Inchiostro n°152 - Marzo 2017

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Marzo 2017 N.152

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia

TRA PASSIONE E LEGALITA’ Intervista ad un grower

BEAT GENERATION

SONDAGGIO

La ribellione delle generazioni beat all’american way of life

Hai mai fumato Marijuana almeno una volta?

Leggere “Inchiostro” può creare dipendenza. Se ne consiglia pertanto la lettura a tutti, studenti universitari compresi. Seguici anche su Facebook, Twitter e Instagram.


A volte mi viene da pensare a quanto sia strana la vita, ad esempio in questo momento. Questo è il mio primo editoriale per Inchiostro e sì, un po’ di agitazione c’è, lo ammetto. In più di cosa mi trovo a dover scrivere? Di droga. Non di Babbo Natale, non della sessione invernale, non della mensa universitaria. Di droga. Niente di più facile, se lo si fa con il solito grado di superficialità con cui si trattano spesso i “grandi” argomenti; niente di più difficile se si vuole provare invece a dare un senso più profondo al proprio discorso senza apparire retorici. Così ho pensato di farmi aiutare dalla cronaca attuale sperando mi concediate questa odiosa deformazione professionale. Il 14 febbraio scorso Gio, un sedicenne ligure amante del calcio e, apparentemente della vita, si è suicidato gettandosi dal balcone di casa mentre la Guardia di Finanza perquisiva la sua abitazione alla ricerca della stessa droga con cui era stato sorpreso fuori da scuola.

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grammi di hashish che hanno cambiato per sempre la sua vita e quella di tutte le persone che gli volevano bene. 10 grammi che hanno riacceso in queste settimane un dibattito, mai estinto completamente e nel quale non tutti ancora riescono a prendere una vera e propria posizione: quello riguardante la legalizzazione delle droghe leggere nel nostro Paese. Come per tutte le grandi questioni a cui il nostro governo non ha ancora trovato una soluzione, anche questa ci continua a perseguitare silenziosamente tornando alla ribalta nei casi di cronaca eclatanti, a volte perché ci si sente chiamati a riflettere, a volte solo per fomentare il dibattito stesso che non si tirava in ballo da “troppo” tempo, strumentalizzando così vicende dolorose in linea con la perversa logica mediatica odierna. In-

dipendentemente dalla tragedia, nella quale non ci addentreremo e che esula dal nostro obiettivo principale, in questo numero speciale di marzo, ironia della sorte (quando abbiamo scelto il tema ancora il fatto non era accaduto), ci occuperemo proprio di questo. In particolare di una droga che tutti conosciamo, per uso (non temete, terremo la bocca chiusa!) o per nomea e che, malgrado considerata “leggera”, in Italia, come del resto anche in molti altri stati, non è ancora stata legalizzata: la marijuana. In qualità di giornale, a maggior ragione essendo un organo di informazione per gli studenti, Inchiostro cercherà di proporvi contenuti non banali o scontati e frutto di diversi punti di vista, oltre a quello strettamente politico, per permettervi di riflettere e formulare un vostro pensiero personale. Ovviamente senza tralasciare quella componente più leggera e scanzonata che da sempre, come rivista universitaria, ci caratterizza. La realizzazione di questo numero non è stata facile per la redazione: doversi confrontare con un tema così delicato che divide in modo netto l’opinione pubblica è rischioso, a maggior ragione se non si possiedono tutti gli strumenti necessari a capire e farsi capire, in toto. Noi questi strumenti siamo andati a cercarli, ci siamo informati e abbiamo scoperto molto; ora vogliamo dare anche a voi la possibilità di farlo in nome del valore su cui basiamo il nostro lavoro e che ci contraddistingue: essere il giornale degli studenti per gli studenti. E a chi altro destinare, se non a voi, ogni singolo millilitro di inchiostro (coglierete il gioco di parole) presente in questo numero a cui abbiamo lavorato tanto e in cui crediamo profondamente? C.A.


INCHIOSTRO -SINCE 1995-

IN QUESTO

NUMERO Inchiostro, anno XXII, # 152, marzo 2017 è un’iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti.

Fondi ACERSAT 2017: 5170 € Registrazione n. 481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 13 febbraio 1998 Sede legale: via Mentana, 4 - 27100 Pavia

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di Antonio Emmanuello

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Legale è fatale?

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di Raffaella Pasciutti

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Grower: passione/legalità

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di Giorgio Di Misa

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Intervista al Dr. Locatelli

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Info? scrivi a inchiostropavia@gmail.com

Si vis pacem, para bong

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di Ettore Pasquinucci

Centro di recupero di Jessica Vercesi

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Birdmen

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LSD - Beat Generation

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Amsterdam

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Sondaggio

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Simpatico

di Luca Tantillo di Noemi Nagy

di Lisa Martini

di Federico Mario Galli di Niki Figus


SPECIALE

Si vis pacem, para bong di Antonio Emmanuello

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Correva l’anno 1998. Le Nazioni Unite si incontravano in via speciale per discutere del dilagante fenomeno della diffusione delle droghe, giungendo alla risoluzione finale, riducendo all’osso, di distruggere tutto quello che si poteva. Scelta poco lungimirante, senza considerare gli effetti ambientali che questo ha significato (spoiler: bruciare un campo di coca è leggermente inquinante). Il ’98 corse così veloce che si dovette aspettare il 2009 per sentire qualche novità; la Commissione ONU competente si riunì ancora senza grandi risultati. Siamo nel 2016. L’UNGASS, l’organo speciale delle Nazioni Unite che si occupa della materia, su iniziativa di tre paesi sudamericani (Colombia, Guatemala, Messico), si incontra in seguito ai risultati non incoraggianti delle politiche negazioniste assunte. Lo stesso spirito proibizionista che aveva adottato il Portogallo a partire dalla fine della dittatura di Salazar, quando il nuovo mercato libero venne inondato di sostanze provenienti da tutto il mondo.

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Un po’ il senso di novità, un po’ l’inesperienza dei consumatori che non avevano mai provato quella facile allegria: la droga si fece strada nelle usanze dei portoghesi fino al 1998 quando il paese si accorse che stava combattendo una guerra impossibile e decise di allearsi al suo nemico. Tornando velocemente ai giorni nostri, possiamo dire che a perdere la guerra siamo noi, inteso come Italia, e tutti quelli che non trovano una soluzione convincente. La guerra di cui parlo è quella vera, fatta di armi e non di “bombe”, di affamati e non di fame chimica. Come ha fatto notare lo stesso Saviano a «La Repubblica», lo Stato Islamico, e in generale molti gruppi terroristici mediorientali, finanziano le loro attività attraverso lo scambio di hashish, marijuana, etc, da loro prodotti, con soldi o mezzi. Se Daesh è una parte, ne manca almeno un’altra per contrattare. Mafia, ‘Ndrangheta, Camorra, associazioni criminali, che qualcuno sostiene ci proteggano in questo modo dall’aggressione, mercanteggiano continuamente spacciando morte in cambio di euforia. Una bella allegoria che puzza di sbagliato. Secondo l’inchiesta dell’autore napoletano, l’IS guadagna 5 miliardi di euro da questo mercato, che diventano 8/11 se parliamo della distribuzione orga-

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nizzata sul nostro territorio. Soldi che ovviamente potrebbero, o dovrebbero, tornare allo Stato come tasse se venisse venduta legalmente e invece vengono spesi dallo stesso come energie dispiegate per la lotta all’erba. Inoltre se lo Stato chiudesse il capitolo sul proibizionismo, vincerebbe contemporaneamente qualche battaglia contro quella malavita che si finanzia con la vendita della “maria”. Significherebbe togliere a quelle entità potere economico, abbattere l’influenza sul territorio (distruggendo una catena capillare ed infinita di pusher, capibanda, boss, e quant’altro), salvare le vite di molti disperati che non vedono altro che quel mondo. Vorrebbe dire poi creare posti di lavoro in quantità, dai contadini ai botanici, dai chimici ai commessi, rimpolpare le casse, aumentare la qualità e aiutare chi ne ha effettivamente bisogno a livello medico. Fortunatamente su quest’ultimo punto ci si sta muovendo: a Firenze lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, dal 2016, ha iniziato la produzione sperimentale, anticipata da un decreto del Ministero della Salute in congiunzione con quello della Difesa. Più arzigogolata, parola rubata a Renzi in piena campagna referendaria, è la questione della coltivazione della cannabis in casa propria: nel 2007 una sentenza la limita all'uso personale; nel 2008 un’altra sentenza contraddice la precedente, ma nel contempo la specifica e fissa come parametro guida la concentrazione di principio attivo, o THC. Oggi sostanzialmente la quantità permessa si aggira sulle tre piantine, ma dipenderà dalla Corte la decisione su quale sia la giusta misura. Rimanendo nell’ambito agricolo ma cambiando punto di vista, fino al primo dopoguerra la canapa era oggetto di una forte produzione figlia di una storia agreste di oltre cinquemila anni. Si può utilizzare per qualunque cosa: Ford stesso avrebbe ai suoi tempi costruito un motore alimentato a canapa sativa. Dopo quasi un cinquantennio di silenzio, la pianta bistrattata per la sua nomea di “pianta tossica” (per via della presenza, bassissima, di THC) torna nei campi e grazie alle nuove tecnologie vengono sviluppati ancora più utilizzi di prima quali la riduzione a biomasse e quindi la produzione di energia. Si è poi rivelata più ecologica del cotone per la produzione di vestiti. È un ottimo prodotto


