Inchiostro n°144 – Dicembre 2015

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Intervista a Maura Mammola

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LSD

I fatti del 2015

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Relax

25 dicembre: pranzo di Natale con i parenti

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia

distribuzione gratuita

Dicembre 2015 - Anno XX - #144 - inchiostro.unipv.it

Leggere “Inchiostro” può creare dipendenza. Se ne consiglia pertanto la lettura a tutti, studenti universitari compresi. Seguici anche su facebook, twitter e instagram.


Un grido al mattino in mezzo alla strada, Un uomo di pezza invoca il suo sarto Con voce smarrita per sempre ripete «io non volevo svegliarla così io non volevo svegliarla così» Le Orme, Gioco di bimba, 1972


Dal 1995

RED BORDERS in questo numero

Ink 20 Intervista a Maura Mammola di Simone Lo Giudice

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I fatti del 2015 di Lisa Martini

Concorso letterario: “Dopo la terza birra”

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LSD Furio Scarpelli, Opopomoz

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di Elisabetta Gri

25 Dicembre: pranzo di Natale con i parenti di Valentina Fraire

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Inchiostro, anno XX, # 144, dicembre 2015 è un’iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti. Fondi 2015: 6162,76 € Registrazione n. 481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 13 febbraio 1998 Sede legale: via Mentana, 4 - 27100 Pavia Direttore responsabile: Simone Lo Giudice Direttore editoriale: Matteo Camenzind Direttore web: Giorgio Di Misa Tesoriere: Elisa Zamboni Redattori: Claudia Agrestino, Antonio Elio Caroli, Matteo Croce, Niki Figus, Valentina Fraire, Federico Mario Galli, Lorenzo Giardina, Oriana Grasso, Elisabetta Gri, Sandra Innamorato, Alessio Labanca, Lisa Martini, Federica Mastroforti, Barbara Palla, Ludovica Petracca, Antonio Zefferini Grafica e impaginazione: Marina Girgis, Danny Raimondi

Collaboratori di redazione: Ignazio Borgonovo, Elisa Enrile, Giorgia Ghersi, Michela Rossini, Eleonora Salaroli, Sara Valdati Copertina (concept e realizzazione): Matteo Camenzind Correttori di bozze: Lorenzo Giardina, Federica Mastroforti, Barbara Palla, Alessio Labanca, Ludovica PetraccaSupervisione: Alessio Labanca Fotografie (tratte dal concorso fotografico di Inchiostro 2006): p. 4 di Riccardo Scamarotti Mandato in stampa il 4 dicembre 2015 presso l’Industria Grafica Pavese s.a.s. - 27100 Pavia Tiratura 150 copie Magazine Layout with Red Borders | Icone a p.19 tratte da freepik.com

Info? Chiama il 392 78 01 603 oppure scrivi a inchiostropavia@gmail.com


“Dondola dondola” «Come d’incanto, lei si alza» e cammina. Forse le Orme parlavano della società e non di quella innocente bimba, come tanti hanno immaginato. «Dondola, dondola, il vento la spinge», si lascia cullare, si lascia andare alla balìa degli eventi. Avrei voluto parlare di tutte quelle ricorrenze dimenticate del 2015, dalla Magna Charta alla morte di Luigi XIV, dall’entrata dell’Italia nella Grande Guerra ai venticinque anni della fine dell’apartheid, senza dimenticare la nascita di Dante, di Sinatra, di Welles, della Bergman, di Monicelli. Youtube, nel 2015, ha compiuto dieci anni, e sembra tanto più giovane e tanto più vecchio. Il 2015 è stato tanto atteso e festeggiato dai nerd (ma non solo) fanatici di Ritorno al futuro. Si dice che Gioco di bimba parli di una bambina che viene stuprata in un parco di notte. L’uomo di pezza (stupenda immagine per l’uomo di oggi) si dispera, dopo averla violata, e urla a tutti che lui «non voleva svegliarla così». È una canzone che mi ha sempre scosso, e forse oggi, più che mai, la capisco. O forse la plasmo soltanto sulla realtà di oggi, sull’attualità e la politica. E, fatto sconcertante, lo stupro della bimba veste perfettamente questo nostro mondo, violato in tutto e per tutto. L’uomo di pezza, dopo, invoca il suo sarto. Tutto si può riparare, a questo mondo, tutto si può aggiustare e rammendare, si possono nascondere tutte le cose che non ci piacciono. Io non sono d’accordo. Qualsiasi cosa siamo e abbiamo fatto può essere corretta, ma non deve essere nascosta. È la base dell’onestà. Mi vengono in mente genitori e figli. È il primo rapporto che ognuno di noi, inconsapevole, crea, ed è la base di tutti i rapporti futuri. Siamo tutti figli, in questo mondo, ed ognuno partorisce delle idee: vogliamo avere un buon rapporto con le nostre idee, con i nostri pensieri e le nostre convinzioni. Se le buttiamo solo là, senza conoscerle, appena abbozzate, ci ritornano distorte e sconnesse, come una frase dopo un lungo telefono-senza-fili. L’onestà non può essere molestata da altra onestà, l’onestà è purezza e coraggio di rispondere delle proprie azioni, ossia di essere responsabili. Siamo una bambina innocente che dondola su un’altalena, attendendo di svegliarci. Se attendiamo che qualcuno ci svegli, potrebbe essere troppo tardi. Matteo Camenzind


Intervista a Maura Mammola

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“Sisto Della Palma, il caos creativo, le persone giuste al momento giusto: così è nato tutto”

L’intervista a Maura Mammola, la prima direttrice nella storia di “Inchiostro” di Simone Lo Giudice

Vent’anni di Inchiostro 1995-2015

Maura Mammola è giornalista pubblicista. Si è diplomata alla Scuola

Ci incontriamo in una qualsiasi frenetica mattinata milanese. Appuntamento in zona Piazza della Repubblica. Appena la vedo, mi incuriosisce: porta un fazzoletto fucsia, lo tiene avvolto sulla testa. In maniera spicciola ci chiede dove fossimo finiti. Portiamo almeno una ventina di minuti di ritardo: ebbene sì, Google Maps mi ha fregato un’altra volta (mi scuso pubblicamente per aver fatto vagare a vuoto la malcapitata Marina Girgis, che ha scattato le foto per questa intervista). Entriamo nel primo bar alla portata, ci sediamo. Il ghiaccio non si è ancora rotto: mostrarle la nuova versione di “Inchiostro” potrebbe fare al mio caso. Prende tra le mani le copie dei numeri in cui compaiono le interviste di #INK20. Ci interroga: vuole sapere da quando non c’è più il tabloid, da quanto tempo lo stampiamo a colori. Tocca il giornale, lo scruta. Dalle sue mani è partito l’editoriale del primo numero del nostro giornale; un pezzo che titolava: “Un nuovo giornale: perché?”. Una domanda alla quale Maura Mammola, la vitale signora col fazzoletto fucsia, ha provato a dare una risposta. Sei arrivata a Pavia all’età di 32 anni: quando hai deciso di lasciare Milano per iniziare un nuovo percorso altrove?

