibile a tutti. Anche in mezzo alle sue agitazioni, quel santuario fu sommerso dalla poesia della sua musica.

Tra Parigi e Nohant

Il ritorno pose non pochi dilemmi alla scrittrice, non voleva che la tenera amicizia che il musicista le ispirava la distogliesse dall’impegno verso i suoi figli e verso cui poteva esprimere il sincero amore materno, l’unico sentimento che sentiva con passione. La loro relazione trovò un suo equilibrio, di giorno madre e pronta ad essere vicina a Chopin, di notte scrittrice.

“Chopin mi onorava di un genere di amicizia che era eccezionale nella sua vita, forse perché aveva poche illusioni sul mio conto, perché non mi toglieva mai la sua stima: questo contribuì a far durare a lungo l’armonia fra noi”.

La loro storia non aveva niente di romanzesco: era semplice eppure profonda, lei accettava l’uomo e l’artista per quello che era, senza cercare di modificarne la personalità. Chopin amava le piacevolezze della vita salottiera e cittadina di Parigi che conduceva in inverno quando era impegnato con il suo lavoro, tra lezioni e concerti, e sosteneva con fatica i soggiorni nella residenza di Nohant, in campagna,

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dove poteva comporre in assoluta, ma insopportabile pace. Dell’amore verso George Sand aveva un bisogno profondo, ma non era esclusivo negli affetti, in una serata sembrava amare appassionatamente più donne andandosene poi da solo a fine serata. Così anche con gli amici, entusiasmandosi e disgustandosi con la stessa passionalità. Ad esempio, una volta si innamorò di una giovane parigina e sembrava essere prossimo al matrimonio, andava tutto per il meglio sennonché nel corso di una visita insieme ad un altro musicista, la ragazza offrì la sedia perché si sedesse prima all’ospite e solo appena dopo al futuro sposo: l’indelicatezza fu sufficiente per rompere il fidanzamento e per non rivederla più.

“Non accettava niente della realtà, questo era il suo vizio e la sua virtù, la sua grandezza e la sua miseria. Implacabile verso la minima macchia, aveva un immenso entusiasmo per la minima luce, che la sua immaginazione esaltata cercava in tutti i modi di far diventare un sole”.

“Anche la natura ha i suoi capricci, le sue misteriose incoerenze che l’arte per incapacità nel riprodurle corregge. Chopin era un concentrato di queste incoerenze che solo Dio può permettersi di creare. Era modesto per principio

e dolce per abitudine, ma era autoritario per istinto e pieno di un legittimo e inconsapevole orgoglio”.

Il destino reclama la sua parte

La loro storia si interruppe bruscamente, per un’inezia, un fatto di poco conto che non vale la pena raccontare. Conta invece che entrambi dovettero cedere alla necessità del destino, quello che li unì e che dopo otto anni impose loro la separazione definitiva. Si rividero un istante qualche tempo dopo e poi mai più. Pare che lui l’avesse rimpianta, amata come un figlio fino alla fine dei suoi giorni e che lei attendesse un qualsiasi segno per accorrere verso l’amato, ma tacquero entrambi, così come coloro che erano loro vicini e che sapevano il loro dolore.

“Non credo che le cose possano risolversi in questo mondo. Forse qui iniziano soltanto, e certamente non finiscono”.

Era il 1847, due anni dopo Chopin lasciò questa terra, mentre George Sand visse fino al 1876, scrisse molto, i suoi libri dall’ispirazione più popolare e diversi lavori teatrali.

NOTE

1 - Appunti per la serata narrazione all’interno dell’incontro “L’immagine come incontro tra maschile e femminile”, promosso dal Gruppo Ricerca e Formazione Permanente. A cura del maestro Valerio Falcone, con interventi del maestro Juri Lanzini al pianoforte - Scuola Steiner Novalis di Conegliano - 5 febbraio 2022

2 - La narrazione è stata basata sul testo autobiografico: G. Sand. Storia della mia vita. La Tartaruga Edizioni, 1981, Milano

PER APPROFONDIMENTI

Luc Vandecasteele. Vita e opera di George Sand. Antroposofia, N°6, 2004, pp 50-64; Antroposofia N°1, 2005, pp 23-36.

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[fig. 1.] [fig. 2.] [fig. 3.]
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Da Ferenc Liszt, il pianista, compositore e diretto d’orchestra, autore di vari saggi musicali e filosofici, spirito eccelso vissuto nell’Ottocento (1811 Doborján -1886 Bayreuth), pervengono delle descrizioni molto interessanti e significative sulla musica in generale e sulla musica sacra, sul rapporto tra musica e spiritualità.

Come lui stesso si definiva, “metà francescano, metà zingaro” (“Zur Hälfte Franziskaner, zur Hälfte Zigeuner”), alludendo al suo stile di vita parecchio ‘nomade’ e alle poche pretese che esso comportava, il “misero francescano” aveva un stretto legame con il pensiero francescano, mantenuto fin da bambino grazie alle visite nei monasteri e alle eredità e conoscenze familiari; la figura di San Francesco d’Assisi era “per lui non era soltanto un modello ammirevole in molte situazioni di vita, ma il modello secondo cui Liszt viveva”. Arrivò a diventare confratello dell’ordine francescano di Pest. Il suo profondo amore verso i santi francescani si rispecchia anche in certe sue composizioni musicali (Cantico del Sol di San Fracesco d’Assisi; Due leggende 1. San Francesco d’Assisi che predica agli uccelli, 2. San Francesco da Paola che cammina sulle onde; La leggenda di Santa Elisabetta).

Di questo forte legame vennero a conoscenza anche i suoi cari, che lo conoscevano meglio: così un gesto di Richard Wagner (suo carissimo amico e più tardi genero) considerando anche le circostanze dell’evento, si riveste di una valenza se vogliamo, simbolica. Si tratta del Natale del 1882, l’ultimo per Wagner, e che Liszt passa con Cosima, Wagner e i loro figli a Venezia, dove la famiglia Wagner soggiorna nel Palazzo Vendramin, arrivati a settembre dopo la prima assoluta del ‘dramma sacro’ di Wagner, il Parsifal; Liszt lascia Venezia a metà gennaio 1883, Wagner muore nel mese seguente, il 13 febbraio. Fu quindi l’ultima volta che i due amici si vedevano in quella loro vita terrena.

Cosima, figlia di Liszt e moglie di Wagner, ricorda la scena con tanta commozione, come Liszt abbia girato in fretta Venezia, in caccia ai regali per tutti i suoi nipoti; a lui non venne regalato nulla, ad eccezione di un pensiero di Richard: un disegno raffigurante San Francesco d’Assisi che riceve le stimmate. Il disegno fu accompagnato dalla seguente poesiadedica scritta da Wagner per il suo Franz Liszt:

Nicht lässt sich Gott von Angesichte gleichen, Nicht an Gewalt, noch Weltenpracht und Glanz: Sieh’ dort des Wundenmales göttlich Zeichen, Durch das dem Herrn sich glich der heil’ge Franz: Noch so beredt, nicht mehr aus seinem Munde, Zur Welt spricht Gott aus seines Heil’gen Wunde.

La sensibilità e predisposizione al trascendente di Liszt purtroppo veniva spesso fraintesa dal suo pubblico, dai critici, dagli studiosi. Tutt’oggi, quella parte della sua esistenza viene molte volte tralasciata. Chiaramente, quelli che volevano (e vogliono) vedere in Liszt soltanto il prodigio virtuoso, il

Paganini diabolico del pianoforte, rimanevano perplessi davanti alla ‘conversione paolina’ dell’artista in abate. Voci maligne valutano questo passo come compiuto puramente per interessi legati alla carriera del compositore, con l’intento di finalizzare le riforme relative alla musica religiosa – un’opera che avrebbe potuto essere avvantaggiata con l’ingresso nella Chiesa e la frequentazione diretta della cerchia ecclesiastica del Vaticano. Oppure, un giudizio che sembra ancora più banale: l’abito francescano dell’abate Liszt gli offrirebbe una sorta via di fuga, un rifugio dalle donne e dai rumori della vita mondana, affinché egli possa comporre in modo del tutto tranquillo, finalmente. Oppure, si dice che questa idea sia nata per influsso della compagna cattolica Carolyn SaynWittgenstein. O, ancora, che Liszt, come figlio del suo tempo, semplicemente segue la “moda francescana”, imparata nei salotti romani e diffusa in certe cerchie di intellettuali, letterati ed artisti. Spiegazioni come queste, radicate per lo più nelle apparenze e che tralasciano gran parte dell’aspetto interiore con cui si vive la propria fede, certamente non ci possono portare lontano né ci lasciano oltrepassare la superficie della questione.

