Inchiostro n°141 – Giugno 2015

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Il giornale degli studenti dell’Università degli Studi di Pavia. DIRETTORE RESPONSABILE: Simone Lo Giudice DIRETTORI EDITORIALI: Matteo Camenzind, Eleonora Salaroli, Elisa Zamboni DIRETTORE SITO: Giorgio Di Misa TESORIERE: Elisa Zamboni IMPAGINAZIONE: Elsa Bortolotti, Eleonora Salaroli IMMAGINE DI COPERTINA: Elsa Bortolotti ILLUSTRAZIONI: Matteo Camenzind CORRETTORI DI BOZZE: Matteo Camenzind, Elisabetta Gri, Alessio Labanca, Eleonora Salaroli REDAZIONE: Ignazio Borgonovo, Elsa Bortolotti, Matteo Camenzind, Francesca Carral, Giorgio Di Misa, Irene Doda, Matteo Croce, Elisa Enrile, Cristina Ferrulli, Niki Figus, Giorgia Ghersi, Elisabetta Gri, Giorgio Intropido, Alessio Labanca, Simone Lo Giudice, Giulia Marini, Airina Paccalini, Ludovica Petracca, Gloria Romano, Camilla Rossini, Angelo Ruggieri, Eleonora Salaroli, Valeria Sforzini, Elisa Zamboni COLLABORATORI ESTERNI: Beppe Battaglia, Irene Brusa, Claudio Cesarano, Cristina Motta

Anno XX - Numero 141 - Luglio 2015 Sede Legale: via Mentana, 4 - Pavia Simone 3467053520 Eleonora 3384208867 Elisa 3463951170 Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti. Fondi 2015: 6162,76 euro Mandato in stampa il 18 Maggio 2015 presso l’Industria Grafica Pavese s.a.s. Pavia Registrazione n.481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 23 Febbraio 1998.

inchiostropavia@gmail.com inchiostro.unipv.it

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SOMMARIO SIAMO FATTI DELLA STESSA SOSTANZA Il fan numero 1 di Marisa Laurito SEGNI DEL DESTINO di Grazie Burrocacao

Editoriale dei Tre Moschettieri

Pag 4 Pag 5

MANUALE DELLO STUDENTE TIRAPACCHI

Pag 6-7

DISTOP(AV)IA

Pag 8-9

INCHIOSTRO XX

Pag 10-11

PENSAVA FOSSE AMORE

Pag 12

PATOLOGIA SERIALE

Pag 13

CHE SCHIFO CRESCERE

Pag 14

L’ABISSO

Pag 15

MIKASA ES TU KASA

Pag 16

di Nick che ha già un soprannome

di Ciulia Mareenee

di Froggy

di La Sifilide di Testa

di Dondolans

di Deboroh Lovebol

di Barbie passione giornalismo

PROSPETTIVE OCCUPAZIONALI Pag 17 di Alma Laurea

MINCHIA, CHE VARIANTI!

Pag 18

DIARIO DI UNA HOSTESS

Pag 19

Di Wichser Zweihänder

Di Penny V.

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Siamo fatti della stessa sostanza di cui (si) è fatta Sara Tommasi Il fan numero 1 di Marisa Laurito

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l periodo più stressante di ogni anno è sempre lo stesso: dicembre, le feste di Natale, Capodanno. Una combinazione pazzesca in cui cervello, apparato gastrointestinale, fegato, reni e portafoglio cozzano violentemente l’uno contro l’altro in un’orgia di emozioni, odori, veglie e reflusso gastroesofageo per una marea di motivi, uno su tutti: i regali. Nessuno sa mai cosa regalare ad un altro. E se lo avete mai saputo o costava troppo o non c’era più in negozio (e se non avete fatto di tutto per avere quell’oggetto, siete degli amici sbagliati, siete i peggiori, meritate solo la compassione del Dalai Lama). Questa simpaticissima introduzione in realtà non c’entra un granchè con il resto dell’articolo, ma dovevo in qualche modo sfogare la mia rabbia verso questi terribili soggetti che sono gli amici, una minaccia alla stabilità sociale di tutti noi e del sistema imposto dal NWO, specialmente quando si tratta di far regali. Segue enunciazione e dimostrazione di quanto detto. Ipotesi: siano due persone con un grado di conoscenza reciproca sufficientemente alto. Tesi: nessuna delle due conosce veramente i gusti, la personalità, il carattere, gli hobby e la pizza preferita dell’altro. Dimostrazione: raccolta casuale di commenti/interviste statisticamente significativi, prese qua e là tra morti spettacolarizzate in tv e puntate de L’eredità. Ci avete mai fatto caso? Spero di no, altrimenti avrò scritto questo pezzo per nulla. Quando si chiede ad un amico di descrivervi, le perifrasi usate sono nella stragrande maggioranza dei casi sempre le stesse. Sempre. Nessuno di noi potrà scamparne. Non c’è al mondo abbastanza gente acculturata da usare altre espressioni per dire quello che siete stati (o meglio, quello che gli altri credono di voi, quello che gli altri vedono di voi): prima di morire assicuratevi che i vostri amici conoscano almeno due sinonimi di “divertente” e che conoscano le vostre passioni più segrete, tipo contare i giorni che restano

alle specie in via d’estinzione o vedere al rallentatore i movimenti del seno di Jennifer Aniston nella quinta puntata della sesta stagione di Friends. E quindi giù a dire che siete una persona solare, che siete attivamente impegnati nel sociale, un/a grande lavoratore/trice, che vi fate sempre in quattro per gli amici e per la famiglia, che nonostante tutto e tutti restate sempre voi stessi (sfido chiunque a diventare letteralmente un’altra persona, a meno che non lavoriate per l’FBI - non ho ancora trovato persone felici di avere come amico qualcuno che soffra di disturbi dell’identità, ad ogni modo...). Nessuno che elenchi tra i pregi il numero di usi di parole ricercate ed auliche tipo “remora” o “aulico” stesso in un mese, o che racconti di quella volta in cui vi siete sacrificati per la patria e avete mangiato l’ultimo uramaki rimasto nel piatto del ristorante giapponese con formula All you can eat, pur di non far pagare ad un vostro amico il piatto intero. Nessuno tiene conto di queste cose, dunque, figuriamoci se qualcuno sa con precisione cosa regalarvi a Natale e al compleanno o se sa cosa dire di voi quando gli viene chiesto di descrivervi. La rigorissima logica del mio ragionamento ci porta a pensare che non c’è abbastanza speranza per tutti su questo pianeta, ma… c’è una soluzione a tutta questa triste afflizione per la specie umana? Dall’alto della mia vita vissuta, pregna di esperienze formative, mi sento di dire che no, non c’è una cura a questo male. Continueremo a ricevere vestiti che non indosserebbe nemmeno il Divino Otelma, fiori a cui siamo allergici, biglietti a mostre di artisti di cui volutamente avete ignorato l’esistenza e così via. L’unico pensierio che mi rimane è il seguente: più che una legge sul testamento biologico, credo che la nostra società necessiti di una legge che conceda il permesso a lasciare dichiarazioni sul proprio conto/fare regali solo al provider internet, alle cronologie di Google Chrome e alle liste desideri su Amazon. Loro sì che ci conoscono bene.


I SEGNI DEL DESTINO di Grazia Burrocacao Vi siete mai posti domande esistenziali di fronte a un dado da 12 facce raffigurante i segni zodiacali? No? Beh, quando la potenza del Divino Otelma incontra il cazzeggio da sessione d’esami, c’è chi ha fatto questo esperimento astrale per voi! (Per i più bambi, trovate il vostro segno zodiacale, ad ogni simbolo corrisponderà in progressione la risposta alla relativa domanda. Buona fortuna!)