Io sono arrivata a Pavia perché improvvisamente qualcuno che ha un nome e cognome, cioè Daria Pandolfi, mi ha dato un consiglio. Stavo facendo la mia Università qui a Milano, frequentavo Lettere in una bolgia delirante. Mi chiedevo tanti perché: che cosa ci facessi lì e quale fosse il motivo di tutto quello sbattimento. Della serie: duecento persone in un’aula, tutti incastrati… E poi mi lasciava perplessa il fatto che si respirasse in generale un’aria un po’ stantia, vecchia. Un giorno arriva Daria e mi dice di dare un’occhiata a Pavia, dove era stato attivato l’indirizzo teatrale puro, dove mi sarei potuta laureare in storia del teatro e del cinema. In più a condurre questo nuovo orientamento era stato chiamato il mitico Sisto Della Palma, il grande nome delle avanguardie teatrali post-settantottine e direttore del C.R.T (il Centro di Ricerca Teatrale di Milano, N.d.R.). Il prof. era un visionario tendente alla pura pazzia: c’era un limite molto sottile tra “quello che stiamo facendo” è un po’ matto e non lo è… Il nocciolo duro di quelli che poi sono stati gli iniziatori della storia di “Inchiostro” si sono incontrati lì, nelle sue lezioni. Eravamo nove o dieci a seguire un corso: questa cosa oggi è sì pensabile nei corsi di laurea magistrale, ma noi eravamo del vecchio ordinamento. Lì c’era

d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano e attualmente insegna yoga. Ha diretto “Inchiostro” per un triennio nella seconda metà degli anni Novanta.


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Intervista a Maura Mammola

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molta linfa di cuori, di menti, di pance. C’era una meravigliosa voglia di qualcosa che non sapevamo bene che cosa fosse. Abbiamo avuto il privilegio di vedere per la prima volta in fase di sperimentazione il Vajont di Marco Paolini. Un giorno era entrato in classe e, dopo aver salutato il prof. Della Palma dandogli una pacca sulla spalla e parlando un veneto molto stretto, si era girato verso di noi e aveva cominciato a raccontare. Eravamo rimasti ad ascoltarlo per tre ore col fiato sospeso, Della Palma si era messo in disparte. Avevamo visto il primo passo verso la messa in scena di uno spettacolo che poi sappiamo tutti che cosa è diventato. Eravamo giovani molto sollecitati, eravamo in un terreno fertile. All’epoca forse la stessa Università di Pavia si stava interrogando su come dare spazio a quella fertilità: infatti, la facilità con cui ci arrivarono dei finanziamenti fu impressionante. Mi piacerebbe credere che l’Università ci avesse visto lungo, tant’è che il giornale vive ancora ora e dopo vent’anni siamo ancora qui a parlarne. Tu all’epoca disponevi già del tesserino da pubblicista… Stavo lavorando per me stessa alla ricerca di una strada che mi permettesse di entrare nell’ambito del teatro e dello spettacolo. Avevo smesso di studiare a Milano e lavoravo come giornalista pubblicista dalle mie parti, ero iscritta regolarmente all’albo dei giornalisti della mia regione Piemonte. Disponevo di un tesserino che era fondamentale: ai tempi non era proprio così usuale possederlo. Credo quello sia stato uno dei momenti in cui nella vita tutti erano al posto giusto nel momento giusto, non ci sono altri motivi. Comunque era un momento molto vitale anche a livello accademico: l’Università di Pavia era piccola all’epoca, però stava cercando di aprirsi.

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Dove vi riunivate? Chi ha fondato il giornale insieme a te? In realtà non ci riunivamo, vivevamo un flusso continuo di esperienze comuni. Ora capisco quello che era successo dall’alto, o dal basso, dei miei cinquantuno anni. Ora faccio un lavoro completamente diverso: mi occupo di energie, insegno yoga e mi rendo conto di quanto, quando tu sei vivo e positivo e vitale e hai le idee ben chiare e hai una grande voglia, allora le cose succedono. L’altra cosa bellissima è che ci furono le persone giuste, si trovarono insieme delle capocce grosse tanto e con competenze altrettanto grosse. Il grafico c’era: a Morgan Bertacca devo tuttora molto; traduceva graficamente le nostre idee con una facilità estrema e questa cosa poi mi è tornata utile quando ho lasciato “Inchiostro” e mi sono dedicata all’organizzazione di eventi e al mondo della comunicazione. Il critico c’era: Barnaba Bonchielli aveva una competenza musicale pazzesca, pensa che un giorno mi fece conoscere i Massive Attack prestandomi un’audiocassetta… Era un tipo molto riservato, fisicamente mingherlino; eppure la sua scrittura aveva una potenza incredibile. Aspettavo con ansia l’uscita dei suoi pezzi. Poi c’era la follia di Cristina Silvieri Tagliabue, che era una fucina di idee, vitale, vulcanica, dopo “Inchiostro” ha fatto un po’ di tutto… Credo che queste persone stiano irradiando ancora la loro energia. Il fatto che siamo ancora qua, secondo me, è il risultato di un’onda lunga. E poi credo sia interessante il fatto che non ci sia mai stato né in me né nelle altre persone una rivendicazione di proprietà del giornale: c’è stato un semplice passaggio fisiologico, che sta nelle cose. Magari dopo aver lasciato il mandato a qualcun altro ti dici: no, aspetta, a chi l’ho dato? Ma poi ti rendi conto che è giusto così, è inevitabile. Che cosa ricordi della vita di redazione? Quando è finito tutto? Ricordo i miei pezzi scritti a mano sul foglio a quadretti. Ricordo il famoso caos creativo che vivevamo ogni giorno. Il fatto che nella mia testa non ci sia il ricordo di una redazione è emblematico, tutto era molto fluido. Il mio periodo in redazione sarà durato almeno un paio d’anni, fai anche tre. Sono stata direttrice perché lo potevo fare, dato che possedevo il tesserino: io però non ero assolutamente quella che aveva qualche idea in più degli altri, ci tengo a precisarlo. E le cose sono cambiate quando quel gruppo si è sciolto: c’è stato chi si è laureato oppure chi ha fatto semplicemente altre cose. Io ho abbandonato l’Università degli studi di Pavia perché a un certo punto l’ansia di lavorare si era concretizzata: mi avevano preso alla Scuola di arte drammatica di Paolo Grassi a Milano nel settore organizzativo. Ho mollato l’Università


Intervista a Maura Mammola

per poi riprenderla dopo tantissimi anni. Una notte mi sono svegliata e mi sono detta: oddio, mi stanno scadendo gli esami! Mi mancava latino: ho dato l’esame quando avevo quarantuno anni. Poi ho fatto la tesi con Sisto Della Palma poco prima che morisse (nel gennaio 2011, N.d.R.): abbiamo studiato il fenomeno Romaeuropa Festival, una delle istituzioni a quel livello più longeve, nonché al ventesimo anno di vita. Quando iniziai la Paolo Grassi non ebbi più un attimo di respiro. E lasciata l’Università, non ho più visto nessuno praticamente: ho lasciato il mandato e sono andata in tutt’altri lidi. E la scelta di chiamare il giornale “Inchiostro”? Non ricordo esattamente il motivo. Continuo a sostenere che era un momento di grazia, le cose fluivano. Quindi non mi viene nemmeno in mente un altro nome: è “Inchiostro”. Punto. Forse qualcuno aveva proposto Nuvole di cartone, ma sarà successo perché c’erano dei visionari tra noi. Ma poi non è un nome così differente da “Inchiostro” se vogliamo: ci stanno entrambi come proposte! Che cosa ti ha lasciato questa esperienza? Me lo chiedevo ieri sera, perché ero in una situazione difficile: mio figlio non stava bene, ha pianto ininterrottamente per un problema di salute. Però niente mi faceva spostare dall’idea di venire a questo appuntamento. Credo che questa sia la risposta. Non riuscivo a prendere in mano il telefono e a dirvi di no. Non so che cosa stia succedendo in Università adesso. Ci sono ritornata dopo quel periodo lavorativo per chiudere il mio corso di studi: mi sarebbe dispiaciuto non laurearmi. Quando sono tornata e ho fatto un paio di anticamere in attesa dei professori coi quali dovevo interfacciarmi per fare la tesi, intorno a me ho visto un enorme cambiamento, proprio epocale. Ho assistito a molti esami che in passato erano stati i miei stessi esami, però c’era un abisso: non voglio dare giudizi, mi limito a dire che intorno a me ho percepito un grande cambiamento. Mi sono chiesta se un’esperienza come “Inchiostro” oggi possa ancora nascere, perché all’epoca c’era un approccio diverso in generale, non so se migliore o peggiore. Vedo la trasformazione visiva del giornale: è incredibile. Solo il tempo ci dirà che cosa siamo diventati. Parlavi di aver visto enormi cambiamenti. Che idea ti sei fatta della comunicazione di oggi? Io ho lavorato ad Urban Magazine nel periodo in cui c’era una battaglia pazzesca: il caporedattore Alessandro Rubecchi, che poi è stato anche editorialista di Manifesto, pensava che noi dovessimo raccontare storie, ma all’epoca la pubblicità aveva già cominciato a voler sovvertire quella situazione con l’obiettivo di guadagnare sempre più spazio, a discapito dei contenuti. Io continuo a credere che la

