Inchiostro n°151 - Dicembre/Gennaio

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Dicembre 2016 Gennaio 2017 N.151

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia

INTERVISTA UNIPV Ma come abbiamo scoperto che Babbo Natale non esiste?

CONCORSO LETTERARIO

THE AFTERLIFE

Come preparare un autentico BigMac

“La vita dopo” di Donald Antrim

Leggere “Inchiostro” può creare dipendenza. Se ne consiglia pertanto la lettura a tutti, studenti universitari compresi. Seguici anche su Facebook, Twitter e Instagram.



INCHIOSTRO -SINCE 1995-

IN QUESTO

NUMERO Inchiostro, anno XXI, # 151, dicembre 2016 - gennaio 2017 è un’iniziativa realizzata con il contributo concesso, tramite ACERSAT, dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia, nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti.

Fondi ACERSAT 2016: 6916€ Registrazione n. 481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 13 febbraio 1998 Sede legale: via Mentana, 4 - 27100 Pavia

Direttore responsabile: Giorgio Di Misa Direttore editoriale: Claudia Agrestino Caporedattori: Lorenzo Giardina e Luca Tantillo Direttore editoriale “Birdmen”: Lorenzo Giardina Responsabili social: Federico Magnani, Giorgio Di Misa, Lionella Danque, Lorenzo Giardina e Marina Girgis Redazione: Alice Parola, Amir Abid, Andrea Zefferini, Antonio Elio Caroli, Antony Bidzogo, Brigitta Collimedaglia, Claudia Agrestino, Demetrio Marra, Dimitria Interlici, Ettore Pasquinucci, Federico Magnani, Gabriele Citro, Gianluca Gioetti, Giorgio Di Misa, Jessica Vercesi, Lisa Martini, Luca Arfini, Luca Ieranò, Luca Tantillo, Ludovica Petracca, Marco Corzieri, Noemi Nagy, Sebastiano Lavecchia, Sebastiano Quai, Sofia Frigerio, Antonio Emmanuello e Valentina Fraire Collaboratori esterni: Barbara Palla, Elisabetta Gri, Francesco Pedroni, Niki Figus e Sandra Innamorato Grafica ed illustrazioni: Carlo Maria Rabai, Danny Raimondi, Marina Girgis e Valerio Marco Ciampi Video making: Giorgio Capponi e Giorgio Di Misa Correzione bozze: Antony Bidzogo, Claudia Agrestino, Lorenzo Giardina, Luca Tantillo, Ludovica Petracca e Silvia Bernuzzi Pubblicato online il 19/01/2017

Info? scrivi a inchiostropavia@gmail.com

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Davvero non esiste? di Valentina Fraire

Caro Babbo, ti scrivo... di Antonio Elio Caroli

Concorso Letterario

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1° Classificato: Fabio Riccardi

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Canto di Natale

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di Antonio Emmanuello

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L’altro Natale

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di Ettore Pasquinucci

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Da “ho ho ho” a “Dlin-Dlon“

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LSD - La vita dopo

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Pacco di Natale

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Il colera al tempo del Natale

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di Luca Tantillo

di Sofia Frigerio

di Antonio Emmanuello di Giorgio Di Misa

Il Natale ai tempi di Trump I di Niki Figus


Mercoledì 16 ottobre 2016. Stazione di Pavia. Cielo soleggiato, freddo becco. Binario uno, treno S13 destinazione Milano Bovisa. Cerco un posto libero, lo trovo. Accendo il PC. L’ho portato con me per un preciso motivo: non avrei altri ritagli di tempo per scrivervi. Mi aspettano una decina di ore in redazione anche oggi. La vita dello stagista: un rapporto osmotico a scadenza (nel mio caso di durata mensile) tra desideri e realtà. Per la cronaca: mi occupo di sport, precisamente di calcio. E da una decina di giorni i ragazzi di Telelombardia, redazione Top Calcio 24, sopportano le mie ambizioni. Oggi è il mio ottavo giorno di gloria, in cui posso dare concretezza ai voli pindarici cullati negli anni universitari. Che cosa c’entra con «Inchiostro»? Di pancia vi direi tutto, a mente fredda dico molto. Inizi come redattore semplice, se sei bravo diventi caporedattore, la tenacia ti porta alla direzione editoriale, l’esperienza ti consacra responsabile. Ve l’ho banalizzato molto, ma il percorso dei volenterosi è questo. «Inchiostro» è una grande simulazione del mondo dei grandi. In fondo, non c’è molta differenza tra le prime riunioni in via Paratici e quelle che potresti fare in una redazione “vera”, se non il tempo che ci passi e il differente grado di esperienza che sussiste tra un gruppo di universitari volenterosi e uno di giornalisti consumati. Prima vi dicevo che nella mia storia «Inchiostro» c’entra molto, ma non tutto. Nella mia crescita personale ha pesato anche l’esperienza fatta nella web-radio dell’Università: di fatto mai avrei potuto pensare di confrontarmi coi volti della TV oggi, senza conoscere già le regole della comunicazione solo verbale. Se “da grandi” vorreste fare i giornalisti, carpite adesso tutto il “non-accademico” che il contesto universitario

può darvi, «Inchiostro» ma non solo, e fatelo vostro. E appuntatevi queste tre parole da mandare a memoria: disponibilità, serietà, coraggio. Siate disponibili nei confronti di coloro che sono più esperti di voi all’inizio e non dimenticate di esserlo nemmeno il giorno in cui sarete passati dalla parte in cui siedono i direttori. Siate seri in quello che fate, ma non prendetevi mai troppo sul serio come persone. E siate coraggiosi. Avete un’idea brillante? Proponetela! Non vi piace qualcosa che è stato proposto? Manifestatelo! E quando vi sentirete sufficientemente bravi, non abbiate paura del cambiamento. «Inchiostro» è nato come valvola di sfogo creativo per iniziativa di alcuni studenti di teatro del nostro ateneo ed è una buona culla per le vostre ambizioni: quando queste sapranno camminare da sole, seguitele. E se non credete fino in fondo a quanto vi ho detto finora, mettete le mani nel nostro archivio e date un’occhiata alle interviste fatte agli “Inchiostri” del passato che hanno fatto grandi cose una volta conclusa la parentesi universitaria. Sono molti e non è un caso. Non guardateli con disincanto: sono più vicini a voi di quanto possiate pensare. Stazione di Milano Lancetti, tra poco devo scendere. Ringrazio tutti coloro che ci sono stati prima di me e voi, che ci siete adesso. Lascio il timone della responsabilità legale nelle mani sicure di Giorgio. Ora mi appresto a iniziare un’altra giornata vincente, che senza «Inchiostro» forse non avrei mai potuto vivere. Stazione di Milano Bovisa, a due passi dalla sede di Telelombardia. Ciao ragazzi. Simone


UNIPV

Ma a

come come, davvero davvero non non esiste esiste?

di Valentina Fraire

Mi hanno detto che Babbo Natale non esiste. Subito ovviamente non ci ho creduto. Come si fa a dare peso a un’affermazione simile? Poi mi sono ricordata che studio all’università, che vivo fuori casa da più di un anno e che ho smesso di giocare con le Barbie da circa un decennio. È arrivato il momento. Non ho mai smesso di scrivere la letterina, forse non volevo crederci, arrendermi all’evidenza, concepire il fatto che, per i primi dieci anni della mia vita, i miei genitori e, quindi non adulti qualsiasi, mi abbiano mentito. Sembra assurdo che proprio le persone a cui è affidato l’arduo compito di insegnarti l’educazione, siano quelle che per prime instaurano nella tua vita una sorta di rituale, una farsa che ti segnerà per sempre. E tu inconsciamente la tramanderai ai tuoi figli. Pazzesco. Non possiamo negare che, per quanto oggi ci possa sembrare un’assurdità, credere in Babbo Natale sia stata una delle cose più belle che ricordiamo della nostra infanzia. Vorremmo ancora crederci. In particolare quando siamo nel periodo dell’anno in cui la città comincia ad addobbarsi di lucine colorate, quando le vetrine di tutti i negozi si riempiono di ghirlande, quando le bollette della luce raggiungono i valori massimi (no, forse questo non è un punto troppo a favore). Vorremmo tornare a quell’epoca in cui se volevi una cosa ti bastava scriverla in bella grafia su una letterina firmata…e se poi non la ricevevi il 25 dicembre, non facevi altro che dare la colpa a Babbo Natale, al fatto che in Finlandia non vendessero quel giocattolo o semplicemente che Lui doveva fare i regali a tutti i bambini del mondo: “non può avere così tanti soldi e ricordarsi così tante cose!”. (Può darsi che il tuo camion dei pompieri della Lego oggi sia nelle mani, o meglio nella soffitta, di un universitario in Danimarca. Per questo esiste l’Erasmus.)