La profonda religiosità di entrambi i genitori viene trasmessa presto al figlio: il piccolo Ferenc è incantato dai suoni dell’organo e dal canto liturgico che sentiva durante le cerimonie in chiesa, a cui la famiglia partecipava. Nel suo primo settennio, la condizione di salute del bambino non si presentava stabile, soffriva spesso di “malattie misteriose”, con assalti di febbre che lo costringevano a fare qualche pausa negli suoi primi studi pianistici; le letture della madre, Anna Liszt, erano una vera cura per Ferenc: prima le fiabe dei fratelli Grimm, poi, su richiesta del piccolo malato, gli venivano raccontate storie di eroi, leggende, vite dei santi; altre volte, durante le ore di studio con il parroco del paese, iniziava a conoscere le storie della Sacra Scrittura, la vita e sofferenza di Cristo. Queste sue prime esperienze di racconti del periodo d’infanzia furono sicuramente decisive per tutta la sua vita.

La sua “ingenua fede da bambino” divenne sempre più disciplinata ed ordinata, anche per merito della tendenza regolativa della seconda compagna storica, la principessa Wittgenstein, ma non senza la predisposizione e l’anelito di Ferenc stesso: “La devozione cattolica della mia infanzia si è trasformata in un sentimento ordinato ed ordinatore, inutile dire che non sia avvenuto alcun cambiamento in me” - la dichiarazione di Liszt arriva da poco prima della sua scelta di entrare nella comunità religiosa.

Liszt adolescente scrive un diario nel 1827, una breve raccolta di alcuni pensieri propri e citazioni che poteva incontrare nelle sue attuali letture, dategli dal padre. Gli appunti del diario sono veramente rivelatori e testimoni di una maturità spirituale sorprendente. “Perché stai cercando quiete, dal momento che sei nato per la fatica? Preparati a soffrire, più che alla consolazione; a portare la croce, più che alla gioia!”. La citazione arriva dalla Imitatio Christi, attribuito al teologo e mistico Tommaso da Kempis (1380- 1471). L’opera fornisce dei precetti per una vita

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ricalcata sugli insegnamenti di Cristo. Accompagnando colui che cerca un personale sentiero spirituale, la lettura mira ad ispirare nel lettore meditazioni e dialoghi interiori. Un testo di profondi contenuti, che venne scritto in ambito monastico e che serve come una sorta di guida anche per gli stessi monaci. L’adolescente “Putzi” (come lo chiamava spesso suo padre), si sta quindi preparando a portare la sua croce.

Da quando diede il suo primo concerto a Vienna, il 1° dicembre 1822, a soli undici anni, incomincia un intenso periodo per il piccolo “Zizy” (un altro soprannome), l’enfant prodige, con un tournée di concerti e successi in tutta Europa. Dopodiché padre e figlio si sentono esausti (Ádám Liszt presto si ammalerà fatalmente) e si recano a passare l’estate in Boulogne-sur-Mer. Qui Liszt finalmente si riposa e si cura di nuovo con le letture: oltre all’Imitazione di Cristo, nel suo diario cita Tertulliano, scrittore cristiano del II-III. sec. d.C., i retori eccelsiastici Jacques-Bénigne Bossuet e Fénelon, il santo Alfonso Maria de’ Ligouri, Sant’Agostino, e certamente non possono mancare alcuni passi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento. “Dio mi vede, ed io come potrei peccare nella sua presenza? Che volessi piacere piuttosto all’uomo che a Dio?”, scrive Liszt. “Tutti i nostri pensieri non rivolti a Dio appartengono al regno della morte”, scrive citando Bossuet, il tutto marcato con sottolineatura. Il venerdì santo, 13 aprile 1827, si segna una sola frase, sottolineata: “Venerdì Santo – meditaci ed imitalo”

Capiamo che se un sedicenne si occupa di riflessioni di questo tipo, il suo avvicinamento alla fede e certe sue scelte di vita future non avvengono ad un tratto bensì sono frutti di una maturazione spirituale costante, il cui germe è fortemente radicato già nella prima infanzia, curato e cresciuto nel suo secondo e terzo settennio dopo. Un’esperienza che lo accompagna per tutta la sua vita terrena – ed anche oltre. Ascoltando la sua musica forse ne potremo cogliere di più.

E’ importante comprendere la natura che Liszt intuiva nel legame tra religione e musica. La sfera della religione, nel suo caso intrisa dalla dimensione spirituale, e la sfera della musica nell’immaginario e nell’esperienza di Liszt confluiscono in una sacra unione, senza contorni interni delimitati. Il sentimento di devozione può essere rinnovato continuamente nel flusso dei suoni. Nel primato del potenziale intrinseco della musica, quest’“arte infinita” capace di elevare gli uomini in sfere misteriose Liszt non perderà mai la fede. L’essenza della musica si intreccia con una vivida spiritualità nelle sue parole e metafore dedicate all’arte dei suoni, che per lui “per essenza” è religiosa, “e come l’anima umana, è naturalmente cristiana”, capace di unire il mondo terrestre e quello infinito divino.

La contessa Marie d’Agoult, prima compagna importante del pianista nonché madre dei suoi tre figli (ed amica della scrittrice George Sand) dipinge così il ritratto di un Liszt colto in un particolare momento di ispirazione: “[...] Un’ora prima del nostro arrivo a Ginevra, ha aperto la sua bocca. Quando l’immenso teatro della natura, qualche bell’armonia, o soprattutto la sacra Parola dell’amore lo commuovono fortemente e lo emozionano, si risveglia in lui lo “spirito”, e quello che finora si è nascosto segretamente nel profonde del suo cuore adesso sgorga come un diluvio bollente. Una volta l’ho comparato alla statua di Memnon: dalla sua anima scaturiscono similmente le voci divine, non appena i raggi dell’entusiasmo lo toccano,

ma come la statua, all’ombra delle cose terrene, anche la sua potenza si rivela impenetrabile e muta. Ogni volta che qualcosa lo commuove, si vede una fervente sofferenza in lui; parla, posseduto da un potere sconosciuto, che presta parole fiammeggianti alla sua bocca, parole che dopo né lui, né io siamo capaci di ricordare. E allora capisco, come potevano essere le sibille e i profeti di una volta. Oramai non sento più di essergli di pari grado, siccome lui è iniziato di cose che eccedono le mie conoscenze. E nel frattempo sento che mi attira e mi eleva a lui stesso – nell’infinito del suo amore.” Liszt stesso dichiarò una volta: “Credo nella mia anima eterna se sento l’eternità del mio amore”

Di seguito mi piacerebbe condividere alcuni suoi pensieri sulla musica; non sorprenderà che un genio dalle così ampie visioni, un vero artista come lui, abbia avuto delle sublimi intuizioni e conoscenze del mondo spirituale e dell’uno dei doni più immensi di quella realtà: la Musica. ***

La musica potrà avere un futuro solo quando gli artisti prenderanno a cuore le grandi verità espresse in maniera così giusta, così chiara e così bella; solo quando gli artisti si convinceranno che d’ora in poi gli sforzi della nostra arte dovranno essere rivolti allo studio del passato e dei suoi capolavori (questo però non significa imitare servilmente le forme che incessantemente si alternano e trascorrono con il mutare e il trascorrere del tempo); che da ora in poi per l’artista non sarà più sufficiente una formazione specifica, capacità e conoscenza unilaterali, poiché è tutta la persona che deve elevarsi e formarsi con il musicista dato che “Potenza e contenuto del suo spirito determinano il contenuto che egli fissa nella sua opera” […].