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sintesi, lo stare all’interno degli spazi assegnati, sia fondamentale per una scrittura che si sbrodola su se stessa, che vuole comunicare qualcosa. Amo le cose stringate, dense, piene di contenuto. Questa abbuffata di mezzi, di robe che non c’entrano niente col contenuto, adesso ha oggettivamente la preminenza. C’è un piccolo problema, secondo me: l’eccesso di frammentazione ha un senso nel momento in cui il frammento occupa uno spazio ben preciso, ma un frammento in mezzo a un milione di frammenti muore. Anche lo yoga si sta misurando con questa velocizzazione. Tutto questo o muta o è destinato a finire. Il pendolo ritornerà alle storie. L’unico problema è la superficialità di questo tempo: non c’è mai la possibilità di fermarsi un attimo a pensare. Interrogatevi anche voi su questo giornale. Ma la ricerca di una semplificazione sta già rimettendo piede, secondo me.ricordi. Aveva questo stile qua, in cui si poteva pubblicare le proprie cose. Era un bel tentativo di unire le varie anime dell’università. Uno stile che mi piace. •

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Attualità

2015

inchiostropavia@gmail.com

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FAT T I

Il 2016 oramai è alle porte; bussa forte, lo sentiamo chiaramente e vogliamo che entri al più presto per far uscire di scena questo 2015, un anno particolare che sarà difficile da dimenticare secondo molti punti di vista.Anno di ricorrenze, accadimenti importanti, tentativi di svolta per il nostro paese e di tanto altro ancora che cercherò di elencare tra ciò che, bello o brutto che sia, ha caratterizzato questi 365 giorni. Dunque, non resta che tirare le somme; siamo stati bravi o cattivi? I propositi che ogni anno riscriviamo accuratamente su quel foglio che rimane appeso alla nostra bacheca, sono stati raggiunti o li rimandiamo all’anno prossimo? Siamo riusciti a risparmiare abbastanza per intraprendere quel viaggio che volevamo tanto fare? Se la risposta ad almeno due delle tre domande è negativa beh, che dire, benvenuti nel Club! Ancora qualche settimana e allo scoccar della mezzanotte via alle danze e tutti pronti a brindare all’imminente futuro, ci aspetta un anno tutto da scrivere e tutto da vivere! Per alcuni di noi ho una bella sorpresa, il 2016 sarà un anno bisestile quindi cari “leaplings” (il termine si riferisce a coloro che sono nati il 29 febbraio) potrete anche voi fare baldoria nel vero giorno del vostro compleanno e smascherare quelli che, in realtà, non sanno la vostra data di nascita ma semplicemente si affidano al mondo di Facebook per a z z a rd a re un augurio! Ma pensiamo all’anno che sta arrivando al capolinea; questi 365 giorni sono stati segnati da successi e insuccessi che hanno dimostrato quanto la nostra umanità sia un pendolo che oscilla tra (mutando la filosofia di SchoInchiostro • numero 144

D E L

di Lisa Martini

penhauer) gioia e dolore. Gioia per tutto ciò che porta alto l’onore di ognuno di noi, dolore per tutti quegli eventi che ci hanno fatto sentire piccoli, indifesi e incapaci di reagire. Abbiamo ancora tanta strada da percorrere, che si tratti di scoperte scientifiche o semplicemente di ciò che si ritiene giusto o sbagliato e per questo motivo ripercorrere i propri passi, a volte, male non fa! In effetti l’anno che abbiamo oramai alle spalle non è partito nel migliore dei modi; l’attentato terroristico alla sede del giornale satirico francese “Charlie Hebdo” e la morte di chi lavorava per tale settimanale (e non solo) ha dato il via ad un anno pieno di eventi tragici poiché quest’evento non fu altro che il primo di un’inaspettata serie. Se il 7 Gennaio la Francia abbassava la testa sotto la forte presenza terroristica dello Stato Islamico, a Marzo anche Tunisi ne imitava l’atteggiamento dopo l’attentato terroristico all’interno di un suo famoso museo. Altri eventi come questo si sono fatti sentire in tutto il mondo ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha mutato le coscienze di ognuno di noi è stato il recente attacco terroristico nella “Ville de Lumière”: Parigi. Città delle luci e della ragione, epicentro di una delle Rivoluzioni più importanti della storia di tutti noi, sede in cui venne stipulato il Trattato di Versailles in cui si diceva “Basta alla guerra” e ultimo, ma non ultimo, meta di ogni individuo che ami la vita e l’amore. Tutto questo racchiude Parigi, e tutto questo è stato messo in pericolo, anzi preso in ostaggio dall’odio e da una qualche ideologia (non religione) sbagliata che rema contro i principi propri di quella Città... Si potrebbero elencare molte altre città che, come lo è stata Parigi il 13 novembre, sono vittime di queste ingiustizie, ingiustizie che limitano le libertà dei cittadini, le loro volontà, le loro stesse vite. Si dice che non vi sia bene senza male e viceversa, per questo motivo è bene notare anche tutto ciò di positivo che questo 2015 ha portato con sé e vi assicuro che c’è n’è per tutti i gusti! Partiamo dalle banalità; quanti di noi hanno sentito o usato la parola “sfumatura” nel proprio linguaggio? Beh credo tutti ma attenzione, da Febbraio 2015 questa parola non poteva essere che riferita ad un’unica cosa, un unico evento: l’uscita nelle sale del popolarissimo