Si vis pacem, para bong di Antonio Emmanuello

che ha portato allo sviluppo di nuove aziende quali quelle che si occupano di prefabbricati per abitazioni costruiti in canapa, data la sua straordinaria qualità isolante. Attraverso un volo pindarico torniamo all’inizio. All’insegna del “nuovo” è stata anche l’ormai famosa conferenza dell’UNGASS che verrà nuovamente convocata nel 2019. Oggi molti paesi si sono accorti che il miglior modo di combattere questo nemico è quello di poterlo controllare. Abbiamo l’esempio del Portogallo che dal 2001, dopo che a partire dal ’98 si è avviato il processo legislativo, ha legalizzato tutte le sostanze e così facendo nel giro di 15 anni ha abbassato l’uso e l'abuso della felicità in polvere, ma anche quella da fumare, da iniettarsi, da inalare, etc. Il principio di fondo è stato quanto mai rischioso ed illuminato, col senno di poi. Non bastava depenalizzare, bisognava decriminalizzare. Chi fa uso non è più un criminale e non devono intervenire misure coercitive a punirlo, bensì un sistema si fa carico del problema. Chi viene “beccato” e rientra nei parametri previsti dalla legge, vedrà avviarsi un procedimento di recupero, di reinserimento e ogni senso di colpa viene abbattuto in favore dell’idea di salute del cittadino. Nel contempo le campagne di prevenzione hanno limitato il diffondersi dell’HIV e dell’AIDS, tipiche nell’ambiente allucinato; i carcerati per reati connessi alla droga sono calati del 44% (1999-2013) e i livelli di consumo sono i più bassi d’Europa, nonostante sia l’unico paese del Vecchio Mondo ad avere una tale libertà in materia. Certo, il Portogallo è stato fortunato, direbbe qualcuno, ma è la dimostrazione che con la giusta dose di rischio calcolato, di previdenza sociale, programmazione sanitaria, sensibilizzazione della società, reinvestimento dei capitali, si può ottenere qualcosa di sorprendente e, di primo acchito, irrazionale. Nel frattempo nell’afoso luglio 2016 per la prima volta si è parlato di legalizzazione delle droghe leggere nel Parlamento italiano. Ovviamente si è urlato alla fine del mondo, ai giovani debosciati, alla sanità mentale che vaga per i migliori bordelli della fantasia e 1700 emendamenti sono stati presentati per frenare ancora un po’ la discussione. Nonostante questo, si è rivelato probabilmente l’unico argomento su cui l’adesione è stata trasversale, da destra a sinistra, passando per i movimenti senza direzione, in tutto 221 parlamentari coinvolti. Quindi, riassumendo: la legalizzazione dell’erba, e in generale delle droghe, non risolverebbe tutti i problemi del

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mondo ma come abbiamo visto porterebbe all’Italia una ricchezza che qualcuno ha calcolato tra 1,5 e il 3% del PIL (cifre molto interessanti, supportate dai 700 milioni di dollari che il Colorado ha guadagnato nel primo anno di legalizzazione, 2014). Se questi sono i guadagni diretti, quelli indiretti non sono da meno: svuotare le carceri, o quanto meno non riempirle ulteriormente, significa risparmiare un mantenimento inutile del detenuto, significherebbe poter reinvestire questi soldi in centri di assistenza; significherebbe togliere potere alla criminalità, soprattutto quella organizzata e significherebbe portare la società civile un passo avanti nella lotta alla Mafia et simili. Togliere la produzione e la distribuzione dalle loro mani si tradurrebbe in maggiori controlli sulla qualità, quindi meno pericoli per la salute (che comunque sono irrilevanti, se non anche inesistenti, nel caso della cannabis, se messi in confronto con sostanze quali il fumo e l’alcol). Mettendo i bastoni fra le ruote di queste attività losche, anche se è forse un po’ ambizioso affermarlo, andremmo a combattere dall’interno il problema del terrorismo: senza soldi non ci sono armi e senza armi hanno ben poco per incutere paura. In questo senso voglio inquadrare l’idea di svuotamento. Svuotiamo il potere della malavita, svuotiamo il potere del terrorismo, svuotiamo il potere del proibito. Molta dell’attrazione del fumo, anche quello di sigaretta, è il gusto dell’infrangere le regole. Ecco perché proviamo fin da giovani, ben prima dell’età ammessa, le nostre prime sigarette. Ecco perché proviamo i primi alcolici. Quando il proibito viene fomentato, quando tutto è vietato, l’attrazione aumenta e la pressione sociale di determinati ambienti è notevole. Svuotando di significato questi aspetti, prendendo spunto dal mitico comico Lenny Bruce, li svuotiamo della possibilità di far danni. Tutto è collegato a questo punto: legalizzare per svuotare, guadagnare dall’attenta produzione e certificata distribuzione, reinvestire affinché non ci sia motivo di reiterare il processo. Svuotando si cambiano i soggetti della guerra; le istituzioni non si trovano più a dover combattere i cittadini in cerca di un piacere momentaneo, ma possono dedicarsi alla lotta concreta a quel che c’è veramente di sbagliato in questo discorso. È una dura battaglia ma si vis pacem, para bellum. PS: se siete di quelli che dicono “un mondo senza droga è possibile, ce la possiamo fare!” probabilmente non state parlando della sua sconfitta.

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SPECIALE

Oggi piuttosto che masticare la foglia di una pianta “miracolosa” per provare sensazioni fuori dal comune, tradizione e rituale presso le antiche tribù indigene di diverse zone del mondo, si preferisce fumarla, il che, però, non è consentito dappertutto; ad esempio in Italia dove dopo più di vent’anni di tentativi non è ancora stata varata una legge che regolamenti in modo definitivo le modalità di possesso e uso delle sostanze stupefacenti catalogate sotto l’etichetta di “droghe leggere” (cannabis e quindi marijuana e hashish in primis).

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Legale è Raffaella fatale? Pasciutti

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La discussione racchiude in sé più “noccioli” differenti, ma il punto chiave rimane stabilire se sia più conveniente legalizzare la cannabis per vantaggi economici e sanitari, oppure ricordare che, leggere o pesanti, le sostanze che verrebbero legalizzate sono pur sempre indiscutibilmente nocive per l’organismo. Ora come ora, per quanto riguarda gli usi, la marijuana viene consumata da circa 4milioni di italiani (circa il 10% della popolazione) più che altro per ragioni di tipo psicologico e ricreativo (soprattutto dai più giovani per arginare forme di disagio ed emarginazione o per sentirsi più “grandi”). Evasione e ribellione sono i due motivi principali per cui un adolescente, specie se influenzato dal gruppo, si sente spronato a provare. E non sempre si tratta di “una volta sola”: molto spesso diventa abitudine e l’abitudine dipendenza. Soprattutto se dalle sostanze leggere si passa a quelle pesanti, passaggio che però non coinvolge tutti. Timidi tentativi di regolamentare il problema sono già stati avanzati negli anni, ma la questione resta ancora aperta. Un’affermazione soltanto è indiscutibile: in Italia, almeno per ora, la cannabis “per uso ricreativo e personale è illegale”. La proposta di legge più recente in merito è la n 3235, risalente al 25 luglio 2016 il cui testo, non approvato poi durante i lavori parlamentari, proponeva: l’autocoltivazione fino a un massimo di cinque piante e del relativo prodotto, esclusa la vendita; la coltivazione in forma associata in enti senza fini di lucro; la vendita al dettaglio; l’autocoltivazione per fini terapeutici. Già il DPR n. 309 del 1990 (Testo Unico sugli stupefacenti) dettava legge sul tema delle droghe. Più precisamente, l’art. 73 prevedeva «un trattamento sanzionatorio più mite, rispetto a quello caducato, per gli illeciti concernenti le cosiddette “droghe leggere”».