La musica, però, secondo la sua natura, non appartiene esclusivamente e assolutamente al campo del sentimento. Possiede più di un punto di contatto per armonizzarsi con gli interessi del pensiero. La musica vocale può farlo attraverso la scelta dei testi il cui senso raggiunge, attraverso di essa, un’espressione elevata; la musica strumentale lo può fare attraverso i programmi.

Dando rilievo ai singoli difetti e spiegando i singoli pregi non si caratterizza però ancora un grande artista […]. Riguardo ai suddetti compositori ci si continuerà a ingannare finché si insisterà sui propri punti di vista invece che porsi dal loro punto di vista, poiché solo in questo modo si può avere chiaramente davanti agli occhi l’ideale poetico di colui che crea, il suo successo e suoi errori nella ricerca di esso. Tutto quello che si può dire sui dettagli delle loro opere nona sarà mai esauriente né valido se si procede soltanto in una critica distruttiva senza tener conto del Tutto, dell’impressione globale, in una parola: senza tener conto dello spirito. Perfino le osservazioni più acute su parti singole considerate separatamente dal Tutto, perderanno la loro caratteristica di esattezza non appena queste parti separate, assorbite nel Tutto, acquisiranno una nuova fisionomia.

[…] nell’arte, come nel nostro contesto umano, dominano due principi. Uno – il corpo, la spoglia, la forma e il rivestimento – è soggeto al decadimento e fondamentalmente transeunte; l’altro – l’anima, il sentimento, la poesia, l’ideale – è perennemente

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giovane e porta in sé il diritto all’immortalità. La musica cambia i suoi stili come l’architettura; una forma soppianta l’altra a seconda di come la società cambi ideali e contenuto spirituale, di come modifichi le esigenze modificando i costumi. L’arte deve essere in accordo e in armonia con le nuove esigenze.

cielo dove gli angeli comandano amorevolmente e attraversa con loro, volando sul cocchio di Elia, le sfere dell’estasi?

Ma anche nell’arte, nel suo oscillare tra forme esaurite e sterili, che pur continuando a vegetare non riescono più a produrre nessun nuovo modello, e che di fronte all’avanzare del progresso diventano sempre più imperfette, si manifesta il dito di Dio […], cioè quel motore segreto, che agisce nascosto, che mantiene l’armonia tra i più diversi elementi e che consente, per mezzo del genio, il progredire attraverso il tempo e l’infinito. […] Se la musica possiede un vantaggio sugli altri mezzi e l’uomo attraverso di essa può riprodurre le impressioni dell’anima, la musica deve allora ringraziare, per questo suo vantaggio, la grandissima qualità che ha, di saper comunicare ogni intima emozione senza l’aiuto di forme razionali che sono altrettanto varie quanto però sono limitate […]. La musica invece dà contemporaneamente, al sentimento, forza ed espressione; è essenza spirituale incarnata, afferrabile. Percepibile dai nostri sensi, li penetra come una freccia, come la rugiada, come uno spirito: essa colma la nostra anima. Se la musica si definisce arte somma, se lo spiritualismo cristiano l’ha collocata nel mondo ultraterreno come unica arte degna del cielo, allora questa magnificenza si trova nelle pure fiamme del sentimento che s’intrecciano da cuore a cuore senza l’aiuto della riflessione. Essa è respiro da bocca a bocca, sangue che scorre nelle vene della vita!

[…] Il sentimento vive e riluce nella musica senza alcun rivestimento figurale […].Qui esso cessa di essere la causa, la fonte, l’impulso promotore […] per manifestarsi direttamente e nella sua interezza indescrivibile […], così come il Dio dei cristiani, dopo essersi fatto riconoscere dai suoi eletti attraverso segni e miracoli, si mostra ora a loro, attraverso la visione […]. Soltanto nella musica il sentimento […] abolisce il vincolo che opprime il nostro spirito con le sofferenze dell’impotenza terrena. […]

Il sentimento ci solleva sui flutti della musica che si innalzano squillanti e ci porta ad altezze che stanno oltre l’atmosfera della nostra sfera terrestre: qui esso ci mostra paesaggi di nuvole scintillanti con arcipelaghi di mondi che si muovono cantando nello spazio come cigni nell’etere. Sulle ali dell’arte infinita ci trascina in regioni nelle quali solo esso può penetrare, e in un’aria purificata il cuore si allarga e partecipa presago all’esistenza di una vita spirituale priva di corpo e di veli. Sì, ciò che […] ci disseta alle fonti mormoranti dell’incanto, ci avvolge in brividi di gioia e ci bagna con perle di rugiada e di nostalgia, […] che ci conduce ai ricordi che non si possono descrivere, quei ricordi che hanno circondato la nostra culla, che ci conduce a figure celestiali che abbiamo conosciuto e che in futuro ci abbracceranno di nuovo, ciò che ci cattura e nel turbinare impetuoso di tutte le passioni ci solleva al di sopra di queste e, sottraendoci al mondo, ci porta sulla riva di una vita più bella: tutto questo non è forse la musica, la musica animata dal primo scaturire di ogni sentimento […]? Quale altra arte dischiude ai suoi adepti una identica, deliziosa ebbrezza, pudicamente velata da un mistero impenetrabile e perciò tanto più preziosa e nobile? Quale altra arte mostra ai suoi servi il

NOTE

1 - I testi, talvolta integrati e cambiati, fanno parte del lavoro di studio svolto per la stesura della tesi triennale dell’autrice (Liszt francescano. Storia e analisi dell’oratorio “La leggenda di Santa Elisabetta”).

BIBLIOGRAFIA

· d’Agoult Marie, Boldog és boldogtalan éveim Liszt Ferenccel. Marie d’Agoult grófné emlékiratai, a cura di Miklós Molnár, Palatinus, Budapest 1999 (ed. franc. Mémoires, souvenirs et journaux de la comtesse d’Agoult, Mercure de France, Paris 1990)

· Guy de Pourtalès, La vie de Franz Liszt, Gallimard, Paris 1925, dalla traduzione ungherese di Viktor Lányi: Liszt Ferenc, Európa Könyvkiadó, Budapest 1957

· Liszt Ferenc, A tizenöt éves Liszt Ferenc naplója, trad. di Ernő Hárs, Borda Antikvárium, Zebegény 2011

· Liszt Ferenc, Un continuo progresso: Scritti sulla musica, scelta e prefazione di György Kroó, note di cura di Ildikó Czigány e Anna Maria Morazzoni, Ricordi Unicopli, Milano 1987

· Liszt Ferenc, Berlioz e la sua sinfonia “Harold en Italie”, in Id., Un continuo progresso, pp. 320-403

· Liszt Ferenc, Marx e il suo libro “La musica del XIX secolo e la sua pratica”, in Id., Un continuo progresso, pp. 404-432

· Nádor Tamás, Liszt Ferenc életének krónikája, Zeneműkiadó, Budapest 1977

· Wagner Cosima, Franz Liszt: Ein Gedenkblatt von seiner Tochter, Forgotten Books, London 2017 (ed. orig. F. Bruckmann, München 1911)

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Angeli musicanti del Beato Angelico

USiCanTi

Roberto Lupi, musicista antroposofo che insegnò composizione e armonia al Conservatorio di Luigi Cherubini di Firenze, è stato forse il primo musicista italiano a portare i fondamenti dell’antroposofia in ambito musicale. Egli dà della musica la seguente definizione: “Essa è un lembo di cielo strappato al cosmo e racchiuso nell’uomo affinché esso possa scorgere in sé i più grandi misteri della vita e dell’universo” 1. L’esperienza della musica riprendendo le sue parole è una manifestazione esteriore di qualcosa di interiore, di cosmico. Mi piacerebbe che la sua definizione della musica aleggiasse fra noi facendoci da sottofondo per tutta la conferenza.