Ma Ma come come abbiamo abbiamo scoperto scoperto che che Babbo Babbo Natale Natale non non esiste? esiste? C’è chi, come Klea (economia) non ha mai creduto in Babbo Natale. A causa di una diversa cultura forse, in fin dei conti la tradizione del vecchietto vestito di rosso non appartiene a tutti gli Stati e cambia da territorio a territorio… esistono rituali diversi anche in città confinanti! La maggior parte di noi è stata “aiutata” dai compagni di classe, come raccontano Enrica (economia) e Beatrice (psicologia), che conservano ancora istinti vendicativi nei confronti di coloro che hanno, violentemente, svelato il mistero dei regali sotto l’albero. Maura (Aiesec Pavia) invece, con spirito investigativo, all’età di 10 anni non si accontentava di credere o meno in Babbo Natale, ma voleva delle prove concrete che confermassero la sua teoria: un giorno si intrufolò nello studio del padre, frugò tra i documenti nei cassetti, curiosò tra i suoi effetti personali e, come Sherlock Holmes insegna, le sue indagini ebbero un esito positivo. Trovò le letterine che per anni lei e suo fratello avevano accuratamente scritto e decorato, scoprendo che, ahimè, non avevano mai raggiunto il Polo Nord. La piccola investigatrice si recò poi con fare minaccioso dai genitori che, anche di fronte all’evidenza dei fatti, tentarono ancora una volta di convincerla dell’esistenza di Babbo Natale. Volevano convincere lei o loro stessi? Casi più traumatici, come ci racconta Sabrina (psicologia), si hanno quando viene scoperto l’inganno pochi giorni prima del 25 dicembre. Quel magico periodo prima delle festività in cui i bambini vivono in un mondo fatato, quando si passano i pomeriggi a guardare i “film di Natale”, dai classici intramontabili che ci hanno profondamente segnato, a quelli nordici,

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UNIPV

Ma come, davvero non esiste? di Valentina Fraire

con tanta neve e un tono pacato, fino a quelli americani, in cui c’era sempre una nota di bizzarria e tante risate. Insomma, scoprire che Babbo Natale non esiste i giorni in cui Lui è protagonista di ogni nostro sogno, non è proprio il desiderio di ogni bambino. Ma a Sabrina e tanti altri chierichetti fu proprio il parroco del paese a sfatare il mito. Giovani scrittori in erba invece, convinti delle loro solide basi in materia natalizia, fecero la brutta scoperta tra i banchi di scuola. Federica (CIM), amante del genere fantasy, svolse il tema “diario natalizio” introducendo come episodio centrale, l’atterraggio di Babbo Natale con la slitta sul tetto di una casa, convinta che non fosse un elemento tanto strano, sicura che gli altri suoi compagni non avrebbero potuto sapere che non le era davvero successo, tanto scontata era l’esistenza del nonnetto con le renne. Peccato che, la maestra, simpaticissima sottolinea Federica, si mise a ridere alla lettura del tema, commentando “Si, certo, Babbo Natale!”, con sonore risate da parte dei compagni.

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Quando invece sono i legami di parentela a suggerirti la verità dei fatti, un po’ di veleno rimane: è il caso di Nadia (psicologia) che cominciò a capire che qualcosa non quadrava dal momento in cui alla sorella maggiore venne svelato il mistero (scoperta avvenuta tramite la zia!). Era rimasta la tradizione, un’usanza come tante, ma i dubbi aumentarono sempre di più fino a quando, con la nascita del cuginetto, papà e mamma iniziarono ad affidare il piccolo a Nadia con il compito di distrarlo mentre loro posizionavano i regali sotto l’albero… Anche Antonio (scienze motorie) uscì dall’illusione il giorno in cui, dopo aver battuto il fratello maggiore alla PlayStation, per ripicca si sentì urlare, sfacciatamente, la verità.

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Francesca (lettere) prese la matura decisione, negli anni delle scuole elementari, di non smascherare i genitori e far credere loro (quanta generosità!) che al mito ancora ci credeva, nonostante il fatto di avere un camino troppo stretto affinché il robusto Babbo Natale riuscisse a entrarci e il non avere mai sentito i campanellini delle renne la notte del 25 dicembre! Più drammatico è Matteo (psicologia), il quale afferma che il Natale perse tutto il suo valore dal momento in cui scoprì che le foto in allegato alla letterina di risposta arrivata direttamente dal Polo Nord, in realtà erano tutte un fotomontaggio.

INCHIOSTRO • numero 151

I genitori si sa, non sempre sono “nati imparati” e su qualcosa anche loro hanno sbagliato: a mentire per esempio. I genitori di Laura (psicologia) non seppero cosa rispondere quando, al supermercato, la piccola chiese come fosse possibile che, in quel periodo, gli scaffali fossero così tanto ricchi di giocattoli…tanto chi li avrebbe comprati se dopo pochi giorni sarebbe arrivato Babbo Natale? Altri genitori, oltre a mentire, non seppero nemmeno nascondere il misfatto. Come quelli di Claudia (CIM) che lasciarono in giro per casa lo scontrino del giocattolo che le avevano appena regalato, o quelli di Carmen (CTF) e Ilaria (biologia) che di notte si trasformavano in folletti e incartavano e posizionavano rumorosamente i pacchetti sotto l’albero, tanto da farsi scoprire dalle figlie. In queste fasi di incarto dei pacchetti alcuni usavano rotoli di carta regalo già presenti in casa o non provavano nemmeno a camuffare la scrittura, come accadde a Martina (economia) che in questo modo scoprì l’inesistenza di Babbo Natale. Caso clamoroso fu quello di Eleonora (igiene dentale) che la notte del 25 dicembre stette male e si alzò dal letto per andare nella camera dei genitori…trovando il letto vuoto! I due erano in cantina a confezionare pacchetti. C’è chi come Edoardo (scienze politiche) versò una lacrimuccia quando scoprì l’inesistenza di Babbo Natale e chi come Davide (psicologia) ancora oggi si chiede dove siano le navicelle Lego che aveva chiesto nel ’99, ora che la scusa del “la posta avrà perso la lettera” non regge più. Ognuno reagì in modo diverso a una notizia così tragica e, a più di vent’anni, la domanda smuove in ciascuno di noi ancora molti ricordi, belli o brutti, delle modalità in cui avvenne la scoperta, lasciando sempre un po’ di amaro in bocca. E comunque, caro Babbo Natale, quest’anno una decina di CFU li accetto volentieri.


LETTERA

Caro Babbo, ti scrivo... Da bambini scrivevamo a Babbo Natale, sperando che esaudisse i nostri desideri; il mattino del 25 dicembre eravamo impazienti di ritrovare vuoto il bicchiere del latte e sotto l’albero i tanto attesi regali. In quelle lettere oltre a un elenco di desideri materiali c’erano speranze. Chi desiderava passare più tempo con i propri genitori, fare un viaggio a Disneyland e, al ritorno, se avanzava tempo, due salti sulla luna; a quell’età si pensava che ogni cosa immaginata potesse realizzarsi. Tramite le lettere il mittente poneva su carta le proprie aspirazioni, paure e desideri, per aggiornare il destinatario, un po’ come cantava Lucio Dalla: “Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’/ e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò. /Da quando sei partito c’è una grossa novità, / l’anno vecchio è finito ormai / ma qualcosa ancora qui non va”. Infatti quest’anno di “cose” che non “sono andate” ce ne sono state diverse; provo a immaginare quali sarebbero le lettere scritte dai terremotati di Amatrice in Lazio, o degli sfollati di Raqqa in Siria, migliaia di parole che si levano dalle macerie, in cerca di qualcuno che le accolga e che le trasformi da urla di disperazione a parole di speranza. Caro Babbo, forse in Lapponia segregato nella tua fabbrica, troppo occupato a sgridare gli elfi che arrivano in ritardo a lavoro, non hai il tempo d’informarti su cosa accade nel mondo. Quindi in questa lettera ti racconterò cosa hanno vissuto quest’anno gli uomini i quali, per la notte di Natale, non desiderano altro che una ragione per continuare a sperare. Dicono che in questo mondo siamo solo di passaggio, eppure alcuni personaggi che in questo 2016 ci hanno abbandonato non si sono limitati ad essere dei “passanti”: l’eco delle loro esistenze continuerà a farsi sentire negli anni a venire. Il 16 gennaio è morto David Bowie, non un eroe solo per un giorno come canta in Heroes: lo Star Man rimarrà per sempre una delle stelle più brillanti del firmamento. Appena un mese dopo è scomparso Umberto Eco il cui enorme contributo alla cultura italiana è scritto nei suoi innumerevoli saggi. Il 21 aprile, nuovo lutto nel mondo della musica con la scomparsa di Prince, estroso chitarrista dal sound funk e psichedelico che con la sua Kiss ha “collezionato” fan in tutto il mondo. A lasciarci anche colui che ha portato sul sipario la quotidianità dei quartieri popolari, buffi personaggi e grotteschi rituali, senza tralasciare la realtà politica e sociale italiana: il premio Nobel per la letteratura Dario Fo. Non solo il mondo dello spettacolo, però, ha versato lacrime di cordoglio in questo 2016: Fidel