Legale è fatale? di Raffaella Pasciutti

SPECIALE

“Il tipo di droghe La pena in questo caso diventava la reclusione da due a sei anni; nel caso delle droghe pesanti, da otto a venti anni. Il passaggio successivo fu, nel 2006, la legge Fini- Giovanardi che “eliminava” la differenza tra droghe pesanti e leggere; sanciva la detenzione di chi le possedeva o le diffondeva (dai 6 ai 26 anni) e le dosi minime di principio attivo sufficienti a far rientrare nella categoria di “spacciatore”. Tale legge fu però dichiarata incostituzionale e abolita e si tornò così alla legge precedente, la Craxi-Jervolino-Vassalli del 1990, già abrogata nel 1993 perché considerata liberticida per le pene proposte nei confronti dei consumatori. Un passo indietro, così, secondo molti, all’interno di una vicenda che negli anni non si è mai svolta regolarmente, ma in un intricato labirinto di norme approvate e abrogate che hanno solo causato un’enorme confusione in materia.

e il tipo di persone che l e

usano

d i c o n o m o lto della condizione di vita di un Paese”

Cosa si può invece dire degli altri paesi del mondo? La verità è che nella maggior parte degli stati possedere droghe leggere è illegale e le misure più restrittive si ritrovano in Europa. Un’eccezione nota è invece il Portogallo dove nei primi anni Duemila il governo locale decise di tollerare l’uso di ogni genere di droga, provvedimento che ha risolto così in buona parte molti dei problemi di consumo, criminalità, denaro, e viene oggi imitato da altri paesi. C’è una frase che mi ha sempre colpito particolarmente: “[...] Il tipo di droghe e il tipo di persone che le usano dicono molto della condizione di vita di un Paese”. Si tratta di un’affermazione di João Goulão, medico portoghese e uno degli artefici della nuova policy in merito alle droghe. Infatti in Italia, intanto, si deve combattere contro il mercato nero e il business delle organizzazioni criminali che arrivano a guadagnare miliardi ogni anno. Decisamente scandaloso. Ma esiste anche un aspetto negativo che potrebbe derivare dall’inseguire la strada della liberalizzazione, ossia la perdita di moralità in un Paese, il nostro, in cui valori come ad esempio la religione hanno un grande impatto sulla società. Del resto il Vaticano vieta a spada tratta la legalizzazione della cannabis: la famiglia ha un ruolo centrale nella nostra cultura e chi viene cresciuto in un’atmosfera di pace e di serenità non dovrebbe sentire alcun bisogno di cercare la felicità per vie alternative. Chiaramente si tratta di una delle tante posizioni che sono state assunte negli anni alle quali in tanti si sono accodati e in tanti altri opposti. Ognuno di noi è libero di agire come meglio crede, una volta avuto il via libera dalla legge. Tuttavia, rimane una parte razionale che merita di esser valutata: qualunque sia la scelta finale, da questa non si potrà, ne dovrà tornare indietro.

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GROWER

Grower: tra passione e legalità! di Giorgio Di Misa

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La proposta di legge che legalizza la cannabis e quindi anche la produzione di essa è parcheggiata da quasi due anni sui banchi nell’aula del nostro Parlamento. Una situazione «insostenibile in termini istituzionali»: così asserisce Benedetto Della Vedova, coordinatore degli oltre 200 deputati riuniti nel gruppo interparlamentare Cannabis legale. «Il mio appello ai parlamentari che, non legiferando in materia di droghe leggere, regalano vite e miliardi alle mafie» ribadisce indignato Roberto Saviano. Dietro a questa vicenda non c’è solo mafia e governo, ma anche piccoli produttori che, per un semplice uso ricreativo, producono per sé qualche grammo di marijuana. Sono andato a parlare con un grower e ciò che mi ha stupito è proprio l’amore, la passione e la dedizione che mette in quello che fa. L’unico suo desiderio? Che si legalizzi e così realizzare un proprio cannabis club senza rischi legali di ogni tipo. Come si incomincia l’attività? Basta andare da un rivenditore, legale, che vende tutto il necessario per produrre marijuana. Loro sosterranno che ti vendono tutta l’attrezzatura per coltivare pomodori, in realtà non è proprio così. Si parte fin da subito ad aver problemi perché non sai cosa dover comprare esattamente, questi rivenditori non ti aiutano e ti ritrovi come me a comprare, provare, rivendere e ricomprare finché non capisci come si può iniziare. Si parte da un budget di 500-600 € con un kit comprensivo di luci, armadietto, vasi, terra, semi e additivi. Uno dei miei primi armadietti l’ho comprato da un sessantenne che produceva indoor marijuana e che dovette vendere tutto il suo kit perché il figlio tornava ad abitare con lui.Con il tempo ho conosciuto molte persone che producono indoor, molte persone adulte, molto adulte. Forse loro sono quelli più esperti, gli “Hippy” degli anni ‘70.

h BOX 1: Quando andavo in seconda liceo, ho piantato qualche seme di marijuana in un vaso nel balcone di mia nonna e le chiesi di annaffiarla tutti i giorni. Lei inconsapevole le curava e le piacevano pure appena germogliate. Un giorno il vicino di casa finanziere le domandò come mai aveva delle piante di marijuana in balcone. Lei le buttò, purtroppo, però aveva un ottimo pollice verde.

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I primi lavori? Per uno che la fuma e non la produce per scopo di lucro, qualunque raccolto è soddisfacente. Essendo un amante dell’erba e producendola solo per me è ovvio che metto molta più attenzione e cura di qualunque altro. Poi c’è anche una ricerca del proprio gusto, del tipo di seme con più o meno additivi. Alla fine sono mie figlie e ti dirò sempre che anche i primi lavori erano buoni, sicuramente più buona della miglior qualità che ti possono vendere in giro. Quanta marijuana produci? Circa 50 grammi a pianta. A parer mio, è il rapporto giusto: farne di più porterebbe la pianta disperdere il suo principio attivo per troppe cime. Ero partito con 4 piante fino ad arrivare a 12. Si deve sempre tener conto delle possibili malattie che potrebbero portare alla morte la pianta. Molti pensano che 12 piante siano tante, ma si deve sempre valutare la terra che c’è. Posso fare anche una pianta sola ma con un vaso bello grande che potenzialmente potrebbe produrre lo stesso quantitativo. Produco la marijuana in casa perché voglio controllarla tutti i giorni più volte al giorno: oltre a darle l’acqua controllo che non ci siano insetti infestanti o muffe, tengo d’occhio anche semplicemente le luci.


Grower: tra passione e legalità! di Giorgio Di Misa

Come e dove si impara? All’inizio ci sono i consigli di chi ha già sperimentato, vari forum su internet, ma alla fine la cosa migliore è sperimentare. Ora si hanno molte più informazioni, ma attenzione alle stronzate che molti guru dell’erba dicono, che ti portano solo a spendere soldi su soldi o a far diventare un intero raccolto una massa di additivi. Come si produce? Credo che chiunque sappia come nasce una pianta. Ecco, stesso metodo: ci vuole solo qualche passaggio in più, ci vogliono le luci e magari qualche additivo, ma la cosa è veramente molto semplice. Semi e additivi si trovano nei vari shop online. Hai mai pensato di produrla per venderla? La produco anche per due miei amici, uno è un dentista e l’altro è un farmacista. Un sogno sarebbe creare un cannabis social club, ci sono leggi europee che ti permettono di aprirlo. Ma questo desiderio si scontra con la legge italiana che ti porterebbe a pagare più di avvocati che di produzione. Siamo onesti, chi produce erba per rivenderla non gira in Ferrari, non c’è un grosso guadagno. BOX 2: I Cannabis Social Club sono per l’appunto club, che organizzano la coltivazione di una quantità limitata di Cannabis per soddisfare il proprio consumo personale: si stabilisce un circuito chiuso tra produttori e consumatori, in cui vengono rispettati determinati requisiti in materia di salute, sicurezza, trasparenza e responsabilità. I principi di base sono i seguenti: 1. La produzione di Cannabis è regolata dalla domanda, non il contrario 2. La produzione di Cannabis non persegue finalità di lucro 3. Massima trasparenza della gestione Marijuana a uso terapeutico? Non mi voglio addentrare in discorsi, quali il cancro ecc., ma il peggior male è lo stress e quale miglior rimedio se non la marijuana, assunta attraverso una sigaretta o per vaporizzazione? Ci sono studi di scienziati che curano le malattie più banali, come un mal di testa, con l’uso di un determinato tipo di marijuana. Diciamo la verità, il metodo più salutare è la vaporizzazione della marijuana, altra cosa è invece farsi una canna che fa malissimo perché la combustione rilascia moltissime sostanze cancerogene. Pianta e talea. Fare una talea è l’apice di un grower. Con una talea fai una sola cima, da una pianta madre. Quindi fai questa pianta madre e la lasci in vegetativa così che produrrà solo rami e mai fiori, poi potrai potarli e ripiantarli così da produrre i tuoi fiori. Questo è il metodo dei coffee shop.