1. Con chi attraverserai il lungo viaggio nella selva oscura degli esami? 2. Compagn* di corso su cui inaspettatamente avrete fantasie estive... 3. Una tanto odiata duckface di vostra conoscenza... 4. ... e il professore che la boccerà 5. L’amore segreto tra la pausa caffè e le email di Grazia Bruttocao... 6. Quale sarà il tuo più papabile friend with benefits per l’estate? 7. Attenzione a non procreare con... 8. Chi vi provocherà incontrollabili risate 9. Lasciatevi affascinare dalle idee di... 10. Non fidatevi della retorica di... 11. Chi pagherà i tuoi debiti? 12. E allora i marò?

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IL MANUALE DELLO STUDENTE TIRAPACCHI SOTTO ESAMI di Nick che ha già un soprannome

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a vita di uno studente sotto esami è contrassegnata da un lato dall’impervia necessità di studiare e dall’altro dalla difficoltà di trovare costantemente nuove scuse credibili e originali per poter paccare i propri amici. Ecco a voi, quindi, una serie di pratiche ed efficaci scuse da usare quando il peso dello studio universitario preme fino a ridurre la nostra vita sociale ai minimi termini. Buono studio e buone “paccate”.

METODO GIANNI MORANDI Spiegate con pacatezza, compostezza e tranquillità i motivi che vi impediscono di uscire. Nel farlo fate in modo che le vostre mani sembrino il più grandi possibili. METODO SASHA GRAY Consiste nel tirare quanti più pacchi possibili, giorno dopo giorno, godendo nel farlo (e cercando di farsi pagare a pacco). METODO ADAM KADMOND Avete mai notato che i vostri amici tendono a cercarvi maggiormente, invitandovi a serate particolarmente divertenti, proprio quando siete sotto esami? Coincidenze? Io non credo. METODO WALTER WHITE I vostri amici vi chiederanno di uscire, tuttavia voi dovete studiare. Dunque, una volta rasati a zero, iniziate a cucinare metanfetamine nelle campagne pavesi fino a guadagnare abbastanza soldi da poter compare i testi universitari di tutti i vostri amici. In seguito manipolateli fino a quando, terrorizzati dagli esami, una volta usciti nel giorno prestabilito, loro vi ringrazieranno per avergli permesso di studiare. METODO MATTEO RENZI Consiste nell’annunciare di uscire, proponendo svariate date con relativa attività, salvo poi chiamare i vostri amici nei giorni da voi scelti dicendo che per colpa di alcuni animali notturni non siete riusciti a studiare la notte, con seguente dilazionamento dei tempi. Se sarete convincenti i vostri amici attenderanno speranzosi le attività da voi proposte, altrimenti vi toccherà costringerli a uscire con voi pagando una cena al modico prezzo di ottanta euro (ovviamente i soldi non dovranno essere vostri, almeno voi potete stare sereni)

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METODO GIANNI CUPERLO Consiste nel far ricordare ai vostri amici la vostra esistenza a seguito di una presa di posizione contraria ad un’uscita. Dopo un po’, nessuno vi cagherà più. METODO MAX PEZZALI Appena qualcuno vi chiamerà, sostenete di avere solamente “un deca”. (Ideale per i pavesi) METODO PIPPO CIVATI È un prolungamento del “Metodo Gianni Cuperlo”, con la sola differenza che avrete in tasca una canna. METODO BEPPE GRILLO Chi chiama verrà mandato “affanculo”, a prescindere. (Per una più corretta applicazione, utilizzare un wi-fi) METODO MEGG GRIFFIN Consiste, molto semplicemente, nel fatto che nessuno vi chiamerà per uscire, in quanto non avete amici. Sfigati. METODO SOCRATE Nonostante il carico di studio irreale, paccare i vostri amici per studiare vi sembrerà razionale. METODO GESÙ DI NAZARET Evitate di rispondere ai messaggi per tre giorni, fino a quando i vostri amici, per stanarvi fuori di casa, vi diranno che per festeggiare hanno deciso di portare al posto dell’acqua del vino. (Per la migliore applicazione possibile del metodo, consigliamo di scegliervi degli amici astemi, in modo che il sopracitato cambio di bevanda vi faccia gridare al miracolo) METODO MASSIMILIANO ALLEGRI I vostri amici vi chiameranno e voi, con la faccia tirata, accetterete. Arriverete, dopo una serie di botte di culo inumane al giorno finale, con la possibilità di non uscire. Purtroppo sarete messi con le spalle al muro e costretti a non studiare: looser.

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DISTOP(AV)IA di Ciulia Mareenee

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ecine di anni orsono, il Governo dello Stato di Padania decise di lanciare a Pavia un esperimento, una sorta di rialiti sciò, il cui unico fine è dimostrare ai sudditi la vastità del proprio potere. Da allora, ogni anno migliaia di sudditi smettono di essere tali per diventare matricole appena giunti a Pavia. Ebbene, tale rialiti sciò di cui vi sto parlando è chiamato nientepopodimeno che “Università degli studi di Pavia”, una realtà distopica dove per ognuno dei partecipanti inizia una sfida alla quale ben pochi sopravvivranno: i vincitori di questa sfida, simbolicamente incoronati con una corona d’alloro, sono infatti coloro i quali riescono nella magistrale impresa di conseguire una laurea. I partecipanti – meglio noti come studenti – catapultati in questa sorta di realtà alternativa iniziano a valutare la propria vita secondo nuovi canoni. Si prenda ad esempio il tempo; la variabile tempo smette infatti di essere valutato in anni solari, per passare ad una valutazione in anni accademici dove non esistono più le (mezze)stagioni, ma solamente le sessioni di esami. Non esiste neanche alcun tipo di moneta, poiché l’unica scala di valori con la quale si può valutare il mondo che li circonda sono i CFU. Come ogni realtà distopica che (non) si rispetti, anche nell’esperimento venutosi a creare a Pavia la società si è divisa: benché qui non vi siano distretti o fazioni, tale ufficiale del Governo MaryStar Gelmeenee decise di dividere gli studenti in strutture organizzative chiamate dipartimenti. Il criterio di appartenenza a tali dipartimenti è stato più e più volte discusso, finché il Governo dello Stato di Padania non è arrivato alla formulazione di un principio di valutazione nel quale vengono testate le precise caratteristiche di ogni studente: grado di tendenza alla lamentela, livello di fancazzismo, fascia di autostima personale, stadio di deterioramento mentale. Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense Grado di tendenza alla lamentela: elevato. Livello di fancazzismo: cinque/10; benché le intenzioni di partenza del tipico studente di Medicina sia quella di aiutare e salvare persone, ben presto si rendono conto che il loro subconscio li ha spinti in quella direzione in seguito alla visione di una puntata di Grey’s Anatomy (dove, presumibilmente, nessuno dei protagonisti muore): gli uomini aspirano infatti a diventare come Mark Sloan per farsi tutto il personale femminile, mentre le donne aspirano a trovare il proprio Derek Sheperd. Fascia di autostima personale: massima (potrebbe essere diversamente aspirando a diventare i Mark Sloan del San Matteo o a trovare il Derek Sheperd del Policlinico?). Stadio di deterioramento mentale: massimo. Per aspirare ai ruoli sopracitati si può solo essere soggetti allo stadio massimo di deterioramento mentale.

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Dipartimento di Giurisprudenza Grado di tendenza alla lamentela: elevato e giustificato dalla mole di manuali di Diritto che sono costretti a studiare. Livello di fancazzismo: cinque/10; Fascia di autostima personale: massima; (in poche parole, se non hai un conto in banca da dodici zeri, una Ferrari o almeno una collezione di Rolex in banca non è possibile avere con loro alcun tipo di contatto fisico).


