Inchiostro n°143 – Novembre 2015

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Intervista a Titta Cosetta Raccagni

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LSD

I. J. Singer Sender Prager

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Relax

Dopo la terza birra...

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia Novembre 2015 - Anno XX - #143 - inchiostro.unipv.it

Speciale

Fondo manoscritti

distribuzione gratuita

Ricordando Maria Corti

Leggere “Inchiostro” può creare dipendenza. Se ne consiglia pertanto la lettura a tutti, studenti universitari compresi. Seguici anche su Facebook, Twitter e Instagram.


Passavo di lì per caso e ti ho incontrato, se almeno l’avessi saputo, ti trovo molto cambiato, mi ero scordato di te mi ero scordato di me ma sai com’è, sai com’è questo mondo sai com’è. Franco Fanigliulo, Mi ero scordato di me, 1977


Dal 1995

RED BORDERS in questo numero

Ink 20 Intervista a Titta Raccagni

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di Matteo Camenzind

SMAU Milano Tra Ritorno al futuro e la cruda realtà

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di Giorgio Di Misa

In visita al Fondo creato da Maria Corti LSD Israel J. Singer, Sender Prager di Elisabetta Gri

La storia dell’invenzione della birra Dopo la terza birra... di Niki Figus

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Inchiostro, anno XX, # 143, novembre 2015 è un’iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti. Fondi 2015: 6162,76 € Registrazione n. 481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 13 febbraio 1998 Sede legale: via Mentana, 4 - 27100 Pavia Direttore responsabile: Simone Lo Giudice Direttore editoriale: Matteo Camenzind Direttore web: Giorgio Di Misa Tesoriere: Elisa Zamboni Redattori: Claudia Agrestino, Matteo Croce, Niki Figus, Valentina Fraire, Federico Mario Galli, Lorenzo Giardina, Elisabetta Gri, Alessio Labanca, Lisa Martini, Ludovica Petracca Grafica: Marina Girgis Collaboratori di redazione: Ignazio Borgonovo, Elisa Enrile, Giorgia Ghersi, Michela Rossini, Eleonora Salaroli, Sara Valdati

Copertina (concept e realizzazione): Matteo Camenzind Impaginazione: Matteo Camenzind, Marina Girgis Correttori di bozze: Alessio Labanca, Elisabetta Gri Supervisione: Alessio Labanca Fotografie (tratte dal concorso fotografico di Inchiostro 2006): p. 2 di Elena Emma, p. 4 di José Carlos Leon Vargas Mandato in stampa il 6 novembre 2015 presso l’Industria Grafica Pavese s.a.s. - 27100 Pavia Tiratura 700 copie Magazine Layout with Red Borders

Info? Chiama il 392 78 01 603 oppure scrivi a inchiostropavia@gmail.com


L’importanza di essere se stessi Editoriale Non so quanti tra voi ricordino o conoscano Franco Fanigliulo. Nel ‘77 ebbe una piccola parte nel film d’esordio di Benigni Berlinguer ti voglio bene, diretto da Bertolucci, ma venne alla ribalta nel ‘79, cantando A me mi piace vivere alla grande a Sanremo. L’anno prima, una canzone simile, per stampo e irriverenza, l’aveva portata un altro grande mito (di recente ottimamente rivalutato), ossia Rino Gaetano con Gianna. Impaginando questo numero di “Inchiostro” ho dovuto ripensare molto a Fanigliulo (e, di conseguenza, a Gaetano) e alle sue stupende canzoni. A quasi trent’anni dalla sua scomparsa, sono di un’attualità sconcertante. Sono vive, vivide immagini a parole cantate. Si tratta di temi conosciuti, mai superati e per qualcuno sicuramente desueti, ma si tratta pur sempre di storia, e pur sempre di vita. Mi auguro che ognuno possa vivere alla grande, che possa vivere i suoi anni di splendore e stupore. «La vita comincia a quarant’anni», mi citava un caro e saggio vecchio amico qualche giorno fa. Quindi non deprimiamoci se fino a quarant’anni non combineremo nulla di importante, il nostro tempo arriverà. Di certo, dobbiamo lavorare per ottenere ciò che è nostro,

ovvero il nostro futuro. Fanigliulo è mancato a 45 anni, pochi, ma abbastanza perché qualcuno di noi se lo ricordi con sommo rispetto. Se la vita comincia a quarant’anni, non possiamo permetterci di iniziare a viverla lì appena. Se la vita comincia a quarant’anni, vogliamo costruircela da prima. Non vogliamo provarci: nella vita non si prova, si fa. Incominciamo, nel nostro piccolo, a fare e a dare, a costruire tutto ciò che saremo e che, in fondo, già siamo. Matteo Camenzind


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Intervista a Titta Cosetta Raccagni

Titta Cosetta Raccagni, tra il 1995 e oggi di Matteo Camenzind Ci sentiamo, e subito lei mi chiede di spiegarle perché la intervistiamo. Per chi non se ne fosse ancora reso conto, “Inchiostro” quest’anno ha compiuto vent’anni e per l’occasione, dall’inizio del 2015 a oggi, ci siamo impegnati ad intervistare un vecchio redattore per ogni numero. Tra i vari intervistati, sia Barnaba [Ponchielli, v. “Inchiostro” #140] che Morgan [Bertacca, v. “Inchiostro” #142] hanno fatto il tuo nome. Sai, io in realtà non sono mai stata redattrice. Ricordo che avevo pubblicato qualche poesia e qualche recensione, di film o teatro. Soprattutto film, probabilmente. Insomma, avevo collaborato ogni tanto, e comunque in redazione non c’ero. C’erano loro due ed eravamo molto amici. Quindi eri una collaboratrice, una che vedeva “Inchiostro” da fuori. La prima domanda che mi viene, inevitabilmente, è se sei venuta a conoscenza di “Inchiostro” tramite loro. Sì, certo, anche perché con Barnaba eravamo proprio dello stesso anno