di Antonio Elio Caroli

Castro, líder máximo, simbolo, per molti, della rivoluzione e della lotta per la libertà se ne è andato il 25 novembre. Caro Babbo, da bambini avevamo paura dell’uomo nero e ogni volta prima di andare a dormire controllavamo se si nascondesse sotto il letto. Purtroppo questa paura non ci ha abbandonato, oggi la chiamiamo Isis e ci colpisce in ogni momento della nostra quotidianità. Nelle pagine dei giornali ritroviamo quelle date, numeri della scia di terrore e sangue che gli jihadisti hanno tracciato durante il 2016. Le vittime di Istanbul (12 gennaio), Bruxelles (22 marzo), Orlando (12 giugno) Dacca (1 luglio), Nizza (14 luglio), Monaco (22 luglio), e di altre stragi nel Medio oriente che paiono non finire mai. Ancora non sappiamo con certezza quando potremo smettere di avere paura. “Ora et labora”, diceva San Benedetto 1504 anni fa, ma è tutt’ora attuale per i suoi concittadini che stanno ricostruendo Norcia dopo i terremoti che hanno sconvolto Lazio e Marche a partire dal 30 ottobre quando la terra ha tremato sotto i nostri piedi con violenza. E altri “terremoti” sono avvenuti anche nel mondo della politica. In America, l’8 novembre, Donald Trump è diventato il nuovo presidente degli USA e, non dimentichiamo i discussi referendum: con la Brexit il popolo britannico ha deciso di uscire dall’Unione Europea, mentre in Italia lo scorso 4 dicembre il popolo ha votato NO (al 60%) alla riforma costituzionale. Questi cambiamenti sono accompagnati da numerosi dibattiti e molti sono gli insicuri, gli scontenti di una realtà in continuo mutamento. Da bambini non leggevamo i giornali e se guardavamo in televisione scene cruente o notizie sconvolgenti, pensavamo si trattasse di qualche film horror ambientato ai nostri giorni, sicuri com’eravamo nelle nostre famiglie. Tutt’ora si fa fatica a credere che certe notizie siano reali, ma forse questo è un bene. Apprezziamo il nostro rimanere sconcertati e increduli, di fronte alla follia umana, come bambini che faticano a riconoscere la realtà dalla finzione. Perché questo fa di noi esseri umani che non accettano che a compiere determinate azioni siano altri umani. Da piccoli appendevamo all’albero la lettera, aspettando la mattina di Natale per vedere esauditi i nostri desideri. Oggi, con meno entusiasmo, attendiamo che l’anno vecchio ci abbandoni tra flûtes di champagne e i soliti trenini. Nessuno probabilmente crede che il mondo cambierà e non si può avere subito un mondo migliore, ma si può rincorrere l’ambizione di migliorarlo ed è questa speranza, il vero regalo di cui abbiamo bisogno.

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CONCORSO

Primo classificato - Concorso letterario - Attraverso il buco della serratura

COME PREPARARE UN AUTENTICO

BIG MAC

di Fabio Riccardi

inchiostropavia@gmail.com

Ingredienti: un panino al sesamo, salsa Big Mac, una cipolla tritata, tre foglie di lattuga tritata, una fetta di formaggio, due hamburger, due fette di cetriolini ed… ops, dovevo inventare un racconto? Lo avrei fatto, ma questo foglio mi serve per segnare le ricette. Se potessi scrivere, beh, vorrei usare una sintassi densa e nuda, vene isteriche di fragola come quelle nel dessert, ma lo specchio che riflette ogni mattina le mie occhiaie rivela solo un corpo di polistirolo sul quale banchetto cercando vita.

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Devo pensare a darmi da fare con la friggitrice e smetterla di intuire riflessi d’argento in brandelli di unta stagnola. Cerco di rattoppare la mia carta straccia quando posso, nelle ore più calme, vomitando il cuore sul foglio spengo sigarette sulle caviglie, schiaffi di levatrice o piccoli falò nel silenzio. Niente da fare. Guardiamo in faccia alla realtà: le mie parole sono inutili correnti nell’abisso sordomuto di un distributore di bibite. Così lascio perdere e di notte finisco per vagare tra le vie della mia città, in equilibrio sulla coda di un gatto, attendendo l’impulso giusto che smuova qualcosa, calpestando arcobaleni al neon riflessi su pozzanghere velenose d’olio e sale. Lungo la strada, ad ogni passo, una maionese di luce scende dai lampioni e si spalma dentro profonde rughe notturne, dove qualche ragazzino gioca a fare la rissa abbandonato a sé stesso. Alzo gli occhi, un sax sta suonando tra le palpebre cadenti di un palazzo avido di sonno. Mi siedo sul marciapiede ed ascolto in silenzio, raccolgo dall’asfalto un mozzicone bianco ancora livido di rossetto come un assorbente usato. E’ una musica nervosa, agile, piena… sbatte pallida sulla ringhiera, si incaglia sullo stendi panni; mi attraversa inseguita alle spalle da un vento moschicida per poi morire tra le grate fognarie. Un flebile messaggio d’aiuto di uno dei tanti rifugiati dentro la riserva urbana. Mi alzo, cammino verso l’ingresso e scopro che il portone è aperto, che

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fare? Decido di salire cauto le scale, un odore clinico mi investe mentre sono alla ricerca della sua porta. Da sotto gli usci serrati a doppia mandata filtra il ronzio fantasma di televisioni sempre accese, le risate gregarie mi ingannano e mi mettono i brividi, vengono spazzate via da fischi ed ovazioni elettroniche, sembrano reali, impegnate in una comunicazione vertiginosamente clandestina. Appena mi accorgo di essere vicino alla meta mi inginocchio, sbircio dalla toppa. E vedo LEI: una bella ragazza dalle labbra socchiuse, un filo di matita colorato che sfida la rigida geometria della stanza. Neppure il tempo di rendermene conto ed il suo sax si spegne di colpo, come se si fosse accorta della mia presenza dietro l’ingresso. Tremo, provo a resistere, riesco a scorgerla appoggiata ad un tavolino nero sporco di cenere, c’è una bottiglia vuota rovesciata sul pavimento ed un leone che si fa pettine tra i suoi capelli: così mi appare il suo indice, mentre si aggiusta una ciocca sfuggita sul capo che scopro essere rasato da un lato. Un colpo al cuore! mi arriva addosso come uno strappo disperato d’ingenuità. Posa la sua appendice d’ottone, china la testa dentro la palude di una tazza di caffè e sfugge


Primo classificato - Attraverso il buco della serratura

dal mio orizzonte visivo. Porgo prontamente l’orecchio continuando a sentirne i passi… che si stia avvicinando? Mi sento sciocco nel rimanere rannicchiato a pochi centimetri da lei, vorrei reagire ma appena sento le sue dita muoversi agili sullo spioncino mi blocco, provo ad immaginarle, confidenziali come le note a margine dei suoi pentagrammi, decise come i tasti su cui si esercita: è tutta una questione di diteggiatura, di equilibrio, il mio rispetto al suo per poter continuare a nascondermi. La sento occhiolare in direzione del pianerottolo, che mi abbia individuato? Le sue dita scivolano verso il basso… ho il terrore di sentire la chiave farsi strada nel mio stomaco facendo sobbalzare l’imposta. Invece niente. Eppure mi pare di avvertirla ancora più vicina, come fosse davanti a me, deve essere così: siamo divisi da qualcosa di immaginario più che un elemento reale. «Non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stata che sarebbe sembrato loro essere altro…» ha una voce leggera «… guarda che sto leggendo per te!» e sta davvero leggendo per me… il tempo di realizzarlo e non posso che sentirmi rimpicciolire fino a ritrovarmi microscopico dalla vergogna; così amabilmente scoperto indietreggio velocemente dalla porta, sguscio come una lucertola, cado su me stesso pancia all’aria rischiando di rotolare giù di pianerottolo in pianerottolo… mi aggrappo al buco della serratura per miracolo, lo risalgo con fatica e mi ritrovo a fare l’equilibrista sul gambo della chiave… NOOO NON APRIRE PROPRIO ORA! Mi siedo a cavallo della mappa: il suo occhio mi osserva. Sono grande quanto un’oncia, ma che dico… una sua ciglia! Potrei usarle come piume se solo fossi vanitoso. Si rialza e le vibrazioni mi fanno sobbalzare, confondo l’universo con l’impronta di un suo piede. Mi guarda piccolo piccolo come sono ora, mentre provo a sporgermi verso lei, reggendomi alla piastra