Stadio di deterioramento mentale: massimo; non avendo niente da capire ma solamente da studiare, studiare e ripetere quello che è stato studiato, gli studenti di Giurisprudenza hanno più memoria disponibile di un Hard Disk esterno. Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Grado di tendenza alla lamentela: oltre ogni aspettativa; il tipico studente di Scienze Politiche infatti passa più tempo a lamentarsi del fatto che difficilmente troverà un lavoro dopo la laurea piuttosto che a conseguire tale laurea. Livello di fancazzismo: nove/10, principalmente perché si gettano nei piaceri dell’alcool per sopperire al tragico pensiero del proprio futuro. Fascia di autostima personale: sottozero; si rivedano i punti precedenti. Stadio di deterioramento mentale: massimo; si rivedano i punti precedenti. Dipartimento di Ingegneria Grado di tendenza alla lamentela: elevato; sono fieri sostenitori del fatto che solo a Ingegneria si studia davvero. Livello di fancazzismo: uno/10; principalmente gli studenti di Ingegneria non hanno una vita sociale. Fascia di autostima personale: oscillante. Il tipico studente di ingegneria oscilla infatti tra momenti di deliri di onnipotenza e momenti di depressione totale. Stadio di deterioramento mentale: massimo; basti pensare che la loro vita sociale si estende solamente ai loro compagni di corso e ai ripetuti tentativi di passare Analisi 1. Dipartimento di Studi Umanistici Grado di tendenza alla lamentela: medio; Livello di fancazzismo: quattro/10; Fascia di autostima personale: oscillante; ci sono infatti momenti in cui lo studente di Lettere si crede il Poeta Vate de nojatri, alti in cui prospettano il proprio futuro come insegnanti a 60 anni dopo altri 30 di precariato. Stadio di deterioramento mentale: massimo; studiare latino (e, talvolta, greco) dopo il liceo non può che causare deterioramento mentale. Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali Grado di tendenza alla lamentela: elevato; Livello di fancazzismo: otto/10; il suo ruolo sociale è infatti meglio indicabile con il termine “pianificatore”. Di aperitivi. Fascia di autostima personale: oscillante. Varia infatti dai momenti in cui lo studente di Economia si crede Jordan Belfort di “The Wolf of Wall Street” a momenti in cui si vede come mero dipendente bancario. Stadio di deterioramento mentale: massimo; in particolare modo, lo dimostra durante le classiche discussioni sulla crisi economica interviene citando belinate quali spread, BTP e BUND con assoluta nonchalance.

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INCHIOSTRO XX

Inchiostro compie vent’anni. Per l’occasione abbiamo riesumato i vecchi numeri e iniziato a cercare chi ha letteralmente scritto la storia del nostro giornale. In questo numero, dopo affannose ricerche siamo riusciti a recuperare il contatto di Barnaba Ponchielli, che ci ha concesso un’intervista direttamente dal 1995. ATTENZIONE: Tutti coloro che non sono ancora stati tediati dalle Nostre Persone e vorrebbero lasciare un loro contributo sotto forma di intervista o articolo revival, contattino

inchiostropavia@gmail.com

intervista doppia a Erri e Logiu.

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(Di Froggy)

er il “simpatico” non poteva mancare l’intervista a Beppe Battaglia e Simone Lo Giudice: ex-direttori editoriali di Inchiostro e speakers radiofonici della trasmissione UnipvSC per Ucampus. Tra pregi e difetti, tra ricordi indelebili e scazzottate, tra L’Aja e Pavia, ecco a voi le storie di due grandi amici. Froggy: Partiamo dalla domanda più semplice: nome e cognome. Beppe: Giuseppe Enrico Battaglia, da cui svariate degenerazioni pre e infraadolescenziali quali Batta, Frattaglia, Marmaglia, Beppe, e il più rappresentativo: Erri. (Oh) Erri. [diventato tale grazie a un amico che eccelle in stupidità]. Simo: Simone Lo Giudice. Soprannome preferito Simo. Temo sia stato Beppe Battaglia a reinventarmi come Logiu (che TUTTO SOMMATO non mi dispiace). Entriamo nel personale: ognuno elenchi di sé 3 pregi e 3 difetti! Beppe: Ci penso un attimo... PREGI: determinato, coinvolgente, visionario DIFETTI: testardo, disorganizzato, impulsivo Simo: PREGI: amichevole, generoso, empatico. DIFETTI: pigro, ritardatario, recidivo. Descrivi ora l’altro con 3 aggettivi! Simo: Intelligente, coraggioso, impulsivo. Beppe: Affidabile, competente, diplomatico Quando è scoccata la scintilla dell’intesa tra di voi? Come vi siete conosciuti? Simo: Ci siamo conosciuti una sera di ottobre, io stavo conducendo la riunione. Quando andai ad aprire al portone di San Tommaso mi si palesò di fronte due ragazzi (uno era lo Sfo, l’altro Beppe). Credo che la scintilla sia scoccata un anno, col suo definitivo inserimento nella truppa di Unipv Sporting Club! Beppe: Una volta fu schietto con me su una questione spinosa, e da lì iniziammo a prenderci le misure. Poi iniziammo a lavorare fianco a fianco, scoprendo la persona oltre al professionista wannabe. Non c’è una scintilla specifica, credo, è più un collage di storie. Insomma le vostre strade si sono incrociate grazie ad interessi e capacità comuni, coltivate proprio nell’ambito di gruppi universitari quali appunto la redazione di Inchiostro e il progetto radiofonico di UnipvSC. Iniziamo dalla “redazza” (che ai tempi si riuniva ancora a San Tommy!): quando vi è venuta l’idea di entrare a Inchiostro? Cosa ve l’ha fatto scoprire? Beppe: Lo avevo googlato. onestamente non lessi mai inchiostro prima di entrarci. L’idea mi è venuta perché quello di fare il giornalista è un pallino da tutta la vita, se mi fossi fatto scappare l’occasione di provarci senza pressioni all’università, sarei stato un pirla. (Dai però, meno asettica e più pungente!) Simo: Cercavo un giornale col quale cominciare a fare pratica, che semplicemente mi offrisse l’opportunità di scrivere. Me lo ha fatto scoprire una mia compagnia di corso, che sapevo del mio interesse per il giornalismo. Mi proposi alla redazione come