di iscrizione. Del ’95, di quando è uscito il primo numero non ho ricordi precisi, sinceramente. Come un po’ tutti i giornali, all’inizio era un po’ stile fanzine, dai miei ricordi. Aveva questo stile qua, in cui si poteva pubblicare le proprie cose. Era un bel tentativo di unire le varie anime dell’università. Uno stile che mi piace. Quelle per “Inchiostro” sono state le tue prime recensioni e come sono nate? Nell’indirizzo cinema c’era il corso di Storia e Critica [del cinema, ndr], e in quel momento seguivo molto il cinema e leggevo parecchie riviste, ed era stato divertente fare questo tentativo di scrittura, e la scrittura a quel tempo era il mio mezzo di espressione. Parliamo di cinema. Nel 1995, “Inchiostro” veniva scritto a mano, trascritto dall’unica fortunata con un computer e poi impaginato. Ora è tutto molto più veloce, ma soprattutto è diverso. Con il cinema hai vissuto questo cambiamento? Quando stavo a Pavia, durante l’ultimo anno di tesi, ho iniziato

Vent’anni di Inchiostro 1995-2015

Titta Cosetta Raccagni nasce a MIlano e si laurea nel 2001 in Storia del Cinema. Nello stesso anno ottiene il diploma di Camera operator e Filmmaker alla Scuola di Cinema di Milano. Collabora con Filmmaker, promotore di sue opere quali Lezione di anatomia (2006), vincitore del festival internazionale Sguardi Altrove, Dalle mani (2009) e Martesana, le stagioni in città (2010, in corso d’opera).

foto tratta da www.cinemaitaliano.info

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Intervista a Titta Cosetta Raccagni

la scuola di cinema a Milano, per cui ho fatto questo passaggio dall’università. Là era tutto teorico, l’attenzione era su storia e critica, ovviamente con un approccio molto accademico. Non mi bastava, quindi ho iniziato la scuola di cinema dove c’era il materiale vero. Di metà anni ’90, mi ricordo le handycam, con le cassette hi8, VHS non l’ho neanche mai usate. La prima che ho avuto in mano era coi nastri hi8. Però, ti dico, durante l’università non mi ero approcciata, è stato piuttosto verso la fine. Dunque ’99, 2000.

inchiostropavia@gmail.com

Dal 1995 ad oggi è cambiato totalmente l’approccio al giornale, e suppongo ci sia lo stesso rapporto anche nel tuo mestiere. È come parlare di un’altra era. Alla fine, tu non sei nativo digitale, ma poco ci manca. Un’altra era in cui c’era, se vuoi, quel romanticismo legato allo sperimentare con strumenti che ti dovevi inventare, mentre adesso, nel bene e nel male, c’è la pappa pronta. Era un altro mondo, semplicemente un altro mondo. Ero una che leggeva i giornali: ora non compro una rivista cartacea se non raramente, i giornali li leggo

tutti online. I miei leggono ancora il giornale, è un abitudine che non riesci più a togliere. E noi siamo stati in mezzo. Quel passato universitario lì per me appartiene ad una prima parte della vita, perché tra il 2000 e il 2001 è stato il turning point, dove tutto è cambiato, dal digitale alla rete globale. In uno dei tuoi progetti (Martesana, le stagioni in città) hai utilizzato anche immagini d’epoca. È in qualche modo legato a questo rapporto con il digitale? Nel progetto ogni stagione ha un tema più o meno specifico, e l’inverno è quello della memoria, per cui ho fatto questo lavoro molto astratto di inserire flash onirici di materiale d’archivio. Certo, ogni tanto mi piacerebbe tornare alla pellicola, al contatto con la materia, anche se come videomaker sono nata comunque con il digitale. E se potessi tornare ad una vecchia tecnica per filmare, quale sceglieresti? Avevo il Super8, giravo, e poi i costi sono diventati

foto di gruppo tratta da www.leragazzedelporno.org

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Intervista a Titta Cosetta Raccagni

proibitivi. Effettivamente, ho un piccolo archivio che chi sa mai. Quindi, ti dico, ogni tanto mi piacerebbe quello, ma per lo sporco, non so come dire. Anch’io sono passata da qualche anno all’HD, poi c’è il FullHD: non ho la televisione, ma quando guardo i film classici, di cui ho un ricordo di una certa pasta, di una certa saturazione, vederli in HD, non li riconosco. Ricordo una sera che c’era C’era una volta in America, e non l’ho riconosciuto, sembrava uno sceneggiato televisivo. A questo non mi abituerò mai, all’immagine dei classici in digitale. C’è questa perfezione che va sempre più all’appiattimento, non ha carattere. Per questo sì, sono nostalgica. Ci spieghi in cosa consiste, per te, il progetto delle Ragazze Del Porno? Guarda, di base è un progetto per un film collettivo dove ognuna ha un proprio progetto per un cortometraggio pornografico, senza una categoria. Cerca di unire un respiro autoriale ad una cinematografia del porno che in Italia è visto solo di un certo tipo. Non è un progetto originale, nel senso che prende spunto da altri progetti europei. In Italia però ci sono mille questioni: è un progetto nato tre anni fa e continuiamo a fare fatica su vari fronti. Adesso sono stati girati i primi tre corti, che sono in fase di finalizzazione, e vedremo cosa succede. Siamo anche tante anime diverse, ed ognuna declina il progetto un po’ come vuole. Per esempio, io per sabato prossimo [31 ottobre] sto organizzando la prima dark room per donne, in un ex cinema porno, che adesso è uno strip-club che si apre a queste serate. Per me Le ragazze del porno è un progetto culturale e politico. È difficile tenere una rotta perché piovono critiche a destra e a manca, perché sei troppo poco femminista, perché sei troppo femminista, perché se fai quello allora sei una puttana… Dieci registe hanno fatto un progetto similare in Svezia, hanno presentato il progetto, hanno ricevuto i finanziamenti dal ministero della cultura, hanno fatto il film, che è andato benissimo e ha girato tutta Europa, è andato ai festival. Progetto serio che è stato preso sul serio. Qui sei subito etichettato in un modo o nell’altro. E il peggio è che viviamo in un Paese in cui la pornografia viene da quarant’anni di televisione privata, in cui comunque anche il corpo delle donne è sempre stato esposto in un certo modo,