GROWER

Hai mai rischiato? Mi è arrivata una volta la finanza a casa: era un periodo in cui avevo smesso di produrre, però videro comunque la stanza con gli armadietti e tutti l’armamentario per produrre. Per fortuna non dissero niente, quando succedono ‘ste cose stringi il culo, perché rischi la galera. In Italia puoi fumare e piantare fino a due piante, e già qua c’è un primo errore; come ti ho detto prima se hai un vaso grande o piccolo puoi produrre un diverso quantitativo. Ancora peggio se hai quattro talee, queste non producono cime e quindi effettivamente non produci marijuana. Si deve vedere anche il principio attivo THC, ma c’è una legge che consente la vendita di CBD, quindi quando ti sequestrano le piante devono analizzare i principi attivi all’interno. Comunque pur avendo 2 piante e stando dentro questi limiti di legge, il processo lo fai comunque. BOX 3: Il CBD è considerato un cannabinoide non psicoattivo, sebbene possa sembrare che abbia alcuni effetti psicoattivi. Ha un effetto sedativo e allevia vari dolori e sintomi, rendendolo molto ricercato per questo motivo. Cosa cerchi nell’erba? Il sapore buono, il giusto livello di THC. Ecco perché produco indoor, perché così ho ciò che voglio. Per chi cerca in giro la marijuana buona è più facile trovare MD o cocaina di miglior fattura e questo è assurdo. Ti hanno mai chiesto di venderla? Si ma ho sempre rifiutato, lo faccio per me. Vuoi fumare la mia erba? Vieni a casa mia e la fumi, fuori da questa casa non la porto. Quando ne produco tanta la regalo ai miei amici, ma sinceramente più ce n’è più ne fumo. Vado molto orgoglioso della mia produzione, infatti se mi dici che è cattiva ti tiro un pugno in faccia. Tu e l’erba. Beh per me l’erba è una religione, soprattutto da quando la produco, diventa parte della tua quotidianità. Quindi studi, ti documenti, sperimenti, perché in fondo è una soddisfazione, è una tua creatura. L’effetto che mi provoca è quello che cerco, perché devo rovinarmi con l’alcool o con la cocaina? Si distingue da ogni altra sostanza: partiamo dal presupposto che è naturale, cosa che le altre droghe non sono. BOX 4: “Pianta madre” è una pianta come tutte le altre. Si definisce così solo per il trattamento: questo genere di piante devono sempre rimanere in vegetativa. Questo tipo di pianta non porterà la fioritura ma solo alla creazione di talee, ossia cloni della pianta madre. Le talee, ossia i rami della pianta madre, rimpiantate in un vaso e lasciate in modalità fioritura produrranno cime con le caratteristiche della pianta madre.

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INTERVISTA

“Intervista al Dottor Carlo Locatelli”

La Marijuana vista dal camice bianco di Ettore Pasquinucci

inchiostropavia@gmail.com

Per chiarire dubbi e perplessità riguardo gli effetti della marijuana sull’organismo abbiamo intervistato il Dottor Carlo Locatelli, tossicologo e responsabile del Centro Antiveleni (CAV) di Pavia, presso gli Istituti Clinici Scientifici Maugeri. Il CAV di Pavia - come centro di riferimento nazionale per gli aspetti clinico- tossicologici del Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri - si occupa di diagnosi, monitoraggio e terapia per intossicazioni da sostanze d’abuso.

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Dottor Locatelli, cosa contiene la marijuana? La marijuana contiene alcune centinaia di molecole, di cui solo quattro o cinque sono state studiate in modo approfondito, le altre non le conosciamo esattamente. Il tetraidrocannabinolo è uno dei tanti principi attivi. Questo è un problema generale delle sostanze derivate da piante: in un vegetale c’è un principio attivo che gli scienziati nell’arco di centinaia o migliaia di anni hanno ricercato, per curare malattie o per altri effetti voluti. Quando si utilizza una pianta però si utilizza la pianta in toto: fumare la marijuana non è come prendere una compressa di THC. Negli ultimi centenni la medicina ha estratto e caratterizzato i principi attivi dalle piante, rendendoli somministrabili nell’uomo, in modo tale che questo principio attivo avesse una sua azione precisa – studiata – e un termine della sua azione più o meno conosciuto – chiamato emivita. L’aspirina è stata estratta dalla corteccia di salice: quando noi oggi la prescriviamo, lo facciamo perché non vogliamo che le persone vadano a mangiare la corteccia del salice. Questo perché noi vogliamo che il paziente assuma l’acido acetilsalicilico, e non tutte le sostanze contenute nella corteccia. Stessa cosa vale, ad esempio, per la digitale e tutti i preparati farmaceutici che sono stati estratti da piante. Quali sono i principali principi attivi della marijuana e cosa fanno? Nelle canne troviamo quindi il THC, che è il principale responsabile degli effetti neuropsichici e neurotossici– gli effetti che le persone cercano con le canne – ma anche il cannabidiolo, che, naturalmente, contrasta i danni portati dal THC. Quindi, quando la pianta di marijuana non è modificata geneticamente per ottenere più THC, non

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è stressata per ottenere troppo principio attivo attraverso incroci particolari, contiene una certa quantità di THC e una certa quantità di cannabidiolo. Il THC fa dei danni – perché, dal punto di vista tossicologico, fa solo dei danni ed è per noi un veleno, come tutte le sostanze tossiche – e il cannabidiolo cerca di contrastare questi effetti. Cosa succede se la pianta viene modificata? Oggi le piante contengono molto più THC delle piante di trenta, quaranta anni fa: si arriva a contenuti di principio attivo quasi dieci volte superiori a quelli di una volta, tuttavia il cannabidiolo non è aumentato. Quindi gli effetti tossici sono molto più probabili oggi di quanto lo fossero trent’anni fa. Chi produce THC per spacciarlo, per avere “clienti”, cerca di produrre una pianta più potente dal punto di vista neurotossico, per gli effetti che deve provocare. Come agisce il THC? Il THC agisce sui recettori cannabinoidi endogeni. Tutti i farmaci, ma pure le sostanze tossiche e le droghe, per esercitare i loro effetti si legano a recettori già presenti nel nostro corpo, che normalmente si legano a sostanze endogene : basta fare l’esempio dei recettori degli oppioidi endogeni, a cui si legano morfina ed eroina. Gli effetti non sono sempre “ricreativi”: la persona perde i riflessi, perde la capacità di orientarsi, perde la percezione della profondità e della distanza, e altre percezioni che di norma sono regolate dai recettori dei cannabinoidi. La cannabis può poi avere effetti diversi da consumatore a consumatore: alcuni si sentono empatici, altri vogliono restare soli, alcuni non smettono di parlare, altri si danno al mutismo. La stessa molecola ha, in ognuno di noi, un effetto differente. Ci sono differenze se la cannabis è assunta nel cibo, anziché essere fumata? Gli effetti sono gli stessi, anche se la cinetica di assorbimento è diversa rispetto al fumo. Così come la cocaina sniffata è diversa da fumare il crack. Il fumo porta ad un effetto più rapido, perché la diffusione nel sangue è più veloce rispetto