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potenziale redattore sportivo. Il primo a articolo che pubblicai riguardava un accostamento letterario, paragonando la rinascita della Juventus a “La ginestra” di Leopardi. Froggy: Oh, non volevo risultare asettica: se ben ricordi, Beppe, io ho scoperto Inchiostro grazie a te, (s)conosciuto su facebook, e ad un invito a veder la Juve di “Andonio Gonde” non trionfare in Champions... Beppe: AHAHAHAHAHAHAH NON ME LO RICORDAVO... “Erri, connecting people” Entriamo nel dettaglio del “collage di storie” di cui parlavi: qual è il vostro miglior ricordo a Inchiostro insieme? Ma soprattutto, quando e perché sono volate le peggiori scazzottate in redazione? Beppe: Il ricordo più bello che ho è semplicemente ciò che abbiamo creato. Ci siamo trovati, almeno dopo il mio arrivo, in una polveriera imputabile a una manciata di teste calde. Quando abbiamo iniziato a orchestrare la situazione insieme, in maniera inconsapevole e, forse, involontaria, siamo riusciti a creare una squadra, oltre che un gruppo. Inchiostro non era soltanto la riunione del lunedì, ma anche la festa di collegio tutti assieme, il mercoledì universitario passato a pisciare dietro al Duomo e le partite viste assieme a percularsi. Abbiamo reso Inchiostro una vera figata. Per esaurire la questione “scazzottate”: quando arrivai in redazza ogni settimana c’era da rodersi il fegato, solitamente perché qualche voce grossa doveva imporsi sulle altre. Simo: Ricordo la sera in cui Beppe concluse la sua esperienza da direttore editoriale: quel giorno finiva un’epoca anche per me, quella di Inchiostro prima di tutto gruppo di amici e poi di redattori. Ricordo alcune scazzottate dovute a qualche testa calda che provava a scavallarci. Simone prima parlava anche di UnipvSC e di inserimento nella truppa: quest’altro impegno in condivisione com’è nato? Quali erano i vostri pezzi forti? E come non rischiare di “rubare” materiale a Inchiostro? Beppe: Non ce n’era il rischio, in quanto media completamente diversi. Il caso più evidente fu l’eliminazione della Juventus dalla Champions League dello scorso anno per mano del Galatasaray: per la radio realizzai una cover di “Let her go”, ed era una cosa che non si poteva fare per il giornale. Inoltre fu anche un fatto di forma mentis: a Inchiostro eravamo sempre alla ricerca di una innovazione, disposti a prenderci dei rischi che, in radio, personalmente non mi sono potuto prendere al 99% delle volte. La cover, per dire, fu un’idea mia, mica del capo. Ha fatto 5000 visite su youtube. Avrei voluto più libertà, in radio. In quel caso, probabilmente, ci sarebbe stata anche una maggiore interazione tra Sporting Club e Inchiostro Simo: L’impegno in condivisione è nato nel momento in cui Beppe mi disse espressamente di volersi cimentare col mezzo radiofonico (io facevo parte di UCampus già da parecchio tempo). In Beppe ho trovato la spalla più anarchica che si potesse aspettare: focoso, imprevedibile, sarcastico quando occorreva. Mi dispiace per come si sia chiusa la sua esperienza con Unipv Sporting Club, soprattutto perché a oggi lo ritengo il compagno di lavoro che mi ha fatto crescere di più (proprio perché diverso da me). Per quanto riguarda il “rubare” materiale umano a Inchiostro, credo che questo non abbia influito sulle sorte del giornale: in radio si è sempre fatto qualcosa di diverso, semplicemente perché sono due media diversi.

(Ed ora Beppe, scatenati!) Non dimentichiamo la movida pavese: qual è la festa, l’evento, la serata che ricorderete per sempre legata Pavia? O c’è qualcosa che vi fa dire “questa è Pavia”? Beppe: Sono troppe le serate che ricorderò di Pavia, quelle più belle furono comunque feste in casa e la mia festa di laurea: usavamo lasciare casa mia “aperta” e chiunque poteva unirsi, finivamo in 30/40 in una casa in cui stavamo a malapena in 4, creando un’atmosfera bellissima. E alla mia festa di laurea fummo penso un 200, con un sacco di imbucati. Il qualcosa che mi fa dire “questa è Pavia” avvenne al Duomo un mercoledì sera di metà maggio: dal gruppo degli Erasmus spagnoli vidi un tizio con un pallone e iniziai a rompere gli zebedei a tutti i imiei amici chiedendo loro di giocare con gli spagnoli. Ne raccattai tre o quattro e, con l’adrenalina che provavo quando andavo a provarci con la più gnocca della festa, sono andatk da sto tizio senza ben sapere che lingua parlare, dicendo a lui e i suoi amici: “Rigà, schius mi, partido?”. Ci ritrovammo a improvvisare una partita usando la statua del regisole, la ringhiera e dei bidoni del rudo come pali, iniziammo in una decina e finimmo che eravamo più di trenta, mentre dalle gradinate del Duomo ogni nostra discesa era accompagnata da un tifo degno della Bombonera e quando qualcuno si fermava a sorseggiare birra a bordocampo partivano gli applausi. Ecco, questo è il ricordo che più di tutti mi fa dire che “questa è Pavia”. Simo: Le feste a cui ho partecipato sono state tante e fatico a ricordarne una in particolare. Il mercoledì sera al km12 (primavera 2013) rimane il momento clou: ricordo quelle serate in cui bastava recarsi lì per trovare praticamente 3/4 della redazione. Preferisco dilungarmi rispondendo alla seconda parte della domanda. “Questa è Pavia” può riferirsi ai gradini di Piazza Duomo gremiti nelle afose serate estive oppure alle passeggiate sul Ticino, ma anche alle fredde serate invernale in cui organizzare qualcosa a casa di amici è la scelta più azzeccata. Di più, “Questa è Pavia” è quella sensazione di appartenere a una comunità accademica coesa, in cui è facilissimo conoscersi e difficile perdersi. Per certi aspetti trascorrere qui il periodo universitario è una piccola grande fortuna: ti permette di allargare la tua rete sociale senza incappare nell’alienazione e nel caos che regnano nelle università di una metropoli come la vicina Milano. E per concludere, uno sguardo al futuro: cosa volete fare “da grandi”? Simo: Personalmente il giornalista sportivo, ma tra il dire e il fare ci sono di mezzo un sacco di cose. Sicuramente considero l’esperienza vissuta a Inchiostro a UCampus come il miglior punto di vista possibile per uno studente che voglia farsi le ossa. Questi sono i propositi: sarà divertente riparlarne tra qualche anno. Beppe: *l’intervista si interrompe perché sta traslocando*

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Pensava fosse amore, invece era un calesse: la reazione del fidanzato è SORPRENDENTE!!! di La Sifilide

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’idea che mi frulla in testa da un po’ è questa: credo che il livello di democrazia di un Paese e il suo grado di sviluppo socio-economico non si misurino tramite sterili indici statistici come PIL pro capite, debito pubblico, spread rispetto al Bund tedesco, followers di Salvini, numero di obiettori di coscienza o numero di volte in un mese in cui un deputato dice di volere il reddito di cittadinanza per tutti. L’indicatore statisticamente significativo è il numero di volte al giorno in cui l’utente medio di Facebook cede alla tentazione di un clickbait e perde del tempo a vedere cosa succede quando gli U2 suonano a sorpresa nella metro o una donna cieca incinta tocca una riproduzione in 3D dell’ecografia del figlio che porta in grembo. Sorpresa delle sorprese: i fan reagiscono come delle mosche non appena percepiscono un cane randagio defecare con ardita passione; la mamma scoppia in lacrime e innalza lodi al signore per averle fatto questo magnifico dono. L’avreste mai detto? Evidentemente tra le idiosincrasie e le strane tendenze autolesioniste della nostra specie rientra il morbosamente confortante piacere di leggere e vedere cose ovvie e che si confanno alle nostre aspettative. Zero sorprese, zero piacere: l’annullamento dell’Io non attraverso sedute psicoanalitiche a base di cocaina o LSD, quanto piuttosto tramite la visione di filmati che di volta in volta ci spingono a cliccare sul tasto “Play” e osservare passivamente le SHOCKANTI motivazioni che spingono un passante a lasciare delle monetine ad un senzatetto. Oppure vi trovate a leggere titoli come “Pensavano fossero delle parole a caso, invece è un testo dei Sigur Rós!”, “Disegna la sua mano sul foglio, il risultato è SORPRENDENTE”, “L’EMOZIONANTE incontro tra un ragazzo e il suo donatore di midollo osseo”, “Come in Giappone puliscono i treni in solo 7 MINUTI!!!”,“Ecco cosa succede se dormiamo sul lato sinistro dopo aver mangiato” e “Questo video dimostrerà che avete tagliato