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mi viene in mente Il processo di Biscardi, letterine, veline, donne mute con un corpo trasformato per l’occhio maschile. Il problema è stato adattarsi a un modello, la vera cosa deteriore è stata quella. Per cui anche delle registe che fanno un progetto artistico e serio è facile che vengano etichettate in un modo o nell’altro. Quindi la tecnologia che avanza, riallacciandoci al discorso di prima, nel porno non ha influito così tanto perché veniamo dalla televisione privata? L’immaginario in Italia è stato creato dalla televisione, questo è innegabile, ma la pornografia è stata effettivamente sdoganata con la rete. Quindi c’è questo doppio passaggio. Alcuni dicono che ormai la pornografia sia stata sdoganata e quindi non serva un progetto come il nostro, ma bisogna anche vedere come è stata sdoganata, legata ad un certo tipo di immaginario. Non stiamo parlando di “a te cosa ti eccita”, ognuno è libero di fare quello che vuole, ma a me quello che interessa è lavorare sull’immaginario e definire che non ci sono solo quelle categorie: la sessualità per fortuna è soggettiva ed è legata alla tua fantasia, al tuo desiderio. Citandoti le ragazzine con cui lavoro nei laboratori delle scuole, un rapporto sessuale finisce quando il maschio viene, perché tutti i porno finiscono così. Quindi ci sono delle distorsioni molto forti, non è questione di moralismo e bisogna intervenire, è una questione di dire “ok, c’è questo, ma c’è anche quest’altro”. Avere un modello unico è l’errore. Poi il porno, è innegabile, è sempre stato fatto per il pubblico maschile ed il nostro discorso è quello di dire che anche noi godiamo, abbiamo voglia di guardare del porno bello, perché quello che c’è tendenzialmente non ci piace, e allora ci mettiamo di persona a scriverlo e a farlo. Per ultimo, se avessi dovuto scrivere nel ’95 un articolo su questo, come lo avresti affrontato? Guarda, ero ancora in crisi di identità io, non so cos’avrei scritto. Discorsi che adesso sembrano superati, forse li avrei approcciati dal punto di vista di una sessualità diversa, che non abbia categorie. Tutto va etichettato, ma tutto potrebbe essere più fluido, senza etichette. •

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Attualità

SMAU Milano Tra Ritorno al futuro e la cruda realtà di Giorgio Di Misa

inchiostropavia@gmail.com

Da qualche giorno è terminato SMAU Milano, principale fiera italiana dedicata all’Information & Communications Technology. I numeri sono decisamente a favore dell’innovazione, oltre 300 i workshop in programma, 450 aziende pre-

senti, 70 investitori italiani e stranieri alla ricerca di nuovi talenti e nuove idee per il futuro ecosistema tecnologico, ma soprattutto oltre 300 start up che hanno avuto l’opportunità di incontrare imprenditori, incubatori, acceleratori.

incubatore

acceleratore

L’incubatore è una struttura di supporto allo sviluppo dell’impresa. I servizi che offre (formazione, consulenza specialistica, contributi finanziari, networking ecc.) hanno lo scopo di sostenere le imprese durante la fase di avvio (start up) e di ingresso sul mercato.

A differenza dell’incubatore, che supporta la startup nella fase di crescita primordiale, un acceleratore la supporta nel passaggio da start up a impresa matura. Un acceleratore può richiedere una quota della società in cambio di piccoli finanziamenti e di mentorship. Tipicamente i programmi di accelerazione durano più di quelli di incubazione.

SMAU Milano si è distinta non solo per le numerose start up e aziende presenti ma anche per l’intrattenimento, le ballerine e promoter con accavallamenti di gambe alla basic instinct, la sfida tra le stampanti 3D, realtà virtuale e realtà aumentata. I tre giorni di fiera hanno delineato il futuro dell’innovazione tecnologica, studi approfonditi sull’applicazione della stampa 3D alle protesi di qualunque tipo, la realtà aumentata per vestirsi e semplificare le donne nel prepararsi per un appuntamento e centinaia di applicazioni cloud based in ogni ambito possibile e immaginabile. Semplificare la vita, ecco cosa cercano di fare le aziende che si sono presentate allo SMAU. Ma non è tutto rosa e fiori e soldi che piovono dal cielo nelle tasche dei giovani che portano avanti un’idea e un progetto. Con un occhio ben attento

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e parlando con qualche start up, si arriva facilmente alla conclusione che in Italia è impossibile portare avanti un progetto, troppe tasse: la mentalità degli imprenditori è investire a progetto già avviato. Marty McFly sicuramente non troverebbe il futuro immaginato da Robert Zemeckis in Italia, ma potrebbe sperarci in nazioni quali Stati Uniti, Inghilterra, Germania e persino in Nuova Zelanda che sono le più propense a dare credibilità e finanziamenti per le idee e progetti interessanti. È da riconoscere il tentativo italiano di SMAU di creare un ecosistema, seppure ancora troppo ancorato nella mentalità di non rischiare l’investimento. La dimostrazione di questa inerzia nei confronti delle start up è la esigua presenza di business angel e Venture Capital durante i pitch.