Il 2015

Attualità

bestseller 50 Sfumature di Grigio... Donne (ma non solo) di tutto il globo sono state, come dire, sedotte da questo romanzo che le ha fatte sognare scene di ogni tipo; dall’incontro con un ricchissimo, bellissimo, uomo d’affari fino a volare sopra un elicottero chiamato “charlie tango” svolazzando qua e là tra i grattacieli di Seattle per poi concedersi una notte proibita con il tenebroso Christian Grey. Il mondo femminile intero è veramente impazzito dopo l’uscita del film e tutti, ma proprio tutti, non hanno fatto che discutere sul forte messaggio che il film trasmetteva... Beh che dire, tra critiche, attacchi anche pesanti rivolti a scrittrice e produttori, il mondo intero non vede l’ora che esca nelle sale il prossimo capitolo della saga più hot e intrigante del XXI secolo. A distanza di qualche mese un’altra novità ha reso il 2015 mooolto interessante: vi ricorda qualcosa l’immagine di mele, banane, pere e chi più ne ha più ne metta che gironzolano qua e là tra pubblicità televisive, siti internet, manifesti pubblicitari per ricordarci ad ogni ora del giorno e in ogni luogo in cui ci troviamo del nostro caro Expo? Impossibile direi! Tra le lamentele anti expo e tutte le storie saltate fuori riguardo alle tempistiche (tipiche delo standard/stereotipo italiano) credo che più che un sogno sia diventato un incubo per gli italiani! A parte scherzi, Expo indubbiamente è stata una svolta molto importante per il nostro paese e sopratutto è stato un tentativo per riaffermarci nel mercato internazionale. paura è Allarghiamo dunque svanita ed i nostri confini; in efè bene sapefetti qualcuno di noi, re che l’amoun’italiana ad essere precire è semplicesi, è riuscita ad allargarli di mente amore, indifferentemente parecchio! Ebbene si, perché, cari “scetticoni”, dal sesso degli individui. Per quela prima donna ad essere stata nello spazio per sto motivo è bene ricordare che nel la notevolissima somma di 200 giorni è nostra 2015 paesi, come l’Irlanda, hanno compatriota, Samantha Cristoforetti. Lei si che è una donna con gli attributi e per questo suo sog- concesso il matrimonio alle coppie omosessuali e giorno nello spazio, dedicato ad esperimenti sulla che addirittura in altri paesi, come il Portogallo fisiologia umana, analisi biologiche e stampe 3D è stato permessa l’adozione alle coppie gay. Passi per ricambi necessari nelle stazioni spaziali, ha con- avanti notevoli direi, che ci fanno pensare a quanto seguito il record europeo per permanenza nello spa- l’amore per il prossimo, in realtà, sia il vero motore zio! Inutile dire che oramai nel XXI secolo infrange- di tutto ciò che abbiamo (o che potremmo avere) re e superare i propri limiti, se si vuole veramente, intorno. Per questo nuovo anno alle porte dunque, non dimenticate di scrivere nei vostri propositi un è possibile. I limiti molto spesso però non sono solamente fisici, Nota bene importantissimo; amate. Amate chi è anzi nell’epoca nostra sono molto più presenti quel- come voi ma sopratutto chi è diverso da voi, amate li ideologici... Siamo sempre stati abituati a pensare tutte le sfumature di una persona, non solo ciò che alla famiglia come un nucleo composto da uomo e vi torna comodo, amate quelli che vi amano, e ladonna e, con il crescere del loro rapporto, l’aggiun- sciate stare chi vi odia. Non c’è Odio senza Amore. ta di relativi figli/e. Beh i tempi si sono evoluti, la Non c’è vita senza amore. Buon anno a tutti. •

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Vincitori della decima edizione del concorso letterario

PROFUMO DI GIOVINEZZA Luca Viti

primo classificato

- Finale Se lo stropicciava ben bene il suo malloppo, lo allargava sul cuscino, lo stendeva coi ditoni goffi, attento a non sgualcirlo; lo stirava, lo lumava un po’, con soddisfazione, poi se lo stringeva forte, allargandosi sulla faccia una contentezza grande grande da bambino imbranato. Ma la testa cominciava a pesargli e gli occhi un po’ cerchiati ad arrossarsi - gli venne un sonno pesante, che non poteva scappare. Tirò la coperta ruvida di lana verde, il lenzuolo bianco, e si disfò sulla branda, col tesoro suo preziosissimo ancora stretto nelle mani. Concesse a quel profumo di giovinezza un ultimo sospiro; poi cadde, addormentato, in un caldo formicolio d’ebrietà. - Prologo Lui puliva, stracco, nei dintorni della piscina termale, e ogni tanto buttava l’occhio alle donne, di là dalla statua d’un Nettuno sbeccato. Come remasse, insisteva con lo spazzolone, avanti e indietro, senza dire una parola, colla pazienza sottomessa degl’invisibili. Nonostante l’aria imperturbabile che c’aveva, quella sua testaccia andava, eccome se andava, sotto i riccioli incanutiti; andava e si impelagava nelle trame di un prurito che s’attacca e morire se va via. Gli veniva quasi il magone a veder tutto quel ben di dio di giovinezza; quasi la nostalgia della

primavera. Quel profumo beato che abbeverava l’atmosfera e alle volte spirava anche, a folate, come un seducente zaffiro orientale, gli saliva fin nelle nari - abituate e un po’ scottate dal disinfettante per il cesso - e sai che bellezza? Non c’era molta speranza di farsi amare da una di quelle meraviglie di donna, ma a fiutar l’aria col naso all’insù, si poteva far andare l’immaginazione, e a lui ci era abbastanza così, per tenersi allegro. Quando si faceva sera, e le donne tornavano alle stanze, lui finalmente entrava, ma il profumo - di giorno una malia piena di grazia - piano svaniva, e dissipava nell’odoraccio di cloro e alcool; chissà dove se ne va quel vento di misericordia… - Spannung A rimuginarci sopra si rischiava di perderci il sonno - ma quel chiodo, che non c’era verso di cavarlo fuori, gli intoppava qualsiasi altro ragionamento; quella fragranza di latte, inviolata che pareva una mandorla acerba, solo a ripensarci, gli mandava la fantasia fin al limite della decenza. Cercando di distrarsi, ingollò la prima latta di cerveza a basso costo, grattata via da una qualche botte mezza guasta; ma non fu capace di calmarsi, preso com’era da una fregola senza grazia, che di lasciarlo proprio non ne


Inchiostro a volontà: dopo la terza birra

voleva sapere. Alla seconda latta, una straniante ma calda inquietudine cominciò a girargli per il corpo, che faticava quasi a tenersi calmo sul divano: gli cacciò via tutto il suo assopimento e prese a coltivargli uno di quei pensierucci tentatori che affamano il desiderio. Ma dov’era lui quando c’era da esser giovani e temerari? - e porca nostalgia, si concesse anche una terza latta, col groppo in gola che non c’era verso di scioglierlo. Ma dove va anche il tempo, che non può aspettare?, che ci ha fretta di partire? E tornava a quell’aroma benedetto, che, tutto ciò che di bello il mondo s’era ripreso, o addirittura gli aveva negato, sembrava restituirgli, con un solo vezzo lieve lieve, una carezza sulla guancia lanosa, un alito di donna, dolcissimo, che lui mai così dolce aveva stretto, obbligato alla spilorceria dello schermo del computer. Ma che ci poteva fare, non ci usciva proprio da quella sua testaccia - e lo voleva ormai, come fosse un etere benigno nel qual flusso calarvi la faccia sperando che lavi ogni bruttura - un fior di loto, nel cui sapore eccitare il proprio gusto e dimenticarsi, insistere dunque lasciarsi, senza più forze, ad un benessere pastoso e rassicurante. È che lui in fondo non voleva nient’altro che stare allegro, ma questa volta gli era saltato il grillo d’avere finalmente una cosa bella, che fosse solo per lui, e gli aiutasse l’immaginazione. Così gli venne l’idea. Attese le prime ore della mattina, a quell’ora di solito erano poche le ragazze che s’arrischiavano alla piscina; difatti ne scorse solo tre o quattro a rilassarsi nell’acqua morbida e teporosa. Respirò profondamente, cercando di concentrarsi, si poggiò al manico dello spazzolone, e si lasciò tirare, colla testa annebbiata e allegra, ingenuamente contento, oltre il Nettuno sbeccato, verso lo spogliatoio femminile. Raggiunse un paio di armadietti chiusi, eccitato d’avventura, allungò i suoi manoni ruvidi, imbranti dalla notte insonne, e provò ad aprirli; insistette e strattonò, racimolò ogni grano di coscienza per star concentrato, fino a che non gli riuscì l’impresa, e forzò la serratura. Vi frugò dentro, palpitante e incosciente, arraffò quel che gli pareva di più avesse l’aroma tanto amato, se lo ficcò nei tasconi della tuta, e se ne andò di volata, abbandonando pure lo spazzolone ai piedi degli armadietti.