CONCORSO

magnetica. Riprende tra le mani il suo sax, abbozza un notturno di Chopin, opera 9, numero 2: la guardo suonare nel riflesso delle candele alte come guglie di fuoco e so che potrei bruciare se solo decidesse di prendermi per la collottola e lasciarmi cadere su una di loro. Mi chiede se voglio fumare, ma se accettassi finirei intossicato da una coltre di fumo, mi chiede se voglio bere del vino, ma se accettassi potrei affogare, mi chiede se voglio fare l’amore… ed improvvisamente scaglia via il suo sax. Senza alcun preavviso. Un colpo secco contro la porta ed io, che sono ancora a cavalcioni sulla toppa, sbatto la testa contro la maniglia con forza, scivolo colpendo con le ginocchia lo zerbino e rialzandomi goffo come una giraffa corro giù veloce lungo le scale, scendendole due gradini alla volta; mi fermo quando sono ormai fuori dal portone. Un gruppo di ragazzini da lontano mi osserva con sguardo sordo. «E’ un’ora che abbiamo ordinato!…» chiosano con un fare volgare e sprezzante. E’ il turno peggiore, quello notturno, e non ho avuto ancora il tempo di fumare una sigaretta. La ragazza dell’ultima ordinazione ha chiuso la custodia di legno del suo sax, un colpo secco ed un microscopico giro di chiave al lucchetto. Non ho potuto fare altro che sbirciare il suo strumento sbattuto dentro quella rigida geometria da viaggio, e prima che potessi rivolgerle la parola era già uscita dal locale, portandosi via tutto il suo mondo senza che me ne rendessi conto. Le avevo pulito il tavolino sporco ancora di cenere dai precedenti avventori, cercando di evitarle l’odore clinico del detergente e raccolto la bottiglia d’acqua che aveva rovesciato sul pavimento: neppure se ne era accorta, intenta com’era a far ruggire le sue mani tra i capelli. Giusto un sorriso, così nervoso, agile e pieno quando mi sono sporto verso lei apparecchiandole la tovaglietta alla quale mi appigliavo con la speranza di poterle parlare. Avrei voluto prenderla e portarla via per mano, imbandire una tavola per noi con vino e candele, ma non ho potuto fare altro che osservarla infilare la testa dentro la palude di una tazza di caffè mentre rischiavo di mandare a fuoco la cucina. Era sola e teneva tra le mani un libro: Alice nel paese delle meraviglie. Avrei voluto sentirla leggere, registrare nella mente almeno la sua voce ed invece, ingarbugliata com’era nel caos di risate posticce, fischi ed ovazioni dai tavoli, l’ho appena percepita in tutta la sua leggerezza chiedermi il conto. Devo pensare a darmi da fare con la friggitrice e smetterla di intuire riflessi d’argento in brandelli di unta stagnola. Ora ho un’ altro ordine: menù 9, tavolo 2. Ciao.

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CANTO

Canto di Natale

di Antonio Emmanuello

Se credete che il peggio sia l’abbraccio strano di quel parente (sapete tutti di chi sto parlando) o l’ennesima battuta fatta ogni anno da quello zio di vostra madre, allora non avete ancora visto nulla del natale. Nulla di terribile almeno. Le feste sono per antonomasia il momento felice dell’anno ma percorriamo a ritroso il perché di questa ormai presunta gaiezza. Se prendiamo molte delle festività alle loro origini, notiamo che queste hanno in comune una certa naturalità: il solstizio, la fioritura, la fine del raccolto. Queste dunque si collegavano ad un nostro passato in cui eravamo tutt’uno con “il creato”. Sviluppandosi la civiltà, si strutturano gli usi ma si svuotano di naturalità e cominciano a basarsi più su costruzioni sempre più artificiali, non per questo negative, ma meno saldamente ancorate al suolo. La cavità lasciata dal vuoto ideologico delle feste, svuotatesi anche di quel significato referenziale che per millenni hanno avuto, oggi si ripropone all’interno di molti, rendendo un periodo di obbligata gioia, un inferno addobbato (magari fino a marzo perché nessuno ha voglia di togliere le lucette). Nel concreto il disagio maggiore si presenta in due momenti della nostra vita.

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Il primo trauma, se non consideriamo la scoperta che Babbo Natale è lo zio rotondo con un vestito rosso del discount, è quello del passaggio tra fanciullezza e adolescenza-post adolescenza. Nonostante i regali arrivino comunque ad un certo punto della nostra maturazione ci troviamo a dire “eh, ma il natale non è più come una volta”, come se l’avessimo passato insieme a Matusalemme, che tra l’altro è antecedente a Gesù, ma sorvoliamo. Non è il natale ad essere cambiato, ma noi. Non percepiamo più quell’attesa che ci coinvolgeva, le luci in città danno quasi fastidio,

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i soldi per i regali agli amici puntualmente non sono abbastanza, la famiglia comincia ad andarci stretta e presto anche i vestiti con tutto quel cibo. E allora si accumula, negli anni, una certa tristezza, delusione che non è rivolta magari solo alla semplice festa ma all’intero vissuto in cui vediamo la felicità alle nostre spalle e un eterno sconforto davanti a noi. Il secondo momento in cui veniamo presi a bastonate dalle feste è nella vecchiaia quando ci rendiamo conto che, all’appello dell’intera dinastia di cui siamo capostipiti, manca quella persona, il partner scomparso, il figlio lontano per lavoro, il fratello con cui abbiamo litigato. Rimane, in tutto quel marasma, solo una compagna: la solitudine. L’anziano in confronto al giovane ha ancora più ricordi del passato che vanno a pesare maggiormente sull’attualità. Aggiungiamo inoltre una più generale delusione delle aspettative che si fanno palesi al raggiungimento di un punto di ripristino. Mi spiego meglio. Nei PC il punto di rispristino è il momento in cui vengono apportate modifiche al sistema tali per cui viene idealmente compilato un registro con quelle informazioni e nel caso fosse necessario, si può tornare indietro. È quello che facciamo durante gli avvenimenti, registriamo con maggiore intensità quello che succede, ci ricordiamo molti particolari in più rispetto ad una giornata qualsiasi e quindi in quel dato momento, un anno dopo, non possiamo che ricordarci dell’anno precedente. Pensare a come eravamo più felici per questa o quella situazione, per questa o quella persona, per questa o quella prospettiva futura. Ma a differenza dei PC, non possiamo tornare indietro e ci ritroviamo qui, il dove non ci è dato saperlo. In un clima di gioia quindi non tutti brindano. Qualcuno infatti abbraccia il peggio e si getta nel vuoto.


Canto di Natale di Antonio Emmanuello

Ma prima facciamo un altro passo indietro. Siamo sul finire dell’800 e il signor Durkheim, al secolo Emile, pubblica un felicissimo studio sul suicidio evidenziando degli aspetti originalissimi. Nota come il suicidio non sia una questione privata, personale, ma anzi segua degli andamenti piuttosto ritmici, dunque in dipendenza con la società. Aumentano e diminuiscono in base alle condizioni della società ma soprattutto, ed è qui che metto l’accento, cambiano in base alla religione. Come Weber dirà appena 7 anni dopo, l’etica protestante spinge a dare il massimo per dimostrare che si è stati scelti da Dio per far parte dei salvati in paradiso. Il lavoro dunque diventa un obbligo morale, battere la fiacca significa essere dei reietti destinati alle pene dell’inferno. La socialità diventa competizione perché tutti devono dimostrare qualcosa a qualcun altro. Si vive la religione come esclusione, il lavoro come dovere e ci si aliena per conto di un Dio che fa selezione all’ingresso. Al contrario nelle società cattolico-ebraiche non è l’Altissimo ad aver già scelto chi salvare, ma siamo noi a decidere se essere salvati o meno. Il libero arbitrio in sostanza attribuisce a tutti la possibilità di autodeterminarsi, fare il bene comporta essere persone buone, il lavoro non è manifestazione di nulla, la società non è in competizione e per questo riescono a prendere vita non un insieme informe di persone, ma veri e propri gruppi che si sostengono. Tirando le somme quindi il sociologo ha scoperto che in una società esclusiva la gente non è in grado di sostenere il peso del fallimento, mentre in una intrusiva la sconfitta viene assorbita da tutti.