SMAU

Attualità

Le parole delle Start Up

Businness angels Gli Angels Investors (o business angels), sono gli investitori che si occupano di investire nella tua idea quando mai ti saresti aspettato che qualcuno lo facesse. In genere compiono finanziamenti di tipo seed (semina), si tratta di finanziamenti di importo inferiore a 500.000$ o finanziamenti di tipo early compresi tra i 500 mila ed 1mln.

ventures capital I Ventures Capital sono, diversamente dagli Angels Investors, degli investitori strutturati che si occupano di ricercare le startup a più alto contenuto innovativo, in quanto sono le aziende con più capacità di successo nel mercato. I finanziamenti dei VC sono sempre rivolti a qualsiasi startup lasci prevedere la possibilità di elevati e rapidi guadagni in qualsiasi settore ed, in genere, con l’intenzione di entrare nel capitale della startup e sostenerne lo sviluppo, per, poi, appena raggiunto l’apice del successo e del valore di mercato, vendere la quota, ad un prezzo di gran lunga superiore, per riutilizzare i soldi in altri progetti “di ventura”, giacché, la logica ed il target del VC, non è, quasi mai, quella dell’investitore a lungo termine.

pitch L’Elevator Pitch ha come obiettivo di esporre gli aspetti salienti di un progetto d’impresa in un discorso chiaro, conciso ed efficace, in grado di catturare l’attenzione dell’interlocutore di media cultura nel tempo tipico della corsa di un ascensore (2-3 min).

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Intervista a

Nicoletta Trotta

di Elisabetta Gri

Speciale Fondo Manoscritti

In occasione del ricordo a Maria Corti che l’università di Pavia ha celebrato lo scorso ottobre con una mostra a lei dedicata, Inchiostro ha voluto intervistare una persona che con lei ha visto nascere e crescere il Fondo Manoscritti e che, ad oggi, ne è il direttore tecnico: la dottoressa Nicoletta Trotta. Dalle sue parole e dalla sua disponibilità per questa intervista, si capisce chiaramente quanto lei tenga a far conoscere il fondo anche e soprattutto alla realtà pavese che si trova fuori dalle mura universitarie. Molto spesso, infatti, come lei stessa dirà, l’interesse e l’attrattiva maggiore nei confronti del Fondo Manoscritti arrivano da altre città se non, addirittura, dall’estero. Ma procediamo direttamente con le parole di Nicoletta Trotta e quindi con l’intervista.

È cambiato in qualche modo nel corso degli anni il rapporto con i visitatori del Fondo, soprattutto per quanto riguarda la frequenza delle visite e del tipo di visitatori? Nel corso degli anni si è registrato un incremento di visitatori del Fondo Manoscritti (oggi Centro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei): il Centro è aperto alla consultazione degli studiosi dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 30 e dalle 14 30 alle 16 30, per venire incontro alle esigenze dei nostri utenti che frequentano ogni giorno la sala di consultazione. Si tratta naturalmente di un’utenza specializzata: studiosi, sia italiani che stranieri, dottorandi e anche studenti, che provengono da varie parti d’Italia, oltre che dall’università di Pavia. Naturalmente per accedere alle carte bisogna essere autorizzati e gli studenti devono presentare una lettera di presentazione del docente con cui effettuano la ricerca. Negli anni c’è stato un forte incremento di visitatori: facendo una statistica nell’arco cronologico di un anno abbiamo avuto più di 1200 visitatori, dunque con una media giornaliera di 5,6 utenti. Gli studiosi vengono a consultare prevalentemente i preziosi manoscritti degli scrittori e dei poeti italiani del Novecento, da Montale a Saba, da Quasimodo a Gadda, da Calvino a Sereni, per citare solo qualche nome (si contano più di 200 presenze); ma sono consultate anche alcune importanti biblioteche d’autore, come quella di Giorgio Manganelli arrivata nei primi anni Novanta: Manganelli ha lasciato al Fondo pavese oltre ai libri (circa 18.000 volumi) e alle carte, pure le scaffalature in legno, che sono visibili nella sala

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consultazione, dedicata proprio allo scrittore. Conserviamo poi un’altra imponente biblioteca d’autore, quella di Alfredo Giuliani, in corso di catalogazione (già catalogati più di 11.000 volumi), con libri molto rari che spesso in ambito pavese si trovano solo nel nostro catalogo. Pregiata anche la biblioteca di Roberto Sanesi, traduttore e poeta, ricchissima di testi inglesi. Sono libri che non vengono prestati, ma che possono essere consultati in sede. Un’altra tipologia di utenti sono gli studenti della facoltà di Lettere dell’università di Pavia che frequentano il Centro all’interno dei progetti formativi di tirocinio didattico per un totale di 100 ore. Nell’ultimo anno ne abbiamo ospitati circa una ventina. In generale si può dire che oggi sono cresciute le richieste di consultazione anche in relazione alle nuove tecnologie: all’interno del nostro sito internet http:// centromanoscritti.unipv.it è presente il censimento dei complessi archivistici conservati presso il Centro. Può parlarci delle ultime donazioni fatte al Fondo manoscritti? Il Fondo storicamente si è accresciuto in massima parte grazie alla rete di amicizie della sua fondatrice, Maria Corti, che conosceva molti scrittori e poeti e li sollecitava lei stessa a mandare delle carte. Va detto però che anche dopo la scomparsa di Maria Corti, avvenuta nel 2002, il Centro per la notorietà raggiunta è riuscito a suscitare una capacità attrattiva di modo che scrittori o loro eredi hanno continuato ad affidare le carte. Ci sono state importantissime donazioni, ad esempio la governante di Eugenio Montale, Gina