- Epilogo Non ci volle poi molto perchè lo scoprissero: a parte trovare abbandonato là per terra il suo spazzolone, davanti agli armadietti forzati, ma quando andarono a bussargli l’uscio dello stanzino - che l’avevano visto entrare di filata - lo trovarono così, a letto, addormentato nei fumi di quella birra malnata, abbracciato felice ad un paio di mutandine di chiffon. La direttrice lo svegliò di soprassalto, incredula, gridando e sbraitando, indicando quel misero malloppo che c’aveva fra i diti grossi come fosse un braccio umano nelle fauci d’un cannibale. Ma il povero diavolo, cogli occhi languidi languidi, che pareva una bestia presa a pedate, non faceva che balbettare, mortificato, accavallando le parole in un disgraziato imbarazzo; ma poi che l’ira cieca della direttrice non finiva, a quello ci pareva esagerasse, e allora fece ricorso a un briciolo d’amor proprio che ancora aveva, la fermò d’improvviso e prese a dirci - provate voi! Provate voi a star citi tutto il tempo, coll’acqua in bocca e la buon’anima vostra piena di sale - provateci voi a star chiusi in questa disgrazia di vita, che nessuno vi vede e vi sente. Ma io non è che mi lamenti mica di questo, così vuole il buon Dio e così che sia, ma cisti! potrò anche restar contento una volta o l’altra! Mai io ho pigliato qualche cosa che non mi fosse stato buttato sotto la tovaglia, per la grazia o la pietà di qualcheduno; sempre a bacchettate sulle nocche sono andato avanti, a taser e sbasar la crapa. Io mica volevo far del male, non c’ho mica toccato a nessuno, e benedetta quella birra che m’ha sbrisolato un po’ di spirito, che bastasse a diventare spudorati; e tutto questo solo per snasare ancora il profumo di ‘sto bel mondo, che a me non è mai stato permesso, mica per altro, mica che si chiede il cielo, ma almeno una sberla di sole che passi da questi vetracci foschi, sì; e magari anche un germoglino di gramigna, solo uno, birlato fuori da una crepa sul selciato… Non per altro, ma così, per stare allegri. Ma questo commosso tentativo non gli valse il perdono della direttrice, che si vide costretta a licenziarlo; però - complice il mancato reclamo della cliente, vittima del furto (e ci mancherebbe) - gli venne concesso, come buonuscita, di tenere il suo prezioso. •

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UN PRINCIPIO DI PRINCIPIO Miriam Malinverno seconda classificata

Io non mi ritengo un uomo intollerante. Credo, però, di potermi concedere lo status di esaurito perché, da ormai due anni, non digerisco il fatto che questo sventurato varchi l’uscio del bar Moderno con le pezze alle ginocchia, l’odore dell’alcol addosso e barcolli fino alla prima sedia libera attirando a sé tutta l’attenzione. Non ho fiatato la sera di Halloween, perché non si può negare che quel volto stinto si mimetizzasse tra i ghigni sinistri delle maschere; e nemmeno quella in cui, durante la risottata, ha fatto cadere il piatto colmo sulle Hogan fresche di negozio della signora Petti. Ho sopportato ogni sera in cui, con la mano tremante dal gesticolare, ha insozzato tutto il tavolo di birra e, in silenzio, ho fatto il mio mestiere. Ma non stasera. Da giorni tutti aspettiamo che si consumi il processo di Crescenzo Mezzago, showman di grande fama che nega di aver evaso il fisco per milioni. È il caso mediatico che affascina milioni di spettatori, e domina un solo desiderio: fare giustizia. Bramosi di sapere se quel disgraziato finirà o meno dritto in galera, avventori da ogni dove affollano il locale, e i bicchieri ordinati per placare i loro istinti infiammati non fanno che aumentare il mio conto in banca. Quel furfante del signor Gomez si era ben premurato prima d’oggi di rintanarsi in casa a marcire ogni volta che al bar Moderno stazionava un numero spropositato di clienti. Non ama la folla, ma stasera

ha realizzato con i pochi neuroni che gli restano non bruciati dall’alcol che più gente trova, più può fare ciò che gli riesce meglio: irritare il mondo con le sue pillole di presunta saggezza. “Voi, signori, confondete la vostra vita con quella degli altri; e la criticate, perché in fondo è sempre più interessante. Il giudizio in massa è la vostra legge, perché vi hanno insegnato che il valore di un uomo sta dove i più credono che stia. Guardatevi bene da voi stessi, altro non siete che pedine sulla scacchiera della società”. Biascica idiozie simili da quando è arrivato. E dà il meglio di sé, tutte le notti, dopo la terza birra. Si dice che il galantuomo venga da lontano. La Pina, che ficcanasa nella routine di tutto il quartiere, ha scrutato con i suoi occhietti vispi l’avventore per mesi; poi, ticchettando sul bancone con l’indice e socchiudendo le palpebre pesanti di mascara, ha esibito il resoconto delle dicerie sul suo conto: anelli magici che resuscitano i morti, pennuti arcobaleno, fiori ipnotici infestano la terra da cui viene. È scampato alle guerriglie, ha vissuto per anni nella foresta amazzonica e ha venduto la moglie per imbarcarsi su un peschereccio diretto verso l’Europa. Si dicono tante cose sul signor Gomez, quello che si sa è che è piovuto qua come una piaga dal cielo solo per rompere l’anima al prossimo. E che, considerando la programmazione della serata, la fiumana delle oscenità che sta proferendo e la palese scocciatura


Inchiostro a volontà: dopo la terza birra

dei clienti, è giunto il momento che faccia conoscenza dei carabinieri. Già il signori Luigi, che solitamente ha un temperamento tranquillo, ha indicato l’estintore alla sua destra e l’ha minacciato di tirarglielo in testa. Accanto a lui, una coppietta ha sospeso le smancerie per lanciare un’occhiata carica di curiosità verso il nuovo predicatore. Sembra che tutti i presenti stiano per scaricare la tensione per il verdetto sul poraccio; ma a quello gli insulti passano da un orecchio all’altro, perché in testa non ha nulla per trattenerli, se non un’altra bottiglia di birra. “Tanto tutto è troppo, basta quel che hai, e forse un giorno lo capirai...” Solo quell’uomo può avere la faccia tosta di mettersi a cantare qualche dannato gruppo alternativo in un momento di nervi così tesi. “Riesco a percepire la vostra frustrazione. È evidente che la vita che tanto agognate vi stia distruggendo. Eppure io ho la soluzione: un bicchiere, una donna e una canzone.” “E quattro ceffoni. Forza, se ne vada: le sue pagliacciate non interessano a nessuno. A voler essere troppo saggi si rischia di passare per idioti” risponde un avventore agitando il telefono. Gomez è palesemente infastidito, perché non sa più dove andare a parare, e ora parla di arrivismo e di materialismo, ma l’alcol in corpo non lo soccorre nel discorso. “Lei è inebetito da quell’aggeggio pieno di fesserie. Si sbarazzi di quel telefono e rifletta: vivere non è possedere.” “Che? Ho da scommettere sull’innocenza di Mezzago e, se vincerò, le pagherò un centro per alcolisti anonimi”. Ecco che quel maledetto inizia a perdere le staffe. È talmente fuori di sé: digli che è matto e ti ride in faccia, digli che è sbronzo e si sente incompreso. “Soldi e potere. Credete che vi daranno tutto. Credete che le vostre mogli inizieranno a vedervi come qualcosa di più di un trofeo da mostrare alle feste e sgridare a casa per l’assalto al buffet. O che potrete dare la felicità che non avete ai vostri figli. Aprite gli occhi: quello che cercate sta da tutt’altra parte. Mostrate e dimostrate quanto potete, ma ci sono cose che non avrete mai.” Un dinosauro. Una notte con la signora Eva. La soddisfazione di vederlo sparire per sempre. Ognuno avanza la sua battuta e, anche se fanno tutte schifo, si ride per solidarietà. Un altro bicchiere ed è quello di prima. Scordatevi che glielo abbia portato io: mia moglie Carla prova pena per lui perché non sa cosa sia una famiglia. La mia donna, ormai rovinata dai segni dei pensieri,