Cos’è la musica, cos’è il suono…

Severino Boezio, filosofo romano che ha vissuto tra il V e il VI secolo dopo Cristo considerato all’epoca quasi un santo, scrisse un trattato di musica, De institutione musica, in cui divideva la musica in tre grandi principi, tre grandi categorie. La musica mundana, detta anche la musica delle sfere, che indaga i rapporti armonici dei mondi celesti, dei mondi spirituali, dello spirito, del suono creatore. Per i filosofi greci e i trattatisti medioevali questa era la vera musica e faceva parte del quadrivium delle scienze insieme alla geometria, all’aritmetica e all’astronomia. La musica humana, che indaga il rapporto tra l’anima dell’uomo e l’anima del mondo. E la musica instrumentalis, la musica dello strumento e dell’uomo, dell’espressione acustica e artistica del suono.

È interessante notare che Boezio è stato il primo trattatista a considerare le scale musicali dalla nota più bassa verso quella più alta. Nella musica greca la teoria musicale era sempre trattata con le scale che partivano dall’alto e scendevano verso il basso e solo con Boezio, nel V secolo, avviene questo ribaltamento che si produce anche nella coscienza. Non è più la musica a scendere dai cieli verso l’uomo ma adesso è l’uomo che deve sviluppare la musica in sé per vibrare insieme con l’universo. Ora, anche spazialmente le note vengono scritte dal basso verso l’alto.

La musica che ha accompagnato l’uomo nella sua discesa sulla terra è la musica del Logos. Non soltanto nella tradizione cristiana ma in tantissime altre culture la creazione è legata al suono visto come spirito creatore. Nella musica greca, il suono era chiamato anche “l’anima del mondo”. Da questo logos creatore si è passati all’anima del mondo, a qualcosa più vicina a noi uomini. Più tardi, invece, nel Medioevo la musica è stata definita “vento divino”; più percepibile come forza

si è avvicinata ai sensi. Oggi la musica viene definita come “vibrazione acustica”.

Nel vocabolario internazionale di elettroacustica, la compilazione del quale ha richiesto la collaborazione di autorevoli specialisti dei vari rami dell’acustica, della fisica, della psicologia e della musica di ogni parte del mondo è riportata la seguente definizione di suono: “Sensazione uditiva determinata da vibrazioni acustiche”. La collaborazione di studiosi e specialisti di tutto il mondo, quindi, ha prodotto una definizione concettualmente affascinante ma che suona però molto materiale. Il suono, è ormai chiaro, è stato misurato e pesato. Il suono oggi è considerato come materia…

Il nostro compito, dunque, è trasformare la materia e per poterlo fare dobbiamo sapere che cos’è un suono, è giusto nella nostra epoca partire dalla materia.

Quando noi facciamo o ascoltiamo un suono ci rendiamo conto che arriva da una qualche parte. Quando iniziamo a creare un suono dobbiamo accoglierlo, esso arriva da dietro; la vibrazione ancora non esiste, segue poi l’evento fisico della produzione del suono e, dopo, il suo movimento si dirige verso gli altri suoni, che non ci sono ma che verranno… Si verifica proprio un movimento dal passato al presente e al futuro. Movimento che è legato, come ci suggerisce Steiner, al pensare che viene da qualcosa che avevamo e che ci guida, al sentire che ci porta a qualcosa del presente e alla volontà che va verso il futuro.

Il suono, poi, ha un’altezza, una durata e un’intensità. Quando si percepisce un suono, altezza, durata e intensità vivono animicamente nell’uomo. L’altezza di un suono deve essere sempre pensata prima. Possiamo dire che l’anima umana percepisce l’altezza di un suono, medio, grave, acuto nelle più piccole sfumature attraverso il pensare. Se devo suonare o cantare devo sempre avere prima in testa il suono che mi accingo a fare. La durata di un suono possiamo immaginarla legata all’aspetto del sentire. Se suono un piccolo pezzo, anche due note, di una certa durata e poi le torno a suonare con una durata differente mi rendo immediatamente conto che nel nostro sentire è cambiato qualcosa. Nell’intensità, nella forza di un suono, in tutte le sfumature dal piano al forte, dal diminuendo al crescendo, si esprime, invece, più l’aspetto della volontà perché per produrre un suono piano deve essere messa in moto tutta la mia volontà; tutta la mia concentrazione viene richiamata. Anche in questi tre aspetti del suono, cioè l’altezza, la durata e l’intensità, ritroviamo dunque le stesse caratteristiche dell’anima legate al pensare, al sentire e al

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USiCa, Un SOSTeGnO Per la viTa dell’UOmO. i bambini m

volere.

Il suono ha anche un timbro, ma il timbro è più individuale, è il suono specifico di uno strumento o di un qualsiasi oggetto che si mette in vibrazione. È la caratteristica, l’essenza, è l’anima di quella cosa. Il timbro, con un’immagine di Lupi, è “l’angelicità del suono nella nostra interiorità”.

È interessante notare che nella storia della musica si possa leggere anche una storia delle dinamiche dei suoni, del forte e del piano. Nella musica romantica abbiamo visto la massima espressione dei colori, delle dinamiche. Le parti scritte di quei brani musicali sono piene di annotazioni che specificavano come i compositori volevano che venissero eseguite, c’era una coscienza diversa che richiedeva forza e sfumature diverse. Nella musica barocca non c’erano quasi indicazioni. Era espresso un contrasto, bianco e nero, forte e piano, ed era l’esecutore a metterci del proprio. Mentre nella musica rinascimentale e gregoriana, poi, tutto era ancora più sospeso, non vi erano crescendo e diminuendo, e il forte e il piano erano resi dal numero di strumenti che suonavano. Lo stesso è accaduto nel passaggio dal clavicembalo al pianoforte. Il pianoforte si chiama così proprio perché il clavicembalo molto difficilmente poteva avere un crescendo, un forte o un piano. È stato costruito il pianoforte proprio per permettere agli strumenti a tastiera di avere delle dinamiche. E questo non è avvenuto nell’Antichità, ma solo nel 1700.

Se volessimo fare una serenata sotto la finestra di una bella fanciulla, con quale strumento ci potremmo fare accompagnare?… Un violino, un mandolino, una chitarra, un’arpa, che sicuramente è un po’ più difficile da trasportare, sono strumenti con sonorità che potrebbero essere adatte. Difficilmente si potrebbe utilizzare un trombone per fare una serenata. Se invece volessimo creare un suono forte che possa addirittura distruggere le mura di una città o spronare alla battaglia, che strumento dovrei usare?… Un corno, una tromba, un trombone… non certo un’arpa. Difficilmente l’arpa avrebbe questa forza e, del resto, un violino sarebbe poco adatto a far marciare un esercito. Si suoneranno dei tamburi. Si può a questo punto iniziare a differenziare gli strumenti rispetto all’uomo: con la tromba si agirà nell’uomo della volontà, della forza, dell’incitamento. Le trombe sono anche usate per annunciare qualcosa che dovrà accadere, sono le sette trombe dell’Apocalisse, sono le trombe del Giudizio universale che proiettano verso il futuro, ma sono anche quelle che ci possono portare a maggior coscienza la nostra volontà. Muovono un esercito alla battaglia, non alla marcia. Un tamburo muove alla marcia lavorando nella volontà inconscia mentre la tromba lavora nella volontà conscia. Una prima classificazione molto generale può far collocare nella sfera della volontà ottoni e percussioni, nella sfera del sentire e del sistema ritmico dell’uomo le corde, nella sfera del pensare gli strumenti melodici, legni a fiato, come l’oboe che porta qualcosa che viene da lontano, la melodia. Non è possibile produrre un’armonia con uno strumento a fiato, neanche cantare si può con uno strumento a fiato. Si può, invece, ricordare, portare l’elemento della melodia. Tutta l’esperienza dell’elemento musicale avviene nella nostra zona centrale del sistema ritmico del sentire. Se questo sentire viene poi portato verso il capo si trasforma in melodia, in melos, se viene portato verso le membra viene trasformato

in movimento, in ritmo, in volontà. Se vive nel centro, infine, prende corpo tutto l’aspetto armonico musicale, la simultaneità. Cambia l’atmosfera, ma armonia, melodia e ritmo sono uno dentro l’altro. Steiner ci dice che appena si porta l’armonia verso il pensare si fa sì che i pensieri siano compenetrati di amore e se l’elemento armonico compenetra le membra le mie azioni sono compenetrate di amore. Questo è l’uomo musicale