CANTO

Questo excursus ci serve per fare una bizzarra constatazione: se i cattolici sono quelli uniti perché allora i suicidi aumentano durante le feste comandate? Sostanzialmente perché si esasperano le dinamiche della vita quotidiana. Nel mondo moderno non siamo più abituati a vivere in grandi gruppi familiari e veder la casa piena per svariati giorni può angosciare, così come l’esatto opposto impersonato dall’assenza di compagnia; o ancora, viene esagerato l’impegno profuso in cose semplici come i pasti, che invece di essere semplici piatti con cibo, devono diventare stracolme scodelle di leccornie complesse; i regali, i sorrisi di circostanza, la messa di mezzanotte, la tombola, la colomba, il panettone, i letti per gli ospiti, essere intrusi a casa d’altri, l’attesa, l’ansia, le aspettative deluse e così via lungo una lista infinita. Il “Christmas effect”, come lo chiamano gli scienziati Hillard, Holland e Ramm, che si presenta durante il periodo natalizio, porta con sé un generale velo di depressione che cala, secondo quella che viene definita più che altro una leggenda metropolitana, sul 20% della popolazione coinvolta. La riflessione si fa interessante però quando fanno notare statisticamente, attraverso l’analisi dei dati di centri d’emergenza di carattere psicologico, che si ha un calo dei suicidi effettivi ma un aumento dei tentativi, soprattutto fra gli anziani e le donne, dato importante perché quest’ultime sono solitamente meno inclini degli uomini. In conclusione, le feste non sono il male ma ci fanno vivere male se le affrontiamo nel modo sbagliato. Le luci possono essere piacevoli, i regali rendono felici un po’ tutti, il buon cibo non dispiace a nessuno soprattutto accompagnato dal vino che distende i commensali, le canzoncine sono tediose ma danno da mangiare a Bublé per almeno un altro anno, le scuole si chiudono e la sessione invernale s’avvicina (già questo dovrebbe essere un buon motivo per pensare al peggio, guardare l’oscurità e lasciare che essa guardi dentro di noi). Ma non scoraggiamoci, finito il pranzo e sperando di avere vestiti abbastanza larghi abbiamo le sere libere per uscire con gli amici e lamentarci dell’infinita giornata in famiglia, possiamo svegliarci tardi al mattino e non pensare di dover correre al lavoro, a scuola o in posta. Ma non tutti hanno una famiglia, non tutti sono vicini a casa per vedere gli amici e la solitudine colpisce anche in mezzo alla folla. Cerchiamo allora di includerci a vicenda, con gesti piccoli, sia per religione, sia per gentilezza perché ci si ricordi sempre che il suicidio non è un gesto estremo di un uomo solo, ma un omicidio con miliardi di mandanti.

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L’altro Natale

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di Ettore Pasquinucci

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Se è vero che il nostro calendario ha subito, negli anni, una lottizzazione delle festività – talune assimilate forzosamente da oltre oceano, talaltre germogliate per ammiccare alle istanze di parti della società (festa del papà, della mamma, dei nonni, del caciocavallo, etc.) – che ha diluito e spesso indebolito il potere simbolico delle celebrazioni più strettamente religiose, è pur vero che una festa più di altre ha mantenuto piuttosto integri i suoi tratti iconici, fissi nel nostro immaginario collettivo: il Natale. Pur venuta a patti con l’esuberante pressione consumistica, la notte più attesa dell’anno da bambini - e non- continua a mantenere il suo fascino millenario. Un fascino fatto di riti sociali e familiari, di telefonate di auguri in azienda e di tombole aspettando di scartare i regali, mischiando lo spirituale con l’arrosto, il vischio col Cinepanettone. Qui però non trattiamo di questo Natale per noi consueto, familiare. Bensì delle storie di natali diversi, dolorosi o controcorrente. Qua e là, tra attualità e arti. Un babbo Natale che parlava d’amore – La leggenda di Natale, di Fabrizio de André (1968). Il Natale stinge i colori della natura, ma accende quelli della fantasia della bambina protagonista della canzone (che prende spunto da Le Père Noël et la petite fille del maestro Georges Brassens). Anche per lei arrivano

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doni e festeggiamenti, ma il suo Babbo Natale ha occhi «freddi e non erano buoni». Collane e gioielli sono il pretesto per adescare la bimba, poi ricoperta di baci passionali su tutto il corpo dal canuto amico dei bambini. La bambina, ora cresciuta, è ritratta nel finale della canzone: segnata per sempre da quel giorno, che ricorda dolorosamente come «la storia d’un fiore appassito a Natale». De André ribalta, dissacrandola, la figura simbolo del Natale dei doni e dei fanciulli, riuscendo a raccontare della morte di un’infanzia, proprio nel giorno in cui nasce il Bambino per eccellenza. Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade – Natale, di Giuseppe Ungaretti (1916). La poesia, datata 26 dicembre 1916, venne inclusa nella raccolta L’allegria di naufragi del 1919. Composti mentre il poeta si trovata a Napoli in licenza, i versi di Ungaretti esprimono il bisogno disperato di fuggire dal mondo, da quel mondo che andava perdendo i suoi tratti umani, nell’orrore della Prima Guerra Mondiale. Di fronte allo smarrimento del non riconoscere più i segni della civiltà e di un’Europa impazzita, il poeta preferisce nascondersi e farsi dimenticare presso le «quattro/capriole/di fumo/ del focolare» anziché unirsi alle celebrazioni natalizie. Se proviamo a slegarli dal contesto autobiografico e storico, nel perimetro dei quali sono stati concepiti,


L’altro Natale di Ettore Pasquinucci

questi brevi versi ben descrivono la sofferenza dei molti che, proprio durante i festeggiamenti collettivi, non hanno nulla da festeggiare: chi è rimasto indietro nella vita, chi soffre disagio psichico o di depressione, trova nel Natale una conferma della sua scissione da un mondo che non sa più affrontare, e da cui – di conseguenza – cerca di isolarsi, ricercando la solitudine o soluzioni più drammatiche (se ne parla in un altro articolo, su questo numero di Inchiostro). Carissima mamma, oggi ho assistito ad una cosa straordinaria – La tregua del Natale 1914. Dintorni di Ypres, 24 dicembre 1914. Siamo nelle Fiandre, in pieno fronte occidentale: la Grande Guerra di trincea imperversa, le truppe inglesi e tedesche combattono a pochi metri di distanza. Il giorno della Vigilia accede qualcosa di inaspettato: i soldati tedeschi incominciano ad allestire alberi di Natale e ad accendere candele, intonano canti natalizi. Lo stupore è grande tra i soldati inglesi, che – forse resisi conto che il nemico convive con lo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore – si uniscono ai canti. Superano i fili spinati e si addentrano nella terra di nessuno, dove trovano i militi tedeschi, con cui scambiano tabacco, alcolici e cioccolato. Scattano fotografie e organizzano partite di calcio. Una bella testimonianza di questa giornata particolare è la lettera del capitano A. D. Chater alla madre che inizia così «I think I have seen today one of the most extraordinary sights that anyone has ever seen», il giovane poi racconta dello scambio di autografi, delle strette di mano. Scrive che spera che la tregua duri a lungo, ed è certo che ce ne sarà un’altra per l’ultimo dell’anno: «i tedeschi vogliono vedere come sono venute le fotografie». Ma la notizia delle tregue temporanee inizia a circolare, e gli ufficiali di entrambi gli schieramenti sono pronti a correggere ogni “ammorbidimento” della disposizione d’animo dei soldati. Da questi fatti, e da altre lettere del genere, trae ispirazione il film Joyeux Noël - Una verità dimenticata dalla storia di Christian Carion del 2005 che racconta le vicende di due cantanti lirici tedeschi, chiamati ad allietare i soldati al fronte per la vigilia di Natale. Alle note di Stille Nacht rispondono le cornamuse scozzesi dell’esercito nemico. Le ostilità sono sospese, e anche i militari francesi sopraggiungono con bottiglie di champagne. I giorni più brutti? Quelli di festa – Natale in carcere. «Le festività saranno la gioia di tutti, ma dentro il mio cuore, arrabbiato per la carcerazione, cala una depressione totale, e divento triste e mi chiudo in me stesso rifiutandomi di comunicare. Una reazione