Intervista al Dr. Carlo Locatelli di Ettore Pasquinucci

all’ingestione. Nell’ingestione l’effetto è raggiunto più tardi e può durare un po’ di più, con variazioni da individuo ad individuo e in relazione al contenuto dello stomaco. Cosa succede se l’assunzione è continuativa? Quando il consumo è continuativo - e il soggetto fa uso, per anni, più volte alla settimana o al giorno di marijuana - si aggiunge l’effetto cronico delle sostanze chimiche sull’organismo. Si ha un deficit corticale importante, cioè un assottigliamento della corteccia cerebrale, con la perdita di funzioni cognitive importanti. Si ha la perdita di controllo di alcune sensazioni. Si riduce il quoziente intellettivo. È come per l’alcol: berne un poco non è dannoso, berne continuamente, tutti i giorni e in dosi smodate, porta all’alcolismo. Stessa cosa per la cannabis: gli effetti cronici sono deleteri e del tutto provati. Dobbiamo poi parlare degli effetti psichiatrici: quanto più prolungato e quanto più precoce è il consumo, tanto più alto è il rischio di psicosi da cannabis. Queste psicosi si hanno nell’8-10% dei consumatori di marijuana e diventano croniche. Non si sa ancora se siano slatentizzate o causate. In cosa consistono? Le psicosi possono andare dagli attacchi di panico – e vivere tutta la vita con gli attacchi di panico non è cosa da poco: ci sono persone che stanno nei pressi degli ospedali per farsi ricoverare al più presto nel pronto soccorso, al sopraggiungere dell’attacco. C’è poi la schizofrenia, con le sue conseguenze e trattamenti per il resto della vita. Questo non è quello che un giovane dovrebbe auspicarsi per il suo futuro. Ovviamente noi siamo tossicologi, e quindi vediamo gli aspetti tossicologici delle cose. Ma il fatto che un consumatore di cannabis su dieci sviluppi una psicosi, più o meno grave, non dovrebbe consentire di inserire in farmacologia una molecola così pericolosa. In fase acuta ci sono effetti su altri apparati, oltre al sistema nervoso? In letteratura ci sono tanti casi di morti da cannabis per arresto cardiaco: la cannabis ha dunque un effetto cardiotossico. Questi casi sono decisamente più rari di quelli da cocaina, ma ci sono. I recettori della cannabis non sono

INTERVISTA

solo a livello centrale. Inoltre, a livello centrale non hanno solo effetti comportamentali, ma vanno anche a influenzare riflessi simpatici e parasimpatici. Ci sono effetti anche sulla minzione e sull’erezione, e sul tratto gastroenterico – nausea e vomito soprattutto. La marijuana non dà l’insufficienza respiratoria come l’eroina, però non facilità la respirazione: in quanto sostanza fumata, apporta gli stessi danni irritativi sull’apparato respiratorio. Al contrario la cannabis non dà epatiti acute normalmente, né insufficienza renale acuta. Quali sono gli effetti della marijuana durante l’adolescenza? Buona parte di chi fuma marijuana inizia durante l’adolescenza, è la prima sostanza che si incontra. Se uno gira,anche per Pavia alle otto della mattina, vede molti ragazzi fumarsi una canna. Cosa poi capiranno durante le cinque ore di lezioni: Mission Impossible saperlo! Dovremmo avere un caso-controllo dello stesso individuo e fare la differenza per capirlo. Il consumo in giovane età comporta più rischi a lungo termine? Quello che è sicuro è che più precocemente si inizia a fumare le canne, più presto appariranno gli effetti avversi di queste sostanze. Maggiore sarà il rischio di passare ad altre sostanze. Perché la cannabis è il primo passo: è la più socialmente accettabile, la meno potente come effetto immediato, la più facile da trovare, la più economica. Poi vi sono i rischi legati al fumo in sé: anche se non esistono studi sugli effetti cancerogeni della cannabis, che sono probabilmente gli stessi del fumo di sigaretta. Parliamo ora di intossicazione da THC: possiamo stimare gli accessi in Pronto soccorso per questo motivo? Perché questi pazienti vanno in Pronto Soccorso? Stimarli è quasi impossibile perché solo una piccola quota degli intossicati finisce in ospedale. Tuttavia abbiamo motivo di credere che il numero di intossicati sia molto alto: per esempio, se andiamo a prendere le casistiche degli incidenti stradali, vediamo che una grande percentuale di conducenti è THC positiva. La correlazione tra alcool e THC, e incidenti stradali è indubbia. Un altro gruppo di

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Intervista al Dr. Carlo Locatelli di Ettore Pasquinucci

persone finisce in ospedale per delle psicosi acute o dopo aver perso il controllo di sé, procurandosi incidenti o traumatismi. Oppure per palpitazioni, tachicardia o vomito che non passano e spaventano il paziente. Non esiste un registro nazionale per questi accessi e solitamente il Centro Antiveleni non viene contattato. Abbiamo infine un altro gruppo di pazienti: quelli che assumono le nuove sostanze psicoattive. Come centro di riferimento nazionale, stiamo studiando queste sostanze per il Sistema Nazionale di Allerta Rapida della Presidenza del Consiglio dei Ministri e abbiamo verificato che quasi tutti questi pazienti risultano positivi anche al THC. Quali sono i rischi di associare marijuana e alcool? Uno potenzia l’altro. Dal punto di vista tossicologico le due sostanze non agiscono sullo stesso recettore, ma poiché diversi recettori possono coesistere nelle stesse cellule, la stessa cellula riceve stimoli diversi, ma nella stessa direzione di neuro-depressione. Lo stesso potenziamento sinergico si ha associando THC ad altre sostanze cardiotossiche.

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Abbiamo dati sulle proprietà della marijuana che si compra in strada? Ci sono analisi sui sequestri delle forze dell’ordine, o sulle sostanze sequestrate negli aeroporti e nelle dogane. Come dicevamo all’inizio, la concentrazione del THC è aumentata passando dal 5-6% al 20-40%. Ci sono delle forme, come lo Skunk, che arrivano al 50% di THC. Nello spaccio ci sono delle partite particolarmente tossiche: queste, da un lato, saranno particolarmente apprezzate dal consumatore, per la quantità di principio attivo; dall’altro sono molto più pericolose, dato che gli effetti avversi risultano potenziati. Inoltre stanno aumentando i casi di eventi cardiovascolari per l’aumento della concentrazione di THC.

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Si trovano altre sostanze chimiche oltre a quelle della pianta? Tra i fumatori abituali di marijuana ci sono state intossicazioni da metalli. La marijuana assorbe infatti anche metalli e pesticidi: chi gestisce la piantagione deve farla rendere il più possibile e per queste coltivazioni non c’è il controllo che si ha per la frutta e la verdura. Quindi si può trovare un po’ di tutto. Ci può parlare dei cannabinoidi sintetici? Purtroppo queste sostanze sono state chiamate, in modo sbagliato, cannabinoidi. Sarebbe forse più corretto chiamarli “agonisti sintetici dei recettori dei cannabinoidi”. Alcune aziende farmaceutiche hanno cercato di ottenere delle molecole sintetiche - a partire dal tetraidrocannabinolo per uso farmacologico. John Huffman per esempio ne ha prodotti centinaia, e già anni fa c’erano moltissimi brevetti per farmaci contro il dolore e per farmaci contro il vomito

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da antineoplastici. Nessuna di queste molecola ha potuto essere commercializzata e messa sul mercato dalle aziende farmaceutiche perché dotate di scarsa efficacia e di alta tossicità. Per chi voleva produrre nuovi stupefacenti è bastato copiare i brevetti di queste centinaia di molecole, accantonate dalle aziende farmaceutiche. Così è nato lo Spice e il primo JWH-018 – che già da una decina d’anni è presente in Italia. Oggi sono circa 200 i cannabinoidi sintetici in commercio illegale. In cosa differiscono dalla cannabis vegetale? I cannabinoidi sintetici sono sempre più potenti del cannabinoide vegetale: da dieci a cento volte più potenti. Con meno sostanza si ottiene più effetto. I consumatori li fumano in piccole quantità, ma gli effetti non sono quelli dei cannabinoidi vegetali: oltre ad agire sui recettori dei cannabinoidi– come fa il THC – agiscono anche su altri recettori e canali ionici. Tant’è vero che con queste molecole troviamo molti più accidenti cardiovascolari, con effetti che si avvicinano molto più alla cocaina che non alla marijuana. Dove si trovano queste sostanze? Si trovano su internet, dove vengono vendute come profumanti ambientali, incensi, in bustine o spruzzati su erbe secche. I consumatori possono sceglierli pensando di avere gli stessi effetti della marijuana, col vantaggio non farsi beccare nei controlli per il THC – con le implicazione che seguono sulla patente per esempio – ma questo è un grave errore: queste sostanze non hanno gli stessi effetti della marijuana e sono molto più pericolose. Avete un’idea dell’entità del fenomeno? Una quota importante delle nostre consulenze sulle sostanze psicoattive di nuova generazione riguarda i cannabinoidi sintetici. Circa un terzo dei casi. La frequenza è quindi molto elevata. Tenete anche presente che in un appartamentino non lontano da Pavia, è stato trovato materiale sufficiente per la produzione di un milione e mezzo di bustine: questo significa che il produttore contava di venderle in un breve periodo. Il consumo è diffuso e purtroppo noi riusciamo solo a monitorare gli accessi gravi nei Pronto Soccorso, un granellino di sabbia in una spiaggia molto grossa. Però sappiamo che il fenomeno sta crescendo pericolosamente.