Come si scelgono gli strumenti per i bambini

Il percorso per arrivare alla scelta dello strumento comincia in terza classe, quando i maestri dei vari strumenti li vengono a presentare. È l’anno che didatticamente coincide con lo studio dell’Antico Testamento, con le immagini della creazione, ma anche con la presentazione e lo studio dei mestieri. È abbastanza evidente che nello studio dello strumento l’importante aspetto dell’artigianato sia da intendersi come un vero e proprio mestiere. In terza classe ci troviamo anche al nono anno del bambino, un anno in cui è molto importante avere uno strumento per sostenere l’individualità che si sta incarnando sempre più. Infatti, armonizzando e rafforzando il sentire, lo strumento scelto può aiutare ad affrontare i momenti di debolezza e di paura propri di questa età del bambino. Lo strumento, inoltre, porta in breve tempo il bambino a poter manifestare qualcosa di sé e quindi in questo senso a rafforzarlo.

Quando presentiamo gli strumenti, la prima cosa che chiedo ai maestri di strumento è di suonare un paio di musiche tipiche del loro strumento. Ed è proprio bello, quando per esempio i bambini ascoltano l’arpa, vederli restare estasiati, presi da questi suoni. Qualsiasi sia lo strumento che presentiamo loro, sono sempre lì a bocca aperta ad ascoltare. Quando ascoltano suonare il clarinetto, interiormente i bambini si muovono in un certo modo, mentre l’arpa li fa muovere in un altro. Quando suona la tromba vorrebbero alzarsi e correre, ma invece restano lì ad ascoltare con grandissima intensità. Questo accade perché la musica, anche soltanto ascoltata, è movimento, movimento interiore. Dopo averli ascoltati e presentati, i bambini provano a suonare. In questa fase mi limito a prendere dei semplici appunti sul modo con cui il bambino ha preso contatto con lo strumento, su come lo ha tenuto in mano. Non mi appunto solo il suono che hanno prodotto, perché quello è relativo, ma il modo, il gesto.

Passate alcune settimane dopo la presentazione di tutti gli strumenti, chiamo ogni bambino individualmente e gli domando cosa li ha colpiti. È difficile fare questa domanda perché non gli si può chiedere semplicemente: “Quale strumento ti è piaciuto di più?” Non si tratta di un gusto del gelato! Dobbiamo cercare di capire più sottilmente quale relazione il bambino ha con quel timbro specifico. Non abbiamo ancora parlato del timbro. Esso è l’essenza, l’anima dello strumento. Il timbro è l’insieme della vibrazione delle corde, della cassa e di chi lo suona. È l’insieme di tutti gli armonici, quelli che suonano di più e quelli che suonano di meno. Il timbro è l’individualità dello strumento ed è fondamentale cercare di cogliere come il bambino vibra insieme a questa individualità, che relazione ne nasce. Se si riesce a cogliere questo, allora non ci sono dubbi riguardo al capire se si tratta dello strumento adatto per lui, ma se lo si coglie è chiaro che lo coglie anche il bambino. Perché se il

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tutto risuona come dovrebbe sarà il bambino stesso a venirmi a dire: “Maestro, voglio suonare quello strumento”. Ciò accade perché è avvenuto questo incontro, un incontro di destino. Si può parlare di un incontro karmico perché spesso è per tutta la vita o comunque sarà un’esperienza fondamentale soprattutto se negli anni il bambino continuerà a suonare o diventerà un professionista.

Non è sempre facile arrivare a questa scelta perché non tutti i bambini della classe hanno risolto la crisi del nono anno e quindi magari sono ancora molto sognanti. Sono quei bambini che dicono: “A me gli strumenti sono piaciuti tutti, maestro”. Rispondo: “Certo, sono tutti belli, anche a me piacciono tutti”. Oppure: “Va beh, non ti preoccupare, quando vedrai che qualche cosa dello strumento ti ha colpito me lo verrai a dire”. Magari, poi, ogni tanto gli faccio qualche domanda. Ci sono, invece, alcuni bambini che già prima di presentare gli strumenti mi dicono: “Maestro, puoi presentarmi tutti gli strumenti che vuoi, ma io voglio suonare il violino”. E io gli dico: “Va bene, ascoltali tutti, poi ci pensiamo”. Spesso si tratta comunque di quei bambini che poi non cambieranno idea. E questo succede proprio perché questo incontro con lo strumento è già avvenuto. Noi lo proponiamo a scuola ma può avvenire in tanti altri modi. Ci sono poi anche bambini affascinati da due strumenti, bambini che non riescono a decidersi. Dell’arpa apprezzano come si pizzica, del flauto la leggerezza e la bellezza. Per loro è più difficile. A questi dico: “Beh, aspettiamo un po’, poi vedrai qualcosa succederà”, e in effetti per fortuna quasi sempre accade (qualcosa). Con qualche bambino ho dovuto anche aspettare uno o due anni, ma è chiaro che non devono per forza suonare subito uno strumento, proprio perché è importante che questa scelta sorga una volta che nel bambino è avvenuto questo incontro. Anche se hanno aspettato un anno o due, quando poi decidono qual è il loro strumento fanno immediatamente dei passi da gigante, mentre magari altri che hanno scelto lo stesso strumento due anni prima sono ancora lì che arrancano. Un’altra cosa importante è che non dovrebbero esserci condizionamenti, perché se il bambino è condizionato dalla televisione e dalla radio, possiamo essere certi che non è avvenuto tanto un incontro quanto è prevalsa l’immagine del chitarrista rock o del batterista. Può essere anche che siano attirati dallo strumento che suona il nonno o hanno a casa lo strumento del papà e quindi hanno già iniziato a suonare quello. Questo condiziona abbastanza anche se qualche volta anche quello può essere un incontro di destino. Non è che (l’incontro) per forza debba avvenire a scuola. Magari quello strumento è rimasto appeso alla parete per vent’anni, nessuno lo ha mai suonato, arriva il bambino ed è l’unico che lo nota. È però importante che non ci siano condizionamenti come avviene quando un genitore dice: “Tu devi suonare il pianoforte”, “è così perché l’ha suonato tuo nonno”, o “perché in famiglia si è sempre suonato il violino”.

Tolti questi condizionamenti esterni bisogna che il bambino, come detto, colga l’essenza dello strumento.

La scelta dello strumento può derivare come abbiamo visto dal desiderio che nasce da un motivo, da un anelito profondo verso un timbro, una forma. In questo caso, se il desiderio è puro, intimo, lo assecondo. La scelta può esser fatta tenendo conto del talento, ed è chiaro che se un bambino ha il talento per suonare il violino difficilmente sceglierà l’arpa. Infine, la scelta

può essere indicata da un aspetto terapeutico, pedagogico. Questa è la sfumatura più sottile e delicata perché la scelta di uno strumento che sia terapeutico necessita da parte mia un lavoro molto particolare attraverso il quale valuto il bambino e, per prima cosa, cerco di capire se è il caso che io lo indirizzi e, ancor di più, se posso farlo. L’intervento però avviene in un altro ambito. Devo aggiungere che nella nostra scuola se il bambino ha trovato uno strumento che gli risuona quello per lui sarà comunque anche terapeutico. Ho visto bambini che sceglievano lo strumento vicino al loro carattere, al loro temperamento e quindi lo sceglievano in maniera omeopatica, mentre altri sceglievano l’opposto, lo strumento più lontano da loro, dalle loro caratteristiche, quindi in modo allopatico. Ed è giusto così. Non dobbiamo lavorare per schemi e proporre al bambino sanguinico lo strumento sanguinico, che gli corrisponde e che lo curerà, perché alcune sfumature dei temperamenti individuali hanno invece bisogno dell’opposto per determinare una scelta dello strumento davvero terapeutica. Non tutti abbiamo bisogno dell’omeopatia, abbiamo bisogno anche dell’allopatia. Se l’hanno desiderato, se ha vibrato insieme a lui, quello strumento è adatto a lui. Il maestro non deve dire al bambino: “Tu devi suonare questo strumento perché ti farà bene”. Deve essere il bambino a portarlo al maestro, a portagli quel vibrare. Il maestro deve soltanto riuscire a leggere questa indicazione che arriva dal bambino. Poi lui farà da sé. Si può consigliarlo, si possono aspettare tempi migliori, ma non si deve condizionarlo.