ALTRO

spontanea causata dalla lontananza dalla famiglia, dagli amici e soprattutto perché ho perso ogni felicità e gioia interiore». Questa è solo una delle lettere di detenuti che raccontano il proprio 25 dicembre che il sito “Ristretti Orizzonti” – una pagina della Casa di Reclusione di Padova e dell’Istituto di Pena Femminile della Giudecca – ha pubblicato. La preoccupante condizione delle carceri italiane resta spesso a margine del dibattito pubblico, sono quindi iniziative come questa che dovrebbero sensibilizzare il cittadino sul ruolo, primariamente rieducativo, degli istituti di reclusione. Tra chi, in questi anni, ha puntato il riflettore sulla questione va ricordato Marco Pannella. Lo scomparso leader radicale, assieme ad altri attivisti e simpatizzanti del partito, ebbe modo di visitare alcune carceri durante le festività di fine anno. Nel Natale 2015 trascorse la giornata presso il carcere fiorentino di Sollicciano, che denunciò avere forti carenze igieniche, assenza di acqua calda nelle celle e letti a castello a tre piani, ormai vietati dai regolamenti. Vigilia di Natale nella cella per gli ubriachi – Fairytale of New York, dei The Pogues (1988). Vera e propria “contro canzone” di Natale, questa collaborazione tra il gruppo folk punk irlandese The Pogues e la cantante inglese Kirsty MacColl ribalta gli stereotipi della canzone natalizia e della lettera d’amore. Un immigrato irlandese sta smaltendo la sbornia della Vigilia, nella cella di un carcere newyorkese: una canzone accennata da un anziano compagno di detenzione lo ispira a cantare della sua fidanzata, in una sorta di sogno ad occhi aperti. «Buon Natale/ ti amo piccola/ vedo un futuro migliore per noi/ quando tutti i nostri sogni diventeranno realtà» l’ubriaco inizia a cantare con le migliori – e più melense – intenzioni. La ragazza – solo immaginata, nella sua testa – non la prende benissimo e inizia a rinfacciargli le promesse non mantenute e i problemi di dipendenza da sostanze varie…il tutto si conclude con un poco amorevole scambio di insulti, in effetti piuttosto pesanti e difficilmente collocabili sotto l’abete natalizio dello stereotipo disneyanopubblicitario. Se non abbiamo ancora programmi per il 25 dicembre, ricordiamoci che possiamo celebrare questo Natale al riparo da luci scintillanti e canzoni moleste. Magari facciamolo controcorrente.

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AMAZON

Ho·Ho·Ho! a Dlin-Dlon

da

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di Luca Tantillo

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Cavolo, cavolo, cavolo, non sto più nella pelle!!! Manca pochissimo e finalmente arriverà LUI con tantissimissimi regali!!! Gli ho scritto da ormai una settimana la mia lista dei desideri e oggi arrivano tutti i regali che ho chiesto! Volevo farla prima per dargli più tempo, però mamma e papà mi han detto che è velocissimo e che una settimana è abbastanza per far arrivare tutto quello che voglio. Mamma e papà mi han fatto anche scrivere una lista dei desideri anche per la mia sorellina, che è troppo piccola e mica sa leggere e scrivere, lei. Allora si è messa vicino a me al computer, guardava le foto dei giocattoli (da femmina, schifooo) e mi diceva quali voleva, perché io ormai sono grande e quest’anno ho imparato ad usare il computer! Io la mia lista l’ho pensata a scuola con i miei compagni, almeno poi dopo le vacanze di Natale avremo tutti dei combattenti diversi e potremo farli combattere tra di loro! E poi anche i videogiochi, almeno i miei amici possono venire a casa mia dopo la scuola a giocare, anche se la mamma ha detto che se non faccio i compiti mi nasconde tutti i videogiochi, però quest’anno ho fatto il bravo e quindi posso giocarci. Quando ho finito la lista poi l’ho detto a mamma e papà, perché sono loro poi che sanno come dare la mia lista a LUI e mi han detto che i regali arrivano sicuramente oggi, gliel’hanno detto! È la prima volta che faccio io da solo la mia lista, perché l’anno scorso non sapevo come si faceva e allora dicevo ai miei genitori cosa volevo e poi ci pensavano loro. Però mi sa che non sono tanto bravi, perché l’anno scorso i regali erano in ritardo e il giorno di Natale avevo pianto perché ero senza regali: sicuro gli hanno dato la letterina troppo in ritardo e non ha fatto in tempo a prepararmi i giocattoli! Allora quest’anno ho fatto io che sono più bravo, e infatti arriveranno oggi! Alcuni miei compagni di scuola han detto che non è vero che i regali li porta a casa LUI, ma che sono i genitori che

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vanno nei supermercati a comprarli e poi fanno finta che li hanno portati, ma non è vero! Io l’anno scorso l’ho visto! Ero in casa da solo con la mamma perché papà era uscito a comprare le sigarette, e poi lui è arrivato e aveva portato lui tutti i miei regali e c’era quel bellissimo sorriso! Papà è arrivato dopo che se n’era andato, non l’ha visto ma gli ho raccontato tutto tutto ed era contento! Quelli che non ci credono sono stupidi, io l’ho visto e so che fra pochissimissimo arriverà! Ho anche detto a papà di non uscire, che quest’anno deve vederlo anche lui! È un po’ in ritardo, doveva essere già arrivato e papà continua a dire che deve uscire a fare una telefonata di lavoro, però deve aspettare, voglio che ci sia anche lui quando arriva, almeno lo vede anche lui e poi possiamo subito metterci ad aprire i regali e a montarli tutti assieme! Ecco, sento un rumore fuori... È LUI!!! È fuori dalla porta, ha bussato!! Che bello che bello che bello: è arrivato anche quest’anno, il signore delle consegne di Amazon! Chi vi aspettavate, scusate? Babbo Natale? Ormai lo sanno tutti che non esiste, anche i bambini più piccoli. D’altro canto però esiste davvero un qualcosa a cui si può scrivere una lista dei desideri e che ti consegna direttamente a casa tutto quello che vuoi. Niente elfi allegri e canterini, solo magazzinieri burberi e sottopagati. Renne e slitta volanti? Naaah, molto meglio un furgoncino. Il vestito rosso? Beh, la divisa grigia dell’uomo delle consegne è più alla moda. Dite che è molto meno magico così? Forse, però vuoi mettere poter ricevere regali a casa tua tutto l’anno? Chissene della magia, quando puoi avere uno smartphone nuovo ultimo modello senza nemmeno muoverti da casa anche in pieno febbraio: questo il vecchio Babbo Natale, abituato a lavorare part-time, mica lo faceva! BUON GIORNO DI AMAZON A TUTTI!!!


I FATTI DEL 2016

di Sofia Frigerio La vita dopo, pubblicato nel 2006 e tradotto in Italia per Einaudi nel 2007, è il quarto libro di Donald Antrim e l’unico memoir. Si parla della madre dell’autore, Louanne Antrim: artista fallita, fumatrice e alcolista, morta infine per un cancro ai polmoni. “La storia del deterioramento di mia madre, durato una vita, è, per alcuni versi, la storia della sua vita stessa. La storia della mia vita è intrinsecamente legata a questa storia, la storia del suo deterioramento.” Il libro parla anche della vita dopo, e qui vale la pena di spendere due parole sul titolo. Che in inglese è “the afterlife” e quindi, più esattamente, la “vita dopo la morte”, la “vita nell’aldilà”. L’esistenza di questa vita, che lui stesso nega ma che la madre aveva finito per accogliere nella forma di una spiritualità mistica, gli rimane motivo di angoscia. “E così mi domando: Se, quanto alla questione della vita dopo la morte, io non sono (esattamente) un credente, perché le parlo? Con chi è che credo di parlare?”. La traduzione italiana ha però scelto di levare a questo after ogni sfumatura spaziale, topografica quasi; e di renderlo in modo puramente cronologico, ponendo piuttosto l’accento su chi rimane e sui modi che trova per sopravvivere. “Partendo da questo presupposto - la storia di mia madre e di me, di mia madre in me -, cercherò di raccontare un’altra storia, la storia del mio tentativo, nelle settimane e nei mesi che seguirono la sua morte, di acquistare un letto.” Il libro è diviso in sette parti, che in ordine sparso raccontano di episodi e personaggi variamente collegati alla figura di Louanne. Più volte l’autore ritorna sulla malattia della madre e sui suoi ultimi mesi di vita. In generale l’andamento di questi racconti ha una prospettiva mobile, inquieta, che senza preavviso risale i decenni fino all’infanzia per ripescare il particolare di un interno domestico o di un corpo disteso sopra un altro, e poi bruscamente ritorna al tempo della narrazione, ci resta per un poco e poi nuovamente si inceppa e fa un balzo