Speciale Tiossi, ha donato molti materiali autografi ed iconografici, edizioni ed alcuni cimeli del poeta, che sono andati ad arricchire il già cospicuo fondo Montale donato dall’autore a Maria Corti. Così anche il fondo Ottieri, in parte già donato dallo scrittore Ottiero Ottieri, è stato incrementato dalla vedova prima e dai figli poi. Ci sono poi state donazioni recenti da parte di alcuni poeti viventi, come la poetessa Jolanda Insana e il poeta Franco Buffoni. Qual è la maggior difficoltà, se così possiamo dire, che oggi si trova a dover affrontare il Fondo? In termini pratici e logistici oppure burocratici. Come ho detto l’archivio negli anni si è molto ingrandito quindi uno dei problemi più urgenti è quello dello spazio: la sede centrale nel cortile sforzesco del palazzo centrale dell’università risulta da tempo inadeguata, per cui abbiamo ottenuto dall’amministrazione dei locali in una sede distaccata, in via Luino, dove abbiamo sistemato alcuni fondi, ma ciò, come si può ben immaginare, comporta inevitabili disagi, anche in considerazione della scarsezza del personale. Noi auspicheremmo di avere una sede più ampia, unica. Inoltre ci manca anche una sala espositiva per allestire una mostra permanente. In primavera nell’ambito delle manifestazioni “Pavia in poesia” abbiamo organizzato presso il Salone Teresiano della Biblioteca Universitaria una mostra sul tema della notte, dal titolo Mai ti vinse notte così chiara. Autografi dei poeti del Centro Manoscritti, che ha avuto più di 1700 visitatori; così ha registrato un largo successo di pubblico la recente mostra dedicata a Maria Corti, ospitata nel Palazzo del Broletto. E’ un vero peccato che non si abbia a disposizione uno spazio espositivo dove esibire, magari a rotazione, alcuni dei tesori che conserviamo al Centro. Fate anche visite guidate? Sì, su richiesta facciamo anche visite guidate. Abbiamo richieste di visite guidate da parte di scuole superiori non solo di Pavia, ma di Lodi e di Milano. Talvolta gli studenti vengono anche da molto lontano: ad esempio abbiamo ospitato sia nel 2014 che nel 2015 una delegazione di studenti del Belgio, dell’università di Gent, all’interno di un progetto di collaborazione interuniversitaria a livello internazionale. Ci vuole raccontare un episodio che ricorda particolarmente riguardante il rapporto tra lei e Maria Corti? Di ricordi ne ho tantissimi, perché ho avuto la fortuna di lavorare a fianco di Maria Corti i primi dieci anni della mia carriera. Maria Corti, oltre a essere una studiosa molto autorevole, era una grande persona, generosa, soprattutto con i giovani, una grande maestra. Aveva una straordinaria umanità. I ricordi più belli sono forse quelli legati alle “missioni” che si facevano per andare a ritirare i materiali da scrittori o loro eredi, vedove,

figli, nipoti. Maria Corti mi portava sempre con lei. Uno dei ricordi più vividi impressi nella mia memoria è legato all’operazione di ritiro dello straordinario epistolario di Silvio Guarnieri a Feltre, per donazione della vedova e delle figlie dello scrittore, amico della Corti. Non potrò mai dimenticare il nostro stupore alla vista dell’ingente corpus di lettere (oltre 10.000) che ci veniva generosamente offerto: data la mole del materiali (le scatole preparate dalle famiglia erano davvero numerose), iniziammo a preoccuparci che l’auto messaci a disposizione dell’università, benché di grossa cilindrata, non potesse accogliere interamente quel prezioso carico. L’autista allora iniziò a riporre con il massimo riguardo gli scatoloni nel bagagliaio, ma i nostri timori si rivelarono presto ben fondati. Fu così che io e Maria Corti incominciammo a svuotare le ultime scatole, quelle che non avrebbero trovato posto, per dividere il pregiato contenuto in buste di plastica della spesa che poi sistemammo sui sedili tra la Corti e me. Mai nessun altro viaggio fu così emozionante: viaggiammo da Feltre a Pavia tenendo addirittura sulle gambe Lettera di Domenico Rea a Maria Corti i preziosi sacchet(per gentile concessione del Fondo) ti e , ammaliate dai fantasmi della memoria, non resistevamo alla tentazione di estrarre, come in una pesca miracolosa, i pacchetti legati con lo spago dallo stesso Guarnieri, per leggere i nomi degli illustri corrispondenti. Non so cosa abbia pensato di noi quel giorno l’autista durante quel viaggio di ritorno, sentendo frasi del tipo: «Professoressa, lei cosa ha trovato?» , «Gadda! E tu figliola?», «Io Vittorini. Guardi qua, Montale!» e così via. Non dimenticherò mai lo stupore quasi fanciullesco di Maria Corti. E mi viene allora in mente il ritratto che ne fa lo scrittore napoletano Domenico Rea in una lettera a Maria Corti del 5 febbraio ’68 (conservata presso il Centro): «Lei scrive pensa e vede come una ragazza: è curiosa di tutto, vivacissima. Ha la prensile memoria propria della giovinezza e, secondo me, è uno dei rari esseri in grado ancora di sentire un paesaggio; di considerarsi felice di una stanza d’albergo con vista sul mare».•