mi ha confessato che sotto sotto prova invidia per quella speranza invadente e molesta che da anni il signor Gomez porta al bar Moderno. Io credo che in realtà provi compassione perché vive in un bilocale di un palazzo fatiscente accanto al bar, fatica a pagare le bollette e ha solo un piccolo tubo catodico che funziona a seconda delle bizze del tempo e non trasmette che vecchi film in bianco e nero. Sono arrivate le forze dell’ordine, ed è una liberazione. I due uomini in divisa entrano con tutta la calma del caso, interrompendo la nuova arringa del disgraziato. Immagino abbia spostato l’attenzione sull’argomento politico; ho udito a malapena qualcosa a proposito di una rivoluzione mentre portavo un hamburger al tavolo di due ragazzi distratti dagli iPhone. I carabinieri lo guardano come si guardano i matti e si limitano a tirarlo delicatamente per un braccio per guidarlo senza cattiveria nella volante. Sanno che non è pericoloso. È un pericolo quello che cerca di innestare nella testa dei miei clienti, perché se tutti la pensassero come lui saremmo qua in due, io veterano barista, e il vecchio Diego, il mio più caro amico, che tutte le sere ha assistito al patetico teatrino senza mai fiatare. L’unica volta che ha aperto bocca a proposito è stato per bofonchiare qualcosa sulla società che non funziona, è ottusa e non so che altre diavolerie. E ora scuote la testa e sussurra che abbiamo frainteso, abbiamo frainteso tutti; il signor Gomez professa “una rivoluzione interiore, una riscoperta di ciò che è più vero nell’uomo”, e un altro mucchio di fandonie. Del partigiano ha solo quel cappellaccio che scuote in continuazione per dare enfasi al discorso quando alzare il bicchiere non gli basta più. Colpevole. Il locale è in subbuglio, una danza di applausi, cinque battuti, salti sulle sedie; qualcuno esce scocciato a fumarsi una sigaretta, mancano le prove, alla fine i suoi talk-show erano esilaranti, un uomo con quel sorriso non può essere un criminale... In rete non si parla che di lui. E anche il signor Gomez sembra piccato. Non gli importa nulla di Mezzago, ma mentre lo scortano fuori dal bar si limita ad abbassare la testa e a stare zitto perché quando non può predicare è un uccello al quale hanno legato le ali. Si gira un’ultima volta, e sottovoce sento che aggiunge: è meglio bruciare che spegnersi lentamente. Esaurito l’entusiasmo, tutto torna alla normalità. Dalle chiacchiere sul calcio, alle risatine delle pettegole, ai calici alzati. Io pulisco i bicchieri e intanto mi guardo le punte dei piedi, come da due anni a questa parte. •

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UNA FALLIMENTARE GOLIARDIA Maria Grazia Corazzolla terza classificata

«Si capisce subito!» disse il giovane, guardandolo dall’alto in basso «lei ha la faccia di uno che non si è mai goduto nulla e non ha mai provato niente». Poi aggiunse, spostando lo sguardo sulla bottiglia che teneva in mano e sorridendo con un angolo della bocca «Nemmeno una birra». Se ne andò, lasciando Onofrio Severi imbambolato, con gli occhietti porcini che si dibattevano impazziti nella rotondità eccessiva del suo volto roseo. Il povero Onofrio era un omino piccolo, tozzo, con una calvizie incipiente. Ciò che di lui spiccava erano soprattutto quelle sue manie compulsive che lasciavano trasparire un certo livello di nevrosi ormai ineliminabile. Metodicamente e incessantemente ricercava l’ ordine, anche nelle minime cose: i calzini? piegati due volte e impilati l’uno sull’altro; i fazzoletti di stoffa? stirati impeccabilmente e riposti nel taschino della giacca; i soprammobili? posizionati con calcolata simmetria. Inoltre il nostro Onofrio Severi non sorrideva mai, perché (badate bene a cosa gli passava per il cervello!) gli pareva che quella smorfia che contraeva i muscoli del volto emettesse un fragore sguaiato che non rientrava nella geometria delle cose. E nemmeno guardava le persone negli occhi. Guai! Fissava, piuttosto, un punto impreciso e quando camminava i suoi occhietti erano sempre rivolti verso il suolo per evitare l’insolenza indagatrice degli sguardi degli estranei che non erano ammessi nella sua bolla esistenziale. Dunque Onofrio, tutto preso dal celebrare devotamente questi rituali che scandivano la sua giornata, pochissima, anzi, nessuna attenzione avrebbe dovuto prestare all’affermazione del ragazzo. Onofrio si

era permesso di rivolgere alcune lamentele per il chiasso che i giovani inquilini creavano con la loro baldanzosa allegria ricevendosi in risposta quest’ironica provocazione. Il fatto è che qualcosa si scosse in lui quel giorno. Non un grande sconvolgimento, intendiamoci, semplicemente qualcosa incrinò la sua stabilità. Lui, uno che non si gode la vita? Bah, se l’era goduta eccome! E poi, cosa ne sapevano loro, quei ragazzini mezzi brilli, per dirgli come vivere? Cercò di scacciare quei pensieri concentrandosi sulla sua routine quotidiana. Si recò al suo caffè, ma appena entrò si rese conto che qualcosa era diverso. Si guardò intorno un paio di volte ma non riuscì a capire: la clientela, il cameriere, il chiacchiericcio erano sempre gli stessi. Lentamente si avvicinò al bancone. «Il solito?» si sentì chiedere. Ecco! Ecco dov’era il punto! Il solito, lui non lo voleva più! Si agitò sullo sgabello. Cosa gli dava fastidio? Che tutti lo ritenessero prevedibile? Che lui, il povero Onofrio Severi fosse etichettato, e chissà da quanto tempo, come una persona un po’ sbiadita? Ebbene, quel giorno non l’avrebbe più permesso: avrebbe dimostrato che lui aveva coraggio, sì, sì, un gran coraggio! Era un uomo di mondo, lui! Preso da un improvviso slancio di prodezza inaspettata rispose: «No». «Cosa le porto, allora?» Spiazzato da questa domanda si sorprese a distogliere lo sguardo dalla collezione di birre posta sullo scaffale di fronte a lui e a portarlo dritto dritto sul volto dell’uomo. Colto da un brivido di esaltazione