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MALE il formaggio per tutta la vostra VITA!!”. A parte che questi titoli sembrano essere stati scritti con il generatore automatico di post di Salvini, tra i tanti pensieri che passano nella mia mente mentre aspetto che i movimenti peristaltici facciano il loro dovere, c’è l’idea che dietro a questi titoli sensazionalistici ci sia di sicuro un potere forte, qualche lobby o chissà cos’altro, che raccoglie dati e li processa per capire chi siano i migliori candidati per un’eventuale richiesta di sacrifici umani per combattere una guerra contro alieni invasori o per lasciare nelle loro mani il destino della specie umana nel caso di una guerra nucleare tra Massimo Ciavarro e Barbara Chiappini. Se un tempo le più grandi insidie che si nascondevano nel World Wide Web erano le email di spam dai titoli e testi inequivocabilmente tradotti tramite i potentissimi algoritmi di Google Translate (mi è sempre piaciuto immaginare che nei loro server ci siano in realtà delle scimmie che provano a battere a macchina discorsi del 1989 tra Alfonso Signorini e Lory Del Santo sotto l’effetto del Rufilin ad una festa a casa di Umberto Smaila) oggi dobbiamo difenderci quotidianamente dall’impulso irrefrenabile di scoprire quali siano le “10 cose che solo una sorella con un fratello maschio può capire” (che supercazzola di classe), le “6 barzellette che fanno ridere solo nel Paese d’origine” o scoprire che la nostra vita è stata tutta una bugia dopo aver visto “23 modi di allacciarsi le scarpe che vi faranno risparmiare TEMPO” (tempo che si accumula con quello risparmiato per aver scritto “ke” e “xkè”). E così, il mio pensiero va, tra gli altri, anche a Cristoforo Colombo, alle cronache del finire del 1500 e agli strilloni dei bassifondi di Pollena Trocchia: “Navigatore INCIAMPA in un nuovo continente, quello che succede è SBALORDITIVO!!!”; “Questa è l’India o l’America? Non crederai ai tuoi OCCHI” e “Schiaccia l’uovo all’estremità: quello che succede è SORPRENDENTE!!!”. Buona sessione.


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iamo sommersi dalle serie televisive, siamo in piena età dell’oro dello streaming. Incollati alle TV o agli schermi dei nostri portatili, assistiamo stagione dopo stagione alla manifestazione della nostra storia preferita, sviluppiamo un gusto sempre più critico sulla singola puntata per poi lanciarci in una considerazione puntuale e ardita sull’intera stagione. Sì, le prime stagioni a cui si pensa al giorno d’oggi sono “la prima, la seconda, la terza, etc.”, non più le care vecchie “primavera, estate, autunno, inverno”. Il pubblico che assiste alle serie tv si è notevolmente ampliato per fasce di età, di reddito, di spessore culturale. Si osservano, fra i più addicted a questo recente exploit di visione a singhiozzi, a strisce di narrazione, alcuni tipi umani che mi permetto di elencare qui di seguito senza la presunzione di esaurire le categorie esistenti e che probabilmente porteranno nuova linfa agli studi psicoanalitici sui soggetti deviati (‘sta roba delle liste va così di moda al giorno d’oggi):

1- Il Linguista. Guarda le serie tv solo in lingua originale e poi decide di volta in volta se punirsi o meno con l’uso di sottotitoli in madrelingua o in cirillico. Mal sopporta il Patriota. 2- Il Patriota. Aspetta con pazienza che esca la puntata in italiano e se la gusta con i tragici doppiaggi privi di qualunque inflessione diatopica, artificiali e a volte persino fuori-sincro, ma almeno capisce tutto e non deve leggere né sub-ita né sub-urss. 3- Il Suggestionabile. Viene trascinato nella vicenda. Sente di farne parte e inizia ad interagire col mondo esterno come se fosse un personaggio della serie. 3-bis- Il Suggestionabile Allucinato. Parla dei personaggi della serie tv come se fossero suoi amici o parenti, interagisce con loro mentre li sente parlare dallo schermo, fa loro domande, e loro gli rispondono. 4- L’ Aleksej Grigor’evič Stachanov. Si chiude in stanza, doppia mandata alla porta, sino a che non sono finite tutte le stagioni della serie tv che deve recuperare. Me lo vedo già… a girare per casa portando come un vassoio il computer portatile. 5- L’Ingordo. A differenza dell’Aleksej Grigor’evič Stachanov, che deve recuperare stagioni e stagioni non vissute, l’Ingordo vuole vedere la stagione corrente, quando è appena conclusa o quando mancano solo pochi episodi a quello finale, tutta d’un fiato, non vuole certo aspettare sette giorni fra una puntata e l’altra. 6- Il Suscettibile. La serie tv del Suscettibile è la migliore, non può essere paragonata a nessun’altra, criticata, né può esistere qualcosa di migliore. Punto e basta.

7- Il Fedelissimo dei Canali Televisivi. Vede le serie tv episodio dopo episodio nei giorni di uscita regolare attraverso i canali free e a pagamento; aspetta pazientemente settimana dopo settimana che si dispieghi il palinsesto. 8- Il Criminale. Senza vergogna né scrupolo carica 12 pagine google di episodi e scarica 35 puntate alla volta da torrentz. Discepolo del wi-fi, se ne frega della laica macchina produttiva della sua serie tv, la sua fede è la pirateria dello streaming. 9- Il Futurista. Appena terminata la stagione corre a sapere se è stata confermata la successiva. Non gli importa più nulla di quella appena conclusa, lui ormai brama la prossima. 10- Il Citazionista. Inizia ogni conversazione con la sigla della sua serie preferita e poi ti parla soltanto riportando le battute esatte dei suoi amati personaggi. 11- Il Finale Non Mi È Piaciuto. Rimane costantemente e sistematicamente insoddisfatto di ogni finale di ogni stagione di ogni serie che ha visto, non ne va bene uno. 12- Il Cahiers du Cinéma. Anche le migliori serie tv per lui sono schifezzine, specchi per le allodole, a lui tutta questa moda non interessa. Vede solo film tra gli 80 e i 120 minuti e poi se ne va a dormire, è finita lì, Yo Bitch!, democracy is so overrated. E poi lo senti, mentre ti dice di considerarsi un realista, che siamo tutti oggetti che inseguono l’illusione di avere una personalità… Ma sì, ma sì, alla fine le guarda anche lui, solo in Full HD, il furbacchione! And now his watch is ended.

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Che schifo crescere

Le implacabili sfide della categoria socio-sindacale chiamata “giovani adulti”

di Dondolans

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o schema della vita, la natura tribale insita in ciascun uomo, donna o studente universitario del XXI secolo – un’epoca in cui i miti non esistono più, il concetto di comunità è vuota retorica, le ideologie sono cadute con la Cortina di Ferro e vince sempre il voto moderato – impone una serie di riti di passaggio dalla gioventù all’età adulta. Lo stadio precedente, quello da bambini ad adolescenti, era segnato dal primo superalcolico o dal primo limone sotto scuola - dal primo spinello se eravate particolarmente trasgressive. [Il mio momento topico è stato quando ho deciso di dare l’addio ai miei amici immaginari con cui passavo i pomeriggi per iniziare a uscire a prendere il gelato con le mie compagne di classe. Avevo 14 anni e forse era anche ora. Per ulteriore bibliografia sulla sociopatia clicca qui] Ma da adulti è un’altra storia. In un’età X compresa tra i 21 e i 26 anni le responsabilità si moltiplicano, i riti di passaggio perdono il colore sgargiante dei cocktail in discoteca per assumere la tonalità grigio-verde delle pareti della banca in cui siete a fare la fila, il nero dell’inchiostro con cui dovete compilare documenti, il bianco dello sfondo della fotografia che allegate al curriculum. Mentre il nostro spirito infantile vibra chissà dove, in fondo alla nostra anima sorgono delle domande. Sta proprio qui la sfida del crescere. Sapere accettare i NO. La risposta no, negazione assoluta, paletto imprescindibile per poter dire un giorno “Io ce l’ho fatta. Ho superato quella fase idealista dei vent’anni in cui tutto mi sembrava possibile. Ho accettato le durezze della vita.” - NO. Non puoi inviare una foto di gattini raggomitolati al posto del curriculum. A meno che non abbiano le macchie del pelo che formino il QR code del vostro profilo LinkedIn, quelli delle risorse umane non si inteneriranno. Stessa cosa vale con pulcini, cagnolini, blatte e altre varie ed eventuali, a seconda dei vostri personalissimi gusti zoologici. - NO. Portare una nota firmata dai genitori in ufficio non servirà. Belli i tempi in cui andare a fare quattro chiacchiere col