indietro perché là in fondo, nel cortile di una chiesa con il campanile rovesciato, è rimasto qualcosa di essenziale, qualcosa senza cui non si può procedere oltre. Senza dubbio questo libro è la risposta a un bisogno. Non però di consolazione; nella storia naturale del dolore, il bisogno che dà forma a queste memorie si colloca molto prima. Il rapporto di Donald con la madre è stato un rapporto caotico ed eccentrico, disgregato, scostante; perché così era il carattere di Louanne e in esso hanno avuto origine le sue dipendenze e il suo isolamento. Dopo la sua morte, Donald rimane solo con la convulsione del proprio passato e l’affanno di una memoria ipertrofica. Al di sopra di tutto, come una divinità beffarda, c’è la contraddizione insolubile di non poter convivere con questi ricordi, e insieme di non poterne fare a meno. Riavvolgendo il nastro della memoria alcune verità alla fine emergono, malgrado tutto: ma nel modo di una contrattura o un effetto collaterale. Più che con il dolore o la solitudine, l’autore deve fare i conti con la minaccia del non-senso e dello staccamento dalla propria continuità emotiva (che è uno dei presupposti della sanità mentale). “E quando nel cuore della notte mia madre entrava nella mia stanza barcollando, quasi priva di sensi e con il viso inghirlandato dal fumo grigio della sigaretta, sfasciata dal bourbon e dal vino bianco […], arrivava sempre un punto in cui la mia capacità di provare sentimenti, o qualsiasi cosa risponda a questo nome, si inceppava.” Dopo aver consegnato La vita dopo all’editore per la pubblicazione, Donald Antrim sprofonda in una depressione suicida e viene ricoverato in un ospedale psichiatrico. Per anni non scrive più nulla. Il suo ultimo libro- il primo dopo la malattia- è uscito nel 2014, a otto anni di distanza da La vita dopo. Si tratta, questa volta, di una raccolta di racconti: il cui titolo, per completezza d’informazione, è La luce smeraldo nell’aria.

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FILM

Pacco di Natale (

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Gli anni ottanta e novanta hanno avuto uno strano feticismo per il Natale, in particolare il cinema. Vi sfido allora a pensare al primo film che vi viene in mente e mi ci gioco 3 CFU che risale a quel periodo. Gran parte di quelle produzioni hanno in comune un’irreale rappresentazione delle feste che neanche il miglior Cronenberg riuscirebbe a fare. Famiglie sempre allegre senza neanche la giusta dose di vinello al cenone, la solita parabola di felicità-tristezza-più felicità, eccessiva presenza dei bambini; ma hey, è la loro festa quindi vado a consumare il vinello che la famiglia felice, a quanto pare, non vuole. Cercando di essere più originali, in realtà è solo per evitarci la straziante tortura di riguardare decine di ore di film invecchiati male, abbiamo cercato sul catalogo di YouTube qualche cortometraggio interessante e in effetti qualcosa c’è. Il primo che ci prova, in ordine assolutamente arbitrario, è Malcolm Hadley che nel suo “The greatest gift” ricalca i luoghi comuni del genere in cui “the greatest gift you can give is you”, come se la busta dei soldi fosse passata di moda. Invita a dedicarsi ai propri cari, ai figli, alla famiglia, agli amici per rimediare in qualche modo a tutto il tempo speso lontano da loro. Passiamo dall’animazione in CGI alla recitazione in carne ossa di “Unwrapped” di Vick Krishna, che nel 2013 ha caricato la storia di due impacchettatori sul proprio canale; qui il buonismo viene prima mascherato da botte da orbi, quelle che si danno i due ragazzi che si contendono l’ultimo pezzo di nastro. Dopo infiniti colpi bassi, sarà l’etichetta del pacchetto usato come scudo che ristabilirà l’amicizia fra i due in un plot twist degno di M. Night Shyamalan. Ma non stiamo qui a cincischiare visto che “Carol of the bells”, il tipico canto di Natale presente pressoché ovunque, ci sospinge verso il più tenero e meno scontato “The night before Christmas”, che puzza un po’ di tarocco come le calze “Piuma”, invece che “Puma”, che vostra madre vi portava di ritorno dal mercato. Non si tratta della pellicola falsamente attribuita a Tim Burton (il regista è Henry Selick), ma un corto di Tom Krymkowski in cui un losco figuro in pieno stile “Mamma ho perso l’aereo” si introduce in casa di una famigliola e comincia a sgraffignare; illuso dalla possibilità che potesse essere il panzone in rosso, il piccolo di casa corre verso l’albero solo per scoprire l’amara verità. Ancora più aspra sarà la realtà che ci viene mostrata poco dopo, quando il famigerato criminale ritorna dalla sua famiglia portando con sé dei biscotti e poco altro per rendere la vita da senza tetto un po’ meno triste.

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di Antonio Emmanuello

Ma se qui hanno provato ad ingannarci con un titolo altisonante e pieno di rimandi, i grandi nomi non si fanno attendere. Pur facendo una marchetta, il tocco di un maestro quale Wes Anderson riesce a colpire per i giochi di luce che nel corridoio del treno di “Come together” ammaliano e confondono. La storia ovviamente è semplice per adattarsi ai pochi minuti a disposizione: il treno è in ritardo e il Natale rischia di saltare, ma l’ufficiale di bordo decide che nessuno deve pagarne le conseguenze e tutti i passeggeri sono invitati a festeggiare insieme a lui. Certo, sotto l’albero avremmo preferito un tuo nuovo film, caro Wes, ma abbiamo già fatto i conti con l’inesistenza del barbuto curvy per eccellenza, cercheremo quindi di farcene una ragione. Forti emozioni... magari. A tenerci svegli ci pensa allora “Here come Santa” caricato sul canale di Chris Thomas. Vi ricordate quando da piccoli vi dicevano di andare a dormire presto o Babbo Natale non si sarebbe fatto vivo? Oggi i bambini sono più sgamati e arrivano a spiare l’albero con una telecamera. Ma Santa Claus non è quello che ci immaginiamo. Peggio del Grinch, più spaventoso del Krampus, il jump-scare è assicurato e vi consiglio di tenere le mani a spiraglio sugli occhi, simbolo indiscusso di coraggio e virilità. Nonostante l’eterno ritorno, nonostante gli insegnamenti del passato, anche il protagonista di “Picture proof ” vuole svelare l’esistenza del mangiabiscotti in slitta, alla faccia di quel miscredente del suo amico che sostiene che Babbo Natale non esista, ma il fato ci si mette di traverso. Concludiamo in bellezza con lo spot de la “Lotería de Navidad” del 2015, un’enorme riffa che si tiene in Spagna accompagnata da spot spesso toccanti, come solo i primi minuti di “Up” saprebbero fare: la guardia notturna di una fabbrica di manichini allevia la solitudine del suo lavoro facendo scherzi e prendendosi cura dei sui colleghi a distanza, pur non vedendoli mai; prepara dolci per il compleanno di una segretaria, mette in pose buffe i manichini per gli operai o prende in giro il direttore creando un sosia con un manichino. Il suo sforzo sempre spontaneo viene infine ripagato dal gesto di amicizia e generosità dei colleghi verso di lui. Ma quindi quale sarebbe il punto? Il punto è che non importa quanto sia lunga la pellicola il problema di fondo è il Natale! Si scherza ovviamente, ma non posso fare a meno di consigliare di sfruttare questo tempo di vacanza per guardare principalmente quello che vi pare e magari anche qualcosa di più interessante dell’ennesimo film buonista.

Ps: e anche quest’anno abbiamo evitato di parlare di cinepanettoni.


Il colera al tempo del Natale di Giorgio di Misa

Lega Nord Caro Babbo Natale Quest’anno siamo stati bravi. Non abbiamo demolito nessun campo rom e abbiamo difeso i terroni. Vorremmo tanto una nuova ruspa, non quella della Peg Perego dell’anno scorso, e Bossi vorrebbe la pompetta che hai regalato a Silvio.

Casapound Pavia

Donald Trump Caro Babbo Natale Ti faccio una lista di ciò che vorrei sotto il mio albero di Natale: cemento armato, mattoni (tanti), malta e tubi di ferro.

Caro Hot_desiree2000 Babbo Natale Vorrei riavere la verginità che ho perso nel 2006. Immigrato Caro Babbo Natale Non so chi tu sia. Ma dammi il Wi-Fi. È un mio diritto.

Di Maio

Caro Babbo Natale

Caro Babbo Natale

Grazie che ci hai regalato un Prefetto che ci difende. Per la resurrezione dei morti riesci o dobbiamo chiedere a qualcun altro?