INTERVISTA

REHAB:

dentro a un centro di recupero

di Jessica Vercesi In linea con il tema di questo numero le cui protagoniste sono le sostanze stupefacenti (nel caso specifico le droghe leggere), noi di Inchiostro abbiamo pensato di approfondire l’argomento anche da un punto di vista più psicologico ed educativo affrontando la questione della riabilitazione e chiedendo, quindi, l’intervento di Manuela Campagnani, educatrice professionale che opera nel centro di recupero di Azzate (VA), una delle sedi del progetto Onlus “Cascina Verde”. Ecco cosa ci ha raccontato della sua esperienza. Partendo dalle basi, qual è la definizione di centro di recupero? I centri di recupero sono comunità residenziali dove sia i ragazzi che le persone adulte dipendenti da sostanze seguono quotidianamente un programma di riabilitazione individuale e collettivo, che varia da 18 mesi a 3 anni, formulato appositamente sulle loro personalità. Che tipo di dipendenze vengono curate nel vostro centro? Nel nostro centro si cerca di recuperare ogni tipo di dipendenza: alcool, cocaina, cannabis, eroina, acidi e anche le dipendenze da gioco, che purtroppo vengono sottovalutate, ma sono comunque delle piaghe per la società odierna. Esistono diversi tipi di centri di recupero o ne esiste uno che ingloba tutte le dipendenze? In Italia esiste

solo un tipo di centro che cura tutte le dipendenze, ma negli ultimi tempi si sono sviluppate parallelamente delle comunità brevi in cui vengono aiutate esclusivamente le persone con dipendenza da cocaina che necessitano di percorsi talvolta più brevi, ma più mirati. Qual è il suo ruolo all’interno del centro? Sono un’educatrice professionale e mi occupo di seguire e gestire alcune delle attività che vengono svolte all’interno e all’esterno del centro. Può fare un esempio di entrambe? Certo. All’interno del centro svolgiamo diverse attività come giardinaggio, cura della serra, laboratori e incontri di gruppo in cui si discutono e si esaminano delle tematiche socialmente rilevanti. All’esterno del centro, invece, le attività cambiano e possono variare tra visite ai musei e giornate

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INTERVISTA

REHAB: dentro un centro di recupero di Jessica Vercesi

dedicate agli sport, finalizzate a ricostruire e stimolare le personalità che si sono impoverite con la dipendenza.

e diventare puro sostegno, che trascende l’attività lavorativa.

Quindi l’organizzazione della giornata, o della settimana, è differenziata in base alle dipendenze? No, non proprio. La settimana e le attività connesse sono uguali per tutti, quello che cambia sono i diversi obiettivi che l’équipe stabilisce per ogni persona. All’inizio, i soggetti vengono inseriti nel progetto della comunità in cui le attività coincidono per tutti, successivamente vengono assegnati dei progetti individuali che saranno portati avanti più o meno contemporaneamente.

Nei centri di recupero le persone vengono accolte e aiutate per superare la loro dipendenza e in questo lungo e difficoltoso processo i contatti con l’esterno sono molto rari, quindi sorge spontanea una domanda. Centro di recupero o centro di contenimento? Ottima domanda. Questi tipi di strutture nascono come centri di recupero per le dipendenze, ma hanno anche un ruolo sociale di contenimento della marginalità. Le persone che vengono da noi, aldilà di quelle che riescono a completare il loro percorso di recupero, sono persone che nella loro vita hanno sicuramente incontrato altre comunità di supporto, quindi il loro livello di marginalità sociale è molto alto, il che li porta ad agire in modo disfunzionale e quindi a essere ritenuti pericolosi. Perciò noi abbiamo una doppia funzionalità: manteniamo al sicuro le persone che abbiamo in affido nel centro, ma anche le persone che ne stanno al di fuori.

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Tornando ai ruoli, che altre figure sono presenti all’interno di un centro di recupero? Sono presenti educatori, che svolgono il loro compito 24 ore su 24 e che quindi lavorano nella quotidianità; psichiatri, che operano settimanalmente poiché molti pazienti necessitano di terapie specifiche; psicologi individuali, che salvaguardano l’equilibrio dei singoli individui. Ma anche psicologi della famiglia, che seguono i gruppi familiari quando sono in comunità e quando vengono inseriti nel programma riabilitativo per cercare di ristabilire il nucleo e l’equilibrio familiare; e infine psicologi della terapia di gruppo, che monitorano le attività del gruppo ogni settimana. Tutti quanti formiamo un équipe multifunzionale che cerca di fare del proprio meglio per aiutare ogni singolo paziente.

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Cosa comporta, dal punto di vista umano e personale, lavorare in un centro di recupero? Sicuramente per svolgere questo tipo di lavoro bisogna avere uno spiccato senso di attitudine verso l’altro, vederlo come una persona, non come la malattia o la dipendenza da cui è affetto perché molte volte si etichettano le persone e si smette di vederle come tali, prendendo in considerazione solo il loro disagio. Non è facile, comunque, convivere tutti i giorni con persone tossico-dipendenti, bisogna essere forti perché alcuni di loro hanno compiuto atti moralmente scorretti che potrebbero infastidire una persona facilmente suggestionabile. Bisogna superare le barriere del pregiudizio, andare oltre l’individualismo e mettersi in gioco, collaborare con l’équipe che è molto variegata e imparare a essere normativi, perché talvolta un “no” severo è più sano e funzionale che un “sì” amichevole. L’educatore e le altre figure poi devono abituarsi a una vita molto comunitaria poiché inevitabilmente ci saranno più momenti conviviali che individuali, quindi bisogna essere propensi al lavoro di gruppo. Inoltre, è indispensabile sostenere i pazienti da un punto di vista umano, non solo come impone il binomio pazienteeducatore. La relazione educativa deve evolversi

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Dunque è possibile riabilitare una persona? Sì, ma solo se questa è predisposta a farsi aiutare da figure specializzate e solo se sa riconoscere di avere un problema. Molte persone vengono inserite nei nostri centri, ma quando si chiede loro di parlare della loro dipendenza esordiscono con: “Ma che dipendenza? Io non ho nessun problema, smetto quando voglio”. Quindi il primo passo per la riabilitazione è riconoscere di avere un problema e di non essere in grado di autocurarsi senza adeguati supporti specializzati. Come si potrebbe arginare, anche solo parzialmente, il problema delle dipendenze? Ovviamente la questione dipendenze è sempre aperta: non è facile arginarla né tanto meno sconfiggerla. Nel centro di recupero dove lavoro ospitiamo solo persone adulte, ma la maggior parte ha iniziato a fare uso di sostanze durante l’adolescenza quindi, personalmente, penso siano proprio i ragazzi la chiave per risolvere questa problematica. Bisogna parlargli, metterli al corrente dei rischi, pensare a dei programmi adeguati da pubblicizzare nelle scuole, ma soprattutto spingere gli adulti, i genitori e i professori a non smettere mai di affrontare l’argomento con i più giovani, anche se essi sbagliano ripetutamente. Come ho già detto prima, meglio un “no” proibitivo, ma sano che un “sì” amichevole, ma nocivo per la loro salute e il loro sviluppo.


BIRDMEN

LO SVARIONE DEGLI ANELLI ...Il culto nel culto di Luca Tantillo

Nel lontano 2006 eravamo ancora tutti in preda alla mania Il Signore degli Anelli, dopo l’arrivo dei tre film firmati Peter Jackson (usciti nel 2001, 2002 e 2003) ogni scusa era buona per urlare “tu non puoi passare!” o per parlare con la voce di Gollum. È in questo contesto che un gruppo di cinque ragazzi carica su YouTube la prima puntata di quello che sarebbe diventato uno dei lavori di ridoppiaggio più mastodontici di sempre: Lo svarione degli anelli - La compagnia del verginello, 1 ora e 23 minuti di taglia e cuci al primo film di Jackson, il tutto interamente ridoppiato. A questo seguiranno i successivi capitoli I due porri e Il ritorno del Padrino. C’è un unico grande tema principale che dà vita a tutta la parodia: la canapa. Il gruppo misterioso – proveniente dalle zone di Busto Arsizio (VA) – (di cui si possono trovare pochissime notizie sul sito clistere.org), attraverso il nuovo doppiaggio e i tagli apportati al film, non solo ha creato gag memorabili e storpiato i nomi di tutti personaggi, ma ha scritto una vera e propria saga parallela, creando una trama totalmente diversa dall’originale, con un inizio, una fine ed uno svolgimento perfettamente studiati. Nella Terra di Merdor c’è un grave problema, è sparito il fuorismo. Lo spacciatore Ganjalf assolverà il suo cliente fedele Godo per lottare contro la DIGOS (i Nazgul) e il crudele Svarion. Lungo il loro percorso incontreranno altri personaggi che li aiuteranno a riportare la felicità a tutti i fumatori della loro terra: Dildo Baggins, Samghei, Arabong detto “Gran fatto”, Rizlas, Ghivmix, Condom, Sboromir e via via tutti gli altri personaggi della trilogia originale, ognuno con un nuovo nome storpiato con acuta ironia. Il primo capitolo è diventato subito culto, con tantissime visualizzazioni è riuscito ad entrare nelle teste delle persone quasi tanto quanto i film di Jackson; chiunque lo abbia visto avrà ripetuto almeno cinquanta volte nella sua vita “magliettina di Pvada... veva eh, mica tavocca!”.