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preside era la cosa peggiore che poteva capitare? Beh, se avete perso un contratto firmato gettandolo insieme alle tovagliette della mensa nel bidone dell’indifferenziato non ci sono libretti delle giustifiche che tengano. - NO. Obama e l’NSA non intercederanno per la vostra relazione a distanza portata avanti su Skype. Skype è un luogo mentale. Il buco nero dove tutti i rapporti umani tendono a concentrarsi mentre i soggetti interessati si sparpagliano per il mondo. La vita moderna si basa sulla disgregazione sociale, sulla globalizzazione delle opportunità, sull’ “Amore, ho trovato lavoro a Boston, parto tra due settimane, ma tranquill*, ci vediamo comunque una volta al mese.” Tanto nel frattempo c’è Skype. [Forse Edward Snowden si commuoverà ascoltando le vostre lamentele nostalgiche. O forse un gruppetto di senior analyst della CIA commenterà con ilare sarcasmo «guarda che sfigata quella là, invece di cuccare mentre è in Erasmus passa le serate a chiamarsi col tipello che palesemente non la calcola». ] - NO. Non potete nutrirvi per sempre di noodles disidratati. Sono buoni, sono deliziosi e nutrienti. Sono il cibo di chi non ha tempo né voglia di cucinare. Sono il frutto di una mente diabolica e geniale, per cui purtroppo non c’è spazio nel vostro futuro. Un po’ come per il kebab. Un giorno, il loro dolcissimo sapore di barbecue artificiale dovrà essere sostituito da pomodori, zucchine e altre cose tanto salutari quanto sbattose da preparare. Che schifo, crescere. Che schifo pensare al lavoro e all’indipendenza economica, che schifo concepire l’amore in modo maturo e consapevole, che schifo cucinare roba che contenga vitamine. Io non ci sto. Io mi ribello. Lasciatemi a fare disegni stupidi sulle tovagliette della mensa, lasciatemi limonare sotto scuola e allevare gattini senza QR code. Che il trauma l’ho già vissuto quando ho dovuto salutare gli amici immaginari, mi basta e mi avanza.


Quando guardi troppo a lungo l’abisso, l’abisso si fa i selfie con te di deboroh lovebol

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er quanto siamo diventati sconnessi e interconnessi, certe verità fanno male e basta. Tutti quelli che ami prima o poi moriranno; sia che in amore che negli esami 18 è solo un numero; quella sera nel lettone papà mamma e Zio Antonio non stavano giocando a fare la lotta; c’è gente che è andata più di tre volte da Barbara d’Urso volontariamente; il coming out di Ellen Page. Faranno sempre male. Però l’uomo è un animale sociale che ha bisogno di sapere per vivere; più dell’acqua e più del sole, il motore del progresso umano è stata una sete di conoscenza senza compromessi. E arrivi al punto in cui devi superare le colonne d’Ercole della morale e capire cosa passi per la mente dello spettatore medio di Canale5. Speranzosamente un proiettile, ma stiamo cauti con le dichiarazioni. (Naturalmente scherziamo Sig. Agente, Rete4 spacca e Colorado è divertentissimo, ora metta via la pistola). Tutto questo per dire che esistono verità scomode che non dovrebbero mai essere portate alla luce, ma che in quanto umani è nostra necessità intrinseca sondare. E poiché fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza, io e un mio collega siamo andati a fare il pubblico in quell’Atlantide della coscienza umana nota ai più come “Pomeriggio Cinque”. LE NOSTRE SCOPERTE: Cologno&Affini: La terra del progresso, e a 30anni di distanza gli anni ’80 fanno finta di non essere finiti. Accolti da asfalto e afa, lo smog ci ricorda che il sogno italiano non si è interrotto, la crisi non esiste, i ristoranti sono pieni e le tette della Marini sono vere. In linea con il luogo, gli abitanti hanno ancora l’avvenire negli occhi; credono nei sogni, nella ricrescita, nei lettini abbronzanti e nelle pensioni d’invalidità regalate dallo stato. Improbabili 30enni impomatati e arzille 60enni si accalcano davanti all’entrata della Mediaset, pronti ad imbarcarsi con noi in questa avventura. Gli interni: lo studio di Pomeriggio5 è un buco e sembra grande solo grazie a giochi di inquadrature oblique. Per noi “fuori target” (troppo giovani o troppo komunisti per essere ripresi) esiste una minitribuna appena fuori dalla visuale delle telecamere, che ci lascia assistere alla funzione senza che i nostri bei visini

turbino le casalinghe in ascolto. Lo scalda Pubblico: un tipo pelato e fattissimo riciclato da qualche sobborgo di Caracas/Colorado che cerca di intrattenere e istruire il pubblico prima che arrivi lei. Lei: la Regina, Barbara d’Urso. È quando entra in studio che la realtà ci colpisce più forte di ItaliaCorea 2002. Il vaso di Pandora è aperto. Non è una Milf. Ha le rughe, la panzetta, è bassottella e dimostra perfettamente tutti gli anni che ha. Sotto la luce giusta sembra pure Moreno. La puntata va come deve andare, con interviste ai vecchi di un paese riguardo uno scandalo, gente che piange e altre cose che il mio cervello ha rimosso insieme a ¾ del suo contenuto. Non importa, ormai la nostra vita è in frantumi: sia perché la quantità di cagate a cui abbiamo assistito ci ha abbassato il QI di una quarantina di punti sia perché abbiamo scoperto che B. è la versione femminile di Berlusconi. È una professionista e il suo temperamento di ghiaccio le permette di regnare incontrastata nello studios di cui è regina. Se fossimo nell’universo di DragonBall avrebbe un’aura potentissima. La diretta finisce, si fa un paio di selfie con il pubblico e se ne va senza dire una parola in più del necessario. Un ragazzo che era con noi si lamenta di non essere riuscito a farsi una foto con lei neanche questa volta: era la terza volta che partecipava alle registrazioni e ci teneva tanto, c’era andato così vicino. Prima di condividere la sua triste sorte e perdere ciò che resta della nostra anima, ce ne andiamo. Sia mai che l’ottimismo ci pervada e ci tesseriamo a FI. *Cazzate, volevamo il trash e basta. Non esistono giustificazioni per quello che abbiamo fatto, ma assistere PER DAVVERO ad una puntata di Pomeriggio5 è stato abbastanza. Abbiamo ricevuto la nostra punizione, lasciateci marcire in pace.