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Le

a r u t t i r sc LETTO

a RO B l L l A e DO d N i O F c vo DAL di Matteo Croce

Speciale Fondo Manoscritti

Lo Spazio Arti Contemporanee del Palazzo Broletto si impreziosisce nel mese di Ottobre di dattiloscritti, volumi, istantanee, cartoline, lettere, disegni, riviste, bozze, e in ogni sala, dalle televisioni, contributi audiovideo aiutano a comprendere meglio quelle voci della scrittura che provengono dai materiali esposti nelle teche. Sopra i materiali cartacei si è deciso di contrappuntare brevi filmati in una mostra dallo stile essenziale che non vuole essere celebrazione, bensì testimonianza sincera e materica dell’attività cortiana. La parola che più risuona per le sale del Broletto è “curiosa”. Maria Corti viene definita e si definisce così, nel senso più profondo della cūrĭōsĭtas latina ovvero brama, volontà di sapere. Le prime bacheche certificano questa curiosità nella sua sfumatura investigativa: la studiosa dimostrò con più di tre indizi (che, si sa, fanno una prova) l’autore autentico del poemetto Delfilo (Marco Antonio Ceresa, il cui stemma rappresenta un albero di ciliegie in fiamme; il fuoco d’amore

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Chi è Maria Corti?

Speciale Maria Corti nasce a Milano il 7 settembre 1915. Si iscrive all’Università statale e consegue una laurea in Lettere, discutendo una tesi sul latino medievale con Benvenuto Terracini. Inizia ad insegnare al ginnasio di Chiari, in provincia di Brescia (le leggi fasciste non permettevano alle donne di insegnare al liceo, e chiaramente nemmeno all’università). Nel frattempo consegue una seconda in filosofia, in estetica, su Africano Spir, discussa con Antonio Banfi. Dopo aver insegnato al liceo, nel 1962 vince la cattedra in Storia della Lingua presso l’università del Salento. Arriva come ordinario a Pavia nel 1964, dove insegnerà fino alla pensione. Insegna a Ginevra dal 1975 al 1978 e un semestre presso la Brown University di Providence (Rhode Island). Muore nel 2002. Maria Corti è indubbiamente uno dei professori più importanti e apprezzati di Pavia, e di certo una figura che ne ha segnato le sorti recenti. Il nome della Corti echeggia ancora come segno di garanzia e cultura.

di quest’ultimo per una fanciulla pavese). La voce narrante del contributo video racconta passo dopo passo le indagini sul “caso Delfilo” sino alla svolta finale, e alla sua soluzione. Le teche racchiudono molte delle prove indiziarie più significative: cartine geografiche, lettere, appunti, tutti i tasselli che, uniti, hanno dimostrato l’errata attribuzione dell’opera cinquecentesca a Francesco Colonna. Il reperto più singolare di questa prima saletta è un piccolo cartoncino di colore giallo con il profilo di Sherlock Holmes, un’introvabile certificazione dell’appartenenza della Corti ad un Club di appassionati di “Giallo”; un serissimo divertissement dell’Arnoldo Mondadori Editore. La seconda sala, più ampia, ospita il maggior numero di materiali. Sul televisore, Albertino (sì, il celebre DJ) guida un’automobile verso Pavia con a bordo Maria Corti. Poco dopo la studiosa lo introduce al Fondo, mostra alcuni dattiloscritti di Gadda e di Calvino, cer-

ca di far comprendere all’inopportuno (e per questo il programma funziona) Albertino quali siano i divergenti procedimenti correttori dei due autori. Queste rare immagini tratte dall’archivio Rai Teche si aggiungono ad un montaggio che unisce reperti televisivi d’annata alle interviste contemporanee di chi ha conosciuto molto bene la Corti (Maria Antonietta Grignani, Nicoletta Trotta, Gian Luigi Beccaria, Stefano Agosti). Per completezza preciso che il programma sopra citato recava il titolo di “I fanatici del libro” e veniva trasmesso su Rai2 nel 1997. Tornando alle teche, da una parte si espongono i materiali, i documenti, i volumi riguardanti l’attività di narratrice e saggista della Corti, senza omettere (nello spazio dedicato al ‘68, a parer mio uno dei più interessanti) l’attività di professoressa di Storia della Lingua Italiana con una porzione di registro in cui per l’appunto si registrano le mancate lezioni. L’ora di tutti è un’opera incentrata proprio sugli anni della contestazione studentesca.

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Disegni e annotazioni di Franco Fortini

Disegno di Eugenio

Speciale Fondo Manoscritti

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Se da un lato troviamo le prime edizioni e molti materiali autografi ruotanti intorno ad opere di narrativa L’ora di tutti, Voci dal Nord Est, Il canto delle sirene, dall’altro troviamo i saggi Entro dipinta gabbia, La felicità mentale, e gli interventi critici su Alfabeta (rivista militante pubblicata fra il 1979 e il 1988). L’ultima sezione della mostra, nella parete della sala in cui è stato collocato il televisore dal quale spunta di nuovo Albertino (che prende in mano un manoscritto e ne chiede il valore monetario), è dedicata agli autografi di quelle voci che provengono dal Centro Manoscritti. Ombre dal fondo è la testimonianza autentica della storia del Fondo, raccontata da colei che lo ha fon-

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dato negli anni Sessanta. Nella medesima teca in cui è posta la prima edizione dell’opera, si possono osservare i materiali di Romano Bilenchi, di Franco Fortini, di Giorgio Manganelli. Simbolicamente si incontrano qui il primo e il più recente numero di Autografo, la rivista di letteratura del Centro fondata nel 1984. Uno spazio è interamente occupato da lettere, disegni sulle locandine del menù del premio Bagutta, autografi di Eugenio Montale. Le ultime due teche mostrano gli autografi dei maggiori autori del ‘900: Calvino, Gadda, Flaiano, Luzi, Quasimodo, Saba, Volponi, Buzzati, Montanelli, Merini, Bufalino, ma anche piccoli abbozzi di

“L’ULTIMA SEZIONE DELLA MOSTRA [...] È DEDICATA AGLI AUTOGRAFI [...]”