Quest’anno ho difeso il popolo italiano dai soprusi della classe dirigente. Io e il mio compagno di merende Dibba abbiamo imparato tante frasi populiste da usare in ogni occasione. Da te vorrei un corso per usare Gmail e uno per imparare a falsificare le firme dei nostri concittadini.

Radio Aut

SIMPATICO

Delio Napoleone - Presidente CNEL Caro Babbo Natale Grazie del regalo anticipato.

Charlie Hebdo Caro Babbo Natale So che questa lettera dovrei mandarla all’Isis, ma vorremmo un nuovo attentato nella nostra redazione. Non ci segue più nessuno.

Enrico Mentana

Caro Compagno Natale Per questo Natale vorremmo la libertà di fare le manifestazioni contro Casapound e gridare “Se vedo un punto nero gli sparo a vista”

Lapo Elkann Caro Babbo Natale Quest’anno lascio scegliere a te cosa portarmi tra 10mila euro o 2 panetti di cocaina e 4 trans. Costituzione Italiana Caro Babbo Natale

Caro Babbo Natale Vorrei invitarti alle mie maratone. So che, nonostante l’età, riesci a fare after a differenza di Marco Damilano che si addormenta dopo la quarta ora di diretta.

Silvio Berlusconi Caro Babbo Natale Nessuno mi considera più. Ormai non trombo più neanche con la Pascale. Potresti regalare un infartino a Mattarella così che prendo il suo posto?

Maurizio Landini Segretario FIOM Caro Babbo Natale Non osare togliere il Jobs Act o il 24 sera faremo uno sciopero generale, a cui parteciperanno tutti: cometa, angioletti, abeti, palline colorate e quei violenti dei panettoni che spaccano le vetrine con i canditi.

Grazie che mi hai regalato un po’ di considerazione da parte del popolo italiano. Speriamo però che non facciano come Benigni.

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SIMPATICO

CHI È BABBO NATALE, CHI VUOL ESSERLO E IL MONDO AI TEMPI DI DONALD TRUMP I di Niki Figus Ci fu detto da bambini, e come per altro è noto, Babbo Natale esiste. E si sa. La Babbo Natale e Soci Corporation è forse una delle aziende più vecchie di questo mondo - nonostante la recente crisi economica l’abbia messa in seria difficoltà. Anni e secoli gravano sulle sue spalle: usi, costumi e mezze stagioni si sono estinti; imperatori, papi e Giorgi Napolitano si sono susseguiti; “Una poltrona per due”, “Mamma ho perso l’aereo” e “Beethoven” sono stati proiettati. Il tempo è passato, ma parliamoci chiaro: “Babbo Natale è sempre Babbo Natale”.

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CHI VUOL ESSERE BABBO NATALE?

Per chi non ne fosse al corrente - anche se credo sia conoscibile tramite un qualsiasi libro di storia, sito d’informazione, o numero trovato in un bagno pubblico - la storia di Babbo Natale è la seguente.

Il contratto di fornitura della Babbo Natale e Soci Corporation è simile a quello delle religioni: “credete e vi sarà dato”. Nel Cristianesimo se si crede si va in Paradiso, tra i Testimoni di Geova se si rompono le palle al sabato mattino ci si salva dall’Apocalisse, per la Babbo Natale e Soci Corporation se si spedisce una lettera arrivano dei doni. Basta crederci, insomma.

La famiglia di Babbo Natale ha antichissime origini aristocratiche lapponi. Per primi, nell’epoca premoderna, abbandonarono il nomadismo e l’agricoltura per cimentarsi nell’allevamento (nello specifico, renne) e, in seguito, nel commercio di lunga distanza (per anni il vantaggio competitivo delle renne volanti la fece da padrone nei confronti della ruota, dei vascelli, e in seguito del vapore). I discendenti della casata, poi, hanno sempre occupato posizioni sociali di rilievo: sciamani della tribù, sacerdoti dell’antico Egitto, senatori romani, consiglieri papali, affilatori di lame di Robespierre e amici di Antonio Ricci.

Ma se ben presente è la secolare opera d’elargizione svolta, meno si sa riguardo le mille difficoltà, crescenti al ritmo della vita moderna. Babbo Natale non deve solo leggere le letterine, che arrivano a fiumi dai bambini di tutto il mondo - e quindi immaginate la fatica di tradurle tutte quante, di decifrare ogni calligrafia, di eliminare lo spam, di rispondere con ricevuta di ritorno spiegando che se corri contro un pilastro a metà tra il binario nove e dieci pigli solo una facciata, etc; soprattutto deve anche conoscere i suoi mittenti. Controllare, guardare e capire quali sono i bambini buoni, quali quelli cattivi. E in questo senso bisogna stare ai

CHI È BABBO NATALE?

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L’ultimo esponente dei Babbo Natale è Nico Claus, il quale ha ereditato l’azienda di famiglia nel momento di massima difficoltà. Dissidente del regime comunista sovietico, trozkista della prima ora, Claus è famoso per aver venduto i propri diritti d’immagine alla Coca Cola: la multinazionale gli dipinse il costume di rosso, ma lui smise di essere al verde. I problemi, tuttavia, sono lungi dall’essere risolti.

INCHIOSTRO • numero 151


il Natale ai tempi di Trump I di Niki Figus

tempi. Il vecchio barbuto deve, ad esempio, chiedere innumerevoli amicizie su Facebook, lanciare hashtag su Twitter, ascoltare gli youtuber-influencer e la musica pop commerciale odierna, comprare pacchetti di voti con fritture di pesce per trovare un degno vincitore degli MTV Music Award, o anche solo, banalmente, rispondere al telefono quando chiama Lapo Elkann. Insomma, è una fatica immane. Nel Medioevo i cattivi venivano bruciati, poi decapitati, prima ancora li si crocifiggeva - era tutto più semplice. Oggi non solo deve guardare alle condotte morali, o allo studio, o al lavoro; Babbo Natale deve buttare un occhio alla borsa, stare attento alle fluttuazioni del mercato e alla stabilità geopolitica, evitare di fidarsi dei sondaggi e provvedere al proprio pacchetto azionario. Le insidie? Molte. Le difficoltà? Parecchie. I contestatori? Innumerevoli. E poi, il suo più grande nemico: Amazon - e dopo aver sconfitto, in ordine, Giulio Cesare, Gesù, Luigi XIV e Mike Bongiorno, ora l’anziano è più stanco che mai. NATALE AI TEMPI DI DONALD TRUMP I

I gusti dei popoli, poi, sono cambiati. Negli Stati Uniti, ad esempio, i bambini non vogliono più le mini moto, le pistole giocattolo e i lego, ma mini caccia bombardieri dotati di missili nucleari mignon per difendere i propri muri di filo spinato giocattolo. Accontentare tutti non è più facile come una volta -ma la Babbo Natale e Soci Corporation, in questo senso, si è attivata. In Russia, ad esempio, Babbo Natale ha avviato una stretta collaborazione con l’FSB, i servizi segreti locali - il

SIMPATICO

meccanismo viene regolarmente unto, in quanto Papà Natale è in affari nel petrolio e nella finanza. Con l’aiuto del governo, infatti, la vita del vecchio è decisamente più agevole: potendo, attraverso hacker sovietici, intercettare le conversazioni altrui, fare i regali è molto più semplice, rapido e conveniente (ciò lo si sta sperimentando con ottimi risultati anche nella statunitense casa-Cliton). Inoltre, si evita anche che il fatidico dì del 25 San Nicola possa essere «sgamato dal moccioso di turno» (cit. “Le confessioni di un elfo: tutta la verità su Babbo Natale e Vladimir Putin” - Elfo Neveden), ovvero che il vecchio possa essere visto mentre pone i regali sotto l’abete. Il nostro paese e la sua stabilità, in questo contesto, sono sotto i lapponi riflettori. In Italia, per quest’anno, si procederà ancora con l’attuale sistema dei voucher: Babbo Natale regalerà dei buoni natalizi da ottanta euro, da spendere esclusivamente in prossimità dei turni elettorali. Il sistema è destinato a rimanere tale, a meno di una vittoria delle opposizioni: in questo caso, o si provvederà a un “Natale diretto”, con i regali che verranno scelti direttamente dai cittadini con un click, evitando i maglioni della nonna e le sciarpe delle zie (sempre che il popolo si esprima favorevolmente al referendum sul Natale); oppure il Natale verrà cancellato, una sofferta scelta atta a fermare l’invasione (attraverso i camini) di Babbo Natali lapponi (che rubano il lavoro a quelli italiani) e di stelle comete mediorientali. Lalalalala, la la la laa.

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