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Mikasa es tu kasa

Un altro capolavoro firmato Ken in Black di Barbie passione Giornalismo

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a vita di Barbie (Barbie Stilosa) e Ken (Ken Boy) scorre monotona, tra gli acquisti al supermercato di lei, le attese di infiniti cinque minuti di lui. Ma la routine è destinata a spezzarsi: un inaspettato incontro con una vecchia conoscenza, Ken TVB. Tra chiacchiere e convenevoli, Ken lo invita a casa sua a bere una tisana depurativa alle erbe, nonostante le ricalcitranti proteste di Barbie. Ma non si presenta solo: con lui c’è sua cugina Mikasa, bassa di statura e d’origine giapponese. La ragazza è molto timida, e rimane turbata dall’esuberanza di Ken che, del tutto privo di inibizioni, le si accosta a torso nudo e le incute timore dall’alto della sua stazza da macho. Ma le apparenze ingannano, e chi appare introverso e impacciato può rivelarsi una belva assetata di sangue. E, in un attimo, quella giornata iniziata con una noiosa spesa alla Lidl svela le celate, inaspettate insidie. Riuscirà il nostro eroe a trionfare sulla nipponica? La casa di produzione Ken in Black non si arresta mai, regalandoci un nuovo e sensazionale splatter dal gusto domestico: la pluripremiata regista Moe Chan Paw ha voluto intrecciare vita vissuta a vita inventata, realizzando una storia che mette in discussione l’io interiore e ci pone davanti a inquietanti interrogativi esistenziali: chi siamo noi di fronte alle armi di una giapponese formato mignon mentalmente instabile? Perché, se le bambole non possono mangiare, Ken protesta di fronte a una coscia di pollo in quanto veggy? Perché Barbie va a fare la spesa vestita da gran galà, con un turbante pieno zeppo di brillanti e una collana che pesa 2 kg? Una pellicola che consacra ancora una volta il talento di attori navigati. Lui, la stella del palcoscenico, l’uomo che non muore mai vestito: il sunsilkdipendente Ken (capelli impeccabili anche durante i combattimenti

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contro gli assassini che tentano ripetutamente di ucciderlo) si contraddistingue dalla massa per una certa ironia e irriverenza nell’osservare il mondo, uniti a un’inconfondibile saggezza dal gusto popolare: «Can che abbaia non piglia pesci!». L’esibizionismo che lo caratterizza mette in mostra il suo fisico (del resto, non ha nulla da nascondere... soprattutto nei pantaloni) e le sue capacità atletiche e contorsionistiche (indiscutibile l’abilità nel ruotare il capo di 180°, esorcista style). Accanto a lui di certo non sfigura Barbie, tiranna della casa, sempre pronta a mortificare il povero marito (soprattutto nella scena in cui Ken si ripresenta a Mikasa nelle vesti di Sailor Moon). Tra le vecchie glorie si può annoverare anche il maggiordomo Carlo Conte, che assomma nella sua figura l’omonimo e noto presentatore del quiz televisivo L’eredità e, allo stesso tempo, il personaggio di Chang, tratto da un altro grande capolavoro del cinema italiano: la webserie The Lady, magistralmente diretta da Lory Del Santo (celebre la battuta: «Signora, c’è un uomo per lei», «Chi?», «Un uomo»). Richiami, citazioni, riflessioni sulla precarietà dell’esistenza, colori e scintillio: tutto si intreccia come in un tessuto prezioso, andando a comporre un film sapientemente costruito nella raffinatezza del dialogo, nelle inquadrature mozzafiato, nella scavata psicologia dei personaggi. Tutto concorre a raccontare la storia di un uomo che ci insegna il mito della bellezza, indissolubilmente legata alla caducità.


PROSPETTIVE OCCUPAZIONALI di Alma Laurea

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on c’è giorno che, aprendo un giornale o il sito dell’Ansa, non legga titoli disperanti sulla situazione economica del Paese. Ad esempio, oggi: «Solo tra quindici anni torneremo ai livelli pre 2007». C’è crisi. Nel caso il Job’s Act di Renzi non dovesse funzionare, abbiamo davanti un po’ di anni in cui saremo a spasso. Ma siccome la necessità aguzza l’ingegno e la laurea potrebbe non servire, ho scandagliato l’Internet per trovare impieghi che non richiedessero competenze troppo specifiche e che assicurassero uno stipendio sopra la soglia della decenza. Naturalmente la maggior parte è all’estero, in Paesi ricchi tipo Giappone, Stati Uniti e gli altri Stati dell’Europa. Ma bisogna essere flessibili. Visto che la solidarietà è tra i miei difetti, ho pensato di farvi una panoramica delle mie ricerche. Redattore di recensioni false Credetemi, sono ancora in dubbio sull’adeguatezza di questa segnalazione. Tuttavia è in cima alla mia lista perché di tutti è l’unico impiego che si può esercitare anche in Italia. Comunque la vostra coscienza non mi riguarda, quindi vi faccio presente che con l’esponenziale aumento delle vendite online questo profilo è abbastanza richiesto. Insomma, là fuori trovate diverse aziende che si servono di Ebay e Amazon disposte a servirsi anche del vostro contributo. Damigella professionale Ahah, e invece io lo farei. È una figura appena nata e piuttosto di nicchia, ma del resto il business dei matrimoni è in espansione, come appare lampante guardando RealTime quattro ore di seguito. I requisiti sono più che altro doti naturali, quali bella presenza, un po’ di spigliatezza e prontezza di spirito se trascinata sulla pista da ballo. Si può fare domanda su bridesmaidforhire. com. Impiegato in un Soineya Se non avete qualche conoscenza base del Giappone, non

capirete questo genere di lavoro. Comunque, un Soineya è in pratica un bar o un club dove un cliente paga per avere coccole (letteralmente, “negozio per dormire insieme”). Chi ci lavora deve fare compagnia al cliente mentre lui dorme, controlla lo smartphone, ecc. Carezze sulla testa o braccio intorno al collo e simili sono tutti servizi addizionali (con maggiorazione sul prezzo). Per farvi un’idea, un turno va di solito dalle 15 alle 22 e lo stipendio è di 45$ l’ora. Fan per eventi sportivi Vi dico subito che il compenso può arrivare ai 2000$ per evento. Il compito è quello di fare il tifo e animare la folla; è ben accetto anche dipingersi il volto con i colori della squadra e indossare la divisa. Essenzialmente una mascotte camuffata. Per ovvie ragioni questo tipo di lavoro non può essere esercitato in Italia. Per chi proprio volesse, c’è una versione nostrana per eventi politici. Riempiposto nelle file Anche per questo impiego bisogna uscire dall’Italia. Consiste nell’aspettare in fila il proprio turno, ovviamente al posto di chi vi ha assunto. Semplicissimo. Meteorologo del fogliame Dulcis in fundo. Quasi quasi stavo per non divulgarlo. Scrivete Vermont su Google immagini e capirete il mio egoismo. Questa professione, infatti, la si trova solo in pochi Stati, come nel Vermont (USA). I boschi caratteristici di questa regione alimentano un turismo multimilionario, che si concentra soprattutto durante l’autunno, quando le foglie cominciano a cambiare colore. Per questo servono degli addetti che aiutino a monitorare lo stato del fogliame e comunichino le sue varie gradazioni di colore, in modo che si possano redigere delle mappe per i turisti. Francamente non mi sono informata sul compenso. Se mi prendono, parto domani senza ripensamenti e passo la vita tra le colline del New England.

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Minchia, che varianti! Di Wichser Zweihänder

Riflessione nata alla domanda di una professoressa (di cui manteniamo l’anonimato per dubbie ragioni) su quale termine regionale utilizzino ora i ragazzi per dire minchia.