Speciale

Gio Ponti. Non solo autografi dunque, ma anche piccoli disegni, schizzi e ghirigori d’autore. Conclude il percorso espositivo lo split screen di Paolo Lipari Pagine Vive, suggestiva installazione che, dividendo in tre parti uguali lo schermo, pone al centro un foglio bianco e ai lati un montaggio di brevi scorci dell’estate otrantina 2015 (momento in cui si sono svolte le riprese). Dal foglio bianco emergono silenziose poche parole tratte da passi del romanzo L’ora di tutti e subito dopo la voce narrante di Angela Malfitano lo completa recitando per intero la pagina del libro ambientato proprio nella città della Puglia, regione amata e cara a Maria Corti. Le immagini dell’Otranto di oggi scorrono parallelamente e a volte si incontrano, le parole dell’Otranto di ieri sigillano perfettamente quel contrappunto di cui si parlava all’inizio fra parola e immagine; parola

che prende vita; scrittura che conquista una voce. La mostra offre uno sguardo sicuro e mirato sulla vasta e poliedrica attività di Maria Corti in occasione del centenario della nascita. Se nel 2015 è Palazzo Broletto ad aver aperto le porte a Maria Corti, nel 2013 è stata inaugurata, poco distante dal Fondo Manoscritti (in un breve tratto di via Galliano, in Piazza della Posta), una strada minuta che porta il nome della studiosa. Celebrazioni modeste, affatto sfarzose - e forse si sbaglia a chiamarle così – sono testimonianze di un legame sincero e profondo fra la città di Pavia e una donna ardente di curioso fuoco. •

Bibliografia essenziale dei volumi esposti: M. Corti, L’ora di tutti, Milano, Feltrinelli, 1962. - “Entro dipinta gabbia”. Tutti gli scritti inediti, rari e editi 1809-1810 di Giacomo Leopardi, Milano, Bompiani, 1972. - La felicità mentale. Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino, Einaudi, 1983. - Voci dal Nord Est: taccuino americano, Milano, Bompiani, 1986. - Il canto delle sirene, Milano, Bompiani, 1989. - Cantare nel buio, Milano, Bompiani, 1991. - Ombre dal fondo, Torino, Einaudi, 1997.

Tutte le immagini di questo articolo sono tratte dal sito del Centro Manoscritti (centromanoscritti.unipv.it)

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LSD: Lettori Si Diventa

Sender Prager Israel Joshua Singer, 1937

«Non mi fido delle donne, rabbi, le conosco bene…»

inchiostropavia@gmail.com

Quello di I. J. Singer è un racconto lungo e breve, rapido, a tratti fin troppo. Le emozioni dei personaggi spesso vengono descritte invece che fatte sentire; le sensazioni che lascia al lettore sono altrettanto fugaci al punto che, nella riga successiva, sembrano già trascorse e ormai vecchie. Che sia o meno una scelta mirata, lo stile narrativo rispecchia il protagonista,

di Elisabetta Gri

Sender Prager appunto, il suo carattere e la sua attitudine alla vita. Sender Prager è un uomo anticonformista che rifiuta le convenzioni sociali, il matrimonio, e gli obblighi che si convengono ad un ebreo quale egli è, in favore di una vita fatta sì di lavoro ma soprattutto di libertà da qualsiasi vincolo pratico e morale. Sender Prager ha avuto tutte le donne che lavorano nella sua bottega ed ognuna di esse, in qualche modo, si è illusa di po-

I. J. Singer in uno scatto di Carl Van Vechten Inchiostro • numero 143


I. J. Singer, Sender Prager

ter diventare sua sposa. Ma quando arriva l’annuncio delle nozze tra l’uomo e Edye Barenboim, ecco che vengono spazzati via tutti i rimasugli di speranza. Cosa accade a Sender? Semplicemente ciò che accade a molti individui quando si ritrovano faccia a faccia con loro stessi, e comprendono di stare invecchiando. Sender realizza di poter rifiutare ciò che la società gli impone, ma non ciò che gli viene imposto dalla sua condizione di essere mortale e che, quando la vita avrà fatto il suo decorso, non ci sarà nessuno a portare avanti il suo lavoro, nessuno a portare avanti il suo ricordo. Così Sender decide di prendere moglie, vedendo nel matrimonio la soluzione a questo problema. Si reca quindi dal suo Rabbino nei confronti del quale nutriva stima, affetto e, in un certo senso, un qualche timore, e questi prontamente gli propone una giovanissima compagna con cui condividere la

LSD

vita. Mai del tutto convinto, Sender accetta. Anche se insicuro e disarmato, Sender è persuaso che questa sia la decisione migliore per non soccombere inerme allo spettro del tempo. Ma il giusto calcolo di che cosa sia o meno prevedibile, di che cosa sia migliore o peggiore rispetto ad un domani ignoto non è quasi mai prerogativa umana. Sender si ritrova così vittima di una sorte che non aveva considerato, prigioniero di una situazione che non aveva calcolato. Un racconto ricco di temi importanti che spesso vengono persi di vista per la rapidità con la quale sono trattati. Dall’inizio alla fine la narrazione propone un mix di elementi che sfocia nelle molteplici destinazioni del racconto dando forma a quelli che sembrano essere tutti i messaggi che l’autore ha voluto trasmettere. •

<<Non mi fido delle donne, rabbi, le conosco bene…>>.