Angeli musicanti

Roberto Lupi faceva osservare che tra le gerarchie celesti sono sempre gli angeli a essere raffigurati musicanti, in tutte le iconografie non troviamo arcangeli o altre gerarchie mentre suonano o imbracciano strumenti musicali. Come mai gli angeli? Perché l’angelo è l’essere spirituale più vicino all’uomo, quello che ha sempre fatto da tramite tra il divino e l’uomo: è l’angelo che ferma Abramo, è un angelo che annuncia il Messia ai pastori, è l’angelo che avverte i re magi. Gli angeli sono legati alla nostra vita immaginativa. Ogni angelo, in ogni uomo individualmente e poi insieme, coopera a formare di continuo delle immagini nel corpo astrale dell’uomo. Queste racchiudono delle forze operanti in vista dell’evoluzione futura dell’umanità. Gli angeli operano per una configurazione sociale della vita umana sulla terra. Con le loro forze musicali, che parlano direttamente al nostro corpo astrale, formano e tessono immagini per cui in futuro nessun uomo possa tranquillamente godere alcuna felicità se altri vicino a lui sono infelici.

Questo si riflette nella grande potenza sociale della musica. Sorgono sempre più spesso iniziative sociali di grande livello nel mondo basti pensare alle orchestre infantili in Venezuela dove centinaia di bambini di strada vengono salvati dalla musica, dagli angeli; oppure (alla West-Eastern Divan Orchestra), l’orchestra fondata da Barenboim composta da giovani Israeliani e Palestinesi.

L’angelo è spesso rappresentato con uno strumento musicale proprio perché questo passaggio della musica viene realizzato solo in minima parte durante il giorno, in grandissima parte viene realizzato durante la notte.

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Quando noi ci addormentiamo, andiamo in un mondo prima di colori e poi di suoni e veniamo compenetrati di tutti questi suoni. Ognuno di noi, anche se non musicista, è compenetrato di suoni quando dorme. Un musicista ha la fortuna di vivere con questi suoni anche durante tutto il giorno, ma solo i grandi musicisti riescono a portare sulla terra l’eco di quei suoni celesti attraverso l’espediente materiale dello strumento musicale, della composizione. È come se il musicista fosse in grado di “materializzare” quello che noi tutti percepiamo in quella che Steiner dice essere la nostra “vera patria” 2, che è quella del suono. Per esempio, Mozart, Schubert, Beethoven, Bruckner, componevano la mattina appena alzati. Schubert dormiva con gli occhiali così appena apriva gli occhi poteva scrivere con una matita su un pezzo di carta, brutto perché non aveva i soldi per comprare la carta, infatti spesso gliela regalavano i suoi amici. Per Mozart era lo stesso: si alzava alle 5 o alle 6 del mattino e componeva fino alle 10, poi non componeva più, suonava, studiava, trascriveva le idee che gli erano venute al mattino. Questi musicisti riportavano o tentavano di riportare la musica che avevano appena udito nella notte.

Quindi, tutti noi siamo musicisti, tutti noi abbiamo questa musica che ci risuona, poi se abbiamo anche la fortuna di suonare uno strumento, possiamo, vincendo le forze della volontà, riuscire a trasformare questo istinto in musica, quindi a donare agli altri esseri umani questa musica del cosmo. Gli angeli che ci circondano portano all’uomo di oggi determinate immagini che dobbiamo sviluppare sempre più nella nostra coscienza.

La musica è un elemento che attraverso il suonare umano e il

risuonare del mondo può portare l’uomo a un risveglio, essa se coltivata nel giusto modo è un sostegno per la vita.

NOTE

1 - Roberto Lupi, Il libro segreto di un musicista, Nardini Editore, Firenze, 1972;

2 - Rudolf Steiner, L’essenza della musica e l’esperienza del suono nell’uomo, Editrice Antroposofica, Milano, 2014, p. 13;

“Ogni mattina ci si sveglia provenendo dal mondo della musica delle sfere, e dalla regione della pienezza sonora si entra nel mondo fisico. Se è vero che tra due incarnazioni l’anima è nel devacian, si può anche dire che durante la notte essa nuota e vive nel fluttuante suono come nell’elemento dal quale è in effetti intessuta, e che è la sua vera patria.”

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Angeli musicanti del Beato Angelico

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Fern in Osten wird es helle, Graue Zeiten werden jung; Aus der lichten Farbenquelle, Einen langen tiefen Trunk! Alter Sehnsucht heilige Gewährung, Süße Lieb’ in göttlicher Verklärung.

Endlich kommt zur Erde nieder Aller Himmel sel’ges Kind, Schaffend im Gesang weht wieder Um die Erde Lebenswind, Weht zu neuen ewig lichten Flammen Längst verstiebte Funken hier zusammen.

Überall entspringt aus Grüften

Neues Leben, neues Blut, Ew’gen Frieden uns zu stiften, Taucht er in die Lebensfluth; Steht mit vollen Händen in der Mitte Liebevoll gewärtig jeder Bitte.

Lasse seine milden Blicke Tief in deine Seele gehn, Und von seinem ewgen Glücke Sollst du dich ergriffen sehn. Alle Herzen, Geister und die Sinnen Werden einen neuen Tanz beginnen.

Greife dreist nach seinen Händen, Präge dir sein Antlitz ein, Mußt dich immer nach ihm wenden, Blüthe nach dem Sonnenschein; Wirst du nur das ganze Herz ihm zeigen, Bleibt er wie ein treues Weib dir eigen.

Unser ist sie nun geworden, Gottheit, die uns oft erschreckt, Hat im Süden und im Norden Himmelskeime rasch geweckt, Und so laßt im vollen Gottesgarten Treu uns jede Knosp’ und Blüthe warten.

Lontano a Oriente si fa chiaro, tempi grigi si fanno giovani; quale profondo e lungo abbeverarsi alla luminosa fonte dei colori! Santo esaudirsi di antica nostalgia, dolce amore in divina apoteosi!

Finalmente il beato fanciullo di tutti i cieli scende sulla terra, e col suo canto soffia di nuovo sul mondo un creatore vento di vita, per nuove fiamme lucenti in eterno aduna scintille da tempo disperse.

Scaturisce dovunque dai sepolcri nuova vita e nuovo sangue; per edificarci una pace eterna s’immerge nell’onda della vita; sta nel mezzo con le mani colme, pieno d’amore attende ogni preghiera.

Lasci che il suo mite sguardo ti penetri in fondo all’anima, e vedrai come ti illumina la sua eterna beatitudine. Tutti i cuori, gli spiriti e i sensi daranno inizio a una nuova danza.

Senza timore afferra le sue mani e il suo volto imprimi in te, devi sempre rivolgerti a lui come un fiore al raggio del sole; ed egli sarà tuo, come una sposa fedele, se gli mostri tutto il cuore.

Ora infine la divinità che spesso ci ha spaventati, è divenuta nostra, nel Sud e nel Nord ha risvegliato come in un lampo germogli di cielo. Nel ricco giardino di Dio, noi fedeli curiamo che sbocci ogni gemma, ogni fiore.