Inchiostro a volontà: dopo la terza birra

disse: «Una birra. Mi porti una birra». L’altro rimase perplesso. Lo guardò come se stesse scherzando, ma quando vide che Onofrio rimaneva in silenzio, stretto nel suo completo che lo strizzava sulla pancia, si mosse e lo servì. Onofrio, il povero Onofrio! Aveva il cuore che gli batteva all’impazzata! Stava uscendo da tutti i suoi schemi: impensabile! Prese il boccale e bevve tutto d’un fiato. Alla fine emise un lieve sospiro e aspettò. Che cosa esattamente, non lo sapeva, ma dopo un momento così improbabile come quello qualcosa doveva pur succedere. Invece non accadde proprio nulla. Uscì, seguito da un’occhiata di disapprovazione del cameriere. Arrivò al lavoro in balia della delusione. Non si sentiva affatto meglio, anzi, quella sensazione di inadeguatezza si era acuita, diventando il suo pensiero dominante. Dopo qualche ora qualcuno bussò alla porta del suo ufficio. «Dai, vieni di là con noi!» Per un momento non capì, poi gli venne in mente: era il compleanno di qualche collega. Probabilmente qualcuno aveva portato anche una torta e si accingevano a brindare. «Dai, vieni!» ripeté la donna. Onofrio la guardò: i compleanni in ufficio rientravano in quella lista di cose che detestava con tutto se stesso. Contaminare la regolarità del lavoro d’ufficio con una sorta di patetica buffonata? Incredibile! Si alzò meccanicamente e sì, quella volta si unì agli altri. Dopotutto lui era uno che provava tutto nella vita, sì, sì! Così, appena vide che accanto ai dolci c’erano delle bottiglie di birra ne acchiappò una e la sorseggiò. Due birre in un giorno! Si sentiva ormai un’anima avventuriera, estranea a ogni forma di reticenza o paura. Tentò persino di abbozzare un sorriso. Era una fonte di sorprese, quel giorno. Cosa poteva ancora accadere! Di nuovo rimase deluso: finiti i festeggiamenti tutti se ne tornarono al loro posto, compreso Onofrio, il cui animo si rabbuiò ulteriormente. Aveva fatto tutto a dovere: aveva preso qualcosa che non rientrava nelle sue abitudini e aveva rotto quel suo mondo di ordine credendo che a ciò dovesse per forza seguire un evento soprannaturale. Ma così non era stato. Finita la giornata lavorativa si diresse verso casa più stanco che mai. Giunto al suo piano sentì una musica provenire da quello superiore: stavano dando una festa. Giovani irresponsabili! Scosse la testa: stavano perdendo tempo in una vita sregolata

e disordinata. Lui, invece, aveva trovato l’equilibrio e l’ordine e aveva l’intenzione di non rinunciarvici mai più. Sentì alcuni passi alle sue spalle. Arrivò il giovane che lo aveva sbeffeggiato quella mattina. Si guardarono. «Allora, com’è andata la sua giornata normale?» «Benissimo» tagliò corto Onofrio. «Ne dubito. Una noia, una vera noia sarà stata» Onofrio scoppiò: «Giovanotto, non ho alcuna intenzione di vivere nel modo in cui vive lei. Non porta a nulla, sa? Ho provato due birre oggi!» E gli agitò davanti agli occhi le due dita tozze «Ho provato due birre e…niente! Non è successo niente! Niente di niente!» L’altro, alzando le spalle, rispose: «Beh…perché non prova con una terza?» e allungò una delle bottiglie che teneva in mano. Calò il silenzio, poi Onofrio gliela strappò di mano e bevve. Il ragazzo scoppiò a ridere, gli diede delle pacche sulle spalle e lo trascinò al piano di sopra. Ora, bisogna dire che, sebbene nulla di materiale fosse accaduto al povero Onofrio Severi, qualche piccolo mutamento in lui c’era stato. Durante la giornata una sottile nausea accompagnata da un senso di vertigini lo avevano perseguitato: era sul principio di una lieve ebbrezza. Proprio così! Evento mirabile: il turbinio di emozioni e birra unito a una certa dose di autosuggestione lo avevano portato a quella condizione. Dunque quella notte doveva esser stata una gran notte: certamente compì grandi e memorabili gesta, abbandonandosi al fascino seducente della novità. Tuttavia, ciò che effettivamente successe rimase un mistero perché quando si risvegliò il giorno seguente si trovò con la faccia schiacciata sul pavimento, con una forte emicrania e l’impossibilità di richiamare i ricordi della serata. Qualche mese più tardi uno dei ragazzi presenti a quella festa era in procinto di laurearsi. Uno dei suoi amici ebbe l’idea di appendere alcune compromettenti foto del laureando in giro per la città. Ebbene, se qualcuno si fosse fermato a guardarle attentamente avrebbe visto che in una di queste compariva anche un omino con la camicia mezza sbottonata e la cravatta che pendeva da un lato che si protendeva cercando di schioccare un bacione sulla guancia del futuro dottore che, stretto nel suo abbraccio, cercava di sottrarglisi come poteva, senza celare una nota di ribrezzo. Fortuna che lui, il ritornato Onofrio Severi, non alzava mai quei suoi occhietti porcini dalla strada. •

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LSD: lettori si diventa

Opopomoz Furio Scarpelli, 2003

inchiostropavia@gmail.com

Aprì la bocca per gridare «mamma» e invece le uscì: ­ Rocco! Si stupì molto. Che posti erano quelli, uno pensava una parola e ne usciva un’altra? Si disse ancora: voglio tornare da mamma e papà, porca miseria! E invece strillò: ­Voglio trovare quel fessacchiotto di Rocco! Ci pensò sopra. E si disse: già, a volte uno vuole due cose opposte, e perciò una cosa del genere può succedere. Infine considerò: vabbè, ma dato che sono arrivata fin qui, perché non andare avanti?

Inchiostro • numero 144

di Elisabetta Gri

Opopomoz è una storia natalizia, un racconto per bambini che però trova spazio anche nello scaffale degli adulti. Senza voler svelare troppo dell’intreccio, basti immaginare due bambini, Rocco e Sara, che nella notte di Natale intraprendono un viaggio magico alla volta di Betlemme, spinti l’uno dall’imbroglio di una promessa di felicità e l’altra dal desiderio testardo di trovare il cugino maggiore, sempre pronto a correggere le parole che lei storpia. Ma chi è l’artefice di questa fregatura? Dietro a tutto ciò vi è un piano più grande e terribile, in grado di far emozionare i più piccoli e riflettere, magari anche solo un pochino, i più grandi. Furio Scarpelli costruisce dei dialoghi semplici ma diretti: incentrati soprattutto sullo scambio tra i bambini o tra loro e gli adulti, è riuscito a far pronunciare loro parole tanto ingenue quanto disar-


Furio Scarpelli, Opopomoz

manti come, del resto, si conviene a quell’età. L’insegnamento, come in ogni storia che si rispetti, non manca. Ciò che stupisce piacevolmente è il fatto che non si tratti di una morale da maestrina, quasi a senso unico, che porta l’indice del genitore a muoversi ritmicamente di fronte al viso del figlio. Non è questo il caso. Il libro sta sopra entrambi senza volontà di condannare nessuno. Indubbiamente un bel regalo di Natale: una storia magica, da leggersi per tornare coi piedi per terra.

LSD

­ er farne che cosa? P ­Per farne che cosa di che cosa? ­ribatté Rocco. ­Hai detto «vogliono il mio bene». Perché lo vogliono, quei tre? Che ci vogliono fare col tuo bene? Discutevano senza rallentare il passo, mano nella mano. Si erano lasciati alle spalle le zone verdeggianti e trotterellavano nella spianata che si estendeva fino all’orizzonte, dove tra non molto sarebbero apparse le propaggini posteriori del presepio. ­Ma cosa arzigogoli? ­replicava Rocco. ­Si dice che uno vuole il tuo bene non per pigliarselo lui, ma nel senso di volere che venga a te… ­Ah, ­fece Sara. ­Quelli vogliono il tuo bene, non ti dicono che cosa ci vogliono fare, e tu glielo dai! Prima ti ho detto tutte quelle parolacce, ti ho detto pure babbeo? ­No, non me lo hai detto. ­Bene, te lo dico adesso: babbeo. •

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Sondaggio

Quanto costerà questo Natale agli Studenti di UniPv?