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LA STORIA DELL'iNVENZIONE DELLA BIRRA inchiostro.concorso@gmail.it

Quando un dinosauro, Gesù e Steve Jobs…... di Niki Figus «Quando il tempo non esisteva», ovvero all’epoca in cui i tablet erano solo dei sassi su cui erano incisi dei geroglifici, tre allegri amici vivevano da poco in una casa. Il deserto li circondava, tutt’intorno a loro telecamere: “Il Grande Fratelli – factor”non era ancora iniziato, ma era già lo show più popolare dell’intera galassia (ovviamente, dopo i video stupidi di gattini, Hello-kitty, Gianni Morandi e gli unicorni

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che si facevano video nelle cabine elettorali votando DC). Le incisioni su pietra di queste adorabili bestiole, tuttavia, nulla erano, a livello di popolarità, in confronto ai tre più famosi candidati di reality di «quando il tempo non esisteva»: Dino, un tirannosauro molto emotivo, Gesù e Steve Jobs. “Il Grande Fratelli – factor” era (o è, «il tempo non


Relax

esisteva») uno show nel quale tre amici, aspiranti musicisti di una rock-band, venivano (o vengono, «il tempo…» – okay, avete capito) rinchiusi in una casa e ripresi ventiquattro ore su ventiquattro mentre erano intenti a cercare di coronare il proprio sogno. Dino, a causa dei propri arti superiori corti, sfruttando il suo adolescenziale non sentirsi adeguato, si era da tempo dato al canto – Gesù, invece, era in grado di suonare chitarra, basso e batteria: «Con quelle mani faceva miracoli, l’ubiquità il resto…» ricordano ancora oggi seguaci e groupie – infine Steve Jobs, il ragazzo che oltre a metterci il garage, partendo dall’incisione di video su pietra, si era specializzato in dj set ricavati da mele. Il giorno della diretta, l’intero universo di «quando il tempo non esisteva» era sintonizzato per la prima serata: un’esibizione musicale attendeva i tre. Sfortunatamente lo show fu un terribile flop; i produttori, infatti, non avevano pensato che «quando il tempo non esisteva» nessuno aveva il senso del ritmo: il trio non riuscì a tenere il tempo della canzone e furono cacciati il giorno dopo. «Se solo esistesse il tempo» disse Dino piangendo - «Già, ci sarebbero anche la pioggia, la neve etc… Potrei fare un’applicazione per il meteo» ribadì Jobs sconsolato. «Ehi, ho la soluzione ragazzi: io creerò il tempo!» - così Gesù schioccò le dita e i tre si ritrovarono alle 20:47 dell’11 novembre 1312 a Tortona (a quell’ora, l’unica cosa rimasta aperta). «Dove sono i miei amici?» - «E il wi-fi?» dissero Dino e Steve, abbattuti. «Siamo a Tortona nel 1312: i dinosauri si sono estinti e il wi-fi non è ancora stato inventato!» Dino e Steve Jobs erano sempre più disperati,

così Gesù decise che li avrebbe riportati nelle proprie epoche di appartenenza. «Prima che ve ne andiate, però, vorrei organizzare un’ultima cena con voi» - «Va bene Gesù, però basta pesce e vino!» - «Okay, okay, portate qualcosa a cui tenere e prepareremo qualcosa di nuovo!» - «Se cucini tu ci servirà davvero un miracolo…» - «Finiscila, ho tutti i libri della Parodi!» La sera Gesù stava mescolando il contenuto di una pentola sul fuoco, quando Dino e Steve arrivarono. «Qui ci sono oro, incenso, mirra e coda di ratto: la base di ogni ricetta. Steve, cos’hai portato?» - «La mia mela; insomma, qui è abbastanza inutile, non posso usarla: quando siamo andati via da “quando il tempo non esisteva” aveva il 40% di batteria e ho dimenticato il cavo…» - «Okay, tu Dino?» - «Io, io non ho niente» - disse Dino piangendo: una lacrima cadde nella pentola, provocando un’esplosione che oscurò il cielo lombardo. «Secondo me è pronto!». Gesù assaggiò: «Non si sente molto la coda di ratto, ma dovrebbe andare!» e versò il contenuto della pentola in due pinte da 0.66 che porse ai suoi amici. «Buono!» esclamarono all’unisono i due, «Come potremmo chiamarla?» - «Beh, potremmo chiamarla “Birra”» - «Come il nome della nostra band?!» - «Esatto, così tutti si ricorderanno di noi» - «Ottima idea!». Dopo la terza birra, Dino, Gesù e Steve Jobs chiamarono un taxi e tornarono alle proprie epoche di appartenenza: «Dicono che ogni volta che si lascia un amico diventi più vecchio, io inizio a sentirmi antico» - «Aggiornerò sempre le vostre pagine Wikipedia ragazzi, promesso!» - «Mi mancherete, vi penserò sempre mentre sarò al lavoro in autolavaggio, addio!»

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Inchiostro a volontà concorso letterario Decima edizione

dopo la terza birra... Scrivi il tuo racconto e invialo a inchiostro.concorso@gmail.com hai tempo fino al 16 novembre 2015 leggi il regolamento sul sito www.inchiostro.unipv.it

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premiazione il 1° dicembre alla feltrinelli Domande? scrivi a inchiostropavia@gmail.com Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Acersat dell’Università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti.


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