Novalis, Inni alla notte. Canti spirituali (Hymnen an die Nacht. Geistliche Lieder), Garzanti Editore, I. ed. 1986/VI. ed. 2002, traduzione in versi dal tedesco di Giovanna Bemporad

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Geistliche Lieder, II Canti spirituali, II
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Raffaello Sanzio, Madonna Colonna, 1508, olio su legno di pioppo, 58.2 X 79 cm, Staatliche Museen zu Berlin, Gemäldegalerie

iO, GOeTHeanUm

di Nicolás Jaime Gemelli, dicembre 2022

Alla vigilia del centenario del drammatico incendio che nella notte di San Silvestro del 1922 distrusse il Goetheanum, è dovere porre maggiore attenzione a quella straordinaria manifestazione che ancora è l’edificio. Esso figurava la rappresentava la presenza (figurava la presenza) dell’Antroposofia nel mondo e ne costituisce ancora oggi una parte fondamentale per la sua comprensione, poiché si trattava di raccontarne i fondamenti in modo sensibile.

Durante il mio previo contributo (Il tempio diviene Uomo), ho tentato con i mezzi a mia disposizione di identificare delle basi conoscitive e artistiche che possano risultare utili per poter riannodare i fenomeni del costruire all’interno del processo di evoluzione animica dell’essere umano.

Importante è sempre tenere a mente che il percorso dello sviluppo della coscienza, che è costituito nella sua fase più recente da tre epoche distinte, quali dell’anima senziente, anima razionale-affettiva e quella attuale dell’anima cosciente, non mantiene un moto rettilineo uniforme. Le tre epoche sono distinte da datazioni più o meno accurate e seguono una traiettoria, ma l’eterogeneità dei manufatti e il gran numero di declinazioni, costituiscono il corpo di una linea temporale che possiamo immaginare come un fluido, ritmato dagli eventi, che nonostante incontri ostacoli e accelerazioni, procede in avanti. Si tratta proprio dello stesso essere in movimento e in evoluzione che caratterizza ogni aspetto dell’esistenza umana, dove l’architettura non è solo lo specchio, ma parte stessa della trasformazione.

Come visto precedentemente, abbiamo posto a coda di questo processo il primo Goetheanum che si distingue per la sua aderenza straordinaria alle esigenze della coscienza dell’uomo che stava formandosi.

Ma come si è potuto procedere a una realizzazione tale?

La grande novità è costituita dal metodo scientifico di Goethe, adottato per ricercare le esigenze alle quali il tempio dell’essere umano moderno deve rispondere. Solo attraverso l’osservazione comparativa e intuitiva dei fenomeni si può trovare in essi (oltre che ai dati fisici indispensabili) lo spirituale. Esso rivela le qualità della vita e di trasformazione, che caratterizzano tali fenomeni.

Il mondo naturale è composto da esseri archetipici soprasensibili che si rivelano nelle singole forme della materia e sono proprio queste ultime che ne compongono il linguaggio.

Lasciarsi ispirare dalla natura in tal senso è il mezzo per poter

giungere all’archetipo, all’idea, e dunque poi poter iniziare a comprenderne le leggi.

La condizione alla base per poter raggiungere tali obbiettivi è mettere in moto una nuova fantasia, esatta, rigorosa, che non si appoggi né sul gusto né all’arbitrio.

Rudolf Steiner adotta tale metodo raffinandolo ed estendendo l’ambito della ricerca. Il suo campo inizia ad abbracciare non solo il mondo vegetale, ma anche la sfera animale e quella umana.

Passa dal vivente alla coscienza dello spirituale, ponendo attenzione ai processi dell’anima umana riconosciuti come eventi di sviluppo della singola individualità spirituale.

I simboli e le allegorie non potranno dunque più fare parte di una nuova espressione artistica se sono le dirette tracce delle forze spirituali nella materia a dover essere espresse. Rendere così visibile ciò che è nascosto costituisce l’obbiettivo che l’architettura organica vivente si pone, e, siccome la scienza dello spirito ne concede gli strumenti, tale rivelazione diviene il suo compito.

L’architettura stessa si fa educatrice dell’anima.

Le parole del dott. Steiner ci aiutano a capire meglio: “L’arte del costruire consiste nel proiettare all’esterno, nello spazio, l’interiore sistema di leggi del corpo umano”.1

Si comprende la necessità dell’architettura di porre innanzi a noi le leggi che risiedono nella nostra interiorità per poter noi stessi conoscere meglio quelle le dinamiche. Questo significa che per mantenere in stretto contatto il modo interiore con quello esteriore, affinché ciò che sta dentro si riversi all’esterno, si deve istaurare un saldo canale di comunicazione tra questi due mondi.

Si tratta proprio di quel percorso che ho cercato di delineare nell’articolo precedente: la distanza che separa il mondo spirituale e l’uomo si riduce in un movimento contraente fino a che lo spirituale penetra l’interiorità dell’uomo: così egli in modo cosciente potrà esprimersi in libertà nel mondo esterno.

Se adesso invece osserviamo il “Bau” (l’edificio) riusciamo a colpo d’occhio delineare nella sua forma plastica la compresenza di due elementi congiunti. Si tratta di due cupole di diametro non equivalente, con un rapporto reciproco 4:3 che intersecano la propria calotta.

Questo esempio formale costituisce un nuovo motivo nella storia dell’architettura. La sola cupola solitamente istituisce il

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punto focale dello spazio, nonostante vi possano esse affiancate cupole o absidi di minore gerarchia; nel nostro caso le due cupole non solo sono poste in diretta relazione nello spazio ma vengono addirittura ad interpenetrarsi l’una con l’altra. Questo binomio, allineato sugli assi cardinali Est-Ovest, innesca immediatamente nella nostra immaginazione creativa il previo o successivo movimento delle due cupole, alternativamente l’avvicinamento o l’allontanamento tra di loro appena arrestatosi. Tuttavia risulta difficile affermare a proposito se si tratti di una o dell’altra eventualità. Si percepisce che i volumi sono frutto di un movimento ma l’insieme dà l’impressione di trovarsi in una circostanza di equilibrio tra due le due forze opposte.

Le stesse forze opposte che si controbilanciano anche per quanto riguarda i volumi esterni alla base delle cupole: la cupola maggiore gonfiata è sorretta da un tamburo comprimente, mentre la cupola minore è avvolta da un volume divergente. Sono proprio quelle opposizioni che il “Rappresentante dell’Umanità” del gruppo ligneo mantiene coscientemente in armonia.

Nonostante queste osservazioni “soggettive-oggettive”, è chiara l’intenzione di rappresentare la polarità primitiva, ricomposta in equilibrio, nella quale l’essere umano riesce intuitivamente a riconoscersi e trovare sostegno nei momenti in cui ne fa esperienza: io-mondo, interno-esterno, espirazione-

inspirazione, contrazione-espansione, incarnazioneescarnazione.

Possiamo affermare che l’edificio vuole restituire ogni polarità non nella loro egoità, ma ricomposte in un equilibrio dinamico, mobile, non statico. Steiner ci dice che questa qualità si coglie a pieno sperimentando la forma spaziale della lemniscata, dove l’eterno dinamismo trova quiete.

Se ci soffermiamo ulteriormente sull’impianto dell’edificio possiamo notare qualcos’altro mediante l’asse che le due cupole definiscono. Vediamo una compenetrazione di due approcci architettonici opposti: l’impianto longitudinale e quello centrale. Nel primo, si sperimenta la condizione dialettica, dinamica progredente e stimolante; nel secondo invece agisce la condizione ideale, statica avvolgente e consolidante. Pertanto all’interno del primo Goetheanum si riesce per la prima volta, in modo compiuto, a sperimentare l’esperienza di entrambe le qualità spaziali senza esserne vincolati; ci sentiamo in qualche modo “liberi”: la libertà di fatto diventa il carattere dominante di questo spazio fluido.

Dopo aver dato un’occhiata all’esterno è opportuno considerare anche lo spazio che le due cupole inscrivono.

Due ambienti circolari definiscono una doppia sala, dove

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il maggiore coincide con quello adibito al pubblico e quello minore al palcoscenico. Essi comunicano nel piano di intersezione delle due cupole, scorte all’esterno, dove troviamo la soglia del boccascena.