Un lavoro impressionante non solo per la fluidità di una trama ricostruita su un’altra, ma anche per l’accuratezza del doppiaggio che si inserisce in alcune situazioni creando gag perfette laddove nell’originale succedeva tutt’altro (memorabile in questo senso è la scena del secondo capitolo, I due porri, dove Condom, che sarebbe Gollum, soffre di blocco intestinale). La parodia storpia tutto ciò che incontra lungo le pellicole, piegando le situazioni alla sua delirante trama e trasformando i nostri eroi in un gruppo di fattoni. Ne abbiamo visti tanti negli anni di ridoppiaggi e parodie, ma questa è particolarmente brillante ed è diventata quasi subito un culto nel culto. E adesso? I cinque creatori originali sono sparsi in giro per l’Europa, ma hanno passato il testimone a un altro gruppo di ragazzi che sta lavorando a una parodia di Lo Hobbit: Lo Rollit. Si tratta dei gestori di svarione.org, che affiancati dai ragazzi di clistere.org proseguiranno la loro opera ridoppiando questo prequel. Su svarione.org potrete trovare il trailer del nuovo capitolo e i quattro precedenti capitoli in versione integrale. E ora... pausa cannetta!?.

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LSD

LA RIBELLIONE BEAT AMERICAN WAY OF LIFE di Noemi Nagy «Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte da pazzia, morir di fame isteriche e nude, strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di una pera di furia, hipsters testadangelo bramare l’antico spaccia paradisiaco che connette alla dinamo stellare nel meccanismo della notte, che povertà e stracci e occhiaie fonde e strafatti stavan lì a fumare nel sovrannaturale buio di case con acqua fredda librati su tetti di città contemplando jazz, (...)» In queste parole brucianti, appassionate, disperate, in queste urla, sta la ribellione al conformismo, al consumismo, alla violenza, alla comune concezione di tempo e sessualità della beat generation, movimento artistico nato e pienamente espresso nell’America degli anni ‘50 e ‘60, nell’America della Guerra Fredda, del Maccartismo, del capitalismo senza freni. Kerouac, Ginsberg, Cassady, Ferlinghetti, Corso non furono i singoli esponenti di una corrente letteraria, ma i membri di un gruppo di individui profondamente legati a livello umano, accomunati da un sentimento di rabbioso e rivoluzionario entusiasmo nei confronti di una società ingabbiata nei preconcetti. La loro è una cronaca sfacciata, aretorica, perdutamente sincera del disagio di un insieme di figure vissute nel retroscena dell’American way of life.

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«[...] che mangiavan fuoco in hotel ridipinti o bevevan trementina in Paradise Alley, morte, o si purgatoriavano il torace notte dopo notte con sogni, con droghe, con incubi a occhi aperti, alcol e cazzo e balle-sballi senza fine, incomparabili strade cieche di nube rabbrividente e fulmine nella mente saltando verso Canada e Paterson i poli, illuminanti tutto l’immoto mondo dell’Intra-tempo, [...]»

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Questa atemporalità rivela una ricerca profondamente spirituale tesa verso l’assoluto che si concretizza nell’attraversamento, privo di alcun tipo di condizionamento, della pulsante e caotica materialità del presente. Nel 1955 Allen Ginsberg, nella Six Gallery di San Francisco, lesse per la prima volta L’urlo, poema manifesto dell’entusiasmo e della rabbiosa denuncia della condizione di malessere sentita nei confronti del proprio tempo da parte della sua generazione. In Gasoline, raccolta di poesie del 1958, il newyorchese Gregory Corso - provocatorio, ironico, disordinato, “insolente al di là del sopportabile e strafottente nella più assoluta imprevedibilità ma con il dono di non dire mai una sciocchezza” (Pivano) – osserva una realtà frammentaria e immediata. L’esistenza, nomade e mutevole, si riduce all’istante, e si sprigiona in parole di un vitalismo crudo e nella sua concretezza paradossalmente svincolato dalla dimensione immanente. In Sulla strada di Kerouac, i lunghi viaggi in macchina attraverso gli Stati Uniti, fortemente autobiografici, raccontano di una folle ricerca d’amore e di vita, di un’inesauribile ansia di esperienza immediata e totalizzante. Sull’andamento di incalzante confusione lirica ed esistenziale di queste opere, fragile ma irriducibile, la speranza percorre i ritmi rapidi di versi bebop che sfidano la censura e il senso del pudore di una società sentita come priva di coscienza. Contro di essa si staglia la naturalezza priva di concettualismi della corrente beat, che rincorre Dio anche nella sua negazione, trova l’eternità in un disco jazz e vive nell’insanabile ricerca di un gruppo di uomini perduti, beati, rabbiosi, liberi. «[...] che vagavan su e giù a mezzanotte per depositi ferroviari chiedendosi dove andare, e andavano, senza lasciar cuori spezzati [...]»


AMSTERDAM

di Lisa Martini Vista dall’alto si presenta come un intreccio caotico di strade, un flusso continuo di vite che si intersecano sospese su due ruote, in qualche angolo di strada qualcuno con la sua chitarra canta. Camminando non posso far altro che notare la continua presenza di XXX, qualcuno (non ricordo proprio chi) mi ha raccontato che simboleggiano i tre “mali” della città; il sesso, la droga e la peste. Mi imbatto in queste croci non una, non due bensì una miriade di volte; le trovo sui muri, sui tombini, sui paletti che separano la strada dalla pista ciclabile e dai marciapiede. Mi tengono compagnia in questa mia passeggiata solitaria; il sole riflette la sua luce timida nei canali, un ragazzo uscendo da uno strano locale inciampa e ride. Continuo a vagare, mi sento leggero, le gambe intraprendono una strada tutta loro e i pensieri mi fluttuano nella testa. Questa città è magica. Il cuore, con il battito un po’ più accelerato del solito (di questo me ne accorgo), si ferma per un attimo quando improvvisamente mi imbatto in un esteso “prato” di girasoli; in realtà non capisco ancora come sia possibile una tale quantità di fiori nel bel mezzo di una città, i petali così gialli e così rigogliosi contrastano con ciò che li circonda. Un’imponente palazzo con caratteristiche che mi ricordano vagamente lo stile gotico/rinascimentale sorge alle spalle di questo campo artificiale, i miei occhi, un po’ socchiusi, rintracciano una scritta e riconosco un nome che, ora come ora, non saprei come pronunciare: Rijskmuseum. Una folla di cinesi, troppo occupati nei loro “selfie” tentano di seguire una donna che mostra vanitosamente una bandierina e li invita a seguirli all’interno del Museo. Sono indeciso se seguirli clandestinamente ma subito vengo distratto ancora dai fiori, ne prendo uno, un bambino sorride orgoglioso del suo girasole

e guarda sua madre intenta nel fotografare il suo piccolo miracolo. Cammino, il respiro lento e la continua sensazione di serendipità sono la colonna sonora di questa giornata; intorno a me c’è veramente tanto da vedere, osservare, capire. Affondo astrattamente nella parte più interna di me, mi sento come se fossi il protagonista di una favola, un cavaliere errante alla ricerca di una storia da raccontare. Subito mi rendo conto, però, che questa città, queste case così alte e strette e storte trasudano storia, nei canali scorre e ristagna acqua mista a racconti di un tempo passato non così lontano dal nostro presente. Un’atmosfera eclettica mi circonda e senza nemmeno accorgermene è già sera; ho camminato un po’, mi avevano detto che questa città la si vive veramente solo su due piedi, perdendosi tra i canali, svoltando qualche volta a destra e qualche volta a sinistra. Fra le sue vie vengo accolto da una fragranza, un misto di fiori, città e Maria, che entra e mi riempie i polmoni. Maria non è la donna che poco fa mi è sfrecciata accanto con la sua bicicletta, non è nemmeno la ragazza sul ponte che intrattiene i passanti improvvisando “Wake me up” in versione acustica. Maria l’ho incontrata poco prima di pranzo, in un locale tipico di qua, li chiamano Coffee Shop ma in realtà non vendono principalmente caffè. Avrei voluto farle una foto ma dicono sia vietato; eravamo io e Lei ad un tavolo, la luce sfocata di una lampada la illuminava, le mie dita scorrevano su di lei e la avvolgevano, le mie labbra aspiravano tutta la sua essenza. Grazie a lei, per tutta la giornata, ho visto il mondo con una prospettiva diversa. Ma ora è tardi, i colori del tramonto contrastano con il verdastro del naviglio, due ragazzi nel caos della sera siedono sul bordo del canale e si baciano. Mi muovo nelle strade di questa città, Amsterdam, e sono solo, Maria, sei svanita come il riflesso di questo tramonto in questo canale e adesso un sapore amaro invade la mia bocca, sola anch’essa da quando non ci sei più.