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tando all’enciclopedia universale del sapere Wikipedia, la minchia «è n’accezioni vulgari pi definiri l’òrganu ginitali, zoè lu peni». Che cosa significhi non c’è bisogno di spiegarlo, ma perché si usi questo termine e da che cosa derivi è forse meno noto. L’etimologia più comunemente accettata fa derivare il termine meridionale minchia [‘minkja] dal latino volgare mencla (mentula), che significa appunto ‘cazzo, verga, pene’. La testimonianza sembra dunque diretta (già in latino il termine risulta, inoltre, essere pregno di una certa carica offensiva e oscena). Altri vedono invece nella radice del termine il verbo mingere (se non avete mai sentito parlare di ‘minzione’, fatevi una cultura!), per cui in questo caso avremmo una derivazione parzialmente traslata, lo strumento per l’azione. C’è chi poi (se per i termini precedenti posso affidarmi ai grandi dizionari di lingua italiana, questa è una suggestione che si muove invece su piani differenti) apparenta la minchia al dio egizio della fertilità Min, una sorta di Priapo mummificato con un’enorme pene in erezione (simbolo appunto della fertilità). E questa di far derivare il ‘cazzo’ (forse dal latino cattia, mestolo) dagli dèi è una usanza che trova i suoi frutti anche tra gli antichi liguri, che in onore del dio protoceltico Belanu (chi non ricorda l’urlo di battaglia di Obelix, “per Belenos!”?) lo ricordano in ogni frase (belin di qua, belin di là). Per onor dell’incertezza, ricordo che alcuni fanno derivare belin da un’espressione in accadico, bel +innu, che tradotta in soldoni, significa ‘nostro signore’ (ricordate Baal?),

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«probabilmente incrociato con bêl bêlim ‘Signore dei Signori’» (da Wikipedia): una vera e propria bestemmia (io, se mi danno del ‘cazzone’ non lo prendo come un complimento, figuriamoci una divinità babilonese). (Tra parentesi, se a qualcuno interessasse, il giorno giusto per copulare è il venerdì: le lingue romanze hanno mantenuto il collegamento con la dea Venere, mentre quelle germaniche ricordano la dea dell’amore e della seduzione Freyja, abbozzata come ninfomane da Loki.) I corrispettivi estremamente settentrionali di minchia e belin (sia come ‘pene’ che come insulto, nelle varie costruzioni, ma non come intercalare) sono vari. Il più noto a Pavia è imparentato con ‘prillare’, far girare come una trottola, ed è una parola fortemente onomatopeica: pirla. L’insulto è qui però non derivato dall’accezione sessuale del termine, ma è una deverbalizzazione («colui che gira a zonzo»), e a dirla tutta non so nemmeno quando abbia assunto il significato fallico. Bigolo e picio sono ancora molto utilizzati (ricordiamo anche i bigoli e i pici, simili agli spaghetti), entrambi con un significante che richiama nitidamente il significato, e dalla regia ricordano ciolla (ormai timido intercalare che i nonni tuttora temono) e il più toscano nerchia. Potremmo andare avanti per ore, solo in italiano esistono più di duecento modi di chiamare la ‘passerina’, o la ‘fica’, se preferite, altro termine di derivazione chiaramente latina (il fico è uno dei pochi frutti che dal latino all’italiano si trasforma in maschio, ossia da sostantivo neutro a sostantivo maschile, al contrario degli altri più comuni: pera, mela, pesca, albicocca, ciliegia, …) Lo so, è un argomento un po’ del cazzo (*ba dum tsss*).


DIARIO DI UNA HOSTESS PERBENE di Penny V.

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e esigenze di una ragazza poco più che ventenne non sono sempre facili da soddisfare: il lavoro dei sogni; un uomo che non sia proprio da buttar via; mangiare cioccolato fino allo sfinimento potendo comunque vantare un corpo degno di un angelo di Victoria’s Secret; possedere un armadio delle scarpe grande quanto la piramide di Cheope e poter gustarsi ogni giorno un pasto pantagruelico. Purtroppo per le giovani studentesse poco più che ventenni, le prime tre cose non si possono comprare… per tutto il resto c’è l’Ateneocard. O la Superflash, o la Postepay, insomma, quelle miserrime prepagate sulle quali ogni mese dei tirchissimi genitori, più genovesi di una focaccia, caricano la paghetta. E noi, povere shopaholic o ristoranteholic, lì a sbavare sulle vetrine delle migliori borse in nappa della città o su 1kg e mezzo di tagliata argentina lardellata. Cosa fare per poter uscire da questo girone infernale? L’unica soluzione è googlare ossessivamente e quotidianamente: “ lavoro part time a Pavia”. Così, due anni fa, io, giovane laureanda disoccupata e ventenne, decisi di iscrivermi al sito: “CercaHostess”, opzione che, in quel momento mi era sembrata la più comoda e remunerativa. Caso volle che la creazione del mio profilo fosse capitata in un momento in cui la mia autostima avesse raggiunto livelli astronomici, il che mi spinse a riempire anche la casellina “modella” (falsificando spudoratamente la mia altezza) tra i gli impieghi di cui ero a caccia. Neanche a dirlo, nei due anni successivi mi pentii amaramente di questa scelta. Mi basterà dire che non ho accettato nessuna delle proposte che mi sono arrivate. Praticamente infinita la lista di moderni maniaci, o meglio, “fotoamatori”, alla ricerca di una ragazza per foto di nudo o di intimo in casa loro o, peggio, nel loro studio. Non so a voi, ma a me faceva tanto Jack lo Squartatore. Quasi innumerevoli le proposte “per una cena di lavoro”, o

per “vacanza in California come ragazza immagine“, traduzione: escort. Tra le più allarmanti è stata la richiesta di partecipare ad un provino per la casa cinematografica Redmovies. Solo che, in questo caso, la cosa davvero allarmante è stata la mia ingenuità nel non collegare le parole Red e Movies a dei film porno, più che il soggetto stesso del provino. La performance richiesta per poter diventare la star del cortometraggio era la pratica di sesso orale, “anche mascherata o travestita per coprire il volto” per un totale di 250 euro. Ma il nostro cabaret dello squallore non finisce qui, signore e signori, credo di aver veramente deciso di cancellare il mio account quando mi è stato proposto di posare come modella per un servizio fotografico a tema: Shibari-Kimbaku. Curiosa e, più tardi, inorridita, mi sono trovata a scorrere tra i risultati della ricerca di Google: immagini di donne completamente nude, insalamate peggio di un cacciatorino e penzolanti dal soffitto, descrizioni dell’arte del bondage erotico giapponese e inchieste su ragazze morte strangolate per l’uso di questa pratica. La mia avventura di hostess/modella si è quindi conclusa prima ancora di essere cominciata, il bilancio della mia esperienza è disarmante. L’unica offerta che mi è stato possibile prendere in considerazione è stata quella di lavorare come guardarobiera al Festival della carpa. Avvilita e ferita nel mio orgoglio di donna, ho eliminato ogni mia informazione personale presente in quel ricettacolo di erotomani squilibrati. L’anno successivo ho deciso di fare la babysitter.

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Inchiostro a volontà X edizione

IA NOTIZ RIA A N I D R STRAO o s o l o v a f l i e t ar Ad ottobre rip o di i r a r e t t e l o s r o strepitoso conc Inchiostro! esti r t o p e , u t e h Partecipa anc art m s o n u , i n i m d vincere un ipa i! r b i l o n o u b n u box per due o denti, u t s a o t r e p a è Il concorso andi, z z li ia c e p s ricercatori, niPv. dottorandi dell’U

rizione c s ’i d li u d o m i Il bando, saranno o s r o c n o c l e d e il tema e su r b o t t o a pubblicati .it inchiostro.unipv

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Nel frattempo, godetevi le meritate vacanze! :D


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