di Federico Mario Galli

inchiostropavia@gmail.com

Finalmente dopo un anno di attesa arriva il tanto desiderato Natale, ma come tutte le feste, anche questa, è tanto una gioia quanto una spesa! Regali, cene, viaggi, tombolate e quant’altro… Quanto costerà questo Natale agli Studenti dell’UniPv? Anche questa volta, per rispondere a questa domanda, abbiamo lanciato un sondaggio in tutta l’Università, dalla Centrale al polo Cravino. A questo sondaggio, che ha visto protagonisti ben 227 Studenti, hanno partecipato iscritti a Psicologia, Giurisprudenza, Biotecnologie, Chimica, Comunicazione, Innovazione Multimedialità ‘’CIM’’, Scienze Politiche, Lingue, Economia, Ingegneria, Lettere, Storia, Geologia, Medicina, Bioingegneria, Storia dell’Arte, Fisica, Filologia, Architettura e Infermieristica. Dei 227 intervistati 101 di loro sono maschi, le restanti 126, chiaramente femmine. Dai dati emersi, quanto secondo voi spenderanno mediamente gli studenti? Spenderanno di più le donne o gli uomini? Quanto chi dei due più dell’altro? Secondo i risultati e la media dei dati raccolti dagli intervistati, mediamente gli studenti spenderanno 132 euro solo per i regali, più generose sono le studentesse, secondo il sondaggio , spenderanno più del 26% dei loro colleghi, ben 148 euro a testa, solo per i regali. Gli studenti maschi, con una spesa media di 111 euro, spenderanno in relazione al totale del sondaggio solo il 34%, contro il 63% che spenderanno le ragazze per fare i loro regali. Regali che dal sondaggio vedono al primo posto i membri della famiglia, al secondo gli amici e all’ultima posizione il fidanzato o fidanzata. La nostra amica Martina di Giurisprudenza ci suggerisce di andare a cercare nelle librerie alcuni testi da poco, per non lasciare nessuno a mani vuote spendendo a volte solo due euro. Grazie Martina. Libri a parte secondi voi quanti regali faranno, quest’anno, gli studenti ? Mediamente, secondo i dati raccolti dal nostro sondaggio, gli studenti faranno mediamente 6 regali a testa, varierà questo dato da ragazzi a ragazze?

Inchiostro • numero 144

Ebbene si, non sarà solo un fattore di spesa maggiore ma anche di quantità! Infatti, secondo il sondaggio, ogni studentessa, mediamente, acquisterà ben 7 regali, contro i 4 dei loro colleghi studenti. Ma il Natale non è fatto solo di regali, infatti nel periodo natalizio, tanti sono quelli che approfittano delle vacanze per viaggiare. Secondo voi quanti studenti approfitteranno della pausa universitaria per farsi un viaggetto? Secondo i dati raccolti il 38 % di loro ha assicurato che passerà qualche giorno lontano da casa, chi in montagna, chi in qualche città europea, molti di loro nel periodo di Capodanno. Quindi a loro anche le spese del viaggio, da sommare a quelle per i regali. Un Natale ricco di gioia e meno di soldi potremmo dire. Ma ora basta parlare di costi e vediamo un po’ come hanno risposto gli intervistati alla domanda: ‘’Preferisci ricevere un regalo fatto a mano o comprato?” Con grande sorpresa i dati non sono molto distanti tra maschi e femmine e nemmeno come scelta, il 41% degli intervistati ha dichiarato di preferire regali pensati e fatti a mano mentre il restante 59% si affida alle scelte dei negozi e preferisce così un bel regalo comprato. Qualsiasi siano i vostri regali, le vostre spese o le vostre scelte, noi della redazione di Inchiostro vogliamo cogliere l’occasione per augurare a tutta l’università degli Studi di Pavia i più sinceri auguri per un sereno Natale da passare con chi si ama. •

Colgo, inoltre, l’occasione per ringraziare, i miei colleghi, per avermi dato una mano nella realizzazione di questo sondaggio in giro per l’Università, grazie: Andrea Guarnone, Claudia Agrestino, Filippo Cavagna, Gianmarco Mangia, Ihor Dovhanyuk, Lorenzo Giardina, Marina Girgis, Matteo Camenzind e Valentina Fraire.

Se avete anche voi dei sondaggi da suggerirci, dei quali vi interesserebbe conoscere i risultati, scriveteci su Facebook alla pagina ‘’Inchiostro’’ o a inchiostropavia@gmail.com e proponeteci voi un sondaggio che vi incuriosisce.


25 Dicembre: pranzo di Natale con i parenti

Relax

di Valentina Fraire Li inviti tutti a casa tua, mamma era ispirata a cucinare. Ore 12 suonano tutti insieme al citofono. Quel suono fastidioso, insistente, che non senti nemmeno dal peggior creditore quando ti viene a trovare. Sono arrivati. Sei vestito di tutto punto per non dare una brutta impressione, hai freddo, poi inizi a sudare e lo sguardo si annebbia: tocca a te ad aprire la porta. Il nulla. Non riesci più a provare nessuna emozione, distinguere alcuna voce, sillabare nemmeno una frase di senso compiuto. Un fiume di baci, abbracci, pacche sulle spalle (quando va bene), battute che si ripetono di anno in anno e che stai cercando di capire ancora dalla prima volta. Sembra che i tuoi lo facciano apposta, anche quest’anno sono riusciti a tenderti la trappola e tu, ingenuamente, per l’ennesima volta, ci sei cascato: mamma si è chiusa in cucina, papà in cantina a scegliere un buon vino (annebbiare la mente dei parenti potrebbe essere la soluzione migliore...o peggiorerà soltanto le cose?), e i tuoi fratelli...beh le telefonate di auguri la mattina di Natale non finiscono mai! (...e perché a te no?!) Finalmente il pranzo è pronto, tutti seduti, forchetta in mano: la mamma di papà critica il risotto di tua mamma, la sorella di tua mamma origlia la conversazione tra il fratello di tuo papà e sua moglie che descrivono con disgusto l’organizzazione degli spazi per cui vi siete impegnati tanto, il papà di tuo papà beve con il papà di tua mamma ma poi arriva la moglie del papà di tua mamma che è anche la mamma di tua mamma e ruba il bicchiere al nonno, papà di tua mamma, a quel punto la mamma di tuo papà chiama la moglie del fratello di tuo papà e sottolinea il fatto che la mamma della moglie del fratello

di tuo papà non avrebbe mai fatto lo stesso gesto...e alla fine arriva il tacchino! Verso le cinque si mangia il panettone (che la zia a dieta non mangia, il cuginetto è allergico alle uova, la nonna non ha digerito il risotto della mamma e... gli altri preferiscono il Pandoro!) e in questo momento, a pancia piena, superata la fase dell’abbiocco pomeridiano, le menti dei parenti cominciano a rielaborare le vicende degli ultimi mesi, a indagare i visi attorno alla tavola e, giunti a questo punto, sorge spontanea una domanda anzi, La domanda: ‘E IL FIDANZATINO?’ Silenzio. Le mosche smettono di volare, le renne con il suono dei campanellini finiscono proprio in quell’istante di trainare la slitta di Babbo Natale, i vecchietti in strada non controllano più il progredire dei cantieri e si girano verso la tua finestra. Riprendi fiato, indossi un sorriso di circostanza, asciughi i palmi delle mani sui pantaloni e li guardi, tutti, uno per uno dritti negli occhi, hai un cedimento, sposti per un secondo lo sguardo dagli occhi della nonna, non puoi deluderla... ‘Sì, ho il fidanzato ma, purtroppo, abita moooolto lontano da qui, in un altro Stato, non lo conoscerete mai. Domani mi trasferisco!’ Fiù, ce l’hai fatta. Anni di recitazione teatrale sono serviti a qualcosa, possono stare tranquilli che la stirpe non si fermerà dopo la loro morte, il loro cognome verrà ereditato da qualcuno, è solo questo quello che conta. Problema risolto. Per ora. …al nonno piacciono i viaggi. •

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