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SONDAGGIO

di Federico Mario Galli In Unipv c’è chi lo ha sentito una volta sola o chi ne ‘’parla’’ un’ora sì e un’altra no.

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Il team sondaggi di Inchiostro ha voluto confutare proprio questo: se e, quindi, quanto e da quando gli studenti dell’Università di Pavia hanno a che fare con la marijuana. Questa sostanza, ottenuta dall’essiccazione di alcune parti della canapa indiana, viene classificata come una droga leggera. Stereotipata o sfruttata è da tempo al centro di molti dibattiti e divide in due l’opinione pubblica; come la pensano secondo voi, al riguardo, gli studenti dell’Università di Pavia? Come per una sbronza, il sesso o un 17 in un esame, c’è una prima volta anche per un tiro? Ci siamo chiesti proprio questo, o meglio, abbiamo chiesto proprio questo ai nostri intervistati in Università:

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Hai mai fumato marijuana almeno una volta? Il dato che emerge è molto diverso da quello che ci si aspetterebbe, infatti il 48,28% degli intervistati afferma di aver provato almeno una volta mentre il 51,72% afferma di non aver mai voluto o avuto occasione. Secondo le stime pubblicate dall’ONU, 15 anni è l’età in cui i ragazzi iniziano ad avvicinarsi al mondo delle droghe leggere come la marijuana. Dal nostro sondaggio invece emerge che 16 anni e mezzo è la media d’età in cui gli intervistati hanno fatto uso per la prima volta. Sempre secondo le rilevazioni del 2012 degli studiosi del Palazzo di Vetro, che collocano l’Italia tra i primi posti per consumo di marijuana, circa il 14,6% dei cittadini che ha un’età compresa tra i 15 e i 65 ha fatto uso di cannabis. In quanti degli intervistati fa abitualmente usa di cannabis? Secondo il nostro sondaggio, tra gli studenti che almeno una volta hanno fatto uso di cannabis il 14% continua periodicamente a farne uso. Un dato che ha portato il team di Inchiostro a chiedersi se la legalizzazione porterebbe un miglioramento o peggioramento della

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situazione sia economica che sociale, ma prima, secondo voi, quanti degli studenti intervistati saranno stati pro e quanti contro la legalizzazione? Il dato, se lo confrontiamo con quelli precedenti, è strabiliante: ben il 76% è pro legalizzazione nel nostro Paese e solo il 24% si dichiara contrario. Ancora oggi è ampio il divario tra chi crede che legalizzando l’uso della marijuana le cose migliorerebbero e chi invece crede che peggiorerebbero. Solo il 21% degli studenti intervistati crede che legalizzando la cannabis le cose peggiorerebbero, mentre invece il restante 79% crede che, con la legalizzazione, diversi potranno essere i benefici per la società italiana. Una convinzione diffusa è quella che un individuo che fa uso di marijuana sia più predisposto di altri a iniziare a fare uso di droghe più pesanti. Noi di Inchiostro abbiamo chiesto perciò: per chi fa uso di cannabis, fumare vi ha portato ad assumere altre sostanze? Di tutti gli intervistati il 45% crede di no mentre il 55% pensa il contrario, ma di coloro che ne fanno uso sarà stato così? Tra gli studenti che hanno dichiarato di fare uso di marijuana solo il 25% ha affermato che questo li ha avvicinati ad altre sostanze. Ecco concluso il nostro sondaggio, nel numero di questo mese avrete la possibilità di farvi un’idea o diversa o ancora più convinta sulla vostra posizione a riguardo, considerando i diversi aspetti del tema che vi abbiamo presentato. Per i prossimi sondaggi noi del team di Inchiostro vi ricordiamo che le vostre idee e proposte sono sempre ben accette alla mail di redazione: inchiostropavia@ gmail.com, oppure quando vi incroceremo per farvi uno dei nostri sondaggi. Vi aspettiamo anche su Facebook e sul nostro sito.


SIMPATICO

LA STORIA DELL’INVENZIONE DELLA MARIJUANA di Niki Figus GIORNO UNO In principio Dio creò il cielo e la terra. Il mondo era vuoto e deserto, le tenebre coprivano gli abissi. Dio disse “Vi sia la luce”. E apparve la luce. Dio chiamò la luce Giorno e le tenebre Notte. GIORNO DUE Dio disse: “Vi sia una grande volta! Divida la massa delle acque”. Così avvenne. Dio fece una grande volta e separò le acque di sotto da quelle di sopra. Dio chiamo la grande volta Cielo. GIORNO TRE Dio disse: “Siano raccolte in un solo luogo le acque che sono sotto il cielo e appaia l’asciutto”. Dio chiamò l’asciutto Terra e chiamò le acque Mare. E disse: “La terra si copra di verde, produca piante con il proprio seme e ogni specie di albero da frutta”. E così avvenne. E Dio vide che era bello. GIORNO QUATTRO E CINQUE Dio era in botta sul divano, fissando l’ennesima serie tv su Netflix. E Dio vide che era una figata. GIORNO SEI Erano ormai tre giorni che Dio se ne stava in botta sul divano, quando la fame chimica si fece diabolicamente insostenibile. Così Dio schioccò faticosamente quanto miracolosamente le dita e creò il regno animale, quello degli uomini e la società moderna. Le mucche furono munte, il grano mietuto e i fattorini sottopagati: quella pizza d’ asporto fu un’autentica benedizione. E Dio, così, decise che per l’occasione ci sarebbe stata una grande festa. Chiamò un paio di amici, una band e mandò suo figlio sul balcone a grigliare pesce in abbondanza. E fu festa. . Pensavo che tuo figlio fosse ancora in clinica . No Carlo, l’ho portato via. Quell’idiota tanto non faceva che trasformare l’acqua in vino… . Hai fatto bene. Ah, ma c’è anche Friedrich? . Sì, sì. Friedrich, porta fuori quel cavallo da casa mia!

. Cazzo, è una vita che non ti vedo e già mi dai ordini. Calma. Cos’è, il tuo amico non ti ha ancora dato l’oppio? . Nietzsche, lascia stare Marx e porta fuori quel fottuto cavallo da qui, non sai che fatica è stata convincere Noè! Quello è arrivato col suo yacht, preoccupato perché su Studio Aperto parlavano di un diluvio… . Papà, papà… - disse timido Gesù, interrompendo la conversazione - C’è il vicino di casa che dice che facciamo casino Dio, armato di santa pazienza, andò all’entrata, dove ad attenderlo v’era il vicino, rosso in volto, come i Suoi occhi, ma per la rabbia. . Signor Dio – l’accolse – Le sembra normale?! . Cosa? Divertirsi? Avere amici? Normalissimo. Come l’omosessualità, l’eliocentrismo, o un figlio concepito da una vergine senza rapporto sessuale alcuno. Coraggio, signor Giovanardi, si unisca alla festa, la mia fedele compagna Maria la farà rilassare…”, ma quello, indignato, se n’era già andato. SETTIMO GIORNO La festa non accennava a concludersi e gli invitati erano fattissimi: Gesù trasformava il vino in acqua e distribuiva il pane “per asciugare”, Luca Giurato iniziava ad azzeccare i congiuntivi e la band stava addirittura iniziando a far cantare Ringo. Ma il campanello suonò. E la polizia si riversò nell’appartamento. Dio fu ammanettato e portato in questura, dove, qualche giorno dopo, (ufficialmente) morì per un attacco di epilessia volando fuori da una finestra. Ma il mondo non era più lo stesso già da prima. Marx, Nietzsche e altri invitati iniziarono a vivere in clandestinità. Il figlio non si riebbe, si fece crescere i capelli e su un furgoncino vagò per il mondo professando “pace e amore”, ma ben presto fu preso. Alcuni profeti, guidati dal guru Lapo Elkann, si riversarono in alcuni angoli della Terra, da Amsterdam alla Jamaica al Colorado, e diffusero il verbo. Mentre Virginia Raggi incassò la polizza assicurativa che Dio, a sua insaputa, le intestò.

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