L’intradosso delle calotte, colorate con tinte vegetali ad acqua, sono abitate da sorprendenti motivi figurativi soprasensibili. La cupola grande è plasmata con creazione dell’uomo e la sua corporeità creata dal mondo sovrasensibile; l’altra invece presenta l’evoluzione dell’uomo e della sua condizione nelle diverse epoche di civiltà. Possiamo brevemente accennare che le pitture, parti delle quali vennero realizzate dallo stesso Steiner, si sottraggono alla normale comprensione razionale che utilizziamo per il mondo sensibile; esse ci trasportano ad una esperienza simile al sogno. I motivi che compaiono nelle calotte sono fonte di enorme interesse, ma questa non è questa l’occasione per poterne approfondire i significati.

Se consideriamo in questo momento i materiali utilizzati si comprende meglio ciò che dall’esterno si riconosceva: per l’intera struttura, pareti e calotta, è stato utilizzato legno massiccio lamellare stratificato. Tali superfici lavorate a mano direttamente nel corpo ligneo massiccio, come se si trattasse di pietra viva, si impregnano dell’eterico della moltitudine di anime che si sono dedicate alla lavorazione.

Per inciso il cantiere del Bau era popolato non solo dagli artigiani professionisti, ma erano presenti fino a 200 volontari al giorno, un insieme di donne e uomini provenienti da diciassette nazionalità diverse.

Tornando alle nostre osservazioni, notiamo come il materiale ligneo abbracci tutto l’ambiente interno. Quando la luce penetra quest’ultimo, la lavorazione manuale dà l’impressione di far vibrare le superfici. Ciò vale sia per le pareti esterne ed interne, sia per capitelli e basamenti delle colonne che per la trabeazione.

La luce che dà forma all’intero spazio viene filtrata da quattro trifore per lato che attraverso il vetro colorato vivifica lo spazio, ritmandolo prima con il verde, il blu, il viola e infine con il fior di pesco.

Anche nei confronti di queste particolari aperture e i suoi motivi che filtrano in modo particolarissimo il rapporto tra interno ed esterno mi limito nella loro descrizione che meriterebbe un

capitolo a loro dedicate.

Oltre a ciò un’altro degli elementi principali che caratterizzano fortemente questi due ambienti sono i sostegni delle cupole: una particolare e sorprendente trabeazione è sorretta da una coppia di sette colonne nella platea e da un’altra coppia di sei di esse nella scena.

Notiamo che queste colonne, assecondando il pendio della platea, man mano che si progredisce verso il palco aumentano la loro altezza e dimensione, e di nuovo, in modo più lieve, avviene nello spazio più piccolo che allontanandosi dal centro le colonne diminuiscono in altezza.

Possiamo così ancora una volta seguire il movimento che viene generato e che lega ulteriormente i due ambienti circolari, accentuando così l’importanza della soglia della boccadopera come punto chiave di tutta il complesso.

L’alternanza dei corpi solidi verticali delle colonne e l’avvolgente luce proveniente delle vetrate conferisce al tutto un carattere ritmato che possiamo denominare musicale. Anche in questi termini possiamo attribuire all’architettura la componente vivente.

Se esaminiamo invece ora la trabeazione, da forma a qualcosa di davvero eccezionale. Essa riporta un avvicendamento di tratti fluidi di diversa complessità e corso, come se mostrasse “il risultato del rapprendersi improvviso di una pasta fluida” 2 Non si tratta dunque di forme geometriche, tanto meno simboliche, ma traducono proprio in immagine un processo in divenire che porta l’occhio a percorrerne lo slancio che suscita lungo l’intero perimetro dei due ambienti. Se immaginiamo di compiere questa azione ci renderemo conto che il nostro occhio ha tracciato quella che assomiglia a una lemniscata. La particolarità architettonica dell’elemento della trabeazione è proprio quella di scaricare le forze peso ai sostegni. Però in questo caso essa non solo adempie a questa funzione strutturale, ma ne rappresenta anche la funzione trascendentale: è il tramite tra il mondo celeste della cupola e il mondo tellurico dei sostegni.

Tuttavia questa funzione mediante non si riduce solo nella direzione verticale, ma accade qualcosa anche orizzontalmente. La trabeazione che percorre il perimetro della sala del pubblico varca la soglia del palcoscenico per poi ritornare di nuovo nella

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sala. Non solo svolge il ruolo di tramite verticalmente, ma è ambasciatore tra i due mondi.

Considerando che ogni colonna della sala maggiore figura uno dei sette pianeti del sistema solare, vediamo che il flusso si confronta con l’entità planetare di ogni sostegno in modo distinto. Tale flusso viene rinnovato ritmicamente, in eterna conversazione tra macrocosmo e microcosmo. La trabeazione della doppia sala rispecchia propriamente la linea del tempo che avevamo descritto all’inizio. É un fluido che attraversa le epoche dell’evoluzione umana ed incarna quel valore, al tempo stesso spaziale e temporale, della metamorfosi, quale principio motore di ogni processo vivente in natura. La novità rivoluzionaria per l’appunto è la proposta di Rudolf Steiner di applicare all’architettura tale principio. Quest’ultima conferisce un carattere vitale anche se si tratta solo di presenze in forme ed immagini fisse. É la qualità del vivente per antonomasia che la metamorfosi riesce a conferire al materiale inerte: la trasformazione nel tempo.

Alla fine del nostro percorso, dobbiamo ricercare la condizione dalla quale questa nuova architettura nasce. In tutto l’edificio non solo hanno operato le mani, ma anche lo spirito pensante e intuitivo dell’uomo. É quindi proprio la sfera del pensiero che riesce a congiungere lo spirituale con la materia, plasmandola, attivando un processo di elevazione o meglio di resurrezione del mondo fisico.

Questa volontà del pensiero dà alla luce una nuova natura, sorella della prima non tanto per i risultati ma per il processo generativo. “Un arte siffatta è portatrice delle stesse forze edificanti della natura, della stessa azione rigenerante rinfrescante, consolatrice, ammaestrante, educatrice della natura”.3

La profondità del messaggio che Steiner racchiuse nel primo Goetheanum era tale che egli dichiarò che le forme dell’edificio erano in grado di risvegliare la visione del proprio karma, esperienza che prima poteva essere provata solamente alla fine di un percorso iniziatico.

Se l’edificio davvero ricalcava l’immagine dell’uomo stesso, incarnato in una architettura, avere la possibilità di osservare ed entrare nel Bau, significava poter sbirciare quali forze e archetipi forgiano la propria interiorità.

Sappiamo bene che l’edificio oramai è svanito, ma come ci viene suggerito da Steiner esso rimane ancora presente come entità spirituale.

Con questa consapevolezza emerge la necessità fondamentale di rafforzare il dialogo con la sfera spirituale per poter ricollegarsi al messaggio di coscienza del primo Goetheanum e dunque dell’Antroposofia.

Il convegno di Natale del 1923 ribadisce proprio tale esigenza, rifondando la comunità antroposofica nel cuore degli uomini e ricostruendo dalle fondazioni il Goetheanum.

NOTE

1 - Rudolf Steiner, L’arte alla luce della saggezza dei misteri, Editrice Antroposofica, Milano, 1987

2 - Stefano Andi, Architettura organica vivente. Nascita attualità e prospettive, Esselibri S.p.A, Napoli, 2005

3 - Ivi

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Come, Child, into our hearts, and still the storm

Made by our selfish wishes wrestling there;

And weave again the fabric of mankind

Out of Thy Light, Thy Life, Thy loving Fire.

Vieni, Bambino, nei nostri cuori, e placa la tempesta

dei nostri desideri egoistici, che là vi lottano.

Intessi di nuovo la sostanza dell’umanità della Tua Luce, della Tua Vita, del Tuo Fuoco.

Adam Bittleston, Meditative Prayers For Today, Floris Books, Edimburgo, 1993

Traduzione dall’edizione inglese di Elio Biagini, in Adam Bittleston, Preghiere meditative per il nostro tempo, Editrice Novalis, 2019

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A SHORT CHRISTMAS PRAYER BREVE PREGHIERA NATALIZIA
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Gherardo delle Notti, Natività, 1619-20, Uffizi, Firenze

Continua...

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